magzine 09

12
09 1 NOVEMBRE 30 NOVEMBRE 2010 Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore www.magzine.it magzine »» Emiliano Misso, la camorra degli ultras »» Maurizio Michelucci, l’Italia che crolla a pezzi »» Domenico Iannacone l’inchiesta è un rosario »» Libertà di stampa, i problemi di Balcani e Tibet »» Martina Bacigalupo, la fotografa racconta l’Africa »» Emiliano Misso, la camorra degli ultras »» Maurizio Michelucci, l’Italia che crolla a pezzi »» Domenico Iannacone l’inchiesta è un rosario »» Libertà di stampa, i problemi di Balcani e Tibet »» Martina Bacigalupo, la fotografa racconta l’Africa F a bb riche fuori c ontrollo F a bb riche fuori c ontrollo L’esplosione di Paderno Dugnano apre scenari inquietanti sugli impianti a rischio di incidente rilevante: difetti normativi e verifiche inadeguate mettono in pericolo il lavoro degli operai L’esplosione di Paderno Dugnano apre scenari inquietanti sugli impianti a rischio di incidente rilevante: difetti normativi e verifiche inadeguate mettono in pericolo il lavoro degli operai

description

mag | zine - La free-press della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica

Transcript of magzine 09

Page 1: magzine 09

091NOVEMBRE

30NOVEMBRE2010

Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

www.magzine.it

magzine

»» Emiliano Misso,la camorra degli ultras

»» Maurizio Michelucci,l’Italia che crolla a pezzi

»» Domenico Iannaconel’inchiesta è un rosario

»» Libertà di stampa,i problemi di Balcani e Tibet

»» Martina Bacigalupo,la fotografa racconta l’Africa

»» Emiliano Misso,la camorra degli ultras

»» Maurizio Michelucci,l’Italia che crolla a pezzi

»» Domenico Iannaconel’inchiesta è un rosario

»» Libertà di stampa,i problemi di Balcani e Tibet

»» Martina Bacigalupo,la fotografa racconta l’Africa

Fabbr i ch ef u o r i co n t ro l l oFabbr i ch ef u o r i co n t ro l l o

L’esplosione di Paderno Dugnano apre scenari inquietantisugli impianti a rischio di incidente rilevante: difetti normativie verifiche inadeguate mettono in pericolo il lavoro degli operai

L’esplosione di Paderno Dugnano apre scenari inquietantisugli impianti a rischio di incidente rilevante: difetti normativie verifiche inadeguate mettono in pericolo il lavoro degli operai

Page 2: magzine 09

MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20102

inchiesta

di Enrico Turcato e Simona Peverelli

In Italia il sistema di controllo degli impianti a rischio si fonda ancora sul meccanismo dell’autocert i fi c a z i o n e.Ma non tutte le aziende sono disposte a dichiara rein un modulo l’elenco dei materiali che hanno tra t t a t o

’E S P L O S I O N E C H E L O S C O R S O 4 N O V E M B R E ha tra-

sformato l’Eureco di Paderno Dugnano in un

rogo ardente ha sollevato seri dubbi sulle

procedure di sicurezza in funzione negli

impianti che trattano materiali pericolosi.

L’azienda chimica di Paderno non era stata

catalogata dal ministero dell’Ambiente nella lista dei 1.104 siti “a

rischio di incidente rilevante” presenti in Italia. Nella sciagura -

l’ultima di una lunga serie - ci sono stati due morti, due feriti gra-

vi e tre ustionati. Sergio Scapolan, 63 anni, e Arun Zeqiri, 44

anni, si sono spenti in ospedale dopo una lunga agonia con il 90

per cento del corpo coperto da ustioni.

«Ho sentito all’improvviso un botto tremendo, mi sono gira-

to e ho visto un collega avvolto dalle fiamme. Allora sono corso ad

aiutarlo, ma mi sono ustionato tutte le mani». Così F e r i d

M e s k h a, operaio albanese di 50 anni, ha ricordato i momenti

più drammatici dopo l’esplosione nella fabbrica dell’hinterland

milanese. Le cause dell’incidente, non ancora accertate al

momento, verranno chiarite in sede di indagine nei prossimi

mesi. Quello che preoccupa gli inquirenti è la serialità. Come si

può evitare che si ripetano altri casi come quelli di Eureco?

«In Lombardia sono 280 le aziende dichiarate a rischio dal

Ministero - spiega l’ingegnere Edoardo Galatola, tra i maggio-

ri esperti italiani di sicurezza ambientale -, ma potrebbero esse-

re molte di più. Il meccanismo di rivelamento è abbastanza defi-

citario. Per capirsi: il decreto legislativo 334/99 dice che gli

impianti a rischio di incidente rilevante sono solamente quel-

li che trattano un quantitativo di materiale superiore a certi

limiti. Quindi la catalogazione viene effettuata in base alla

tipologia dei materiali in uso anziché tenendo conto del

loro effettivo utilizzo. Per esempio, Eureco è una ditta

troppo piccola per essere inserita nella lista nera: consuma una

quantità di sostanze “pericolose” insufficiente per essere consi-

derata a rischio».

Ma a chi si rivolgono le aziende quando devono dichiarare

quanto materiale pericoloso consumano? «Oltre certi limiti,

devono mettersi in comunicazione direttamente con il ministe-

ro dell’Ambiente o con l’autorità regiona-

le predisposta - spiega Paolo Bragatto,

ispettore dell’Istituto superiore per la

prevenzione e la sicurezza sul lavoro

(Ispesl) -. Le aziende sono obbligate a

inviare un rapporto di sicurezza al comi-

tato tecnico regionale, un organismo

composto da Vigili del fuoco, Agenzia

regionale per l’ambiete e Ispesl. Una vol-

ta approvato il rapporto, queste autorità

si occupano del programma di ispezione:

nelle aziende ad alto rischio è annuale, in

quelle a medio-basso rischio biennale.

Ma non sempre le risorse permettono di

eseguire i controlli dovuti».

Quindi, se i servizi di ispezione non

hanno fondi a sufficienza, i controlli non

sono regolari. «Alcune categorie di rifiu-

ti sfuggono alla normativa - aggiunge

Bragatto -. Poi si deve tener conto di un

altro fattore: l’ispezione deve certificare

il sistema di gestione, ma solo le aziende

considerate più a rischio sono obbligate

ad averne uno se non vogliono incorrere

in sanzioni penali».

Oltre che sporadica, l’attività di controllo non è più efficace

come in passato. Prima esisteva l’Unità operativa grandi rischi

- spiega Roberto Bai, membro del Comitato scientifico di

Legambiente Lombardia -, formata da personale prepa-

rato. Ma da qualche anno è stata sciolta. Per esaminare

l’impiantistica di un’industria chimica è indispensabile affidar-

si a esperti, e senza dubbio gli esperti migliori si trovano in azien-

da, direttamente a contatto con le sostanze pericolose. Per questo

bisognerebbe promuovere la partecipazione dei lavoratori alla

difesa della salute».

Fino agli anni Ottanta, i contratti collettivi prevedevano che

i lavoratori del settore chimico redigessero il registro dei dati

L

Fabb r i ch eo polve r i e re ?

Page 3: magzine 09

ambientali e biostatistici, ovvero la lista di tutte le sostanze peri-

colose presenti inazienda. Da vent’anni non esiste più nessun

obbligo e a compilare la lista sono i datori di lavoro. Secondo

Angelo Cova, di Medicina Democratica, mettere nero su bian-

co tutti i rischi non è l’attività preferita dai titolari: «Hanno tutto

l’interesse a omettere certi dati, oppure a

nascondere le pecche dell’azienda. Sosten-

gono che i pericoli ci sono, ma anche che

esistono le necessarie cautele». Solo chi

maneggia ogni giorno sostanze nocive ne

conosce veramente la pericolosità e sa

come cautelarsi. La formazione degli ope-

rai è un tema decisivo. Solo del personale

preparato può garantire la sicurezza e gesti-

re un registro dei dati ambientali.

Il decreto 81/2008 obbliga le aziende

ad attivare un sistema di gestione della sicu-

rezza, ma non fissa alcuna norma circa

l’abilitazione del personale. La legge si fer-

ma qui, i corsi di formazione costano, inol-

tre spesso e volentieri, non vengono attiva-

ti. Il risultato è che gli operai continuano a

ignorare i rischi che corrono.

Per Giovanni Cippo, s e g r e t a r i o

nazionale Allca-Cub, i controlli degli ispet-

tori sono sempre più rari per mancanza di

risorse: «Il nostro lavoro si riduce a spora-

dici interventi solo in casi di emergenza,

quando ci scappa il morto. E quando i controlli partono, le azien-

de costruiscono un muro di gomma ed evitano la contrapposi-

zione». Essere più scrupolosi significa spendere, e alcuni datori

di lavoro preferiscono nascondere lo sporco sotto il tappeto piut-

tosto che investire in sicurezza.

Insomma, una normativa per tutelare i lavoratori ci sarebbe

anche: i datori di lavoro sono tenuti a segnalare le sostanze peri-

colose presenti nelle loro aziende, i controlli sono previsti. Ma

restano dei buchi neri nella legge , che non riesce a censire con effi-

cacia tutte le aziende. Il sistema di controllo si basa sull’autocer-

tificazione dei datori di lavoro, e quindi sul loro senso di respon-

sabilità. Non c’è da stupirsi se molte aziende dichiarano ciò che

vogliono e riescono a nascondere la polvere sotto il tappeto.

MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 3

Nelle aziende a rischio i controlli sonoannuali, mentre in quelle a rischio mediob a s s o sono biennali. Non sempre peròle risorse permettono verifiche regolari

LA SCHEDA - In Italia gli impianti

catalogati dal ministero dell’Ambiente

come “a rischio di incidente ri l eva n t e ”

sono 1.104. La Lombardia è la re g i o n e

con la maggiore concentrazione (286),

seguita da Veneto (100) ed Emilia (97).

Al Sud, è preoccupante la situazione di

Sicilia (70) e Campania (70).

Page 4: magzine 09

I N C E N Z O LO M B A R D O h a

lavorato come carrellista

alla Giardini Spa, azienda

chimica di Vigevano, fino al

6 settembre 1990. Da quel

giorno la sua vita e il suo

lavoro sono cambiati: un’esplosione di

materiale infiammabile lo ha sfigurato cau-

sandogli profonde ferite a mani e braccia.

Cosa accadde quel 6 settembre?

Ricordo ancora l’orario: erano le 14.15.

Stavo spostando dei bidoni e urtai una

cisterna contenente mille litri di liquido

infiammabile. Tutto era infiammabile in

quel magazzino, e nulla era a norma. Il rila-

scio del solvente causò il surriscaldamento

dell’ambiente, e quando il solvente raggiun-

se l’impianto elettrico ci fu un’esplosione

violentissima. Riuscii a malapena a scende-

re dal muletto e a scappare verso la portine-

ria. Chiamavo aiuto ma nessuno riusciva a

prestarmi soccorso: mentre correvo la

mia pelle si scioglieva, colava e cadeva a

terra.

Quanto è durata la sua

c o n v a l e s c e n z a ?

Non ho lavorato per due anni e due

mesi e ho dovuto affrontare sette delicati

interventi. Ho perso l’utilizzo delle mani e

per riprenderne l’uso ho dovuto affrontare

moltissime sedute di fisioterapia. Prima di

quel 6 settembre ero un ragazzo felice, poi

tutto si è trasformato in incubo. Non potevo

abbracciare mio figlio, se non con la mente.

Non volevo mai uscire perché avevo il viso

sfigurato e non volevo mettere la maschera.

Ero una mummia che camminava per iner-

zia. Provavo dolori atroci durante la medi-

cazione e ho subìto danni psicologici irre-

v e r s i b i l i .

L’azienda l’ha aiutata dopo l’in -

c i d e n t e ?

Non mi sono venuti incontro...

L’assicurazione mi ha risarcito solo dopo tre

lunghissimi anni di processo. La situazione

si è risolta soltanto tre giorni prima dell’ul-

tima udienza, quando finalmente mi

hanno rimborsato con la cifra che avevo

r i c h i e s t o .

È stato reintegrato?

Adesso faccio il centralinista, ma i

rapporti con i colleghi non sono

semplici. Allora avevo 35 anni, oggi ne ho 55

e aspetto solo che passino due anni per

andare in pensione con quarant’anni di

contribuzione. A sostenermi è stata la fede,

oltre alla famiglia.

«Un botto tremendo,poi solo fiamme e fumo»

Venti anni fa Vi n c e n zo Lombardo è scampato all’esplosione che ha mandato in fumo un’aziendachimica del vigeva n e s e. Dall’incidente è uscito s fi g u ra t o. Oggi lavo ra sempre lì, come centra l i n i s t a

MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20104

inchiesta

di GIUDITTA AVELLINA

V

Page 5: magzine 09

e aziende fanno salti

mortali per evitare la tra-

sparenza». G i o v a n n i

C i p p o, sindacalista del

settore chimico della

Confederazione unitaria

di base (Cub), conosce bene la

reticenza delle aziende in mate-

ria di sicurezza. «Ogni volta che

segnaliamo anomalie o avan-

ziamo richieste specifiche per

effuttuare ulteriori controlli, le

imprese si arroccano su posizio-

ni difensive, sostengono che

naturalmente gli impianti sono

a norma e spesso arrivano al

punto di negare un confronto

leale, preferiscono non far par-

lare i numeri».

Con quali altre proble -

matiche vi scontrate?

Anche la legislazione non ci aiu-

ta: il Documento di valutazione

rischi, per esempio, non può

essere portato fuori dall’azienda

e spesso il lavoratore non è in

grado di valutarne il contenuto.

Inoltre, quando le nostre richie-

ste si fanno più insistenti e vin-

colanti, c’è da fare i conti con le

possibili ritorsioni sui dipen-

d e n t i .

Che tipo di ritorsioni?

Le aziende ne approfittano per

sanzionare il lavoratore, arriva-

no addirittura al licenziamento

del rappresentante sindacale

pur non avendone titolo, appi-

gliandosi a questioni formali. Il

reintegro è raro, e quindi i lavo-

ratori, nella maggior parte dei

casi, smettono di rivendicare i

loro diritti. Smettono di lamen-

tarsi, come i cadaveri.

Anche parlare di sicu-

rezza con le aziende

non è facile: la risposta

più comune è il silenzio.

Roberto Peressutti, diretto-

re dei sistemi industriali di A i r

L i q u i d e, è stato l’unico respon-

sabile di un’azienda ad alto

rischio a voler parlare con noi.

L’impianto di Limito, in provin-

cia di Milano, è il più grande

d’Italia. Dentro imponenti

serbatoi a pressione sono

conservati i gas che la

società commercializza e

che sono destinati alle

maggiori imprese side-

rurgiche del Nord-Italia.

«Proprio perché siamo

consapevoli dei rischi – sottoli-

nea Peressutti – il nostro primo

obiettivo è lavorare in piena

sicurezza. Anche per questo

motivo, sei anni fa il gruppo ha

approvato un sistema interno di

gestione in 18 punti, con regole

dettagliate per garantire l’affi-

dabilità e la sicurezza degli

impianti».

Quali sono le principali

misure di prevenzione

che utilizzate?

Innanzitutto i lavoratori sono

tenuti a rispettare minuziosa-

mente ogni norma. La pro-

gettazione degli impianti,

poi, è soggetta a continue

verifiche. Inoltre,

abbiamo scelto di esse-

re più previdenti di quanto ci

impone la legge e obblighiamo

ogni responsabile ad abilitare i

dipendenti a svolgere le man-

sioni più delicate. Gli imprendi-

tori, insomma, devono formal-

mente assumersi delle respon-

s a b i l i t à » .

Oltre ad Air Liquide, la

lista delle imprese

lombarde ad alto

rischio che devono rispettare

vincoli stringenti conta 280

nominativi, mentre altre impre-

se, come l’Eureco di Paderno,

sono invisibili. Per R o b e r t o

P e r e s s u t t iè anche un proble-

ma di“sensibilità”. «Dal nostro

punto di vista, dover sottostare

alle verifiche è un fatto positivo.

Se nel corso di un controllo

emerge che qualcosa potrebbe

essere fatto meglio è un bene.

Rimediare agli errori è necessa-

rio per tutelare chi sta dentro

l’azienda e chi sta fuori».

«I lavoratori hanno pauradelle ritorsioni e rinunciano arivendicare i lorodiritti. Smettono di lamentarsi e se ne stanno zitti,come i cadaveri»

MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 5

inchiesta

ldi C. L o n i gro e G. Ro m e o

Tra aziende e sindacat it rat t at iva sempre ap e rt a

Page 6: magzine 09

L L O S T A D I O D I NA P O L I c o m a n-

dano i clan della camorra,

parola di Emiliano “Zapa-

ta” Misso, collaboratore di

giustizia e nipote di Giusep-

pe, capo dell’omonimo clan. A fine ottobre

“Zapata” Missoha testimoniato al processo che

vede imputati alcuni ultras per gli scontri scop-

piati alla discarica di Pianura nel 2008 e ha for-

nito una fotografia nitida della curva parteno-

pea, dove ogni gruppo organizzato fa riferimen-

to a un clan. La presenza allo stadio, infatti, è un

simbolo di potere irrinunciabile per chi punta a

comandare e allungare le mani sulla città.

Misso fa nomi e cognomi: della Curva A,

che ha frequentato fino all’arresto del febbraio

2006, traccia perfino la geografia dei compo-

nenti. «I M a s t i f f s sono il gruppo più vecchio,

abbracciano tutto il centro storico e il capo è

figlio di un nostro affiliato. Le Teste Matte e i

Vecchi Lions sono dei Quartieri Spagnoli, la

Masseria Cardone è della zona nord della cit-

tà». «Al suo interno - continua - c’era Ettore

Bosti, figlio di Patrizio del clan Licciardi, nemi-

co dei Misso da trent’anni. Area Nord, poi, è

sorto all’improvviso dopo che gli S p a g n o l i, gli

“scissionisti” di Secondigliano, hanno vinto la

guerra di camorra contro il clan Di Lauro».

“Zapata” Misso guardava le partite con i

ragazzi di Rione Sanità, il gruppo voluto dallo

zio poco dopo la sua scarcerazione. Un diritto,

quello a tifare nella zona centrale della Curva A,

riconosciuto dagli altri gruppi solo grazie alla

mediazione dei M a s t i f f s.

Ovviamente tra clan rivali la tensione è

sempre alta, anche sugli spalti. «I nostri rappor-

ti con la Masseria Cardone – continua Misso –

non sono mai stati buoni. Allo stadio cercava-

mo di evitarci ma bastava una minima miccia

per accendere un casino. Una domenica ero al

San Paolo ed Ettore Bosti si presentò sotto la

Curva A con una bandiera in mano. Mi ricordo

che tutti noi lo insultammo». Il gruppo M a s s e -

ria Cardone, di cui Bosti era componente, è sta-

to poi costretto a lasciare la Curva A e trovare

spazio prima nel settore Distinti e successiva-

mente nella Curva B.

Misso sostiene di non essere mai stato par-

te attiva di Rione Sanità, ma riesce comunque a

descriverne in dettaglio organizzazione e scopi:

ogni settimana, spiega, c’è una riunione per pre-

parare i cori e definire la strategia in caso di taf-

ferugli. Partite come Napoli-Roma sono teatro

frequente di scontri fra tifoserie rivali e nessuno

può farsi trovare impreparato: la mentalità

ultras prevede la rissa con i tifosi delle squadre

avversarie e i gruppi napoletani non si sottrag-

gono certo alla regola. Tra gli ultimi episodi di

questo genere c’è quello della notte tra il 20 e il

21 ottobre scorso, vigilia della partita di Europa

League tra Napoli e Liverpool. Nel capoluogo

campano si è scatenata la “caccia all’inglese”, tre

tifosi del Liverpool sono stati feriti e una decina

di turisti britannici aggrediti dagli ultras azzur-

ri. Per l’episodio la Digos di Napoli ha denun-

ciato una sessantina di appartenenti alle frange

più violente del tifo partenopeo.

A differenza degli hooligans, gli ultras han-

no una strutturazione rigida che lascia poco

spazio all’iniziativa dei singoli. Alcune zone del

San Paolo sono completamente interdette a chi

non fa parte dei gruppi. «Se una brava persona

vuole sedersi tra gli ultras - ha raccontato

“Zapata” Misso - non può farlo, rischia di esse-

re preso e buttato giù dallo stadio. Quelli sono i

loro posti».

Curve pericolose, la camorra tra gli ultras

Secondo Emiliano “ Z a p a t a ” M i s s o, ogni gru p p ou l t ras fa ri f e rimento a un clan. La conferma arrivadallo zio del boss napoletano, che al Rione Sanitàha creato un club di tifosi che gli sono fedelissimi

MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20106

MAFIE

Di Fabio Forlano

a

Per sap e rne di più

Vincenzo Marra, E . A . M . E s t ranei alla

M a s s a (01 Distri bu t i o n ) ; Elisa Davoglio, O n o re

ai diffidati (Mondadori ) ; Andrea Ferreri, U l t ra s :

I Ribelli del Calcio (Bep re s s ).

Page 7: magzine 09

Pompei è venuto

giù un restauro

degli anni Settan-

ta in cemento

armato. Ma non è vero che non

è accaduto nulla di grave: il

cemento, crollando, ha trasci-

nato con sé anche la parte anti-

ca con tutte le pitture murali».

Maurizio Michelucci, di for-

mazione archeologo, insegna

Storia e tecnica del restauro

all'Università di Pisa ed è mem-

bro del Consiglio scientifico del-

l'Opificio delle Pietre Dure di

Firenze. Per lui, nel campo dei

beni culturali da 40 anni, le con-

dizioni del patrimonio artistico

italiano non sono mai state tan-

to critiche come in questo

momento.

Nel 2010 solo lo 0,21 per

cento del bilancio dello Stato è

stato destinato ai fondi per i

beni culturali. Una cifra inferio-

re alla media europea e di gran

lunga al di sotto della stima di

spese annuali per manutenzio-

ne e restauri fatta dal Consiglio

superiore dei beni culturali. Ma

i soldi non sono l’unico proble-

ma: dietro i crolli della Casa dei

gladiatori e del portale quattro-

centesco del santuario di Maria

Santissima d'Alemanna di Gela,

c’è una politica d’immagine

dannosa e poco lungimirante.

Che idea si è fatto delle

responsabilità del crol-

lo di Pompei?

Certamente questo intreccio di

competenze tra soprintendenti

e commissari non è chiaro e non

aiuta. I drastici tagli del perso-

nale rendono poi le

soprintendenze inca-

paci di monitorare

con efficacia il terri-

torio. C’è infine il pro-

blema oggettivo dei

tagli economici. Da anni

ormai nel nostro paese non si fa

più manutenzione e questo

comporta danni irreversibili.

Intere aree archeologiche sono

infestate di rovi ed edere che ne

sgretolano la muratura. Pompei

è solo una delle tante realtà di

degrado sparse in tutta Italia.

Quali sono i siti più a

r i s c h i o ?

La situazione è preoccupante

per i beni di fama minore.

Ovviamente i fondi per il Colos-

seo, interessato da piccoli crolli

di modanature, si troveranno

sempre. A Roselle, invece, le

mura etrusche del VI

secolo a.C. stanno crol-

lando e più della metà

dell’area non è accessi-

bile a causa di infiltra-

zioni vegetali. Altri sca-

vi in pericolo sono le for-

naci romane di Orbetello. In

tutti i casi, i danni sono causati

dalla mancanza di ordinaria

manutenzione che sarebbe

costata pochissimo se eseguita

annualmente. Purtroppo si è

scelto di fare altro.

Quindi non è solo un

problema di mancanza

di fondi?

No, si tratta di saperli gestire. I

pochi soldi destinati ai beni cul-

turali dopo i drastici tagli per la

crisi economica potevano esse-

re utilizzati in due modi: per

difendere ciò che già c’era o per

avviare nuove iniziative, come il

restauro del Marte e Venere di

Palazzo Chigi e la promozione

di nuovi scavi. Ma è ragionevole

aprire delle aree archeologiche

se poi non c’è la possibilità di

prendersene cura? I soldi dove-

vano essere utilizzati soprattut-

to per la conservazione; ma,

dato che la manutenzione dà

poco lustro, si preferisce spen-

dere per orrende visite web vir-

tuali o progetti di promozione

senza una progettualità precisa.

L’Italia possiede il più

grande patrimonio

artistico d’Europa. Per-

ché non riusce a valo-

r i z z a r l o ?

Si può valorizzare solo ciò che è

in splendida salute. Le cose

brutte e maltenute non si valo-

rizzano. Dovremmo prenderci

cura dei nostri beni e poi a valo-

rizzarli con iniziative e pubblici-

tà adeguate. Ma le operazioni

d’immagine non sempre reggo-

no nel tempo.

L’Italia cade a pez z i :fondi miseri e spesi male

esteri

MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 7

di Cristina Lonigro

Per sap e rne di più

Salvatore Settis, La tutela

del pat rimonio culturale e pae -

s a ggistico e l’art . 9 Cost. ( J ove n e )

w w w. c a rt a d e l ri s c h i o. i t

w w w. i t a l i a n o s t ra . o rg

w w w. o p i fi c i o d e l l e p i e t re d u re. i t .

A

Page 8: magzine 09

MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20108

giornalismo

di Salvo Catalano e Giulia Dedionigi

T R A N O P A R T I R E d a l l a

poesia per arrivare

al giornalismo d’in-

chiesta. Eppure,

per D o m e n i c o

I a n n a c o n e, giornalista R a iper il

programma Presa Diretta, tutto

parte dalla medesima sensibilità.

La sensibilità di fermarsi in un

posto. Di osservare e ascoltare. Di

indagare e poi raccontare. I a n n a-

c o n e si è fermato sei mesi a San

Giuliano di Puglia per capire come

il terremoto avesse “capovolto”

quel piccolo pezzo d’Italia, non

solo negli edifici, ma soprattutto

nell’animo delle persone. «È la

stessa sensibilità che c’è nella poe-

sia e nel cinema».

Cosa c’entra la poesia

col giornalismo d’in-

c h i e s t a ?

L’inquadratura dei video non è

una cosa asettica. Prima di dedi-

carmi al giornalismo ho frequen-

tato il Centro sperimentale di

cinematografia e credo che

anche quella sia una forma di

racconto. Ci vuole la stessa sensi-

bilità per il cinema così come per

l’inchiesta. Io l’ho acquisita attra-

verso la poesia. Spesso vedo i Tg

regionali e noto che in realtà non

si occupano di nulla, trattano

alcuni argomenti solo perché

segnalati alle redazioni dagli uffi-

ci stampa. Ci sarebbe abbastan-

za spazio per scoprire moltissime

cose, invece non si fa altro che

riprendere temi di rilievo nazio-

nale spostandoli sul locale.

Hai iniziato proprio dal-

la tivù locale. Che ricor-

di hai di quel periodo?

È stata un’esperienza bellissima.

Dopo aver iniziato al Q u o t i d i a n o

del Molisesono passato a T e l e r e -

g i o n e, un’emittente locale. Face-

vamo una televisione di qualità.

Ho avuto la fortuna di conoscere

un caporedattore che mi ha ini-

ziato in modo fulminante. Aveva

lavorato con Sergio Zavoli i n

R a i e poi era tornato in Molise.

Quella redazione era molto gio-

vane, divenne un laboratorio e lì

ho messo a punto i ferri del

mestiere: facevamo cronaca,

eventi e conduzione.

Prima l’inchiesta su San

Giuliano di Puglia, poi il

premio Ilaria Alpi con I l

p r o g e t t o. Quando hai

deciso di occuparti di

prevenzione antisismi-

c a ?

Quello su San Giuliano di Puglia

è soprattutto un film documen-

tario. Insieme a un amico che si

occupa di tv abbiamo deciso di

andare sul posto e restare lì per

sei mesi. Volevamo raccontare in

video quello che accadeva, le tra-

sformazioni nell’animo degli

uomini. E ci siamo accorti che

era un Paese spezzato non solo

dal dolore, ma anche dalle

discordie. Era una società capo-

volta: i genitori rimasti

senza figli se la prende-

vano con quelli più for-

tunati. L’ultima in-

chiesta era strutturata

in modo diverso. Nella

redazione di P r e s a

D i r e t t a, dopo il terre-

moto a L’Aquila, R i c-

cardo Iaconap e n s a-

va di realizzare qualco-

sa andando in Abruz-

zo. Io proposi invece di

spostare l’attenzione

su un’altra regione ad

alto rischio sismico per

indagare sui processi

di ricostruzione e sul

sistema degli appalti.

Abbiamo scelto un pic-

colo Comune in pro-

vincia di Reggio Cala-

bria: mi sono finto

ingegnere e ho presen-

tato un progetto falso

che è stato approvato.

Quali sono le differenze

principali tra un’inchie-

sta e un reportage?

Si parla tanto di inchiesta, ma

spesso si spaccia per inchiesta ciò

che non lo è. Nella nostra tra-

smissione convivono anime

diverse: cerchiamo sempre una

mediazione, visto che Riccardo

Iacona tende di più al racconto,

mentre io preferisco indagare.

L’inchiesta è ricerca, bisogna

muoversi verso una direzione e

cercare eventuali anomalie.

Qualche esempio?

L’inchiesta, per me, è come un

rosario: nasce un grano dopo l’al-

tro e, solo a poco a poco, arrivi

alla fine. Nell’inchiesta arrivi

anche a una soluzione. Quando,

lo scorso anno, ho realizzato l’in-

chiesta E v a s o r i, sul lavoro in

nero, mi sono mosso senza che ci

fosse alcun procedimento giudi-

ziario aperto. Solo con gli ele-

menti che ho scoperto sul campo

S

La fo r z adel ra c c o n t o

Pa rt i re dalle piccole cose per re a l i z z a re un’inchiesta.S c ava re dove altri non cerc a n o.Fa re il giornalista per Domenico Iannacone non significa trova re stori ead effetto,ma indagare con la sensibilità di un poeta

Page 9: magzine 09

e con le fonti di cui mi fidavo

sono riuscito a inseguire una

pista. Dopo che l’inchiesta è sta-

ta pubblicata, un senatore della

Lega ha minacciato querela. Ma

non ha mai sporto denuncia. Per

precauzione avevo conservato

tutto, perfino gli scontrini fiscali.

Quali sono gli errori in

cui è più facile incorrere

durante la stesura di

u n ’ i n c h i e s t a ?

Per fare una buona intervista

bisogna saper porre le domande

giuste. Ma chi lo fa? Vedo molti

colleghi poco preparati a soste-

nere i loro interlocutori. Per

intervistare bene bisogna legge-

re, studiare, capire. E poi avere

anche presenza di spirito, capa-

cità d’intuizione. Infine, un ele-

mento cruciale è il tempo: con

l’esperienza capisci se qualcuno

non ti sta raccontando la verità.

E le difficoltà principa-

l i ?

Bisogna partire dalle piccole

cose, non servono gli scoop.

L’aspetto minimo dei fatti, ti

porta a scoprire eventi di più

ampia portata. Il progetto p a r t i-

va da una piccola idea: realizzare

tre box auto. Invece ha fatto

emergere una realtà molto più

complessa. Un altro elemento

importante è provare ad antici-

pare le cose che succederanno.

Se hai questa sensibilità, hai fat-

to centro. Ad esempio, circa un

anno e mezzo fa ho realizzato un

lungo reportage, Oro buttato, un

viaggio attraverso i beni cultura-

li italiani di cui non parlava nes-

suno. Oggi posso dire che quel

reportage ha anticipato in parte

quanto successo recentemente a

P o m p e i .

In qualche caso il lavoro

giornalistico arriva pri-

ma dell’inchiesta giudi-

z i a r i a ?

Dovrebbe essere una regola.

Spesso si costruiscono inchieste

basandosi solo sugli atti giudi-

ziari, ma è un modo parziale di

raccontare. Un’altra parte del

lavoro deve farla il giornalista.

Fare inchiesta non significa leg-

gere un’ordinanza e su quella

raccontare una vicenda. Quello

è il lavoro del magistrato.

Quanto ti ha agevolato

lavorare per una grande

testata come R a i T r e?

Mi ha aiutato, non dico di no. Ma

ciò che conta, più che avere una

redazione alle spalle, è il nome

che ti fai sul campo. Tra il 2000 e

il 2001, a Scampia, ogni mattina

si faceva il bollettino dei morti

dei Secessionisti o del clan Di

Lauro. In quel periodo lavoravo

a B a l l a r ò. Ho pensato: «Perché

non proviamo a raccontarlo?».

Mi sono ritrovato a Scampia da

solo: non c’era R a i T r e, né la poli-

zia. A quel punto, ciò che conta è

semplicemente raccontare.

Hai mai subìto pressio-

n i ?

Sì, ma se racconti la verità, ti puoi

sempre difendere. Mi è capitato

l’anno scorso su un tema sensibi-

le come quello dell’acqua. L’in-

chiesta si chiamava Acqua ruba -

t a. Avevo scelto di indagare sulle

acque minerali. Sono stato

costretto a scontrarmi con alcuni

dei maggiori investitori pubblici-

tari della R a i. Avrebbero potuto

bloccare il mio lavoro in qualsia-

si momento. Ma se un lavoro è

perfetto, inappuntabile, ben

documentato, nessuno ti potrà

attaccare. A quel punto le pres-

sioni possono anche rimbalzare.

MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 9

Lavorare in Rai aiuta ancora. Peròconta decisamente di più il nomee la fama che ti sei fatto sul campodella redazione che hai alle spalle Per sap e rne di più

w w w. p re s a d i re t t a . ra i . i t

Per Presa Diretta Domenico

I a n n a c o n e , si è occupat o

di prevenzione antisismica,

realizzando la videoinchiesta

“Il Progetto”,con cui ha vinto

il Premio Ilaria Alpi 2010.

Page 10: magzine 09

libertà di stampa

MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 201010

I C O R A G G I O ne ha da

vendere. Tanto che è

stata premiata. T s e-

ring Woeser è una

blogger e scrittrice di origini

tibetane. Insieme ad altre due

giornaliste ha ricevuto un pre-

mio internazionale per il corag-

gio, il “Courage Awards”, creato

dalla International Women’s

Media Foundation”.

Woeser scrive libri ma, nel

suo Paese, la Cina, sono stati

banditi. Ha aperto molti blog:

chiusi anche quelli. Dal gover-

no. Non può nemmeno lasciar

la Cina: le autorità si rifiutano di

consegnarle il passaporto.

Eppure, nonostante questo,

Tsering continua a essere la

penna più libera, critica e spre-

giudicata del Tibet.

Per il suo amore di verità e

per l’informazione libera è stata

imprigionata ed interrogata e

adesso è costantemente sotto

controllo da parte del governo

cinese. Recentissime le ultime

intimidazioni. La voce libera del

Tibet è stata minacciata a Lha-

sa. E rischia di essere tradotta in

prigione. La notizia è comparsa

sul suo blog, Invisible Tibet.

Questa la dinamica dei fat-

ti. La Woeser si era recata in

visita dalla madre a Lhasa, capi-

tale del Tibet e sua città di nasci-

ta. Qui ha ricevuto la telefonata

di un funzionario della pubbli-

ca sicurezza che le ha intimato

di recarsi all’ufficio di polizia.

Secondo i colleghi di Radio Free

Asia, un portale di libera infor-

mazione con sede negli Stati

Uniti, che ha sempre protetto la

Woeser, la giornalista si sareb-

be rifiutata: «Non ho motivo

per venire con voi», «non ho

fatto nulla». A partire da quel

momento, però, la scrittrice è

stata seguita a vista da un’auto

che staziona davanti alla sua

casa natale e non ha possibilità

di lasciare in alcun modo la

Cina.

Rischia di essere espulsa

dalla regione. Ma non è escluso

che, con gli ultimi accadimenti,

possa ritornare ancora una vol-

ta in carcere. «Sono molto pre-

occupata per questa situazione -

ha rivelato a Radio Free Asia -.

Probabilmente si tratta di una

reazione del governo cinese al

mio riconoscimento internazio-

nale e alla vittoria di Liu Xiaobo,

Premio Nobel per la pace».

Tsering, scrittrice, poetes-

s ae blogger, con la sua penna ha

raccontato al mondo le atrocità

perpetrate dal governo cinese

nei confronti della minoranza

tibetana. Per questo motivo

Pechino non l’ha mai perdona-

ta. Sbattere in prima pagina il

tema della violazione sistemati-

ca dei diritti umani in Cina non

è consentito.

D

Media col bavagl i o,il silenzio dei Balcani

T i b e t ,la bloggerW o e s e rsotto tiro

R E S S I O N I D I E D I T O R I e

inserzionisti, minac-

ce e ricatti da parte

di politici e potenti

locali, pestaggi che

rimangono senza

colpevoli. La mancanza di tute-

le per i giornalisti intralcia la

marcia di avvicinamento dei

paesi balcanici verso l’Unione

Europea. Ogni autunno da

Bruxelles arrivano le pagelle

per gli Stati che bussano alle

porte dell’Unione, e i voti sulla

libertà di stampa sono insuffi-

cienti per Croazia, Serbia,

Bosnia-Erzegovina, Macedonia,

Kosovo e Montenegro.

Tutti questi Paesi sono

classificati come “semi-liberi”

dalla Ong Freedom House, la

stessa valutazione espressa è

identica per tre dei 27 Stati

membri (Italia, Romania e

Bulgaria). Ma se questi ultimi

non rischiano sanzioni, le paro-

le del commissario Ue

all'Allargamento, Stefan Füle,

(«le porte dell’Europa sono

aperte solo ai Paesi che rispetta-

no tutti i parametri richiesti»),

suonano come una bocciatura

verso gli Stati che ambiscono a

diventarne parte. Difficile dire

chi se la passi peggio tra i gior-

nalisti della ex-Jugoslavia.

Luka Zanoni segue le alterne

fortune dei cronisti slavi per

l’Osservatorio Balcani e

Caucaso: «Da ognuno di questi

Stati arrivano notizie allarmanti

– spiega –. In Bosnia ogni orga-

no di stampa risponde ad un

partito e gli articoli di politica si

occupano principalmente di

denigrare gli avversari dell’edi-

tore. In Montenegro e Serbia i

cronisti che cercano di mettere

il naso negli affari dei potenti

vengono minacciati e, a volte,

aggrediti: è accaduto a un gior-

nalista del quotidiano V i j e s t i

che è stato pestato dal sindaco

di Podgorica in persona».

In Kosovo, infine, chi criti-

ca il governo è additato come

traditore. Pochi mesi fa fuori

dalla casa del fondatore del

canale indipendente K o h a

Vision Tv, Veton Surroi,

sono apparse scritte che lo

accusavano di essere un agente

della U d b a, la polizia segreta

serba: Koha Vision aveva appe-

na trasmesso un’inchiesta sui

numerosi casi di corruzione che

hanno coinvolto il governo

kosovaro. «Una recente ricerca

condotta dall’Università di

Sarajevo ha messo in luce come

tutti gli organi d’informazione

vengano utilizzati come un

megafono da parte dei politici e

degli imprenditori che li dirigo-

no – continua Zanoni -. Invece,

chi vuole esercitare questa pro-

fessione con una certa indipen-

denza è costretto a rischiare in

prima persona. È ottimistico

definire “semi-libero” un siste-

ma mediatico che funziona in

questi termini».

In Montenegroe Serbia i cronistiche cercanodi mettere il naso negli affari deipotenti vegonominacciati eaggrediti, mentrein Kosovo chi osacriticare il governopassa per traditore

di Valeria Castellano

di Andrea Legni

p

Per sap e rne di più

w w w. i s f re e d o m . o rg

Page 11: magzine 09

N C O N D O M I N I O dove ogni appar-

tamento è situato in una diversa

parte del mondo. Finestre virtua-

li in cui si passa dall’intimità di

una famiglia di Johannesburg a

quella di una di San Paolo o di Istanbul. E poi

ancora Praga, Chicago, Beirut, Amsterdam,

Tainan, Toronto, Havana, Bangalore, Phnom

Penh, Montreal. L’idea è quella di una regista

canadese, Katerina Cizek, e il risultato è O u t

my window, uno tra i primi documentari a 360°

multimediali e interattivi mai realizzati.

Lo scopo è raccontare attraverso i media la

vita delle persone che abitano nei palazzi, negli

edifici più diffusi dell’ultimo secolo, isole verti-

cali che dominano il paesaggio urbano. Dal-

l’esterno sono tutti uguali, ma dentro le persone

si costituiscno in comunità per nulla virtuali.

«Quando avevo cinque anni, vivevamo

proprio al confine della Boulevard Peripherique

con il turbine del traffico della metropolitana

semisotterranea - ha raccontato la regista al

Vancouver Sun-. Eravamo i primi e gli unici

residenti del nuovo complesso a dodici piani, ad

eccezione della coppia con il gatto del secondo

piano. Mi vengono ancora i brividi quando

ricordo il vento che soffiava attraverso il condot-

to dell’ascensore. Le periferie urbane sono posti

traboccanti di umanità, ma sono spesso invisi-

bili all’occhio di chi passa velocemente e alle per-

sone con una mentalità chiusa».

Novanta minuti di documentario fruibili

sul web per un insieme di 49 storie in 13 diver-

se città del mondo, tradotte in 33 lingue. Basta

un click su una finestra per entrare in una del-

le abitazioni ed esplorarla a 360° grazie a una

nuova tecnologia video prodotta da Y e l l o w -

b i r d, un sistema a sei lenti simile a quello uti-

lizzato daGoogle Streetviewche registra ver-

so tutte le possibili direzioni di visualizzazio-

ne. Inoltre un sistema di microfoni consente

di registrare i suoni con una qualità altissima.

La sensazione è quella di essere presenti in

un determinato luogo o di partecipare a un

evento. Click and drug in all directions i n s o m-

ma: nel documentario la telecamera si muove

soggettivamente alla scoperta di persone,ogget-

ti e ambienti che custodiscono racconti. Si può

poi cliccare sulle immagini per sentire rumori,

musica, ascoltare interviste, scorrere fotografie.

Ogni storia familiare è anche uno sguardo

al di fuori della finestra sul mondo globalizzato,

sulle problematiche sociali, come l’immigrazio-

ne, la povertà, l’ambiente.

Al documentario, sponsorizzato dal N a t i o -

nal Film Board of Canada, hanno lavorato

oltre 100 persone tra giornalisti, fotografi, archi-

tetti, sociologi, attivisti, ricercatori ed esperti

digitali divisi nelle varie città. Il coordinamento

dei lavori avveniva tramite e-mail, Skype e Face-

book: in qualsiasi città si trovassero, i documen-

taristi potevano così tenersi in contatto con la

regista, ospite quest’anno dell’I d f a di Amster-

dam dove è stata realizzata un’installazione del

documentario.

Out of my window, la cui intuizione è sca-

turita da Thousandth tower, un progetto prece-

dente della C i z e k sulla periferia di Toronto, è

solo una parte di un progetto cross mediale più

ampio, H i g h r i s e, che vuole esplorare, con inno-

vazione prima di tutto, l’esperienza umana, dal

locale al globale, nei sobborghi di tutto il mondo.

a t t, R o b, K r i s, tre

ragazzi americani e

D a v e, irlandese, si

scambiano vignette su

un forum. Sangue, mutilazioni, malat-

tie, incidenti e morti sono i loro sogget-

ti. Le storie e i personaggi di C y a n i d e

And Happinessnascono così. Cyanide

And Happiness si definisce “webdaily

comic”: una striscia quotidiana di

humor nerissimo a base di gag, splatter

e cinismo. Da gennaio 2005 sono ospi-

tati su w w w . e x p l o s m . i t. Fenomeno da

10 milioni di clic al giorno, 360 mila solo

in Italia, la pagina su Facebook di C y a -

nide And Happiness, a oggi, ha più di

320.000 fan. Ma si può seguire anche

sul canale Youtube e su Twitter. Ice Cre -

am And Happiness, in vendita su Ama-

zon, è il loro secondo libro, con le

vignette migliori. Sul sito, un’acida

vignetta quotidiana dà il buongiorno

agli utenti. Su www.explosm.it c ’ è

anche una produzione video (tutti

disponibili su Youtube) non meno dis-

sacrante e un forum frequentatissimo.

Ancora, uno spazio dove postare le pro-

prie vignette e una sezione store: in ven-

dita pupazzetti, poster e t-shirt. Da poco

è stato introdotto anche un sistema più

veloce di consegna degli acquisti per i

fan stranieri. Non manca, ovviamente,

un’applicazione per iPhone. Non c’è un

solo strumento 2.0 non sfruttato: e non

potrebbe essere altrimenti, per un feno-

meno che ha fatto saltare il banco grazie

al passaparola su internet.

Out my window, film a tutto tondo

Dentro i grattacieli dei sobborghi del mondoc’è un universo di storie da scoprire. Una registacanadese li racconta in un documentario a 360°

multimedia

Un risvegl i oal cianu ro

MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 11

di Carlotta Garancini

di A m b ra Notari

Per sap e rne di più

www.highrise.nfb.ca

m

U

Page 12: magzine 09

A R T I N A BA C I G A L U P O

è una giovane foto-

grafa genovese. Lo

scorso settembre

ha ricevuto il

Canon Female Photojournalist

A w a r d al Festival di fotogiornali-

smo di Perpignan per il suo lavo-

ro su Francine, donna del

Burundi mutilata dal cognato

dopo la morte del marito.

Come ha conosciuto

Francine?

Vivevo in Burundi da un anno,

me ne aveva parlato un’amica

che lavora in una Ong sudafrica-

n a . Così sono andata a conoscerla

e, alla fine, le ho chiesto se aveva

voglia di raccontare la sua storia.

Perché ha scelto proprio

lei per il servizio fotogra-

f i c o ?

Quando l’ho conosciuta ho pen-

sato che la sua storia fosse simbo-

lica, che potesse raccontare quel-

la di tutte le donne che quotidia-

namente sono vittime di violenze

inenarrabili e vivono in una pro-

fonda solitudine.

In molti scatti si avverte

l’affetto materno di

Francine per la figlia

Bella. Come è riuscita a

non essere troppo inva-

d e n t e ?

Se c’è un rapporto non si è mai

invadenti: l’altro non è tollerato,

ma accolto. Con Bella giocavamo

spesso e lei si divertiva, mentre

con Francine ci siamo abituate

l’una all’altra. Ora, quando pren-

do la macchina fotografica,

Francine non ci fa più caso.

Qual è la fotografia che

illustra più compiuta-

mente l’amore che lega

Francine a Bella?

Quella in cui Bella si aggrappa al

collo della madre. È un gesto di

affetto naturale, quasi non si vede

che Francine non ha le braccia.

Sembra che lei stia sorreggendo

sua figlia, ma solo in un secondo

momento si capisce che non è

cosi. L’handicap diventa secon-

dario, e questo è un punto impor-

tante del lavoro: mostrare la vio-

lenza ma al tempo stesso la “nor-

malità”.

Qual è il segreto dietro

alla naturalezza e alla

spontaneità dei suoi

s c a t t i ?

Bisogna trovare la giusta distanza

dal soggetto, per rispettarne l’in-

timità e non interferire nello svol-

gersi dei fatti. È uno spazio dato

dal tempo: più tempo si trascorre

con il soggetto, più si sviluppa

quella naturalezza. Lo scatto non

è altro che una piccola frazione di

questo tempo trascorso insieme.

Come stanno adesso

Francine e Bella?

Bella vive ancora nel Sud del

Paese, dove sta studiando.

Francine, da quando è tornata

dall’Italia con le protesi, sta svi-

luppando una piccola attività

commerciale a Bujumbura, la

capitale del Burundi. Sono molto

curiosa di vedere cosa farà.

Due donne del Burundi profondamente segnate dal dolore della violenza, sono protagoniste degli scattidi Martina Bacigalupo. La fotografa spiega perc h éha deciso di ra c c o n t a re la loro storia di spera n z a

Periodico realizzatodal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore

d i r e t t o r eMatteo Scanni

c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia

r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Matteo Battistella,Marco Billeci, Valeria CastellanoSalvo Catalano, Daina Chiara,Giulia Dedionigi, GiuliaDestefanis, Michele D’Onofrio,Fabio Forlano, Giacomo Galanti,Carlotta Garancini, GiulianaGrimaldi, Cosimo Lanzo,Andrea Legni, Cristina Lonigro,Paolo Massa, AlessandroMassini Innocenti, AntonioNasso, Ambra Notari, TancrediPalmeri, Simona Peverelli, RosaRicchiuti, Denis Rizzoli,Gregorio Romeo, GabrieleRusso, Stefania Saltalamacchia,Giacomo Segantini, BiancaSenatore, Luigi Serenelli,Francesca Sironi, Matteo Sivori,Alessandro Socini, EnricoTurcato, Gianluca Veneziania m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m

progetto graficoMatteo Scanni

service providerw w w . u n i c a t t . i t

Autorizzazione del Tribunale

di Milano n. 81 del 20 febbraio

2 0 0 9

fotogiornalismo

di Paolo Massa

MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 201012

M

Francine e Bella

Per sap e rne di più

Photo Mart i n a

Bacigalupo /VU.