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N°81 Luglio 2014 1 Newsletter N° 81 Luglio 2014 Trifirò & Partners Avvocati Diritto del Lavoro Attualità 3 Le Nostre Sentenze 7 Cassazione 10 Diritto Civile, Commerciale, Assicurativo Le Nostre Sentenze 12 Assicurazioni 13 Il Punto su 15 R. Stampa 17 Eventi 18 Contatti 19 Guida Lavoro Itinera a cura di Trifirò & Partners Nelle professioni di avvocato, consulente e giurista di impresa, l’aggiornamento è fondamentale per fornire il miglior e più esaustivo supporto ai clienti su tematiche - quali quelle del diritto del lavoro - che sono oggetto di continui interventi, sia da parte del legislatore che della giurisprudenza. Nell’ottica di contribuire a tale aggiornamento con il nostro know how, lo Studio collabora con le più importanti case editrici nella redazione di manuali e opere di divulgazione scientifica. Nella scorsa newsletter abbiamo annunciato la pubblicazione del volume edito da RCS, in collaborazione con il Corriere Economia, “La riforma del lavoro. Dalla legge Fornero al Jobs Act” . E adesso facciamo il bis, curando anche un importante Volume della Collana Itinera - Guide Giuridiche sul Diritto del Lavoro. La Guida Lavoro Itinera IPSOA analizza con un taglio molto pratico - operativo e non manualistico - tutti gli aspetti del rapporto di lavoro: dalla costituzione (collocamento, orario di lavoro, retribuzione, patto di prova e clausole accessorie), alle tipologie contrattuali (rapporto a tempo parziale, contratto determinato, apprendistato, stage, somministrazione, lavoro intermittente, rapporti di lavoro autonomo, occasionali e a progetto), alla gestione del rapporto (il potere disciplinare, la privacy e i controlli del datore di lavoro, il potere organizzativo e direttivo, il trasferimento del lavoratore, la malattia e l’infortunio, la maternità), alle vicende modificative del rapporto (la cessione del contratto di lavoro, il trasferimento d’azienda, l’appalto e il distacco), alla cessazione del rapporto (i licenziamenti individuali, quelli collettivi, le dimissioni e le risoluzioni consensuali), anche avuto riguardo alle situazioni di crisi dell’impresa (con trattazione della cassa integrazione Guadagni, dei contratti di solidarietà, dell’ASPI e delle procedure concorsuali). Completano l’opera la trattazione dei rapporti speciali (dirigenti, giornalisti, lavoro domestico, lavoro sportivo, artistico e degli stranieri in Italia, degli italiani all’estero), nonché del diritto sindacale (la contrattazione collettiva, le rappresentanze sindacali, i diritti e la libertà sindacale, lo sciopero e la serrata) ed infine del processo del lavoro (anche con specifico riferimento a quello previsto per i licenziamenti).

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Newsletter Trifirò & Partners Avvocati N°81 Luglio 2014

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N°81 Luglio 2014 1

Newsletter N° 81 Luglio 2014

Trifirò & Partners Avvocati

Diritto del Lavoro

Attualità 3

Le Nostre Sentenze 7

Cassazione 10

Diritto Civile, Commerciale, Assicurativo

Le Nostre Sentenze 12

Assicurazioni 13

Il Punto su 15

R. Stampa 17

Eventi 18

Contatti 19

Guida Lavoro Itinera a cura di Trifirò & PartnersNelle professioni di avvocato, consulente e giurista di impresa, l’aggiornamento è fondamentale per fornire il miglior e più esaustivo supporto ai clienti su tematiche - quali quelle del diritto del lavoro - che sono oggetto di continui interventi, sia da parte del legislatore che della giurisprudenza.

Nell’ottica di contribuire a tale aggiornamento con il nostro know how, lo Studio collabora con le più importanti case editrici nella redazione di manuali e opere di divulgazione scientifica.

Nella scorsa newsletter abbiamo annunciato la pubblicazione del volume edito da RCS, in collaborazione con il Corriere Economia, “La riforma del lavoro. Dalla legge Fornero al Jobs Act”. E adesso facciamo il bis, curando anche un importante Volume della Collana Itinera - Guide Giuridiche sul Diritto del Lavoro.

La Guida Lavoro Itinera IPSOA analizza con un taglio molto pratico -operativo e non manualistico - tutti gli aspetti del rapporto di lavoro: dalla costituzione (collocamento, orario di lavoro, retribuzione, patto di prova e clausole accessorie), alle tipologie contrattuali (rapporto a tempo parziale, contratto determinato, apprendistato, stage, somministrazione, lavoro intermittente, rapporti di lavoro autonomo, occasionali e a progetto), alla gestione del rapporto (il potere disciplinare, la privacy e i controlli del datore di lavoro, il potere organizzativo e direttivo, il trasferimento del lavoratore, la malattia e l’infortunio, la maternità), alle vicende modificative del rapporto (la cessione del contratto di lavoro, il trasferimento d’azienda, l’appalto e il distacco), alla cessazione del rapporto (i licenziamenti individuali, quelli collettivi, le dimissioni e le risoluzioni consensuali), anche avuto riguardo alle situazioni di crisi dell’impresa (con trattazione della cassa integrazione Guadagni, dei contratti di solidarietà, dell’ASPI e delle procedure concorsuali).

Completano l’opera la trattazione dei rapporti speciali (dirigenti, giornalisti, lavoro domestico, lavoro sportivo, artistico e degli stranieri in Italia, degli italiani all’estero), nonché del diritto sindacale (la contrattazione collettiva, le rappresentanze sindacali, i diritti e la libertà sindacale, lo sciopero e la serrata) ed infine del processo del lavoro (anche con specifico riferimento a quello previsto per i licenziamenti).

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Newsletter T&PTutti gli argomenti sono aggiornati con le più recenti novità legislative ed interpretazioni ministeriali e giurisprudenziali. Inoltre, il libro contiene esempi, schemi riepilogativi, approfondimenti, e anche “case history”, ossia situazioni e casi concreti seguiti dal nostro Studio.

Sempre in tema di iniziative editoriali, segnaliamo l’uscita della nuova edizione aggiornata del Codice del Lavoro e leggi complementari della collana Tribuna Pocket, contenente una raccolta di tutte le normative essenziali del diritto del lavoro che è opportuno avere sempre a portata di mano.

Buona lettura e... visto il periodo, buone e meritate vacanze!

Luca D’Arco

Comitato di Redazione: Francesco Autelitano, Stefano Beretta, Antonio Cazzella, Teresa Cofano, Luca D’Arco, Diego Meucci, Jacopo Moretti, Damiana Lesce, Luca Peron, Claudio Ponari, Vittorio Provera, Tommaso Targa, Marina Tona, Stefano Trifirò e Giovanna Vaglio Bianco

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Contrattazione di secondo livello e sgravi contributivi: le indicazioni dell’INPSA cura di Damiana LesceLa materia è, da ultimo, disciplinata dalla legge di stabilità 2013, dal DL n. 102/2013 e dal Decreto Interministeriale del 14 febbraio 2014. Con la circolare n. 78/2014, l’INPS chiarisce i termini per l’accesso allo sgravio contributivo sulle erogazioni previste dai contratti collettivi di secondo livello (aziendali e territoriali) sugli importi corrisposti nell’anno 2013.

È possibile usufruire dello sgravio contributivo sulle somme previste dai contratti collettivi di secondo livello:

• che prevedono erogazioni correlate ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione ed efficienza organizzativa, oltre che collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale;

• che sono depositati dai datori di lavoro o dalle associazioni a cui aderiscono, presso le Direzioni Territoriali del Lavoro, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto Interministeriale.

Per l’anno 2013, lo sgravio contributivo può essere concesso entro il limite del 2,25% della retribuzione contrattuale annua di ciascun lavoratore. Lo sgravio è così articolato:

• entro il limite massimo di 25 punti dell’aliquota a carico del datore di lavoro, al netto delle riduzioni contributive per assunzioni agevolate, delle eventuali misure compensative spettanti e - in agricoltura - al netto delle agevolazioni per territori montani e svantaggiati.

La riduzione di 25 punti dell’aliquota datoriale costituisce la quota complessiva massima di sgravio applicabile, anche con riferimento alle aziende che assolvono la contribuzione pensionistica presso Enti diversi dall’Inps. Rimane, in ogni caso, escluso dallo sgravio il contributo (0,30%) ex art. 25, c. 4 della legge n. 845/1978, versato nel 2013 dai datori di lavoro ad integrazione della contribuzione per l’ASpI.

• totale sulla quota del lavoratore. Lo sgravio della contribuzione a carico del lavoratore sarà pari al 9,19% per la generalità delle aziende, al 9,49% per i datori di lavoro soggetti alla Cigs (art. 9 legge n. 407/1990) e 8,84% per gli operai assunti in agricoltura; per gli apprendisti la quota è pari al 5,84%. Non costituisce oggetto di sgravio il contributo (1%) ex art. 3ter della legge n. 438/1992, dovuto sulle quote di retribuzione eccedenti il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile (per l’anno 2013 € 46.031,00 che, rapportato a dodici mesi, è pari a € 3.836,00).

La richiesta di sgravio deve essere inoltrata esclusivamente in via telematica all’INPS (anche per i lavoratori iscritti all’INPGI, ex INPDAP ed ex ENPALS) e deve contenere:

• i dati identificativi dell’azienda;• la tipologia di contratto e data di sottoscrizione dello stesso;• la data di avvenuto deposito del contratto presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente;• l’indicazione dell’ente previdenziale al quale sono stati versati i contributi pensionistici.

L’INPS provvede all’ammissione delle aziende allo sgravio contributivo entro 60 giorni successivi alla data fissata quale termine unico per l’invio delle istanze.

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Newsletter T&PNell’ipotesi in cui le risorse disponibili non consentissero la concessione dello sgravio nelle misure indicate nelle richieste aziendali, ferma restando l’ammissione di tutte le domande trasmesse nei termini, l’Istituto provvederà alla riduzione degli importi in percentuale pari al rapporto tra la quota globalmente eccedente e il tetto di spesa annualmente stabilito. Tale eventuale ridefinizione delle somme sarà comunicata ai richiedenti in sede di ammissione all’incentivo. La concreta fruizione del beneficio resta, comunque, subordinata alla verifica, da parte dell’INPS, del possesso dei requisiti di regolarità contributiva.

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L’assegnazione di mansioni inferiori nell’ipotesi di ristrutturazione aziendale: limiti operativi e tutela dei contrapposti interessiA cura di Antonio Cazzella

L’art. 2103 cod. civ. stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, a quelle superiori successivamente acquisite, ovvero a mansioni equivalenti a quelle da ultimo svolte, con espressa sanzione di nullità di ogni patto contrario.

La giurisprudenza di legittimità, nel corso gli anni, si è ripetutamente occupata di interpretare la nozione di “mansioni equivalenti” e di “professionalità”, affermando che spetta alla competenza del giudice “riempire di contenuto normativo le nozioni aperte, non definite dalla disposizione stessa (ndr. nel nostro caso, l’art. 2103 cod. civ.) … che rinviano a valori socioculturali esterni, storicamente accettati, e mutevoli nel tempi di vigenza della disposizione” (Cass. 8 marzo 2007, n. 5285).

In particolare, la giurisprudenza - ormai da tempo e dopo un’iniziale “titubanza” (Cass. 13 febbraio 1980, n. 1026) - ha ritenuto legittima l’assegnazione di mansioni inferiori nel caso in cui tale provvedimento costituisca l’unica alternativa al licenziamento del dipendente (Cass. S.U. 7 agosto 1998, n. 7755).

Con la recente sentenza n. 11395 del 22 maggio 2014, la Suprema Corte si è pronunciata in una fattispecie in cui un lavoratore, con mansioni di responsabile dell’Ufficio Tecnico di un comune, aveva lamentato un demansionamento, in quanto - a seguito di una ristrutturazione del predetto ufficio (che aveva determinato la creazione di un’Area Tecnica e di un altro ufficio specializzato in materia di gestione di beni comunali) - gli erano stati assegnati nuovi compiti.

La Corte di merito ha escluso il demansionamento del dipendente, rilevando, tra l’altro, che nell’ambito della nuova organizzazione dell’ufficio era avvenuta una nuova ripartizione di materie e di compiti, con assegnazione di alcune materie specifiche in capo al lavoratore, che - pur non coprendo tutto il raggio del preesistente Ufficio Tecnico - erano tuttavia di grande rilevanza e, in ogni caso, rientranti nelle originarie mansioni attribuite al dipendente.

La Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello, evidenziando che “l’impostazione della Corte territoriale è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 8596 del 5 aprile 2007; Cass. n. 5285 del 2007), secondo la quale la disposizione dell’art. 2103 c.c. sulla disciplina delle mansioni e sul divieto di declassamento va interpretata alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti, tra le altre, ristrutturazioni aziendali, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori, a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato del Codice Civile”.

Il principio affermato dalla Suprema Corte nel caso esaminato non sembra discostarsi dal consolidato orientamento, secondo cui, anche in ipotesi di ristrutturazione aziendale, l’assegnazione di mansioni inferiori potrebbe legittimamente verificarsi solo ed esclusivamente nel caso in cui tale modifica costituisca l’unica alternativa al licenziamento del dipendente (fermo restando che, nel caso esaminato, non era neppure in discussione la stabilità del posto di lavoro).

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Newsletter T&PAncor più recentemente, infatti, la Corte di Cassazione ha ribadito il suo orientamento “restrittivo” in materia di modifica in pejus delle mansioni, affermando che l’assegnazione di mansioni inferiori non è legittima neppure nel caso in cui venga definitivamente soppresso l’ufficio o l’unità operativa cui è addetto il lavoratore (Cass. 11 luglio 2014, n. 16012).

D’altra parte, nella fattispecie sopra esaminata, non vi era neppure la necessità di verificare la sussistenza e la portata della ristrutturazione, posto che, comunque, il giudice di merito aveva accertato che il nuovo incarico non comportava una dequalificazione e ciò anche con riferimento al mutamento dei riporti gerarchici del lavoratore (che, per lo svolgimento di alcuni compiti, avrebbe avuto come referente direttamente il Sindaco).

Con specifico riferimento alla rilevanza dei riporti gerarchici e/o del coordinamento di altri lavoratori in caso di assegnazione di nuove mansioni, si segnala che la Suprema Corte, con la recente sentenza n. 14600 del 27 giugno 2014, ha affermato che non sussiste un demansionamento se il nuovo incarico assegnato al dipendente offre a quest’ultimo l’occasione per sviluppare la professionalità acquisita, nonostante venga meno la possibilità di coordinare altri dipendenti ed anche se l’incarico assegnato comporta l’utilizzo di nuove tecnologie sconosciute al lavoratore.

Rito Fornero. Compatibilità del ruolo di giudice della fase sommaria con quello di giudice dell’opposizione.A cura di Mario Cammarata

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 205 del 16 luglio 2014, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Siena relativamente all’art. 1, comma 51, della legge n. 92/2012 e dell’art. 51, comma 1, lettera n. 4, del codice di procedura civile.

La questione riguardava la compatibilità della presenza dello stesso giudice che aveva già esaminato le questioni sommarie nei licenziamenti ex art. 18 della legge n. 300/1970, nella fase decisionale, cosa che ha generato diverse posizioni presso vari distretti giudiziari circa la compatibilità (Bologna, Monza, Milano) ovvero la non compatibilità (Roma, Firenze, Torino).

La Consulta ha osservato che, a prescindere dalla presenza di motivi di inadeguatezza della motivazione, la questione appare costituzionalmente inammissibile in quanto si risolve nel tentativo di ottenere dalla stessa Corte, con l’uso dell’incidente costituzionale, l’avallo circa una delle due interpretazioni scaturenti dalla giurisprudenza di merito.

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LA SENTENZA DEL MESEIL GIORNALISTA CHE MATURA LA PENSIONE IN REGIME RETRIBUTIVO NON PUÒ BENEFICIARE DEL “TRATTENIMENTO IN SERVIZIO”(Corte d’Appello di Roma, sentenza 26 giugno - 4 luglio 2014)

L’art. 24, co. 4, della l. 22 dicembre 2011 n. 214 (cosiddetta legge “Salva Italia) dispone quanto segue: “Per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell'Assicurazione Generale Obbligatoria (di seguito AGO) e delle forme esclusive e sostitutive della medesima … la pensione di vecchiaia si può conseguire all'età in cui operano i requisiti minimi previsti dai successivi commi” (primo periodo) “Il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall'operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settant'anni” (secondo periodo). “Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l'efficacia delle disposizioni di cui all'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità” (terzo periodo).In base a tale norma, il “trattenimento in servizio” fino a settant’anni è consentito solamente in favore dei dipendenti, assoggettati all’AGO o a forme previdenziali sostitutive, che beneficiano di un regime pensionistico contributivo o misto e non, invece, a quelli - come i giornalisti assicurati all’Inpgi - che fruiscono di pensione maturata in regime retributivo.Tale conclusione è confortata dall’interpretazione sia letterale che finalistica della norma. Sotto il profilo letterale, la norma fa espresso riferimento alla pensione di vecchiaia. Sotto il profilo teleologico, invece, lo scopo della norma è quello di assicurare il contenimento della spesa pensionistica, il rispetto del patto di stabilità, nonché la sostenibilità del sistema previdenziale. Di conseguenza, sarebbe del tutto illogico consentire ai lavoratori, assoggettati a sistema retributivo - i quali, permanendo in servizio, potrebbero normalmente percepire, all’atto della fine del rapporto, una pensione più alta perché commisurata a una retribuzione presumibilmente superiore di quella di cui avrebbero goduto se collocati a riposo senza trattenimento - di fruire della possibilità di permanere in servizio. Essi, infatti, riceverebbero una pensione più favorevole, a fronte di una contribuzione non (o non necessariamente) commisurata all’entità del trattamento, ciò che rappresenta caratteristica propria del sistema retributivo. Al contrario, nel regime contributivo e in quello misto, gli anni di trattenimento in servizio sarebbero coperti da una contribuzione in grado di sostenere (seppur nella valutazione globale di sistema) il miglioramento del trattamento pensionistico, cosicché la differenza di pensione a beneficio dell’assicurato non comporterebbe squilibri finanziari, mentre lo Stato guadagnerebbe, risparmiando fino a 5 anni di erogazione del trattamento pensionistico. L’inapplicabilità dell’art. 24 del “Salva Italia“ ai giornalisti esclude, di conseguenza, la tutela reale in ipotesi di licenziamento per sopraggiunti limiti di età, prevista dal CCNL di categoria.Ciò vale a maggior ragione in relazione ad un giornalista - quello che ha instaurato la controversia in oggetto - che ha svolto continuativamente, per oltre 10 anni, mansioni dirigenziali, anche in ipotesi di eventuale assegnazione a mansioni pretesamente deteriori. Infatti, il mutamento di mansioni - anche nel caso di demansionamento - non comporta la perdita della qualifica dirigenziale, né l’applicabilità dell’art. 18 St. Lav. in ipotesi di licenziamento.

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Lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui la temporaneità dell’incarico dirigenziale sia prevista dal CCNL di categoria in relazione a talune mansioni. In questo caso, infatti, la scadenza dell’incarico comporta il diritto all’assegnazione di mansioni equivalenti, non certo la perdita della qualifica, non potendosi interpretare la clausola del CCNL nel senso di consentire una deroga in peius all’art. 2103 cod. civ. (norma che sancisce la nullità di ogni patto contrario al divieto di demansionamento e all’irriducibilità della retribuzione). Da ultimo, la sentenza ha evidenziato che, laddove sia esclusa l’applicabilità dell’art. 18 al rapporto di lavoro (considerate, nel caso di specie, l’inapplicabilità del trattenimento in servizio e la qualifica dirigenziale del giornalista), la domanda di reintegrazione proposta nell’ambito di un procedimento instaurato secondo il “rito Fornero” deve essere rigettata nel merito. La domanda, proposta in via subordinata, di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità supplementare è, invece, inammissibile poiché, con il suddetto procedimento speciale, non è consentito proporre domande incompatibili con l’applicabilità dell’art. 18 St. Lav. o che ne presuppongano l’esclusione.Causa seguita da Salvatore Trifirò, Paola Balletti e Tommaso Targa

ALTRE SENTENZEDIRITTO ALLA FRUIZIONE DEI PERMESSI EX ART. 33, L. N. 104/1992: DATORE E INPS DEVONO ENTRAMBI ESSERE PARTI DEL GIUDIZIO(Tribunale di Roma, 13 maggio 2014)Nel giudizio di accertamento del diritto del lavoratore ad usufruire dei permessi per assistere congiunti affetti da handicap deve essere convenuto, oltre all’ente previdenziale, anche il datore di lavoro.Così ha stabilito il Tribunale di Roma in un giudizio promosso da un lavoratore, che aveva chiamato in causa solo l’INPS, per contestare la mancata concessione dei permessi ex art. 33 della legge n. 104/1992, dopo che, con sentenza di altro giudice, era stato riconosciuto lo stato di handicap grave della madre, per la quale egli aveva richiesto i suddetti permessi. Alla prima udienza, il Tribunale ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del datore di lavoro sul presupposto che, nei giudizi aventi ad oggetto il diritto alla fruizione dei permessi ex art. 33 citato, il datore è legittimato passivo unitamente all’ente previdenziale. Tale statuizione si pone in controtendenza rispetto ad un precedente orientamento della Corte di Cassazione (Cass. 5 gennaio 2005, n. 175), che affermava la legittimazione passiva del solo datore di lavoro, in quanto destinatario dell’obbligo di concessione dei permessi e del pagamento. Secondo il Tribunale - che ha richiamato un recente indirizzo delle corti capitoline - in siffatta materia si configura un rapporto trilaterale tra il lavoratore beneficiario, il datore di lavoro e l’istituto previdenziale. Il datore non può essere ritenuto estraneo al giudizio non tanto perché su di esso grava l’onere economico della prestazione (questi, invero, è tenuto unicamente ad anticipare la retribuzione relativa ai permessi, che verrà successivamente restituita dall’INPS tramite conguaglio con i contributi da versare), quanto perché la concessione o meno del permesso incide sulla sua organizzazione aziendale, che deve essere modulata in modo da garantire al dipendente la fruizione del beneficio. Allo stesso modo, è legittimato passivo in causa l’istituto previdenziale: è, infatti, l’ente che autorizza il datore a concedere il beneficio e ad avvalersi del conguaglio, ovvero revoca il beneficio, ed è pure il soggetto che, in concreto, eroga la prestazione assistenziale.

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Quindi, secondo il Tribunale, in tali procedimenti si verte in ipotesi di “litisconsorzio passivo”, perché il provvedimento giudiziale incide sia sul datore, che sull’ente previdenziale. Infatti, se l’ente rimanesse estraneo al giudizio, il datore di lavoro condannato a concedere i permessi rischierebbe di non potersi rivalere sull’istituto; viceversa, l’ordine di concedere il beneficio riferito al solo ente previdenziale non sarebbe opponibile al datore che non ha partecipato al giudizio.Causa seguita da Marina Olgiati e Francesco Torniamenti

IN TEMA DI DEMANSIONAMENTO E DEQUALIFICAZIONE, IL RICONOSCIMENTO DI UN RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO ED ESISTENZIALE VA DIMOSTRATO IN GIUDIZIO(Corte d’Appello di Roma, 25 maggio 2014)Nel ricorso introduttivo del giudizio, la difesa del lavoratore si era limitata ad affermazioni generiche circa la causazione di un danno esistenziale e da perdita di professionalità, ma non aveva dedotto specificamente in cosa si sostanziasse tale danno, né aveva indicato quali occasioni di miglioramento professionale il lavoratore avrebbe perso per effetto del lamentato demansionamento. Sulla scorta di tali considerazioni, il Tribunale adito ha respinto le domande del lavoratore, affermando - in linea con l’insegnamento prevalente della giurisprudenza - che il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma presuppone una specifica allegazione - nel ricorso introduttivo del giudizio - sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In particolare il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare aredittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali della sua personalità nel modo esterno - va dimostrato in giudizio con l’allegazione di precisi elementi, quali caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno e all’esterno del luogo di lavoro della pretesa dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto, ecc..Causa seguita da Luca Peron

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OSSERVATORIO SULLA CASSAZIONEA cura di Stefano Beretta e Antonio CazzellaRISARCIMENTO DEL DANNO PER MANCATA ASSEGNAZIONE DI OBIETTIVICon sentenza n. 13959 del 19 giugno 2014 la Corte di Cassazione ha affermato che la violazione del contratto da parte del datore di lavoro non comporta, di per sé, un danno in favore del dipendente, il quale deve provare le conseguenze pregiudizievoli della condotta aziendale, altrimenti la domanda sarebbe finalizzata ad una mera sanzione punitiva, esclusa dall’ordinamento giuridico. Nella fattispecie esaminata, il manager - impugnando il licenziamento, poi dichiarato illegittimo - aveva anche chiesto il risarcimento del danno per mancata assegnazione degli obiettivi annuali da parte dell’azienda: la richiesta è stata rigettata, in quanto la Corte ha affermato che egli avrebbe dovuto offrire ulteriori elementi per fondare la domanda e, segnatamente, dimostrare che, se gli obiettivi fossero stati assegnati, sarebbero stati effettivamente da lui raggiunti.

IL DIPENDENTE DEFINISCE “IGNORANTE” IL SUO DIRIGENTE: IL LICENZIAMENTO È ILLEGITTIMO ANCHE SE IL LAVORATORE È CONDANNATO IN SEDE PENALECon sentenza n. 14177 del 23 giugno 2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore che aveva utilizzato espressioni ingiuriose nei confronti di un dirigente, apostrofandolo con il termine “ignorante”. La Corte di Cassazione ha confermato i principi già consolidati in materia di giusta causa di licenziamento, evidenziando che occorre tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, anche se la condotta è prevista dal CCNL come causa di recesso senza preavviso. Nel caso di specie, è stato considerato che il dipendente, peraltro condannato in sede penale per il reato di ingiuria, versava in un comprensibile stato di apprensione per la salute della moglie, anche lei dipendente della società ed in stato di gravidanza a rischio, che era stata convocata in azienda per la restituzione di una chiave: proprio la donna aveva sollecitato un intervento in ufficio del marito e, in quel contesto, era sorta l’animata discussione tra l’uomo ed il dirigente. La Corte d’Appello aveva, peraltro, già rilevato l’obiettiva assenza, nelle frasi pronunciate, di una valenza intimidatoria, che apparivano piuttosto come espressione di uno sfogo emotivo, mosso dalla preoccupazione per la salute della moglie ed accompagnato da una mal controllata gestione dei propri mezzi espressivi.

BENEFICI CONTRIBUTIVI:  REQUISITI E LIMITI IN ALCUNE FATTISPECIECon sentenza n. 16639 del 22 luglio 2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso di trasferta dei dipendenti o di rimborso per spese di viaggio, è il datore che deve dimostrare il motivo di esonero dall’assoggettamento a contribuzione se vuole accedere ai benefici/sgravi contributivi. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha riformato la decisione della corte territoriale, che, invece, aveva confermato l’annullamento della cartella esattoriale (con la quale era stato intimato, tra l’altro, il pagamento di contributi relativi alla mancata registrazione di alcune ore di lavoro straordinario e rimborsi spese di viaggio in occasione di ferie e festività) sul presupposto che il verbale ispettivo non era corredato dalla documentazione necessaria. Al contrario, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “laddove si versi in una situazione di eccedenza in senso riduttivo dell’obbligo contributivo, grava sul soggetto che intenda beneficiarne l’onere di provare il possesso dei requisiti che, per legge, danno diritto all’esonero” e, quindi, ha rinviato la causa alla Corte di merito per tale accertamento.Relativamente alla possibilità di usufruire dei benefici contributivi per assunzioni di lavoratori in mobilità, la Corte di Cassazione ha ricordato che l’art. 8, comma 4 bis, della legge n. 223/1991, esclude tale beneficio quando l’impresa che assume presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con l’impresa che ha licenziato il dipendente.

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Con la sentenza n. 16485 del 18 luglio 2014 la Corte ha precisato che, per stabilire se gli assetti proprietari siano davvero coincidenti, è necessaria un’indagine molto precisa ed accurata sulla struttura societaria, in quanto la norma utilizza un concetto (“assetti proprietari”) più ampio rispetto a quello di “proprietà” (altrimenti il legislatore avrebbe utilizzato la locuzione “proprietà coincidenti”).  In particolare, è necessaria una verifica sulla composizione del capitale sociale e sulla ripartizione delle quote al fine di verificare, ad esempio, se sussiste un rapporto di collegamento e/o di controllo tra le due società, non essendo sufficiente, al fine di escludere il beneficio, che le medesime abbiano un nome simile e vi sia una parziale coincidenza dei personaggi coinvolti nelle vicende societarie.

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N°81 Luglio 2014 12

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Civile, Commerciale, Assicurativo

LE NOSTRE SENTENZEL’AVVOCATO CHE DICHIARA DI AGIRE IN NOME E PER CONTO DEL PROPRIO ASSISTITO NE È ANCHE RAPPRESENTANTE SOSTANZIALE EX ART. 1388 COD. CIV.(Corte di Cassazione, sez. II civ., sentenza 26 marzo - 23 giugno 2014)

Ai sensi dell'art. 1388 cod. civ., “il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato”. In relazione alla cosiddetta contemplatio domini, ossia l’esternalizzazione del potere rappresentativo, da parte del rappresentante, la norma non prescrive particolari contenuti e/o espressioni che il medesimo deve utilizzare, oltre a quella di dichiarare di “agire in nome e nell'interesse del rappresentato”. Inoltre, le norme in tema di rappresentanza non impongono al rappresentante di indicare gli estremi della propria procura, nel contratto concluso in nome e l'interesse del rappresentato, neppure in ipotesi di conclusione di contratti a forma vincolata. Da ciò discende l’irrilevanza del rapporto sottostante tra rappresentante e rappresentato, il cui concreto atteggiarsi è privo di ricadute ai fini della realizzazione dell’effetto tipico dell'istituto della rappresentanza.La giustificazione dei poteri del rappresentante è prevista dall'art. 1393 cod. civ., come conseguenza della richiesta che il terzo contraente è facoltizzato a fare in qualsiasi momento. Se tale richiesta non viene formulata prima o contestualmente alla conclusione dell’accordo, essa non può essere sollevata strumentalmente, in sede giudiziale, al fine di contestare la validità della procura e, conseguentemente, quella dell’accordo concluso con il rappresentante.Partendo da tali principi di diritto e con riferimento al caso di specie, in cui il rappresentante era un avvocato e professore universitario, la Cassazione ha stabilito che, per l'esternalizzazione del potere rappresentativo, è sufficiente, da parte dell’avvocato/rappresentante/consulente, spendere il nome del rappresentato, dichiarando di agire in nome e per conto di quest’ultimo. Non è richiesto, invece, l'uso di espressioni dal contenuto tecnico giuridico maggiormente specificato ed è irrilevante, a questi fini, che il soggetto destinatario degli effetti del negozio sia definito nella contemplatio domini quale “rappresentato” o “assistito” o con altro termine equivalente.Causa seguita da Salvatore Trifirò e Giampaolo Tagliagambe

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Newsletter T&PAssicurazioniA cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano

AssicurazioniA cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano

ASSICURAZIONE

OBBLIGATORIA

Il rilascio del certificato di assicurazione, completo di tutte le indicazioni di legge, impegna inderogabilmente l’assicuratore nei confronti del terzo danneggiato in relazione al periodo di copertura assicurativa indicato nel contrassegno, indipendentemente dal fatto che per tale periodo sia stato pagato il premio.(Cassazione, 1 aprile 2014, n. 7527)

MALA GESTIO

DELL’ASSICURATORE,

CONSEGUENZE

"In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, l'assicuratore, a seguito della richiesta del danneggiato formulata ex art. 22 della legge n. 990 del 1969, è direttamente obbligato ad adempiere nei confronti del danneggiato medesimo il debito d'indennizzo derivante dal contratto di assicurazione. Una volta scaduto il termine di sessanta giorni da detta norma previsto, l'assicuratore è in mora verso il danneggiato, qualora sia stato posto nella condizione di determinarsi in ordine all'"an" ed al "quantum" della responsabilità del suo assicurato. In tal caso l’obbligazione verso il danneggiato dell'assicuratore può superare i limiti del massimale per colpevole ritardo (per "mala gestio" cosiddetta impropria) a titolo di responsabilità per l'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria e, quindi, senza necessità di prova del danno quanto agli interessi maturati sul massimale per il tempo della mora ed al saggio degli interessi legali, ed oltre questo livello in presenza di allegazione e prova (anche tramite presunzioni) di un danno maggiore. Inoltre per ottenere la corresponsione degli interessi e rivalutazione oltre il limite del massimale non è necessario che il danneggiato proponga già in primo grado nell'ambito dell'azione diretta anche una domanda di responsabilità dell'assicuratore per colpevole ritardo, ma è sufficiente che egli, dopo aver dato atto di aver costituito in mora l'assicuratore, richieda anche gli interessi ed il maggior danno da svalutazione ex art. 1224 cod. civ. ovvero formuli la domanda di integrale risarcimento del danno, che è comprensiva sia della somma rappresentata dal massimale di polizza, sia delle altre somme che al massimale possono essere aggiunte per interessi moratori, rivalutazione e spese. Ne consegue che, in caso di incapienza del massimale, la responsabilità dell'assicuratore non può che correlarsi alle conseguenze negative che il ritardo nell'adempimento della sua obbligazione (che è, appunto, quella di pagamento del danno nei limiti del massimale) ha provocato e, dunque, agli interessi e al maggior danno (anche da svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi)

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conseguito al ritardo nel pagamento del massimale, che solo entro tali precisi limiti può essere, pertanto, superato, restando a carico dell'assicurato il risarcimento del danno ulteriore"(Cassazione, 9 giugno 2014, n. 12899)

LEASING

Ove in un sinistro stradale sia coinvolto un veicolo, privo di copertura assicurativa, concesso in locazione finanziaria, è esclusa la responsabilità solidale del proprietario/concedente, con quella del locatario e del conducente, trattandosi, ai sensi dell'art. 91, comma 2, e 196 C.d.S., di ipotesi di responsabilità alternativa e non concorrente poiché solo l'utilizzatore ha la disponibilità giuridica del godimento del bene e quindi la possibilità di vietarne la circolazione.(Cassazione, 27 giugno 2014, n. 14635)

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IL PUNTO SUA cura di Vittorio Provera

VIA DAL REGISTRO DELLE IMPRESE GLI INDIRIZZI PEC CONDIVISI TRA PIÙ AZIENDE

La Posta Elettronica Certificata (o PEC) ha il pregio di garantire la certezza e la celerità dell'invio, della consegna, dell'immodificabilità del contenuto e della riservatezza del messaggio trasmesso, oltreché di identificare, con sicurezza, la casella del mittente.

Ulteriore vantaggio è costituito dall’essere decisamente più economica rispetto ad una tradizionale raccomandata con ricevuta di ritorno. Il legislatore ha, pertanto, cercato di favorire l’uso di tale strumento nei rapporti tra imprese, cittadini e Pubblica Amministrazione, adottando disposizioni normative ad hoc.

Con particolare riferimento alle imprese, si ricorda che l’art. 16, c. 6, DL 185/08, convertito in L. n. 2/2009 ha previsto, per le società, l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese del proprio indirizzo PEC; successivamente tale incombenza è stata estesa alle imprese individuali ex art. 5, cc. 1 e 2 del DL 179/2012, convertito in L. n. 221/2012.

In un primo tempo, le indicazioni ministeriali (circolare n. 3645/C del 3/11/2011) avevano contemplato la possibilità di assolvere all’adempimento in questione, indicando eventualmente l’indirizzo PEC di un terzo, ad esempio un professionista di fiducia, eletto come domicilio professionale. Tale orientamento aveva avuto - come conseguenza - l’assegnazione di identici indirizzi PEC a distinte imprese. In merito, l’INAIL ha stimato che, ad oggi, vi sono circa 191.000 indirizzi PEC duplicati, ovvero assegnati contemporaneamente ad almeno due soggetti distinti.

Recentemente, il Ministero dello Sviluppo Economico (brevemente MISE), con lettera circolare del 9 maggio 2014 (prot. n. 77684) ha chiarito che le predette indicazioni operative - emanate secondo criteri di semplificazione a favore delle imprese - sono da ritenersi ormai superate alla luce della successiva evoluzione normativa, risultando oggi indubitabile che per ogni impresa (sia essa societaria o individuale) debba essere iscritto, nel registro delle imprese, un indirizzo PEC alla stessa univocamente ed esclusivamente riconducibile. Del resto, la necessità di PEC univoche emerge, tra l’altro, con la recente pubblicazione on-line dell’INI-PEC (Indice Nazionale Indirizzi di Posta Elettronica Certificata) finalizzato a comunicare in via diretta e certa con imprese e professionisti. Tale intento, infatti, risulterebbe svilito dalla presenza, nell’ambito dell’Indice in questione, di indirizzi di posta elettronica certificata “non propri” o, comunque, non riconducibili all’impresa destinataria della comunicazione che si vuole inviare.

Con successiva lettera del 23 maggio 2014 (prot. n. 99508) il MISE ha, pertanto, invitato le Camere di Commercio a procedere - ogni qual volta si rilevino duplicazioni, anche su segnalazione di terzi interessati - alla cancellazione del dato, previa intimazione a sostituire l’indirizzo “condiviso” con uno proprio. Del resto, anche l’Agenzia per l’Italia Digitale, con la nota n. 6097 dell’11 giugno u.s., ha ribadito al MISE l’assoluta necessità di assicurare che l’indirizzo PEC dichiarato dalle imprese sia singolarmente ed esclusivamente riconducibile alle medesime.

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A fronte di ciò detto Ministero, con circolare n. 3670 del 23 giugno 2014, avente ad oggetto l’iscrizione della medesima PEC su due o più imprese distinte, ha ribadito che gli adempimenti pubblicitari per le società e per le imprese individuali di iscrivere la propria PEC nel registro delle imprese comportano necessariamente l’iscrizione di un indirizzo di PEC univocamente ed esclusivamente riferibile all’impresa stessa (societaria o individuale).

Nel caso in cui, pertanto, si rilevi d’ufficio o su segnalazione di terzi, l’iscrizione di un indirizzo PEC, di cui sia titolare una determinata impresa, sulla posizione di un’altra (o di più altre) - ovvero, comunque, l’iscrizione sulla posizione di un’impresa di un indirizzo PEC che non sia proprio della stessa - dovrà avviarsi la procedura di cancellazione del dato in questione ai sensi dell’art. 2191 c.c., previa intimazione, all’impresa interessata (o alle imprese interessate), a sostituire l’indirizzo registrato con un indirizzo di PEC “proprio”.

Peraltro, ciò non impedirà alle aziende di continuare eventualmente a delegare la mera gestione operativa di tali indirizzi PEC univoci (sia da parte delle imprese individuali che da parte delle società) a soggetti terzi o professionisti, ovvero - come avviene in taluni casi per i Gruppi di imprese - alla società del gruppo che cura per tutte alcuni servizi amministrativi comuni centralizzati, ferma la necessità, comunque, di creare un proprio indirizzo di posta elettronica certificata.

Il MISE, infine, con la predetta circolare ha sottolineato la necessità di un impegno particolare da parte delle Camere di Commercio al fine di individuare e rimuovere le suddette anomalie, ferma restando al contempo, l’opportunità di valutare, insieme ad Unioncamere e ad Infocamere, le iniziative praticabili al fine di garantire la tendenziale esaustività ed affidabilità degli indirizzi di PEC desumibili dal registro delle imprese.

A fronte di quanto precede e considerato che con la fine dello scorso mese di giugno si è entrati in una nuova fase di applicazione del Processo Civile Telematico, con ulteriori facilitazioni per la diffusione delle notifiche di atti via posta elettronica certificata, è indispensabile per le aziende operare un attento monitoraggio degli indirizzi e delle attività di ricezione atti inviati a mezzo PEC.

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Rassegna Stampa

Newsletter 07:24 Il Sole 24 Ore: 22/07/2014Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 21/07/2014Ristrutturazione aziendale: assegnazione a mansioni inferiori, limiti operativi, tutela dei contrapposti interessidi Antonio Cazzella

Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 17/07/2014Neoplasia polmonare: non basta l’esposizione ad amianto per provare la natura professionale della malattiadi Tommaso Targa

Newsletter 07:24 Il Sole 24 Ore: 15/07/2014 Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 14/07/2014Non beneficia del “trattenimento in servizio” il giornalista che matura la pensione in regime retributivodi Salvatore Trifirò, Paola Balletti, Tommaso Targa

Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 11/07/2014Dequalificazione: danno biologico ed esistenziale dimostrati in giudiziodi Luca Peron

Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 08/07/2014Fruizione dei permessi ex L. 104/1992: datore e INPS devono entrambi essere parti del giudiziodi Marina Olgiati e Francesco Torniamenti

Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 07/07/2014Ingiustificato il licenziamento del dirigente quando è sorretto da un motivo arbitrario o pretestuosodi Salvatore Trifirò, Giampaolo Tagliagambe, Tommaso Targa

Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 01/07/2014Dimissioni per giusta causa: requisiti per un legittimo recesso del lavoratoredi Antonio Cazzella

Diritto24 - Il Sole 24 Ore: 30/06/2014Tra sviluppo tecnologico e privacy: le novità previste dal Garante in tema di biometriadi Vittorio Provera

La Riforma del Lavoro | Dal 13 Giugno in edicola con il Corriere della SeraDisponibile anche la versione E-Book A cura di Trifirò & Partners Avvocati

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Eventi

Genova, 19 – 20 Settembre 2014Congresso Nazionale AGI 2014QUALI REGOLE PER QUALI LAVORIJobs Act e riordino dei modelli di contratto di lavoro tra flessibilità e garanzia“Produttività e contrattazione decentrata: rappresentatività, regole, ambiti per le relazione industriali”Relatore: Avv. Giacinto FavalliPROGRAMMA (PDF)

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