Sconfinare numero 20 - giugno 2009

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COPIA GRATUITA Numero 20 - Giugno 2009 www.sconfinare.net Direttrice: Annalisa Turel redazione@sconfinare.net Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione Commenta i nostri articoli su www.sconfinare.net Premetto, questo non è un articolo nostalgico. No, ok, non ci credo neanche io. Ecco proviamo questa allora: Sconfina- re è un gioco. Sì, sì Sconfinare è sempre stato un gioco, vo- glio dire, abbiamo iniziato perché ci annoiavamo e volevamo giocare a fare i “giornalisti”. Ci piacevano le parole, milioni di parole. Peccato, però, che avessimo solo poco spazio per farcele stare dentro. Sedici pagine, duemilaquattrocento pa- role per pagina, se non ricordo male, tra sei e ottocento per articolo, circa quattrocento per un editoriale. (Ahi! Ne ho già sprecate un sacco). I soldi, ah sì ci servivano un sacco di soldi. E allora via con la domande a Consorzio, Università, Erdisu, Comune, Provincia, Regione e pure all’Unione Eu- ropea. L’unico che non si preoccupava dei soldi era Gabassi che ci consigliò di stampare anche se eravamo ancora al verde. La signora Ferrigutti dell’Erdisu, però, non era mol- to d’accordo. Ci divertivano un sacco quei formulari in cui ci chiedevano di spiegare che cos’era Sconfinare, quanti nu- meri avremmo stampato all’anno. Ci sollazzava ancor di più giocare a nascondino col nostro editore responsabile, Bojan Starec, sempre disponibile, ma anche sempre puntualmente in ritardo. Il gioco era così coinvolgente che cominciammo ad appassionarci ai programmi di impaginazione, Indesign in particolare (Qual era il comando per l’opzione “contorna con testo”?). Quindi, siccome studiavamo Scienze Interna- zionali e Diplomatiche e credevamo nella pace dei popoli, oltre a quella dei sensi, andammo alla caccia di traduttori. Ne trovammo uno solo, ma inesauribile. Samuele che tra- dusse, traduce e tradurrà Sconfinare per i secoli dei secoli Amen. Una cosa non ci mancava: le idee. Anzi, sbaragliata la timidezza iniziale, avevamo seri problemi a mantenerci nei limiti dello spazio disponibile. La competizione per ave- re una rubrica era feroce. Andate a chiederlo a chi voleva quattro pagine per “L’Angolo delle Donne”. Insomma, ci divertivamo tantissimo e, a quanto pare, ultimamente que- sto gioco l’ha preso sul serio anche qualcun altro. Una nuo- va generazione di “pazzi sconfinati” potremmo dire, che, accompagnata da alcuni della vecchia, ha preso il vizio per le parole, la carta e i formulari Erdisu. Non vorrei sbagliar- mi, ma mi sembra che un giorno Carletto Mazzone disse: “nella vita ti possono portare via tutto, la fidanzata, i soldi, la fama, ma i risultati quelli non te li può portare via nes- suno”. Venti numeri sono tanti per tutti, sia per quelli che leggono Sconfinare con fare nostalgico, sia per quelli che non riescono a farne a meno e passano questo traguardo con il vento in poppa. Certo, se riuscissimo a pubblicarne altri venti… Emmanuel Dalle Mulle Vent’anni di Sid, venti numeri di Sconfinare 160 laureati di Scienze Internazionali e Diplomatiche sono tornati in via Alviano per i vent’anni del Corso di laurea. Una giornata per raccontare agli studenti di oggi tanti possibili domani. Speciale alle pagine 7, 8, 9, 10

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Numero 20 - Giugno 2009 Speciale alle pagine 7, 8, 9, 10 www.sconfinare.net Direttrice: Annalisa Turel [email protected] 160 laureati di Scienze Internazionali e Diplomatiche sono tornati in via Alviano per i vent’anni del Corso di laurea. Una giornata per raccontare agli studenti di oggi tanti possibili domani. Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione

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COPIA GRATUITA Numero 20 - Giugno 2009

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Direttrice: Annalisa Turel

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Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione

C o m m e n t a i n o s t r i a r t i c o l i s u w w w. s c o n f i n a r e . n e t

Premetto, questo non è un articolo nostalgico. No, ok, non ci credo neanche io. Ecco proviamo questa allora: Sconfina-re è un gioco. Sì, sì Sconfinare è sempre stato un gioco, vo-glio dire, abbiamo iniziato perché ci annoiavamo e volevamo giocare a fare i “giornalisti”. Ci piacevano le parole, milioni di parole. Peccato, però, che avessimo solo poco spazio per farcele stare dentro. Sedici pagine, duemilaquattrocento pa-role per pagina, se non ricordo male, tra sei e ottocento per articolo, circa quattrocento per un editoriale. (Ahi! Ne ho già sprecate un sacco). I soldi, ah sì ci servivano un sacco di soldi. E allora via con la domande a Consorzio, Università, Erdisu, Comune, Provincia, Regione e pure all’Unione Eu-ropea. L’unico che non si preoccupava dei soldi era Gabassi che ci consigliò di stampare anche se eravamo ancora al verde. La signora Ferrigutti dell’Erdisu, però, non era mol-to d’accordo. Ci divertivano un sacco quei formulari in cui ci chiedevano di spiegare che cos’era Sconfinare, quanti nu-meri avremmo stampato all’anno. Ci sollazzava ancor di più giocare a nascondino col nostro editore responsabile, Bojan Starec, sempre disponibile, ma anche sempre puntualmente in ritardo. Il gioco era così coinvolgente che cominciammo ad appassionarci ai programmi di impaginazione, Indesign in particolare (Qual era il comando per l’opzione “contorna con testo”?). Quindi, siccome studiavamo Scienze Interna-zionali e Diplomatiche e credevamo nella pace dei popoli, oltre a quella dei sensi, andammo alla caccia di traduttori. Ne trovammo uno solo, ma inesauribile. Samuele che tra-dusse, traduce e tradurrà Sconfinare per i secoli dei secoli Amen. Una cosa non ci mancava: le idee. Anzi, sbaragliata la timidezza iniziale, avevamo seri problemi a mantenerci nei limiti dello spazio disponibile. La competizione per ave-re una rubrica era feroce. Andate a chiederlo a chi voleva quattro pagine per “L’Angolo delle Donne”. Insomma, ci divertivamo tantissimo e, a quanto pare, ultimamente que-sto gioco l’ha preso sul serio anche qualcun altro. Una nuo-va generazione di “pazzi sconfinati” potremmo dire, che, accompagnata da alcuni della vecchia, ha preso il vizio per le parole, la carta e i formulari Erdisu. Non vorrei sbagliar-mi, ma mi sembra che un giorno Carletto Mazzone disse: “nella vita ti possono portare via tutto, la fidanzata, i soldi, la fama, ma i risultati quelli non te li può portare via nes-suno”. Venti numeri sono tanti per tutti, sia per quelli che leggono Sconfinare con fare nostalgico, sia per quelli che non riescono a farne a meno e passano questo traguardo con il vento in poppa. Certo, se riuscissimo a pubblicarne altri venti…

Emmanuel Dalle Mulle

Vent’anni di Sid, venti numeri di Sconfinare

160 laureati di Scienze Internazionali e Diplomatiche sono tornati in via Alviano per i vent’anni del Corso di laurea. Una giornata per raccontare agli studenti di oggi tanti possibili domani.

Speciale alle pagine 7, 8, 9, 10

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Sconfinare Giugno 20092Nazionale

Il 6 e 7 giugno in Italia, come in tutti i 27 paesi dell’unione euro-pea, si è votato per l’elezione dei nuovi membri del parlamento europeo. I risultati sono noti a tutti, sia quelli relativi all’Italia, che quelli generali dell’intera Unione: c’è stata una generale vittoria delle destre, a parte in alcuni sparuti paesi, in Italia in particolare c’è stata una confer-ma dell’ascesa della Lega Nord, un inaspettato consolidamento del consenso per l’Italia dei Va-lori e la conferma della profon-da crisi delle sinistre, che anco-ra non hanno capito la lezione dell’anno scorso.Molto è stato detto su questi ri-sultati, considerati da un punto di vista prettamente nazionale, se un partito piuttosto che un al-tro hanno registrato un aumento o una diminuzione dei consensi, facendo paragoni con gli altri partiti avversari a livello nazio-nale, ma senza prendere in mini-ma considerazione il confronto con i partiti che in seno al neo-eletto parlamento faranno parte dello stesso schieramento.Poco è stata invece commentata la campagna elettorale e la rea-zione ai risultati. Iniziamo dalla campagna elet-torale. Questa è risultata essere, a mio parere alquanto scarsa e devo dire poco utile all’obiet-tivo per cui era stata preposta: guardando gli spot elettorali au-togestiti e a pagamento in tele-visione, ho visto tante cose, ma non una campagna che si potesse dire volta all’elezione di rappre-sentanti che devono operare a livello europeo. E la cosa investe tutti i partiti, a destra e a sini-stra: farò solo 3 esempi, ma vi basterà andare su youtube.com e per poter vedere gli spot di tutti i partiti.Il primo esempio è dato dal-lo spot di Fiamma Tricolore, il quale ci propone una storia a cartone animato, con disegni e slogan molto semplicistici, che ricordano un po’ il metodo usa-to nel Medioevo per far capire le cose in maniera semplificata anche a chi non era in grado di leggere e scrivere ( peccato che loro avevano ad esempio Giotto come illustratore, e la Bibbia o i miti greci e romani come tema). Le situazioni descritte toccano temi che riguardano in realtà le problematiche interne al paese, su cui l’Unione europea può far poco o nulla, come la sicurezza sulle strade, la tutela del rispar-mio e dei cittadini. Il secondo esempio viene dal

Partito Democratico: lo spot sul lavoro, molto breve ed in teoria molto incisivo, mosta un uomo e una donna, lui vestito molto ele-gante che si dimena come fosse un tarantolato, lei più composta e più casual: lui rappresenta i partiti al governo che si dimo-strano ottimisti e che sono indif-ferenti alle difficoltà dei precari e dei cassaintegrati, lei invece che propone fondi sociali per le categorie meno abbienti e che con questa crisi sono con l’ac-qua alla gola. A parte il tono un po’ troppo dispregiativo verso il governo, che non giova molto se si cerca di attrarre l’elettora-to incerto, i punti toccati nello spot possono essere condivisibili e giusti. Ma una domanda sorge spontanea: quale sarebbe il ruolo dell’UE nella lotta al precariato? E’ necessario sbeffeggiare il go-verno per rappresentare i propri cittadini al parlamento europeo?Infine il terzo esempio, il Partito delle Libertà. Sottofondo: “Meno male che Silvio c’è”. Nessuna voce che esplica il programma del partito di maggioranza, solo una mano che tiene una matita, e una scheda elettorale con il simbolo del PdL. La mano inizia a scrivere il nome del candida-to che vuole che lo rappresenti in Europa: Berlusconi. Lo spot si chiude con la scritta “Il 6 e 7 giugno vota PdL, scrivi Berlu-sconi”. Peccato che dalle elezioni

del 2004 il doppio mandato sia stato dichiarato incompatibile, e quindi è presumibile che chi è già Primo Ministro non sia così europeista da abbandonare il suo primo ruolo per andare a Stra-sburgo. Ovviamente però si fa leva sull’ignoranza della gente, che non è informata di questo piccolo particolare, e ormai vota ciecamente per il “Grande Lea-der”. Questi e altri sono i mira-coli della propaganda.Una campagna elettorale pog-giata su questi presupposti non

poteva che avere dei risvolti post-voto simili: innanzitutto il secondo partito più votato a li-vello nazionale, il PD, il giorno dopo il voto non aveva ancora de-ciso con che partito stare, segno che tutta questa voglia di andare in Europa non è accompagnata da una sicurezza di quello che si vuole perseguire.Secondariamente, il dibattito che è seguito al 7 giugno ha tenu-to conto solo degli effetti delle elezioni nel nostro piccolo giar-dinetto, senza prendere in con-

Elezioni Europee 2009 Ma ce ne importava qualcosa a noi italiani?

siderazione che alcuni dei partiti che solitamente a livello nazio-nale si criticano aspramente, a Strasburgo si ritroveranno nello stesso partito europeo. Mi chiedo dunque che senso ab-bia tutto questo, si potrebbero trarre risultati concreti e positi-vi sia per l’Italia che per tutti i cittadini dell’Unione Europea, se solo ci interessasse davvero quel-lo che questa struttura fa. Forse bisognerà aspettare ancora qual-che generazione di politici (che equivalgono a 2-3 generazioni normali), prima di vedere quelle persone che come noi sono, vo-lenti o non volenti, figli di questa Unione, nati negli anni di Schen-gen, persone che ne hanno tratto enormi vantaggi in termini di cultura personale, di opportunità di studio e di lavoro.Parlando quotidianamente con persone che hanno attraversato letteralmente deserti e mari per arrivare nella grande Europa, mi rendo conto della fortuna che tutti noi abbiamo a essere citta-dini europei. Credo quindi che il menefreghismo che ha caratte-rizzato le ultime elezioni sia con-troproducente, e non sia segno di furbizia, ma solamente di una grande ristrettezza di vedute, caratteristica che un politico, al-meno da quello che ci insegnano, non dovrebbe mai avere.

Leonetta [email protected]

Dicono sia un peso, ma invece è piuttosto facile: il biglietto del treno è sempre quello, lo paghi anche meno. L’unica è Dio, che ha deciso di fare la Puglia troppo lunga, il che è uno stress psicolo-gico, dato che per quattro ore hai la sensazione di essere a casa. Un arrivo strascinato e quasi ago-nizzante, specie se prende luogo dopo una notte in intercity.Notte che inizia di giorno, con il sole ancora abbastanza alto. A Gorizia. E poi, il cambio a Vene-zia Mestre: il notturno per Lecce. E’ lì che incontri i terroni. Fami-glie intere, di migranti e non. Un bambino urla al treno ‘No ssi sta ferma!’, e dopo tanto ascolti il tuo dialetto, nel cuore del Veneto.Passi la nottata con due tizi di Matera, e scopri di avere al tuo fianco il cognato del Secondo Console italiano a Gerusalemme. Così passa il tempo.Poi, arrivi a casa. E sai che starai

poco. Non è vero che sia un sacrificio andare a votare, nonostante i chi-lometri. Il sacrificio è capire chi si candida. Liste su liste, gente sconosciuta, gente conosciuta ma che non sai per chi si stia candi-dando questa volta. Cerchi lumi in città, cerchi le liste su internet. C’è di tutto, quasi nulla chiaro. E pensi per la prima volta che sei stato tagliato fuori, non sei più ‘della città’, sei un forestiero con una semplice residenza.Meno male che ci sono le Euro-pee. Ti danno un respiro interna-zionale. E’ una delle poche cose che ti ricorda che l’Italia è in Eu-ropa, nonostante tutto, nonostan-te noi. Quindi, voti.E poi ti capitano sotto mano le statistiche. L’affluenza al voto. Maggiore per le amministrative, molto minore per le Europee. Si votava contestualmente. Com’è possibile?

Tredici più tredici, ventisei. Ven-tisei ore per un timbro sulla tes-sera elettorale. Si riduce tutto a questo? Non lo so. Sento persone dirmi che non ne vale la pena.Sento persone dirmi che le Euro-pee sono inutili.Sento persone dirmi che votare…Anzi, non dicono nulla.Ma io credo di aver fatto una cosa normale. Nulla di più del mio do-vere. Un atto dovuto, che non mi sento di far pesare a chi ha scelto diversamente. Dico solo che, per me, ne valeva la pena.Se il mio voto sia servito alla vit-toria o meno, non lo ve lo dirò. Il mio voto è servito in quanto tale. Come dimostrazione di democra-zia. Gli italiani votano, ancora. E in giro si diffonde la voce che non si dovrebbe andare a votare, che i partiti sono tutti marci, che vo-tare è anzi segno di disinteresse politico. Il mondo alla rovescia.Ma il partito dell’astensione per-

de per antonomasia. Non si può mai distinguere chi si astiene per scelta o per disinteresse. E’ un partito falso, con obiettivi falsi. Preferisco chi non vota e non si giustifica, punto e basta. Asten-sione significa non partecipare. Anzi, non significa nulla, tranne lasciare il potere decisionale a chi, invece, va a votare. Senza il voto, non ci sarebbe la democrazia. Banale, ma vero. Ora, la democrazia ha mille difetti e un solo vantaggio: il voto popolare; il mio ragionamento è che, se ri-nunciamo anche a questo, riman-gono solo i difetti, ed è solo colpa nostra.Mi chiedono di commentare la mia due giorni da pendolare-al-voto. L’unico commento possibi-le per me è questo, come ho già scritto: ne è comunque valsa la pena, per l’Europa, per l’Italia, per sentirsi cittadini.

Francesco [email protected]

Pendolare per votareIn missione per conto di Dio?

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Sconfinare 3

da noi si vada un po’ oltre, e non credo sia tutta colpa del fatto che in fondo siamo un popolo di cacia-roni. Per questo, non posso fare a meno di essere un po’ preoccupato da queste manifestazioni. Non posso non sentirmi un po’ a disagio, non posso fare a meno di credere che, dopotutto, sono proprio questi i pericoli odierni alla democrazia. Non c’entra il fascismo; oggi non

Ci siamo lasciati alle spalle un’al-tra campagna elettorale triviale. Ma non è ciò di cui parlerò. Al-meno, non solo. Questo è più che altro uno sfogo, un tentativo di interpretare la “politica” in mezzo a cui tutti noi viviamo. E la cosa degna di nota è che questa politi-ca può essere interpretata meglio dal parrucchiere o dal dentista che non in Parlamento. Ne avevo già un mezzo sentore, ma volevo che esso diventasse certezza. E così, l’ultima volta in cui sono andato a tagliarmi i capelli, mi sono adegua-to; ed ecco che, sfogliando alcuni giornali gossippari, guarda caso editi da Mondadori, sono compar-si un sacco di articoli sul Premier, Reo Silvio: Silvio da giovane con i suoi figli, Silvio con Noemi, Silvio con Confalonieri... Basta prendere un qualunque giornale e trovarsi una fantastica storia, naturalmen-te privatissima, del Divino. Ora: io posso capire che il potere affascina, che la vita degli uomini ricchi e potenti è sempre stata cibo per le masse, ma a me comunque tutto ciò sembra un filino esagera-to. Non mi pare che in Inghilterra o in Germania ci sia tutto questo interesse morboso verso la vita privata di Brown o della Merkel. Anche se devo riconoscere che il Primo ministro italiano da’ molti più motivi di conversazione dei freddi e monotoni anglosassoni. Ripeto, il gossip interessa a tutti; gli inglesi sono maestri in questo, con i Tabloid. Però mi sembra che

SconfinareGiugno 2009

ci si agita davanti lo spettro di Mussolini. Berlusconi ha ragio-ne: lui non ha le camicie nere, lui ha un esercito di veline. Ma, for-se senza rendersene conto, pro-nunciando questa frase ha colto proprio quello che io vedo come il maggiore motivo di preoccupa-zione: le veline non sono innocue, non se vengono mostrate in que-sto modo. Non se la vita privata del Leader è mostrata in ogni

ROMA BRUCIA!Riflessioni sulla politica dello spettacolo

Nazionalesuo momento, onnipresente; non se ogni giorno entra nelle nostre case come uno di famiglia, tanto che ormai chiamarlo per nome è diventato normale. Non c’entra il fascismo; è però una forma di autoritarismo più liquida, più mo-derna. Manca l’ideologia, che co-munque c’era nel fascismo; manca un’idea di rifondare la società. Ma manca anche l’idea di mantenere la società tradizionale, al riparo dalle spinte eversive. E’ semplicemente un cesarismo nuovo. E’ una nuo-va forma di panem et circenses; il leader va venerato non per le sue grandi azioni politiche, ma per la sua beceraggine, per il suo essere come lo vuole la pancia degli elet-tori. Prendete il caso Noemi: per quanto potesse essere mirato a nuocere, in realtà ha confermato e rafforzato l’immagine del premier come eroe popolare. Insomma, ha fatto il suo gioco. Berlusconi è un genio, a suo modo; ha creato la religione delle Tette, prima in televisione, poi in politi-ca. Ha introdotto un modo di fare politica da bar; non importa cosa tu dica,basta che tu lo dica forte. E che sia un messaggio semplice e aggressivo. Da prima pagina dei giornali. Non è il dominio dell’in-formazione; è il Governo dello Svago. E quindi, fare vedere la vita privata del leader ha un doppio

obiettivo: rafforzare la sua imma-gine, renderlo simpatico agli elet-tori, che lo vedono simile a sé, e distrarli, svilire la politica, dare un contentino al proprio pubblico per tenerlo lontano dai veri affari. La politica diventa reality. In questo, c’è del genio, che piaccia o no. In tutto ciò, io non vedo un ritor-no del Fascismo; Berlusconi non fa propaganda, come facevano i dittatori del secolo scorso: Berlu-sconi fa Pubblicità. Ecco perché io non vedo legami tra Berlusconi e Mussolini, nonostante alcune in-dubbie somiglianze. Il personag-gio storico che gli si avvicina di più è invece un altro; o piuttosto, è l’immagine di lui che la storia ha fatto passare: Nerone, l’imperatore romano. Il potere diventa spetta-colo, il gossip diventa religione di Stato, Trimalcione e Fede vanno a braccetto, gli ospiti stranieri sono abbagliati dalla ricchezza della nuova Domus Aurea in Sarde-gna. Il presidente canta su Roma in fiamme, circondato da etere ed eunuchi, e intanto il popolo plaude al nuovo Gladiatore Ronaldinho. Senza neanche più la sicurezza che, in mezzo a tutto ciò, possa esistere un Petronio.

Giovanni [email protected]

Per tentare di capire, prima con il cuore e poi con la testa, l’esodo atroce e delirante che i migranti subiscono nel loro viaggio di spe-ranza e disperazione verso l’Eu-ropa, bisogna guardare “Come un uomo sulla terra”, film di Ric-cardo Biadene, Andrea Segre e Dagmawi Yimer, bistrattato dalle case di produzione nazionali per i temi altamente scomodi. Que-sto documentario, unito a varie letture, prima fra tutte “Bilal” di Fabrizio Gatti, ha la capacità di traumatizzare i sensi, rivoltare il senso delle dignità umana e dipingere razionalmente l’irra-zionale che sta dietro ai traffici d’Africa. In effetti queste forti esperienze culturali colpiscono prima lo stomaco come un pugno ben assestato e poi la nausea, per ciò che si vede o legge, sale pia-no piano, fino al cervello, dove l’elaborazione mentale analizza e dischiude con chiarezza gli orri-bili panorami africani della tratta clandestina. Non voglio qui ana-lizzare a fondo il contenuto dei documenti proposti, testimonian-ze da leggere e da vedere perché, al di là della retorica priva di idee e per lo più ideologica di certa

parte politica nei confronti de-gli extracomunitari, consentono di sviluppare una visione “altra” nei confronti del migrante. Delle riflessioni tuttavia, alla luce della recente visita del co-lonnello Gheddafi, devono essere ne-cessariamente fatte. Già diverse perples-sità sono state avan-zate da più parti circa la mancata ratifica da parte della Grande Jamahiriyya Araba di Libia Popolare e Socialista della Con-venzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati (nonostante l’attuale ambasciatore libico in Italia, Ha-fid Gaddur, affermi che le autorità la “stanno valutando”…); la poli-tica di respingimento, a mio avvi-so accettata in maniera bipartisan da destra e sinistra in quanto già prevista nell’accordo firmato dal ministro dell’Interno Amato del governo Prodi nel 2007, viene attuata in totale assenza di tute-la dei diritti umani dei cittadini migranti. La Libia, denunciano varie associazioni per i diritti

umani tra cui Amnesty, non ha un sistema d’asilo funzionante e si ri-fiuta di riconoscere ufficialmente la presenza e l’operato dell’Alto Commissario Onu per i rifugiati

presente a Tripoli; ma del resto questo sembra un problema se-condario per l’Italia e per gli al-tri paesi partner dell’Ue, che si sentono assediati dai richiedenti asilo politico (nonostante le sti-me dell’Unhcr secondo cui l’80% degli sfollati è accolto da Paesi in via di sviluppo mentre l’Italia ha un misero 0,5% di rifugiati). Le istituzioni delle Repubblica Italiana, anche solo per un atto di umano interesse, niente di più, non hanno minimamente chiesto

al Colonnello che fine avessero fatto i clandestini sporchi e catti-vi rispediti in Libia; e i libici, cer-to, non ne han parlato. Gheddafi al contrario, di fronte ai senatori della Repubblica, rapiti dalla sua inattaccabile dialettica e dalla sue fogge esotico-kitsch, ha dato una lezione su terrorismo e immigra-zione ai nostri politici. Ed effetti-vamente molti hanno di che im-parare su questi temi da un uomo come lui…E’ così strano pensare che il Co-lonnello sia complice delle vio-lenze compiute sugli extracomu-nitari in Libia? E’ sinistrorso e distorto credere che un Capo di stato non possa non sapere che trattamenti disumani le sue for-ze di sicurezza riservano ai mi-granti dell’Africa sub-sahariana? L’effettivo potere di un Capo di Stato deriva anche dal controllo e dall’autorità esercitata sulle for-ze di polizia e sull’esercito della Nazione. Ora, sembra appurato da più fonti, per lo più dirette (i racconti dei migranti stessi), che le forze di polizia libiche sono una pedina fondamentale nella tratta criminale degli extracomunitari: gestiscono i campi di prigionia

Le lezioni del ColonnelloLa visita di Gheddafi in Italia e il silenzio sull’immigrazione

nel Sud del Paese, l’oasi di Kufra ad esempio, e fanno affari con i compratori di esseri umani che portano i migranti sulle coste del Mediterraneo. Le forze libiche arrestano i clandestini, li traspor-tano nei campi di detenzione per poi rivenderli al miglior offeren-te: un circolo a tal punto reddi-tizio che non ha alcun senso fer-mare. Gheddafi può affermare di non conoscere questa realtà? Può dire di non aver il controllo della sua polizia e del suo operato? Mi risulta difficile crederlo…Intanto i migranti muoiono nel deserto del Sahara, abbandona-ti nelle oasi della morte o nelle prigioni di stato, che pochi occi-dentali hanno avuto il permesso di visitare. Questa settimana il mondo celebra la settimana o la giornata del rifugiato (in Italia il 19 giugno). Con che coraggio, con che faccia tosta? Con la stessa maschera ipocrita e auto celebra-tiva che accomuna questa trage-dia a tante altre, passate, presenti e, pessimisticamente, future. Guardate “Come un uomo sulla terra”, leggete “Bilal”…

Antonino [email protected]

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Sconfinare Giugno 20094Internazionale I mille significati

di un fiore tra i capelliÈ dal golpe militare del 1962 che la Birmania/Myanmar -come la chiamano i cultori del politi-cally correct o scorrect che dir si voglia (Myanmar è il nome scelto dalla giunta militare) non respira con polmoni democrati-ci. La leader principale del mo-vimento per il rispetto dei di-ritti umani e civili in Birmania, Aung San Suu Kyi, si trova agli arresti domiciliari da oltre 13 anni ed è oggi sottoposta a pro-cesso. Le esecuzioni seguite alla rivolta buddhista dello scorso settembre sono state migliaia. Oltre duemila sono i prigionie-ri politici rinchiusi nelle carceri birmane. Le azioni intraprese dal mondo occidentale e dalle organizzazioni internazionali invece sono attualmente a quo-ta zero. In una dichiarazione distribuita alla stampa dalla delegazione russa, che nel mese di maggio ha presieduto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si legge che “i membri del Con-siglio esprimono la loro preoc-cupazione per l’impatto politico dei recenti eventi relativi alla signora Aung San Suu Kyi”; non saranno tuttavia applicate sanzioni al governo birmano, ritenute “non appropriate” in questa fase. Il silenzio di Cina e India, le due potenze eco-nomiche che si contendono la partnership commerciale con il regime, potrebbe aver avuto un peso fondamentale. Nel frattempo la leader demo-cratica rischia da tre a cinque anni di reclusione per aver ospi-tato nella propria casa-prigione un americano di nome John Yettaw, il quale - allarmato da una visione, come lui stesso ha dichiarato - ha pensato bene di volare dagli Stati Uniti a Yan-gon (ex Rangoon), di tuffarsi nel lago Inle, di attraversarlo a nuoto fino all’abitazione del premio Nobel e di pretendere infine accoglienza. L’imputa-zione è quella di aver violato la norma sulla “salvaguardia dello Stato contro i pericoli derivanti da persone in grado di causare atti sovversivi”. Ad essere in-criminate saranno anche le due donne che da anni si occupano in modo esclusivo della leader, Khin Win e la figlia, e ovvia-mente John Yettaw (che rimane comunque un cittadino america-no a cui la giunta militare deve un grosso favore).

Le interpretazioni del caso sono varie. Secondo l’organo di stampa di regime in lingua inglese, il “The new light of Myanmar” (lettore ti invito a prestare particolare attenzione alle scelte verbali del Consiglio di Stato per la Pace e lo Svilup-po del Myanmar, grazie) la tesi del complotto è più che valida: a detta del Ministro degli Este-ri, U Nyan Win, si tratterebbe di un incidente causato da “for-ze antigovernative interne ed estere” con l’obiettivo di “met-tere in imbarazzo il governo e intensificare le pressioni inter-nazionali sul paese”. Il console generale della Birmania a Honk Kong si spinge oltre (il collega e il limite) e paventa addirittu-ra un ricongiungimento inter-nazionale di due amanti. Gli esponenti della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, sostengono invece la tesi contraria, secondo cui l’intera faccenda sarebbe un espediente della giunta militare per eliminare la donna dalla sce-na politica, non solo in vista del 27 maggio – termine di scaden-za degli arresti domiciliari - ma soprattutto in vista delle elezio-ni previste per il 2010 (nono-stante sia già in preventivo che il 25% dei seggi e molte posizio-ni chiave e dipartimenti saranno riservati a rappresentanti delle forze armate). Finora la leader non era mai comparsa di fronte

I Pirati approdano a BruxellesCe l'hanno fatta! Il “Pira-tPartiet” svedese ha otte-nuto il 7,1% dei voti alle scorse elezioni europee, riuscendo in questo modo a mandare un suo rappre-sentante a Bruxelles. Il PP nasce nel 2006 a Stoc-colma dall'idea di Rickard Falkvinge, un imprendito-re svedese ormai conver-tito alla politica a tempo pieno. Il PP ha come di-chiarati obiettivi la revisione della legislazione sul diritto d'autore in Svezia e in tutta Europa e una liberalizzazione della gestione dei brevetti, af-finche' la cultura possa essere liberamente accessibile da tut-ti. In sostanza propongono che l'utilizzo non a scopo di lucro di materiale coperto da copyright sia libero, propongono inoltre di ridurre tempi per la scaden-za del diritto d'autore dopo la pubblicazione dell'opera a cin-que anni (se non hai fatto soldi nei primi 5 anni, difficile che ne farai successivamente). Mentre in tutta Europa, in Francia in particolare, le misure repressi-ve contro il filesharing vanno inasprendosi, Falkvinge porta avanti con successo la sua bat-

taglia. Sintomo che, anche in un paese considerato avanza-tissimo dal punto di vista del senso civico e del rispetto delle leggi, la legislazione in materia di diritto d'autore comincia ad apparire troppo stretta e vin-colante. Internet ha stravolto completamente la distribuzione dei contenuti musicali e visivi. Le case distributrici si sono trovate spiazzate e invece di

ad un tribunale e questa sembra l’occasione perfet-ta per incriminarla.Aung San Suu Kyi si di-chiara chiaramente inno-cente, tanto più che ad es-serle preclusi dalla legge sono solamente eventuali contatti con rappresentan-ti politici. Ciononostante il processo continua. La don-na è attualmente detenuta nel carcere di massima si-curezza di Insein, dove si svolge anche un processo la cui trasparenza - se c’è stata - è comunque durata poco: dalla terza udienza in poi è stata infatti negata la partecipazione dei ven-totto diplomatici (tra cui l’ambasciatore italiano a Rangoon Giuseppe Cinti) e dei dieci giornalisti che erano inizialmente stati ammessi in tribunale. La difesa ha da poco ottenuto di presentare un nuovo te-

stimone. La Corte Suprema del-la Birmania ha intanto rinviato la decisione sull'ammissione di altri due testimoni. Il processo riprenderà il 26 giugno prossi-mo.L’avvocato Jared Genser, pre-sidente dell’associazione Fre-edom now e legale del premio Nobel, ha dichiarato: “Se, come temo e come cercheremo in ogni modo di evitare io e i miei colle-ghi birmani, sarà condannata, si tratterà di una pena da scontare in carcere. Le prigioni birmane sono luoghi noti per la man-canza di acqua, aria, medicine: la salute di Aung San Suu Kyi è minata, dubito che potrebbe resistere a lungo. Condannarla alla detenzione è come condan-narla a morte.”Alla luce dei fatti, non mi sem-bra poi tanto importante che Hillary Clinton si dichiari “tur-bata”.

Valeria [email protected]

adattarsi a un nuovo tipo di business hanno prima cominciato a intentare cau-se su cause a chi scaricava illegalmente files protetti da diritto d'autore, si sono poi rivolte, portafogli alla mano in campagna eletto-rale, ai diversi partiti affin-che' i parlamenti promul-gassero leggi piu' severe e favorissero il loro inter-

vento diretto. Strategie falli-mentari: lo scambio di files via rete e' aumentanto e segue un trend in costante crescita. Uno dei casi piu' eclatanti e' stato il processo ai gestori di “The Pi-rate Bay”, sito, anch'esso svede-se, che “favoriva” lo scambio di files protetti da diritto d'autore tra gli utenti di tutto il mondo. Proprio questo processo tenu-tosi in primavera, che ha visto gli accusati perdere la causa, ha inciso molto positivamente sui risultati elettorali del PP. A ulteriore riprova che le majors stanno cercando arginare un fiume in piena con delle canne di bambù.

Edoardo Da [email protected]

Page 5: Sconfinare numero 20 - giugno 2009

Giugno 2009 5Internazionale

Libano, niente di nuovo dalle urneFatte le elezioni è tempo ora di costruire il Libano

Le elezioni libanesi del 7 giu-gno hanno visto la vittoria del-la coalizione cosiddetta del “14 marzo” guidata da Saad Hariri, figlio del defunto Rafiq, contro la coalizione “8 marzo” com-posta da Hezbollah e Michel Aoun e a parte la percentuale di votanti più elevata del solito, nulla sembra essere cambiato.Nonostante la vittoria ed i 71 seggi acquisiti, il probabile fu-turo premier Saad Hariri ha fatto capire che intende forma-re una vasta coalizione di go-verno che comprenda anche gli sconfitti e dal canto suo il prin-cipale sconfitto, il partito sciita Hezbollah con la voce del suo segretario Nasrallah ha dato la sua benedizione ad una soluzio-ne del genere.Al di là della superficiale divi-sione tra filo-occidentali e filo-siriani, la realtà libanese si mo-stra ancora una volta in tutta

la sua complessità, con i partiti che non rappresentano idee e valori, ma clan familiari e fazio-ni etniche, per cui si r e n d e r à n u o v a -mente ne-c e s s a r i o un go-verno che r a p p r e -senti tut-ti, ma che p r o p r i o in questo avrà la sua debo-lezza.Le debo-lezze insi-te nella società libanese conti-nuano a permanere nell’assenza di un’identità nazionale e nella divisione per fazioni che cam-biano schieramento continua-

mente, in base ai propri interes-si e che rendono schizofrenica la vuota divisione pro-occidente e

pro-Siria; infatti, nella prima fa-zione abbiamo i cristiani di Ge-agea un tempo alleati di Israele e poi della Siria, mentre nella seconda collochiamo il generale

I taliban hanno ormai esteso il loro controllo su ampie zone del territorio pakistano: non più soltanto sulle FATA (Federal Administrated Tribal Areas) ma anche su numerosi distretti della “North West Frontier Provin-ce”. Queste regioni, difficilmente accessibili per le loro alte e aspre montagne, hanno una caratte-ristica che le rende molto inte-ressanti per qualunque analista militare e geopolitico: a ovest confinano con il Kashmir india-no, probabilmente la regione più militarizzata del mondo (circa 500000 i soldati indiani presen-ti), a est con l'Afghanistan. Un altro particolare che non manca di attirare l'attenzione è che pro-prio in queste regioni, più preci-samente nella “Khyber agency”, c'è il famoso “passo Khyber”: una delle pochissima vie attra-verso cui è possibile far passare i rifornimenti alle truppe interna-zionali presenti in Afghanistan (il passaggio da Tagikistan e Uzbekistan presenta ovvi svan-taggi logistici e anche politici, a seconda dell'appoggio della Russia; ovviamente il passaggio attraverso l'Iran è escluso a prio-ri).Terzo elemento: l'arsenale nu-cleare pakistano, custodito non lontano dalla capitale Islamabad.

Il Pakistan ancora sull’orlo della dissoluzione

Benché sia per ora molto impro-babile che i taliban possano ve-nirne in possesso, il fatto che at-tualmente abbiano soppiantato il governo nel distretto di Buner,

ad appena 80km da Islamabad, non può certo lasciare tranquilli. E anche se non fossero i taliban a mettere le mani sull'atomica, la disintegrazione dello stato pa-

cristiano Michel Aoun, l’unico che si sia battuto strenuamente contro l’invasione siriana e che

ha pagato con anni di esilio la sua lotta.L’altro at-tore fonda-mentale è Hezbollah, il principa-le partito sciita, mol-to spesso tacciato di terrorismo, ma che ha una vasta r a p p r e -s e n t a n z a

parlamentare e governativa. Il giovane Saad Hariri dovrà af-frontare la questione del disar-mo delle sue milizie e con ogni probabilità risolverà la questio-

ne come tutti i suoi predecesso-ri ovvero non facendo nulla.D’altronde il padre di Saad, il ricco imprenditore Rafiq Hari-ri, dichiarò che le milizie sciite erano l’unica difesa del paese contro gli israeliani e durante la guerra del 2006 l’allora pre-sidente Emile Lahoud le definì come una sorta di forza ausilia-ria dell’esercito regolare.L’arduo compito che si tro-va davanti il giovane Hariri è quello di creare una coscienza libanese, che metta da parte le casate familiari ed i singoli inte-ressi, ma consenta al Libano di esprimersi in tutte le sue enor-mi potenzialità e gli permetta di affrontare con fermezza le interferenze degli ingombranti vicini.

Emiliano [email protected]

kistano non garantirebbe certo un loro utilizzo “mo-derato”. Ed infine, la cilie-gina sulla tor-ta: i disordini post-elettora-li in Iran fan-no vacillare anche l'ultimo elemento di stabilità nello scenario me-diorientale.Ci sarebbe altro da dire, ma già così la situazione appare com-plicatissima e tremenda-mente preca-ria.Proprio que-sta precarietà, unita all'im-portanza stra-tegica asso-luta di queste zone, ha spin-to gli USA a

intervenire in maniera sempre più pesante per assicurare il passaggio dei suoi convogli, che partono principalmente dal por-

to di Karachi: l'uccisione di civili e (molto più raramente) taliban nelle FATA da parte dei drones (aerei senza pilota) statuniten-si è ormai all'ordine del giorno. Anche le iniezioni di denaro al Pakistan da parte degli USA e della UE sembrano diventate quotidiane: il 17 Giugno la UE ha donato al governo pakistano 100 milioni di dollari in aiuti umanitari. Da quando è inizia-ta la guerra in Afghanistan, gli USA hanno dovuto per forza contare sul Pakistan e l'hanno sommerso di denaro (parliamo di decine di miliardi di dollari): alla luce dei risultati ottenuti, sono stati soldi spesi molto male. I taliban continuano a estendere il loro controllo sulle zone di con-fine con l'Afghanistan, anche se la recente offensiva dell'esercito pakistano sembrerebbe averne fermato l'espansione; forse però il cambiamento più importante è che la popolazione civile sta vol-tando le spalle ai taliban, dopo che il crescendo degli scontri ha costretto circa 1 milione di per-sone alla fuga. Una scintilla di speranza che potrebbe spegnersi con un soffio di vento... e il Paki-stan ora è scosso dalla bufera.

Federico [email protected]

(fonte cartina: BBC)

Sconfinare

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Sconfinare Giugno 20096

Il futuro della Turchia in EuropaIntervista sui possibili scenari dell’integrazione turca in Unione Europea al prof. Fabio Fossati, docente di Relazioni Internazionali

L’ingresso della Turchia nell’Unione Europea è stato pen-sato come una via per stabilizzare l’area medio-orientale; non si ri-schia invece con questo ingresso di portare instabilità all’interno dei confini europei?

Diciamo che ci sono diverse po-sizioni. Quella conservatrice ha portato avanti questa visione, ovvero si presume che la Turchia possa essere stabilizzata attra-verso l’ingresso nell’UE e che questa stabilizzazione abbia di-versi aspetti: uno economico, nel momento in cui diventasse ponte tra mondo occidentale e islamico, e uno politico-militare, nel momento in cui si saldas-se più stabilmente all’Occi-dente e alla NATO. Invece la posizione britannica, so-stenuta più volte da Blair, ipotizza che, con la Turchia membro, l’UE potrebbe svolgere un ruolo impor-tante nel processo di pace in Medio-Oriente tra israelia-ni e palestinesi. Ovviamen-te il pensiero conservatore è sempre stato ancorato più agli interessi che agli ideali, non è dunque escluso che un domani, a seconda di come evolverà lo scenario politi-co internazionale, i conser-vatori possano trovarsi su posizioni opposte. La poli-tica è sempre imprevedibile, chiunque non la ritenga tale la semplifica davvero trop-po. Credere alla Turchia in Europa è pur sempre una scommessa sul futuro!

Qual è la posizione dei di-versi paesi europei riguardo a questo ipotetico ingresso? Potrebbe chiarire come mai la Germania si dichiari con-traria nonostante i Turchi siano la più grossa mino-ranza integrata nel paese?

In realtà bisogna specificare che non è lo stato tedesco in sé a non gradire la Turchia in Euro-pa ma è un problema di matrice ideologica: il partito di governo cristiano-democratico di Angela Merkel avversa tale ipotesi men-tre la destra conservatrice e la sinistra sono filo-turche. Questa stessa frattura riemerge a livel-lo macroscopico in tutti gli stati dell’Unione. La convergenza tra la sinistra moderata del politi-cally correct e la destra laica è insolita ma si avvera, vedi Blair, D’Alema e Berlusconi. Unica ec-cezione a quest’intesa è stata la Francia dove la destra si è ritro-

vata allineata ai cattolici (vedi le posizioni più volte espresse da Sarkozy sulla Turchia, ndr). Alla fin fine le forze politiche che sono più ostili sono quelle del centro cristiano; in Italia chi ha posto la questione sulla Turchia sono sta-ti i cristiano-democratici, e alcuni esponenti cattolici della Marghe-rita e di Forza Italia. Sera, But-tiglione … Poi c’è anche però un fattore temporale, vale a dire che dopo i famosi referendum del 2005 di Francia e Olanda c’è sta-to un atteggiamento decisamente attendista da parte di molti go-verni europei. Precedentemente lo stesso Prodi, prima di diven-

tare capo della Commissione Eu-ropea, fece diverse dichiarazioni titubanti sulla questione.

Mettendo da parte la questione se la Turchia si possa o meno identificare culturalmente con l’Europa, Ankara potrebbe esse-re oggi come oggi in grado di far rispettare i diritti umani e demo-cratici necessari al suo ingresso?

Se noi lo dovessimo dire ora, no, non li sta rispettando secondo i criteri che sono stati applicati in tutti gli altri paesi. Così come soprattutto non li rispettava nel 2004/2005 quando ha avuto pri-ma lo status di candidato e poi

sono iniziati i negoziati. Quindi è chiaro che in questo caso c’è stata un’eccezione a livello di condizionalità, un’eccezione che l’Unione Europea ha applicato in passato anche per Estonia e Let-tonia. Cioè si presume che rinvia-re troppo i negoziati allontani i paesi dall’Unione. Ciò che han-no promesso i governi europei è che quando la Turchia entrerà questi diritti saranno rispettati, però allora il punto interrogativo sarà cosa succederà ai partiti e ai movimenti islamici? Se davvero il processo di riforme decollasse uno degli effetti collaterali po-trebbe essere una crisi d’identità

nei suoi cittadini più legati ai va-lori islamici. Poi potremmo anche immaginare che la Turchia ce la faccia ma a quel punto l’instabili-tà potrebbe derivare dall’aumen-to della violenza interna tra laici e religiosi. È vero che i gruppi islamici turchi sono sempre sta-ti i più moderati ma lo sono stati proprio perché la Turchia non era in Europa. Infatti c’è chi dice che la Turchia possa solo stare nel mezzo. La Turchia diventa instabile se si avvicina o si allon-tana troppo dall’Europa.

Ragionando per assurdo, ipotiz-ziamo che la Turchia sia entrata

in EU: l’obbligo di rispettare i diritti democratici e umani po-trebbe essere un fattore di di-sgregazione interna? Potrebbe far aumentare cioè la spinta indi-pendentista curda? O la frattura tra laici e non?

No, per i curdi penso di no. Que-sta minoranza l’ha ormai fatto capire da tempo: il PKK e i vari gruppi curdi ripongono gran-di speranze nell’UE, infatti da quando sono iniziati i negoziati hanno abbandonato le richieste indipendentiste. I Curdi si sento-no molto più garantiti da un’au-tonomia tutelata dall’UE che non da un conflitto più polarizzato in

cui fanno ricorso al terrorismo però le loro speranze di vedere i propri diritti rispettati sono bas-sissime. Perché la Turchia senza la costrizione dell’UE i diritti dei curdi non li rispetterà mai. Per quanto riguarda i partiti islami-ci invece penso di sì, c’è il rischio di inizio di radicalizzazione dei gruppi islamici a causa dell’ap-plicazione di tutte quelle norme legate alla concezione europea dei diritti umani. Il mito della moderazione dei partiti islamici in Turchia potrebbe dunque es-sere sfatato.

Come interpreta a questo riguar-

do la recente avanzata delle de-stre estremiste e xenofobe alle ultime elezioni europee?

È normale, credo che sia uno sviluppo naturale delle nostre società per due motivi: nume-ro uno siamo nella fase post-ideologica, in cui i partiti sia di destra che di sinistra perdono la capacità di mobilitare e coinvol-gere la popolazione nella politica interna e subentrano temi come la sicurezza, l’immigrazione… e quindi l’insicurezza crescen-te -non dimentichiamoci gli at-tacchi terroristici di New York, Londra, Madrid ecc.- coniugata

con politiche troppo mor-bide su certe materie, ha dato ai gruppi estremisti la possibilità di criticare maggiormente il pro-cesso di integrazione. Il mio timore è che il peso di questi partiti radicali aumenti sempre di più. Unica speranza è secon-do me l’emergere di un partito islamico vera-mente moderato, che at-tualmente però non esi-ste. Un Abu Mazen non solo dei palestinesi, che parli a nome del mondo islamico condannando senza timidezze il fonda-mentalismo.

Alla luce di quello che è stato finora detto, qual è la sua posizione? Pensa che un domani la Turchia potrà entrare nell’UE?

I tempi oggi non sono ancora maturi, allo sta-to attuale non mi pare possibile immaginare questo scenario se non per un futuro prossimo. Sarebbe infatti una cosa molto negativa che l’UE facesse entrare la Tur-chia con un rendimento

politico-economico non all’al-tezza degli standard minimi, creerebbe grandissimi conflitti soprattutto all’interno dei pae-si europei. E questo credo che i governi europei l’abbiano capito, soprattutto dopo i referendum del 2005. Per quanto mi riguar-da, non ho pregiudizi culturali nei confronti dell’entrata della Turchia. Però non accetterei che diventasse membro grazie ad un trattamento privilegiato: se potrà entrare dovrà farlo rispettando tutti i criteri economici e soprat-tutto politici dell’UE.

Valeria CarlotMatteo Sulfaro

Internazionale

Page 7: Sconfinare numero 20 - giugno 2009

Giugno 2009 7Speciale Sconfinare

“Vorrei il bello nell'infinito, invece vi trovo soltanto il dub-bio”. A mio parere, questa frase di Flaubert ben de-scrive il rapporto degli studenti del SID con il futuro. Il nostro corso di laurea ci prospetta per il futuro in-finite ed eccitanti possibilità lavorative: a partire dalla carriera diplomatica - chi non ci ha mai vagheggiato almeno una volta? - fino ad arrivare alle occupazioni più impensabili – giornalista, manager, insegnante e quanti più lavori vi riesce di immaginare. Sfortunatamente, il simbolo “infinito” non è certo il miglior sostegno per uno studente universitario alla ricerca del proprio cammino. Sfortunatamente, al contrario di nostri altri colleghi studenti, noi “Sid-dini” non possiamo permetterci il lusso di una strada diritta e chiara: il nostro cammino è contorto e pieno di bivi, di occasioni colte e di opportunità perse. Infat-ti, studiando materie dai più diversi ambiti, il nostro grande punto di forza (ma anche, ahimè, il nostro più grande punto debole) è la versatilità. Ma, proprio per questo, la creazione di una propria “vision” ovvero l’immagine di noi stessi proiettata nel futuro al fine di capire cosa si vuole veramente dalla vita, è tutt’altro

che facile. La cosa, inoltre, si aggrava se si conside-ra la ricerca da parte del mondo del lavoro di per-sonale specializzato, fatto che molto spesso ce ne rende più arduo l’accesso.Ma, in occasione del ventennale della nascita del corso di laurea in scienze internazionali e diploma-tiche a Gorizia, è stato organizzato dai soci dell’AS-SID (Associazione Studenti Scienze Internazionali e Diplomatiche) un “Alumni Day” che, oltre ad es-sere un momento commemorativo per il passato, è stata occasione di chiarificazioni per il futuro. Con la possibilità di mettere in contatto passati e pre-senti studenti, si sono accese più luci ad indicare le varie direzioni per la terraferma a chi, come noi, ancora si trova in alto mare. Con questo inserto ag-giuntivo speciale, Sconfinare vuole fare la sua parte nel tenere vive e splendenti queste luci - indipen-dentemente da chi le ha accese – e rendere un pre-zioso servizio a tutti i colleghi del SID.

Tommaso [email protected]

Il mondo torna a Gorizia160 laureati di Scienze Internazionali e Diplomatiche sono tornati in via Alviano per i vent’anni del

Corso di Laurea. Una giornata per raccontare agli studenti di oggi tanti possibili domani.

20anni

Scienze Internazionali e Diplomatiche

Quelle magliette mi fanno ridereMa non c’è niente di personale. Spero le portino solo per ricor-dare qualcosa che è riuscito parti-colarmente bene. Anch’io compro volentieri la maglietta di un con-certo. Però un gruppo che suona con la propria maglia addosso è patetico. Un po’ come tutta la sbronza di eccellenza che la gente sembra essersi presa in queste pa-gine. Non ho voglia di andare tan-to per il sottile. L’Alumni è stato un successo per lo stesso motivo per cui riesce bene una festa: ci vanno tutti, si beve, si mangia e se Dio vuole ingrumiamo pure. Ol-tre al fatto, in sé lodabile, di trova-re magari un posticino di lavoro. E’ confortante sapere che se gli studenti non vogliono lavorare in un call-center o in una banca (im-pieghi che vanno per la maggiore,

non capisco perché non siano sta-ti citati) devono pensarci da soli, perché l’università non muoverà un dito.A me quelle magliette fanno pro-prio ridere. Perché scimmiottia-mo un amore tutto americano per l’aristocrazia del marchio, quando invece io di “Eccellenza” in giro ne vedo poca. Denigrare il Sid va di moda almeno quanto glorificarlo. Diciamo allora che lo faccio per par condicio. Questa “Eccellenza”, per cortesia, fateci una crocet-ta sopra quando la incontrate la prossima volta, così me la fate no-tare un po’ meglio. Non siamo sta-ti unti dal Signore. Né tantomeno da sua maestà il Sid. Qui ci sono, è vero, molte persone capaci (così come quintalate di arrivisti, fac-cendieri, “eminenti mediocrità di

partito”, e non solo tra gli studen-ti). Ma la ragione si trova a mon-te. Non è stata questa università a renderci capaci, lo eravamo già. Eravamo così determinati e te-stardi da competere per un posto in una città dove un abitante su sette è poliziotto, qualcosa vorrà pur dire (ma se me lo ripropones-sero ora, col cazzo che ci ritorne-rei a Gorizia. Del resto Gabassi la pensa come me, quando mi invita ad andarmene). Il prossimo anno qualcuno partirà in Erasmus e si accorgerà finalmente di che aria tira in Europa. Fino ad allora, per carità, non prendetemi più in giro con l’Eccellenza. Sono troppo vec-chio per certi discorsi.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

Viva Gorizia, Viva Scienze Internazionali e Diplomatiche

Ad Alumni Day concluso vorrei spendere ancora due parole per ringraziare tutti coloro che han-no contribuito al successo dell’ini-ziativa e per dare uno sguardo al futuro.Non vi è dubbio che la giornata di sabato 6 giugno sia stata anco-ra una volta un successo ed una vittoria per gli studenti del SID. Il progetto era nato un anno fa, quando Tancredi aveva solletica-to la mente di noi rappresentanti con l’idea di un Alumni Day in occasione dei 20 anni dall’aper-tura delle aule di via Alviano. Da allora è stato un crescendo di la-voro e di entusiasmo tra tutti gli studenti, mentre restava lo scetti-cismo di coloro che non credeva-no nell’iniziativa e/o nella nostra capacità di realizzarlo. “Verran-no 10 alumni al massimo” aveva detto qualcuno, “È un progetto troppo ambizioso” aveva concluso qualcun altro; ma più le sfide sono impossibili più accendono gli en-tusiasmi degli studenti-SID. Così siamo andati avanti, per rompere l’incanto soporifero in cui proprio costoro volevano gettare il SID; il gruppo degli organizzatori anda-va infoltendosi di giorno in gior-no, la risposta c’è stata…Avevamo tanto da dimostrare a tanti. A chi a Trieste dice in Con-siglio di Facoltà “Tanto gli stu-denti del SID restano tutti nelle aziende del triveneto, altro che organizzazioni internazionali…” chiedo ora perché non sia venu-to a dare uno sguardo ai nostri Alumni; a chi ci accusava di essere degli arroganti un po’ viziati, ca-

paci solo di criticare, rispondo che evidentemente si sbagliava; a chi parlava di corso di laurea in de-clino e temeva che l’Alumni Day sarebbe suonato come “il canto del cigno”, dico che fino a quando gli studenti saranno lì, unici ma strenui difensori della qualità del SID, la morte del cigno può esse-re rimandata.Nessuno ci credeva, ma alla fine sono arrivati i plausi un po’ sbi-gottiti di tutti. Il Rettore Fran-cesco Peroni ha parlato di “…ammirazione per questi studen-ti…”, un sussulto ha percorso l’aula quando il Magnifico ha sottolineato che “…questa volta Gorizia ha superato Trieste…” ed ha affermato come nel SID egli veda la tradizione millenaria del-le grandi università. Le parole di Peroni sono state un’iniezione di orgoglio ed entusiasmo per tutti i presenti, ed i suoi complimenti più disinteressati, e per questo più incisivi e motivo di maggiore or-goglio, di quelli che da 20 anni si ripetono un po’ per inerzia nelle aule di via Alviano. Chi avrebbe mai pensato di sentire il Magni-fico Rettore dell’Università degli Studi di Trieste proclamare, ta-gliando la torta dei 20 anni del SID, “Questa è Università. Viva Gorizia. Viva Scienze Internazio-nali e Diplomatiche”? Chi potrà dire ancora che per 20 anni a Go-rizia si è venduto solo fumo e che non c’è mai stata alta qualità, ma solo voti regalati?È stata una vera e propria vitto-ria dunque, una vittoria di tutti i siddini, presenti e passati. Senza di loro nulla sarebbe stato pos-sibile ed i ringraziamenti da fare

sarebbero tanti che rischierei di trasformare queste riflessioni in un lungo elenco della spesa. Chiunque fosse presente sabato 6 giugno ha potuto notare (e lo ha fatto!) l’impegno del tutto volon-tario e profondo della foltissima macchina organizzativa ASSID…davvero grazie a tutti! Desidero poi ringraziare la Prof.ssa Capel-lari, la Prof.ssa Swain ed il Prof. Cecchini, gli unici che da subito hanno creduto in noi e ci hanno

supportato attivamente.Ora bisogna guardare al futu-ro, affinchè il patrimonio creato dall’incontro di 160 alumni non vada perduto. Non solo dovranno continuare gli Alumni Day, maga-ri con cadenza biennale, ma dovrà essere creato un network stabile, magari tramite un sito internet ASSID che faciliti il mentoring tra alumni e studenti ed il net-working tra gli alumni SID. Biso-gna inventare una tradizione che

è già viva negli animi dei siddi-ni, è necessario che tutti abbiano chiaro che il network di alumni è un’opportunità vera per il SID e potrebbe essere un valore aggiun-to sostanziale al corso di laurea.Questa grande vittoria è stato solo il primo, piccolissimo passo. Sta a tutti noi fare gli altri.Grazie mille a tutti.

Attilio Di [email protected]

CONTROCORRENTE

GLI ORGANIZZATORI

I Workshopalle pagine 8 e 9

Gli Alumnia pagina 10

C o m m e n t a l o S p e c i a l e A l u m n i D a y s u w w w. s c o n f i n a r e . n e t

Page 8: Sconfinare numero 20 - giugno 2009

Giugno 20098 Speciale Sconfinare

Cooperazione Internazionale La soddisfazione della prima linea

L’aula 204 è strapiena. Sicura-mente, una carriera nella coo-perazione internazionale è una delle prospettive che ha portato molti di noi a Gorizia; a quanti di noi piacerebbe l’idea di vedersi un giorno all’ONU? E quanti di noi, invece, vorrebbero lavorare in una qualche ONG in giro per il mondo, per portare aiuto a chi ne ha più bisogno? Sono idee forti, che ci affascinano; ecco allora che la curiosità, di fronte agli Alumni che in qualche modo “ce l’hanno fatta”, è grande. E anche la varietà delle esperienze proposte è gran-de: si va da FAO e OCSE, organiz-zazioni intergovernative grandi e ramificate, ad ONLUS piccole e defilate. Tutti gli Alumni, co-munque, pur nella diversità, sono disponibilissimi a dare consigli a noi studenti di oggi. L’aspetto su cui puntano di più l’attenzione è quello dell’esperienza sul campo: gli stages sono importantissimi in questo; l’ideale sarebbe farne quanti più possibile, anche in rami differenti, per capire la vera voca-zione di ognuno di noi. Esperienza

sul campo che è fondamentale per due ragioni: la prima, per abituarsi a delle condizioni di vita che spes-so possono essere alquanto osti-che per chi esce dall’università; la seconda, per avere qualche chance in più al momento della presen-tazione dei curricula. Perché qui arriva la doccia fredda: in molte organizzazioni, è difficilissimo en-trare per l’altissima competizione, e spesso non è neanche detto che il proprio curriculum venga letto. Ecco perché gli stages possono permettere di arrivare alla com-petizione con qualche arma in più; inoltre, spesso permettono di cre-are dei contatti che, poi, potranno tornare molto utili.Più nello specifico, ci sono alcuni programmi promossi dal governo italiano che permettono a laureati di fare esperienza nelle Organiz-zazioni internazionali. L’esempio più importante è il JPO (Junior Professional Officer) che permet-te a giovani laureati di collaborare in progetti dell’UNICEF per due anni, ma ce ne sono altri di si-mili, come l’UNV o i programmi

LEAD. Queste sono ottime vie per entrare nelle Organizzazioni In-ternazionali; ma proprio per que-sto, è tremendamente difficile en-trarvi. “Preparatevi a sentirvi dire di no più e più volte!”, ci avvisano i nostri interlocutori. In ogni caso, l’importante è cominciare a pen-sare già da ora ad un campo in cui ci piacerebbe lavorare, e sfruttare tutte le opportunità che ci verran-no proposte per capire se effetti-vamente è la nostra strada. Perché nella maggior parte dei casi non si tratta di scelte facili; non sono posti di lavoro tranquilli e placidi. Spesso si va nelle zone più insicure del mondo,il più delle volte senza alcun legame familiare. Questo gli Alumni lo sottolineano più e più volte. Ma poi, cominciano a rac-contare più diffusamente di quello che fanno, e vedi che nonostante le fatiche e le difficoltà, i loro oc-chi brillano di un entusiasmo che è raro vedere in professionisti af-fermati.

Giovanni [email protected]

Giornalismo La penna diplomatica

Se è vero che al momento dell’im-matricolazione un corso di laurea che ha nel nome un “internazio-nali” ma anche un “diplomatiche” richiamava sinonimi quali amba-sciate, commissioni europee, or-ganizzazioni internazionali e così via, è altrettanto vero che spesso succede che una volta entrati e passata la prima manciata di esa-mi, le ambizioni più istituzionali possono cambiare per lasciare spa-zio ad idee forse ancora più confu-se ma probabilmente diverse dalle iniziali. A dimostrazione di questa tendenza l’unico workshop che si è svolto in due tempi lungo tutta la sessione pomeridiana, visto l’af-fluenza più alta di ex-studenti-Sid a “testimoniare”, è stato quello del mondo del privato. Tra le fila dei laureati goriziani sono molti più di quelli che l’immaginario Sid si aspetta coloro che oggi occupano posti nelle piccole-medie- grandi imprese ( esempi: Luxottica, Barilla, Lamborghini, ban-che ed agenzie di consulenze sono solo alcuni di quel-li che ho potuto ascoltare nella se-conda parte).Gabriella De Do-menicoQuali prospetti-ve per chi, dopo la laurea, volesse operare nel mon-do dell’informazione? Al di là dei consigli diretti - che comunque non sono mancati - l’incontro su Giornalismo e Comunicazione ci ha illustrato il panorama di un settore in piena crisi, dove è sem-pre più difficile farsi strada e tra tanti sacrifici la passione diventa indispensabile. Le cinque laureate SID che hanno presentato quest’ ambito lavora-tivo ci raccontano esperienze di diverse figure professionali: dal giornalismo delle freelance Elida Sergi e Irene Panozzo e della do-cumentarista Nicole Leghissa, a chi opera dall’altra parte del set-tore, come Serena Mariani, che lavora in un ufficio stampa e Sil-via Costantini, primo segretario all’ambasciata di Tunisi, che si oc-cupa di affari politici e stampa. Non è un bel momento per ap-procciarsi a questo tipo di carrie-ra, chiarisce Elida: oggi la stampa vive una grave crisi colpita dalla concorrenza dell’informazione del web; gli introiti pubblicitari scarseggiano e i quotidiani ven-dono sempre meno copie. In un simile scenario è quasi impossibi-

le essere ammessi al praticantato nelle redazioni giornalistiche, un tempo la via più diretta per acce-dere alla professione, e fioriscono così in Italia le scuole di giorna-lismo (ne sono nate ben 21), corsi post-laurea biennali che uniscono esperienze di didattica e tirocinio attivo, dando la possibilità di ac-cedere all’esame di stato. “È come pagarsi il praticantato -spiega- ma è ormai l’unico modo per raggiun-gere la qualifica di giornalista pro-fessionista”. Un’ altra via è infatti quella del giornalista che inizia da subito come freelance, sistema che non permette però di superare la qualifica di pubblicista, che ga-rantisce meno nei contratti: vista la difficoltà nel trovar spazio sui giornali è quasi impossibile far-ne un mestiere a tempo pieno. È l’esperienza di Irene, che fa parte dell’associazione di giornalisti in-dipendenti Lettera 22, ma collabo-

ra anche con Radio3 in program-mi di approfondimento.Anche il mestiere del documen-tarista è fondamentalmente free-lance, e quanto a formazione l’Ita-lia offre veramente poco: Nicole suggerisce di investire in master all’estero e stages. Il suo è un lavo-ro di informazione, meno tecnica rispetto al reportage, in cui all’in-tento giornalistico di un’inchiesta di attualità si intreccia il racconto di una storia, come ci ha mostrato illustrando il suo ultimo lavoro, il documentario Le frêle courant prodotto per un’emittente fran-cese.Per finire, qualche consiglio: le nostre “alumne” suggeriscono di non esagerare con gli stages non retribuiti, puntare solo su quelli che garantiscono un alto valore aggiunto al curriculum per non rischiare di svendersi, puntare sui master e soprattutto - vero lei-tmotiv dell’alumni day- sui con-tatti: tanto nella vita professionale quanto ora, i numeri di telefono e gli indirizzi e-mail si rivelano uno degli strumenti più utili.

Giacomo [email protected]

I workshop

Formazione Post Laurea All’estero per una formazione più specifica

Scegliere di continuare gli studi universitari in un percorso di ec-cellenza. Possibilmente all’estero. Non è una semplificazione, ma è lo slogan con cui si potrebbe rias-sumere l’eccellente workshop (ma quale non lo è stato in fin dei con-ti?) sulla formazione post-accade-mica, organizzato dallo sconfinato Marchesano. L’entusiasmo dei relatori, ricchi di una forte esperienza nelle varie formazioni post-laurea, si è forse però andato a scontrare con una sorta di scetticismo nei confronti di una carriera in Italia bistratta-ta. Il dottorato o qualsiasi studio post-laurea rimangono, nell’im-maginario, quali canali per acce-dere al famoso mondo del barona-to accademico.Il risultato positivo di questo workshop deriva allora dall’aver trovato una risposta abbastan-za convincente ad alcuni punti di perplessità e di amarezza, che erano visibilmente presenti ne-gli auditori. Il primo, lo stupo-

re nel sentir formulare l’invito a sconfinare, a studiare all’estero, da un’unanimità di relatori. E’ sempre brutto dover tirarsi la zappa sui piedi, anzi sullo stivale; d’altro canto le motivazioni non sono inventate: spendibilità della formazione, apertura mentale, li-vello di specificità e formazione. Perplessità sono venute inoltre da più di uno studente sulla fattibilità (e mi scusino i cooperanti) di uno studio per altri tre/quattro anni. Fattibilità economiche e di effetti-vo raggiungimento di un risultato migliore. Quali sono state le risposte? In primis, nell’aver scelto una car-riera internazionale è impossibi-le arenarsi in ambito nazionale. Lo studio post-accademico estero diventa quindi quasi una tappa obbligatoria. In secondo luogo, ci vuole motivazione se si vuole an-dare a concorrere veramente per posti che valgono. Le questioni economiche diventano quindi un elemento secondario, se già si è

scelti cosa fare, dove fare, che pro-getto di vita portare avanti. La scelta di una formazione post-lau-rea non è effettivamente da tutti e ci sarà un motivo!! In conclusione, senza soffermarsi sul processo formativo dei vari, interessanti uno come l’altro, re-latori, l’elemento che più interessa al nostro mondo studentesco è il giro di informazioni. L’organizza-zione, che ben ha saputo cogliere questo punto, ha preparato un uti-lissimo dépliant sulla formazione che ogni relatore ha seguito. Il ri-sultato è che, tutti noi ascoltatori, abbiamo ora venti possibilità nuo-ve a cui pensare, venti nuove pulci nell’orecchio su un nostro even-tuale futuro e, infine, venti relato-ri a cui chiedere informazioni più specifiche. E credo che questo, più di tutti, sia l’ottimo risultato del workshop che andrebbe di sicuro allargato a tutto l’evento Alumni Day 2009.

Edoardo [email protected]

La giornata1. Saluti delle autorità2. La platea di siddini3. I relatori della conferenza sull’energia4. A pranzo5. Un workshop

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Giugno 2009 9Speciale Sconfinare

Mondo Privato Il Sid nelle aziende

Se è vero che al momento dell’im-matricolazione un corso di laurea che ha nel nome un “internazio-nali” ma anche un “diplomatiche” richiamava sinonimi quali amba-sciate, commissioni europee, or-ganizzazioni internazionali e così via, è altrettanto vero che spesso succede che una volta entrati e passata la prima manciata di esa-mi, le ambizioni più istituzionali possono cambiare per lasciare spazio ad idee forse ancora più confuse ma probabilmente diver-se dalle iniziali. A dimostrazione di questa tendenza l’unico wor-kshop che si è svolto in due tempi lungo tutta la sessione pomeri-diana, visto l’affluenza più alta di ex-studenti-Sid a “testimoniare”, è stato quello del mondo del pri-vato. Tra le fila dei laureati go-riziani sono molti più di quelli che l’immaginario Sid si aspetta

coloro che oggi occupano posti nelle piccole-medie- grandi im-prese ( esempi: Luxottica, Barilla, Lamborghini, banche ed agenzie di consulenze sono solo alcuni di quelli che ho potuto ascoltare nella seconda parte).Ciò che è stato il filo conduttore dei numerosi interventi potrebbe essere sintetizzato in queste pa-role chiave: Obiettivi, Intrapren-denza e Network. La prima credo sia stata una delle parole più fre-quenti di tutta la giornata e nei workshop in particolare, nessuno escluso. Una delle migliori decli-nazioni che nello specifico ne è stata fatta nel workshop del Pri-vato potrebbe essere: “prendere la laurea per chiedersi dopo cosa voler fare è come comprare una Lamborghini e poi chiedersi se prendersi la patente”, insomma avere le idee chiare sulla doman-da più inflazionata della nostra vita,cosa ci piacerebbe fare da grandi, sembra essere già il 50% dell’opera. Una volta focalizzato il “cosa” si aprono diversi quesiti,

per esempio dove?come?quando? per citare i primi. Le risposte che sono state date durante le due ore di workshop sono state abbastanza unanimi nonostan-te i campi piuttosto differenti da cui provenivano gli alumni: In-traprendenza significa iniziare presto, da subito, a cogliere le occasioni del mondo del lavoro, e questo si può tradurre anche solo col crearsi un Network il prima possibile, entrare in contatto col settore di interesse anche prima della discussione della tesi, cerca-re stage, master e contatti, lascia-re recapiti, arricchire le proprie conoscenze e competenze cioè es-sere pronti ad uscire da via Alvia-no quando ancora ci si è dentro. Un “Scienze Internazionali e Di-plomatiche” è recepito dal privato come campo umanistico, un set-tore risorse umane, quindi fon-

damentalmente ciò che viene apprezza-ta e richiesta è l’in-terdisciplinarietà del ruolo, oltre alle lingue quindi,vitali , ci sono le basi di economia e di di-ritto. Questo è ciò che potremmo sa-per offrire, e , se c’è qualcuno che l’ha

affinato in master, e c’è chi no, sicuramente tutti l’hanno impa-rato ad utilizzare solo una volta in azienda. Assodata allora la di-stanza immane tra teoria univer-sitaria e pratica lavorativa, im-parare il know-how sul posto di lavoro diventa fondamentale, per questo molti alumni hanno deciso di iniziare con una grande impre-sa che può offrire in questi termi-ni decisamente di più per poi pas-sare alle piccole imprese. Quindi in realtà ciò che è stato richiesto loro è un terreno di dinamicità, umiltà e il rendersi indispensabili per l’azienda, sul quale poi partire per formarli in seguito, insomma dei crediti F. Concludendo, non avendo un albo preciso al quale iscrivere la nostra professione una volta laureati, credo che l’av-viso sia stato lavorare e investire tanto qui ed ora su se stessi per poi sapersi vendere e spendere al meglio.

Gabriella De [email protected]

Unione Europea La rete di Bruxelles

Partecipare al worshop sull’Unio-ne Europea è stato molto illumi-nante per tutti quegli studenti che sono interessati o anche solamen-te curiosi nei confronti di questo tipo di esperienza lavorativa. La presenza degli ex alunni ha arric-chito e direi reso unico l’evento, al punto che le varie indicazioni sugli enti e sulla struttura orga-nizzativa sono stati appena toccati (per ogni tipo di informazione ri-guardo ai vari stages e all’orga-nizzazione generale consultate i siti: www.europa.eu/epso e www.eurobrussels.com), mentre le in-dicazioni dirette di chi ha vissuto e continua a vivere in quel conte-sto hanno catturato l’attenzione di tutti i presenti e soprattutto si sono rivelate assai più concrete e, per quanto possibile, a noi più vi-cine.Non voglio soffermarmi sulle esperienze dirette degli alum-ni, quanto piuttosto sui preziosi consigli degli stessi. Prima cosa, nel nostro percorso universitario diventano importanti esperien-ze all’estero, come l’Erasmus che

comunque danno la possibilità di acquisire delle competenze più ap-profondite di un’altra lingua euro-pea dopo l’italiano o, meglio anco-ra, dopo la propria e una seconda, come può essere quella inglese. Gli stessi hanno sottolineato come sia preso più in considerazione lo studio o il praticantato all’estero rispetto ad un TOEFL. In secon-do luogo bisogna valutare attenta-mente e comunque non trascurare un’opportunità come quella dello stage presso le istituzioni euro-pee, considerare anche settori non molto richiesti dai potenziali sta-gisti, ma che offrono competenze anche per chi vuole proporre una tesi di laurea incentrata su argo-menti affini a quelli dei vari orga-ni dell’unione, cosa che gli stessi alumni hanno più volte sottoline-ato. Ricordarsi che uno stage in un determinato settore, non pre-clude una successiva esperienza in un altro, magari “più quotato”, ma anzi è un ottimo trampolino di lancio per poi muoversi in tutto questo vasto contesto lavorativo. Da ricordare che non solo la Com-

missione offre ottime opportunità di stages ma anche tutti gli altri organi come il Consiglio e il Par-lamento, enumerate, dai nostri alumni, anche la Bce e la possibi-lità di ottenere delle borse di stu-dio come la Schuman. Infine per chi tentasse un’assunzione nelle istituzioni c’è il concorso (tutto chiaramente illustrato nei link sopra citati), comprensivo di un test attitudinale, uno scritto e un colloquio. Questo, però, in via di ristrutturazione. In conclusione, è parsa a tutti un’esperienza accatti-vante e molto formativa sia come punto di partenza per un proprio futuro professionale che per una possibile permanenza nello stesso contesto.La redazione è in possesso di una ricca documentaristica sui tiro-cini, le borse di studio e i test di ammissione al concorso fornitaci dagli stessi speakers. Per maggio-ri e più dettagliate informazioni scrivete alla redazione.

Francesco [email protected]

Difesa e SicurezzaNon solo guerra

Il workshop sulla “Difesa” ha visto una discreta parte-cipazione da parte degli studenti del SID; ciò a dimostrazione del-la costante attualità e soprattutto del fascino che tale ambito lavo-rativo ha sui giovani. Il forum ha visto l’intervento degli Alumni Irene Papanikolaou e Ilaria Ierep, entrambe laureate nel 2004/2005. I due diversi percorsi formativi e post-laurea descritti, seppur con-cernenti lo stesso ambito d’in-teresse, ovvero le problematiche connesse alla Difesa e alla Sicu-rezza a livello nazionale e inter-nazionale, hanno fatto sì che il workshop si articolasse in modo particolarmente interessante per l’uditorio, alla ricerca di alternati-ve nel perseguimento del proprio obiettivo lavorativo.Ilaria, dopo il master a Roma al Centro Alti Studi per la Difesa, lavora attualmente presso il CESI (Centro Studi Internazionali) a Roma: si tratta di un’istituzione privata, finanziata prevalente-mente dal Senato della Repubbli-

ca Italiana e specializzato nello svolgimento di analisi politico –strategiche, specifiche per aree geografiche, dove i committenti vanno dall’impresa privata che de-sidera investire in un determinato Paese fino ad istituzioni nazionali, come il Parlamento Italiano. D’al-tra parte, Irene Papanikolaou ha lavorato a Bruxelles in qualità di consulente tecnico per questioni di Difesa e Sicurezza e successi-vamente presso il MAE in seno all’Unità istituita per la stabiliz-zazione dell’Afghanistan. Già da questi elementi si può cogliere dunque il carattere trasversale del panorama lavorativo nell’ambi-to della Difesa e della Sicurezza: le prospettive infatti spaziano tra il settore di consulenza privato, quale il CESI ad esempio, fino ad una carriera incardinata nelle isti-tuzioni nazionali e internazionali. Ciò sfata il mito secondo cui chi si interessa di tale settore sia ci-nicamente interessato solo “a fare la guerra”! La Difesa, e soprattut-

to il concetto di Sicurezza, hanno assunto significati

estremamente flessibili ed estesi, fino ad interessare settori solo apparentemente avulsi da essi. La specializzazione nel settore della difesa e della sicurezza è graduale ed è a 360 gradi, quindi, conside-rando la crescente rilevanza delle forme di cooperazione regionale in ambito europeo, la sicurezza è necessariamente una delle grandi questioni che dovranno essere af-frontate nel processo di integra-zione. Il settore della Difesa, così come descritto dagli Alumni, appare quindi come un ambito lavorativo di estrema attualità e dalle molte-plici possibilità: come l’esperienza di Ilaria testimonia, esso può es-sere legato all’analisi geopolitica e geostrategica, aprendo in questo modo la strada a possibili carrie-re da analista internazionale, un ruolo la cui rilevanza sarà sempre crescente e che in Italia non è an-cora pienamente riconosciuta.

Luca Gambardella

I workshop

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Giugno 200910 Speciale Sconfinare

voce per cambiare la situazione, per non lasciare che il SID diventi bel-lo fuori ma carente nella sostanza e nell’offerta educativa. Ma atten-zione a non diffamare il SID! Non svalutiamo la nostra scuola ! Non fa bene a voi studenti né tantome-no a noi “alumni” che si diffonda un’immagine negativa di Scienze Internazionali e Diplomatiche. Diamoci da fare tutti, studenti ed ex studenti, per migliorare le cose ma restando sempre positivi. Prima di tutto, creiamo e mante-niamo solidi contatti tra di noi. La vera forza e il vero valore aggiunto del SID sono le persone: gli stu-denti, gli ex studenti, i professori. Lasciamo stare per un attimo gli

La prima cosa che mi ha colpi-to tornando a Gorizia lo scorso 6 giugno (dove Gorizia per me come per molti è diventato sinonimo di Scienze Internazionali e Diplo-matiche) è stato il miglioramento della sede del corso di laurea ovve-ro ala nuova, pannelli segnaletici, schermi, bar con tavolini all’aperto … fantascienza per noi all’epoca, e neanche tanti anni fa’ a dire il vero. Una prima impressione molto posi-tiva dunque, che ha accompagnato quel sentimento misto di malinco-nia e felicità che mi assale ogni vol-ta che torno nella città e nei luoghi che per quattro anni sono stati la mia “casa”.Una gioia smorzata tuttavia dalla consapevolezza che vari fantasmi si aggirano per i corridoi del SID, tra un taglio di qua e una riforma di là… Peccato. Peccato ascoltare le lamentele degli studenti di oggi. Certo facciamo sentire la nostra

insegnamenti: le nozioni si pos-sono ricavare anche dai libri. In-vece un’esperienza di vita insieme a persone speciali come al SID a Gorizia è davvero unica e prezio-sa. E parlo per averne discusso con altri alumni e con studenti ed ex studenti di altri atenei italiani. È raro trovare altrove una tale concentrazione di giovani talen-ti con una tale voglia di scoprire il mondo, di cambiare le cose, di viaggiare, di divertirsi … e anche di studiare, non dimentichiamo la cosa più importante! Certo biso-gna essere persone “fuori dal co-mune” per voler fare un’esperien-za universitaria cosi “borderline” come il SID a Gorizia ! (borderline inteso come confine, ovviamente!

). Lo sappiamo tutti. E penso sia anche per questo che ci accomuna un forte spirito di solidarietà e di appartenenza, anche se a volte ce ne rendiamo conto più dopo la lau-rea che prima. Seconda cosa: cerchiamo di man-tenere un legame con Gorizia. Per questo manifestazioni come L’Alumni Day sono davvero im-portanti. Ci è stata data un’occasio-ne splendida per ritrovarci tutti al SID “come ai bei tempi”, per rive-dere amici con cui “sembra ieri …” e soprattutto per trasmettere agli studenti le nostre esperienze, per creare legami tra “vecchi” e nuovi Siddini. Anche per questi aspetti, l’edizione di quest’anno può essere considerata un successo. Ancora un

enorme grazie agli organizzatori ! Ma non finisce qui! Tornati alle nostre vite di tutti i giorni, dopo l’entusiasmo del momento, cer-chiamo di mantenere in modo co-stante i contatti tra studenti ed ex-studenti. Sarebbe bello che nel giornale Sconfinare ci fosse ad ogni uscita un articolo firmato da un alumno, per esempio. Un’offerta di stage nella ditta dove lavoriamo? Pensiamo a mandarla all’Assid: non si sa mai che possa interessare ad un Siddino… E soprattutto (e qui mi rivolgo a tutti: studenti, alumni, professori, mamme, parenti e conoscenti): par-liamo del SID in modo sempre po-sitivo ! Siamo noi i veri ambascia-tori del SID. Promuoviamo il SID tra i potenziali futuri studenti, tra potenziali futuri datori di lavoro di studenti SID… nelle istituzioni e ditte dove lavoriamo. Queste sono le marce in più che hanno le grandi scuole a livello europeo con le quali Gorizia potrebbe e dovrebbe com-petere. Con l’aiuto di tutti noi.

Irene Bordin

di non volerci scommettere più di tanto e mantenere un certo distac-co emotivo, concependolo come una specie di crepuscolo degli Dei. Così, nel tentativo di ricomporre questa dissociazione, ho risfogliato le mie impressioni raccolte lungo tutto l’Alumni Day.Aprirò con una riflessione sulla struttura della giornata, la quale racconta molto più di quanto l’oc-chio potrebbe cogliere – in quan-to già da essa si evince lo spirito dell’iniziativa. Nei vari momenti in cui l’Alumni Day si è articolato – dalla dimensione didattica della conferenza della mattinata a quella orientata al mondo del lavoro dei workshop del pomeriggio fino alla convivialità della festa serale – ri-conosco i tre obiettivi che il nostro Alumni Day si è posto, e che esso ha pienamente realizzati.La conferenza, al di là dello speci-fico argomento trattato, ci ha ri-cordato una cosa importantissima, forse la più importante per un Si-diano, e cioè che nessun tema con-temporaneo può più permettersi di essere analizzato da una prospetti-va unidimensionale. Al contrario, man mano che i relatori si susse-guivano, diventava sempre più di palmare evidenza la necessità di un approccio multi- nonché inter-disciplinare il quale tenga conto di tutte le variabili in gioco e ciò al fine di avere una visione olistica, una visione cioè dove l’apporto di ogni disciplina – l’economia, il diritto, la storia, la politologia, l’antropologia – non viene sminuito o svilito bensì valorizzato ed esaltato.

Coloro che non ci scommettevano hanno dovuto ricredersi, essendo decisamente arduo fare altro. Co-loro che, all’opposto, ci hanno in-vestito molte delle loro energie, e troppe delle loro notti, hanno vi-sto realizzarsi molto più di quanto osassero aspettarsi. Per me, che mi trovo sospeso a mezz’aria fra que-ste due categorie, la sensazione è difficile da descriversi – forse per-ché è complicata da sviscerare, for-se perché non è stata ancora elabo-rata compiutamente, forse perché mentre gli estremi sono sempre facili da definire per le sfumature vale il discorso opposto.Come per i primi, l’Alumni Day, lo ammetto, mi ha davvero colto di sorpresa: per l’idea, per le capaci-tà organizzative, per l’imponenza dell’evento, per il successo riporta-to. Come i secondi, però, ho credu-to nell’Alumni Day sin dall’inizio: quando mi arrivò l’invito a parte-ciparvi, quando ho conosciuto per-sonalmente i Sidiani che si stavano adoperando da mesi per racimolare fondi e coinvolgere le autorità uni-versitarie e locali, quando li ho vi-sti perdere le notti per finire tutto in tempo e, soprattutto, quando ho visto la passione che hanno messo in tutto questo.Ho cercato, sin dall’indomani dell’Alumni Day, di capacitarmi di questa specie di schizofrenia che mi aveva afflitto fino a meno di venti-quattr’ore prima: da una parte, cre-dere in un evento e nelle sue effetti-ve potenzialità e sentirsi coinvolto personalmente, provando un senso di orgoglio; dall’altra, sentire però

Preceduti da un workshop sul coa-ching e il training – vero anello di congiunzione fra incoronamento degli allori di laurea e primi timi-di passi nel mondo del lavoro – gli otto workshop del pomeriggio sono state molto più di una comu-ne job fair: sono stati un incontro fra le generazioni di Sidiani, fra le presenti e le passate. Le variegate impressioni ricavatene da chi li ha passati in rassegna si riassumono con una parola: opportunità. Data l’incredibile varietà di attività pro-fessionali che gli alumni hanno intrapreso in vent’anni di SID, bi-sogna riconoscere che il nostro ap-proccio multi- e inter-disciplinare, specifico della preparazione versa-tile che da sempre è propria dei di-plomatici, funziona e ben si presta alle mille ed una occasioni offerte dal mondo del lavoro.Il momento di convivialità della cena di gala al Castello è stato il degno coronamento di una gior-nata di intenso lavoro nonché cele-brazione degli alumni e del nostro corso. Ma anche là si è evidenziato un altro successo dell’Alumni Day, forse il più notevole in quanto è quello che garantisce allo stesso Alumni Day di perdurare oltre la giornata del 6 giugno. Le relazioni che abbiamo intessuto quel giorno – sia quella di più ampio respiro fra comunità degli studenti e comuni-tà degli alumni sia quelle specifica-mente personali – formano infatti quel network di contatti di cui il nostro corso di laurea può godere date le sue dimensioni relativa-mente piccole e che rappresenta un

L’Alumni Day e la tradizione gorizianaeffettivo supporto e un riferimento prezioso nel nostro percorso come Sidiani, prima e dopo la laurea.Così, la giornata dell’Alumni Day è stata davvero triplice: ci ha confer-mato la correttezza epistemologica della tradizione sidiana goriziana, ci ha mostrato le molteplici porte che tale tradizione apre, ci ha riu-niti tutti come parte di un qualcosa che da Gorizia va oltre Gorizia.Ma l’Alumni Day non ha voluto es-sere una mera celebrazione: al con-trario, esso ha voluto porsi come l’occasione di fare un bilancio di vent’anni di SID. Il Censis 2008 ha incoronato di nuovo la Facoltà di Scienze Politiche di Trieste come la prima in Italia, ma sappiamo tut-ti che è meglio non dormire sugli allori.Ed ecco che, nell’essere stato un incontro in cui le generazioni passate e presenti di Sidiani hanno confrontato le loro diverse espe-rienze di SID, all’Alumni Day sono fiorite proposte per dimostrare che l’alloro è più che meritato tutelan-do e promuovendo la nostra tradi-zione.Promuovere il SID. Il nostro corso va pubblicizzato presso le scuole superiori, i corsi di laurea trien-nale delle altre università, gli enti presso cui gli alumni lavorano, au-mentandone la visibilità a livello nazionale ed internazionale.Istituire dei gruppi di studio e la-voro. L’apprezzabile lavoro porta-to già avanti dalle varie realtà delle associazioni presenti al SID può essere ampliato con la formazione di gruppi di studio e lavoro su spe-cifiche tematiche trasversali, quali

l’energia o il diritto internazionale dell’economia.Attivare un regime di pubblica-zioni del SID. Dai migliori lavori di tesi – triennale e specialistica – possono essere estratte delle parti destinate a divenire degli articoli – meglio se in inglese o francese – in una pubblicazione specifica del SID.Partecipare attivamente alla rifor-ma didattica del corso. La riforma del corso va operata al fine di man-tenere la caratteristiche specifiche dello stesso come vennero stilate nel 1989, anche chiedendo una de-roga alle tabelle ministeriali.E quanto alla presunta schizofre-nia che mi sono autodiagnosticato all’inizio, qui finalmente trovo la risposta. È la reazione di coloro il cui cuore trabocca di costernazione e di rabbia, e che rimane affetto dal disincanto, allorché ravvisa la de-cadenza dettata burocraticamente quella tradizione goriziana nei cui confronti ha un debito inestingui-bile. Ma è la reazione anche di chi, scrivendo questo articolo, si è reso conto che non farebbe nient’altro se ritornasse indietro, di chi a que-sto corso deve ben più di un voto di laurea e di chi in questo corso ci crede davvero. Come ci credono tutti i miei compagni, passati, pre-senti ed anche futuri. Come ci cre-diamo noi Sidiani.Perché noi goriziani siamo stati incoronati come primi in Italia. E abbiamo la ferma intenzione – e la ragionevole speranza – di esserlo ancora per molti anni.

Federico Giovanni Lasconi

Gli alumni

Gli ambasciatori del Sid

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SconfinareGiugno 2009 11

Viaggio

in Italia

ai portici del porto un’ampia get-tata di cemento ha creato la piaz-za che dà accesso all’Acquario; un tempo quegli archi di pietra erano a picco sul mare, pronti a ricevere le merci dalle mani degli scarica-tori. Tra quell’aria spessa e cari-ca di sale De Andrè si fermava a mangiare nelle friggitorie – oggi ne restano solo un paio – dove si sfamavano ladri e assassini che frequentavano il porto.

Genova non è una città prevedibi-le, scontata. È chiaro fin dai pri-mi passi lungo via XX settembre, la larga strada ottocentesca che corre a mezza via tra il mare e l’Appennino Ligure. Sotto i por-tici sfila una serie di personaggi baldanzosi, signori con la barba ispida sul viso, tredicenni già don-ne addobbate di sciarpe colorate e mascara nero. Gli sguardi sono un po’ stralunati e, fra i molti immi-grati, passano alcuni spilungoni che barcollano come sui trampoli. È De Andrè che mi ha portato a Genova per la sua mostra. E così pochi minuti dopo, nei sotterranei scuri di Palazzo ducale, sono im-merso tra i ritratti fatti di video e suoni che Faber ha dipinto duran-te i suoi quarant’anni di musica. Genova è stata la sua prima sce-nografia. È tra i suoi vicoli che il piccolo Fabrizio ha coltivato il suo fascino per gli ultimi. Fin da bam-bino amava abbandonare la villa di famiglia nel quartiere borghese e baciato dai raggi del sole di Geno-va, per inoltrarsi fra i dannati nel buio della città vecchia.Il centro storico di Genova – il più grande d’Europa – è schiacciato sul mare. È nato da stratificazioni successive di case e magazzini ad-dossati ai vicoli stretti che corrono paralleli alla costa. Oggi davanti

Con l’involontaria complicità del padre, che lo mandò a studiare in un liceo qualunque al limitare del-la Genova Bene e a due passi dai vicoli medievali, De Andrè comin-ciò a intrufolarcisi attraverso via del Campo. Qui conobbe Gianni Tassio, il venditore di dischi. Oggi il suo negozio è un santuario pie-no di reliquie di Fabrizio. Poco più avanti sta, semichiuso, il portone dove il De Andrè ancora studente

Liguria

incontrò il suo vecchio e stronzo professore di italiano: tornava in strada dopo aver preso lezioni dalla pubblica moglie del civico 5. Ancora oggi la prostituzione diur-na nel centro di Genova va alla grande: i lumini accesi sulla porta attirano i passi dei clienti in Via della Maddalena, poco lontano da via Garibaldi, quella dei palazzotti del Comune.Piazza delle Erbe è il largo dove

i giovani genovesi di oggi si av-vinazzano da mezzogiorno all’al-ba. Faber si avvelenava insieme ai quattro pensionati fra le mura strette degli stessi barettini. Quel-la era in parte una Genova diversa. Oggi i genovesi dabbene attraver-sano volentieri alcuni vicoli rimes-si a nuovo, è chic fare aperitivo in certi locali o spingersi al porto per una passeggiata. Fare le stes-se cose negli anni Sessanta invece era soltanto un bagno nel vomito dei respinti, la missione che De Andrè aveva dato alla sua musica e che ha continuato a portare avan-ti anche dopo la “rinascita” della zona vecchia. Nel dedalo intricato di stradine, infatti, è ancora ben possibile trovare vecchietti senza parte che scambiano vino e parole con il loro barista; Princese tran-sessuali affacciate alla loro porti-cina; pescatori di acciughe fermi a fissare il vuoto aspettando un amore; immigrati Khorakhané che vociferano tra kebabberie piene di mosche e centralini telefonici per le chiamate internazionali. Anime salve che cercano nella solitudine, lontano dalle superbie della mag-gioranza, di consegnare alla mor-te una goccia di umanità vera.

Francesco [email protected]

Veneto

Genova, la Superba dannata sulle note di De Andrè

Venezia è miacavo di immaginare la città dove “le case stanno sull’acqua”. Quella era la “mia” Venezia, immaginata con le foto e con i libri… Tre anni fa, andavo a Venezia con il treno. Quei 15 minuti di viaggio da Venezia Mestre a Venezia San-ta Lucia mi sembrarono un secolo. A dir la verità non avevo tanto re-alizzato che andavo nella città dei miei sogni! Tutti i miei pensieri, emozioni, sentimenti si prepara-vano ad esplodere ad un certo mo-mento, e questo momento fu quan-do uscii dalla stazione e finalmente vidi Venezia. È difficile descrivere e spiegare tutto ciò che successe in me. Non penso che esistano paro-le che possano esplicitare la mia situazione. Camminavo piano, stupita dalla bellezza, dalla anti-chità… Ho realizzato che la “mia” Venezia in realtà non era vera. La Venezia davanti a me era comple-tamente diversa dalla “mia”, quale è impossibile immaginare e inter-pretare con le foto o con i libri. La realtà è diversa e quella realtà mi ha fatto comprendere e percepire tutto di nuovo, mi ha fatto vedere tutto dall’altro punto di vista. Per descrivere la Venezia vera, uno dev’essere pittore con le lettere, per disegnare con le parole la bel-lissima, meravigliosa e adorabile

Il viaggio non è soltanto visitare qualche parte del mondo, ma è un insieme di emozioni e sentimen-ti. Viaggio è una parola capace di unire passato, presente e futuro, soprattutto quando si tratta di Venezia. Venezia è la città dove il passato vive contemporaneamente al presente. Mentre cammina nel-le stradine uno pensa che il tempo qui si sia congelato: fai una pas-seggiata nel passato, ne ammiri la bellezza e riposi da tutto il resto del mondo, che rispetto a Venezia sembra molto noioso e triste.Secondo me non esiste nessuno al mondo che non vuole visitare Ve-nezia. Ognuno percepisce e ama Venezia a suo modo. È un posto per comprendere tutto di nuovo, per amarsi, per cercare se stessi o soltanto per sedersi e ascoltare le storie del passato, quali ti raccon-ta ogni costruzione, ogni strada, ogni ponte, ogni angolo di Vene-zia. Da bambina sognavo di vedere Ve-nezia, sognavo di camminare con calma e percepire l’ambiente per me cosi interessante e importante. Ero molto curiosa, volevo vedere tutto il possibile e l’impossibile, volevo scoprire la Venezia cono-sciuta e la Venezia sconosciuta. Avevo le mie interpretazioni, cer-

realtà di Venezia.Dopo quei minuti di agonia, anda-vo tranquilla con il vaporetto in Canal grande, ammirata da tutto ciò che vedevo. Guardavo le co-struzioni dall’architettura bellis-sima e pian piano andavo verso il più famoso e il più antico ponte di Rialto. Da sotto era magnifico vederlo. Sono andata ad attraver-sarlo ed esprimere un desiderio. Dalla metà del ponte ho visto un paesaggio meraviglioso, ero inca-pace di dire qualcosa, ma era me-glio guardare e ammirare senza parole. Così piena di emozioni ho raggiunto piazza San Marco. Lo spazio, quale era aperto davanti a me, quelle colonne di San Marco e San Teodore, quelle meravigliose opere architettoniche sono di bel-lezza incredibile. Avevo la sensa-zione di camminare nel passato… Non potevo resistere e non vede-re il ponte dei sospiri. Un posto bellissimo fra tantissimi a Venezia dove le coppie di innamorati van-no con le gondole nel tramonto per assicurarsi il loro amore eter-no. A Venezia tutto succede come nelle favole. Questa bellezza mai vista e adora-bile aveva una grande influenza su di me… Venezia è un posto bellis-simo, meraviglioso, unico, non ha

uguale in nessun’altra parte del mondo, tutto è cosi perfetto, ogni singolo pezzo è fatto cosi accurata-mente, con cosi tanta precisione e esattezza, che logicamente nasco-no le domande nella mia mente: esiste davvero? Come può essere cosi maestosa? Ma esiste vera-mente… Esiste con la sua laguna, con la sua terraferma circostante, con il ponte di Rialto, con la basi-lica di San Marco, con il palazzo Ducale, con tantissimi monumenti e capolavori di architettura, i qua-li fanno un effetto più incredibile e creano un paesaggio incantato. Architettura a Venezia significa architettura dell’ambiente vene-ziano, quale si vede dappertutto.L’unica cosa che mi annoia è il fat-to che ci sia tanta gente. Soprat-tutto in estate è impossibile visi-tare tranquillamente, riposare e

godere dell’ambiente e dei luoghi circostanti. Non si trova il posto dove restare da sola con te stes-sa, con i tuoi pensieri guardando i bellissimi paesaggi di questa bel-lissima città, che ti lasciano sogna-re ancora di più. Vorrei andare in una Venezia silenziosa, calma… Venezia è una città dove una per-sona può dimenticare i problemi e liberarsi dalla vita quotidiana almeno per alcuni giorni. Nessu-no può morire senza aver visita-to Venezia. Venezia è dell’Italia. Ma “non è vero”, non è soltanto dell’Italia. Questo è un paradi-so nelle mani del genere umano. Venezia è di tutti quelli che la ap-prezzano e ammirano. E sicura-mente, Venezia era “mia”, è “mia” e sarà sempre “mia”.

Tea [email protected]

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Sconfinare Giugno 200912Glocale

Dal 22 al 24 maggio, Gorizia è stata invasa dalla storia. E que-sto sarebbe un modo manierato di dirlo, non fosse che Gorizia e la storia sono da sempre in re-ciproco contatto. Qui molto più che in altri luoghi si respira sul serio aria di Quindicidiciotto.Si potrebbe dire, quale posto migliore, dunque? E’ vero, e non solo per via del suo passato. Nonostante il suo passato, che la costringe ad appallottolarsi su se stessa, sulle passate glorie della Grande Guerra, sul senso di Patria nato da generazioni intere vissute all’ombra dello Straniero, fosse il dominatore austriaco, il vicino slavo o il nuo-vo extracomunitario. Quanto mai azzeccata, alla luce di queste riflessioni, è stata allora la scelta di dedicare il festival E’storia al concetto di Patria, anzi Patrie. Per ricordarci che non ne esiste solo una, e per cercare di capire quale sia la nostra, o se sia mai esistita.Più che un resoconto della ma-nifestazione, il mio discorso vor-rebbe concentrarsi sul suo signi-ficato. Potrei dirvi che ha parlato Tizio, che Caio mi ha deluso, che Sempronio ha divertentemente litigato con il pubblico, ma in questo modo falserei qualun-que sensazione abbiate provato, se avete partecipato, o la vostra idea del festival, se siete rimasti a casa.Anzi, ecco cosa farò: parlerò a quelli che non sono andati, che

non hanno visto. Immagina-te Gorizia. Non ve la descrivo,

meglio di no. Ha lati belli e lati brutti. Il lato brutto è che sem-bra dormire. Sul suo passato. Come se fosse stanca di agitarsi, di passare da una lingua all’altra, da una guerra di attacco ad una

difensiva, da un Imperatore ad un altro. Il lato bello è che, a vol-

te, in momenti precisi dell’anno, sussulta. Così, dal nulla, da un giorno all’altro. Cosa possa es-sere, non lo so. Me lo chiedo da quando conosco Gorizia. Eppu-re succede proprio così: il giorno

prima le strade sono ordinata-mente trafficate, ad orari precisi, probabilmente con le stesse per-sone sullo stesso percorso con la stessa meta con gli stessi pen-sieri. Il giorno dopo si chiude la strada principale (Gusti di fron-tiera!) o parte di essa (E’storia), e succede di tutto. Gorizia diventa pienamente multietnica (non che solitamente non ci siano stranie-ri: è che Gorizia durante l’anno fa finta di non vederli), arrivano grandi nomi, professori, perso-ne qualunque, anziani e ragazzi. Durante le conferenze si siedono uno accanto all’altro l’uomo che la sera prima ha chiamato la po-lizia per via del casino, e il ragaz-zo che lo produceva.Io dico che si tratta di un mon-do parallelo, quello del ‘Come-dovrebbessere’, in cui Gorizia precipita, solo per poche ore all’anno. Da cui si sente attrat-ta e respinta, di cui ha paura ma anche voglia. Il ‘Comedovreb-bessere’ è casino e roba seria, gente che ne approfitta chi per passeggiare, chi per abbordare il proprio Grande Nome, chi per togliere la noia, chi per prendere appunti. Come dovrebbe essere, sempre. Stesso discorso per Gu-sti di Frontiera. Il punto è che, il giorno dopo, Gorizia scappa.Eppure Gorizia sarebbe il luo-go ideale per sperimentare, per organizzare Festival, incontri, spunti. Il luogo ideale, perché è piccola e ha le potenzialità per essere anche vivace. Perché ne

ha paura? Perché è sempre in tensione? Sono domande inte-ressanti, e probabilmente non è colpa di nessuno.Il Comedovrebbessere è sempre lì, in agguato. E, anche se non è colpa di nessuno, io ne rica-vo un’altra sensazione. Potreb-be anche essere, butto lì, che il Comedovrebbessere perseguiti Gorizia perché ci sono gli uni-versitari. Pensateci, non siamo forse uguali al Comedovrebbes-sere? Amati, e odiati. D’accordo, forse un po’ più odiati che amati. Senza di noi, però Gorizia mori-rebbe. Proprio come il Comedo-vrebbessere.Non sarà per colpa sua, la butto così, e non do la colpa a nessuno, che vorrebbero tanto cacciarci? Che, tanto per parlare di casa nostra, cioè del Sid, si è messo su un piano di studi davvero or-ripilante, per il quale nessuno si scomoderebbe di venire fin qua, non dico da Trapani, ma già da Venezia?Ora, lo dico sul serio che non è colpa di nessuno. Per il piano di studi, intendo. Soldi che non ci sono, eccetera eccetera. Ma non sarà che Gorizia…Non sarà che, per assurdo, Gorizia abbia paura dei suoi Festival? Di E’storia? Del Comedovrebbessere? Dei suoi ragazzi? Delle Università? Del Sid?Di noi?

Francesco [email protected]

èStoria, il mondo parallelo

Dal prossimo anno accademico, Gorizia diventerà ancora più uni-versitaria. Come già preannun-ciato dai giornali locali, dall’Uni-versità e dalla Fondazione per lo sviluppo del Polo Universitario, l’Università di Trieste trasferi-rà progressivamente la laurea triennale in architettura nel Polo di via Alviano. L’evento rivalu-ta la sede di Gorizia, dalla quale erano stati tagliati ben tre corsi di laurea, e getta le basi per un futuro sviluppo anche attraverso la progressiva ristrutturazione dell’ala vecchia. Buona notizia? Sicuramente sì, dal momento che scienze internazionali e di-plomatiche vive un po’ troppo su sé stessa e un allargamento delle sfere di interesse non può che essere positivo. E speriamo

che anche il nostro giornale pos-sa respirare un po’ di idee nuove. Sicuramente no, se la città non si dimostra pronta ad accettare un allargamento della popola-zione studentesca alla quale già si vietano sbevazzamenti, festeg-giamenti e quant’altro. L’ikea di Villesse migliorerà sicuramente un po’ di arredamenti delle case più vetuste; magari un numero un po’ più alto di studenti giusti-ficherà anche una mensa, maga-ri in comune con l’Università di Udine; forse l’amministrazione penserà a dare un nuovo profilo all’urbanistica della città: non spaccando a destra e sinistra strade, e un po’ anche qualcos’al-tro, ma pensando a un’area da dedicare alla vita notturna, per conciliare la pace e la serenità

dei goriziani e la voglia di quel poco di più che gli studenti fo-restieri vanno al giorno d’oggi a cercare in Slovenia. Con gran-de meraviglia, segnali positivi vengono proprio dagli alti piani del Polo universitario che ha in mente grandi spazi associativi e organizza, forse meglio della cit-tà, la venuta dei futuri architetti goriziani. Magari mi sbaglio e nulla cambierà: architettura po-trebbe divenire allora un mondo chiuso in sé stesso, che sbatte la testa sullo stipite che ha appena disegnato. Non potendo però predire il futuro, intanto diamo il benvenuto ai nuovi arrivati, spe-rando che la sinergia studentesca ci porti a nuove, interessanti, ini-ziative. Edoardo Buonerba

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Architettura, tra vecchie e nuove speranze

20° numero anno3°

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SconfinareGiugno 2009 13Musica

La musica con le sue liriche è un fenomeno mondiale e non discri-minatorio, fa parte in modi diversi della cultura di tutti i popoli, non c’è bisogno di essere alfabeti o let-terati per capire e interpretare il messaggio, a meno che il testo non sia talmente criptico da dover es-sere soggetto ad analisi approfon-dite. Tutti noi conosciamo la for-za dirompente con cui attraverso di essa può diventare una forma di protesta per far crescere una co-scienza comune o semplicemente dichiarare la propria posizione. La musica è uno dei più facili vei-coli attraverso cui far passare un messaggio ed il sottofondo perfet-to per slogan e manifestazioni di massa. Ce l’hanno insegnato Bob Dylan, Joan Baez, Bob Marley, il movimento Tropicalia in Brasile e quello della Nueva Canción Chile-na di cui fanno parte gli Inti Illi-mani. Ma questi sono noti a tutti, o quasi, anzi spesso sono stati tal-mente commercializzati che a vol-te se ne perde l’essenza principale, è come se fosse l’eco di un mondo lontano e forse finito. Ma cosa dire di quella protesta nascosta e privata in un mondo in cui omoge-neizzazione e valori di riferimen-to sono uguali per tutti? Parlo in questo caso di Unione Sovietica, una realtà relativamente vicina a noi e che nel panorama musicale ha i suoi echi ancora oggi, nono-stante molti ancora non li senta-no o non li vogliano sentire. Come si esprimevano le persone in un contesto così soffocante da non permettere una propria espres-

sione, soprattutto se essa fosse presente anche in Occidente? E non solo fino al 1953, ma anche successivamen-te perché la censura è d’ob-bligo e la per-versione ame-ricana anche nei suoi feno-meni più inno-cui non può es-sere accettata. La Cortina di Ferro alla fine non si rive-lò così solida, gradualmen-te le maglie si allentaro-no senza però aprirsi mai del tutto. I dischi arrivarono dai soldati torna-ti dal fronte, dai turisti oc-cidentali, dal mercato nero con i suoi prezzi esorbitanti o da coloro che aveva-no il privilegio di potersi recare all’estero. Il tentativo di censura ovviamente non si fermò mai. Si iniziò con la messa al bando del jazz: i sassofoni venivano seque-strati e i musicisti licenziati, ma poi venne riabilitato. Poi si tentò di proporre alternative”nazionali “ al twist o altri balli quali boogie

woogie e fox trot, ma fu un disa-stro: gli stessi autori delle danze che avrebbero dovuto promuove-

re sentimenti patriottici si mette-vano a ridere nel momento in cui ne vedevano la messa in pratica. I capelli delle prime forme beat sovietiche, i cosiddetti stilyagi, venivano tagliati e si cercava di imporre loro l’unificante divisa color cachi, ma quelli si ostinaro-no a vestirsi con colorati capi fatti in casa e a farsi ricrescere i capelli. Nel frattempo i poeti (principal-

mente Okudzhava, Galic, Vysot-skij)avevano cominciato a musica-re i loro componimenti e come gli

antichi bardi si accompa-gnavano con la chitarra dichiarando, implicita-mente o esplicitamente, il proprio dissenso al re-gime: tentare di scanti-nati e nelle case private quasi tutto era possibile nonostante i control-li. E poi era arrivato il rock: contro di esso non ci fu nulla da fare. All’inizio, negli anni ’60 fu una mera imitazione dei gruppi occidentali, primi fra tutti i Beatles per cui si sviluppò un vero e proprio culto. Ma non bastava: c’era biso-gno di una dimensione nuova che rispecchiasse il contesto sovietico e che fosse comprensibile a tutti tramite l’uso del-

la lingua madre, il russo. Era una dimensione che si rispec-chiava soprattutto nel privato, il solo fatto di avere accesso e di produrre un’espressione alterna-tiva alla cultura ufficiale era di per sé una forma allo stesso tempo di liberazione e di protesta. Non tut-ti i gruppi avevano testi con temi politici, anzi alcuni se ne disso-ciavano proprio perché volevano creare qualcosa che fosse al di fuo-

Il rombo del rock sotto falce e martello

ri dell’ufficialità e quindi perdere ogni riferimento con essa. Gli altri descrivevano le pecche della real-tà sovietica e protestavano contro la mancanza di libertà individua-le. Ci sono moltissimi gruppi di cui si è persa ogni traccia perché le registrazioni su cassette o i di-schi su costole(chiamati così per-ché erano ricavati da radiografie e incisi tramite speciali macchine…vista la mancanza di materiale qualcosa dovevano pure inventar-si!) sono andati perduti. Il regime non poté fare niente contro questo tutto ciò, considerato paradossal-mente da molti il più riuscito fe-nomeno di massa all’interno della cultura sovietica. Prima creò dei gruppi rock finanziati dallo sta-to in cambio dell’assenza di temi scottanti; poi nel 1981 fu la volta del Rock Club di Leningrado, un modo per centralizzare i gruppi e i solisti e controllarli meglio. Ma poi glasnost e perestroika apriro-no la definitiva libertà, anche se nel 1989 fu promulgata una leg-ge che vietava la diffamazione del Presidente. Ma ciò portò anche alla produzione di massa, alla leg-ge del profitto nel mercato e alla perdita della funzione del rock in quanto coscienza sociale e veicolo della protesta perché perso nel-la miriade di alternative sbucate dopo anni ed anni di silenzio. Ma il rock resta sempre rock e chissà che la forza che un tempo posse-deva possa tornare ad esistere!

Lisa [email protected]

Ti parrà strano, però questo di-sco non l’ho ascoltato per nulla. Ultimamente non piove poi così spesso e voglio aspettare, tante volte un’idea è più importante del lavoro in cui s’esprime. Le cose sgretolano, si rovinano, passano. Con un po’ di pazienza invece l’idea può restare. Ti parrà stra-no Dean, scrivere di un disco che non ho mai ascoltato. Però io già me ne sono innamorato, perché sono molto naif e senza troppe pretese lo capisco. Capisco come ci si deve sentire se il tuo migliore amico si schianta da qualche parte a metà strada tra gli anni sessanta e l’eternità, proprio un attimo pri-ma della festa che finisce; non era il momento Dean, ma chi avrebbe detto che avremmo dovuto appen-dere le tavole da surf al chiodo e vendere i nostri dischi dei Beach Boys, tagliarci i capelli e finircene in Vietnam senza mai avere avuto un mercoledì da leoni? E allora Jan, che fino a quel momento ha tenuto le redini del gruppo ben salde finisce fuori strada, ok, è pa-ralizzato su un letto d’ospedale ed è in coma, ok, e non suonerà mai più. Mai più feste, pianti, risate,

ragazze e chitarre, litigi e sogni, è l’estate, un altro bicchiere di vino e poi basta, la corsa ha supera-to il corridore; è stato tutto così improvviso Dean, ora che altro ti resta?, e tu pensi alla pioggia perché altrimenti non riusciresti a rispondere. Ti rinchiudi nel tuo studio casalingo e registri un di-sco di cover, e tutte parlano della pioggia, soltanto della pioggia.Ti dirò, Dean, io il tuo disco non l’ho mica ascoltato ancora. Ce l’ho qui, davanti a me, ancora bello chiuso e impacchettato, perché ora non piove e seguo il tuo consiglio, preferisco aspettare e tenerlo da parte. Un giorno che pioverà po-trei averne bisogno. E sai perché ne parlo adesso? Soltanto per la pioggia, Dean, perché appena ho letto il titolo la prima cosa che mi è venuta in mente è stato un qual-che pomeriggio da bambino alla fine di agosto, chissà quando mol-to tempo fa, le prime gocce piovo-no dal cielo e lavano via dalla pel-le la polvere ed il sole, e tu sai che l’estate volge al termine e ha un buon profumo mentre svanisce. L’ho perfino ordinato il tuo disco, Dean, l’ho fatto venire apposta

JAN & DEAN SAVE FOR A RAINY DAY

qui perché in giro non lo si trova, e l’ho fatto solo per quel motivo. Perché per un attimo m’è parso di vederti, non come sei veramente o com’eri a vent’anni mentre lo re-gistravi, no; ti vedo a cinque o sei anni con una bella chioma bionda ordinata che tua madre ogni mat-tina con cura ti pettina, ti vedo in un giorno d’estate ma non giochi mai, non sei in riva alla spiaggia o per strada, ma disteso sul tuo let-to ed osservi le finestre rigarsi di pioggia. Perché l’estate non dura per sempre e soprattutto non tor-na, ci saranno altri anni, però è un peccato, Dean, è un vero peccato.Il tuo disco non l’ho ancora ascol-tato e non posso dir altro, è lì ad un lato della scrivania ed aspetta che arrivi il suo giorno di pioggia. Non c’è fretta, capita prima o poi ed allora sai che in qualche modo devi rimetterti in spalla la vita e pensarci da solo; lo fanno tutti e puoi solo sperare di dimenticare in fretta l’estate e vuoi saperla una cosa? – Dean,spero di non trovarci nessun ar-cobaleno.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

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Sconfinare Giugno 200914Stile LiberoVado ad introdurre l’argomento. I giapponesi in queste cose sono sempre più avanti. Così hanno de-ciso di sfogare i loro pruriti ses-suali con un’idea che non ha nulla di divertente. Ne avrete già senti-to parlare, però mi ritaglio un at-timino per analizzare il fenomeno “Rapelay”. Per la cronaca, si tratta di un simulatore di stupri inte-rattivo. E’ un videogioco in cui il protagonista può fingersi maniaco, aggredire una famiglia di donne e violentarle. A quanto pare, sareb-be (chiaramente) realistico in mol-ti dettagli e lo scopo sarebbe, dopo aver abusato a piacimento delle tre graziose fanciulle, farle abortire.Fermo rimanendo che mi unisco al coro che denuncia quest’aberra-zione, l’indignazione che scatta in me (o in noi) non mi è mica tanto chiara. Voglio dire. Tutti noi sap-piamo che i videogiochi sono vio-lenti. Violentissimi alcuni. Però, quando si tratta di fare a pezzi con la motosega degli esseri umani o di investire dei pedoni inermi (il mai troppo compianto Carmaged-don) non si levano siffatte onda-te di “vibrante protesta”. Ed è su questo punto che scattano i miei interrogativi.Perché ci dà più fastidio un gioco sullo stupro quando altri giochi da un punto di vista puramente oggettivo sono anche peggiori? (visto che, abbastanza cinicamen-te, preferiremmo essere violentati piuttosto che fatti a pezzi con una motosega). Che senso ha stupirsi

quando esiste di peggio? Più o meno è questa l’argomentazio-ne che è stata tentata in difesa di “Rapelay”.Io, nel mio piccolo, ho tre spie-gazioni. E mi sembrano pure ab-bastanza valide, anche se chiara-mente parziali.In primo luogo, lo stupro è per antonomasia un archetipo di cru-deltà gratuita che la società ha sempre dovuto esecrare. E’ una delle forme iconografiche più evidenti dell’inversione dei valori fondamentali: basti pensare allo spazio che hanno, nell’immagina-rio collettivo, gli stupri di guerra per averne un chiaro esempio (a questo proposito, vi consiglio un libro stupendo di tale Hillman, “Un terribile amore per la guer-ra”). Lo stupro è un tutt’uno con altre immagini, come l’uccisione di civili (soprattutto di vecchi e bambini), o l’omicidio di preti e di suore. Lo stupro è quindi un atto terrifico in sé, che si colora di altre paranoie sociali secondo le varian-ti culturali: lo stupro di gruppo, il negro che stupra la bianca, lo stu-pro di una cristiana, di una bambi-na, eccetera.Fin qui la spiegazione culturale. Se mi addentro nelle motivazioni per-sonali, posso dire che mi dà fasti-dio un gioco come “Rapelay”, para-gonato ad altri suoi simili, per un motivo molto semplice: mi orripila pensare che qualcuno possa tirarsi seghe mentre violenta qualcuno in 3D. Perché così viene meno quella

distinzione tra reale e virtuale che viene invece mantenuta in altri vi-deogiochi, pure molto più violenti. L’eccitamento del giocatore allu-pato annulla la distanza tra lui ed il suo virtuale alter ego, quindi con le sue vittime. Di conseguenza, dal punto di vista psicologico, “Rape-lay” è più violento (e di molto) ri-spetto ad altri videogiochi perché vi è immedesimazione, attraverso un richiamo agli istinti sessuali del giocatore.Ed ora, visto che parliamo di istin-ti sessuali, vengo alla mia spiega-zione principale, che però è anche la più controversa e la più grave. Vorrei venisse interpretata per quello che è, ovvero un’osserva-zione oggettiva e razionale priva di giudizi di valore. Volete sapere

perché mi indigna “Rapelay”? Per-ché in ogni maschio c’è una parte morbosa, più o meno sviluppata, che in realtà desidera giocarci. Avete presente quando Kundera parla delle vertigini? La vertigine non è paura di cadere nel vuoto. Ne è il desiderio. Chi di noi, una volta in cima allo strapiombo, non ha mai sentito quel sottile impulso al tuffo? Innocuo, per fortuna. La mente veloce ti richiama, ed ac-ciuffandoti per i capelli ti grida la realtà: se tenti il volo morirai. Non è facile però estirpare un desiderio. La pulsione non scompare ed ac-cade così che si tramuti tout court nel suo simulatore: il bungee-jum-ping. E la gente, regolarmente, fa la coda per provare questa emo-zione che nella vita normale non

Con calma e sangue freddopotrebbe ottenere.Torniamo al videogioco. Se una casa di distribuzione lo ha messo in commercio, vuol dire che qual-cuno lo comprerà. Almeno poten-zialmente. E secondo me è questo che spaventa. Ovvero, finora ab-biamo sempre trattato lo stupro come una variabile deviante di un sistema buono. Quello che scon-certa davvero di fronte a “Rape-lay” è capire che forse non lo è, e che si tratta al contrario di una grandezza endogena. La veemen-za con cui la nostra società accu-sa questo videogioco mi ricorda la ferocia di chi difende le cause degli omosessuali e degli extra-comunitari proprio perché ha bi-sogno di dimostrare a se stesso e

agli altri di non essere omofobo e razzista. Un gioco come “Rapelay” sfrutta il fatto che nel rapporto sessuale c’è sempre un certo quid di violenza. Anche se minimo, an-che se infinitesimale. Soprattutto da parte maschile. E se sentiamo il bisogno di attaccare così duramen-te “Rapelay” è prima di tutto per dimostrare a noi stessi una cosa: questa violenza morbosa, questa violenza anormale, esiste anche in qualche profondo recesso della nostra anima. Ma per fortuna non siamo disposti a lasciarle spazio così facilmente.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

L’Italia, lo sappiamo tutti, e’ un paese particolare: notevoli defor-mazioni e distorsioni nel sistema informativo sono all’ordine del giorno. Se questo e’ palese nel-la cronaca politica, lo e’ anche in quella sportiva. Moggiopoli aveva lasciato parecchi dubbi sull’one-sta’ di certa informazione: si sa per certo che Lucky Luciano e la sua gang erano soliti regala-re esclusive, interviste, scoop di mercato ai giornalisti piu’ fedeli affinche’ essi parlassero bene di lui e della sua Juventus. La malain-formazione sportiva non e’ quindi una novita’. Quest’anno numero-si sono stati i casi, ma l’episodio piu’ indecente ed eclatante (anche perche’ strettamente connesso al clima di viscido razzismo che ulti-mamente nel nostro paese va’ per la maggiore) si e’ verificato dopo Inter – Roma di campionato. I ti-fosi della Roma, noti tra le altre cose per essere in Italia i piu’ pro-pensi all’accoltellamento dei tifosi avversari, hanno intonato per tut-ta la partita cori razzisti contro Mario Balotelli, giovane talento dell’Inter, italiano di cittadinanza, ma col terribile difetto di avere la pelle nera e degli atteggiamenti ogni tanto sopra le righe. Super-Mario al coro “e se saltelli muori

Balotelli” prima ha risposto con un gol di piattone sul primo palo, e al coro “Balotelli negro di merda” ha risposto dapprima guadagnandosi un rigore (sulla cui validita’ sono state fatte grandissime – e inutili - polemiche), poi trasformandolo e in ultimo portandosi un dito alla bocca per zittire quei cassonetti dei rifiuti che sedevano sugli spal-ti dinnanzi a lui. Cristian Panucci, terzino imbalsamato della Roma, ha detto a Balotelli che quanto aveva appena fatto non gli stava bene: non si provocano i tifosi av-versari! L’attaccante interista ha risposto come meglio non poteva: con una linguaccia, come a dirgli “non meriti nemmeno una rispo-sta”. Volete mica dire che dopo 80 minuti passati a sentire migliaia di idioti che vi fischiano, vi urlano dietro di tutto e vi insultano, uno non si possa nemmeno togliere la soddisfazione, non di mandarli a quel paese, ma semplicemente di dirgli “state zitti, voi non contate nulla” dopo aver segnato due gol alla loro squadra? A quanto pare no. Almeno in Italia. Il giorno

dopo, quasi tutti I quotidiani na-zionali titolavano “vergogna Ba-lotelli”, “Balotelli non si puo’ per-mettere”, “Balotelli maleducato”. Persino Francesco Totti, capitano della Roma, si e’ messo a pontifica-re sul comportamento “scorretto e maleducato” del giovane interista. Peccato che Francesco Totti fosse quello che agli europei del 2004 sputo’ addosso a un avversario per una marcatura troppo stretta, che quando la Roma batte’ la Juventus in uno storico 4-0, disse ai gioca-tori della Juventus “quattro gol e a casa”, passando per la magliet-ta che mostro’ dopo aver segnato un gol nel derby con la Lazio che recitava “vi ho purgato ancora” e senza dimenticare, ciliegina sulla torta, che l’anno scorso proprio Francesco Totti dopo aver segna-to un gol all’Inter, ando’ sotto la curva nerazzurra e fece lo stesso identico gesto fatto da Balotelli. Perdonate la biografia di Totti, il problema non sta nei suoi com-portamenti, ma nel fatto che a costo di dare addosso all’Inter e a Balotelli, tutti si sono dimenti-

cati questi “particolari” e nessuno li ha fatti notare in seguito a tale intervista. Cosi’ oltre a essere sta-to insultato per tutta la partita, Balotelli e’ stato anche etichettato come maleducato, insolente e irri-spettoso, senza possibilita’ di re-plica. Un’ottima conduzione della stampa, che ha in questo modo im-plicitamente sdoganato gli insulti razzisti, visto che in pochi li han-no messi in risalto e condannati. Da aggiungere le polemiche sterili e prive di fondamento sulla con-cessione del rigore a Balotelli: un rigore netto e chiaro, Motta tira una spallata a Balotelli in mezzo all’area di rigore. Stop. Invece no, polemiche a non finire. “Scudetto rubato”. Anche questo retaggio di Moggi e dei suoi picciotti.Jose’ Mourinho, allenatore dell’In-ter, il giorno dopo questo episodio di “mala informazione”, si presen-ta ai microfoni per una conferenza stampa. Le sue prime parole sono “a me non piace la prostituzione intellettuale, mi piace l’onesta’ intellettuale”. In sette minuti e mezzo inchioda la stampa italiana

(sportiva e non) al muro, portando dei fatti concreti a sostegno della tesi che la le testate giornalistiche obbediscono ai desiderata dei loro padroni e non alle esigenze di una corretta informazione. Parla di “grandissima manipolazione intel-lettuale, grandissimo lavoro orga-nizzato per manipolare e cambiare l’opinione pubblica” riferendosi al fatto che, a quel punto del cam-pionato, quando cioe’ cominciano a scriversi i primi verdetti sulla stagione delle squadre, Roma e Milan, due squadre potenzialmen-te fortissime, con grandi giocatori e con tutti I requisiti per vincere, avrebbero finito il loro campiona-to con “zero tituli”, ma invece di dare risalto e condurre approfon-dimenti tecnici sulla crisi di due grandi realta’ del calcio italiano, i media italiani hanno preferito par-lare di Balotelli maleducato e di un rigore molto dubbio dato all’Inter. La stampa prima di insabbiare la questione etichetta Mourinho come pazzo. Pazzo come l’uomo che uscendo dalla caverna, vide la luce e provo’ a spiegarla ai suoi simili.

Edoardo Da [email protected]

La stampa dei giornalai (E non dei giornalisti)

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Mi è capitato di leggere qual-che settimana fa un articolo su Sconfinare intitolato “Il pa-triottismo nella Madre Russia” di Edoardo Da Ros e ciò mi ha fatto riflettere parecchio su quale sia realmente il valore del patriottismo russo: è sem-plicemente una manifestazione di sciovinismo, imbottito di re-torica, frutto della propagan-da, o è qualcosa di più, che noi non riusciamo a cogliere? Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto abbando-nare il proprio punto di vista (il famoso cambio del punto di vi-sta, l’unico in grado di risolve-re pacificamente un conflitto di valori) e sforzarsi di capire una società diversa dalla propria, che ha determinati valori e una determinata mentalità, che solo per il fatto di essere diversa non può essere considerata a priori come sbagliata e rigettata.Certo, la Russia è un paese au-toritario, orgoglioso di sé, dove vengono violati i diritti umani e dove si conduce una guerra sanguinaria in Cecenia. I russi vengono accusati di ogni crimi-ne contro i diritti dell’uomo e di non volere lasciare finalmen-te indipendente questo piccolo paese: ma vi siete mai chiesti perché paesi democraticissi-mi come la Spagna o come la Gran Bretagna non vogliono concedere l’indipendenza alle rispettive minoranze (i baschi e i nord irlandesi) che la richie-dono da tempo? Si tratta di me-todi diversi, sì, ma la sostanza non cambia.L’Italia viene descritta nell’ar-ticolo succitato come un paese

che finalmente ha imparato a non sentirsi patriottico e a non credersi superiore ad altri pae-si. Secondo me, però, il patriot-tismo non si manifesta solo nel-le celebrazioni di piazza per la vittoria in una guerra; si cele-bra anche durante le partite di calcio della nazionale, durante le olimpiadi, durante eventi politici che mettono in risalto il paese, durante le trattative economiche fra un’importante

industria nazionale e le indu-strie straniere e così via. Natu-ralmente l’Italia non festeggia la vittoria nella seconda guer-ra mondiale, perché questa non c’è stata; non festeggia in modo così “sciovinista” le vittime di tale guerra perché ci sono ancora delle opinioni contrastanti su di essa e perché

le generazioni successive non sentono più il bisogno di que-ste celebrazioni (è meglio fare festa quando vince la propria squadra del cuore).Nel caso della Russia, invece, come si fa a non celebrare la vittoria in una guerra dove 26 milioni di connazionali hanno perso la vita? Certo, voi dire-te che è colpa di Stalin, delle purghe e dell’impreparatezza del paese, e io sono la prima

ad ammetterlo! Ma vincere in una guerra così grande, così crudele, dove si viene descritti come un popolo inferiore che non ha nemmeno diritto ad essere istruito e, infine, perché no, dare il contributo decisivo al risultato di una guerra di tali proporzioni, è un sentimen-to che, permettetemi, non può

UNA RIFLESSIONE SUL VALORE DEL PATRIOTTISMO RUSSOLettere alla redazione

essere liquidato come una sem-plice manifestazione di sciovi-nismo o di superiorità del pro-prio paese rispetto agli altri.Infine, nell’articolo si dice che l’Italia non si crede superiore a nessuno e non le interessa nemmeno esserlo, convinta che nessuno in fondo sia superiore a nessun altro. È un sentimento nobile e degno di ammirazione senz’altro, ma permettetemi un dubbio: ritenere che il modello

democratico occidentale sia il migliore possibile e che altri paesi debbano per forza ade-guarvisi, non è di per sé una manifestazione di superiorità? Io, pur essendo democratica convinta, ritengo che la demo-crazia non sia instaurabile in tutti i paesi nel mondo (e ve ne sono parecchie ragioni) e che la stessa esportazione forzata della democrazia sia un valore molto dubbio.Il patriottismo è un misto di storia, cultura, tradizioni, amo-re per la patria, mentalità... Quello russo è un patriottismo che proviene dall’animo del popolo, un patriottismo fatto non solo di retorica sovietica o zarista, un patriottismo che ha secoli di storia ed è stato cele-brato da centinaia di scrittori, filosofi e poeti. Quando mi è ca-pitato di leggere “Taras Bul’ba” di Gogol’, mi sono venute le la-crime agli occhi dall’emozione provata ed ho compreso che il tuo paese può essere autorita-rio, corrotto o fare schifo quan-to vuoi, ma è sempre il luogo

dove sei nato ed anche dei tuoi genitori, e solo per questo deve essere onorato o quanto meno rispettato.In conclusione, voi direte che quelli russi sono dei valori con-servatori, reazionari, sciovinisti o altro…come preferite. Io dico semplicemente che si tratta di valori diversi, comprensibili solo se si conosce bene la sto-ria, la cultura, le sofferenze che questo popolo ha dovuto subire

nella storia e, perché no, si ha a cuore il popolo slavo. Certo, è un paese che o si ama o si odia (la terza via è naturalmente l’indifferenza), ma state sicuri che la presunta freddezza e la superbia dei russi con un po’ di calore amichevole si scioglie come la neve al sole e diventa un’amicizia sincera che chiede poco e dà tanto. Confermato dalla mia esperienza personale!

---La risposta e' molto bella e offre moltissimi spunti di riflessione. Uno su tutti: i russi sono i mo-scoviti e pietroburghesi o anche i siberiani? Credo ci siano note-voli differenze nella percezione del giorno della vittoria e del patriottismo a seconda di quan-to lo stato coinvolge le masse e credo non esistano dubbi sulla differente percezione dello sta-to tra le metropoli e la Siberia. La mia inoltre era una critica dettata dall'affetto che provo per le persone che ho cono-sciuto a Mosca; non imporrei niente di niente a nessuno, men che meno la democrazia, anche se la ritengo il miglior compro-

Periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di registrazione 4/06

Editore e Proprietario: ASSID .“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”

RedazioneAlessandro Battiston, Andrea Bonetti, Marco Brandolin, Francesco Bruno, Edoardo Buonerba, Elisa Calliari, Da-vide Caregari, Valeria Carlot, Tea Chkhaidze, Giovanni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Gabriella De Domenico, Attilio Di Battista, Federico Faleschini, Nicoletta Favaretto, Samuele Zeriali, Guglielmo Federico Nastasi, Antonino Ferrara, Michela Francescutto, Margherita Gianessi, Francesco Gallio, Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Matteo Lucatello, Andrea Lucchetta, Giacomo Manca, Francesco Marchesano, Elena Mazza, Mattia Mazza, Monica Muggia, Luca Nicolai, Agnese Or-tolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Massimo Pieretti, Diego Pinna, Giulia Pizzini, Francesco Plazzotta, Emiliano Quercioli, Tommaro Ripani, Federica Salvo, Francesco Scatigna, Bojan Starec, Eva Stepancic, Matteo Sulfaro, Rodolfo Toè, Athena Tomasini, Margherita Visimara, Samuele Zeriali.

Contabilità: Valeria Carlot e Francesco ScatignaImpaginazione e grafica: Diego Pinna, Giovanni Collot, Francesco Marchesano, Federico FaleschiniWebmasters: Diego Pinna, Tommaso Ripani, Federico FaleschiniVignette: Stefano FacchinettiTraduzione in sloveno: Samuele Zeriali, Tom Loèniškar, Fabiola Torroni, Dimitri BrandolinCorrettore di bozze: Rodolfo ToèOrganizzazione eventi: Edoardo Buonerba

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BREZPLNCA ŠTEVILKA številka 20 - junij 2009

www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

[email protected]

Živio Gorica. Živio Mednarodne in Diplomatske Vede Predpostavljam, to ni

nostalgičen članek. Ne, do-bro, v to ne verjamem niti jaz. V redu, poskusimo to-rej tako: Sconfinare je igra. Da, Sconfinare je od vedno bila igra. Lahko rečem to, saj začeli smo ker bilo nam je dolgčas, in smo se hoteli igra-ti na “časnikarje”. Bile so nam všeč besede, milijoni besed. Škoda, ker smo imeli samo malo prostora kamor bi jih lahko pisali. Šestnajst stra-ni, dvatisočštiristo besed na vsaki strani, če ne pomnem slabo, med šest in osemsto za vsak članek, skoraj štiristo na založbo. (Ahi, sem zavrgel cel kup). Denar, ah, potrebo-vali smo mnogo denarja. In torej, takoj prošnje na Zadru-go, Univerzo, Erdisu, Občino, Pokrajino, Deželo, in celo na Evropsko unijo. Edino Ga-bassija ni skrbel denar, prav on nam je svetoval, naj nati-snemo brez denarja. Gospa Ferrigutti Erdisu-ja se ni prav nič strinjala s tem. Zabavali smo se, ko smo izpolnjevali obrazce, ki so nas spraševali naj jim obrazložimo kaj prav za prav je Sconfinare in ko-liko številk bo izšlo v enem letu. Še bolj nas je zabavalo igranje na skrivanje z našim odgovornim založnikom, Bojanom Starcem, vedno na razpolago a zmeraj v zamudi. Igra nas je tako prevzela, da smo se zabavali pri pripravi strani, in še posebno Indesi-gna. Torej, študirali smo na

Po zaključku Alumni Day, ho-tel bi se zahvaliti vsem, ki so prispevali pri uspehu pobude in povedati še dve besedi o prihod-nosti.

Gotovo je bila pobuda, ki je po-tekala v soboto 6 junija, ponov-

no uspešna in bila je zmaga za vse študente SID-a. Pobuda je nastala lansko leto, ko je Tan-credi predlagal nam predstavni-kom idejo o Alumni Day, ki naj bi potekal na dne 20 letne oblet-nice otvoritve razredov na ulici Alviano. Od tedaj med študenti se je povečalo delo in navdušje, čeprav ostal je skepticizem tistih ki niso verovali v pobudo in/ali v naše sposobnosti. Nekdo je rekel “sodelovali bodo le 10 alumni”, drugi pa je zaključil “ pobuda je preveč ambicijoz-na”; a bolj so izzivi težavni, več navdušijo študente SID-a. Tako smo izpeljali načrt s tem da raz-bijemo uspavalni čar; skupina

sodelovalcev je rastla iz dneva v dan, odgovor je bil uspešen.

Precej stvari smo hoteli dokazati mnogim. Tistim, ki na univerzi v Trstu pravijo “itak vsi študenti SID-a gredo delati v podjetja se-verovzhodne Italije in ne v med-

narodne organizacije …”, hotel bi sedaj vprašati zakaj niso prišli na Alumni Day; tistim, ki so nas obtožili, da smo predrzni in tudi malo razvajeni, ter, da znamo samo presojati, odgovorim, da očividno so napačno sodili; ti-stim, ki so trdili, da je naš uni-verzitetni tečaj v zatonu in, ki so se bali, da bo Alumni Day zgle-dal kot “labodji spev”, rečem da dokler študenti bodo tam, edini a hrabri branilci kvalitete SID-a, smrt laboda lahko počaka.

Nihče ni verjel v našo idejo, in zato končno so nas vsi pohva-lili. Rektor Francesco Peroni je govoril o “…občudovanju

za študente…”, nato drget je pretekel dvorano, ko je rektor podčrtal, da tokrat “Gorica je prekosila Trst” in je potrdil da v SID-u on vidi tisočletno tradicijo velikih univerz. Besede Peroni-ja nam dajo navdušenje in ponos. Nihče si ni dočakal, da rektor tržaške univerze bi proglasil, medtem ko je rezal torto 20 letne obletnice SID-a, “To je Univer-za. Živio Gorica. Živio Medna-rodne in Diplomatske Vede” ? Nihče ne bo moral več reči, da v dvajsetih letih so tukaj prodajali samo dim, da tu ni bilo kvalitete, a samo podarjene ocene.

Torej bil je pravi uspeh, zma-ga vseh sedanjih in preteklih študentov SID-a. Brez njih vse to ne bi bilo mogoče in zahvaliti bi se moral mnogim, a bojim se, da bi članek postal predolg. Vsi tisti, ki so bili prisotni v soboto 6 junija so lahko vidli (in res so!) povsem prostovoljni in globoki trud predstavnikov ASSID-a … res hvala vsem. Posebna zahvala gre Prof. Capellari, Prof. Swain in Prof. Cecchini-ju, to so edini, ki so že od vsega začetka verjeli v pobudo in nas podprli.

Sedaj pa je treba gledati v naprej, da dediščina srečanja 160 alumni ne gre v izgubo. Nadaljevati bo treba z Alumni Day, najbolje če vsake dve leti. Potrebno bo ust-variti stalen network s pomočjo spletne strani ASSID-a, ki naj bi omogočala mentoring med alum-ni in študenti in networking med alumni SID-a. Treba bo utrditi tradicijo, ki je že prisotna izmed študenti SID-a ter pokazati vsem, da network med alumni je prava priložnost in vrednota za SID.

Ta veliki uspeh je bil samo prvi, mali korak. Druge jih moramo mi napraviti.

Hvala vsem.

Attilio Di BattistaPrevedel: Samuele Zeriali

20 let SID-a, 20 številk časopisa Sconfinare Uredniško

20° goda 3°

številk

Fakulteti mednarodnih in diplomatskih ved, in verjeli smo v mir med narodi in v mir čustev; iskali smo preva-jalce. Našli smo samo enega, a neutrudljivega, Samuele, ki je prevajal, prevaja, in bo prevajal Sconfinare, v sto-letjih in stoletjih Amen. Ne-kaj seveda nam ni manjkalo, in to so bile ideje. Oziroma, ko smo premostili začetno sramežljivost, smo imeli pre-cej težav, da smo se držali danega prostora. Tekmovali smo kdo bo dobil rubriko; bilo je krvoločno. Vprašajte tiste, ki so hoteli štiri stra-ni za “ženski kotiček”. Torej, zelo smo se zabavali in kot zgleda to igro je resno začel tudi nekdo drug. Nova gene-racija “norih prekoračencev”, bi lahko rekli. Spremljajo jih nekateri stare generacije, prevzeli so navado besed, pa-pirja in formularjev Erdisu-ja. če se ne motim, je nekega dne tako rekel Carletto Maz-zone: “V življenju ti lahko odvzamejo karkoli, ljubico, denar, čast, ampak dosežkov, teh, ti jih ne bo odvzel nihče.” Dvajset številk je dosti za vse, bodisi za tiste, ki z no-stalgijo berejo Sconfinare, in tudi za tiste, ki brez njega ne morejo preživeti in so prišli do tega cilja brez zaprek. Gotovo, če bi bilo mogoče jih natisniti še dvajset…

Emmanuel Dalle MullePrevedla: Fabiola Torroni