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N°93 Agosto 2015 1 Newsletter N° 93 Agosto 2015 Trifirò & Partners Avvocati Diritto del Lavoro Attualità 1 Le Nostre Sentenze 5 Cassazione 8 Diritto Civile, Commerciale, Assicurativo Assicurazioni, Locazioni, Responsabilità 9 Il Punto su 11 Eventi 13 R. Stampa 14 Contatti 15 La nuova disciplina del part-time Con il D.Lgs. n. 81/2015, nel ridisegnare le diverse tipologie contrattuali, il legislatore ha introdotto anche una nuova disciplina per il rapporto di lavoro part-time. Obiettivo della riforma, nel rispetto della legge delega n. 183 del 2014, anche per il part-time, così come per le altre tipologie contrattuali, è - in primo luogo - la semplificazione dell’istituto. Non solo. La nuova disciplina appare aver perseguito l’ulteriore scopo del Legislatore, costituito dal rendere il lavoro part-time più funzionale rispetto alle esigenze organizzative e produttive dell’impresa. Questa in sintesi la disciplina del (nuovo) contratto di lavoro part-time. Nel rapporto di lavoro subordinato, l’assunzione può avvenire sia a tempo pieno che a tempo parziale; quest’ultimo, stipulato per iscritto ai fini della prova, deve contenere l’indicazione puntuale della durata della prestazione lavorativa, del giorno, della settimana, del mese e dell’anno. Quando l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione dei suddetti elementi può essere fatta anche attraverso un rinvio ai turni programmati su fasce orarie prestabilite. Il lavoro supplementare non è più limitato al solo part-time orizzontale: il datore di lavoro ha facoltà di richiederlo entro i limiti del normale orario contrattuale anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi. Se la contrattazione collettiva non prevede una disciplina specifica relativa al lavoro supplementare ed alle modalità retributive riferite allo stesso, il datore di lavoro ne può chiedere lo svolgimento in una misura non superiore al 25% delle ore settimanali concordate. Non è (più) richiesto il consenso del lavoratore interessato il quale, tuttavia, può sottrarsi alla richiesta per comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. La possibilità di fare svolgere lavoro straordinario (vale a dire quello oltre la durata del normale orario di lavoro legale o contrattuale) è estesa ad ogni forma di rapporto a tempo parziale. Quanto alle clausole elastiche, ai sensi della nuova disciplina, le stesse ricomprendono qualsivoglia modifica/variazione dell’orario di lavoro, ivi

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Newsletter N° 93 Agosto 2015

Trifirò & Partners Avvocati

Diritto del Lavoro

Attualità 1

Le Nostre Sentenze 5

Cassazione 8

Diritto Civile, Commerciale, Assicurativo

Assicurazioni, Locazioni, Responsabilità 9

Il Punto su 11

Eventi 13

R. Stampa 14

Contatti 15

La nuova disciplina del part-time Con il D.Lgs. n. 81/2015, nel ridisegnare le diverse tipologie contrattuali, il legislatore ha introdotto anche una nuova disciplina per il rapporto di lavoro part-time.

Obiettivo della riforma, nel rispetto della legge delega n. 183 del 2014, anche per il part-time, così come per le altre tipologie contrattuali, è - in primo luogo - la semplificazione dell’istituto. Non solo. La nuova disciplina appare aver perseguito l’ulteriore scopo del Legislatore, costituito dal rendere il lavoro part-time più funzionale rispetto alle esigenze organizzative e produttive dell’impresa.

Questa in sintesi la disciplina del (nuovo) contratto di lavoro part-time.

✦Nel rapporto di lavoro subordinato, l’assunzione può avvenire sia a tempo pieno che a tempo parziale; quest’ultimo, stipulato per iscritto ai fini della prova, deve contenere l’indicazione puntuale della durata della prestazione lavorativa, del giorno, della settimana, del mese e dell’anno.

✦Quando l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione dei suddetti elementi può essere fatta anche attraverso un rinvio ai turni programmati su fasce orarie prestabilite.

✦Il lavoro supplementare non è più limitato al solo part-time orizzontale: il datore di lavoro ha facoltà di richiederlo entro i limiti del normale orario contrattuale anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi.

✦Se la contrattazione collettiva non prevede una disciplina specifica relativa al lavoro  supplementare ed alle modalità retributive riferite allo stesso, il datore di lavoro ne può chiedere lo svolgimento in una misura non superiore al 25% delle ore settimanali concordate. Non è (più) richiesto il consenso del lavoratore interessato il quale, tuttavia, può sottrarsi alla richiesta per comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

✦La possibilità di fare svolgere lavoro straordinario (vale a dire quello oltre la durata del normale orario di lavoro legale o contrattuale) è estesa ad ogni forma di rapporto a tempo parziale.

✦Quanto alle clausole elastiche, ai sensi della nuova disciplina, le stesse ricomprendono qualsivoglia modifica/variazione dell’orario di lavoro, ivi

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Newsletter T&P comprese, quindi, quelle c.d. in aumento e quelle relative ad una diversa dislocazione rispetto a quanto pattuito nel contratto.

In mancanza di regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, lavoratore e datore di lavoro possono stipulare accordi dinanzi ad un organo di certificazione.

✦Ancora con riferimento alle clausole elastiche, sotto il profilo retributivo, in mancanza di una disciplina da parte della contrattazione collettiva, è prevista una maggiorazione pari al 15% sulle ore per le quali si è verificata la variazione rispetto all’orario concordato. Il limite delle ore oggetto di variazione non può essere superiore al 25% della normale prestazione annua a tempo parziale. Il diritto alla maggiorazione è subordinato alla effettiva sussistenza di una variazione di orario, non essendo previsto alcunché per la mera disponibilità.

✦Alla contrattazione collettiva, anche aziendale, è rimessa la possibilità di prevedere tempi ridotti: (i) per il periodo di prova, (ii) per il preavviso e (iii) per la durata del periodo di comporto. È confermato, invece, il principio di proporzionalità della retribuzione rispetto al tempo pieno.

✦Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

✦Restano confermate le motivazioni/ipotesi che consentono di trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale, con diritto al ripristino della situazione precedente, nel caso in cui le condizioni di salute lo consentano (vale a dire malattia oncologica, terapie salvavita). Sono state aggiunte le gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti. Le predette condizioni devono essere accertate da una struttura sanitaria pubblica; nel caso in cui la malattia riguardi un parente, il lavoratore gode di un diritto di priorità, rispetto ad altri dipendenti, ai fini della trasformazione del rapporto da tempo pieno ad orario ridotto.

✦È parzialmente modificata la disciplina relativa al c.d. diritto di precedenza: il riferimento è alle mansioni di pari livello all’interno della categoria legale (e non più alle stesse oppure equivalenti mansioni). Inoltre, nell’ipotesi si verifichi la necessità di una assunzione a tempo parziale, il datore di lavoro è tenuto a far conoscere tale opportunità a tutto il personale in forza a tempo pieno che lavora nello stesso ambito comunale e, di conseguenza, a prendere in considerazione le eventuali richiese di trasformazione del rapporto presentate dal personale interessato.

✦Il lavoratore o la lavoratrice, per una sola volta, invece di usufruire del congedo parentale (previsto nei casi di cui agli artt. da 32 a 38 del D.Lgs. n. 151/2001) ha diritto di chiedere la trasformazione, da tempo pieno a tempo parziale, del proprio rapporto di lavoro in correlazione con il periodo di congedo ancora da usufruire. La riduzione dell’orario non può essere superiore al 50%. Il datore di lavoro non può opporsi alla richiesta e deve darvi seguito entro quindici giorni.

✦Quanto all’apparto sanzionatorio:

• la forma scritta, come innanzi detto, è prevista ai fini della prova: è ammessa la prova testimoniale;

• la dichiarazione giudiziale della sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo pieno ha effetto dal momento della sentenza;

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Newsletter T&P • nell’ipotesi in cui vengano svolte prestazioni in esecuzione di clausole flessibili senza rispetto delle

condizioni, delle modalità e dei limiti fissati dalla legge o dalla contrattazione collettiva, è riconosciuto al lavoratore, oltre alla retribuzione dovuta, il diritto ad un risarcimento del danno.

Come trasformare i disoccupati anziani.... in “apprendisti” L’art. 47, co. 4, del D.lgs. 81 del 2015, noto anche come il codice dei contratti, ha introdotto una forma di apprendistato professionalizzante destinata alle persone che beneficiano dell’indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione. Con lo scopo di agevolare la “qualificazione o riqualificazione professionale” dei lavoratori rimasti privi di occupazione, la norma prevede che il contratto di apprendistato possa essere stipulato a prescindere dall’età anagrafica, in deroga, quindi, al limite dei 29 anni.

Rispetto, tuttavia, alla disciplina generale del contratto di apprendistato, due peculiarità afferenti (i) alla risoluzione del contratto e (ii) alla durata dell’agevolazione contributiva:

(i) il datore di lavoro non può esercitare la facoltà di disdetta al termine del periodo formativo, ma deve applicare le regole ordinarie in materia di licenziamenti individuali;

(ii) anche in caso di conferma in servizio del lavoratore, non spetta - a differenza che negli altri casi - la proroga di un anno della contribuzione agevolata. 

Ed ancora, per i lavoratori beneficiari dell’indennità di mobilità (assunti con il contratto di apprendistato di che trattasi), opera il regime contributivo agevolato di cui all’art. 25, comma 9, della legge n. 223 del 1991, e l’incentivo di cui all'art. 8, comma 4, della medesima legge. Per il resto, sono applicabili anche a tali contratti tutte le altre regole previste per l’apprendistato professionalizzante.

Damiana Lesce

Comitato di Redazione: Francesco Autelitano, Stefano Beretta, Antonio Cazzella, Teresa Cofano, Luca D’Arco, Diego Meucci, Jacopo Moretti, Damiana Lesce, Luca Peron, Claudio Ponari, Vittorio Provera, Tommaso Targa, Marina Tona, Stefano Trifirò e Giovanna Vaglio Bianco

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Newsletter T&P Primi chiarimenti dell’INPS in materia di lavoro accessorio A cura di Antonio Cazzella Con la recente circolare n. 149 del 12 agosto 2015 l’Inps ha fornito i primi chiarimenti in materia di lavoro accessorio, attualmente disciplinato dagli articoli da 48 a 50 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, che ha abrogato le precedenti disposizioni contenute negli articoli da 70 a 73 del d.lgs. n. 276/2003.

Si ricorda che l’art. 48 del d.lgs. n. 81/2015 ha innalzato il limite massimo del compenso che il lavoratore può percepire sino a 7.000 euro (al netto delle trattenute) per ogni anno civile (1° gennaio - 31 dicembre), rivalutabili annualmente; il limite annuale dei compensi è, quindi, l’elemento che ormai definisce le caratteristiche oggettive del lavoro accessorio, essendo precluso agli organismi ispettivi ogni eventuale accertamento in merito alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

L’art. 49 del citato decreto legislativo n. 81/2015 ha introdotto un’importante novità, prevedendo che i committenti liberi professionisti ed imprenditori debbano acquistare, esclusivamente con modalità telematiche, uno o più carnet di buoni orari (il cui valore è attualmente stabilito dalla stessa norma, in attesa dell’emanazione di apposito decreto del Ministero del Lavoro).

La circolare n. 149/2015 ha chiarito che l’acquisto dei buoni potrà avvenire attraverso:

• la procedura telematica INPS (c.d. voucher telematico), descritta nell’allegato 1 della stessa circolare;

• tabaccai che aderiscono alla convenzione INPS - FIT e tramite servizio internet banking Intesa Sanpaolo;

• Banche Popolari abilitate.

I committenti non imprenditori e professionisti (ad esempio, enti locali) potranno continuare ad acquistare i buoni anche presso gli uffici postali situati su tutto il territorio nazionale, oltre ai canali di acquisto sopra descritti.

Con riferimento alle modalità di comunicazione della prestazione, l’art. 49 del d.lgs. n. 81/2015 ha stabilito che i committenti imprenditori e liberi professionisti sono tenuti, prima dell’inizio della prestazione, a comunicare alla direzione territoriale del lavoro competente, attraverso modalità telematiche (ivi compresi sms o posta elettronica) i dati anagrafici ed il codice fiscale del lavoratore, indicando anche il luogo della prestazione.

A tal riguardo, la circolare INPS ha richiamato la nota del Ministero del Lavoro, n. 3337 del 25 giugno 2015, con la quale è stato chiarito che, al fine dei necessari approfondimenti in ordine all’attuazione di tale obbligo di legge e nelle more dell’attivazione delle relative procedure telematiche, la comunicazione in questione sarà effettuata secondo le precedenti procedure (ovvero, telematicamente all’INPS, che poi provvede a trasmetterla all’INAIL, come confermato da quest’ultimo Istituto con nota del 7 luglio 2015).

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LA SENTENZA DEL MESE LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO DETERMINATO DA INFORTUNIO SUL LAVORO (Tribunale di Marsala, Ordinanza 10 luglio 2015) Con ordinanza del 10 luglio 2015, il Tribunale di Marsala ha rigettato il ricorso proposto da una lavoratrice licenziata per superamento del periodo di comporto, in conseguenza di un infortunio sul lavoro avvenuto nel negozio presso il quale ella prestava la sua attività. In particolare, la lavoratrice ha affermato che l’assenza determinata da un infortunio sul lavoro non poteva essere computata ai fini del comporto; inoltre, ha dedotto che le scale interne del negozio, sulle quali ella era caduta, non erano conformi alle regole di sicurezza e che, comunque, era stata sottoposta ad uno stress da eccessivo lavoro, che aveva agevolato la caduta stante la stanchezza accumulata. Il Tribunale ha accertato che il CCNL (Terziario) prevede espressamente, ai fini del periodo di comporto, l’equiparazione delle ipotesi di malattia a quelle di infortunio, comprendendo tale ultima ipotesi anche i casi di infortunio sul lavoro. Tale equiparazione risulta legittima alla luce del costante orientamento della Suprema Corte, secondo cui la malattia e l’infortunio sul lavoro sono entrambi oggetto della tutela predisposta dall’art. 2110 cod. civ., anche per quanto attiene al potere demandato all’autonomia collettiva di determinare la durata della conservazione del posto di lavoro e di identificare i criteri per il calcolo del comporto, essendo, quindi, consentita una considerazione unitaria o differenziata delle due situazioni ad opera delle parti stipulanti il contratto collettivo (cfr. Cass. 8 maggio 1998, n. 4718; più recentemente, in motivazione, Cass. 10 agosto 2012, n. 14377). Inoltre, il Tribunale di Marsala ha rilevato che le deduzioni della lavoratrice in relazione all’omissione delle misure di sicurezza erano generiche, richiamando i principi affermati, anche recentemente, dalla Suprema Corte, secondo cui compete “al lavoratore l’allegazione dell’omissione commessa dal datore di lavoro nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno, non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione di ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva” (Cass. 11 febbraio 2015, n. 2687). Peraltro, il Tribunale ha comunque precisato che il datore di lavoro aveva fornito, anche mediante documentazione fotografica, precise allegazioni sull’esistenza di adeguate protezioni (corrimano e bandelle antiscivolo su ogni gradino delle scale). Da ultimo, il Tribunale di Marsala ha evidenziato che non erano condivisibili le deduzioni della lavoratrice in relazione allo stress da superlavoro; in particolare, il Tribunale ha osservato che l’infortunio si era verificato all’ora di chiusura antimeridiana del negozio, al termine di una normale giornata di lavoro. Pertanto, non era possibile collegare l’infortunio con una situazione di eccezionale stress da lavoro, che avrebbe potuto giustificare, in qualche misura, un grado di stanchezza esorbitante da quello ordinariamente connesso alle mansioni della lavoratrice, tale da rallentarne i riflessi ed agevolare una caduta dalle scale (diversamente dal caso in cui l’infortunio si fosse verificato, ad esempio, al termine di un’intera giornata, durante la quale la lavoratrice avesse svolto un certo numero di ore di lavoro straordinario). Causa seguita da Antonio Cazzella

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ALTRE SENTENZE

RISARCIMENTO PER LAVORO “USURANTE”: LA DIPENDENZA DELLA MALATTIA DA CAUSA DI SERVIZIO NON BASTA (Corte d’Appello di Trieste, 13 aprile 2015, n. 538)

Un lavoratore aveva convenuto in giudizio il proprio datore al fine di sentire accertare e dichiarare il suo diritto al risarcimento di un preteso danno alla salute, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., sostenendo che il maggior carico di lavoro sopportato, legato ad alcune modifiche nell’organizzazione aziendale, gli aveva causato un “disturbo cronico dell’adattamento con ansia e umore depresso”. Il Tribunale, a seguito della disposta consulenza tecnica medica, aveva accertato la riconducibilità della patologia lamentata dal dipendente al contesto lavorativo e aveva condannato la datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico. La società ha impugnato la sentenza di primo grado avanti alla Corte d’Appello di Trieste, che, in accoglimento delle difese datoriali, ha riformato la decisione. La Corte triestina, pur prendendo atto della dipendenza della malattia da una causa di servizio (quale era risultata dalla CTU), ha rilevato che tale circostanza non era sufficiente a dimostrare la sussistenza di una responsabilità datoriale. Infatti, secondo la Corte, anche in tal caso il lavoratore che agisce in giudizio, al fine di ottenere il risarcimento del danno ex art. 2087 cod. civ., deve dimostrare la violazione, da parte del datore, di specifiche disposizioni di legge in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, violazione che, nel caso di specie, i Giudici d’Appello hanno ritenuto insussistente, perché non provata. In definitiva, il principio affermato dalla Corte d’Appello è quello secondo cui il deterioramento delle condizioni di salute del lavoratore, pur se avvenuto in occasione ed in correlazione con attività lavorativa usurante, non consente di configurare sempre e comunque una responsabilità risarcitoria in capo al datore, occorrendo la prova - a carico del lavoratore - della violazione di obblighi in materia di tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore. Si tratta di una decisione interessante, che si pone nel solco di una giurisprudenza recente ed innovativa (vedasi Cass. 29 gennaio 2013, n. 2038). Causa seguita da Marina Olgiati e Sara Lovecchio

IL FURTO AI DANNI DEL COMMITTENTE DEL DATORE DI LAVORO LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO INDIPENDENTEMENTE DALL’ENTITÀ DEL DANNO ECONOMICO (Tribunale di Chieti, Sezione Lavoro, 23 febbraio 2015)

Una società che svolge, su appalto, servizi di vigilanza ha licenziato un custode per aver sottratto merce di proprietà dell’ipermercato presso cui era comandato in servizio. Il lavoratore ha ammesso il furto, ma ha impugnato il licenziamento adducendo motivi di “bisogno alimentare” alla base del suo gesto, ed eccependo il difetto di proporzionalità tra fatti e sanzione, oltre alla pretesa violazione dell’art. 7 l. 300/1970 per carenza di specificità della contestazione disciplinare. Il Giudice adito, in accoglimento delle argomentazioni esposte dalla Società, ha ritenuto legittimo il licenziamento, tra l’altro osservando che  “Il comportamento di sottrarre le merci (che viceversa avrebbero dovuto costituire oggetto dell’obbligo di custodia) è di per sé fatto idoneo a indebolire la fiducia del datore di lavoro in ordine al futuro corretto adempimento dei propri doveri da parte del lavoratore, e ciò indipendentemente dall’entità del danno materiale cagionato all’Ipermercato, in quanto

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indice della propensione del lavoratore alla violazione degli obblighi di tutela degli interessi e dei beni del datore di lavoro”. Rilevante, ai fini della valutazione circa la sussistenza della giusta causa, anche il danno di immagine  subito dal datore di lavoro rispetto alla propria committente, in ragione del furto perpetrato da un proprio dipendente impiegato nell’appalto. Quanto alla specificità della contestazione, il Giudice ha ritenuto, richiamando l’univoco orientamento della Cassazione, come la lettera di contestazione, sebbene non debba presentare tutti i dettagli dei fatti che si intendono addebitare - “poiché il contesto del rapporto di lavoro in cui i fatti si situano consente al lavoratore di rendersi conto più agevolmente delle vicende ritenute dal datore di lavoro contrastanti con disposizioni di legge, negoziali o aziendali” - deve tuttavia “contenere una sufficiente descrizione dei fatti nella loro materialità”: la descrizione dei fatti è stata ritenuta sufficiente, anche alla luce delle giustificazioni rese dal lavoratore, che dimostravano come lo stesso fosse stato in grado di comprendere i fatti addebitati e messo in condizione di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa. Causa seguita da Damiana Lesce e Valeria De Lucia

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OSSERVATORIO SULLA CASSAZIONE A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella

LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA: FATTISPECIE VARIECon sentenza n. 16268 del 31 luglio 2015 la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte di merito che ha ritenuto illegittimo il licenziamento della dipendente di un istituto di credito, protestata e pignorata. In particolare, è stato evidenziato che la situazione debitoria della dipendente riguardava una vicenda privata che non poteva inficiare il corretto espletamento dei compiti lavorativi e non costituiva violazione del codice di comportamento interno che prevede l’osservanza di una condotta improntata ai principi della disciplina, dignità e moralità. Con sentenza n. 16336 del 4 agosto 2015 la Corte di Cassazione ha riformato la sentenza di merito, ritenendo legittimo il licenziamento disciplinare comminato ad un infermiere per due episodi: il primo riguardava un prelievo di sangue che stava per eseguire su un paziente anziché su un altro (azione impedita solo dall’attenzione del paziente medesimo), il secondo riguardava la trasmissione al pronto soccorso della cartella clinica di una persona differente da quella mandata per le cure, che - tra l’altro - era caduta in coma dopo un’ora dall’arrivo. La Suprema Corte ha rilevato che un errato prelievo di sangue può incidere sull’integrità psico-fisica del paziente e che, inoltre, l’errata trasmissione della cartella clinica avrebbe potuto indurre i sanitari del pronto soccorso a scelte inappropriate, sotto il profilo sia diagnostico che terapeutico. Con sentenza n. 16465 del 5 agosto 2015 la Corte di Cassazione ha riformato la sentenza di merito, che aveva escluso la legittimità del licenziamento disciplinare di un dipendente che, durante la malattia, aveva svolto attività subacquea, indicando, peraltro, il villaggio turistico come indirizzo per la reperibilità in caso di visite mediche. La Suprema Corte ha evidenziato che il giudice di merito aveva omesso di valutare se l’attività subacquea svolta dal dipendente, che si era assentato per coliche addominali, potesse compromettere la ripresa del lavoro, precisando che lo svolgimento di attività extralavorativa durante la malattia rileva sotto il profilo disciplinare non solo quando la stessa abbia impedito la ripresa dell’attività lavorativa, ma anche quando tale ripresa sia stata messa in pericolo da un comportamento imprudente del lavoratore.

LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTOCon sentenza n. 16742 del 5 agosto 2015 la Corte di Cassazione ha affermato l’illegittimità del licenziamento per scarso rendimento se, come tale, si considera l’elevato numero di assenze per malattia. In particolare, la Suprema Corte ha rilevato che il licenziamento per scarso rendimento è caratterizzato da un comportamento “colposo” del lavoratore, che dimostra negligenza, incapacità ed imperizia nello svolgimento delle mansioni assegnate, mentre, nel caso di reiterate assenze per malattia, il recesso può essere esercitato solo dopo che si sia esaurito il periodo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, secondo equità;  inoltre, la Corte ha precisato che lo scarso rendimento non poteva essere dimostrato neppure dalle numerose sanzioni disciplinari ricevute dal dipendente nel corso del rapporto di lavoro.

TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE CHE ASSISTE PARENTE IN SITUAZIONE DI HANDICAPCon sentenza n. 15081 del 17 luglio 2015 la Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità del trasferimento di una lavoratrice (nel caso di specie, in altro ufficio distante 9 chilometri da quello originario) disposto in violazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, secondo cui il trasferimento del lavoratore che assiste un parente o affine in situazione di handicap può avvenire solo con il suo consenso. In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che, in tale ipotesi, il trasferimento può essere disposto solo in presenza di condizioni oggettive integranti una condizione di “necessità”, mentre, nel caso di specie, era stato dimostrato che presso l’originaria sede di lavoro erano comunque disponibili altre posizioni in cui la lavoratrice poteva essere adibita.

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Newsletter T&P ASSICURAZIONI, LOCAZIONI, RESPONSABILITÀ

A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano

ASSICURAZIONE DELLA

RESPONSABILITÀ CIVILE

Nell'assicurazione della responsabilità civile ed al di fuori di ipotesi normative di assicurazione obbligatoria, l'obbligazione dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo all’assicurato è autonoma e distinta dall'obbligazione risarcitoria dell'assicurato verso il danneggiato: sicché, non sussistendo un rapporto immediato e diretto tra l'assicuratore ed il terzo, quest'ultimo, in mancanza di una normativa specifica come quella della responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale, non ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore (nella specie, la Corte ha escluso che il locatore avesse azione diretta nei confronti dell'assicuratore del locatario per il risarcimento dei danni seguiti ad un incendio, non sussistendo tra loro alcun rapporto diretto e immediato).(Cassazione, 26 giugno 2015, n. 13231)

GIUDIZIO DI APPELLO

I documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo non possono essere considerati nuovi, sicché, pur non prodotti nella fase di opposizione, ne è ammissibile l’allegazione con l’atto di appello, senza che operino i limiti di cui all’art. 345, comma 3, nel testo introdotto dall'art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353. (Cassazione, 10 luglio 2015, n. 14475)

CLAUSOLA DI DEROGA

DELLA COMPETENZA -

SOPPRESSIONE

DELL’UFFICIO

GIUDIZIARIO -

CONSEGUENZE

Qualora l’ufficio giudiziario scelto dalle parti come foro convenzionale sia soppresso dalla legge tramite accorpamento ad altro ufficio, la clausola di deroga della competenza non perde efficacia, ma va riferita all’ufficio accorpante. (Cassazione, 9 luglio 2015, n. 14390)

RESPONSABILITÀ CIVILE

DEL PROFESSIONISTA

Qualora il curatore fallimentare, commercialista, sia responsabile di un danno ingiusto cagionato nell’espletamento della sua attività di ausiliare di giustizia, l’assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (salvo che il rischio sia espressamente escluso dal contratto), atteso che l’attività di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per i commercialisti dalla legge, in quanto il professionista intellettuale non esaurisce la sua attività professionale nell’ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche (articoli 2227 e 2230 c.c.) relative al contratto di

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prestazione d’opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando nell’ambito di tale attività espleta un incarico giudiziario (curatore fallimentare, notaio delegato allo scioglimento delle divisioni, consulente tecnico d’ufficio), in relazione al quale svolge pubblici poteri. (Cassazione n. 15030 del 2005, successivamente confermata da n. 2460 del 2009). (Cassazione, 22 giugno 2015, n. 12872)

OPPOSIZIONE A D.I.

L'opposizione a decreto ingiuntivo, pur essendo volta ad infirmare o modificare il decreto opposto, presupponendo quindi che quest'ultimo non sia divenuto irrevocabile, non costituisce un mezzo d'impugnazione, e non è pertanto soggetta alla relativa disciplina, con la conseguenza che la produzione della copia notificata del decreto opposto non è richiesta a pena d'improcedibilità, ma solo quale mezzo necessario per la verifica della tempestività dell'opposizione, e quindi come condizione di ammissibilità della stessa, la cui prova può essere desunta anche dai documenti prodotti dalla controparte o comunque acquisiti al processo. (Cassazione, 13 luglio 2015, n. 14582)

RESPONSABILITÀ EX

ART. 2051 C.C.

Nell'ipotesi di sinistro mortale occorso nell'ambito di una gara di go kart, va esclusa la responsabilità degli organizzatori allorché sia emerso che la causa dell'accaduto andava ricercata nella condotta di uno dei partecipanti alla gara, sulla quale gli organizzatori non potevano influire, e che nemmeno la predisposizione delle diverse e più efficienti protezioni invocate dagli attori avrebbe potuto evitare l’evento. (Cassazione, 30 giugno 2015, n. 13327)

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IL PUNTO SU A cura di Vittorio Provera

LA NUOVA DISCIPLINA DEL CONTRATTO DI GODIMENTO DEGLI IMMOBILI IN FUNZIONE DI SUCCESSIVA ALIENAZIONE

Ci eravamo occupati tempo fa della fattispecie negoziale normalmente identificata con la locuzione inglese “Rent to Buy”. La materia ora ha trovato una specifica disciplina normativa, con l’approvazione del D. Legge n. 133 del 2014 convertito nella Legge n. 164/2014, meglio conosciuta anche come “Sblocca Italia”.

All’art. 23, infatti, è introdotta una nuova forma contrattuale, sbrigativamente ed impropriamente definita “affitto più promessa di acquisto,” che fornisce uno strumento negoziale certamente importante per il rilancio di determinate attività nel settore edilizio. Il 1° comma del predetto articolo 23 così recita: “i contratti diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’art. 2645 bis Cod. Civ.. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’art. 2643 comma primo, n. 8 del C.C.”.

È stato poi introdotto un comma 1° bis, in forza del quale le Parti debbono definire, nell’ambito di detto contratto, la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente (cioè colui che è il proprietario dell’immobile al momento della stipula del contratto) dovrà restituire qualora il conduttore non eserciti il diritto di acquistare la proprietà entro il termine indicato dalle Parti.

Tali due disposizioni, quindi, mettono a fuoco gli elementi fondamentali di questo nuovo contratto che sono: (i) la circostanza che il conduttore, prima dell’acquisto, possa godere dell’immobile con tutte le relative conseguenze; (ii) il diritto riconosciuto, al solo conduttore, di procedere all’acquisto dell’immobile in un determinato termine (senza tuttavia un obbligo, in capo al medesimo, di effettuare l’acquisto); (iii) la necessità di una pattuizione che individui quale parte del canone sia da imputarsi a parziale corrispettivo del futuro ed eventuale trasferimento di proprietà; (iv) la previsione, a livello contrattuale, che una quota del canone imputata a corrispettivo del futuro acquisto - in caso di mancato esercizio del predetto diritto di acquisto - sia restituita al conduttore (quindi con diritto del concedente di trattenere l’ulteriore quota di canone imputata a corrispettivo anche in assenza del trasferimento della proprietà).

Su questi punti si sono già aperte problematiche interpretative, ad esempio ci si è chiesti se il termine “immediata concessione godimento” imponga, sostanzialmente, una consegna dell’immobile contestualmente alla stipula del contratto. In realtà ciò non costituisce un presupposto, anche perché - diversamente - l’istituto sarebbe inapplicabile per i contratti riguardanti gli immobili in fase di costruzione. Pertanto l’aggettivo immediato sottolinea la necessità che il momento dell’acquisto sia preceduto da un periodo di godimento, a prescindere dal momento in cui decorre detto periodo (ovviamente dovrà essere determinato fra le parti).

Altro dato interessante è costituito dal fatto che il contratto, così stipulato, non è tuttavia sufficiente per perfezionare il futuro trasferimento della proprietà, qualora il conduttore eserciti il suo diritto di acquisto.

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Newsletter T&P Per la vendita dell’immobile, infatti, sarà necessario un apposito atto traslativo, con cui verrà completato l’adempimento del trasferimento di proprietà.

Ciò trova conferma nella disposizione contenuta al 3° comma del citato art. 23, dove si stabilisce che “in caso di inadempimento si applica l’art. 2932 c.c.” (che disciplina l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto). Tale dettato presuppone, quindi, che il trasferimento della proprietà non è perfezionato con la semplice sottoscrizione e trascrizione del primo contratto qui in esame.

In base alla previsione del 1° comma, già riportato, le parti non solo devono pattuire l’ammontare del canone che il conduttore deve corrispondere al concedente, ma devono altresì concordare e indicare nel contratto quale parte di detto canone - nell’eventualità di acquisto dell’immobile nei termini indicati - sarà imputata a corrispettivo (parziale) del trasferimento di proprietà del medesimo.

Tuttavia, non è sufficiente tale distinzione, in quanto il comma 1° bis impone che - all’interno della parte di canone da imputarsi al corrispettivo - sia individuata la quota che, in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile da parte del conduttore, l’attuale proprietario deve restituire al medesimo conduttore. Con tale meccanismo quest’ultimo è consapevole che, qualora non dovesse esercitare il diritto all’acquisto dell’immobile, non solo perderà i canoni che erano previsti a fronte del mero godimento, ma anche una quota di canone versata quale corrispettivo dell’acquisto, che rimarrà in capo al concedente (e che controbilancia la libertà riconosciuta al conduttore di addivenire o meno al trasferimento).

La norma ha poi previsto un complesso sistema di trascrizioni del contratto, al fine di tutelare il conduttore da eventuali abusi, anche di terzi, durante il periodo in cui la proprietà è ancora formalmente in capo al concedente (pur essendo il conduttore titolare al diritto di godimento).

Puntuale è anche la regolamentazione della risoluzione per inadempimento. Innanzitutto il contratto si risolve per fatto imputabile al conduttore in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, da parte del medesimo di un numero di canoni - determinato fra le parti - ma comunque non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo (2° comma dell’art. 23).

E ancora, in qualsiasi caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, il concedente avrà diritto sia alla restituzione dell’immobile, sia a trattenere interamente tutti i canoni, a titolo d’indennità. Ovviamente non costituisce inadempimento, come visto, la determinazione del conduttore di non esercitare il diritto di acquisto dell’immobile, in quanto non vi è alcun obbligo al riguardo in capo al medesimo. Il conduttore, in questo caso, è penalizzato dal fatto che potrà avere in restituzione solo una parte della quota di canoni che costituivano corrispettivo del trasferimento del contratto.

Sempre all’art. 23, 5° comma, è normata l’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del concedente, con imposizione a carico di quest’ultimo dell’obbligo di restituire tutta la parte dei canoni imputati a corrispettivo, maggiorata, di interessi legali.

Il legislatore si è anche preoccupato di prevedere le vicende del contratto in caso di fallimento del conduttore e del concedente.

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Newsletter T&P In presenza di fallimento del conduttore, trova applicazione, in linea di principio, l’art. 72 R.D. 16 marzo 42 n. 267, che stabilisce la sospensione dell’esecuzione del contratto fino a quando il Curatore, con l’autorizzazione del Comitato dei Creditori, dichiara di subentrare nel contratto in un luogo del fallito assumendo tutti gli obblighi. Vi sono tuttavia fattispecie particolari che non tratteremo in questa sede.

Qualora il fallimento coinvolga il concedente, il Curatore non potrà opporsi alla prosecuzione del contratto, ferma la possibilità di esperire le azioni revocatorie nei limiti previsti dalla Legge (anche per i casi di di revocatorie di vendita e di preliminari di vendita regolarmente trascritti).

In conclusione, la nuova legge ha introdotto un contratto tipico, diverso da ogni altro contratto (in particolare dalla locazione), che potrà stimolare il settore immobiliare (soprattutto in ambito abitativo) in un contesto di mercato in cui l’accesso al credito è ancora difficoltoso ed inoltre fornisce riferimenti normativi certi, in un campo ove si sono registrati non rari casi di abuso.

EVENTI ✦Milano, 18 Settembre 2015, Grand Hotel et de Milan Convegno Optime: I decreti attuativi del Jobs ActLe tecniche di redazione delle lettere di licenziamento alla luce delle nuove disposizioni e dei recenti orientamenti giurisprudenziali Relatore: Avv. Giacinto Favalli

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DirittoBancario.it: 26/08/2015 Impugnabilità del lodo per violazione di norme di diritto e regime temporale della clausola compromissoriadi Francesco Cristiano

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