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Donatello Santarone CONTRAPPUNTO Materiali per una didattica interculturale della letteratura Aracne

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Donatello Santarone

CONTRAPPUNTO

Materialiper una didattica interculturale della letteratura

Aracne

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Copyright © MMII, ARACNE EDITRICE S.R.L.Editore: dott. Gioacchino Onorati00173 Roma, via R. Garofalo, 133

tel. (06) 72672222 telefax 72672233

[email protected]

ISBN 88–7999–359–3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

I edizione: luglio 2002

I DIRITTI D’AUTORE SONO RISERVATI

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A mia madre

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Indice

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111. Dante e l’Islam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152. La rappresentazione dell’Altro nella

Gerusalemme Liberata di Tasso . . . . . . . . . . . . . 333. La Cina di Fortini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 594. Educazione interculturale e cultura

delle interdipendenze: Ken–Saro–Wiwae la lotta degli Ogoni (Nigeria) . . . . . . . . . . . . . . 69

5. Anche questa Nigeria:un “poema pedagogico” di Ken–Saro–Wiwa . . . 83Appendice: schede interculturali . . . . . . . . . . . . . 113Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141

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E tu concili l’italo e lo slavo,a tarda notte, lungo il tuo bigliardo.

Umberto Saba, Caffè Tergeste.

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PremessaGli scritti raccolti nel presente volume nascono da esperienze

didattiche e sollecitazioni teoriche relative al vasto campo di quelladisciplina di frontiera che è la pedagogia interculturale. Una frontieraattraversata da molteplici saperi che concorrono a definire un’intercul-turalità pedagogica “forte” (storia, sociologia, economia, antropologia,letteratura, ecc.), e, insieme, una frontiera che chiama in causa personeprovenienti da tante parti del mondo che sempre di più abitano ilnostro Paese.

La pedagogia interculturale — che forse, oggi, dovremmo consi-derare l’asse pedagogico fondamentale dell’agire educativo — sipreoccupa fondamentalmente, da una parte, dell’inserimento degli al-lievi stranieri nella scuola (e in generale dei soggetti stranieri, ancheadulti, nei sistemi formativi) e, dall’altra, si interroga criticamente suisaperi trasmessi dalle istituzioni educative, nel tentativo di rileggere inchiave interculturale alcuni momenti significativi di quei saperi.

Poiché la pedagogia interculturale nasce, in Italia e in Europa,strettamente connessa ai fenomeni migratori, essa come prima cosa sipropone di tematizzare e di tradurre sul versante educativo le moltepli-ci implicazioni scaturite dalla presenza di migliaia di persone prove-nienti dal Sud del mondo e dall’Est europeo: rapporti tra autoctoni estranieri portatori di differenti culture e conseguente conoscenza deisoggetti portatori di quelle culture, tentativi più o meno riusciti di con-vivenza (dall’assimilazione al meticciato), caratteri della globalizza-zione capitalistica in atto e suoi effetti sulle migrazioni internazionali,dimensione mondiale dell’educazione e necessità di ripensare il pro-prio canone culturale anche con gli occhi degli altri.

In questa prospettiva l’educazione letteraria a scuola rappresentaun potente veicolo per decolonizzare un immaginario ancora forte-mente italocentrico, incapace, cioè, di conoscere e di sentire l’altro —anche l’altro interno alle proprie tradizioni culturali — non come unaminaccia, ma come occasione di nuovi e spesso imprevedibili scambi.

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Il titolo del presente volume richiama l’uso che della categoria dicontrappunto fa il critico palestinese-statunitense Edward Said in unsuo libro del 1993 1. Nella tradizione musicale dell’Occidente il con-trappunto è l’arte di sovrapporre più linee melodiche e nasce nelMedioevo con la musica polifonica. “Prima di cedere il campo defini-tivamente, il contrappunto ebbe ancora in Bach un artefice sommo cheseppe conciliare magistralmente le esigenze della verticalità (armonia)e dell’orizzontalità (contrappunto)” 2.

Se rileggiamo la storia della cultura in una prospettiva contrap-puntistica — sostiene Said — ci accorgiamo di quanti intrecci, prestiti,incroci è fatta la letteratura. Anche nei momenti più feroci del colonia-lismo e dell’imperialismo la rappresentazione dell’Altro che gli autorioccidentali venivano costruendo non poteva non tener conto, essendo-ne pure influenzata, della cultura dei dominati. I quali a loro volta,come l’ormai noto Calibano di Shakespeare, si appropriavanoanch’essi di lacerti della cultura dominante per trasformarla e rivitaliz-zarla.

“Abbiamo a che fare con la formazione di identità culturali intesenon come essenze date (nonostante parte del loro perdurante fascino èche esse sembrino e siano considerate tali), ma come insiemi contrap-puntistici, poiché si dà il caso che nessuna identità potrà mai esistereper se stessa e senza una serie di opposti, negazioni e opposizioni: igreci hanno sempre avuto bisogno dei barbari, come gli europei degliafricani, degli orientali e così via” 3.

È in questa prospettiva che proponiamo quelli che, nel sottotitolodel volume, abbiamo definito “materiali per una didattica intercultura-le della letteratura”. Si tratta di spunti metodologici, prime campiona-ture per provare a rintracciare i nessi che legano “noi e gli altri” (T.Todorov), per mettere a fuoco la rappresentazione che alcuni autoridella nostra letteratura — Dante, Tasso, Fortini — hanno dato della“diversità” (geografica, religiosa, politica). Una rappresentazione che

12 Premessa

1 E. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto colonia-le dell’Occidente, Gamberetti, Roma 1998 (ed. orig. 1993).

2 G. Manzoni, Voce Contrappunto, in Enciclopedia Europea, Garzanti, Milano1977, vol. III, p.719.

3 E. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto colonia-le dell’Occidente, Gamberetti, Roma 1998 (ed. orig. 1993), p.77.

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contribuisce anch’essa alla creazione di un senso comune degli italianiverso l’alterità autoctona e straniera.

Tale prospettiva si fonda sull’idea che l’educazione interculturalesi rivolga in primo luogo agli italiani e che, perciò, sia utile indagare imodi letterari della costruzione ideologica attraverso cui è stata filtratal’immagine dell’Altro nell’opera di alcuni autori della letteratura ita-liana.

Ma la presenza di allievi stranieri nella scuola e le esperienze dididattica interculturale della letteratura impongono pure di considerarelo studio della letteratura in un’ottica mondiale, accogliendo, in unasorta di “curricolo internazionalista”, le letterature di altri paesi delmondo. Questo spiega i due contributi dedicati allo scrittore nigerianoKen Saro–Wiwa, emblema di quella “cultura di un mondo delle inter-dipendenze” 4 al centro della riflessione interculturale.

Un ringraziamento, infine, a Francesco Susi, pedagogista umani-sta dai molteplici interessi, figura rara oggi, in tempi in cui sembranotrionfare ovunque i “logotecnocrati” della formazione.

In questi anni di sodalizio intellettuale e umano, egli mi ha apertoprospettive di ricerca e ipotesi interpretative nuove, in particolare perle continue sollecitazioni a rileggere la nostra storia nazionale in chia-ve interculturale: un invito a studiare anzitutto noi stessi come antido-to alle sirene dell’esotismo e alla retorica dell’“altro è bello”.

13Premessa

4 F. Susi, L’interculturalità possibile, Anicia, Roma 1995, p. 27.

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1 U. Cerroni, L’identità civile degli italiani, Piero Manni, Lecce 1997, p. 96.

1. Dante e l’Islam

Per tutto il Medioevo il rapporto dell’Europa con il mondo ara-bo–islamico è stato sostanzialmente un rapporto tra pari. Potremmoanzi dire che nei secoli dell’Alto Medioevo il mondo arabo espresseuna decisa superiorità in termini di progresso civile, scientifico e cul-turale. Nessuno dei due campi, in ogni caso, riuscì militarmente e poli-ticamente a sottomettere l’altro e pure negli anni di più intenso conflit-to, quando l’Occidente cristiano decise di intraprendere le crociate,l’equilibrio delle forze rimase invariato.

L’esperienza della dominazione araba in Sicilia nei secoli IX–XIè emblematica — in questa prospettiva — per comprendere il filorosso che ha storicamente legato l’Oriente islamico all’Occidente cri-stiano. Essa ha rappresentato il transito della grande civiltà araba —nei più diversi campi: astronomia, geometria, algebra, matematica,filosofia, letteratura, religione — in Occidente ed ha prodotto, tra lealtre cose, una fiorente scuola poetica che anticipa la nascita della liri-ca siciliana della corte di Federico II.

“Come dimenticare — ha scritto il politologo Umberto Cerroni inun volume dedicato alla ricostruzione dei caratteri dell’identità italiana— lo straordinario apporto della cultura araba alle arti della Sicilia edel Sud, alla riscoperta di Aristotele e dell’averroismo che in Italia co-stituì una delle matrici culturali del pensiero laico di Dante, Cavalcantie Pomponazzi? Come dimenticare che un importante atto politicodello Stato di Federico II fu la pacifica convivenza tra cristiani, arabied ebrei? Non fu in questo clima intellettuale che Dante poté concepi-re, molto prima di altri, una humana civilitas più ampia della Christia-nitas?” 1.

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Nel 1987 l’arabista Francesca Maria Corrao curò un’antologia dipoeti arabi di Sicilia tradotti da poeti italiani del Novecento 2. Si trattòdi un’operazione doppiamente interculturale: per la conoscenza del-l’ambiente arabo–siciliano, ponte tra due culture, araba e romanza, eper il tipo di traduzione, affidata a poeti italiani contemporanei cherecuperano, all’interno delle loro differenti sensibilità, temi e linguag-gi di quell’antica poesia.

In questa opera di traduzione, che in realtà è spesso rifacimento,parafrasi, versione nel suo senso più ampio, poeti come Luzi, Fortini 3,Sanguineti o Zanzotto compiono un’operazione che è, probabilmente,tra le più caratterizzate in senso interculturale, costituendo un pontetra testi di diversa provenienza culturale, un ponte che permette il tran-sito di parole e di esperienze. È proprio in questo tipo di traduzione,nella traduzione d’autore, che il filosofo Hans Georg Gadamer defini-sce “un’interpretazione enfatizzante”, quando cioè poeti e scrittori“traducono” da lingue diverse e talvolta lontane, che si determina quelcorto circuito linguistico e culturale che, spesso, modifica pure lascrittura di chi traduce. Si pensi, in questa prospettiva, a quanto incise-ro nel gusto letterario italiano degli anni Quaranta le traduzioni deiLirici greci di Quasimodo, che trasformò il frammentismo elegiaco deipoeti greci nel linguaggio attonito e atemporale dell’ermetismo. O alletraduzioni antisimboliste del Brecht di Franco Fortini, che introdusse-ro nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta una sensibilità lirica con-trassegnata dall’allegoria, dalla parabola morale e politica esemplare,

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2 F. M. Corrao (a cura di), Poeti arabi di Sicilia, Intr. di L. Anceschi, Monda-dori, Milano 1987.

3 Fortini probabilmente non avrebbe sottoscritto queste nostre affermazioni.Riportiamo una sua breve nota inedita, depositata presso l’Archivio Franco Fortinidell’Università degli Studi di Siena: “Vorrei prendere un esempio singolare di quelche non si dovrebbe mai fare: è stato edito nel 1987 un volume di poeti arabi diSicilia (fra il Decimo e l’Undecimo secolo). I poeti convenuti sono stati diciannove(fra cui, per una debolezza che non si perdona, chi vi parla). Nessuno, credo, di que-sti diciannove è o era in condizione di leggere gli originali. Il testo a fronte è quindidestinato ai pochi conoscitori dell’arabo classico. Quale è stato il risultato? Quello diventi esempi di compromesso fra i temperamenti soggettivi e le traduzioni interli-neari. Ci sono due o tre esiti ottimi che, naturalmente, nulla hanno verisimilmente ache fare con gli originali e non aiutano il lettore a farsi un’idea di quella remota eardua cultura. Se ci si contenta di un vago esotismo…”

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dal ragionamento didascalico. Gli esempi potrebbero continuare —Landolfi e Gogol, Pivano e Kerouac, Sereni e W.C.Williams, Lussu eHikmet — ma crediamo sia sufficiente quanto detto per segnalarel’importanza decisiva e ancora non indagata a fondo della traduzionein un’ottica interculturale.

Vogliamo ora offrire alcuni stralci della densa introduzione dellaCorrao all’antologia dei poeti arabi di Sicilia, per documentare la ric-chezza di un momento storico in cui tra il mondo arabo–musulmano eil mondo europeo–cristiano–giudaico avevano spazio, insieme a quellidel conflitto, anche i valori della convivenza civile e della tolleranzareligiosa.

“I poeti arabi di Sicilia vissero negli anni mille ed oltre, tra giar-dini di cui ora ci giunge il vago ricordo. […] Attorno al principe siraccoglieva una raffinata corte di intellettuali ed artisti. Il lontano fra-gore delle battaglie giungeva filtrato dai versi ritmati del poeta. Ognigioioso o addolorato fremito veniva armoniosamente assorbito dallerime. Negli allegri simposi notturni, ministri, segretari e gli stessi prin-cipi si improvvisavano verseggiatori e in gara con i poeti animavanole silenziose notti siciliane. Questo e altro affiora dalle poesie dellascuola araba siciliana, degna erede della grande tradizione letterariamediorientale. […]

Tra i conquistatori di Spagna e di Sicilia non vi erano soltanto ifautori di eventi sanguinosi ma anche i latori dello straordinario patri-monio di una grande civiltà. […] La poesia arabo–andalusa, accoglie erielabora, in un primo tempo con scarsi tratti di innovazione e succes-sivamente con proprie forme autonome, il patrimonio della linguaaraba classica inaugurando quell’intenso periodo di vita culturale chedurerà sette secoli in Andalusia e quasi tre secoli in Sicilia. Il momen-to più fecondo per la produzione poetica siciliana è approssimativa-mente databile a partire dalla metà del X secolo e coincide con lapresa del governo da parte degli emiri kalbiti (947–1053), emissaridegli scismatici califfi fatimiti d’Egitto. Da allora, e sicuramente qualerisultato della grande autonomia politico–amministrativa goduta daiprincipi siciliani, si ebbe una singolare fioritura di poeti e rimatori, cheraggiunse l’apogeo all’epoca di Yusuf Thiqat ad–Dawlah (990–998).Più di un secolo era passato da quando un insigne giureconsulto diQairawàn, Sinan Asad Ibn al–Furat, aveva guidato la sistematica con-quista della Sicilia (827). […]

171. Dante e l’Islam

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Per rintracciare alcune delle ragioni che favorirono la pacificaconvivenza tra gli immigrati, i neoconvertiti, gli ebrei e i cristiani,bisogna guardare oltre le battaglie e le scorrerie per soffermarsi suivantaggi nell’incremento urbanistico, commerciale, e nel miglioratoassetto agricolo delle campagne. Nel crescente benessere economicola coesistenza e la collaborazione, sul piano sociale e amministrativo,tra cristiani e musulmani fu garantita dall’assenza nell’Islam di qual-siasi forma di proselitismo programmato e dalla consuetudine acquisi-ta dai musulmani a vivere a contatto di genti di razze e religioni diver-se. […] Gli scambi culturali tra gli intellettuali siciliani e il resto delmondo arabo, nel periodo che va dal X all’XI secolo, erano favoritidai pellegrinaggi verso i luoghi santi dell’Islam. Molti letterati si reca-vano alla Mecca e tornavano nella Palermo emirale ricchi delle espe-rienze acquisite durante il soggiorno in Oriente. […]

È noto quanto sia vasta la produzione di ispirazione arabo–islami-ca in Occidente, ma non potendo qui elencare tutti i nomi e i dati milimiterò a ricordarne alcuni. Sono degni di menzione i non pochi versidi ispirazione araba che si trovano nel Westostlicher Divan [Divanooccidentale–orientale, ndr] di Goethe e una sua frammentaria versionedi una poesia preislamica, le Orientales di Victor Hugo, e le imitazionidi al–Mutanabbi del polacco Mickiewicz. E per finire le reminescenzedel mondo poetico islamico che affiorano nella lirica di Poe e nei rac-conti di Borges. L’idea di fare tradurre le poesie arabe di Sicilia è natacome atto di omaggio verso autori che hanno contribuito, anche seindirettamente, all’evoluzione della nostra cultura. […]

Per dare un’idea di quanto fosse diffusa e sentita l’arte del com-porre versi nella Sicilia araba basta ricordare che nelle citate antologiefigurano i rappresentanti di tutte le categorie sociali: gli stessi principimecenati, capi militari, giudici, lessicografi, grammatici, vizir e fun-zionari dell’amministrazione”. 4

Parlando poi della dominazione normanna in Sicilia, la Corraosottolinea il carattere tollerante di due grandi sovrani, Ruggero II(1095–1154) e Federico II (1194–1250), che riuscirono a far conviverele diverse culture presenti nell’isola.

“Ruggero II, il re che usava fregiarsi del titolo arabo, al–Mu’tazz

18 1. Dante e l’Islam

4 F. M. Corrao (a cura di), Poeti arabi di Sicilia, cit., pp. XXV, XXIX,XXXI–XXXII, XXXIV–XXXV.

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bi–llah (il possente per grazia di Dio), era un uomo di straordinariacultura, sensibile e tollerante. Nel suo palazzo riecheggiava il cantodel muezzìn, per i paggi del seguito e per le donne del suo harem.Ruggero, come i suoi successori, si serviva del cerimoniale e dellacancelleria araba. Sul piano culturale la convergenza dell’Islam e delCristianesimo visse il suo momento più esaltante con l’arrivo aPalermo del geografo arabo al–Idrisi (1100–1165). Autore del Libro diRuggero, che è da considerare il più insigne risultato della fusionedelle conoscenze geografiche raggiunte dagli arabi nella metà del XIIsecolo. Questa opera, realizzata con la collaborazione di una commis-sione di esperti, al di là del valore intrinseco, è significativa per ilrisultato che ha conseguito: il superamento, in nome della scienza, diogni irrigidimento confessionale. […]

Nella Palermo degli eredi di Ruggero la comunità araba continua-va a prosperare. […] Alla corte di Guglielmo II [1153 ca.–1189, ndr],al–Musta’izz bi–llah (chi cerca potenza in Dio), risuonavano ancora lerime arabe, e pare che il poeta di Alessandria, Ibn Qalaqis, gli dedicòdei versi encomiastici. Guglielmo parlava la lingua del Corano eamava circondarsi di eruditi di ogni paese. Un accreditato esponentedella triplice cultura di corte, greca, araba e latina, fu l’ammiraglioEugenio che dall’arabo revisionò una versione greca del Kalilah waDimnah (famosa raccolta di apologhi indiani). Sempre in quel periodofu tradotta dall’arabo in latino l’Ottica di Tolomeo. Ma il momento dimassimo splendore per la scuola di traduzione della corte siciliana siebbe all’epoca di Federico II. Il sovrano che fu iniziato da un dottomusulmano alla conoscenza della cultura islamica. Mecenate e cultoredi scienze, rivide personalmente la traduzione di un trattato arabo difalconeria, che consultò per il suo De arte venandi.

Sotto il suo regno famosi traduttori di Toledo, come l’astrologo efilosofo Michele Scoto (1175–1236), realizzarono versioni delle operedi Avicenna e Averroè. All’imperatore, che anche in politica si avvalsedelle sue conoscenze islamiche, va riconosciuto il merito di essere riu-scito a conquistare la corona di Gerusalemme per vie diplomatiche.

Le curiosità intellettuali di Federico erano soprattutto note inOriente, dove il sultano d’Egitto al–Malik al Kamil (1218–1238) loaccolse con un seguito di dotti. In questa occasione, e altrove inviandomissive, ebbe modo di porre questioni di ottica, cosmologia, metafisi-ca e filosofia. In particolare, il filosofo mistico, Ibn Sab’in (morto nel

191. Dante e l’Islam

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1271), per rispondere ad alcuni quesiti sollevati da Federico, stese untrattato sulla natura e sull’immortalità dell’anima.

Dalle testimonianze delle fonti arabe apprendiamo che Federicoconosceva l’arabo. Sappiamo che dalla sua cancelleria, molto proba-bilmente per mano di Teodoro d’Antiochia, partivano missive infioratedi versi di al–Mutanabbi, di cui è lecito supporre che anche il sovranoconoscesse l’opera. A corte l’arabo era praticato con la stessa frequen-za del greco e del latino.

In questo ambiente, che qui abbiamo rapidamente tratteggiato, na-sce la scuola poetica siciliana. Alla corte di Federico affluiscono i Pro-venzali e Ciullo d’Alcamo compone i primi versi in lingua volgare” 5.

Ma il portato storico dell’influenza della cultura araba in Occi-dente è particolarmente visibile anche nell’opera di Dante Alighieri(1265–1321), un autore che la tradizione critica ci ha sempre presenta-to come il campione indiscusso di una incontaminata superiorità occi-dentale: europea, italiana, romana, cristiana e greco–latina.

In realtà, come innumerevoli studi critici hanno documentato 6,l’impianto filosofico e teologico della Commedia e l’intera produzionedell’Alighieri sarebbero incomprensibili senza considerare, ad esem-pio, il contributo dei filosofi arabi Ibn Sina (Avicenna, 980–1037) eIbn Rushd (Averroè, 1126–1198), che storicamente mediarono edarricchirono in maniera originale la grande tradizione filosofica greca,rappresentando un ponte culturale fondamentale tra Oriente e Occi-

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5 F. M. Corrao (a cura di), Poeti arabi di Sicilia, cit., pp. XL–XLII.6 Oltre all’opera fondamentale dell’arabista spagnolo Miguel Asìn Palacios,

Dante e l’Islam, Pratiche Editrice, Parma 1994, di cui parleremo in seguito, ricordia-mo i seguenti lavori: B. Nardi, Dante e la cultura medievale, Laterza, Roma–Bari1983 (Prima ed. 1942); F. Gabrieli, Nuova luce su Dante e l’Islam, in Dal mondodell’Islam. Nuovi saggi di storia e civiltà musulmana, Ricciardi, Milano–Napoli1954; E. Cerulli, Nuove ricerche sul “Libro della Scala” e la conoscenza dell’Islamin Occidente, Città del Vaticano 1972; A. Bausani, La tradizione arabo–islamicanella cultura europea, in “I quaderni di Ulisse”, giugno 1977; A. Roncaglia, GliArabi e le origini della lirica neolatina, in “I quaderni di Ulisse”, giugno 1977; C.Segre, Viaggi e visioni d’oltremondo sino alla “Commedia” di Dante, in Fuori delmondo, Einaudi, Torino 1990; M. Corti, La felicità mentale. Nuove prospettive perCavalcanti e Dante, Einaudi, Torino 1983; M. Corti, La “favola” di Ulisse: inven-zione dantesca?, in Percorsi dell’invenzione. Il linguaggio poetico e Dante, Einaudi,Torino 1993; A. Gagliardi, Ulisse e Sigieri di Brabante. Ricerche su Dante, Pullano,Catanzaro 1992.

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dente; o l’influsso del filosofo fiammingo Sigièri di Brabante (ca1235–1282), commentatore insigne di Aristotele e rappresentante diquell’“averroismo latino” che propugnava una netta separazione trascienza e fede e che, per questa ragione, fu condannato per eresia; o,ancora in ambito averroistico, le suggestioni provenienti dai due Gui-do, Cavalcanti e Guinizzelli, e più in generale dal circolo intellettualestilnovista che tantò contarono per Dante nei suoi giovanili anni fio-rentini. Come altresì l’architettura del poema dantesco presenta più diun punto di contatto con i modelli musulmani della leggenda dell’a-scensione di Muhàmmad 7 (570–632) in Cielo, più nota, dopo il ritro-vamento di due manoscritti in latino e in francese nel 1949, come IlLibro della Scala.

Pochi temi, come quello relativo all’influsso della cultura islami-ca nella Divina Commedia, hanno conosciuto un ostracismo così radi-cale in Italia per tutto il Novecento.

Quando nel 1919 fu pubblicato lo studio dell’orientalista spagno-lo Miguel Asìn Palacios, un sacerdote cattolico professore di araboall’università di Madrid, sui rapporti tra Dante e l’Islam, dal titolo L’e-scatologia musulmana nella Divina Commedia, l’ostilità dei dantisti edei romanisti italiani fu pressoché totale 8.

Si era alla vigilia delle commemorazioni per il sesto centenariodella morte di Dante (1321–1921) e l’ammissione di un’influenzadella tradizione arabo–islamica nella composizione della Commediasuonava come un’accusa di lesa italianità. La guida che risolve i dubbial pellegrino, la natura allegorica dell’ascensione in Cielo come purifi-cazione dell’anima, la cosmografia e tanti altri innumerevoli dettagliche l’orientalista spagnolo rintraccia come matrici islamiche del poe-ma dantesco sembravano inquinare un presunto carattere autoctonodell’opera di Dante. Non era pensabile che un’“escatologia musulma-na” — come recita il titolo dell’opera di Palacios —, cioè una conce-zione filosofica–teologica concernente il destino ultimo dell’uomo edel mondo, potesse avere qualcosa a che vedere con la Divina Com-

211. Dante e l’Islam

7 Preferiamo utilizzare il nome arabo del profeta Maometto, a meno che noncompaia così in citazione. Il nome Maometto — da Malcometto, “commetto il male”— fu impiegato nel medioevo per denigrare il profeta dell’Islam, considerato un ere-tico.

8 Il testo di Palacios è stato tradotto in italiano nel 1994, 75 anni dopo la suapubblicazione in spagnolo. In Gran Bretagna esso venne tradotto nel 1926.

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media. Una consolidata tradizione nazionalistica — oggi diremmoeurocentrica o italocentrica — aveva studiato con rigore e profonditàle radici classiche, giudaico–cristiane e romanze del poema, ma non siera mai sufficientemente occupata di quelle arabo–islamiche, ad ecce-zione degli studi di Bruno Nardi sulle influenze averroistiche nellafilosofia dantesca.

Eppure per tutto il Medioevo la presenza degli arabi nel Mediter-raneo, principalmente in Spagna e in Sicilia, era un dato storicamenteinconfutabile.

La nazione dove più forti e durature furono le influenze arabo–i-slamiche è senz’altro la Spagna. Durante la dominazione araba, che informe diverse abbracciò i secoli VIII–XIII (ma Granada fu espugnatasolo nel 1492, durante il regno di Ferdinando d’Aragona e Isabella diCastiglia), la Spagna conobbe un periodo di intenso sviluppo civile eculturale, i cui emblemi restano le splendide architetture di Cordova,Granada e Siviglia.

Ma anche nel periodo della “reconquista” ad opera dei nuovi staticristiani di Navarra, Léon, Castiglia e Aragona, in particolare a partiredall’XI secolo, l’eredità araba ebbe modo di manifestarsi in diversicampi.

Si pensi, ad esempio, alla stagione politica e culturale inauguratadal sovrano Alfonso X di Castiglia detto il Saggio (1221–1284), mece-nate coltissimo e animatore di una corte cosmopolita frequentata daintellettuali ebrei, musulmani e cristiani. Fu proprio il sovrano ibericoa commissionare ad un medico ebreo, Abraham Alfaquim, la versionespagnola, dall’arabo, del racconto del “mi’raj”, cioè dell’“ascensione”di Muhàmmad in Cielo, un importante testo ritrovato in due codici aOxford e a Parigi nel 1949, conosciuto con il titolo Il Libro della Scaladi Maometto e considerato una delle possibili fonti alle quali Danteattinse per la composizione della Commedia e che probabilmente lessenella traduzione latina del notaio Bonaventura da Siena, un intellettua-le che lavorava presso la corte di Alfonso X.

Lo studioso Carlo Saccone ha opportunamente ricordato che “laversione latina […] deve la sua conservazione anche al fatto che unacopia è inserita in un altro codice (il Vaticano Latino 4072) contenentela famosa Collectio Toledana, ossia la raccolta di quei testi scientifici efilosofici arabi fatti tradurre in Toledo a partire dal XII sec. per inizia-tiva di Pietro il Venerabile, e che fu, com’è noto, alla base di quell’im-

22 1. Dante e l’Islam

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menso travaso di conoscenze tra mondo islamico e mondo cristianoche costituisce uno dei momenti più alti della storia intellettuale delMedioevo” 9.

“Toledo — aggiunge Miguel Asìn Palacios — era già stata, du-rante il secolo XII, il punto focale di una profonda assimilazione dellescienze e delle lettere arabe al retroterra cristiano. Nella prima metà ditale secolo, appena strappata la città dalle mani dei musulmani, l’arci-vescovo Raimondo comincia a patrocinare la traduzione delle operepiù celebri della scienza araba: libri di matematica, astronomia, medi-cina, alchimia, storia naturale, metafisica, psicologia, logica, morale epolitica; tutta l’opera di Aristotele, glossata o compendiata dai filosofidell’Islam, da Al–Kindi, Al–Farabi, Al–Gazali e Averroè; le opere fon-damentali dei matematici, astronomi e medici della Grecia, Euclide,Tolomeo, Galeno, Ippocrate, commentate e ampliate da sapientimusulmani, Al–Hwarizmi, Al–Battani, Avicenna, Averroè, Ar–Razi,Al–Bitrugi, furono tradotte a Toledo dall’arabo, tramite interpretimudejares [“musulmani convertiti”, ndr] ed ebrei, che mettevano incastigliano ciò che poi veniva tradotto in latino dai dotti cristiani, nonsolo spagnoli ma anche stranieri, che affluivano alla corte toledana daipiù remoti paesi dell’Europa. […] Alfonso il Saggio, educato fin dallafanciulezza in tale ambiente di cultura semitica, prende nelle propriemani, salendo al trono, la direzione suprema di quei lavori di traduzio-ne, per renderli più fecondi e sistematici mediante il patrocinio ufficia-le. Poliglotta e appassionato della letteratura musulmana, prende partelui stesso agli studi che promuove. Con una tolleranza che è il fedeleriflesso della psicologia sociale della sua epoca, il re riunisce nella suacorte sapienti delle tre religioni per cooperare all’impresa. Senza ab-bandonare l’orientamento colto ed erudito della scuola dei traduttoritoledani, lo rafforza, facendo tradurre nuove opere di fisica e di astro-nomia, accanto ad altre di carattere più popolare e meno tecnico, ap-partenenti alla letteratura di evasione, morale, storica e religiosa”.

Inoltre — ricorda ancora Asìn Palacios — in tale clima di tolle-ranza e di convivenza il re castigliano decise di dare “forma ufficialealla confluenza delle due culture, l’islamica e la cristiana, attraverso la

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9 C. Saccone, Il mi’raj di Maometto: una leggenda tra Oriente e Occidente, inIl Libro della Scala di Maometto, trad. di R. Rossi Testa, note al testo e postfazionedi C. Saccone, Mondadori, Milano 1999 (Prima ed. 1991), p.190.

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fondazione in Siviglia di uno Studio e Scuola generale di latino e diarabo, in cui, al fianco dei professori cristiani, c’erano musulmani cheinsegnavano la medicina e le scienze. Tale Università interconfessio-nale è un emblema della stretta relazione che i due popoli avevanostretto nella prima metà del secolo XIII” 10.

Se confrontato con questo clima di civile convivenza, la cacciatadegli ebrei e dei musulmani dalla Spagna a partire dal 1492 ad operadei re cattolicissimi si rivela un evento tragico e foriero di futuredisgrazie. Le teorizzazioni e le discussioni sulla “limpieza de sangre”,per decidere chi fosse autenticamente cristiano e castigliano, per met-tere al bando quanti fossero stati in qualche modo contaminati dal san-gue impuro di ebrei e moriscos, altro non sono che le premesse dellemoderne teorie razziste del colonialismo, del fascismo e del nazismo.“L’invenzione iberica del “sangue puro” può essere considerata comeil primo tipo di protorazzismo occidentale. […] Il criterio della“purezza del sangue” diventa più importante di quello della purezzadella fede. […] Il mito del “sangue puro” costituisce il nucleo ideolo-gico […] che funziona al servizio degli interessi della classe dirigente,che mira a preservare i suoi privilegi in una società cattolico–monar-chica. […] Si può dunque formulare l’ipotesi che si tratti qui dellaprima attestazione storica di un “antisemitismo” razziale, politicamen-te funzionale, o di un “prerazzismo” antiebraico distinto dall’antigiu-daismo cristiano tradizionale, ereditato dai Padri della Chiesa” 11.

Non è senza significato che il 1492 — data della scoperta–con-quista del Nuovo Mondo, con il conseguente genocidio delle popola-zioni indigene — coincida anche con l’epulsione delle diversità dal-l’Europa: i nascenti stati nazionali si dovevano costituire come omo-genei per “razza, lingua, cultura e religione”. La modernità, che sanci-sce l’inizio del predominio europeo sul mondo, nasce con un atto diferoce intolleranza verso l’Altro. Da allora si innalza una barriera tramondo arabo e mondo occidentale, ancora oggi causa di pregiudizi eincomprensioni.

Una moderna forma della “limpieza de sangre” abbiamo dettoessere la teoria razzista del fascismo italiano. Le leggi razziali contro

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10 M. Asìn Palacios, Dante e l’Islam, Pratiche Editrice, Parma 1994, pp.362–364.

11 P.A. Taguieff, Il razzismo, Cortina, Milano 1999, pp.30–32.

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gli ebrei, promulgate dal regime nel 1938, ne sono un eloquente esem-pio. È interessante, tra le altre cose, l’ossessione storica sulla purezzadella razza, la necessità di ribadire l’estraneità nei confronti dei popolisemiti del Mediterraneo, in una lettura della storia in cui l’idea diEuropa risulta essere quella di un continente chiuso, autoreferente,impermeabile alle migrazioni e al mescolamento delle genti.

Eppure, nonostante la grossolana rozzezza argomentativa, talitesi, scritte da docenti di università italiane, ebbero l’effetto pratico diportare nelle camere a gas naziste 8000 ebrei italiani e di determinarenel paese un clima di passiva indifferenza verso le sorti di chi era con-siderato il capro espiatorio del momento.

Riportiamo alcune parti del documento sulla difesa della razzapubblicato nell’omonimo quindicinale nell’agosto del 1938:

“La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la suaciviltà è ariana — Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversimillenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle gentipreariane. […]

È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi sto-rici — Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altrinotevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia raz-ziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni euro-pee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anchemoderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razzialedi oggi è la stessa di quella che era mille anni fa; i quarantaquattromilioni d’Italiani di oggi rimontano quindi nell’assoluta maggioranzaa famiglie che abitano l’Italia da un millennio. […]

È necessario fare una netta distinzione tra i mediterranei d’Euro-pa (occidentali) da una parte, e gli orientali e gli africani dall’altra —Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’ori-gine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comunerazza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabi-lendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.

Gli ebrei non appartengono alla razza italiana — Dei semiti chenel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patrianulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilianulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome, e del resto ilprocesso di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia.

Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assi-

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milata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non euro-pei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origineagli Italiani” 12.

Ritornando ai nostri ragionamenti sui rapporti tra Dante e l’Islam,risulta evidente quanto possa aver pesato la chiusura ideologica neiconfronti di una lettura del capolavoro dantesco così fortemente inno-vativa come quella proposta da Asìn Palacios. Una chiusura che pesòanche nel secondo dopoguerra, in età repubblicana, se si considera —come si è già detto — che lo studio dell’arabista spagnolo è stato tra-dotto in italiano solo nel 1994.

Eppure le tesi dello studioso spagnolo — il quale peraltro, non vadimenticato, era un sacerdote cattolico — non mettevano affatto inforse l’appartenenza di Dante al “campo cristiano”, né offuscavano lapotente e originale immaginazione artistica del poeta fiorentino. Esserichiamavano, però, alcuni dei modelli letterari, filosofici e religiosiche la tradizione arabo–musulmana offriva a Dante. Il quale proprioper la sua spiccata propensione ad accogliere i più diversi materialiculturali — classici, biblici, romanzi — utilizzò anche quelli di matri-ce musulmana, pervenendo a quell’originale sintesi tra culture che laCommedia rappresenta, al di là, quindi, di chiusure territoriali e nazio-nalistiche, storicamente improponibili nel XIII secolo ed estranee alcosmopolitismo intellettuale dell’Alighieri.

“Studiando — scrive Asìn Palacios — nel suo trattato De vulgarieloquentia la varietà delle lingue parlate nel mondo, Dante, benchénato a Firenze e latino di razza e di lingua, non si fa trasportare dall’a-more di patria né dal diffusissimo pregiudizio etnico a esaltare il pro-prio idioma e a preferirlo a quelli stranieri; innanzitutto […] si dichiara‘cittadino del mondo’, e afferma che ‘vi sono molte regioni e città piùnobili e più deliziose che la Toscana e Firenze, di cui son nativo e cit-tadino e che vi sono molte stirpi e popoli che usano una lingua più pia-cevole e più utile che gli Italiani’. È superfluo notare che tale simpatiaverso il mondo semita non implica, anche se non esclude, un’inclina-zione verso la fede musulmana: la sincerità dei suoi sentimenti religio-si, la profonda convinzione della sua fede cristiana, è al di fuori di ogni

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12 La difesa della razza. Scienza documentazione e polemica, Anno I, Numero1, 5 agosto 1938 — XVI, in D. Santarone, Multiculturalismo, Palumbo, Palermo2001, p. 93.

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discussione. Si tratta soltanto di una seduzione letteraria e scientifica,di un affetto nei confronti della cultura di popoli la cui religione si abo-mina. Tale mentalità […] si rivela in due passaggi caratteristici dellaDivina Commedia: Dante pone nel limbo due saggi musulmani,Avicenna e Averroè e colloca nell’inferno il fondatore della religioneche costoro professarono, cioè Maometto. Ma anche quest’ultimo, ilprofeta dell’Islam, non è condannato come tale, come reo di apostasia,come fondatore di una vera religione o di una nuova eresia, ma sempli-cemente come seminatore di scismi o discordie, insieme ad altri fautoridi insignificanti scissioni religiose o civili. […] Questa leggerezza eindulgenza nel castigo del fondatore dell’Islam è un sintomo rivelatoredi quella stessa simpatia verso la cultura del popolo musulmano: perDante Maometto non è tanto il negatore della Trinità e dellaIncarnazione, quanto il conquistatore che infranse con la violenza ilegami di fratellanza fra gli uomini. È certo che un ritratto tanto be-nevolo è assai distante dalla realtà storica di Maometto, che fu qualco-sa di più di un conquistatore; ma, se la rappresentazione di Dante èparziale e insufficiente, non è invece inquinata dalle favole assurde chequasi tutti gli storici cristiani del suo secolo tesserono intorno alla fi-gura storica del fondatore dell’Islam, attribuendogli insistentemente lequalità più stravaganti e contraddittorie. […] La gigantesca figura del-l’ispirato artista fiorentino non può perdere perciò neppure un millime-tro della sublime grandiosità che per le sue opere raggiunse agli occhidei suoi compatrioti e degli uomini tutti, innamorati della bellezzadella sua arte squisita. L’omaggio più degno per i geni non è l’ammira-zione cieca e irrazionale. Né un culto alla memoria, ispirato a unmeschino principio di razza o di patria, potrebbe soddisfare quel gran-de uomo, la cui immensa cultura abbracciò tutto quanto la scienza el’arte del suo secolo serbava di tradizionale e di nuovo, da qualsiasiparte provenisse, e che seppe sempre collocare molto al di sopra deisuoi affetti particolaristici verso l’Italia e i popoli latini gli altri idealidell’umanità e della religione, chiamandosi con orgoglio cittadino delmondo, proclamando la fratellanza umana quale primo principio dellavita politica e riuscendo a introdurre, nelle meravigliose terzine del suopoema, uno spirito universale ed eterno di moralità e di misticismo chefluiva spontaneo dal profondo del suo cuore sinceramente cristiano.

Questa religione divina, il Cristianesimo, fonte perenne di poesiae di spiritualità, è quella che in definitiva ci porge la chiave per spiega-

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re la genesi del poema dantesco e dei suoi precursori, sia cristiani chemusulmani. Perché l’Islam, diciamolo per l’ultima volta, non è altroche un figlio bastardo della Legge Mosaica e del Vangelo, i cui dogmisulla vita futura assimilò benché solo in parte, e che, allontanandosidalla sua primitiva origine per convivere con tutte le religioni e ipopoli dell’Oriente, mancandogli il freno discreto dell’infallibilemagistero di un pontefice che ponesse limiti alla fertile fantasia deifedeli nell’interpretazione di quei dogmi, audacemente adornò conogni elemento immaginativo dell’escatologie orientali, cristiane edextracristiane, interpretato inoltre secondo l’invettiva personale, ilquadro semplice, ma solenne e severo, che il Vangelo nelle sue paginetratteggia della vita ultraterrena. E Dante, utilizzando per il propriopoema quegli elementi artistici che l’Islam gli offriva, e che in nullaalteravano il nucleo essenziale e immutabile dei dogmi evangelici sul-l’oltretomba, in definitiva non fece altro che devolvere al tesoro dellacultura cristiana occidentale, e rivendicare al suo patrimonio quei benidurevoli che, ignorati da essa, si trovavano nelle letterature religiosedei popoli orientali, e che l’Islam veniva a restituire, dopo averli arric-chiti e amplificati con lo sforzo della sua geniale fantasia” 13.

D’altra parte sarebbe singolare che un intellettuale curioso e aper-to ai diversi apporti del sapere come Dante potesse ignorare l’apportoche la cultura arabo–islamica continuava ad offrire alla civilizzazionedel Mediterraneo. Scrittori, viaggiatori, monaci, pellegrini, mercanti,nobili cavalieri e semplici soldati, dotti traduttori, principi mecenaticonoscevano direttamente l’Oriente e permettevano la circolazione diidee, di mode, di prodotti culturali e non nell’Occidente cristiano.Senza dimenticare l’enorme prestigio che nella vicina Spagna dellareconquista continuava ad avere la cultura araba.

Uno tra i maggiori maestri di Dante, il poligrafo e retore BrunettoLatini, ammirato e riverito nel canto XV dell’Inferno, autore di duecomponimenti enciclopedici, il Tesoro e il Tesoretto, il primo dei qualiconteneva pure una biografia di Muhàmmad, era stato nel 1260 amba-sciatore dei guelfi fiorentini presso la corte di Alfonso X il Saggio. Unparticolare decisivo, per la trasmissione delle fonti arabe a Dante, cheAsìn Palacios sottolinea con particolare enfasi.

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13 M. Asìn Palacios, Dante e l’Islam, Pratiche Editrice, Parma 1994, pp.381–382; 409–410.

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“Brunetto — scrive l’orientalista spagnolo — poté acquisire quel-la cultura araba e islamica non come altri, di seconda mano, mediantelibri studiati lontano dal principale centro in cui venivano trasmessinelle lingue europee, ma convivendo con gli stessi traduttori toledani,conoscendo e frequentando personalmente re Alfonso il Saggio, mece-nate e direttore di quella brillante scuola di corte. In effetti risulta cheBrunetto Latini fu inviato dal partito guelfo di Firenze come amba-sciatore alla corte di Alfonso il Saggio, per invocare da questi, che erastato eletto imperatore di Germania, il suo aiuto contro i ghibellini,difesi da Manfredi, re di Sicilia. Tale ambasciata ebbe luogo nel 1260.Cinque anni prima della venuta al mondo del poeta fiorentino; e perquanto non si conoscano i particolari del viaggio di Brunetto, né dellasua residenza in Spagna, il fatto stesso basta per suggerirci la profondaimpressione che dovettero produrre, nello spirito colto e curiosissimodi quel letterato erudito e appassionato di ogni branca dell’umanosapere, lo spettacolo brillante della corte toledana, satura di culturaislamica, la frequentazione con i consiglieri e i ministri di quel re,sapiente come nessun altro dell’Europa medievale, e la visione direttadi quell’ibrida società in cui le tradizioni della scienza classica e cri-stiana vivevano in simbiosi con il nuovo bagaglio delle lettere semiti-che. Chi potrebbe dire che i negoziati della sua ambasceria non glilasciassero tempo libero sufficiente per occuparsi dei suoi interessi let-terari e per soddisfare le sue curiosità di erudito, avendo davanti agliocchi ogni giorno, a Toledo e a Siviglia, sede della corte in quel perio-do, l’esempio vivente dei traduttori e dei maestri cristiani e musulma-ni, che nella scuola toledana e nell’università interconfessionale diSiviglia redigevano incessantemente le loro opere scientifiche e lette-rarie, e che quattro anni prima avevano finito la traduzione in volgaredell’Historia arabum dell’arcivescovo Don Rodrigo, opera che contie-ne la leggenda del mir’rag? Il fatto è che, al suo ritorno dalla Spagna,non potendo rientrare a Firenze, dove i suoi nemici ghibellini in quelmomento avevano il sopravvento, si trattenne in Francia per qualchetempo; e lì, quasi subito, redasse i suoi due principali libri enciclope-dici, il Tesoretto e il Tesoro. In questo, come abbiamo visto, non man-cano tracce delle fonti arabe che poté utilizzare, a Toledo e a Siviglia,più che in ogni altro luogo. C’è persino chi suppone che Brunettodedicasse ad Alfonso il Saggio il suo poema allegorico didascalicoTesoretto, il cui prologo è un entusiastico elogio del re di Castiglia.

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Tutto dunque tende a suggerirci che non fu superficiale l’improntaimpressa nello spirito di Brunetto dalla corte letteraria di Castiglia eche non è una congettura astrusa immaginare che il maestro di Dantepotesse essere il veicolo che trasmise al suo discepolo alcuni degli ele-menti islamici, se non tutti, che nel nostro studio abbiamo scopertotrovarsi nella Divina Commedia” 14.

La feconda prospettiva comparativistica e pluridisciplinare di Mi-guel Asìn Palacios ha aperto piste di ricerca che nel corso del Nove-cento hanno avuto conferme sostanziali da parte della comunità scien-tifica internazionale 15. Nonostante talune riserve e critiche, è ormaiunanimamente accettato l’influsso della componente arabo–islamicanel processo compositivo della Commedia dantesca, ed anche in Italia,dopo un lungo periodo di ostracismo, oggi autorevoli studiosi comeCesare Segre e Maria Corti si dichiarano sostanzialmente favorevolialle tesi dell’orientalista spagnolo.

Resta però ancora molto da fare sul piano della divulgazione sco-lastica dei risulati a cui è pervenuta la ricerca, essendo ancora pochi icommenti della Commedia che mettano finalmente nel giusto rilievo icaratteri di un poema che va letto non solo come poema sacro delmondo cristiano ma anche come compendio, per dir così, che sintetiz-za una intera epoca della cultura mediterranea.

Tale prospettiva “mediterranea” risulta preziosa per impostare unpercorso di educazione interculturale partendo dalla Commedia. Essopermetterebbe di rivalutare la tradizione arabo–islamica non propo-nendola come un esotico ed estraneo mondo culturale, ma come unelemento costitutivo della nostra storia, come un fattore in qualchemisura interno al nostro patrimonio culturale.

Tutto ciò è tanto più importante oggi di fronte alla presenza inItalia di oltre mezzo milione di cittadini stranieri di religione musul-mana 16. Per la prima volta nella storia d’Italia, dai tempi della conqui-

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14 M. Asìn Palacios, Dante e l’Islam, Pratiche Editrice, Parma 1994, pp.375–377.

15 Vedi sopra nota 1.16 Secondo il Dossier statistico 2000 sull’immigrazione, redatto dalla Caritas

(Anterem, Roma 2000, pp. 227–228), tra i gruppi religiosi i musulmani costituisco-no un terzo del totale (36,5), per un totale di 544.000 unità. Essi provengono per idue terzi dalla fascia del Nord Africa e per il resto da alcuni paesi del Subcontinenteindiano (Pakistan, Bangladesh) e dell’Est europeo (Albania, ex–Jugoslavia).

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sta araba della Sicilia, un nucleo consistente di musulmani (non soloarabi, ma anche persone provenienti dall’Africa nera e dall’Asia) si èinsediato in Italia.

Naturalmente tra di loro vi sono differenze sociali, nazionali, cul-turali che sarebbe superficiale pensare del tutto ricomposte dallacomune appartenenza religiosa all’Islam. Sarebbe riduttivo, in altreparole, attribuire un’identità comune a persone che in occidente vivo-no una pratica religiosa diversa da quella dei paesi di appartenenza,che sono orientate politicamente anche in modo opposto, che presenta-no — come ogni gruppo sociale — diversità di classe, di genere, diappartenenza nazionale.

Ma d’altra parte la comune matrice religiosa si traduce in formediverse anche nei paesi in cui l’Islam è religione dominante e spessodietro la bandiera dell’Islam — o di altre religioni — si nascondo pro-getti politici, interessi economici, conflitti sociali. Pensiamo all’Alge-ria del “fondamentalismo”, alla Libia e alla Palestina con il loro “laici-smo”, all’Iran in cui, in nome degli stessi principi islamici si contrap-pongono reazionari e moderati, all’Afghanistan governata per unperiodo dai talebani.

Resta il fatto che l’Islam, con tutto ciò che ha rappresentato nelpassato e con tutto ciò che oggi rappresenta, con i suoi 14 secoli distoria, con il suo costituire la terza più importante religione monotei-stica insieme all’ebraismo e al cristianesimo, l’Islam, si diceva, ècomunque un fattore che concorre a determinare l’identità di migliaiadi nuovi concittadini e diviene indispensabile, di conseguenza, cono-scerne le caratteristiche principali e la storia in maniera meno superfi-ciale di quanto oggi non avvenga.

Nella scuola, in particolare, tutto ciò è quantomai necessario noncome discorso da delegare allo specialista in intercultura o al mediato-re culturale arabo, ma come prassi didattica quotidiana di docenti chefinalmente siano formati avendo nel loro curricolo universitario un“pezzo” di cultura arabo–islamica. Comprendendo in questo curricoloanche l’epoca pre–islamica della civiltà araba, quella che i musulmanichiamano jahiliya, “età dell’ignoranza”, ma che è anch’essa ricca disuggestioni religiose incarnate sui valori del naturalismo e del pagane-simo antichi.

Riteniamo, infatti, che sul piano pedagogico sia molto più effica-ce affrontare tali questioni nella normale didattica “del mattino”, nello

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studio dei classici, nel vivo della cultura occidentale, finalmente rilettae reinterpretata in un’ottica mondiale. D’altronde oriente e occidentehanno conosciuto, nel Mediterraneo, due destini incrociati, che si sonovenuti separando e contrapponendo a partire dal XVI secolo e, con piùforza, con il colonialismo del XIX secolo che ha spezzato, o quanto-meno reso assai esili, i milli fili che legavano i due mondi.

La “normalità” pedagogica dovrebbe consistere, quindi, in unaparziale modifica del canone, dall’interno, per dir così, del canonestesso, modifica che faccia tesoro della straordinaria fioritura critica,di quella letteratura scientifica che da almeno trent’anni ha rimesso inquestione le rigide appartenenze nazionali delle culture e dei loro rap-presentanti.

L’odierna percezione dell’Islam continua, tuttavia, ad essere ditipo ansiogeno. Il mondo arabo–islamico è visto in Occidente comeminaccia e barbarie. La guerra santa, il velo, il fanatismo, la sottomis-sione delle donne, il terrorismo sembrerebbero gli unici eventi attra-verso cui è filtrato quel mondo. La diversità musulmana è vista e vis-suta come una diversità astorica, dai caratteri atemporali, come undato quasi di tipo antropologico, come se si trattasse di qualcosa asso-lutamente estraneo e inconoscibile.

“Evidentemente — ha scritto lo storico Franco Cardini — siamodi fronte ad una diversità che è in gran parte frutto di un’incompren-sione storica non antica, bensì recentissima. Nel mondo medievale imusulmani e i cristiani ogni tanto si combattevano e se le davano disanta ragione, ma si comprendevano benissimo. L’Occidente nonsarebbe nato senza Avicenna, Averroè, le traduzioni arabe di Aristote-le; l’Islam è una delle levatrici, talvolta violente, che stava al capezza-le dell’Europa quando questa ha partorito l’Occidente. L’incompren-sione è venuta dopo a seguito dell’atteggiamento bifronte — coloniali-smo da una parte, esotismo e orientalismo dall’altra — che ha trascu-rato di comprendere l’Islam, ritenendo che fosse una dottrina di colo-nizzati in via di estinzione; cosicché ha dimenticato di leggerlo e distudiarlo” 17.

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17 F. Cardini, I musulmani, in L. Cavazzoli (a cura di), La diversità in età mo-derna e contemporanea, Name, Genova 2001, p. 242.