Officina DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI - fondirigenti.it · 2 IL PROTTO L SU INALITA’...
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“Officina DELLE
RELAZIONI INDUSTRIALI”
Sommario IL PROGETTO E LE SUE FINALITA’ ............................................................................................................ 2
IL MERCATO ITALIANO DI RIFERIMENTO ................................................................................................. 4
LE RELAZIONI INDUSTRIALI IN ITALIA: QUADRO SINTETICO .................................................................... 8
GLI OUTPUT DELL’OFFICINA .................................................................................................................. 11
Semplificazione le regole ................................................................................................................... 11
Nuovo dinamismo al mercato italiano e al sistema di Relazioni Industriali ...................................... 12
Sviluppo del welfare aziendale .......................................................................................................... 17
Age management .............................................................................................................................. 18
Utilizzo efficace della “Staffetta Generazionale” e della “Garanzia Giovani” ................................... 20
BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................ 24
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IL PROGETTO E LE SUE FINALITA’
L’“Officina delle Relazioni Industriali” rappresenta un progetto ideato da
Unindustria (Unione degli Industriali e delle imprese di Roma, Latina, Frosinone,
Rieti, Viterbo) e Federmanager Roma e sostenuto da Fondirigenti.
Lo scorso 9 luglio 2014 si è tenuto l’ultimo incontro dell’Officina, che ha
permesso ad esperti del settore delle Relazioni Industriali di confrontarsi e tirare le
fila di un ragionamento iniziato circa un anno prima, coinvolgendo esperti del
settore anche tramite tavoli di confronto online su una piattaforma internet creata
ad hoc.
In particolare, sono stati due gli obiettivi a cui l’Officina è stata finalizzata:
istruire manager e collaboratori a corrette e moderne Relazioni Industriali e
provare a dare un contributo per la ricerca di un nuovo modello di Relazioni
Industriali, fondato su rapporti di forza innovativi e capace di affrontare le
repentine evoluzioni del mercato del lavoro, sempre più incline al mutamento.
Proprio su tali premesse, si sente forte oggi il bisogno di cambiare il sistema di
rappresentanza sociale a tutti i livelli e, quindi, il sistema di Relazioni Industriali,
ripartendo dall’analisi dei bisogni reali e del mutato scenario economico, senza mai
dimenticare le nuove generazioni, penalizzate dalle scelte sociali sino ad oggi
intraprese.
I temi affrontati dall’Officina hanno spaziato da argomenti di taglio
prettamente giuridico – quali ad esempio l’analisi degli accordi sindacali sottoscritti
nell’ultimo triennio e dei soggetti di governo delle Relazioni Industriali – a
ragionamenti di taglio spiccatamente sociologico – basti ricordare gli
approfondimenti in tema di negoziato e di dinamiche di forza tra i soggetti delle
relazioni - senza mai perdere il riferimento a spunti di natura economica e di
macrosistema.
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L’Officina ha visto la partecipazione di circa cento specialisti per ciascuno
degli otto eventi e di oltre venti esperti del settore in qualità di docenti.
Numeri, questi, che da un lato rappresentano la complessità e la molteplicità
degli argomenti trattati, dall’altro ritraggono con palmare evidenza la continua
attenzione che la materia delle Relazioni Industriali suscita oggi, forse ancor più di
quanto avveniva in passato.
Il ruolo che l’Officina ha inteso rivestire è stato proprio quello di tracciare una
nuova rotta nella miriade di questioni connesse alle Relazioni Industriali,
allontanandosi dai falsi o quantomeno controversi miti che da tempo pervadono
la materia, quali ad esempio la necessità di dettare ulteriori regole formali o,
ancora, la ricerca angosciosa di ricondurre l’Italia all’interno di modelli di Relazioni
Industriali di altri paesi limitrofi, come la Francia, la Germania o la Spagna. Il
nomen assegnato all’Officina raffigura proprio questo tentativo, emblematico, di
mettere mano ad una materia di così difficile approccio, tentando di
ammodernarne i tratti fondamentali che la compongono.
Di fronte ad un sistema economico in continua evoluzione e colpito da
profondi mutamenti, il nuovo sistema di Relazioni Industriali deve saper essere
inclusivo e deve saper partire, prima di tutto, dal capitale umano e, quindi, dalle
persone.
L’Officina delle Relazioni Industriali vuole assolvere a questi ulteriori compiti:
cercare di creare un clima e un linguaggio comuni all’interno del mondo delle
imprese, per poi condividere gli stessi con le interfacce istituzionali.
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IL MERCATO ITALIANO DI RIFERIMENTO
Prima di affrontare nel dettaglio le tematica delle Relazioni Industriali e degli
output dell’Officina, appare doveroso procedere ad una descrizione del mercato
italiano, rappresentando brevemente le politiche intraprese di recente e le finalità a
cui esse tendono.
L’economica italiana continua a essere pesantemente segnata dalla crisi
economica mondiale più grave dal dopoguerra ad oggi, sia per gli effetti prodotti
sia per la durata. La crisi, infatti, ha prodotto i primi effetti sull’economia reale già
nel 2008 e nei sette anni successivi non si è verificata nessuna significativa
inversione di tendenza. Il prodotto interno lordo ha subito una contrazione tale da
non riuscire a recuperare ancora nel 2013 il volume registrato nel 2000, e il Pil pro
capite è regredito ai livelli verificatesi quasi quindici anni fa. La domanda interna è
crollata, producendo effetti devastanti sul commercio estero (soprattutto in
termini di importazioni), sugli investimenti e sui consumi.
Ciò ha determinato uno sconvolgimento anche sul mercato del lavoro, affetto
da un crollo dell’occupazione pari a un milione di posti di lavori, nell’industria e
ancora più marcatamente nelle costruzioni. Parimenti il numero dei disoccupati in
Italia è raddoppiato, in netta controtendenza con il trend positivo registrato negli
anni ’90, portando il numero di coloro che vorrebbero lavorare ma non lavorano a
superare i tre milioni di unità nel 2013. Dal 2008 ad oggi il numero dei disoccupati
è aumentato del 30%, per effetto di tutti coloro che hanno perso la loro
occupazione, soprattutto nel Nord dove il tasso di disoccupazione è raddoppiato.
L’effetto più grave si registra in termini di disoccupazione di lunga durata, che ha
registrato un tasso di variazione pari al 17% nel Nord-est e di un deciso aumento
delle forze di lavoro potenziali, ovvero del numero di coloro, soprattutto gli
uomini e i meno istruiti, che vorrebbero trovare lavoro ma non lo trovano.
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Tale fenomeno è strettamente connesso con quello della povertà relativa in
costante aumento nel nostro paese. Se nei primi anni della crisi un ruolo attivo nel
sostentamento delle famiglie è stato svolto dai pensionati da lavoro, oggi questo
ammortizzatore sociale non funziona più e le famiglie prive di reddito sono
raddoppiate dal 2008 ad oggi, soprattutto nel Mezzogiorno. Si tratta di un
fenomeno tipicamente italiano connesso alla scarsa tutela del lavoro del
capofamiglia che rischia di produrre effetti gravi di esclusione sociale se non
verranno adottate efficaci politiche a lungo termine. In questo scenario le donne
sono state chiamate a entrare nel mondo del lavoro per sopperire alla perdita di
occupazione del partner maschile (donne breadwinner) : oggi una famiglia su tre è
costituita da un unico occupato di sesso femminile, rendendo ancora più
problematica la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le donne. Tutte
queste difficoltà hanno indebolito la funzione sussidiaria svolta dalle reti familiari,
rendendo meno efficace la loro azione di supporto a causa del protrarsi della crisi
economica e del mercato del lavoro. Se nei primi anni della crisi le famiglie italiane
sono riuscite a tamponare l’erosione del potere di acquisto, intaccando il
patrimonio e usufruendo di alcuni strumenti di supporto al reddito dei lavoratori,
oggi tali strategie non sono più sufficienti; l’effetto è un aggravamento generale
delle condizioni socio-economiche delle famiglie, in termini di povertà assoluta e
deprivazione materiale. L’8% delle famiglie italiane è povera, soprattutto tra
quelle ampie, con figli minori, famiglie di operai, di lavoratori in proprio e con
redditi da lavoro associati a quelli da pensione.
Uno degli effetti più evidenti prodotti della crisi è il rafforzamento del già
evidente divario economico esistente tra il Nord e il Sud del paese; il meridione
esce dalla crisi ancora più debole a causa di una contrazione del Pil quasi doppia
rispetto a quella registrata nel Centro-Nord e di occupati, soprattutto donne,
giovani e persone poco istruite, pari al 60% di quella nazionale. Nel Mezzogiorno
una famiglia su 10 è povera in senso assoluto e la deprivazione materiale riguarda
una famiglia su 4.
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In questo quadro generale segnato da gravi difficoltà sociali ed economiche,
anche in Italia si sono manifestati i primi segnali di miglioramento a partire dalla
metà del 2013 sulla scia del graduale miglioramento dell’economia mondiale.
Nell’ultimo trimestre del 2013 si è registrato un lieve aumento congiunturale
del Pil, grazie al contributo positivo degli investimenti e delle esportazioni nette.
Per la prima volta dall’inizio della crisi la riduzione dei consumi è stata maggiore
della riduzione del reddito, segnalando una leggera ripresa del potere di acquisto
delle famiglie e della loro propensione al risparmio. Il tasso di inflazione è calato
nettamente nel 2013: il tasso di crescita dell’Indice dei Prezzi al Consumo per
l’intera collettività si è più che dimezzato rispetto all’anno precedente, mentre
l’indicatore del clima di fiducia degli imprenditori ha mostrato variazioni
congiunturali positive.
Nel mercato del lavoro insistono forti segnali di criticità. Nel 2013
l’occupazione è continuata a diminuire, più che negli anni precedenti nei quali si era
ricorsi a contrazione delle ore lavorate anche attraverso l’utilizzo della Cassa
Integrazione Guadagni, dei contratti di solidarietà e di regimi di lavoro a tempo
parziale. L’occupazione è diminuita soprattutto tra i giovani, gli uomini e nel
Mezzogiorno, dove al contempo sono cresciuti in maniera evidente le persone in
cerca di occupazione. La struttura occupazionale invecchia e i giovani, soprattutto
tra i più istruiti, emigrano all’estero alla ricerca di opportunità negate nel paese di
origine.
La flessione dell’occupazione è stata sicuramente meno forte tra le
componenti più istruite della forza lavoro; tuttavia sono in costante aumento coloro
che sono costretti ad accettare un lavoro di un livello inferiore rispetto al titolo di
studio conseguito. L’Italia è tra i paesi dell’Unione europea con il più basso tasso di
laureati ma la più alta incidenza della sovra istruzione. Sono elementi che
producono effetti discorsivi pericolosi, in termini di scoraggiamento, riduzione
della produttività ed esclusione sociale, che richiedono strumenti e politiche
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adeguate affinché il circolo vizioso possa registrare, finalmente, una reale inversione
di tendenza.
A tale quadro si associano inoltre i vincoli alla politica di bilancio che,
soprattutto negli ultimi anni di crisi, hanno limitato la possibilità di stanziare
risorse aggiuntive a fronte di una disoccupazione oramai sempre più diffusa.
Un altro tema oggetto di particolare attenzione da parte delle politiche
economiche è quello dei livelli del costo del lavoro. Nel corso degli ultimi anni la
questione dei livelli dei costi relativi è diventata centrale, soprattutto con
l’inasprimento delle condizioni della competizione internazionale, che hanno visto
soccombere alcuni segmenti produttivi. Diversi processi produttivi sono stati
delocalizzati sin dagli anni duemila. Rispetto a tali processi le risposte sono diverse
a seconda dei paesi. Le economie vincenti rispetto alle sfide poste dalla
globalizzazione sono per ora quelle che si sono distinte per il maggiore grado di
innovazione e maggiori incrementi della produttività, soprattutto la Germania.
Come sottolineato anche dal Rapporto sul Mercato del Lavoro del CNEL
2013-2014, la gracilità della rete italiana nel suo complesso, rende
l’implementazione del programma comunitario della Garanzia Giovani – di cui si
dirà largamente più avanti - una sfida particolarmente ardua ma che deve essere
doverosamente portata efficacemente fino in fondo.
E’ questo il quadro complessivo con cui le Relazioni Industriali sono chiamate
oggi a confrontarsi. Un quadro estremamente complesso e volatile, con confini
sempre meno identificabili e con problematiche sempre nuove da fronteggiare.
Ecco allora che risulta necessario comprendere cosa siano oggi le Relazioni
Industriali e quali possano essere le attuali finalità verso cui esse devono
indirizzarsi.
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LE RELAZIONI INDUSTRIALI IN ITALIA: QUADRO SINTETICO
Prima di procedere ad un’analisi delle Relazioni Industriali italiane, si ritiene
opportuno definire cosa esse effettivamente siano.
Ebbene, usufruendo della definizione che viene data delle Relazioni Industriali
dall’Enciclopedia delle Scienze Sociali Treccani, esse devono intendersi “l'insieme di
norme (più o meno formalizzate, specifiche o generali), relative all'impiego del lavoro dipendente,
nonché ai problemi e alle controversie che da tale impiego derivano, prodotte in prevalenza da
attori collettivi più o meno organizzati (sindacati dei lavoratori, associazioni imprenditoriali
oppure singole imprese) e quasi sempre con il concorso dell'attore pubblico. […]. All'interno delle
norme prodotte appare rilevante la distinzione fra norme sostanziali e norme procedurali: le
prime regolano le materie del rapporto di lavoro (retribuzione, orario, mansioni, ecc.); le seconde
regolano le modalità e gli attori per la produzione delle norme stesse (diritti e rappresentanze
sindacali, agenti e livelli contrattuali, meccanismi di composizione delle controversie, reclutamento
della manodopera, ecc.).
L'espressione “relazioni industriali” può essere intesa in due accezioni, una ampia e una
ristretta. Nel primo caso essa indica l'insieme dei processi di interazione fra imprenditore e
lavoratori, quindi non solo le relazioni con le rappresentanze dei lavoratori ma anche quelle
'interne' e interpersonali con la gerarchia manageriale, le consuetudini e le pratiche quotidiane di
utilizzo e di valutazione delle prestazioni (v. Marsh, 1979). Si pensi, ad esempio, al tema
cruciale dei percorsi di carriera. Così intese le relazioni industriali fanno riferimento soprattutto
all'impresa.
Nella seconda accezione l'espressione si riferisce specificamente alle norme e agli attori della
regolamentazione del rapporto di lavoro, alle relazioni fra imprenditori e rappresentanze dei
lavoratori, agli orientamenti e alle azioni degli uni nei confronti degli altri. Così intese le
relazioni industriali fanno riferimento non solo all'impresa ma anche ad altri livelli (settore
produttivo, ambito nazionale o subnazionale)”.
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Le Relazioni Industriali sono quindi lo specchio della Società e variano al
variare di questa. La crisi che ha attraversato il mondo intero e in particolare
l’Europa, ha provocato un forte aumento non solo della disoccupazione in senso
stretto - che si riferisce alle persone prive di occupazione ma che compiono pur
sempre azioni di ricerca attiva - ma anche del numero di persone che hanno
interrotto l’attività di ricerca perché scoraggiati o perché in attesa dell’esito di
passate azioni di ricerca.
Non c’è dubbio quindi che nella difficile situazione che oggi affronta il nostro
Paese diventa decisivo il clima che si respira intorno all’impresa e la capacità degli
attori sociali di realizzare un sistema di relazioni industriali che sia il risultato di
un’interazione, quindi di un dialogo capace di dar voce alle molteplici esigenze.
Sono in particolare tre i fenomeni importanti che devono essere sottolineati in
questo quadro di crisi del sistema:
· lo spostamento di reddito verso i paesi emergenti;
· un deficit in termini tecnologici;
· la disuguaglianza sempre più accentuata dei redditi.
Questi sono fenomeni, che fanno da sfondo a quella che il Governatore della
Banca d’Italia, in maniera icastica in una sua recente relazione, ha chiamato la
“difficoltà di aggiustamento del sistema Italia, dal punto di vista sociale ed economico, rispetto ai
cambiamenti straordinari che si sono verificati a livello globale”.
In verità, non solo l’Italia ma l’intera Europa si è trovata ad affrontare questi
cambiamenti, seppure forse in misura ridotta. In questo quadro di recessione, gli
interventi possibili possono essere di breve periodo - quali ad esempio gli
interventi di politica fiscale e gli interventi redistributivi – o interventi di lungo
periodo, come la capacità di rendere innovativo e di mettere insieme le ragioni
d’impresa con le ragioni del lavoro. É evidente quindi come le relazioni industriali
si trovino al centro di questo discorso.
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Non è più possibile guardare a sterili contrapposizioni tra politica della
domanda e politica dell’offerta. Quello che risulta da tutti i dati - anche la Banca
d’Italia di recente ha pubblicato un rapporto su tale aspetto – è che ciò che non ha
funzionato è la produttività. Se è così, esiste un problema di sistema che deve
essere affrontato e sul quale le Relazioni Industriali giocano un ruolo
estremamente importante.
Se il capitale umano e l’innovazione sono quindi le due variabili su cui il
sistema è chiamato oggi a confrontarsi, vi deve essere la volontà chiara di investire
su di esse. Il sistema attuale può infatti crescere solo qualora ci sia la possibilità
reale di realizzare share economy o pre-distribution, ossia qualora si riesca a guardare
alla formazione del lavoro come un aspetto che crea investimento sul lavoro.
Peraltro, questa regola non vale solo per i lavoratori ma anche per gli stessi
dirigenti, i manager, vale cioè per tutti. Questo è il nodo su cui il sistema di
Relazioni Industriali deve oggi focalizzarsi con maggiore attenzione; poiché più si
realizza investimento sul capitale umano, più c’è crescita, più si fa innovazione,
meno c’è disuguaglianza.
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GLI OUTPUT DELL’OFFICINA
E così, proprio muovendo i passi da questa oramai doverosa ricerca di
modernizzare un sistema che sembra cedere il passo di fronte al tempo che preme,
l’Officina ha sin da subito individuato un tema di straordinario interesse nella
scarsità di investimenti che si registrano nelle Relazioni Industriali e nelle eventuali
colpe della crisi di un sistema. Una crisi antica, non congiunturale, non
tendenziale, e nemmeno conseguenza esclusiva di un debito pubblico gravoso ma,
semmai, di un piano di politica industriale mancato per così tanti anni.
Accanto alla necessità di investire nel sistema e di creare fiducia in esso,
l’Officina ha elaborato ulteriori output su cui le Relazioni Industriali saranno
chiamate a confrontarsi.
Semplificazione le regole
In primo luogo, dal confronto serrato all’interno dell’Officina tra attori di
diverse estrazioni culturali – economisti, sociologi, giuristi, manager – è emersa
con palmare evidenza l’ingovernabile stratificazione normativa e la confusione
delle regole, che non permette più di perseguire la certezza del diritto e di
comprendere i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è.
La legislazione italiana del lavoro è difatti particolarmente complessa, proprio
a causa della stratificazione normativa di cui si è appena detto.
Come recentemente ribadito dal CNEL nel Rapporto sul Mercato del Lavoro
2013-2014, “tale complessità genera incertezze e complicazioni applicative che aggravano le
difficoltà in capo alle imprese e agli stessi lavoratori”.
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L’Officina ha evidenziato con fermezza l’intorpidimento di un sistema che è
incapace di essere dinamico anche a causa del suo estremo irrigidimento
legislativo.
La semplificazione delle procedure amministrative previste per l’assunzione, la
gestione e la risoluzione dei rapporti di lavoro è oggi un dovere istituzionale che
bisogna obbligatoriamente perseguire.
Seppure infatti è innegabile che il tema della semplificazione includa al suo
interno divari enormi tra ideali di politiche sociali, è altrettanto evidente come ciò
che sinora ha innalzato barriere ideologiche contrapposte tra i vari attori ha, di
fatto, reso stagnanti e obsolete le dinamiche relazionali, impendendo sviluppo e
dinamismo dell’economia italiana.
Accanto alla richiesta di semplificazione delle regole, si pone poi il problema
della riduzione dei tipi contrattuali, numerosissimi e addirittura spesso sovrapposti
l’uno all’altro.
Il riordino auspicato dovrebbe infatti evitare inutili e complesse
sovrapposizioni dei tipi contrattuali.
Una questione tuttora aperta, com’è noto, riguarda poi la disciplina dei
licenziamenti, che seppure parzialmente riformata, resta tutt’ora estremamente
incerta nei contenuti e nelle conseguenze.
L’Officina ha evidenziato quindi la necessità di intervenire sulle suddette
tematiche quanto prima, anche al fine di evitare ingiustificabili ritardi che
compromettano irrimediabilmente un sistema già in estrema difficoltà.
Nuovo dinamismo al mercato italiano e al sistema di Relazioni Industriali
La complessità delle tematiche affrontate nel percorso dell’Officina ha inoltre
evidenziato gli effetti della crisi economica che ha attraversato e tuttora sconvolge
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l’Europa e, più in generale, il mercato globalizzato in cui i paesi si relazionano; una
crisi che ha messo in risalto i limiti del nostro sistema di Relazioni Industriali,
forse non pienamente capace di sfidare le repentine evoluzioni dell’attuale
scenario socio-economico e di fare fronte al passaggio dall’economia del lavoro
all’economia della conoscenza.
Il sistema italiano manca infatti di dinamismo, inteso come la capacità di
essere innovativo e di mettere insieme le ragioni d’impresa con le ragioni del
lavoro.
In questo contesto, assume una centralità assoluta il ruolo dei dirigenti e del
management in genere, poiché le capabilities da essi possedute sono quelle stesse
capacità individuali che, se implementate, consentono a coloro che partecipano al
processo produttivo di realizzare una forma di miglioramento che non nasce
semplicemente dalla distribuzione di più salario, ma dalla possibilità di crescere
sulla scala delle competenze e quindi di avere una personale capacità di definizione
del proprio futuro.
É evidente quindi come le Relazioni Industriali si trovino al centro di questo
ragionamento e ne rappresentino il fulcro indiscusso.
Va fatta una analisi delle priorità verificando se effettivamente il favore
concesso alla componente collettiva rappresenti tuttora la scelta più corretta o
solo una delle possibili alternative da vagliare. Infatti la sfera collettiva rappresenta
una parte certamente importante, ma il tema delle Relazioni Industriali non può
esaurirsi in essa; bisogna anche coltivare maggiormente il rapporto con le persone.
Le Relazioni Industriali, intese come sistema auspicabile, devono rivalutarsi
quindi come il prodotto di due componenti: quella delle relazioni collettive in
senso stretto e quella delle relazioni con gli individui.
Sulla componente collettiva, già esiste un modello italiano e non sembra
corretto, neppure teoricamente, appropriarsi di sistemi di Relazioni Industriali
maturati al di fuori dei confini italiani; ogni Stato ha il suo modello che, seppure
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può certamente ispirare le scelti di altri paesi, consiste pur sempre nel risultato
della storia di una nazione e del diverso sistema di relazioni in essa coltivate.
L’Italia ha le sue peculiarità e un suo modello ben definito, estremamente
incentrato sulla contrattazione collettiva nazionale quale pilastro delle regole su cui
si fonda il rapporto di lavoro, che concede spazi alla contrattazione aziendale per
affrontare le ineludibili differenze che esistono nelle aziende, perfino in quelle
appartenenti al medesimo settore.
Le Parti Sociali hanno infatti costruito, dal 28 giugno 2011 al 10 gennaio 2014,
un sistema eccezionale di relazioni collettive, di forte rottura anche con il modello
passato.
Proprio sulla scia di queste regole adottate, l’Italia si trova oggi dinanzi a un
momento estremamente delicato, in quanto le Parti Sociali sono chiamate a
procedere, senza ulteriori ritardi, dalla creazione di un modello alla
implementazione dello stesso.
Le Parti Sociali hanno infatti ricostruito sul piano delle norme un’intera
disciplina, cambiandone tutti i riferimenti - si pensi al passaggio dall’autonomia
collettiva prevista dal Codice Civile alla contrattazione attraverso le regole che le
Parti stesse si sono date-; oggi, gli attori devono lavorare per un prodotto che sia
operativo ed efficace in tempi stretti.
Di fronte al modello di regole che le Parti hanno concordato, ciò che forse
oggi manca al modello italiano è un equilibrio tra i principi che concorrono a
disciplinare le condizioni di lavoro nell’azienda. Regole del contratto collettivo
nazionale, regole del contratto aziendale e regole della contrattazione individuale.
E’ difatti innegabile che le imprese lavorino oggi su progetti temporalmente
definiti, a cui possano seguire anche periodi di forte recessione. Imprese
indirizzate verso una fase di profonda ristrutturazione si trovano oggi a convivere
fianco a fianco con altre inabissate in una crisi profonda e difficilmente risanabile.
Ebbene, se si accetta che l’azienda non sia più a tempo indeterminato, si
15
comprende con assoluta chiarezza come anche il concetto di “posto fisso” non sia
più neppure idealmente ipotizzabile.
Proprio sulla scia di tale spunto, nell’ambito dell’Officina è risaltato forte il
principio per cui il contratto collettivo nazionale di categoria non deve essere
soffocante ed impedire all’autonomia individuale di modellarsi e di avere
sufficiente spazio per saper fronteggiare in concreto le necessità sentite.
Il contratto collettivo quindi, seppure fondamentale per stabilire le regole,
deve saper lasciare spazi perché le stesse siano effettivamente adattabili alle diverse
realtà industriali e permettano così alle imprese di affrontare con maggiore
puntualità la propria situazione congiunturale, sia essa positiva o negativa.
Accanto a questa prima necessità si pone poi il bisogno, sempre più urgente,
di e di rendere le Relazioni Industriali lo strumento per consentire sia ai lavoratori
che alle imprese di fare fronte alle fasi di scarsità di lavoro che inevitabilmente,
oggi molto più del passato, si creano.
La vera domanda che oggi l’Officina si è posta è quali debbano essere i
prossimi passaggi che il nostro sistema deve saper affrontare: ebbene, è il
momento che i contratti nazionali di categoria realizzino quanto effettivamente
regolato nell’accordo del 10 gennaio 2014 e che lo facciano fino in fondo. Si è
purtroppo già assistito in passato ad accordi di straordinaria importanza – come
ad esempio quelli sottoscritti nel 2009 - che poi molti contratti collettivi non
hanno invero concretizzato.
Occorre quindi completare il percorso della “derogabilità” del CCNL ad
opera della contrattazione collettiva aziendale in un quadro di regole certe fissate
dai CCNL e definire le modalità per rendere esigibili i contratti.
Accanto a quanto detto, sarebbe inoltre auspicabile ripensare l'attuale assetto
della contrattazione, definendo iniziative di politiche attive del lavoro e cercando
di dare un contributo al tema pesantissimo della disoccupazione giovanile
16
attraverso incentivi specifici e percorsi formativi che favoriscano l’assunzione di
giovani.
La ricetta alla crisi della rappresentanza risiede poi nell’investire, come detto,
nel rapporto con gli individui ed evitare che la disaffezione dei singoli diventi un
virus non più circoscrivibile. Serve un sistema di Relazioni Industriali che
favorisca la crescita della competitività del territorio, naturalmente in un quadro di
rispetto dei diritti dei lavoratori all’interno delle imprese.
In quest’ottica, sempre più spazio potrebbe assumere il welfare aziendale,
strumento di estremo rilievo capace di migliorare con incisività il clima aziendale,
influendo positivamente sulla produttività. Purtroppo, le politiche attive di welfare
aziendale rappresentano oggi una prerogativa di aziende di grandi dimensioni,
uniche a poter investire efficacemente in percorsi costosi e a lungo termine. Su
tale presupposto, l’Officina ha identificato nella capacità di estendere tale
strumento anche a realtà aziendali piccole il vero nodo su cui in futuro gli sforzi
dovranno essere concentrati. Per realizzare ciò, le nuove Relazioni Industriali non
potranno che essere fondate sulla partecipazione e sul coinvolgimento di tutti gli
attori: parti sociali e individui.
Il mondo delle imprese e del lavoro deve infatti restare il punto fermo, il
collante di obiettivi comuni per restituire a tutto il Paese la posizione che merita
nella competizione europea ed internazionale, per rilanciare concretamente la
crescita economica.
Il percorso che si è andato sviluppando ha confermato che le Relazioni
Industriali dovranno modernizzarsi e, al contempo, semplificarsi, superando, cioè,
quelle incrostazioni di conservazione e, a tratti, di autoreferenzialità, evolvendo,
così, in un sistema più snello e responsabile, che sappia farsi carico dei bisogni
reali dei rappresentati coniugandoli con gli interessi più generali della società.
17
Infatti la persona umana è strategica per qualsiasi obiettivo di miglioramento
e, quindi, va posta al centro, con i propri bisogni non solo materiali ma di
realizzazione, del fare impresa.
Sviluppo del welfare aziendale
Negli incontri succedutisi, l’Officina ha inoltre posto un’attenzione particolare
al tema del welfare aziendale, cercando di tratteggiarne gli aspetti salienti anche in
un’ottica de iure condendo.
In Italia, alcuni fattori quali il controllo delle dinamiche salariali affidato al
CCNL, la scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello ed il ruolo poco
partecipativo delle Relazioni Industriali contribuiscono a delineare un trend
caratterizzato da crescita stagnante della produttività, elevato costo del lavoro e
bassa occupazione.
In tale contesto, appare quantomai urgente un cambiamento di paradigma che
riconosca al negoziato di secondo livello e ai nuovi modelli di welfare la
competenza a determinare l’andamento delle retribuzioni. Diventa prioritario
agevolare la transizione da una contrattazione collettiva “distributiva” a una
concezione negoziale ispirata dalla competitività e dalla occupazione.
Peraltro, è evidente come negli anni i contenuti riferibili al welfare aziendale si
sono ampliati, spaziando dalla sanità integrativa e previdenza – che ne sono il
primo ambito di sviluppo – a benefit di vario tipo nell’area dell’assistenza e dei
servizi di cura a favore delle famiglie, dai bambini agli anziani, all'educazione
specie dei giovani, fino alle iniziative di work life balance finalizzate a favorire un
migliore equilibrio nell'uso del tempo, che sono state sistematizzate tramite
accordi collettivi sia a livello nazionale che aziendali.
Si pensi in proposito al caso di scuola Luxottica, azienda che è stata in grado
di regolare tramite contrattazione aziendale una serie di sistemi di welfare in favore
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dei propri dipendenti, quali Shopping card per l’acquisto di beni alimentari,
contributi per spese sanitarie sostenute dai dipendenti e dai loro familiari, servizi
di assistenza sociale per prevenire e curare disagi della persona e dei familiari e
finanche forme di supporto per l’istruzione scolastica e per borse di studio.
Peraltro, è innegabile come lo stato dell’arte in materia di welfare aziendale sia
oggi estremamente sbilanciato a favore delle grandi imprese, che sono le uniche a
poter fronteggiare i costi di benefit di natura non monetaria in favore dei propri
dipendenti.
E’ stato così evidenziato come il volano per sviluppare efficacemente il welfare
aziendale anche nelle realtà più piccole sia oggi rinvenibile in una potenziale – ma
ancora non attuata – politica di sgravi e agevolazioni fiscali in favore di beni e
servizi offerti.
La realtà su cui è necessario oggi confrontarsi con onestà è la ridotta capacità
delle imprese di investire in prodotti che non implichino alcun vantaggio reale –
prodotti cioè che non trasmettono alcun beneficio diretto alle aziende, quale ad
esempio la componente fissa della retribuzione dei dipendenti –, alla quale si
unisce una perdita vertiginosa del potere di acquisto delle persone a causa
dell’aumento generalizzato del prezzo di beni e servizi, anche riconosciuti come
essenziali.
Age management
L’Officina ha poi evidenziato nei molteplici incontri come il sistema di
Relazioni Industriali sia costretto a confrontarsi con un tema di estrema attualità e
delicatezza, legato alla coesistenza nel mercato degli anziani e dei giovani.
L’Italia è ai primi posti nel mondo per l’intensità e la velocità con cui si sta
manifestando il processo di invecchiamento della popolazione. Peraltro, le nuove
proiezioni demografiche dell’Istat indicano che questa tendenza continuerà;
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l’invecchiamento è guidato dai tassi di fecondità relativamente bassi e da
un’elevata speranza di vita, che è peraltro sempre più destinata ad incrementare.
Se da un lato esiste quindi un evidente problema di sottoutilizzo dei lavoratori
anziani in Italia (in controtendenza con quanto avviene nel resto dell’Europa),
d’altro canto non può negarsi come il mantenimento in servizio degli anziani
renda più difficoltoso l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani.
Per contrastare le tendenze all’invecchiamento della popolazione e contenere
la spesa pensionistica ai massimi storici, l’Italia nel corso degli ultimi 15 anni ha
adottato una serie di riforme del sistema pensionistico che, insieme ad alcuni
cambiamenti nelle decisioni di partecipazione al mercato del lavoro da parte degli
individui stessi, hanno determinato un progressivo incremento nel tempo sia dei
tassi di attività che dei tassi di occupazione.
Tali politiche di riduzione della spesa pensionistica sono infine sfociate nella
nuova riforma delle pensioni, adottata dal governo Monti nel 2011, il cui elemento
caratterizzante è proprio l’aumento dell’età di pensionamento. Il provvedimento
legislativo varato mira in particolare ad aumentare l’età di pensionamento media
nei prossimi decenni attraverso un restringimento delle condizioni di accesso per
età/anzianità contributiva (in questo senso Rapporto CNEL 2011).
Ciò potrebbe ipoteticamente condurre ad un aumento dell’offerta di lavoro,
sia nel breve che nel medio - lungo termine. Contropartita quasi scontata di tale
operazione è che in futuro l’età media della forza lavoro sarà destinata ad
aumentare sensibilmente e che la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei
prossimi decenni sarà quindi progressivamente sempre più anziana.
Nel quadro di riferimento sopra descritto, le Relazioni Industriali si sono
sinora fatte carico quasi esclusivamente dei problemi dei lavoratori all’interno delle
aziende – quindi, almeno in genere, dei più anziani – e hanno definito gli interessi
di questi stessi lavoratori con una infinità di provvedimenti, purtroppo però
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spesso scaricando proprio sulle nuove generazioni i costi sociali della flessibilità in
uscita.
E’ difatti innegabile come le aziende in genere tendono a dotarsi di politiche di
invecchiamento attivo nella misura in cui non riescono ad eludere il problema con
altri strumenti o a spostarlo su enti istituzionali terzi.
Ma è evidente che, come contropartita, se da un lato tale scelta ha
salvaguardato il più possibile i lavoratori che erano già stabilmente inseriti in
azienda, d’altro canto ha fortemente penalizzato quelli che invece si trovavano
fuori dal sistema di tutele. La tutela dei soggetti già impiegati in azienda è stata
infatti realizzata anche attraverso un uso straordinario e spesso salutare degli
ammortizzatori sociali, che ha permesso di superare la crisi senza estreme
conseguenze sociali ma penalizzando in parte il mercato e la flessibilità in entrata.
Utilizzo efficace della “Staffetta Generazionale” e della “Garanzia Giovani”
L’Officina ha inoltre posto una certa attenzione su entrambe le politiche di
ingresso e di uscita soft del mercato del lavoro più recenti: la “Staffetta
Generazionale” e la “Garanzia Giovani”, strumenti attraverso i quali il Governo
confida di creare nuovi posti di lavoro nel prossimo futuro.
In particolare, attraverso la “Staffetta Generazionale”, promossa dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali con Decreto Direttoriale n. 807 del 19 ottobre
2012, l’azienda si impegna ad assumere con un contratto di apprendistato o a
tempo indeterminato i giovani fino a 29 anni. Chi si trova più vicino al
pensionamento – nello specifico coloro a cui mancano al più 3 anni per l’accesso
alla pensione – può scegliere di passare a un rapporto di lavoro part time con una
riduzione dell’orario che non superi il 50%. La Regione si impegna al contempo
ad assicurare ai lavoratori prossimi alla pensione che abbiano optato
volontariamente per la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da full time a
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part time il versamento del delta dei contributi per il periodo di attuazione della
riduzione dell’orario di lavoro.
Per quanto riguarda la “Garanzia Giovani”, essa consiste nel piano europeo con
cui Stato e Regioni s’impegnano ad offrire ai giovani tra 15 e 29 anni che non
studiano e non lavorano un percorso personalizzato di formazione o
un’opportunità lavorativa.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si è già attivato, oramai dal
maggio 2014 nel coinvolgimento attivo nel progetto delle aziende attraverso la
sottoscrizione di protocolli di intesa sottoscritti con le principali associazioni di
categoria.
Non a caso, uno dei primi partenariati istituzionali attivati per favorire
l’occupazione giovanile e dare concreta attuazione al Programma riguarda
l’accordo siglato tra Confindustria, Finmeccanica, il Ministero del Lavoro e il
Ministero dell'Istruzione dell'Università in data 28 marzo 2014.
Già solo leggendo i primi due Considerando della Raccomandazione del
Consiglio dell’Unione Europea del 22 aprile 2013, si comprende chiaramente la
finalità del progetto: investire nel capitale umano e, in particolare, in quei giovani
che non sono ancora riusciti ad accedere al mercato del lavoro, attraverso l’utilizzo
mirato di risorse finanziarie che incidano positivamente sulla riduzione della
disuguaglianza sociale.
Ebbene, l’Officina ha identificato proprio in tale finalità e nell’accesso
agevolato dei giovani un obiettivo fondamentale che le Relazioni Industriali sono
chiamate necessariamente a perseguire.
Purtroppo, attraverso un monitoraggio dei dati di diffusione della Garanzia
Giovani, tale strumento di politica attiva sembra tuttora in affanno.
Si rappresentano di seguito alcuni dati del progetto aggiornati al 30 ottobre
2014.
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Fonte: Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali
Opportunità di lavoro complessive pubblicate dall’inizio del progetto (in termini di numero vacancy e posti disponibili) ripartite per tipologia contrattuale
TIPO OFFERTA NUM. VACANCY NUM. POSTI
Valore Assoluto Valore Assoluto
APPRENDISTATO 472 634
CONTRATTO DI COLLABORAZIONE 334 738
LAVORO A TEMPO DETERMINATO 15.026 21.387
LAVORO A TEMPO INDETERMINATO 2.801 3.541
LAVORO ACCESSORIO 26 87
LAVORO AUTONOMO 366 581
TIROCINIO 1.526 2.261
TOTALE 20.551 29.229
Fonte: Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali
Opportunità di lavoro complessive pubblicate dall’inizio del progetto (in termini di numero vacancy e posti disponibili) ripartite per qualifica professionale
QUALIFICA PROFESSIONALE NUM. VACANCY NUM. POSTI
Valore Assoluto Valore Assoluto
Artigiani, operai specializzati e agricoltori 3.200 4.356
Conduttori di impianti e operai semiqualificati addetti a macchinari fissi e mobili 1.499 2.093
Impiegati 2.682 4.264
Legislatori, dirigenti e imprenditori 365 459
Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione 2.785 3.471
Professioni non qualificate 892 1.660
Professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi 2.451 4.112
Professioni tecniche 6.677 8.814
TOTALE 20.551 29.229
Il primo monitoraggio del progetto Garanzia Giovani ad opera dell’Isfol
mostra come, in realtà, i dati registrati non siano affatto incoraggianti.
Le testate giornalistiche giungono perfino a sostenere che “al momento,
secondo analisi accreditate di serietà, le possibilità per un giovane di ottenere un lavoro attraverso
la Garanzia giovani sono al massimo del 2 per cento” (così il Mattino, 4 novembre 2014).
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Se questa sia la verità non è dato ancora saperlo; certo è che la difficoltà della
“Garanzia Giovani” di decollare ha suggerito nell’Officina un ulteriore tema di
dibattito assolutamente attuale, ossia il difficile rilancio delle politiche attive del
lavoro e, in particolare, dell’utilizzo efficace dei centri per l’impiego, gravati da
anni di inattività e da di grovigli di problematiche strutturali.
E’ difatti innegabile che i centri per l’impiego siano sottodimensionati di
organico, ma tale evidente squilibrio non può certo ritenersi sufficiente per
giustificare il loro fallimento né tantomeno può intendersi colmabile nel breve
periodo, soprattutto alla luce dell’attuale momento di crisi della finanza pubblica.
L’Officina ha rilevato come sia necessario, oggi più che mai, un intervento di
innovazione dei modelli di incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche
attraverso un finanziamento mirato del sistema di collocamento e il
potenziamento dei rapporti tra pubblico e privato.
Sembra inoltre essere maturo il tempo per cominciare ad occuparsi delle
politiche attive del lavoro, anche attraverso la contrattazione collettiva. E’ forse
questa, quindi la vera prossima sfida delle Relazioni Industriali.
Il prodotto del futuro sembra quindi risiedere nella diversa cultura del lavoro e
delle Relazioni Industriali, che sono destinate doverosamente a cambiare se non si
intende soccombere di fronte ai numerosi cambiamenti sociali che il nostro
modello si trova ad affrontare. Bisogna saper abbattere l’aspro confronto
ideologico che oggi esiste e creare partecipazione e coinvolgimento. Da corpi
intermedi bisogna saper diventare corpi aggreganti.
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