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LE RELAZIONI INDUSTRIALI XIX edizione Master in Gestione Risorse Umane e Organizzazione Gennaio, 2014

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LE RELAZIONI INDUSTRIALI

XIX edizione

Master in Gestione Risorse Umane

e Organizzazione

Gennaio, 2014

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Indice:

INTRODUZIONE Pag. I

CAPITOLO PRIMO: LE RELAZIONI INDUSTRIALI Pag. 1

1. Cosa sono le Relazioni Industriali Pag. 1

2. Associazioni imprenditoriali e Relazioni Industriali Pag. 1

2.1 Caratteristiche, motivazioni e peculiarità dell’azione imprenditoriale

2.2 Associazionismo datoriale e politiche sindacali in Italia

3. Il Sindacato Pag. 3

3.1 Modelli associativi

3.2 Logiche organizzative e sindacalizzazione

4. Il contratto collettivo di lavoro Pag. 4

4.1 I principali livelli di contrattazione

CAPITOLO SECONDO: EVOLUZIONE STORICA IN ITALIA ED EUROPA Pag. 5

1. Le Relazioni Industriali in Italia Pag. 5

2. La storia del Sindacato italiano Pag. 5

2.1 Origine ed evoluzione del movimento sindacale all’inizio del XX sec.

2.2 Crisi sociale degli anni ‘70

2.3 Regolazione nel “secolo breve”

3. Il contesto europeo Pag. 7

3.1 Processo d’integrazione europea

CAPITOLO TERZO: LA PROSPETTIVA ATTUALE IN ITALIA ED EUROPA Pag. 8

1. Le Relazioni Industriali in Italia Pag. 8

2. Il declino delle istituzioni classiche delle Relazioni Industriali Pag.8

3. La visione degli imprenditori Pag. 9

4. La specificità delle Relazioni Industriali italiane Pag. 9

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5. Dal quadro istituzionale ai caratteri propri delle Relazioni Industriali Pag. 9

6. Riflessioni di sintesi Pag. 10

7. Le Relazioni Industriali in Europa oggi Pag. 10

7.1 Sviluppo del dialogo sociale europeo Pag. 11

8. Vivere con la diversità Pag. 11

CAPITOLO QUARTO: I CASI Pag. 12

1. Un caso di sistema: il modello di Relazioni Industriali chimico-farmaceutico Pag. 12

1.1 Un esempio di gestione delle R.I.: il Progetto Ponte

2. PIRELLI Pag. 14

2.1 Contrattazione e accordi in Pirelli negli ultimi 3 anni

2.2 La contrattazione e gli accordi del 2011

2.3 La contrattazione e gli accordi del 2012

2.4 La contrattazione e gli accordi del 2013

3. FIAT Pag. 16

3.1Il contenuto dell’accordo di Pomigliano d’Arco (NA)

3.2 Considerazioni sul caso

4. VOLKSWAGEN Pag. 17

4.1 Consiglio di fabbrica

4.2 Consiglio di fabbrica europeo del Gruppo

4.3 Consiglio di sorveglianza

4.4 Carta dei rapporti di lavoro in seno al Gruppo

4.5 Considerazioni sul caso

5. LUXOTTICA Pag. 19

BIBLIOGRAFIA Pag. 21

WEBGRAFIA Pag. 23

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I

INTRODUZIONE Il nostro lavoro è un’esplorazione dei concetti chiave nel campo delle Relazioni Industriali e della loro evoluzione attraverso i cambiamenti socio-economici e politico-istituzionali avvenuti in Italia ed Europa. Approfondendo questa tematica, abbiamo imparato a guardare alle R.I. come a un sistema complesso di piani di azione tra loro interconnessi popolato da attori sociali (l’azienda, il sindacato e i lavoratori) legati l’un l’altro da una forte interdipendenza (capitolo 1). Questi ultimi sono a loro volta dei sistemi dinamici che, evolvendosi nel tempo e nei diversi climi politici e sociali, hanno influenzato il mercato del lavoro in Italia ed Europa (capitolo 2). Oggi economia, istituzioni, parti datoriali e sociali interagiscono tra loro in maniera sempre più globale muovendosi verso una nuova evoluzione delle dinamiche che caratterizzeranno le R.I. (capitolo 3). Gli ultimi anni sono stati per il nostro Paese e per l’Europa, forse più dei decenni precedenti, ricchi di cambiamenti economici e sociali che hanno portato a rinnovamenti legislativi e istituzionali che iniziano a impattare in maniera sempre più significativa sugli attori principali delle R.I. e sulle dinamiche che caratterizzano queste ultime. In ragione di ciò, riteniamo che sia di fondamentale importanza leggere il nostro lavoro tenendo ben presenti il clima di riformismo che sta caratterizzando il diritto del lavoro italiano e le riflessioni che esso accompagna. Le parole chiave del nostro percorso introduttivo sono: Riforma, Flexsecurity, Semplificazione e Rappresentatività. Riforma e Flexsecurity: “Il Governo Monti, con la legge Fornero (28 giugno 2012 n. 92) ha compiuto un primo passo importante nella direzione del modello “flexsecurity” e del superamento del dualismo di protezioni tra insider e outsider1: a) allineando allo standard prevalente nel centro-Europa sia la disciplina dei licenziamenti, sia il trattamento di disoccupazione […] ; b) riconducendo la Cassa integrazione guadagni alla sua funzione di garantire il sostegno del reddito quando vi è la prospettiva ragionevole di ripresa del lavoro nella stessa azienda”2. La riforma Fornero spinge il mondo del lavoro – e, quindi, quello delle R.I. – verso il concetto di Flessibilità Sicura, verso l’idea che il vincolo maggiore tra azienda e lavoratore non sia più l’inamovibilità di quest’ultimo dal suo posto di lavoro bensì la responsabilità da parte della prima di garantire ai propri dipendenti sostenibilità e continuità economica. Semplificazione: In un’intervista del 6 Dicembre 2013, Ichino ritorna sulla sua proposta di semplificazione del Diritto del lavoro presentandola come il frutto di dibattiti tecnici e politici avvenuti in sede parlamentare, accademica e sindacale. I cardini di questa proposta, inserita nei programmi legislativi del Governo e nelle agende politiche dei partiti, sono la riformulazione e la revisione in chiave europea degli elementi cardine della contrattazione tra parti datoriali e sociali3. Tuttavia la semplificazione non è solo un’iniziativa utile per fluidificare la contrattazione tra parti sociali e datoriali, ma “possibile e assolutamente necessaria, anche per contribuire ad aprire il sistema Italia agli investimenti stranieri, ridurre (con abrogazione di centinaia di norme stratificatesi nel tempo) la legislazione di fonte nazionale a un Codice del lavoro, integrato nel Codice civile, composto da 59 articoli, leggibile e comprensibile direttamente dai milioni di persone interessate alla sua applicazione e traducibile in inglese, secondo le linee-guida dettate dall’Unione Europea con il Decalogue for Smart Regulation (Stoccolma, 12 novembre 2009)” 4. Rappresentatività: Di fronte a tali cambiamenti, le R.I. potrebbero assumere un nuovo volto e gli attori in esse coinvolti potrebbero essere chiamati a modificare il loro modus agendi; difatti, tra i primi a essere chiamati a un ripensamento delle proprie prospettive ci sono le maggiori sigle sindacali e se la UIL “fa suo senza riservo il progetto della flexsecurity” 5, altre correnti (Cgil e Cisl)6 guardano con maggiore diffidenza a queste proposte che introducono maggiore “liberalità ed europeismo” nel diritto del lavoro italiano. In conclusione, l’ultima parte del lavoro ha lo scopo di mostrare le evoluzioni avvenute nel campo delle R.I. attraverso la presentazione di casi aziendali scelti.

1 Il riferimento è al dualismo esistente nel diritto del lavoro per cui i lavoratori dipendenti (insider) hanno tutele molto maggiori

rispetto ai lavoratori con contratti atipici o disoccupati (outsider). 2 http://www.pietroichino.it/?page_id=15, ma si cfr. anche http://www.lettera43.it/economia/macro/la-proposta-di-ichino-per-

rivedere-la-riforma-fornero_4367593767.htm 3 http://www.pietroichino.it/?p=29180#more-29180

4 http://www.pietroichino.it/?page_id=15

5 http://www.pietroichino.it/?p=17945

6 http://www.pietroichino.it/wp-content/uploads/2012/11/SO_N.250_Ichino.pdf

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CAPITOLO PRIMO: LE RELAZIONI INDUSTRIALI 1. Cosa sono le Relazioni Industriali Le R.I. sono l’insieme delle dinamiche che regolano i rapporti tra gli imprenditori (le parti datoriali), i lavoratori con le loro rappresentanze (le parti sociali) e lo Stato, su un piano economico-sociale e politico-istituzionale7. Partendo da questa prospettiva, una definizione maggiormente legata agli aspetti pratici del tema viene fornita da Baglioni8 che specifica come esse rappresentino:

il complesso delle norme che regola l’impiego dei lavoratori;

i metodi attraverso cui dette norme vengono stabilite, interpretate, applicate e modificate;

i metodi scelti o accettati dagli attori coinvolti per interagire. Le R.I. nascono e si sviluppano come principale strumento di regolazione del conflitto tra rappresentanze datoriali e sociali attraverso la definizione, generalmente sistematica e stabile, di norme più o meno formalizzate; in questa dinamica negoziale, lo Stato ha esercitato influenze di grado e tendenza differenti nel tempo e per questo motivo tali relazioni hanno vissuto – e vivono - processi nei quali sono riscontrabili livelli differenti di cooperazione e di conflittualità, di convergenza e di antagonismo. Tuttavia, secondo molti autori9 i rapporti di lavoro sono sempre meno determinati stricto sensu dalla contrattazione tra rappresentanze sindacali e datoriali, in qualità di soggetti collettivi, e appaiono sempre più regolamentati in maniera partecipativa e contestualizzata, con consistenti acquisizioni dei lavoratori che però – anche a causa della specificità che le caratterizza - non sempre sono universali e definitive. La prospettiva attuale10 propone la visione del fenomeno delle R.I. in un’ottica di sistema, individuando tra gli elementi costitutivi dello stesso:

le CONDIZIONI ESTERNE, cioè il mercato del lavoro e l’ordine politico (stabilità e globalizzazione);

gli ATTORI, quindi il governo e le sue agenzie, le parti datoriali e quelle sociali;

i METODI, costituiti dalla contrattazione, dalla legge e dall’iniziativa politica;

i LUOGHI, rappresentati dall’azienda, dalle categorie professionali e dai comparti produttivi. La natura specifica degli attori che vi prendono parte rende necessaria una maggiore stabilità nella definizione dei metodi di gestione di queste relazioni: la contrattazione collettiva, che regola la rete di interdipendenza che intercorre, in senso orizzontale, fra i diversi soggetti della contrattazione collettiva e, in senso verticale, all’interno dei soggetti stessi. Lo Stato può intervenire in questo sistema attraverso interventi legislativi per regolamentare i rapporti di lavoro e le attività dei sindacati e delle rappresentanze di lavoratori ovvero varando interventi di politica economica e sociale. La proporzione tra contrattazione, leggi e iniziativa politica che regolano i rapporti tra governo, parti sociali e datoriali può portare a tre tipologie di relazioni industriali11:

modello pluralista, con scarsa centralizzazione e regolamentato dalla contrattazione collettiva;

modello statalista, fortemente centralizzato e basato sull’intervento legislativo;

modello partecipativo, mediamente centralizzato e regolato a partire dalla contrattazione collettiva bilanciata da forme di partecipazione attiva nelle imprese e nella gestione delle politiche economiche. 2. Associazioni imprenditoriali e Relazioni Industriali 2.1 Caratteristiche, motivazioni e peculiarità dell’azione imprenditoriale L’utilità e le peculiarità degli organismi di rappresentanza delle parti datoriali possono essere compresi al meglio riflettendo sulla duplice natura del ruolo dell’imprenditore, che è contemporaneamente datore di lavoro e uomo di affari, e sul raggio d’azione che tale figura può avere, agendo individualmente come

7 Treu T., Cella G. P. (eds). Le nuove relazioni industriali. Il Mulino, Bologna, 1998; Sacconi M., Reboani P., Tiraboschi M.. La

società attiva. Marsilio Editori, Venezia, 2004; Carrieri M., Treu T.. 2013 (eds). Verso nuove relazioni industriali. Il Mulino,

Bologna, 2013. 8 Baglioni G.. Il sistema delle relazioni industriali in Italia: caratteristiche ed evoluzione storica. In Le nuove relazioni industriali.

Treu T., Cella G. P. (eds). Il Mulino, Bologna, 1998, ma cfr. anche Bain S. G., Clegg H. A.. Strategies for industrial relations research in Great Britain. In British Journal of Industrial Relations, 12, 1, 1974; Clegg H. A.. The changing system of industrial relations in Great Britain. Basil Blackwell, Oxford, 1979. 9 Cfr. Garibaldo F., Telljohamn V. (eds). Nuove forme di organizzazione del lavoro. Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna,

2006. 10

Cfr. Bollettino ADAPT http://old.bollettinoadapt.it/site/home/rassegna-stampa.html e rassegna stampa Confindustria http://www.aidp.it/stampa/index.php 11

Treu T., Cella G. P. (eds). Le nuove relazioni industriali. Il Mulino, Bologna, 1998.

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responsabile dell’impresa oppure collettivamente come membro di un gruppo portatore di interessi comuni12. La possibilità di orientare le proprie azioni, muovendosi tra queste due dimensioni, conferisce alla categoria dei datoriali maggiori opportunità di scelta rispetto ai lavoratori dipendenti, sia tra forme di azione individuale, collettiva e tra strumenti per tutelare i propri13diritti. Tuttavia, la duplice natura dell’imprenditore può essere considerata la variabile che rappresenta la sfida maggiore per le associazioni di categoria: in quanto datore di lavoro deve interagire con i propri dipendenti e rispondere ai cambiamenti del mercato, in quanto uomo d’affari è chiamato a definire le strategie produttive ed economiche dell’impresa in relazione al mercato14. Difatti, l’associazionismo imprenditoriale può nascere da due esigenze distinte:

la tutela degli interessi commerciali. Le trade associations si preoccupano degli interessi di specifiche categorie di produttori, anche a scapito di altri, in merito alla commercializzazione dei prodotti e alla regolazione delle attività economiche delle aziende.

la tutela degli interessi economici e sociali. Le associazioni datoriali (employers’ associations) hanno la funzione di rappresentare le imprese nel campo della contrattazione collettiva e delle politiche sociali. In Italia queste due funzioni vengono svolte dalle medesime associazioni datoriali generando fenomeni di specializzazione interna. Le caratteristiche e le motivazioni alla base delle associazioni datoriali permettono di evidenziare le peculiarità che caratterizzano l’azione imprenditoriale collettiva.

La necessità di discrezionalità e di standardizzazione. Le aziende hanno bisogno di ampi margini di autonomia per mantenere la flessibilità necessaria ad adattarsi alle mutevoli esigenze del mercato ma, allo stesso tempo, di stabilizzare i fattori che regolano il mercato del lavoro per mantenere un’equa competizione tra le imprese.

La diversità di interessi. Le organizzazioni di imprenditori racchiudono membri con interessi economici e produttivi tra loro differenti - se non in conflitto - accomunati dalla necessità di mantenere un’unità politico-contrattuale nel confronto con le altre parti sociali.

La capacità di rappresentare imprenditori o imprese. Questa duplice possibilità permette di dosare la tutela di aspetti di solidarietà che accomuna gli imprenditori (in qualità di datori di lavoro con esigenze simili) e di aspetti di diversità che connotano le imprese (e gli imprenditori, in quanto uomini di affari) che popolano il mercato. 2.2 Associazionismo datoriale e politiche sindacali in Italia In Italia l’associazionismo imprenditoriale è nato principalmente in qualità di strumento per rispondere alle rivendicazioni operaie connesse allo sviluppo industriale; successivamente, il fenomeno ha goduto di uno sviluppo relativamente rapido giovando dell’intervento dello Stato, in particolar modo nei momenti storici caratterizzati da conflitti bellici e da crisi economiche e politiche che da questi si sono generati. La rappresentanza degli imprenditori italiani è costituita da un sistema frammentato o segmentato15 che ha dato vita a una serie di confederazioni; difatti, racchiude in sé almeno due assi di divisione:

Settoriale. A differenza di altri paesi (e.g., Germania, Spagna e Gran Bretagna), in Italia esistono organizzazioni autonome e tra loro indipendenti per diversi settori dell’economia;

Dimensionale. Il tessuto produttivo italiano è da sempre caratterizzato dalla presenza massiccia di piccole realtà produttive organizzate in associazioni che ne tutelano gli interessi. Tuttavia, mentre in altri Stati queste associazioni instaurano legami di affiliazione con le confederazioni che tutelano le grandi imprese (e.g., Germania, Spagna e Francia), in Italia ciò non accade e in molti casi piccole e grandi realtà industriali vivono in contrapposizione tra loro16. Questa segmentazione ha generato la nascita di numerose organizzazioni caratterizzate da un diverso orientamento verso il tipo di struttura contrattuale che cercano di realizzare. Volendo proporre un caso

12

Cfr. Chiesi A., Martinelli A.. La rappresentanza degli interessi imprenditoriali come meccanismo di regolazione sociale. In Stato e Regolazione sociale. Lange P., Regini M. (eds). Il Mulino, Bologna, 1987; Carrieri M., Treu T.. 2013 (eds). Verso nuove relazioni industriali. Il Mulino, Bologna, 2013. 13

Chiesi A., Martinelli A.. La rappresentanza degli interessi imprenditoriali come meccanismo di regolazione sociale. In Stato e Regolazione sociale. Lange P., Regini M. (eds). Il Mulino, Bologna, 1987. 14

Lanzalaco L.. Dall’impresa all’associazione. Le organizzazioni degli imprenditori: la Confindustria in prospettiva comparata. Angeli, Milano, 1990. 15

Cfr. Lanzalaco L.. Dall’impresa all’associazione. Le organizzazioni degli imprenditori: la Confindustria in prospettiva comparata. Angeli, Milano, 1990. 16

Lanzalaco L., Ubaldi G.. Imprenditori in Europa. Una comparazione delle rappresentanze imprenditoriali nei paesi europei. Sipi, Roma, 1992.

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esemplificativo di questo orientamento, La Confindustria17 affianca in maniera attiva i suoi associati in fase di contrattazione sia a livello settoriale che aziendale; difatti, l’accordo interconfederale (tripartito) del 199318, seguito da quello del 201119, ha rappresentato una delle prime iniziative verso il ritorno alla centralizzazione. La tendenza di questa organizzazione verso un superamento della frammentazione che caratterizza l’universo datoriale in Italia rispecchia le esigenze che derivano dalla sua composizione: la Confindustria rappresenta un bacino di imprese molto diverse tra loro in termini di comparto e dimensioni, all’interno del quale le piccole aziende hanno una discreta influenza.

3. Il Sindacato 3.1 Modelli associativi La caratteristica principale del movimento sindacale risulta essere la sua forte dipendenza da fattori contestuali che può influenzare ma non determinare, vale a dire la composizione della forza lavoro e il contesto economico e legislativo. Nel tempo ciò ha portato a una diversificazione di forme organizzative che tuttora rendono il movimento sindacale un fenomeno dinamico e fortemente legato alle condizioni politiche e finanziare del paese20. Le variabili citate permettono di organizzare una tassonomia delle forme di organizzazione sindacale21.

Sindacato professionale o occupazionale. Organizza gli impiegati e i gruppi a elevata qualificazione tecnica e professionale; il potere contrattuale deriva dall’appartenenza dei suoi membri a categorie professionali che detengono competenze rare e/o specializzate.

Sindacato industriale o di categoria. Raggruppa i lavoratori del medesimo settore economico, indipendentemente dalla mansione svolta e – normalmente – su base nazionale; il suo sviluppo è legato al rafforzamento della produzione di scala e opera attraverso il contratto collettivo.

Sindacato generale. Unisce i lavoratori su base intersettoriale rappresentando un rimodellamento delle formule precedenti. È particolarmente frequente nel terziario, rappresentando uno dei risultati dell’aumentata complessità del mercato del lavoro. L’esistenza di molteplici forme di aggregazione deriva da una delle caratteristiche principali del sindacato: l’essere un’organizzazione di rappresentanza che per continuare a esistere necessità del consenso dei suoi membri. In Italia, il principale modello di organizzazione dei lavoratori è quello industriale, seguito da quello occupazionale. All’inizio del dopoguerra, queste organizzazioni sono state caratterizzate da centralismo, attenzione al potere contrattuale e predilezione per una struttura decisionale orizzontale e presente su tutto il territorio nazionale: i diversi sindacati si sono organizzati in una confederazione la cui democraticità era garantita dai rapporti (proporzionali) all’interno del gruppo dirigente. Nel corso degli ultimi sessant’anni, la rottura di tale unità ha portato alla creazione di modelli organizzativi differenti per le principali sigle di rappresentanza (Cgil, Cisl e Uil) e alla creazione di strutture sindacali autonome in diversi comparti, sia nel settore pubblico che in quello privato. 3.2 Logiche organizzative e sindacalizzazione Il modello organizzativo del sindacato italiano si presenta come una combinazione stretta della forma aziendale con quella territoriale22. Ricalcando tali strutture, tipicamente i sindacati hanno una duplice organizzazione:

Verticale, cioè rappresentativa di tutti i lavoratori di un determinato settore o comparto produttivo;

Orizzontale, ossia legate alle realtà territoriali al di là del settore. Relativamente alla necessità di rappresentare gli interessi dei lavoratori in sede di contrattazione, lo Statuto dei Lavoratori (1970) introduce la funzione della Rappresentanza Sindacale Aziendale (RSA)23: un organismo eletto dai membri di un particolare sindacato che ha il compito di tutelarne i diritti, ma nessuna titolarità nella contrattazione aziendale data la sua specifica connotazione.

17

Cfr. I dati associativi di Confindustria nel 2012, dove il numero degli associati è pari a 148.392. 18

Definisce linee guida e istituti in materia di politiche dei redditi, lineamenti e funzionamento della struttura contrattuale, politiche del lavoro e dell’occupazione. Inoltre, formalizza maggiormente i rapporti tra le due parti. 19

Sottoscritto da Confindustria, CGIL, CISL e UIL pone le basi per superare le criticità connesse ad alcuni aspetti della contrattazione (retribuzione variabile e rinnovi del CCNL) funzionali alle aziende in termini di produttività e competitività. 20

Della Rocca G.. Il Sindacato. In Le nuove relazioni industriali. Treu T., Cella G. P. (eds). Il Mulino, Bologna, 1998. 21

Bain G. S.. The growth of white collar unionism. Oxford University Press, Oxford ,1970. 22

Della Rocca G.. Il Sindacato. In Le nuove relazioni industriali. Treu T., Cella G. P. (eds). Il Mulino, Bologna, 1998. 23

Legge 300/70 dello Statuto dei Lavoratori.

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Per risolvere le criticità create dalle spaccature sorte tra le confederazioni, lo Stato e la Confindustria, Cgil, Cisl e Uil siglano l’accordo interconfederale del Luglio 1993 che introduce la Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU)24. Poiché le RSU sono elette da tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro appartenenza a un sindacato specifico, possono partecipare ai tavoli di contrattazione. Le organizzazioni sindacali che decidono di partecipare alle elezioni per l’RSU rinunciano all’opportunità di avere un proprio RSA, poiché gli eletti alle RSU non appartengono a nessuna sigla sindacale25: questa possibilità porta a scelte differenti a seconda del grado di sindacalizzazione dei gruppi in cui vengono prese. Il livello di sindacalizzazione dei lavoratori nelle diverse fasi storiche di un Paese può essere letto a partire dal peso che le variabili di capacità rappresentativa (il potere contrattuale e politico dell’organizzazione), offerta di identità (il valore attribuito all’adesione a un’ideologia) e fornitura di beni materiali (la logica assistenziale verso gli associati) assumono in relazione al contesto sociale ed economico26. Manghi ed Epifani27 ritengono che la crisi della capacità rappresentativa del sindacato dipenda in primis dallo scarso ricambio generazionale del mercato del lavoro italiano e dal diffondersi di tipologie contrattuali basate sul principio di flessibilità. Difatti, interrogandosi sulle possibili azioni da intraprendere per riformare e rendere più efficiente ed efficace l’organizzazione dei sindacati, entrambi intravedono nella semplificazione dei suoi apparati burocratici una prima risposta al problema. L’accordo del 31 maggio 2013 fra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil sulla rappresentanza sindacale può essere considerato un sintomo della comprensione della rinnovata esigenza di flessibilità e collaborazione nella contrattazione tra parti sociali e datoriali in quanto stabilisce i criteri di misura della rappresentatività dei sindacati e le regole fondamentali per la conclusione e la esigibilità dei contratti collettivi28. 4. Il contratto collettivo di lavoro La contrattazione collettiva rappresenta il principale strumento di autoregolazione dei rapporti di lavoro, nonché delle stesse relazioni industriali; la dottrina dominante definisce il contratto collettivo di lavoro come “l’accordo tra un datore di lavoro (o un gruppo di datori di lavoro) ed un’organizzazione o più di lavoratori, allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro alle quali dovranno conformarsi i singoli contratti individuali stipulati sul territorio nazionale”29. I fondamenti giuridici del contratto collettivo sono:

l’autonomia che l’ordinamento giuridico concede alle organizzazioni sindacali;

il rapporto che unisce il sindacato ai suoi membri (il primo rappresenta giuridicamente i secondi);

la stipula, che avviene tra soggetti diversi da quelli nei cui confronti lo stesso sortisce effetti (sindacati>lavoratori). L’art. 39 della Costituzione prevede uno speciale procedimento per la stipula dei contratti collettivi attraverso il quale viene a essi attribuita efficacia di norma giuridica, valevole, in quanto tale, erga omnes. Tuttavia per raggiungere tale risultato la norma prevede la registrazione dei sindacati e la formazione di una rappresentanza unitaria, costituita da un numero di rappresentanti proporzionale agli iscritti di ciascun sindacato registrato. La norma necessita di una legge di esecuzione che sino ad oggi non è stata emanata, rendendo nei fatti inattuato il disposto dell’art. 39 Cost.30. Da ciò si evince che, a oggi, non è rinvenibile nel nostro ordinamento un CCNL con efficacia erga omnes: l’unico tipo di contratto collettivo che possa oggi realizzarsi è il contratto collettivo di diritto comune, così denominato in quanto regolato dalle norme di diritto comune in materia contrattuale (libro IV c.c.). Tuttavia, anche se tale tipo di contratto ha natura negoziale privata e - per questo - vincola esclusivamente gli associati alle organizzazioni sindacali (di datori e lavoratori) che lo hanno stipulato,

24

L’ accordo del Dicembre 1993 e stabilisce che la loro composizione «…deriva per 2/3 da elezione da parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da designazione o elezione da parte delle organizzazioni stipulanti il Ccnl, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti». 25

Le associazioni sindacali possono scegliere di non partecipare alle elezioni per le RSU e avere le proprie RSA, sempre rispettando i requisiti previsti dallo Statuto dei lavoratori. 26

Della Rocca G.. Il Sindacato. In Le nuove relazioni industriali. Treu T., Cella G. P. (eds). Il Mulino, Bologna, 1998. 27

Gandiglio M.. Le rappresentanze sindacali nel cambiamento delle relazioni industriali. Due dialoghi con Bruno Manghi e Guglielmo Epifani. In Verso nuove relazioni industriali. Carrieri M., Treu T.. 2013 (eds). Il Mulino, Bologna, 2013. 28

Cfr. Treu T.. Le regole (chiare) che rivoluzionano le relazioni industriali. In La nuvola del Lavoro, blog del Corriere della sera, 2013. http://nuvola.corriere.it/2013/06/19/treu-le-regole-chiare-che-rivoluzionano-le-relazioni-industriali/ 29

Cfr. http//:www.wikilabour.it, ma anche http//:www.adapt.it . 30

La prassi ha avallato l'idea di tale sistema, anche in considerazione delle decisioni giurisprudenziali che sin dai primi anni ’50 hanno tentato dei ampliare l’ambito di efficacia dei contratti collettivi nonostante fossero “solo” contratti di diritto comune.

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l’estensione del contratto collettivo di diritto comune al di fuori dei limiti soggettivi della sua efficacia è stata operata dalla giurisprudenza a partire dalla metà degli anni ’50 tenendo principalmente conto dei parametri retributivi contenuti nei contratti collettivi di categoria per la determinazione dell’”equa retribuzione”31. Quanto al contenuto, è possibile distinguere nel CCNL una parte “normativa” e una “obbligatoria”. La prima attiene al complesso di clausole che sono destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti di lavoro ed è organizzata in due parti: una economica per i livelli retributivi e una propriamente normativa, sui vari istituti del rapporto di lavoro (e.g., inquadramento, orario di lavoro, ferie, ecc.). Diversamente, la seconda parte attiene agli aspetti che vincolano a determinati comportamenti associazioni (dei lavoratori e dei datori) tra loro (e.g., clausole di tregua sindacale). 4.1 I principali livelli di contrattazione Il modello della contrattazione collettiva come delineato nell’Accordo interconfederale del 23-7-1993, individua differenti livelli di contrattazione collettiva (divisibili in nazionale e decentrato): - il livello interconfederale, in cui contrattano le Confederazioni di Cgil, Cisl, Uil e le associazioni negoziali delle imprese (la Confindustria, la Confapi e la Confcommercio) produce protocolli di intesa sulle relazioni industriali che riguardano la generalità dei lavoratori a livello nazionale; - il livello nazionale di categoria, in cui contrattano categorie nazionali (come i metalmeccanici e i chimici) e le relative associazioni imprenditoriali, negozia accordi per i lavoratori di un determinato settore produttivo per tutto il territorio nazionale. Esso produce i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL); - il livello decentrato, che comprende sia gli accordi integrativi stipulati a livello regionale e provinciale (da strutture regionali o provinciali di categoria), che i contratti aziendali o sub-aziendali (di filiale o reparto), i quali producono accordi validi per i lavoratori di una determinata impresa. Tale intesa è stipulata normalmente tra le rappresentanze sindacali aziendali (RSA o RSU, assistite o meno dal sindacato territoriale o nazionale di categoria) e il singolo imprenditore (assistito o meno dalla sua associazione di categoria di territorio o nazionale). I contenuti di questi ultimi accordi riguardano la condizione di lavoro aziendale e, di regola, seguendo il principio del favor prestatoris32 sono migliorativi rispetto al CCNL33.

CAPITOLO SECONDO: EVOLUZIONE STORICA IN ITALIA ED EUROPA

1. Le Relazioni Industriali in Italia È di prioritaria importanza tracciare, seppur sommariamente, l’iter storico delle R.I. al fine di comprenderne la successiva evoluzione e il suo sviluppo. La storia delle R.I. in Italia e lo studio del sindacato dal secondo dopoguerra ad oggi è stato oggetto di molteplici approfondimenti e analisi da parte di giuslavoristi ed esperti del sistema politico-istituzionale che hanno, appunto, posto il proprio focus sul fenomeno sindacale dalla fine del secolo XIX e sulle vicende dell’Italia repubblicana. Da quanto emerso, per il periodo che va dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Ottanta il sindacato italiano sembrò occupare, nel panorama politico, uno spazio tanto rilevante da far sì che venisse riconosciuto un ruolo di “supplenza” nei confronti del sistema dei partiti italiani, che fino ad allora avevano governato il panorama politico.

2. La storia del Sindacato italiano 2.1 Origine ed evoluzione del movimento sindacale all’inizio del XX sec. Le origini del movimento sindacale italiano, nonostante forme di organizzazione dei lavoratori fossero già presenti dal 1853 sottoforma di “società di mutuo soccorso”, si fanno generalmente risalire alla nascita delle leghe di resistenza34. L’attività delle società di mutuo soccorso, infatti, si presentava inefficiente in quanto si limitava al perseguimento di obiettivi di mera assistenza, pertanto nacque l’esigenza di costruire nuove forme associative con caratteri propri del movimento di massa. Lo sviluppo del capitalismo esigeva, inoltre, strutture capaci di elaborare nuovi modelli di tutela della nascente classe operaia che rivendicava, in un quadro politico con tendenze fortemente conservatrici, la

31

Sancita nell’art. 36 della Costituzione. 32

La ratio di tale principio risiede nella posizione di inferiorità/subalternità del lavoratore. 33

Le fonti del diritto sindacale sono ordinate in senso gerarchico, nel senso che le statuizioni dei livelli superiori vengono imposte ai livelli inferiori. 34

Bianchi G., Le relazioni industriali. Aspetti metodologici e problemi applicativi, Franco Angeli, Milano, 1989.

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garanzia delle “elementari libertà democratiche”35. Proprio in questi anni si assiste al formarsi e al consolidarsi di una “coscienza politica” che si intreccia con una “coscienza di classe” che dà vita alle prime leghe di mestiere, sentite come una necessità di tutela nella Società ancor prima che nella Fabbrica36. L’unionismo italiano sin dall’inizio si fa carico di richieste provenienti da classi di lavoratori disomogenee che avanzavano rivendicazioni altrettanto diversificate e non di carattere esclusivamente economico. Il movimento sindacale Italiano, in questo modo, presentava dei caratteri di un vero e proprio movimento politico. Da tale impostazione dell’attività sindacale derivò un rapporto di condizionamento reciproco tra sindacato e partito operaio,con un ruolo per molto tempo sussidiario del primo rispetto al secondo. Alla fine dell’Ottocento, inoltre, con la costituzione del Partito dei Lavoratori Italiani, poi divenuto Partito Socialista Italiano, si assiste ad una vera “svolta decisiva” che ebbe riflessi profondi sulla storia del movimento sindacale italiano. Il Partito si assumeva compiti di natura politica con l’intento di rappresentare i lavoratori nelle sedi istituzionali. Subito dopo l’avvio dell’industrializzazione, con il consolidarsi del capitalismo inizia a imporsi un sistema di fabbrica che si legittima con i principi dell’individualismo liberale. Il mercato domina le relazioni tra datori di lavoro e lavoratori ed è ritenuto il meccanismo per eccellenza in grado di assicurare il maggior benessere possibile a tutti37. Lo Stato adotta generalmente una politica di laissez faire non intervenendo nella sfera dei rapporti di lavoro se non per consentire formalmente la libera organizzazione degli interessi e al contempo reprimere ogni forma di conflitto. In questa fase le relazioni industriali sono contrassegnate dall’enorme squilibrio di potere politico e istituzionale fra classi dominanti e classi subordinate. I rapporti di lavoro sono segnati dalla coercizione, mancano le condizioni per l’esercizio del potere contrattuale dei lavoratori. Successivamente, grandi eventi quali la guerra mondiale e le crisi economiche ricorrenti (specie quelle degli anni ’29-‘33), dimostrano che il sistema capitalistico non è in grado di assicurare spontaneamente equilibri sociali stabili; da qui l’emergere di nuove importanti teorie (Keynes) a sostegno degli interventi pubblici che compensino i meccanismi di mercato. Durante il secondo dopoguerra, infatti, il dialogo tra imprese e rappresentanze del lavoro avvia l’inedita forma del contrattare in modo collettivo. Essa apre una nuova fase nella storia della società e del diritto: più imprese riunite in associazioni contrattano con un sindacato che rappresenta milioni di lavoratori. L’interpretazione individualistica dell’economia, impostata dai classici (Ricardo e Smith), cede il passo all’economia “istituzionale”. Il salario non è il riflesso dei capricci del mercato, ma il risultato dell’incontro di due volontà collettive. In Italia, dove lo sviluppo economico non è accompagnato da coerenti iniziative riformistiche, l’esperienza sindacale si affermerà sensibilmente più tardi, tra gli anni ’60 e ’70 ed è notevole il salto di qualità compiuto dalle R.I.: si assiste all’ampliarsi delle norme riguardanti i criteri di impiego e la remunerazione dei salariati, si affermano i diritti sindacali e la presenza istituzionalizzata e non delle rappresentanze operaie in azienda, il conflitto diventa sempre più diffuso e legittimo. 2.2 Crisi sociale degli anni ’70 Negli anni Settanta la paralisi istituzionale che per decenni aveva impedito la realizzazione delle riforme, sentite ormai come necessarie dalla società civile a fronte di un ritardo evidente del potere politico rispetto alla realizzazione dei bisogni espressi dalla società, aveva incoraggiato l’esplosione di un movimento rivendicativo che si faceva portatore di istanze varie e complesse. Alla fine degli anni Sessanta, mentre montava l’onda della contestazione, il sindacato italiano aveva discusso diverse vertenze: la vertenza sulle pensioni si era conclusa con un relativo successo38. Parallelamente si riuscì a concludere la vertenza sulle “gabbie salariali”, la quale permise il livellamento delle retribuzioni nelle diverse zone della penisola. I sindacati avevano dunque conseguito dei visibili successi in materia di tutela dei lavoratori. La capacità di rappresentanza del sindacato si estese, dunque, ben oltre la mera rivendicazione di migliori condizioni economico-contrattuali: la maggiore risorsa del sindacato fu probabilmente la sua capacità di

35

Barbadoro I., Il sindacato delle origini, Marsilio, Venezia, 1982, p.6. 36

Antonioli M., Storia del sindacalismo. Dalle origini al corporativismo fascista, Marsilio, Venezia, 1982, p.45. 37

Bianchi G., Le relazioni industriali - Aspetti metodologici e problemi applicativi, Franco Angeli, Milano, 1989, p.22. 38

XI Congresso nazionale CGIL Roma, Documento generale. Patto per il lavoro, unità e democrazia sindacale, p. 433.

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raccogliere rivendicazioni parziali e specifiche e di generalizzare il contenuto delle proprie battaglie, proponendosi come interprete dei bisogni dell’intera società39. 2.3 Regolazione nel “secolo breve” Il ventennio a cui viene dedicata maggiore attenzione è quello che va dall’inizio degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta, durante il quale il sindacato attraversa diverse fasi evolutive. Il ruolo del sindacato subisce lenti cambiamenti nel ventennio come risultato di un processo di “istituzionalizzazione” per un verso, e di disaffezione da parte dei lavoratori dall’altro. La crisi di rappresentanza del sindacato trova conferma nei dati delle iscrizioni. Il dibattito sul ruolo del sindacato fino alla fine degli anni Novanta, che ha coinvolto non solo i soggetti sociali ma anche le forze politiche, ha riguardato in particolar modo il processo di presunta “istituzionalizzazione” del sindacato, il quale ha agito in una duplice veste: quale soggetto politico in alcuni momenti e quale soggetto “istituzionale” in una fase successiva. Le opinioni degli studiosi convergono sul ritenere che ci sia stata una trasformazione evidente del ruolo degli attori sociali, sollecitata da condizioni politiche, economiche e sociali mutate rispetto al passato. Analizzando l’evoluzione storica delle R.I., quindi, si evidenzia come i rapporti di interazione fra i diversi soggetti siano largamente influenzati dagli obiettivi degli stessi, dalle regole che disciplinano lo sviluppo dei reciproci rapporti e dall’ambiente socio–economico circostante. 3. Il contesto europeo 3.1 Processo d’integrazione europea Il processo di globalizzazione dell’economia e dei mercati ed i nuovi rapporti di forza che ne conseguono richiedevano un’azione e una presenza dei sindacati che superasse le logiche puramente nazionali, affinché le categorie dei lavoratori potessero essere adeguatamente tutelate, anche rispetto alle lobby economiche che esercitavano pressioni sulle istituzioni europee per incidere sulle scelte pubbliche e sulle decisioni di ordine economico. Solo negli anni Ottanta allo spazio sociale europeo fu dedicata maggiore attenzione dai governi dei Paesi CEE e dalle istituzioni comunitarie, si riscontrò anche nella volontà delle tre centrali sindacali italiane la necessità di rivolgere uno sguardo più attento alla politica sindacale internazionale. Un ruolo di primo piano nel processo d’integrazione europea è stato svolto dalla Confederazione Europea dei Sindacati. Compito della Confederazione era quello di rappresentare più categorie possibili, essendo centrale nel 1989, in Italia come in Europa, il problema della rappresentanza di nuove categorie sociali e professionali che il sindacato faticava a raggiungere con vecchie e ormai inadeguate strategie sindacali e schemi di rappresentanza obsoleti. Il dialogo sociale fu promosso dall’allora Presidente della Commissione Europea Jaques Delors. Negli incontri di Val Duchesse (località nei pressi di Bruxelles) tra la Commissione Europea, la Confederazione Europea dei Sindacati, e le Organizzazioni europee degli imprenditori pubblici e privati si discusse l’idea di favorire un dialogo fra le parti sociali affinché queste ultime fossero messe in grado di esercitare un potere normativo autonomo complementare a quello conferito alle istituzioni comunitarie. Frutto di tale iniziativa furono i “pareri comuni” diretti a condizionare dall’esterno l’elaborazione delle decisioni comunitarie40. Il primo atto formale e indicativo di una comune volontà di favorire l’integrazione sociale fu compiuto solo nel 1987, con la firma dell’Atto Unico Europeo (AUE), che pose tra i propri obiettivi quello di favorire il dialogo sociale. Questo portò progressivamente all’integrazione degli articoli del Trattato di Roma con l’art. 118A, che previde l’adozione a maggioranza qualificata di decisioni deliberate dal Consiglio in alcune questioni riguardanti la politica sociale, e con l’art. 118 B, che previde che si svolgesse un dialogo tra rappresentanti in sede europea dei datori di lavoro e dei lavoratori, e che questo dialogo potesse sfociare in iniziative più concrete41. L’idea dell’integrazione sociale cominciò ad acquisire maggiore importanza a seguito della valorizzazione del ruolo delle parti sociali in Europa, e proprio alla fine degli anni Ottanta diverse iniziative dimostrarono che il dialogo sociale stava acquisendo valore indipendentemente dal processo di integrazione economica. In questi anni la convergenza degli undici Stati sul percorso verso l’Europa sociale trovò conferma poco dopo l’Atto Unico Europeo nella realizzazione di quella che è nota come la Carta comunitaria dei diritti

39

Turone S., Il sindacato nell’Italia del benessere, La Terza, Roma-Bari, 1989, p.101. 40

Negrelli S., Pichierri A., Imprese globali attori locali: strategie di anticipazione e governance dei processi di ristrutturazione economica, Franco Angeli, Milano, 2010, p. 133. 41

Arrigo G., Diritto del lavoro dell’unione europea, Giuffré, Milano, 2000.

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sociali fondamentali dei lavoratori, approvata a Strasburgo nel 1989, e non firmata dalla Gran Bretagna. La Carta Sociale conteneva il riconoscimento dei diritti sociali dei lavoratori, oltre che l’auspicio che si sollecitasse lo sviluppo del dialogo sociale e la contrattazione collettiva europea, senza tuttavia imporre obblighi per alcuna delle istituzioni europee. La Carta, come le enunciazioni dell’AUE in relazione all’Europa sociale, ebbe una sua validità in quanto testimonianza di una volontà di allargare la visione dell’integrazione europea all’ambito sociale, ma non ebbe effetti e conseguenze sulle decisioni delle istituzioni. In occasione della firma del Trattato di Maastricht nel ‘92 questa volontà fu riaffermata da undici Stati con un Protocollo allegato al Trattato. L’APS, Accordo sulla Politica Sociale, ribadì le intenzioni espresse dagli Stati con la Carta sociale del 1989; con esso gli stessi Stati furono autorizzati a ricorrere alle istituzioni comunitarie per l’applicazione di quanto previsto nel Protocollo. Questo sancì due punti: 1. le Parti sociali avrebbero dovuto essere consultate dalla Commissione in ordine a qualsiasi iniziativa o proposta in materia sociale; 2. Attribuire alle parti la possibilità di stipulare accordi-quadro nelle materie di propria competenza. Quanto previsto nel Protocollo e nel Trattato del ’92 non affidò alle Parti sociali l’intera materia. Il Trattato prevedeva che la Commissione avesse l’obbligo di consultare le parti prima di assumere iniziative nelle materie di loro competenza, e che queste potessero avviare da sole il processo contrattuale ma in assenza di sanzioni applicabili in caso di inerzia; l’adozione di quanto deciso nel negoziato poteva comportare l’intervento del Consiglio con l’emanazione di una decisione, o il prodotto del negoziato poteva essere applicato dagli Stati nazionali senza tuttavia obblighi precisi per gli Stati nel recepimento degli accordi42. Nel 1994, mentre in Italia le relazioni industriali vivevano una fase di conflittualità tra sindacati e governo, veniva approvata dal Consiglio dei Ministri dell’Unione la direttiva che prevedeva l’istituzione dei CAE (Comitati Aziendali Europeo) e le procedure minime di consultazione e informazione nelle imprese di dimensione comunitaria (DIR. 22 settembre 1994, n. 94/95/CE). Nel 1996 fu concluso un negoziato che diede origine alla direttiva n. 96/34/EC, approvata il 3 giugno. Si trattò del primo “accordo quadro europeo di livello interconfederale”. Con questo, presero il via una serie di negoziati dai quali scaturirono, nella seconda metà degli anni Novanta, altri accordi. Per il 1996 era inoltre stata prevista la Conferenza Intergovernativa per rivedere il Trattato di Maastricht, e nell’anno seguente si è tenuto il vertice ad Amsterdam nel quale è stato sottoscritto il Trattato del 1997. Le decisioni assunte in questa sede hanno avuto importanti riflessi sul ruolo delle parti sociali in Europa. Le innovazioni più significative prodotte dal trattato sono state l’attribuzione di valore costituzionale ai diritti ed ai principi della Carta dei diritti sociali.

CAPITOLO TERZO: LA PROSPETTIVA ATTUALE IN ITALIA ED EUROPA

1. Le Relazioni Industriali in Italia Dopo una lunga fase di buona tenuta delle R.I. in Europa si è aperta un’altra prospettiva che appare più preoccupata da scenari di “erosione” lenta delle R.I. conosciute nel Novecento.43 In Italia il sistema di R.I. si è storicamente caratterizzato per un debole grado di istituzionalizzazione: cioè per la mancanza o per la debolezza delle regole principali del sistema. Questo clima di “erosione” ha assunto una fisionomia più definita a ridosso della vicenda Fiat, tradottesi in contratti aziendali del gruppo auto diretti ad aggirare i vincoli introdotti dal contratto nazionale. Questa vicenda è il segnale evidente della necessità di tendere a un maggiore decentramento della contrattazione, superando così l’”eccezionalità” dei sistemi nazionali di R.I.. 2. Il declino delle istituzioni classiche delle Relazioni Industriali Secondo una interpretazione di Baccaro e Howell vi è un accentuato decentramento della contrattazione, nell’ambito del quale prevalgono gli interessi manageriali, a detrimento dei contratti nazionali. In quest’ottica è necessaria una rielaborazione dei compiti per muoversi in sincronia con i committment sovranazionali, che vengono dai mercati globali, ma anche dalle stesse istituzioni comunitarie.

42

Treu T., Cella G.P., Le nuove relazioni industriali. L’esperienza italiana nella prospettiva europea, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 500. 43

Cella G.P., Difficoltà crescenti per le relazioni industriali italiane ed europee, e Crouch C.,Il declino delle relazioni industriali nell’odierno capitalismo, in Stato e Mercato, n. 1, 2012.

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A ciò si aggiunga un ulteriore aspetto che appare come una conseguenza del primo, vale a dire la riduzione della portata regolativa delle R.I. classiche, indotta da cambiamenti nella struttura produttiva e nel mercato del lavoro. Si può rilevare pacificamente che i fattori economici sono quelli che hanno una influenza dominante, infatti le R.I., più del passato, sono soggette ai vincoli di compatibilità con le condizioni dell'economia e, meno, possono essere determinate dalle situazioni politiche e organizzative (come la forza contrattuale del sindacato). Il processo di globalizzazione dell'economia, l'accentuazione della competitività dei mercati, la concorrenza esercitata dai Paesi di recente industrializzazione, la necessità di innovazione tecnologica e organizzativa delle imprese costituiscono le principali sfide agli assetti tradizionali delle relazioni industriali. Il tutto si condensa in una sorta di de-collettivizzazione delle regole in materia di lavoro44. Alla luce di quanto sin qui detto, prende consistenza un quadro che vede non tanto il tramonto delle relazioni industriali in quanto tali, quanto piuttosto della loro ambizione verso una regolazione universalistica. 3. La visione degli imprenditori La costellazione degli interessi imprenditoriali sta assumendo un contorno più eterogeneo rispetto alle immagini del passato: per una parte significativa delle imprese i contratti nazionali continuano a funzionare come un calcolo razionale utile, perché costituiscono comunque un costo minore rispetto ad altre opzioni; per un altro segmento di aziende lo scenario del decentramento come regolazione prevalente appare troppo costoso sul piano organizzativo e comunque non desiderabile; per altre potrebbe sembrare più attraente superare il contratto nazionale a favore di intese territoriali. Non dimentichiamo che il nostro sistema associativo denota una pluralità molto spiccata e maggiore (come avviene anche per il versante sindacale) rispetto alla maggioranza dei Paesi europei. Delineando la difficoltà di arrivare a sintesi condivise data l’eterogeneità delle condizioni di partenza. Possiamo riassumere la situazione degli interessi degli imprenditori in Italia in questo modo: le aziende più globalizzate (e.g., Fiat) spingono per un maggiore decentramento decisionale e contrattuale, mentre le aziende minori sono più interessate all’ombrello protettivo del contratto nazionale. 4. La specificità delle Relazioni Industriali italiane La principale particolarità delle R.I. italiane consiste nella loro debole istituzionalizzazione soprattutto per ciò che concerne una regolazione legale45. Le radici sono anzitutto sindacali e sono profonde, tanto è vero che le resistenze agli interventi legali perdurano tuttora dopo aver attraversato epoche economiche e politiche diverse, anche se ciò non ha precluso l’accettazione di singoli interventi legislativi e non: - lo Statuto dei Lavoratori (l. 300/1970); - il Patto Sociale (protocollo di intesa tra parti sociali e Governo) del 1993 che ha segnato un cambiamento di rotta dei sindacati e potere politico, in quanto rappresenta a tutt’oggi il tentativo più compiuto di regolare gli elementi principali del sistema di R.I:, prefigurando un intervento del legislatore sugli elementi principali dell’assetto delle R.I. (rappresentanza sindacale, strutture aziendali, conclusione ed efficacia dei contratti collettivi). Tuttavia sono proprio queste le parti del patto rimaste inapplicate, a causa soprattutto delle divergenze tra sindacati e resistenze imprenditoriali, le quali temevano principalmente una eccessiva ingerenza dello Stato e un incremento di vincoli. - Accordo Quadro tra Governo e parti sociali (2009) sulle regole e procedure di negoziazione e gestione dei contratti collettivi (prevedendo due livelli di contrattazione: nazionale e aziendale/territoriale con la previsione da parte di quello nazionale delle competenze di quelli territoriali). Inoltre tale accordo prevede anche che i contrasti tra contratti di diverso livello siano rimessi all’autonomia collettiva attraverso strumenti di conciliazione e arbitrato. - Accordo interconfederale tra la Confindustria e Cgil, Cisl e Uil del 28 giugno del 2011 che chiarisce il sistema della rappresentatività nell’ambito delle R.I..

5. Dal quadro istituzionale ai caratteri propri delle Relazioni Industriali Anche tralasciando il quadro istituzionale, nel nostro ordinamento emergono comunque delle specificità delle relazioni industriali. Il dato più evidente è la divisione tra i maggiori sindacati dei lavoratori, cui va aggiunta la spiccata pluralità delle associazioni datoriali. Questa caratteristica è più marcata in Italia che negli altri Paesi e si è accentuata negli anni recenti, contribuendo a una crescente differenziazione dei comportamenti delle imprese soprattutto nelle relazioni industriali. Le divisioni tra i sindacati sono state compensate per lunghi periodi dall’unità di azione fra le maggiori confederazioni, specie nella

44

Regini M., Tre fasi, due modelli e una crisi generalizzata, in Stato e Mercato, n.1, 2012 45

Cella G.P. e Treu T., Relazioni industriali e contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino 2009.

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contrattazione collettiva46. Si tratta di un equivalente funzionale dell’unità sindacale presente nei sistemi centro europei e che ha potuto in parte supplire alla mancanza di regole legali sulla formazione delle rappresentanze e sull’efficacia dei contratti collettivi. Le divergenze manifestatesi nelle associazioni dei datori di lavoro sono di origine più recente, ma si sono accentuate per gli stessi fattori che hanno posto sotto stress il sistema di relazioni industriali, a cominciare dal suo baricentro, il contratto nazionale di categoria, cioè le crescenti esigenze di flessibilità indotte dalle nuove tecnologie produttive e l’accresciuta competizione internazionale. La funzione storica del contratto di categoria, segnalata fin dai primi teorici del sindacalismo, di togliere le condizioni di lavoro dalla concorrenza fra le imprese (nazionali), si è indebolita nella misura in cui i mercati dei prodotti si sono integrati a livello sovranazionale e si è ridotto l’interesse delle imprese, specie quelle più esposte alla pressione competitiva, a seguire regole comuni47. Proprio sul versante datoriale si è consumata una rottura senza precedenti in tema di strategie contrattuali, provocata dall’iniziativa della Fiat. Tuttavia la posizione delle nostre imprese industriali è ambivalente e non del tutto definita. La parte tradizionalmente prevalente di imprenditori, specie quelli piccoli, sembra privilegiare ancora il contratto nazionale per la sua funzione pacificatrice e di stabilizzazione dei costi a un livello medio-basso. Ma sembra ci sia una crescente insoddisfazione delle imprese più grandi per l’attuale sistema, soprattutto per le regole del contratto nazionale in materia di orario di lavoro, turni e organizzazione del lavoro. Proprio tale insofferenza ha indotto la Fiat a premere per il superamento del contratto nazionale, anche se per ora a non uscire del tutto dal sistema contrattuale. 6. Riflessioni di sintesi Alla luce delle indicazioni sulle “nostre” relazioni industriali possiamo dire che il sistema italiano presenta in questo periodo, ma per certi aspetti già in precedenza, elementi di specificità e differenza rispetto ai principali caratteri presenti in altri ordinamenti dei Paesi europei, specie quelli più consolidati. La distanza massima consiste nell’assenza di regole legali, compensata solo in parte da un tessuto contrattuale faticosamente costruito, non del tutto completo e poco adatto al tempo. Il sostegno pubblico non si manifesta come il altri Paesi nel riconoscimento delle principali attività del sindacato in azienda, ma solo in alcuni diritti strumentali sanciti dallo Statuto dei lavoratori all’albore delle moderne relazioni industriali. La mancanza di un sindacato unitario, fondamento dell’autorevolezza dell’organizzazione e dell’attività collettiva nei Paesi Centro-Nord europei, ha avuto un parziale equivalente funzionale nell’unità di azione fra le maggiori confederazioni, ma il grado di efficacia di tale unità è altalenante, soggetto ai cicli politici più che a quelli economici. Infine la contrattazione collettiva, pure condividendo la struttura pluri-livello presente in altri Paesi continentali, non ha come questi un livello dominante, caratterizzandosi per un grado intermedio di centralizzazione. Il nostro è stato definito un sistema “di mezzo”, che fornisce soluzioni a problemi altrove risolti con risposte più consistenti e che non corrisponde alle condizioni ottimali di efficacia. Tuttavia questo sistema “di mezzo” ha mostrato una sostanziale stabilità nel tempo, resistendo ai ripetuti cambiamenti del contesto economico e politico degli ultimi decenni. C’è chi vede in questa in questa stabilità il valore della specificità italiana, che resiste alle sfide esterne e chi invece auspica un superamento del sistema nazionale (italiano) delle relazioni industriali così come lo conosciamo. 7. Le Relazioni Industriali in Europa oggi La profonda crisi economica che sta colpendo il Vecchio Continente ormai da qualche anno sta modificando in modo significativo le R.I. a causa dell’impatto sociale della sfida del debito sovrano e delle politiche di consolidamento dei bilanci adottate nella maggior parte dei Paesi europei. Nella prima parte della fase recessiva, il dialogo sociale rappresentava un valido strumento per attenuare gli effetti della crisi sull’occupazione. Il consolidamento di strumenti quali la flessibilità interna e i programmi di lavoro a breve termine, uniti al valido supporto del sistema bancario e ad accordi fiscali specifici in alcuni settori (vedi quello automobilistico) permetteva di generare consenso sociale e un positivo affidamento alla capacità di recupero. Il deterioramento della situazione macroeconomica ha finito per coinvolgere un numero sempre maggiore di settori industriali, trasformando la crisi fino a quel momento soltanto finanziaria in crisi del debito sovrano e “costringendo” i governi nazionali a intervenire sul consolidamento fiscale per risanare le casse dei loro Paesi. Questo non ha certo favorito, anzi, ha contribuito a peggiorare le condizioni del dialogo

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Cella G.P., Il sindacato. Laterza, Roma-Bari, 2004. 47

Cella G.P. e Treu T., Relazioni industriali e contrattazione collettiva, Il Mulino, Bologna, 2009.

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sociale, divenuto conflittuale in molti Paesi e particolarmente evidente in alcuni settori, come quello pubblico48. Negli ultimi anni, gli sviluppi delle R.I. sono stati sempre più caratterizzati da alcuni trend secolari. Infatti, è proseguito il declino dell’adesione ai sindacati, inesorabilmente iniziato negli anni Ottanta, che continuano a essere molto frammentati su tutto il territorio europeo. La contrattazione collettiva è ora più decentralizzata. Il tasso di copertura sindacale (quota di lavoratori interessati da accordi collettivi stipulati tra organizzazioni datoriali e sindacati) nell’UE a 28 Stati è mediamente del 66%, con un picco in negativo del 44% nell’Europa centro-orientale. La union membership (densità sindacale) è del 24%: molto elevata nei Paesi scandinavi (73% Svezia, 71% Finlandia, 69% Danimarca) data la diffusione del “sistema Ghent”, che prevede fondi volontari per la disoccupazione con un alto livello di sostituzione del salario gestiti direttamente dalle federazioni di categoria49; più basso in Francia (inferiore al 5%) e Spagna (17%)50. Se poi si osserva il tasso di sindacalizzazione sulla base delle differenti qualifiche si nota come sia maggiore tra operai e dipendenti pubblici e inferiore tra gli impiegati privati di tutti i Paesi, eccezion fatta per quelli scandinavi e l’Austria51.

8. Relazioni Industriali: sviluppo del dialogo sociale europeo Le strutture europee e internazionali rivolte al dialogo sociale (ILO, CES, BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP, Commissione europea, Consiglio europeo e Parlamento europeo)52 rimangono un’opportunità di discussione e trattativa tra le parti sociali a livello intersettoriale e settoriale in tutta l’Unione Europea. Tra il 2010 e il 2012 sono stati raggiunti numerosi accordi, avviati progetti e cooperazioni in nuovi settori economici e sono stati concordati più di 70 testi congiunti. Come è facile intuire, di importanza strategica è la ricerca di soluzioni che consentano di attenuare gli effetti occupazionali e sociali della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni. Sempre più centrale sta diventando, infatti, il monitoraggio e l’attuazione delle politiche di flexicurity: la “sicurezza flessibile”. Nonostante la Commissione europea abbia accettato di recente la possibilità di diversi percorsi verso la flexicurity, l’obiettivo resta comunque unico: coniugare “l’esigenza di flessibilità imposta dal mercato globalizzato con le garanzie di sicurezza dell’occupazione di ogni lavoratore per garantire competitività alle imprese e, insieme, fornire ai lavoratori sostegni attivi e passivi, come il diritto alla formazione permanente (lifelong learning) e gli ammortizzatori sociali”53. Pur avendo perso slancio dopo il 2008, a seguito dei deludenti risultati danesi, e pur essendo stato abbandonato in alcuni Paesi (in Francia e Germania è stata forte l’opposizione dei sindacati che hanno prediletto l’idea di una “assicurazione – sécurisation – delle transizioni nel mercato del lavoro) il Consiglio Europeo promuove considerevolmente questo modus operandi con numerose Linee Direttrici e Raccomandazioni54, credendo fortemente che, se attuato nel modo giusto, possa condurre ad una soluzione di tipo “win-win” sia per i sindacati che per i datori di lavoro. 9. Vivere con la diversità Benché i recenti trend delle R.I. in Europa destino preoccupazione, un dialogo sociale forte e strutturato viene ritenuto ancora un valido strumento per affrontare la crisi. Infatti, i Paesi in cui il dialogo sociale è ben radicato sono quelli che riescono a resistere meglio alla pressione e a ottenere i risultati migliori dal punto di vista produttivo (Norvegia, Austria, Olanda, Svezia)55. Al di là delle differenze esistenti tra i vari sistemi nazionali (ontologiche in una realtà geo-politica frammentata come quella del Vecchio Continente), il dialogo sociale è un fattore storicamente chiave e identificativo del modello europeo (a livello globale la maggior parte della popolazione non ne ha ancora accesso56), il cui ruolo vitale è riconosciuto da molteplici Trattati (su tutti gli artt. 154-155 del TFUE e gli

48

Commissione europea – Direzione generale per l’Occupazione, gli affari sociali e l’inclusione, Relazioni industriali in Europa 2012 – Sintesi, 2013, p. 4. http://bookshop.europa.eu/it/direzione-generale-per-l-occupazione-gli-affari-sociali-e-l-inclusione-cb5Bmep2IxvtAAAAEurxMIaMP7/. 49

Borioni P., Modelli organizzativi e politiche di affiliazione in Europa – Il modello scandinavo, in Rivista trimestrale “Ricerca e

formazione nel settore agroalimentare per il lavoro e la sostenibilità”, Ediesse, Roma, 2012, p. 69. 50

Malandrini S., Russo A., Lo sviluppo del “capitale umano” tra innovazione organizzativa e tecniche di fidelizzazione, Giuffrè, Milano, 2006, p. 35. 51

Noe R.A., Hollenbeck J.R., Gerhart B., Wright P.M., Human Resource Management, Apogeo, Milano, 2012, p. 389. 52

Etuc-Ces, I sindacati e le relazioni industriali nei paesi dell’UE, http//:www.etuc.org/img/pdf/turkish_4i.pdf, Bruxelles, 2010, p. 1. 53

Novelli S., http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/parole/delleconomia/flexicurity.html. 54

Meardi G., Relazioni industriali europee e pressioni internazionali. Analisi comparata fra sei paesi. Warwick, 2012, p. 9. www2.warwick.ac.uk/fac/soc/wbs/research/irru/publications/recresrep/rapporto_-_italian.pdf. 55

Pil pro capite in standard di potere d’acquisto (SPA), http//:www.europa.eu. 56

Massimiani C., La qualità del lavoro nell’esperienza dell’OIL e nelle politiche sociali europee. Lulu Press, 2010.

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artt. 12, 27 e 28 delle Carta dei diritti fondamentali)57. Pur in mancanza di una risposta transnazionale istituzionale organizzata, ormai possono definirsi consolidate forme soft di connessione tra i diversi sistemi locali, capaci di effetti diretti e indiretti in ambito di legislazione, contrattazione collettiva e stato sociale58.

CAPITOLO QUARTO: I CASI

1. Un caso di sistema: il modello di Relazioni Industriali chimico-farmaceutico La contrattazione nazionale del settore chimico-farmaceutico rappresenta storicamente un’esperienza di grande interesse nell’ambito della quale sono state spesso praticate soluzioni innovative e sperimentazioni. Tale segno distintivo, peraltro, ancora oggi si qualifica come centrale, caratterizzando l’intero testo del CCNL, firmato il 18 dicembre 2009, ed è risultato l’elemento determinante del rinnovo per il triennio 2013 –2015. Il settore chimico farmaceutico, infatti, anche se molto diversificato al proprio interno per tipologie produttive, ha maturato nella sua storia una peculiare cultura di relazioni sindacali partecipative non solo a livello nazionale, ma anche, in modo diffuso, a livello aziendale. L’elevata specializzazione dei lavoratori del settore fa sì che il loro potere contrattuale nei confronti delle parti datoriali, negli anni, sia sempre stato maggiore rispetto a quello della forza lavoro di altre categorie. Per cogliere il percorso storico delle relazioni sindacali nel settore, basta prendere come riferimento i contratti nazionali siglati negli ultimi anni. Una storia di relazioni che ha ispirato scelte contrattuali innovative in particolare nell’ambito del cosiddetto welfare contrattuale, con la costituzione, ad esempio, del fondo integrativo pensionistico59 e del fondo di assistenza sanitaria nazionale60. A conferma di questo trend, dunque, si colloca senza dubbio il rinnovo del CCNL di settore il 22 Settembre del 2012. In un momento particolarmente delicato per l’industria e per l’intero Paese, il settore chimico-farmaceutico ha, infatti, confermato e rilanciato l’impegno congiunto per lo sviluppo, riconoscendo alle relazioni industriali un ruolo strategico per la competitività, l’occupazione ed il miglioramento continuo della sicurezza, della salute e della tutela dell’ambiente, in un’ottica di responsabilità sociale. La prima caratteristica che distingue questo contratto e che non trova precedenti al di fuori del settore sta nella premessa, nella quale le parti sottolineano l’ elemento che ha portato alla scelta di rinnovare senza conflitti ed in tempi rapidissimi il contratto61, e cioè, la consapevolezza che “le R.I. devono essere funzionali alla competitività delle imprese in quanto ciò significa crescita, occupazione e benessere”62. Con la sottoscrizione del Patto si è inteso dunque rilanciare il ruolo delle R.I. come strumento capace di cogliere realisticamente le esigenze di parti estremamente diversificate. Le Parti Sociali si sono, quindi, impegnate a migliorare alcuni ambiti di criticità che inevitabilmente emergono in un settore composito e in un contesto come quello attuale. Si è concordato di realizzare iniziative, anche congiunte, per garantire sempre e a tutti i livelli:

rispetto delle regole ed etica nei comportamenti;

effettiva e piena disponibilità delle normative previste dal CCNL;

tempestività nell’affrontare i problemi e nella definizione delle soluzioni negoziali;

coerenza nell’attuazione delle intese realizzate. In relazione a ciò, si è condivisa la necessità di sviluppare un percorso sempre più partecipativo, attraverso gli Osservatori nazionali, territoriali e aziendali, in modo da vivere le fasi negoziali a tutti i modelli come un momento di sintesi sui temi già approfonditi e condivisi in tali ambiti.

57

Commissione europea – Direzione generale per l’Occupazione, gli affari sociali e l’inclusione, Relazioni industriali in Europa 2012 – Sintesi, 2013, p. 5. http://bookshop.europa.eu/it/direzione-generale-per-l-occupazione-gli-affari-sociali-e-l-inclusione-

cb5Bmep2IxvtAAAAEurxMIaMP7/. 58

Meardi G., Relazioni industriali europee e pressioni internazionali. Analisi comparata fra sei paesi. Warwick, 2012, p. 12. http//:www2.warwick.ac.uk/fac/soc/wbs/research/irru/publications/recresrep/rapporto_-_italian.pdf. 59

Fonchim (Fondo Pensione Complementare a Capitalizzazione per i lavoratori dell'industria chimica e farmaceutica e dei settori affini) creato nel 1997. 60

Faschim (Fondo Nazionale di Assistenza Sanitaria dei lavoratori dell’industria chimica, farmaceutica, delle fibre chimiche e dei settori ceramica, abrasivi, lubrificanti e GPL 2006) creato nel 2006. 61

Il secondo semestre 2011 e la prima parte del 2012 sono stati caratterizzati dall’avvio dei lavori preparatori all’apertura formale delle trattative per il rinnovo del CCNL in scadenza al 31 dicembre 2012: il tutto si è concretizzato il 22 settembre 2012 con la sigla dell’ accordo di rinnovo CCNL per gli addetti all’industria chimica, chimico-farmaceutica, delle fibre chimiche e dei settori abrasivi, lubrificanti e GPL”, siglata da FILCTEM –CGIL, FEMCA –CISL, UILCEM –UIL, Federchimica e Farmindustria. 62

Cfr. Guida al Lavoro, n. ° 39, 5 Ottobre 2012, pag. 46. http//:www.ilsole24ore.com

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Fondamentale è stata, inoltre, la tematica dello sviluppo sostenibile, intesa come l’integrazione equilibrata e dinamica dei principi della crescita economica, della protezione ambientale e dell’equità sociale. Per questo è stata elaborata e adottata una strategia basata sull’impegno e la collaborazione di tutti i soggetti presenti nel settore. Come è stato più volte evidenziato, quindi, tale accordo introduce degli elementi di assoluta novità, su tutti l’innovativo “Progetto Ponte”. Al fine di comprendere l’entità della “innovazione” e “sperimentazione” in tale settore è di fondamentale importanza tracciare le linee guida dello stesso progetto. 1.1 Un esempio di gestione delle R.I.: il Progetto Ponte Tale Progetto, inserito all’interno del delicato e “ottimistico” pilastro dell’occupabilità, può definirsi un “Patto di solidarietà generazionale” fondato “sulla disponibilità dell’azienda ad investire su nuove assunzioni di giovani in cambio della disponibilità di lavoratori anziani in forza a trasformare, in vista della pensione, il proprio contratto da full-time a part-time”63. I lavoratori anziani, vicini al pensionamento, potrebbero contribuire al cambiamento e allo sviluppo delle imprese lasciando il passo alle nuove generazioni. Il “Progetto Ponte”, grazie alla piena condivisione tra le Parti, ha confermato come la contrattazione nazionale, in un settore importante per il PIL del Paese, può sopperire a eventuali mancanze legislative, poiché nel settore privato vi è la voglia e l’esigenza di modernizzarsi tramite una costruttiva autoregolamentazione. Questo auspicio, espressamente dichiarato nell’Accordo, dovrebbe essere colto dal Legislatore attraverso un intervento ad hoc, poiché gli obiettivi del “Progetto Ponte” potrebbero rappresentare una grande opportunità per i giovani e allo stesso tempo una metodologia soft per le aziende di ristrutturare le proprie organizzazioni e quindi di rilanciarsi in un mercato sempre più competitivo, abbassando anche il costo del lavoro. Infatti, gli obiettivi fissati dal Progetto sono di fondamentale importanza poiché mirano a:

aumentare e favorire l’occupazione giovanile;

creare un “ponte” tra la popolazione giovanile e la popolazione più anziana, massimizzando il passaggio di conoscenze tra i due gruppi;

ridurre il carico di lavoro e realizzare “maggiore coinvolgimento” delle persone più anziane. Quindi, l’ipotesi di Accordo, e in particolare il “Progetto Ponte”, evidenziano come il ruolo della contrattazione collettiva possa rappresentare un ottimo strumento per ben amministrare un’impresa, per rilanciare l’occupazione e per rendere maggiormente competitivi gli attori del mercato del lavoro, sia a livello nazionale che internazionale. Però, per sviluppare questi buoni propositi, è necessario un intervento legislativo poiché la l. 92/201264 è troppo centralista e poco “sensibile” alle relazioni industriali, cioè alle reali e quotidiane esigenze delle imprese. Invece, i contenuti dell’Accordo per il rinnovo del CCNL chimico-farmaceutico confermano come delle buone relazioni di lavoro, definibili anche come relazioni umane, orientate e “vicine” alle problematiche attuali delle imprese e delle nuove generazioni, possano produrre dei progetti lungimiranti per contribuire al rilancio di un sistema occupazionale attualmente “bloccato” in entrata, permettendo così ai giovani di provare a realizzare i propri obiettivi personali e professionali. 2. PIRELLI Per Pirelli, “il nuovo Millennio si apre all'insegna di profondi cambiamenti nel settore pneumatici, ma non solo. Il gruppo brevetta e introduce il nuovo processo produttivo MIRS per la fabbricazione automatizzata di pneumatici ad alte prestazioni. E mentre le minifabbriche Pirelli MIRS si diffondono in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, nel polo di Milano-Bicocca prende avvio la futuristica sala mescole automatizzata CCM (Continuous Compound Mixing)”65. A partire dal piano industriale 2009-2011, Pirelli adotta una strategia di focalizzazione sul settore degli pneumatici dismettendo le attività non strategiche e scegliendo di assumere le vesti di una “pure Tyre company”. Pirelli ha saputo interpretare un modello di R.I. aziendali di tipo cooperativo, facendo proprio un paradigma di concertazione negoziata contrapposto a quello conflittuale proprio di altri grandi gruppi industriali; ciò rende di estremo interesse comprendere quali evoluzioni, in risposta al cambiamento che

63

Rassegna stampa di Confindustria Energia, 14 Gennaio 2013. http://www.confindustriaenergia.org 64

L. 28 Giugno 2012, n. 92, “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. 65

http://www.pirelli.com/corporate/it/investors/pirelli_at_glance/ir_history/default.html

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ha investito a ogni livello impresa e lavoratori, ha subito un modello di R.I. cooperative di riconosciuto successo66. Ogni affiliata gestisce a livello locale le questioni relative alla contrattazione in ossequio dei contratti collettivi nazionali e/o aziendali, ma anche delle norme e prassi vigenti in ciascun Paese. A livello globale, i processi di ristrutturazione sono gestiti seguendo politiche di ricollocazione professionale mediante accordi quadro con società di outplacement. 2.1. Contrattazione e accordi in Pirelli negli ultimi 3 anni L’8 gennaio 2014 è stata firmata l'ipotesi di accordo67 per il rinnovo del contratto di lavoro 2013-2015 dell'industria della gomma-plastica, scaduto il 31 dicembre 2012. Le trattative (durate un anno) tra sindacati di settore (Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil) e la Federazione Gomma Plastica (l'associazione delle imprese aderente a Confindustria) hanno portato alla sottoscrizione di un accordo che prevede il rinnovo del CCNL per i 140.000 dipendenti dell'industria della gomma e plastica (alcuni dei quali operano in veri e propri colossi multinazionali: Pirelli, Michelin, Bridgestone, Goodyear, ecc). 2.2 La contrattazione e gli accordi del 2011 Il 2011 è stato un anno di rinnovo dei contratti collettivi in diversi siti del Gruppo: Argentina, Venezuela, Messico, UK, Spagna, Germania, Egitto e Romania (in quest’ultima si è anche recepita la nuova normativa rumena in materia di rappresentanza sindacale). Tali rinnovi sono avvenuti anche in Italia, con la sottoscrizione di tre accordi integrativi aziendali riguardanti i siti di Milano Bicocca, Settimo Torinese, Arese e Bollate. Lo stabilimento di Milano Bicocca ha approvato con un referendum a voto segreto che ha ottenuto il 70,94% dei SI un accordo aziendale (per gli anni 2011-201368) particolarmente innovativo incentrato sulla gestione dei premi di produzione, delle iniziative di conciliazione, dell’orario flessibile e delle giornate di Recupero Orario di Lavoro69. Nello specifico viene istituito un Osservatorio sulla conciliazione costituito da due membri nominati dall’azienda e due scelti dall’RSU, con lo scopo di individuare le questioni di maggiore interesse per i dipendenti e le buone prassi sul tema. Inoltre, le società del gruppo si sono formalmente dichiarate favorevoli a valutare trasformazioni contrattuali che vadano verso il part-time e il telelavoro. Una commissione formata in maniera analoga all’osservatorio sulla conciliazione viene designata all’implementazione delle esistenti politiche di Welfare costituite da: borse di studio per i figli dei dipendenti, convenzioni con asili nido, assistenza sanitaria e agevolazioni per spettacoli culturali. La fruizione di una giornata e mezza a titolo di ROL viene svincolata dagli accordi per le chiusure collettive. Anche le ore di lavoro svolte di Domenica, nei festivi e nei giorni di chiusura collettiva potranno essere recuperate dal lavoratore come ROL, qualora quest’ultimo preferisse tale agevolazione al compenso straordinario. Per lo stabilimento di Bollate, nel febbraio e novembre 2011, vengono siglati due importanti accordi sindacali che prevedevano - per il triennio 2011 -2013 - un piano di investimenti totali per 10 milioni di euro sulle aree strategiche dell’ambiente, sicurezza sul lavoro e prodotto. Inoltre, viene concordato un nuovo schema di turnazione su 19 turni settimanali in sostituzione del sistema a ciclo continuo. 2.3 La contrattazione e gli accordi del 2012 Nel 2012 sono stati rinnovati i contratti collettivi nei siti del Brasile, Messico, Turchia e Romania. In risposta all’influenza negativa della crisi economica sulle vendite – soprattutto – per il settore Truck, l’azienda ha continuato a portare avanti la riorganizzazione del sito di Settimo Torinese: nel mese di Ottobre, le rappresentanze territoriali delle parti sociali hanno sottoscritto il progetto industriale 2013-2015. L’accordo prevede un investimento aggiuntivo di circa 43 milioni di euro per portare avanti le operazioni di:

66

Zanetti M. A.. I lavoratori dell’impresa globale. Le relazioni di lavoro in Pirelli tra strategie globali e destini locali. Franco Angeli, Milano, 2003. 67

Da Rassegna.it, 9 Settembre 2014 http://www.rassegna.it/articoli/2014/01/9/108123/gomma-plastica-accordo-per-il-rinnovo-aumento-di-124-euro 68

Accordo Pirelli, http://www.filctemcgil.it/images/stories/flexicontent/news/gomma_plastica_confindustria/111123_accordo-pirelli.pdf 69

La riduzione dell’orario di lavoro (ROL) è un istituto di fonte contrattuale, che consente al lavoratore di astenersi dalla prestazione lavorativa senza vedere modificata la propria retribuzione. La riduzione degli orari di lavoro è determinata: su base annua e in relazione alle mansioni svolte dal lavoratore. Solitamente, tale riduzione viene realizzata tramite la concessione di permessi orari che possono arrivare anche alla concorrenza di uno o più giorni lavorativi.

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Cessazione (dal1/01/2013) della produzione del segmento Truck;

Installazione e avvio (entro luglio 2013) della seconda linea produttiva Next Mirs;

Installazione (tra aprile 2014 e aprile 2015) di nuovi macchinari per il confezionamento e l’automazione di processo;

Attuazione di un programma formativo;

Gestione di criticità occupazionali. Per gestire in maniera sostenibile le ristrutturazioni dei siti in calo produttivo (e.g. Arese), oltre alla ricollocazione in Pirelli Tyre SpA, l’azienda ha stretto accordi quadro con società operanti nel settore dell’outplacement. 2.4 La contrattazione e gli accordi del 2013 Nel 2013 Pirelli decide di dismettere la produzione della cordicella metallica per gli pneumatici, non ritenendola più strategica per il business. Lo stabilimento di Figline Valdarno (Fi) produce tale componente dal 1960; il sito, che vede occupati attualmente 390 dipendenti rappresenta una delle realtà industriali più significative per il territorio, insieme anche all'indotto dove sono occupati altrettanti lavoratori70. Pirelli possiede altri 5 stabilimenti all'estero che producono cordicella metallica, nello specifico in Cina, Brasile, Turchia, Germania e Romania (il più recente). Tuttavia, quello di Figline é strategico poiché é l'unico che studia, ricerca e sviluppa materiali. Nel 2010 l’azienda aveva avviato una procedura di mobilità per 38 lavoratori con priorità per i dipendenti pensionabili. Nonostante la Società abbia avuto un utile di 398 milioni di euro nel 2012 (con un incremento pari al 27 % dell'anno precedente) e abbia investito ben 8 milioni di euro a cavallo tra il 2011 e 2012, nel mese di marzo 2013 ha conferito mandato esplorativo a Intesa San Paolo e HSBC per cercare un soggetto interessato all'acquisto del ramo d'azienda con sede a Figline. In seguito a questa decisione, a metà maggio 2013 la direzione della Pirelli ha incontrato le organizzazioni sindacali71 a cui ha comunicato la decisione di cedere l’impianto produttivo. La questione di Figline ha fatto scaturire una mozione unanime per il mantenimento del sito produttivo sottoscritta da tutti i gruppi consiliari, che impegna la Giunta regionale della Toscana a prendere ogni iniziativa affinché vengano fornite garanzie per la salvaguardia occupazionale. Chiunque sia l'eventuale acquirente, in sede ministeriale sarà compito di tutto il sindacato ottenere sia dal cedente (Pirelli), sia dall'eventuale acquirente, un Piano Industriale che dia garanzie produttive, occupazionali e di sviluppo dello stabilimento italiano di Pirelli. L’esito più prevedibile della cessione di Figline è la vendita del ramo alla belga Bekaert, leader mondiale nella produzione di cordicella metallica per gli pneumatici, che avrebbe offerto 250 milioni di euro. Fra i quattro interlocutori interessati alla vendita (i coreani della Hyosung, e le finanziarie Equity Partners – JP Morgan, e Unitas Capital), questa è sicuramente l’opzione peggiore e più temuta da sindacati e maestranze perché Bekaert è una grande multinazionale che in Europa ha già la sede centrale e la direzione. Secondo i rappresentanti Fim Cisl di Firenze, in caso di acquisizione, per evitare doppioni chiuderanno Figline e per questo ricorreranno all’antitrust europeo per verificare le condizioni di concorrenza. A oggi, la questione della vendita dello stabilimento di Figline e dei relativi provvedimenti sindacali è ancora aperta.

3. FIAT Le vicende che in questi ultimi anni hanno visto coinvolta la Fiat e i sindacati di categoria hanno influito profondamente sul sistema delle relazioni industriali. Si è, infatti, parlato di uno shock del diritto del lavoro ed è, quindi, necessario ricostruire il “caso Fiat”. In sintesi: ■ Un primo accordo aziendale veniva sottoscritto, in data 15 giugno 2010, dalla Fiat Group Automobiles S.p.A., assistita dall’Unione industriali di Torino e di Napoli e dai sindacati Fim, Uilm, Fismic nazionali e di Napoli in relazione allo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco. Tale contratto veniva sottoposto a referendum tra i lavoratori dello Stabilimento e otteneva un’approvazione con il 63% dei sì. ■ Il 19 luglio 2010 veniva effettuata la registrazione di una nuova società denominata Fabbrica Italia Pomigliano, controllata interamente da Fiat Partecipazioni. Appare chiaro, dunque, che la riorganizzazione dell’azienda passava attraverso l’acquisizione, da parte di nuove imprese costituite ad hoc (new company o newco), degli stabilimenti di produzione di Pomigliano e Mirafiori. Infatti, il 26 novembre 2010 la Fiat

70

La cordicella metallica (Steel Cord) viene venduta anche ad importanti concorrenti come Goodyear e Continental. 71

Cfr. Art.47 della legge 428/1990.

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Group, attraverso il suo amministratore delegato Sergio Marchionne, annunciava che il rilancio dello stabilimento di Mirafiori sarebbe stato realizzato attraverso la costituzione di una Joint venture tra Fiat e Chrysler. ■ Di conseguenza, in data 23 dicembre 2010 veniva sottoscritto un accordo relativo allo stabilimento di Mirafiori tra Fiat Group Automobiles, assistita dall’Unione industriali e le segreterie nazionali e provinciali di Fim, Uilm, Fismic, UGL e Associazione Capi e Quadri Fiat. Ebbene, tale accordo, che recepisce il contenuto di quello di Pomigliano del 15 giugno 2010, delinea il modello aziendale, precisando: a) la non adesione al sistema confindustriale e, dunque, l’accordo è da considerarsi quale contratto di categoria di I° livello; b) il ritorno al sistema di rappresentanza sindacale delle RSA, previsto dall’art. 19 Statuto Lav. e l’abbandono del sistema delle RSU previste dal Protocollo del 1993, con la conseguente esclusione dei sindacati non firmatari del contratto. ■ La strategia della Fiat si compone di un ulteriore passaggio con l’accordo sottoscritto in data 29 dicembre 2010, sempre relativo allo stabilimento di Pomigliano d’Arco, tra Fiat Group Automobiles S.p.A. (si noti che, diversamente dai precedenti accordi di Pomigliano e Mirafiori la Società non è assistita dall’Unione industriali, quasi a voler dimostrare una discontinuità nel sistema di relazioni industriali) e le segreterie nazionali e provinciali di Fim, Uilm, Fismic, UGL e Associazione Capi e Quadri Fiat, il quale non fa altro che ricalcare il primo accordo di Pomigliano con le novità sopra enunciate (a) e b)). 3.1 Il contenuto dell’accordo di Pomigliano d’Arco (NA) Il contenuto dell’accordo di Pomigliano del 15 giugno 201072 è stato interamente recepito nei successivi accordi di Mirafiori del 23 dicembre 2010 e di Pomigliano del 29 dicembre 2010 e si snoda sotto tre importanti profili: 1) Quanto all’organizzazione del lavoro essa rappresenta il cuore del contratto e ciò non deve stupire in quanto, come accennato sopra, la decisione di non delocalizzare la produzione (in questo caso presso lo stabilimento di Tichy, in Polonia) e di investire un cospicuo capitale presso lo stabilimento italiano poteva essere presa solo a condizione di elevare la produttività di quest’ultimo, da un lato, aumentando ritmi e orari di lavoro, dall’altro, riducendo le assenze per malattia e sciopero. Pertanto è stato deciso di sfruttare gli impianti per 24 ore giornaliere, per sei giorni alla settimana, con 3 turni giornalieri di otto ore. Inoltre è stato previsto il ricorso al lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite (in precedenza 40 ore) senza preventivo accordo sindacale (art. 2); la riassegnazione delle mansioni (art. 3); la mobilità interna da area ad area per garantire un corretto rapporto produzione/organico (art. 4). La parte più discussa riguarda l’adozione di un nuovo modello di organizzazione del lavoro basato sui sistemi denominati WCM (World Class Manifacturing), di origine giapponese, e Ergo-Uas, al fine di migliorare i livelli di prestazione lavorativa. Si tratta di una metrica del lavoro che permette di sfruttare al massimo la prestazione lavorativa tenendo conto dei diversi carichi di lavoro per prestazioni diverse (art. 5). Tali condizioni rientrano comunque nei limiti imposti dalla legge (D.lgs. n. 66/2003). 2) Quanto all’assenteismo, è previsto che l’azienda non corrisponderà l’indennità di malattia a suo carico (i primi tre giorni) nei casi di assenze significativamente superiori alla media e non riconducibili a forme epidemiologiche (art. 8). 3) La “clausola di responsabilità” (art. 14), prevede che la violazione degli accordi da parte dei Sindacati o anche dei singoli comporta il venir meno da parte dell’azienda degli obblighi circa il pagamento dei contributi e dei permessi sindacali: viene dunque inserita nel contratto una clausola risolutiva espressa, in quanto l’azienda si ritiene liberata dai suddetti obblighi. A ciò si aggiunga che l’art. 15 dell’accordo prevede che le sue clausole vadano a integrare i contratti individuali, di modo che la violazione da parte del lavoratore di una di esse comporta conseguenze disciplinari (fino al licenziamento). La crisi finanziaria di carattere mondiale ha portato il Governo ad adottare misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo attraverso l’emanazione del decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito con l. 14 settembre 2011, n.14873. Tra tali misure è stata inserita una disposizione (art. 8) che, nel solco tracciato dalla vicenda Fiat, è destinata a far evolvere ulteriormente il nostro sistema del diritto del lavoro e di relazioni sindacali. Nello specifico: - Esso prevede l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi aziendali, affermando che i contratti a livello aziendale, se sottoscritti dai sindacati più rappresentativi o dalle loro rappresentanze sindacali in base a

72

Cfr. Accordi Pomigliano e Mirafiori. http//:www.fiom.it. 73

Baldissera A., Cerruti G.C.. Il caso Fiat:Una svolta nelle relazioni industriali?. Gruppo Editoriale, Prato, 2012.

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un criterio maggioritario relativo, con il fine di aumentare la produzione e l’occupazione, assumono efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati. - Il secondo comma stabilisce le materie relative all’organizzazione del lavoro e alla produzione che possono essere oggetto di regolazione derogatoria di secondo livello, con particolare riferimento alle modalità di assunzione, alla disciplina dei rapporti di lavoro, al recesso dal rapporto di lavoro, con l’eccezione di soli alcuni casi di licenziamento. - Il terzo comma, prevede che i contratti aziendali sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui essi fanno riferimento a condizione che siano stati approvati con votazione a maggioranza dei lavoratori. Con l’accordo del 21 settembre 2011 (applicativo dell’accordo di giugno) la Confindustria e le Confederazioni sindacali (Cgil, Cisl E Uil) hanno concordato che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate alla autonoma determinazione delle parti e che gli accordi aziendali devono essere stipulati nel rispetto delle disposizioni contenute nell’accordo interconfederale del 28 giungo 2011. Secondo alcuni giuslavoristi l’accordo integrativo del 21 settembre è di aiuto per la stipulazione di accordi tra le parti, la Fiat, invece, ritiene che tale accordo abbia “fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia dell’art. 8”74, in quanto si rimette al centro della futura disciplina la contrattazione collettiva, con una maggiore centralizzazione dei rapporti sindacali. Il 3 ottobre 2011 Fiat, tramite una lettera inviata a Confindustria ha manifestato la sua intenzione di lasciare l’associazione datoriale a partire dal 1° gennaio 2012. 3.2 Considerazioni sul caso L’emblematicità del caso Pomigliano prima e Mirafiori poi risiede non solo nell’uscita del sistema confindustriale e nel ritorno alle RSA, ma anche nel metodo di utilizzazione della contrattazione collettiva che è stato quello di mettere i lavoratori e i sindacati di fronte a una scelta: accettare nuove condizioni (forse in peius) oppure rinunciare al posto di lavoro in un momento storico in cui imperversa una crisi economica a livello mondiale75. 4. VOLKSWAGEN La Volkswagen è un gruppo nato in Germania che negli ultimi anni ha assunto le proporzioni di un gruppo internazionale. La sua storicità e forte connotazione nazionale la rendono il perfetto esempio della gestione delle R.I. in Germania. Il cui elemento cardine è il concetto della Mitbestimmung che si riferisce a due tipi fondamentali di partecipazione o co-decisione: una al livello di consigli di fabbrica e l’altra al livello del sindacato. Mentre il compito del consiglio di fabbrica è basato sulle regole dello Statuto aziendale, il compito centrale dei sindacati è quello di stipulare contratti collettivi per i propri iscritti76. La forza della rappresentanza dei lavoratori della Volkswagen risiede soprattutto nell’elevato grado organizzativo dei sindacati; un’alta percentuale di lavoratori sono iscritti del sindacato IG METALL, che rappresenta oltre il 90% dei dipendenti, e di conseguenza un numero maggiore dei membri del consiglio di fabbrica77. 4.1 Consiglio di fabbrica Il consiglio di fabbrica rappresenta l’organismo per la salvaguardia degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti nell’aziende. Questo ha i seguenti compiti:

Osservanza delle leggi e delle disposizioni, delle norme antinfortunistiche, dei contratti salariali, gli accordi aziendali;

Promozione dell’integrazione di invalidi gravi e di persone bisognose di protezione;

Salvaguardia dell’occupazione dei lavoratori/lavoratrici più anziani;

Integrazione dei lavoratori stranieri;

Vigilanza sui trattamenti discriminanti verso le minoranze;

Raccolta suggerimenti dei lavoratori e la loro attuazione da parte del datore di lavoro;

Preparazione dello svolgimento delle elezioni dei rappresentanti giovanili e degli apprendisti:

74

Lettera di Fiat a Confindustria, 3 ottobre 2011. 75

Rossi M.. Le nuove forme di accordi tra sindacati e impresa: una cronaca a partire dal caso fiat”. In AIC, n. 3/2011, 14

Settembre 2011. http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Rossi_0.pdf 76

Mariani F., Ercolano L.. La contrattazione collettiva in Europa.

http://www.uil.it/contrattazione/per%20saperne%20di%20pi%C3%B9%2032.pdf 77

Garippo F., Relazioni industriali in Germania e alla Volkswagen. In Economia e lavoro, A. XLV, pag. 133

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Impegno per l’attuazione dei principi di parità della donna78. Il procedimento per lo svolgimento delle elezioni del consiglio di fabbrica è regolato dallo Statuto aziendale e dal regolamento elettorale ufficiale. Il consiglio di fabbrica viene eletto per quattro anni con scrutinio segreto e suffragio diretto. Il numero dei componenti del consiglio di fabbrica è fissato in modo preciso dalla legge sull’ordinamento aziendale interno e dipende dal numero delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti aventi diritto di voto nella fabbrica. I lavoratori devono essere rappresentati nel consiglio di fabbrica nello stesso rapporto numerico presente nel personale totale. Il Consiglio generale di fabbrica si occupa di questioni che non possono essere risolte al livello dei singoli consigli di fabbrica di stabilimento. Una volta all’anno il consiglio generale deve indire un’assemblea di tutti i consigli di fabbrica79. 4.2 Consiglio di fabbrica europeo del Gruppo Al fine di permettere una stretta collaborazione oltre il confine tra i consigli di fabbrica e i sindacati, nell’Agosto 1990 le rappresentanze elette dalla Volkswagen, Audi, VW Bruxelles e Seat hanno fondato il consiglio di fabbrica europeo Volkwagen e si sono date un regolamento interno. I compiti chiave di questo organo sovranazionale aziendale sono i seguenti: garanzia dell’occupazione e delle sedi produttive; sviluppo e garanzia delle strutture del gruppo; cambiamenti riguardo all’orario di lavoro; miglioramento delle condizioni di lavoro; razionalizzazione mediante nuove tecnologie; nuove forme di organizzazione del lavoro; retribuzione; prestazioni sociali; sicurezza del lavoro e protezione dell’ambiente; discussione degli effetti degli sviluppi e decisioni politiche. Il consiglio europeo del Gruppo Volkswagen ha l’obiettivo di promuovere lo scambio di informazioni sulle tendenze di sviluppo e sulle strategie e di garantire un’azione comune a vantaggio di tutti i partecipanti. Viene perseguita una linea comune di compromesso basata sulla compatibilità tra le possibilità di occupazione e di sviluppo delle singole sedi nazionali: il consiglio di fabbrica europeo del Gruppo Volkswagen è perciò un’istituzione decisiva per la rappresentanza internazionale degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti. 4.3 Consiglio di sorveglianza La legge 111 sulla cogestione del 1976 prescrive una posizione paritetica dei rappresentanti del capitale e degli appartenenti allo stabilimento nel consiglio di sorveglianza di una società per azioni. Tale organo svolge le seguenti funzioni:

Controlla l’amministrazione dell’impresa;

Ha il diritto di prendere visione e di controllare i libri, gli scritti e il patrimonio;

Inoltre esso indice l’assemblea generale qualora ciò sia necessario per il bene dell’impresa. La legge 111, inoltre, regola anche l’elezione del presidente e i membri del consiglio d’amministrazione per cinque anni al massimo e regola il controllo e l’approvazione del bilancio annuale. Il consiglio di amministrazione, che gestisce l’azienda in senso stretto, ha precisi obblighi di informazione nei confronti del consiglio di sorveglianza. 4.4 Carta dei rapporti di lavoro in seno al Gruppo La direzione del Gruppo Volkswagen, il consiglio europeo e il consiglio mondiale del gruppo hanno scritto e promulgato una “Carta dei rapporti di lavoro per le società e per gli stabilimenti del Gruppo Volkswagen”. Questa rappresenta un ampliamento degli accordi presi unilateralmente dalle parti coinvolte relativamente al principio della responsabilità sociale. La Carta definisce i diritti d’informazione e di partecipazione e intende creare un rapporto di reciproca fiducia e rispetto tra le parti. Si stabilisce in tal modo che i diritti di partecipazione della rappresentanza dei lavoratori sono da garantire nelle seguenti aree: regole riguardanti il personale, regole sociali, formazione e aggiornamento, organizzazione del lavoro, sicurezza sul lavoro e tutela della salute, criteri di retribuzione, controlling dei processi, informazione e comunicazione, sostenibilità sociale ed ecologica80.

78

Cfr. La codeterminazione nel sistema della partecipazione aziendale in Germania. http://www.boeckler.de/pdf/mb_2004_12_folien_italiano.pdf 79

Canettieri E.. Italia e Germania, due modelli sociali e sindacali a

confronto.http://www.uil.it/contrattazione/Italia%20e%20Germania%20(corretto).pdf 80

Garippo F., Relazioni industriali in Germania e alla Volkswagen. In Economia e lavoro, A. XLV, pag. 138

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4.5 Considerazioni sul caso Quello descritto è un modello che dà la possibilità ai lavoratori di co-decidere e di partecipare attivamente e affrontare tutti i problemi che derivano dal rapporto lavorativo. Un risultato pratico dell’applicazione di queste norme emerge se si tiene conto di come negli ultimi decenni il Gruppo sia riuscito ad affrontare situazioni che sembravano disperate permettendo alle parti in causa di uscirne positivamente. Per citare solo alcuni esempi, la riduzione dell’orario di lavoro a 28,8 ore per far fronte a 30.000 esuberi, il progetto “Auto 5.000” con cui hanno creato 5.000 posti di lavoro nuovi, il contratto per un sistema di prepensionamenti dopo che era stata abolita la legge nazionale sul prepensionamento, la sicurezza dei posti di lavoro che fino al 2015 rende i dipendenti dell’azienda praticamente non licenziabili, e non per ultimo il contratto di innovazione con un fondo annuale garantito di 20 milioni di euro per ricerche alternative con cui creare nuovi posti di lavoro. 5. LUXOTTICA Nel febbraio 2009 Luxottica, a seguito di un lungo processo di concertazione con i sindacati, firma un protocollo d’intesa che sancisce la realizzazione di un Programma di welfare aziendale destinato agli operai e impiegati italiani. La proposta anticipa tre momenti di formalizzazione del "secondo welfare" in Italia: l'accordo interconfederale del 15 aprile 2009; il libro bianco del ministero del welfare del maggio 2009; i CCNL Alimentare (luglio), Metalmeccanico (settembre), Chimico (dicembre). Nel marzo del 2009, inoltre, iniziano gli incontri con le OO.SS. degli stabilimenti produttivi per discutere il sistema di Governance paritetico, aziendale e sindacale, che costituisce la più grande novità del sistema di welfare aziendale Luxottica. L'azienda e le organizzazioni sindacali elaborano congiuntamente uno studio sui redditi e sul potere d'acquisto dei dipendenti, individuando bisogni e possibili ambiti d'intervento: gli accordi sindacali firmati in aprile e dicembre 2009, infatti, riconoscono la necessità di offrire un concreto sostegno al potere di acquisto dei dipendenti con forme di remunerazione non monetaria complementare alle tradizionali (salari e premi di produzione) e istituiscono il Comitato di Governance. Un organo bilaterale di rappresentanza aziendale e sindacale che ha il compito di studiare e proporre, con l'ausilio del Comitato Tecnico-Scientifico degli esperti, i progetti di welfare aziendale. Le iniziative principali sono: di sostegno al reddito (carrello della spesa del valore di mercato di circa 110 euro), di supporto all'istruzione (rimborso diretto ai dipendenti della spesa sostenuta per l'acquisto dei libri di testo scolastici), di promozione del merito (assegnazione di borse di studio ai figli dei dipendenti e ai dipendenti-studenti), di tutela della salute (Cassa di assistenza sanitaria)81. Con l’integrativo del 2011, il Gruppo continua a innovare il rapporto con i propri dipendenti e lo fa distribuendo azioni gratuite in ragione della loro anzianità aziendale. I seniores, da oltre 25 anni in Luxottica, ricevono 90 azioni ciascuno per un controvalore di circa 1.800 euro, mentre gli juniores con meno di 5 anni di anzianità aziendale ne ottengono 15, per un valore che si aggira attorno ai 300 euro. Un’operazione promossa dall'alto, vista la coincidenza con il cinquantenario dell’azienda, ma i vertici non escludono possa diventare una terza componente della retribuzione e quindi parte effettiva delle relazioni industriali82. Inoltre, vengono potenziati una serie di strumenti gestionali: banca ore, banca ore a supporto di future maternità/paternità, maggiore concessione del part-time (non solo a madri con figli ma anche a lavoratori che prestano assistenza a familiari anziani non autosufficienti). Davvero “rivoluzionario” è, però, il job sharing familiare, che consente al dipendente di condividere il proprio posto di lavoro con il coniuge disoccupato o in CIGS, o con il figlio che sta terminando o ha terminato il percorso di studi, oppure di farsi sostituire da questi in caso di impedimento temporaneo a seguito di uno specifico e intenso programma formativo. Una iniziativa, quest’ultima, finalizzata a mantenere la capacità reddituale del nucleo familiare e a favorire la formazione dei figli e nata dalla volontà di tutelare le famiglie dei dipendenti in quelle zone che risentono particolarmente della crisi economica in termini occupazionali83. Nel 2013 il Comitato di Governance ha proseguito lungo questo iter attraverso: il microcredito per gli impiegati e gli operai in difficoltà finanziarie, i soggiorni all’estero per i figli presso famiglie di altri dipendenti della società, gli aiuti scolastici per i figli dei lavoratori del gruppo e un ampliamento ulteriore delle coperture assicurative per spese diagnostiche e specialistiche attualmente non previste dal piano sanitario integrativo.

81

Sforza F., “Luxottica: rinnovato l’Accordo Sindacale per il Sistema Welfare aziendale”, La Stampa.it, 5 giugno 2013. 82

Di Vico D., Luxottica premia gli operai. In azioni. Corriere della Sera.it, 1 settembre 2011, p. 35. http://archiviostorico.corriere.it/2011/settembre/01/Luxottica_premia_gli_operai_azioni_co_9_110901023.shtml. 83

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L'efficacia delle azioni promosse è confermata sia dalla partecipazione dei lavoratori alle singole iniziative che dai risultati gestionali ottenuti da Luxottica nelle realtà industriali e distributive italiane in cui il Sistema Welfare ha avuto piena applicazione. Ne sono testimonianza il tasso di assenteismo al 4%, la flessibilità al top con presenze sul posto di lavoro nei giorni di sabato superiori al 90% e l’aumento della qualità sui prodotti finiti, con una riduzione dei pezzi difettosi che riflette una maggiore cura nelle verifiche in tutte le fasi di lavorazione.84 Le innovazioni di Luxottica nel campo delle risorse umane fanno parte di una precisa strategia: rinsaldare i rapporti tra capitale e lavoro per generare maggiore produttività, creare un ambiente orientato alla pace sociale e dare ai clienti un prodotto di qualità migliore. Ed è questa la novità importante che potremmo definire post novecentesca: non si progetta un patto autarchico tra produttori, ma si costruisce un'alleanza rivolta alla competizione sul mercato e ai consumatori, gli stessi che comprano Luxottica per avere un prodotto di qualità italiana. Far diventare azionisti le tute blu vuol dire creare i presupposti di quello che Nicola Pelà, responsabile delle risorse umane, ha chiamato “un coinvolgimento economico, razionale ed emozionale dei dipendenti”. La storica ragione di scambio "retribuzione per garanzia occupazionale" si è evoluta verso una nuova in cui la flessibilità organizzativa, l'apprendimento continuo, la produttività crescente chiesti ai lavoratori portano a un recupero sostanziale delle loro retribuzioni reali e a una maggiore qualità di vita professionale e personale85. D’altronde, come sottolineato univocamente dalle rappresentanze sindacali (FEMCA–CISL, FILCTEM–CGIL e UILTEC–UIL)86, Luxottica è un esempio di come si possono gestire positivamente le relazioni sindacali senza togliere spazio alla contrattazione integrativa che ne è invece esaltata e arricchita nei contenuti.

84

Perrino A.M., Luxottica/ Crollo dell'assenteismo e qualità perfetta. La ricetta Del Vecchio passa dal welfare. affar italiani.it, 6

giugno 2013, http://www.affaritaliani.it/economia/del-vecchio-luxottica-welfare06062013.html 85

Di Vico D., Luxottica premia gli operai. In azioni. Corriere della Sera.it, 1 settembre 2011, p. 35. http://archiviostorico.corriere.it/2011/settembre/01/Luxottica_premia_gli_operai_azioni_co_9_110901023.shtml. 86

Sforza F., Luxottica: rinnovato l’Accordo Sindacale per il Sistema Welfare aziendale. La Stampa.it, 5 giugno 2013.

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