Il Piccolo - Zonderwater

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venerdì 13 gennaio 2012 13 Faenza memoria Dal 1941 al 1947 oltre centomila Italiani furono tenuti in prigionia in Sud Africa uesto nome in lingua boera dice poco ai Faentini di oggi, né è facile trovarlo sulle carte geografiche del Sud Africa, nella Regione del Gauteng, fino al 1994 Transvaal, capitale Johannesburg. Sicuramente però settanta anni fa molte famiglie della nostra città lo avevano ben presente, perché dopo che il Governo del generale Jan Smuts ebbe scelto l’alleanza con la Gran Bretagna, in una landa desolata e arida a forma di anfiteatro vicino alla miniera di Cullinan (dove nel 1905 era stato trovato il più grande diamante grezzo del mondo, del peso di 3.106,75 carati), fu creato il più vasto campo per prigionieri italiani dell’ultimo conflitto. Qui vennero convogliati dai fronti dell’Africa settentrionale, dell’Etiopia e dell’Eritrea molti soldati originari anche della nostra zona. Tra di loro mio padre Bruno Bonzi che, catturato nella battaglia di Sidi el Barrani, in Egitto, nel dicembre 1940, vi arrivò nel settembre 1941. In quel tempo le baracche non erano ancora state costruite, i prigionieri dovevano dormire all'addiaccio nelle tende e subire un trattamento molto rude da parte delle guardie; l’approvvigionamento alimentare si rivelava del tutto insufficiente. Alla fine dell’anno seguente venne chiamato a dirigere il campo il colonnello Hendrik Frederik Prinsloo che, confinato bambino in campo di concentramento dagli Inglesi nella guerra che li aveva visti opposti ai Boeri, conosceva in prima persona la durezza della segregazione. Egli seppe quindi dare prova di concretezza e umanità, facendo costruire dai prigionieri stessi una piccola città di 14 Blocchi, ognuno con 4 Campi di 2000 uomini, a loro volta con 24 baracche dal tetto in lamiera. Un agglomerato destinato ad accogliere oltre 100.000 soldati, con 30 km di strade, mense, teatri, scuole, palestre, ove gli internati potessero trovare impegni e interessi per evitare inedia e disperazione; nonché ospedali con complessivi 3000 posti letto e chiese dove i cappellani militari cercavano di imporre quel minimo di disciplina che gli altri ufficiali, inviati in India in spregio alla Convenzione di Ginevra, non potevano più garantire. All’interno dell’esiguo spazio del Blocco, recintato da filo spinato e sorvegliato da sentinelle armate dall’alto di torrette, i p.o.w. (prisoners of war) potevano circolare liberamente, ma si trattava sempre di prigionia, dopo mesi o anni di combattimenti e di privazioni, di ferite, di umiliazione per la sconfitta, di sconforto, nell’incertezza sulla data del ritorno che metteva a dura prova la Q Zonderwater senza acqua in Italia su una nave che fece naufragio. Abbastanza spesso i prigionieri venivano trasferiti da un blocco all’altro. Questa procedura seguì precisi criteri ideologici dopo l’8 settembre 1943, quando le comprensibili tensioni di animi già esacerbati si acuirono a seconda dei diversi orientamenti politici. Fu allora che venne chiesto e richiesto in maniera pressante a ogni internato la disponibilità a essere cooperatore, cioè a lavorare fuori dal Campo, con adeguata remunerazione e miglior vitto, nella costruzione di edifici, strade e ponti o nelle aziende agricole. Alcuni di loro, godendo di una relativa libertà di movimento, ebbero relazioni con donne nere, dimenticando poi di lasciare un recapito al momento del rimpatrio a loro ed ai figli anche se riconosciuti. Era facile riconoscerli dal portafoglio gonfio di banconote, l’orologio al polso e la valigia di pelle, che contrastava con quelle di lamierino che i non cooperatori si erano costruite. Una volta in Italia, una disposizione del nostro Governo, che aveva vietato l’invio di denaro ai p.o.w. da parte delle famiglie anche dopo la fine della belligeranza, stabilì che essi non potessero salire sui treni passeggeri, e fu così che mio Padre impiegò sei giorni da Napoli a Faenza, stipato con altri compagni di sventura in un carro merci. Egli rifiutò di aderire alla cooperazione, e questo fino agli ultimi giorni della prigionia, in quanto aveva fatto un giuramento all’Italia e non si sentiva di tradirlo facendone un altro a Sua Maestà Britannica. Infatti sapeva che, per ogni paio di braccia al servizio del Sudafricani, un altro fucile sarebbe stato inviato a sparare su qualche fronte contro gli Italiani. Tale decisione gli sarebbe costata il ritorno con la terz’ultima nave, la Chitral, secondo uno specifico piano concordato tra le autorità dei due Stati, prima soltanto degli irriducibili, così definiti coloro che si sentivano ancora fascisti. Durante gli oltre sette anni trascorsi lontano dall'Italia, di cui sei nell'inedia della prigionia di due campi, Zonderwater e Pietermaritzburg, fra ruberie e violenze soprattutto da parte di Italiani, in condizioni fisiche talvolta precarie, mio Padre era confortato dalle lettere della Moglie, non tutte purtroppo pervenute e sempre oggetto di doppia censura; e per non interrompere idealmente il legame con la famiglia scrisse - inizialmente sulle fascette delle confezioni di marmellata, in seguito su 222 pagine di quaderno - speranze e illusioni di un conflitto breve e vittorioso prima, sofferenze e patimenti di una guerra combattuta con assoluta inferiorità di mezzi poi, e da ultimo l'abbattimento della vita di prigioniero. segue psiche di ognuno. Alcuni di loro letteralmente impazzivano e venivano ricoverati in uno speciale reparto dell’ospedale. Chi tentava la fuga verso il Mozambico, ove era aperto un Consolato italiano, e veniva ripreso, scontava il suo gesto con 28 giorni di permanenza nella casetta rossa, ove subiva un trattamento punitivo abbastanza duro. Per ognuno veniva fatto un censimento (talvolta anche due mesi dopo la cattura, periodo durante il quale il soldato era stato dichiarato “disperso”) e redatta una scheda clinica, a prescindere dallo stato di salute. Sono oggi tutte conservate presso l’associazione Zonderwater Block ex POW (che custodisce amorosamente il sito pur nelle ristrettezze di bilancio), dopo che previdentemente si era provveduto a fare copia di quelle spedite IN BASSO IMMAGINI DEL MUSEO DI ZONDERWATER. SOPRA, DAVANTI AI TRE ARCHI, SCULTURA DI EDOARDO VILLA, EX POW, MORTO NEL 2011; E MEDAGLIA REALIZZATA PER LA RECENTE COMMEMORAZIONE. IN ALTO, IMMAGINE DELLA CERIMONIA DEL 6 NOVEMBRE SCORSO. A 70 anni dalla creazione del campo, che ospitò migliaia di Romagnoli, il 6 novembre 2011 si è svolta la solenne commemorazione servizio a cura di Enzo Bonzi

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Dal 1941 al 1947 oltre centomila Italiani furono tenuti in prigionia in Sud Africa

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venerdì 13 gennaio 2012 13Faenza memoria

Dal 1941 al 1947 oltre centomila Italiani furono tenuti in prigionia in Sud Africa

uesto nome in lingua boeradice poco ai Faentini di oggi,né è facile trovarlo sulle cartegeografiche del Sud Africa,nella Regione del Gauteng,

fino al 1994 Transvaal, capitaleJohannesburg. Sicuramente peròsettanta anni fa molte famiglie dellanostra città lo avevano ben presente,perché dopo che il Governo delgenerale Jan Smuts ebbe sceltol’alleanza con la Gran Bretagna, in unalanda desolata e arida a forma dianfiteatro vicino alla miniera diCullinan (dove nel 1905 era statotrovato il più grande diamante grezzodel mondo, del peso di 3.106,75 carati),fu creato il più vasto campo perprigionieri italiani dell’ultimoconflitto. Qui vennero convogliati daifronti dell’Africa settentrionale,dell’Etiopia e dell’Eritrea molti soldatioriginari anche della nostra zona.Tra di loro mio padre Bruno Bonzi che,catturato nella battaglia di Sidi elBarrani, in Egitto, nel dicembre 1940,vi arrivò nel settembre 1941. In queltempo le baracche non erano ancorastate costruite, i prigionieri dovevanodormire all'addiaccio nelle tende esubire un trattamento molto rude daparte delle guardie;l’approvvigionamento alimentare sirivelava del tutto insufficiente. Alla finedell’anno seguente venne chiamato adirigere il campo il colonnello HendrikFrederik Prinsloo che, confinatobambino in campo di concentramentodagli Inglesi nella guerra che li avevavisti opposti ai Boeri, conosceva inprima persona la durezza dellasegregazione. Egli seppe quindi dareprova di concretezza e umanità,facendo costruire dai prigionieri stessiuna piccola città di 14 Blocchi, ognunocon 4 Campi di 2000 uomini, a lorovolta con 24 baracche dal tetto inlamiera. Un agglomerato destinato adaccogliere oltre 100.000 soldati, con 30km di strade, mense, teatri, scuole,palestre, ove gli internati potesserotrovare impegni e interessi per evitareinedia e disperazione; nonché ospedalicon complessivi 3000 posti letto echiese dove i cappellani militaricercavano di imporre quel minimo didisciplina che gli altri ufficiali, inviatiin India in spregio alla Convenzione diGinevra, non potevano più garantire.All’interno dell’esiguo spazio delBlocco, recintato da filo spinato esorvegliato da sentinelle armatedall’alto di torrette, i p.o.w. (prisonersof war) potevano circolareliberamente, ma si trattava sempre diprigionia, dopo mesi o anni dicombattimenti e di privazioni, diferite, di umiliazione per la sconfitta,di sconforto, nell’incertezza sulla datadel ritorno che metteva a dura prova la

QZonderwatersenza acqua

in Italia su una nave che fece naufragio.Abbastanza spesso i prigionieri venivanotrasferiti da un blocco all’altro. Questaprocedura seguì precisi criteri ideologicidopo l’8 settembre 1943, quando lecomprensibili tensioni di animi giàesacerbati si acuirono a seconda deidiversi orientamenti politici. Fu allora chevenne chiesto e richiesto in manierapressante a ogni internato la disponibilitàa essere cooperatore, cioè a lavorare fuoridal Campo, con adeguata remunerazionee miglior vitto, nella costruzione di edifici,strade e ponti o nelle aziende agricole. Alcuni di loro, godendo di una relativalibertà di movimento, ebbero relazionicon donne nere, dimenticando poi dilasciare un recapito al momento delrimpatrio a loro ed ai figli anche sericonosciuti. Era facile riconoscerli dal

portafoglio gonfio di banconote,l’orologio al polso e la valigia di pelle,che contrastava con quelle dilamierino che i non cooperatori sierano costruite. Una volta in Italia, unadisposizione del nostro Governo, cheaveva vietato l’invio di denaro ai p.o.w.da parte delle famiglie anche dopo lafine della belligeranza, stabilì che essinon potessero salire sui trenipasseggeri, e fu così che mio Padreimpiegò sei giorni da Napoli a Faenza,stipato con altri compagni di sventurain un carro merci. Egli rifiutò di aderire allacooperazione, e questo fino agli ultimigiorni della prigionia, in quanto avevafatto un giuramento all’Italia e non sisentiva di tradirlo facendone un altro aSua Maestà Britannica. Infatti sapevache, per ogni paio di braccia al serviziodel Sudafricani, un altro fucile sarebbestato inviato a sparare su qualchefronte contro gli Italiani. Tale decisionegli sarebbe costata il ritorno con laterz’ultima nave, la Chitral, secondouno specifico piano concordato tra leautorità dei due Stati, prima soltantodegli irriducibili, così definiti coloroche si sentivano ancora fascisti. Durante gli oltre sette anni trascorsilontano dall'Italia, di cui sei nell'inediadella prigionia di due campi,Zonderwater e Pietermaritzburg, fraruberie e violenze soprattutto da partedi Italiani, in condizioni fisiche talvoltaprecarie, mio Padre era confortatodalle lettere della Moglie, non tuttepurtroppo pervenute e sempre oggettodi doppia censura; e per noninterrompere idealmente il legame conla famiglia scrisse - inizialmente sullefascette delle confezioni dimarmellata, in seguito su 222 pagine diquaderno - speranze e illusioni di unconflitto breve e vittorioso prima,sofferenze e patimenti di una guerracombattuta con assoluta inferiorità dimezzi poi, e da ultimo l'abbattimentodella vita di prigioniero.

segue

psiche di ognuno. Alcuni di loroletteralmente impazzivano e venivanoricoverati in uno speciale repartodell’ospedale. Chi tentava la fuga verso ilMozambico, ove era aperto un Consolatoitaliano, e veniva ripreso, scontava il suogesto con 28 giorni di permanenza nellacasetta rossa, ove subiva un trattamentopunitivo abbastanza duro.Per ognuno veniva fatto un censimento(talvolta anche due mesi dopo la cattura,periodo durante il quale il soldato erastato dichiarato “disperso”) e redatta unascheda clinica, a prescindere dallo statodi salute. Sono oggi tutte conservatepresso l’associazione Zonderwater Blockex POW (che custodisce amorosamente ilsito pur nelle ristrettezze di bilancio),dopo che previdentemente si eraprovveduto a fare copia di quelle spedite

IN BASSO IMMAGINI DELMUSEO DI ZONDERWATER.SOPRA, DAVANTI AI TREARCHI, SCULTURA DIEDOARDO VILLA, EX POW,MORTO NEL 2011;E MEDAGLIA REALIZZATA PER LA RECENTECOMMEMORAZIONE.IN ALTO, IMMAGINE DELLA CERIMONIA DEL 6 NOVEMBRE SCORSO.

A 70 anni dallacreazione del campo,che ospitò migliaia di Romagnoli, il 6 novembre 2011si è svolta la solennecommemorazione

servizio a cura di Enzo Bonzi

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venerdì 13 gennaio 2012 Faenza memoria14 venerdì 13 gennaio 2012 15Faenza memoria

CCoonnttiinnuuaa

Nel 2006 ho pubblicato queste ri-flessioni col titolo Bruno Bonzi, Dia-rio di guerra e di prigionia (1939-1947), Casanova editore, Faenza, eciò mi ha permesso di entrare incontatto con molti figli di ex p.o.w.che erano transitati per gli stessicampi, di condividere e scambiarericordi, nel tentativo di forzare il mu-ro comunicativo che i padri avevanoeretto a difesa del loro passato. Ne ènata un’amicizia che si è voluta con-cretizzare nella organizzazione di unviaggio-pellegrinaggio in una ricor-renza particolare, fatta coinciderecon la abituale commemorazionedei Defunti, ogni prima domenica dinovembre: il settantesimo della co-struzione a Zonderwater da partedegli Italiani di un manufatto, chia-mato per la sua forma Tre Archi, cheè tutto ciò che resta, assieme al mu-seo e a una piccola cappella all'in-terno del cimitero, dopo che sonostate smantellate nel 1947 le barac-che del vastissimo campo.In tale giornata, in quello spazio suicui l'Italia esercita dal 1986 il dirittod'uso, ideale punto d'incontro inquel lembo di continente, ogni annosi ritrova la comunità italiana, unavolta molto più numerosa, assieme atanti Sudafricani.Alla presenza del nostro Ambascia-tore Elio Menzione, del Console ge-nerale Enrico De Agostini, del Vice-comandante dell'Arma dei Carabi-nieri Michele Franzè, di molti uffi-ciali delle Forze Armate sudafricane,è stata celebrata una S. Messa da pa-dre Giuseppe Delama, missionariostimmatino che vive a Pretoria, ac-compagnata dalla banda dell'Aero-nautica e da due cori.La funzione religiosa, preceduta dalpassaggio a volo radente di aerei, dallancio di paracadutisti con le duebandiere nazionali, dai discorsi uffi-ciali e dalla deposizione di corone, siè conclusa con la benedizione delle252 tombe di coloro che non supe-rarono la prigionia, mentre un eli-cottero spargeva petali di fiori.Il lunedì seguente, 7 novembre, l'ing.Emilio Coccia, un parmense trasfe-rito là molti anni fa, presidente e ve-ra anima della Associazione Zon-derwater Block, si è messo a nostradisposizione per farci da guida nelmuseo, dove sono conservati picco-li e grandi lavori di artigianato deiprigionieri, lettere, documenti, bu-sti, divise (tra cui quella del colon-nello Prinsloo, donata dalla secondamoglie).Poi ci siamo recati a Pietermaritz-burg, capoluogo della provincia delKwaZulu-Natal, campo di passaggiodella capienza di 6-8.000 uomini sul-la ferrovia a scartamento ridotto chedal porto di Durban conduce a Zon-derwater; qui, nel piccolo cimitero esacrario della chiesetta della Ma-donna delle Grazie, a Epworth, co-struita dai p.o.w. italiani e procla-mata monumento nazionale dalGoverno sudafricano, il 30 ottobreera avvenuta la commemorazionedei 35 soldati italiani morti in pri-gionia e dei 655 militari e civili ita-liani periti nell'affondamento dellanave inglese Nova Scotia per operadi un sottomarino tedesco, l'U-Boot177, nell'Oceano Indiano al largo diDurban, il 28 novembre 1942. I po-veri resti riposano lì.È stato un salto all'indietro nel tem-po di settanta anni, che procura unbrivido e coinvolge ognuno nellaStoria con la propria storia in primapersona.Mi piace concludere con una rifles-sione di Lucio Anneo Seneca, dalleLettere Morali a Lucilio: “Nemo pa-triam quia magna est amat, sed quiasua” (VII, 66).

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Paolo Ricci, il prigioniero che scelse di non tornarella fine del conflitto, iniziò il rimpatrio sulle navi che, fa-cendo rotta verso l'emisfero australe, riportavano in SudAfrica i soldati dai fronti dell'Africa settentrionale e del-l'Europa e in direzione opposta i prigionieri italiani dei

vari campi; i quali smaniavano per imbarcarsi e porre fine alla se-gregazione di anni.Tutti tranne circa 600 che preferirono fermarsi nell'immensoPaese e proseguire una vita là dove, uscendo dai reticolati persvolgere una qualche attività, avevano incontrato simpatia nel-la popolazione e avevano posto le premesse per ben integrarsi econtinuare il loro lavoro. Altri 2000 circa ottennero negli anni se-guenti di tornare da un’Italia ancora stremata, portando con séla famiglia, ben accolti perché volonterosi, instancabili e rispet-tosi, e perché aumentavano la percentuale della minoranzabianca in un Paese che si reggeva sull'apartheid. Si andava pro-filando un nuovo cittadino italo-sudafricano che si sarebbe af-fermato nella società fino a raggiungere livelli di responsabilitàe di potere.Uno dei 600 di allora e uno dei tre superstiti di oggi è Paolo Ric-ci, classe 1920, un Romagnolo di Savignano sul Rubicone, oggiprovincia di Rimini, ancora lucidissimo e in grado di leggere sen-za occhiali, che ha accettato di raccontare brevemente la sua vi-ta, in particolare le motivazioni della scelta che fece a guerra fi-nita.Figlio di agricoltore con 4 fratelli, dopo la scuola elementare im-parò a fare il sarto, fino a quando il 4 febbraio 1940 fu chiamatoa rivestire il grigioverde nel 26esimo Artiglieria di Rimini, col ruo-lo di goniometrista, e inviato in Africa settentrionale alla fine delmese seguente. Catturato a Tobruk il 21 gennaio 1941 con altri4-5000 soldati, venne portato ad Alessandria per una decina digiorni, e poi imbarcato a Suez per Durban. Furono 29 giorni tra-scorsi nella stiva, senza vedere la luce del sole, con gli abiti pienidi pidocchi.Ricorda con affetto e riconoscenza il colonnello Prinsloo, cheera stato chiamato dal Presidente Smuts mentre, ormai in pen-sione dopo la morte della prima moglie, gestiva la propria azien-da agricola vicino a Pretoria, a organizzare il campo di Zonder-water; e prima della costruzione delle baracche dormì per qua-si tre anni con sette compagni nelle tende a cono, sorrette da unpalo metallico, che attirava i fulmini durante i furiosi temporali(che uccisero complessivamente nove prigionieri e alcune guar-die zulu). Sorride di coloro che tentarono la fuga verso il Mo-zambico, subito rinchiusi dagli Inglesi nella casetta rossa e con-dannati fra l'altro a correre con un sacco pieno di terra sulle spal-le.Terminata la guerra, con altri romagnoli andò presso una fami-glia sudafricana a svolgere lavori di giardinaggio, uscendo quin-di dai reticolati. E, nel 1946, al momento della partenza decise di

rimanere in quel Paese ove aveva trovato buona accoglienza equalcuno garantiva per lui, ma fu una decisione presa non sen-za molte perplessità: infatti, quando l'ultimo treno carico di Ita-liani partì dalla stazione di Pretoria verso il porto di Durban, simise in ginocchio chiedendosi che decisione avesse mai preso,e quando mai avrebbe potuto pagarsi il biglietto. Tuttavia questa perplessità sarebbe stata fugata negli anni se-guenti, tanto che Paolo non si è mai pentito della decisione pre-sa. Si sposò nel 1949 con una signorina originaria di Lucca, la cuifamiglia era in Sud Africa dal 1914, e tornò in Italia in viaggio dinozze in nave, col raccapriccio di trovare una Rimini quasi rasaal suolo. L'aereo lo avrebbe preso solo nel 1962.

La famiglia d’origine non cercò di trattenerlo e as-secondò il suo desiderio di vivere in Africa, anzi fra-telli e genitori si recarono a trovarlo. Purtroppo ilpadre morì lì, e la mamma dovette rientrare sola. Da uomo libero ha svolto varie attività: prima feceil sarto, mestiere imparato in Patria (ricorda di ave-re confezionato gli abiti per le rappresentazioni dioperette a Zonderwater), poi lavorò in un’aziendaagricola per 16 anni, in seguito aprì una fabbrica diceramica e si impegnò nell'edilizia. Si è trovato mol-to bene, ma rispettando sempre le regole del Pae-se. All'Italia non rimprovera nulla e come Italianonon si è mai sentito discriminato. Ha fatto parte divari comitati e ricorda che il Primo Ministro JohnVorster gli inviò un aereo personale per averlo apranzo a Città del Capo, dove ebbe parole di ap-prezzamento per gli Italiani. Un onore unico.Uscendo da Zonderwater Paolo conosceva l'essen-ziale per comunicare nella lingua inglese, che poiha velocemente imparato, tanto da venire talvoltachiamato come interprete.Non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana,ottenendo più privilegi lui col nostro passaporto dichi aveva chiesto quello sudafricano. Si vanta diconservare la schiettezza romagnola, che fu ap-prezzata anche da un generale alla cui moglie Pao-lo, una sera che li aveva ospiti a cena, riuscì a tap-pare la bocca cogliendola in contraddizione.La fine dell'apartheid non gli ha creato alcuna dif-ficoltà in quanto il passaggio dall'una all'altra for-ma di governo è avvenuto ordinatamente, tantoche per lui nulla è cambiato.La figlia abita a Rimini, città dalla quale molti lohanno aiutato ad aprire attività in Sud Africa. I ni-poti italiani gestiscono un agriturismo a Cusercolie si incontrano di frequente col nonno.

Dopo la perdita della moglie, tre anni fa, si è ritirato dal lavoro evive sempre a Pretoria col figlio che si occupa della produzionedi infissi in alluminio, venduti in tutto il Sud Africa: attività ini-ziata in Italia con l'acquisto di due containers pieni di materia-le ed inutilizzati. Gli altri nipoti sono ben inseriti nella società su-dafricana e sono bilingui.Consapevole e fiero di essere una delle ultime memorie storichedi Zonderwater, coltiva ancora molti interessi, riceve tutte le no-tizie dall'Italia e soffre per il dito puntato di chi gli fa rilevare leanomalie della nostra politica: do you see in Italy?Grazie Paolo!Persone come Te fanno onore al nostro Paese.

AA

IINN AALLTTOO,, IIMMMMAAGGIINNEE DDII AARRCCHHIIVVIIOO DDII ZZOONNDDEERRWWAATTEERR,, DDEEPPOOSSIIZZIIOONNEE DDII UUNNAACCOORROONNAA DDAA PPAARRTTEE DDEELLLL’’AAMMBBAASSCCIIAATTOORREE EE SS.. MMEESSSSAA IINN OOCCCCAASSIIOONNEE DDEELLLLAACCOOMMMMEEMMOORRAAZZIIOONNEE.. AA DDEESSTTRRAA,, IILL GGRRUUPPPPOO DDII RRAAVVEENNNNAATTII EE FFAAEENNTTIINNII CCHHEE SSII SSOONNOO RREECCAATTII IINN SSUUDD AAFFRRIICCAA..SSOOTTTTOO,, IIMMMMAAGGIINNII DDEELL CCIIMMIITTEERROO EE CCOORROO CCHHEE HHAA AACCCCOOMMPPAAGGNNAATTOO LLAA MMEESSSSAA..

(1^ strofa) Siamo partiti un dìchiamati dalla Patria,sorretti dalla fedecon l’ideale dell’avvenir.Difendere cosìil nostro sacro suolo,con un dovere solocombatterem fino a morir.

(Ritornello)Siam prigionieri di guerrache la sorte risparmiò,tutto per te, lontana terra,quanto sangue si versò.Rinchiusi dentro quel reticolatoper molti anni vivere così.Siam prigionieri di guerraritornati in libertà;noi ringraziamo questa terrache da vivere ci dà.Uniti siamo per l’Italia nostraCon grande fede che giammai morirà.

(2^ strofa) Sveglia, che l’alba è già;soldato, c’è la guerra,difendi il tricoloreche con valor ti guiderà.Nella battaglia uscìforte il nemico altero.Fui fatto prigionieroe trasportato a Zonderwater.

EEDDOOAARRDDOO CCAASSTTIIGGLLIIOONNII,, EEXX PPOOWW,, CCLLAASSSSEE 11991111AA SSIINNIISSTTRRAA,, MMUUSSEEOO DDII ZZOONNDDEERRWWAATTEERR..SSOOTTTTOO,, CCHHIIEESSEETTTTAA DDII PPIIEETTEERRMMAARRIITTZZBBUURRGG EE AA FFIIAANNCCOO EEPPIIGGRRAAFFEE AALLLLAA BBAASSEE DDEEII TTRREE AARRCCHHII..

PPAAOOLLOO RRIICCCCII,,CCLLAASSSSEE 11992200

AA SSIINNIISSTTRRAA,, ““IINNNNOO DDEELL PPRRIIGGIIOONNIIEERROO DDII GGUUEERRRRAA””,, PPAARROOLLAA EE MMUUSSIICCAA DDII GGIIUUSSEEPPPPEE FFIILLIIPPPPII,, DDAALLLLAA CCOOLLLLEEZZIIOONNEE DDII EEMMIILLIIOO CCOOCCCCIIAA..SSOOTTTTOO,, CCHHIIEESSEETTTTAA DDII ZZOONNDDEERRWWAATTEERR..

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venerdì 13 gennaio 2012 Faenza memoria16

Campo di prigionieri di guerra italiani, visitato dal dr. E. Grasset e dal rev. H.P. Junod il 27 aprile 1942 (2^ visita)

Zonderwater, Sud Africadocumenti

uello che segue è,in sintesi, undocumentoottenuto dallaCroce Rossa

Internazionale, con sede aGinevra, nella traduzionedal francese di CristinaBertola, con la relazione diuna Commissione inviataa Zonderwater in data 27aprile 1942, quindiantecedentemente alladirezione del colonnelloPrinsloo, per verificare lecondizioni del campo e lacorrispondenza deltrattamento dei prigionierialle norme dellaConvenzione di Ginevra.

l campo si èconsiderevolmentesviluppato, se si

confrontano le 5 sezioni(“Block”) occupati daiprigionieri durante laprima visita. Tre nuovesezioni, no. 6 -7 e 8 sonostate create.L’Amministrazione e lecondizioni generali delcampi sono rimaste lestesse menzionate nelrapporto precedente...Non ci sono cambiamentirispetto alla visitaprecedente (vedirapporto): tutti iprigionieri sono ancoraalloggiati in tende, ingenerale 8 per tenda,mentre nella zona piùrecente del campoesistono tende da 10

Q

prigionieri...AbitiLa quantità di abitidistribuita è rimasta lastessa indicata nelrapporto precedente. Piùreclami sono stati fatti inmerito ad irregolarità nelladistribuzione dei diversiarticoli d’abbigliamento e imedici hanno sottolineatola necessità urgente dicompletare e regolarizzarela distribuzione primadell’arrivo dell’inverno...Malattie curateIl solo caso serioverificatosi è stato unempiema. La mediaquotidiana dei malaticurati all’ospedale durantegli ultimi 6 mesi è stata dicirca un migliaio...

La malattia più frequente èla dissenteria amebicadovuta alla presenza nelCampo di portatori diamebe, apparentementein buona salute, ma cheprovengono da regioni incui la malattia è diffusa. Nerisultano epidemieperiodiche di dissenteriaamebica, malgrado tutte lesevere misure prese perimpedirne lo sviluppo...Cure dentaliCostituiscono sempre unproblema importante. Ungran numero di prigionieriarriva al Campo sofferentedi malattie dentali... Itrattamenti si limitano alleestrazioni, otturazioni ealtre cure urgenti. Tuttavia,i prigionieri hanno il

diritto di richiederetrattamenti a loro spese...DecessiSi sono registrati 42 decessidalla data di creazione delcampo, il 24 aprile 1941,ovvero circa un anno fa.C’è stato un suicidio; dueprigionieri sono stati uccisida sentinelle...I giornali, apparecchi radio ecinema sono vietati alCampo...CorrispondenzaCome già rilevato durante laprima visita, ci sono ovunquelamentele in merito ai ritardieccessivi subiti dalla posta inarrivo da oltremare, ovverodall’Italia, che in mediaimpiega un minimo di 4 – 5mesi per arrivare al campo.Come si vedrà più avanti, un

numero considerevole di prigionieri,malgrado le numerose lettere inviate alleloro famiglie, sia dal Medio Oriente dopo laloro cattura, sia dopo il loro arrivo in SudAfrica, non hanno ancora ricevuto risposta...Il maresciallo R.M. Santono Giuseppe, no.189.303, in quanto Rappresentante diSettore, interrogato dai delegati, ha attiratol’attenzione in merito a:1. Lo stato fisico dei prigionieri in seguito a15 mesi passati in tenda2. La mancanza di risorse pecuniarie o diguadagno per soldati e “marescialli” durantelo stesso lasso di tempo3. Il ritardo dello stesso o l’assenza completadi notizie dalle famiglie (circa 2000prigionieri di questa sezione non hannoancora ricevuto notizie)4. La deficienza fisica e il basso morale deiprigionieri derivante dal loro stato di prigionia5. L’inesistenza di mense6. Il desiderio dei prigionieri di ricevere unamaggiore quantità di pasta e pane…

PRIMA DELLA COSTRUZIONE DELLE BARACCHE, I PRIGIONIERI FURONO OSPITATI IN TENDA. A DESTRA, ALCUNEPAGINE DEL NUMERO DI NATALE 1943 DEL GIORNALE REALIZZATO DAI POW ITALIANI: ‘TRA I RETICOLATI’.

DA SINISTRA, ARRIVO DI PRIGIONIERI A ZONDERWATER,INAUGURAZIONE CHIESA DEL CAMPO DI PIETERMARITZBURG (1944) E COPERTINA DEL GIORNALE DEI POW DELLO STESSO CAMPO. SOTTO, PIANTA DEL CAMPO DI ZONDERWATER E IMMAGINE AEREAODIERNA (DA GOOGLE) DEL SITO SU CUI INSISTEVA IL CAMPO.

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