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Dispensa di diritto civile

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Responsabilità patrimoniale, garanzie e mezzi di conservazione

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Indice

1. PATTO COMMISSORIO E PATTO MARCIANO

1.1 Cass., sez. II, sentenza 21 gennaio 2016, n. 1075

1.2 Cass. sentenza 28 gennaio 2015, n. 1625

1.3 Cass. sentenza 21 maggio 2013, n. 12462

1.4 Cass. sentenza 9 maggio 2013, n. 10986

1.5 Art. 2 del d.l. 59 del 2016

2. PATTO COMMISSORIO E SALE AND LEASE BACK

Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625

3. PRIVILEGIO VS IPOTECA

Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2009, n. 21045

4. PEGNO ROTATIVO

4.1 Cass., 22 dicembre 2015, n.25796

4.2 Cass., 1 luglio 2015, n 13508

5. PEGNO NON POSSESSORIO

Art. 1 d.l. 59 del 2016

6. FIDEIUSSIONE, CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA E

POLIZZE FIDEIUSSORIE

6.1 Cass., 14 giugno 2016, n. 12152

6.2 Cassazione civile, sez. I, sentenza 31 luglio 2015 n° 16213

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6.3 Corte di cassazione, sez.III civile, sentenza 12 febbraio 2015, n.2762

6.4 Cassazione, Sezioni Unite, 18 febbraio 2010, n. 3947

7. LETTERE DI PATRONAGE

7.1 Corte di cassazione, sez. I civile, sentenza 9 febbraio 2016, n.2539

7.2 Cass., Sez. III, sentenza 25 settembre 2012, n. 16259

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Selezione giurisprudenziale

1. PATTO COMMISSORIO E PATTO MARCIANO

1.1 Cass., sez. II, sentenza 21 gennaio 2016, n. 1075

(omissis) Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il divieto del patto commissorio, sancito

dall'art. 2744 c.c., si estende a qualsiasi negozio, ancorché di per sè astrattamente lecito, che venga

impiegato per conseguire il concreto risultato, vietato - dall'ordinamento, di assoggettare il debitore

all'illecita coercizione da parte del creditore, sottostando alla volontà del medesimo di conseguire il

trasferimento della proprietà di un suo bene, quale conseguenza della mancata estinzione di un debito

(v., tra le tante, Cass. 12-1-2009 n. 437; Cass. 11-6-2007 n. 13621; Cass. 19-5-2004 n. 9466; Cass. 2, 20-7-1999 n.

7740). In particolare, è stato puntualizzato che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche

quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia

(piuttosto che per una causa di scambio), nell'ambito della quale il versamento del danaro, da parte del

compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo, ed il trasferimento del

bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il

debitore adempia o meno l'obbligo di restituire le somme ricevute. La predetta vendita, infatti, in quanto

caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla

causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato

dall'art. 2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime, perciò, una causa

illecita che rende applicabile, all'intero contratto, la sanzione dell'art. 1344 c.c. (Cass. 4-3-1996 n. 1657;

Cass. 20-7-2001 n. 9900; Cass. 8-2- 2007 n. 2725). E stato rilevato, al contrario, che va esclusa la violazione del

divieto del patto commissorio in caso di mancanza di prova del mutuo (cfr. Cass. 5635/05), oppure qualora la

vendita sia pattuita allo scopo, non già di garantire l'adempimento di un'obbligazione con riguardo all'eventualità

non ancora verificatasi che rimanga inadempiuta, ma di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto (cfr.

Cass. 19950/04, Cass. 7885/01), o quando manchi l'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del

ereditare, accettando preventivamente il trasferimento di un suo bene come conseguenza della mancata

estinzione del debito che viene a contrarre (cfr. Cass. 8411/03); e che il divieto di tale patto non è applicabile

allorquando la titolarità del bene passi all'acquirente con l'obbligo di ritrasferimento al venditore se costui

provvederà all'esatto adempimento (Cass. 17-3-1014 n. 6175). (omissis)

1.2 Cass. sentenza 28 gennaio 2015, n. 1625

Lo schema socialmente tipico del lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di

impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e soggettiva che non consentono di ritenere che esso integri, per

sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie che, in quanto realizzi una alienazione a scopo di

garanzia, si risolva in un negozio atipico nullo per illiceità della causa concreta.

Peraltro, la causa concreta del contratto di sale and lease back ben può essere piegata al fine illecito vietato

dall'art. 2744 c.c., il quale costituisce una norma materiale, destinata a trovare applicazione non soltanto in

relazione alle alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate all'inadempimento del debitore,

ma anche a quelle immediatamente traslative e risolutivamente condizionate all'adempimento del debitore,

esprimendo essa un divieto di risultato.

L'effetto di piegare un negozio lecito al raggiungimento di un risultato contrario alla norma imperativa

dipende, pertanto, dalle circostanze del caso concreto e dalle clausole negoziali presenti nell'accordo, fondandosi

su tali elementi di fatto la corretta qualificazione della fattispecie. Occorrerà la ravvisabilità di un nesso

funzionale, che renda manifesto l'intento negoziale complessivo delle parti.

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Il patto marciano - clausola contrattuale con la quale si mira ad impedire che il concedente, in caso di

inadempimento, si appropri di un valore superiore all'ammontare del suo credito, pattuendosi che, al termine

del rapporto, si proceda alla stima del bene e il creditore sia tenuto al pagamento in favore del venditore

dell'importo eccedente l'entità del credito esclude l'illiceità della causa del negozio. Esso è strumento idoneo a

scongiurare l'illiceità. La cautela marciana riesce a superare i profili di possibile illiceità del lease back, in

quanto prevede, al termine del rapporto, la stima del bene oggetto di garanzia quale presupposto del consolidarsi

dell'effetto traslativo iniziale, evenienza che si verificherà qualora il valore del bene sia equiparabile all'importo

del credito inadempiuto (nonchè del danno da inadempimento); mentre, ove tale importo sarà inferiore, verrà

quantificata la differenza e sarà pagato un prezzo aggiuntivo al debitore, quale condizione del consolidamento

dell'effetto traslativo. Ciò garantirebbe contro il pericolo che il debitore subisca una lesione in conseguenza del

trasferimento con funzione di garanzia: la stima imparziale del valore del bene ad opera di un terzo e l'obbligo,

da parte del creditore, di restituire l'eccedenza al debitore assumono, quindi, il compito di escludere l'abuso, e

con esso l'operatività del divieto di patto commissorio e la conseguente illiceità.

(omissis)

La stessa giurisprudenza di legittimità ha individuato, per distinguere il leasing puro da quello anomalo in quanto

confliggente con il divieto di patto commissorio, tre essenziali criteri:

l'esistenza di una situazione debitoria in capo all'impresa utilizzatrice verso la concedente, le difficoltà

economiche della prima e la sproporzione tra corrispettivo e valore del bene: ma tali indici mancherebbero nella

vicenda in esame.

(omissis)

2.2. - Questa Corte ha da tempo chiarito che lo schema socialmente tipico del lease back presenta autonomia

strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e soggettiva che non

consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie che, in quanto

realizzi una alienazione a scopo di garanzia, si risolva in un negozio atipico nullo per illiceità della causa concreta

(Cass. 22 marzo 2007, n. 6969; 14 marzo 2006, n. 5438, ed altre).

Peraltro, la causa concreta del contratto di sale and lease back ben può essere piegata al fine illecito vietato

dall'art. 2744 c.c., il quale costituisce una norma materiale, destinata a trovare applicazione non soltanto in

relazione alle alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate all'inadempimento del debitore, ma

anche a quelle immediatamente traslative e risolutivamente condizionate all'adempimento del debitore (Cass., sez.

un., 3 aprile 1989, n. 1611, e successive, quale, fra le altre, 16 ottobre 1995, n. 10805, 19 luglio 1997, n. 6663 e 2

febbraio 2006, n. 2285), esprimendo essa un divieto di risultato.

Si è altresì precisato (Cass. 26 giugno 2001, n. 874; 19 luglio 1997, n. 6663) che la verifica se lo schema negoziale

del lease back sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio va operata dal giudice

del merito in base ad elementi sintomatici sia soggettivi che oggettivi, i quali non sono sindacabili in sede di

legittimità, se non nell'ambito del controllo sulla motivazione.

L'effetto di piegare un negozio lecito al raggiungimento di un risultato contrario alla norma imperativa dipende,

pertanto, dalle circostanze del caso concreto e dalle clausole negoziali presenti nell'accordo, fondandosi su tali

elementi di fatto la corretta qualificazione della fattispecie. Occorrerà la ravvisabilità di un nesso funzionale, che

renda manifesto l'intento negoziale complessivo delle parti; ma l'individuazione della causa concreta del negozio,

ai fini della valutazione della sua liceità alla luce del complessivo regolamento d'interessi perseguito, appartiene

alla sfera di competenze riservate al giudice del merito, sindacabile solo per vizio di motivazione.

(omissis)

2.4. - La censura della ricorrente fa leva, inoltre, sulla presenza nel contratto di una c.d. clausola marciana,

secondo cui, per come riferita in ricorso, in caso di risoluzione per inadempimento il concedente potrà

pretendere che l'utilizzatore paghi i canoni scaduti, gli interessi moratori, le spese ed un importo pari

all'ammontare dei canoni non scaduti, dovendosi da ciò dedurre quanto conseguito dal concedente in seguito alla

vendita del bene.

Nell'assunto della ricorrente, tale clausola esclude il carattere fraudolento e vietato del lease back.

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(omissis)

2.5. - Secondo quanto affermato da questa Corte, il patto marciano - clausola contrattuale con la quale si mira ad

impedire che il concedente, in caso di inadempimento, si appropri di un valore superiore all'ammontare del suo

credito, pattuendosi che, al termine del rapporto, si proceda alla stima del bene e il creditore sia tenuto al

pagamento in favore del venditore dell'importo eccedente l'entità del credito (iure emptoris possideat rem iusto

pretio tunc aestimandam, secondo la tradizione giustinianea) esclude l'illiceità della causa del negozio, la quale

non sussiste "pur in presenza di costituzione di garanzie che presuppongano un trasferimento di proprietà,

qualora queste risultino integrate entro schemi negoziali che tale abuso escludono in radice, come nel caso del

pegno irregolare, del riporto finanziario e del c.d. patto marciano - in virtù del quale, come è noto, al termine del

rapporto si procede alla stima, ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell'importo eccedente

l'entità del credito" (così Cass. 21 gennaio 2005, n. 1273).

Più di recente, il medesimo concetto è stato di nuovo espresso, sebbene ancora in via incidentale,

escludendosi la violazione dell'art. 2744 c.c. in presenza di un patto marciano "in virtù del quale al termine del

rapporto si procede alla stima ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell'importo eccedente

l'entità del credito" (Cass. 9 maggio 2013, n. 10986).

Si ritiene, dunque, che il c.d. patto marciano sia strumento idoneo a scongiurare l'illiceità,

permettendo l'uso di uno contratto finanziario, come il lease back, ritenuto vantaggioso dagli

utilizzatori: si riconosce così la "ragionevolezza commerciale" dell'intera operazione per entrambe le

parti, rispondendo essa alle peculiari "esigenze del mercato" che esige, in dati casi, l'anticipata

monetizzazione del valore del bene in favore dell'utilizzatore-venditore, senza che egli però ne perda il

godimento o se ne privi definitivamente.

In tal senso, si reputa, da molti interpreti, che la cautela marciana riesca a superare i profili di

possibile illiceità del lease back, in quanto prevede, al termine del rapporto, la stima del bene oggetto di

garanzia quale presupposto del consolidarsi dell'effetto traslativo iniziale, evenienza che si verificherà

qualora il valore del bene sia equiparabile all'importo del credito inadempiuto (nonchè del danno da

inadempimento); mentre, ove tale importo sarà inferiore, verrà quantificata la differenza e sarà pagato un

prezzo aggiuntivo al debitore, quale condizione del consolidamento dell'effetto traslativo. Ciò

garantirebbe contro il pericolo che il debitore subisca una lesione in conseguenza del trasferimento con funzione

di garanzia: la stima imparziale del valore del bene ad opera di un terzo e l'obbligo, da parte del creditore, di

restituire l'eccedenza al debitore assumono, quindi, il compito di escludere l'abuso, e con esso l'operatività del

divieto di patto commissorio e la conseguente illiceità.

Il Collegio ritiene che tale principio vada ora affermato.

Fondamento dell'effetto salvifico è, da un lato, l'idoneità della clausola a ristabilire l'equilibrio

sinallagmatico tra le prestazioni del contratto di lease back (requisito svalutato da chi reputa che l'art. 2744

c.c. non esiga alcuna sproporzione dei valori, ma dovendosi invece ribadire che l'ordinamento presume detta

sproporzione nel meccanismo vietato), e, dall'altro lato, la sua capacità di scongiurare che l'attuazione

coattiva del credito avvenga senza alcun controllo dei valori patrimoniali in gioco.

Così come in altre fattispecie - per l'art. 1851 c.c., in presenza di un pegno irregolare a garanzia, "la banca deve

restituire solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l'ammontare dei crediti garantiti"; nella

cessione dei beni ai creditori, l'art. 1982 c.c. attribuisce il residuo al debitore; quanto alle garanzie reali tipiche, ad

esempio, l'art. 2798 c.c. ammette l'assegnazione al creditore della cosa oggetto del pegno solo previa "stima da

farsi con perizia o secondo il prezzo corrente, se la cosa ha un prezzo di mercato", l'art. 2803 c.c. prevede la

riscossione del credito dato in pegno, ma, se il credito garantito è scaduto, "il creditore può ritenere del denaro

ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni e restituire il residuo al costituente o, se si tratta di

cose diverse dal danaro, può farle vendere o chiederne l'assegnazione" secondo la norma ora citata e l'art. 2804

c.c. sancisce che il creditore pignoratizio non soddisfatto può in ogni caso chiedere che gli sia assegnato in

pagamento il credito ricevuto in pegno "fino a concorrenza del suo credito"; più in generale, tutto il sistema del

processo esecutivo per espropriazione forzata e di quello fallimentare mira ad assicurare la tutela, sotto il profilo

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indicato, del debitore - l'ordinamento permette la realizzazione coattiva dei diritti del creditore, purchè sia

tutelato pure il diritto del debitore a pagare al creditore quanto in effetti gli spetti.

Per tale ragione, è necessario allora che, sin dalla conclusione del contratto di lease back, siano stati

previsti meccanismi oggettivi e procedimentalizzati che, sulla falsariga delle disposizioni ora ricordate,

permettano la verifica di congruenza tra valore del bene oggetto della garanzia, che viene definitivamente

acquisito al creditore, ed entità del credito; per la stessa ragione, non avrebbe tale effetto la verifica del "giusto

prezzo" al momento della conclusione del contratto.

Perchè la c.d. clausola marciana possa conseguire il ricordato effetto legalizzante del contratto di lease

back, occorre pertanto che essa preveda, per il caso ed al momento dell'inadempimento ossia quando si attuerà

coattivamente la pretesa creditoria (cfr. art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi

certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a

parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta la quale a detti parametri farà

riferimento (cfr. art. 1349 c.c.), al fine della corretta determinazione dell'ari e del quantum della eventuale

differenza da corrispondere all'utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete

di stima, purchè siano rispettati detti requisiti. L'essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti

abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell'operazione economica, il debitore perderà

eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo

dell'inadempimento, perchè il surplus gli sarà senz'altro restituito.

Non è invece necessario che la clausola marciana subordini, altresì, alla condizione del pagamento della

differenza l'acquisizione del bene da parte del creditore: invero, così come per il divieto ex art. 2744 c.c., anche la

clausola marciana può essere in concreto articolata non solo nel senso di ancorare all'inadempimento il

trasferimento della proprietà del bene, ma pure il consolidamento dell'effetto traslativo già realizzato, che si

verificherà solo ove sia corrisposta l'eventuale differenza.

(omissis)

1.3 Cass. sentenza 21 maggio 2013, n. 12462

(omissis)

Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il divieto del patto

commissorio sancito dall'art. 2744 c.c., con la conseguente sanzione di nullità radicale, si estende a

qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente lecito, allorché esso venga impiegato per

conseguire il fine concreto, riprovato dall'ordinamento, della illecita coercizione del debitore,

costringendolo al trasferimento di un bene a scopo di garanzia nella ipotesi di mancato adempimento

di una obbligazione assunta. In particolare, si ritiene pacificamente che il patto commissorio possa essere

ravvisato anche di fronte a più negozi tra loro collegati, quando da essi scaturisca un assetto di interessi

complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento

di un bene del debitore sia collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a

prescindere dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto (v. Cass. 23-10-1999 n. 11924;

Cass. 23-10-1994 n. 11924; Cass. 15-8-1990 n. 8325), ovvero dal momento temporale in cui l'effetto traslativo sia

destinato a verificarsi nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dalla identità dei

soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati (Cass. 19-5-2004 n. 9466), sempre che questi siano stati concepiti

e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde risultare idonei al raggiungimento dello

scopo finale di garanzia che le parti si erano prefissate (Cass. 28-6-2006 n. 14903; Cass. 16-9-2004 n. 18655).

Ne consegue che, in linea di principio, anche un contratto preliminare di compravendita può incorrere nella

sanzione dell'art. 2744 c.c., ove risulti l'intento primario delle parti di costituire con il bene promesso in vendita

una garanzia reale in funzione dell'adempimento delle obbligazioni contratte dal promittente venditore con altro

negozio collegato, sì da stabilire un collegamento negoziale e strumentale tra i due negozi.

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È evidente, peraltro, che, allorché lo strumento negoziale adoperato dalle parti in funzione di garanzia sia

rappresentato da un contratto preliminare, in tanto può configurarsi un illecito patto commissorio, in quanto i

contraenti abbiano predisposto un meccanismo (quale la previsione di una condizione) diretto a far sì che

l'effetto definitivo e irrevocabile del trasferimento si realizzi solo a seguito dell'inadempimento del debitore-

promittente venditore, rimanendo, in caso contrario, il bene nella titolarità di quest'ultimo.

In tal caso, infatti, il contratto preliminare viene impiegato per conseguire l'illecita coartazione del debitore a

sottostare alla volontà del creditore, per cui non sussiste la causa di scambio, tipica di ogni contratto di

compravendita, ma il preliminare costituisce il mezzo per raggiungere il risultato vietato dalla legge (v. Cass. 10-2-

1997 n. 1233; Cass. 4-3-1996 n. 1657).

(omissis)

Ciò posto, si osserva che il generico riferimento alla funzione di garanzia svolta dal contratto preliminare

asseritamene simulato, non appare di per sé sufficiente ai fini della configurazione di un illecito patto

commissorio. Nel giudizio di merito, infatti, il L. non ha nemmeno allegato l'esistenza, in concreto, di un qualche

meccanismo, predisposto dai contraenti, diretto ad imporre il trasferimento dei beni indicati nel contratto

preliminare nel caso in cui il credito del promittente acquirente restasse insoddisfatto, e ad escluderlo, invece,

nell'ipotesi di adempimento dell'obbligazione contratta dal promittente venditore. Le stesse deduzioni svolte nel

ricorso non forniscono sufficienti lumi al riguardo, non spiegando attraverso quale strumento o congegno,

realmente impiegato dalle parti, gli effetti normalmente connessi al contratto preliminare fossero destinati ad

operare in via definitiva solo in caso di inadempimento del debitore-promittente venditore, in modo che la

fattispecie negoziale posta in essere potesse rivelarsi idonea ad esercitare su quest'ultimo un'indebita coercizione

all'adempimento, in violazione del divieto del patto commissorio..

(omissis)

Per le stesse ragioni, poiché dai fatti esposti dall'appellante non poteva desumersi in modo inequivocabile che il

contratto preliminare stipulato dalle parti costituisse un espediente volto ad eludere il divieto del patto

commissorio, al giudice di appello non può rimproverarsi di non aver rilevato d'ufficio la nullità di tale contratto.

1.4 Cass. sentenza 9 maggio 2013, n. 10986

(omissis) Il motivo culmina con il 6 seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se la vendita effettuata a scopo di

garanzia costituisce sempre una fattispecie illecita ed in particolare se possa, comunque, configurarsi un patto

commissorio vietato ai sensi dell'art. 2744 c. c. in presenza di una dichiarazione del creditore con la quale

quest'ultimo si impegni a restituire al debitore la differenza tra il valore del bene trasferito ed il valore del credito

vantato". (omissis) Le questioni sottoposte all'esame di questa Corte con le doglianze sopra esposte — da trattare

congiuntamente, in quanto tutte incentrate sul rapporto tra c.d. patto marciano e alienazione in garanzia

integrante patto commissorio - impongono una preliminare ricognizione dei problemi connessi

all'individuazione dell'ambito di applicazione del divieto di patto commissorio, sancito dall'art. 2744

c.c..

L'art. 2744 c.c., compreso nel titolo III del libro VI del codice civile (Della responsabilità patrimoniale, delle

cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale), dispone quanto segue: "È nullo il patto

con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa

ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del

pegno." Analoga previsione reca l'art. 1963 c.c. in tema di anticresi. L'espressa comminatoria di nullità avendo,

ovviamente, espulso dalla pratica degli affari la realizzazione della fattispecie legale illecita, concernente il patto

commissorio aggiunto ad ipoteca, pegno o anticresi, ha fatto sorgere la questione se la nullità riguardasse, o

meno, anche il patto commissorio autonomo, e cioè l'operazione contrattuale, di regola integrata da

una alienazione in funzione di garanzia, che di per sè preveda che la proprietà della cosa alienata in

garanzia passi al creditore in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato. E la risposta della

giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 282 del 1974) e della dottrina è stata concordemente positiva, sul

rilievo, tra l'altro, che il risultato giuridico-economico dell'operazione è equivalente a quello

espressamente sanzionato. Minor concordia - ed anzi ampia divergenza di opinioni (significativa della

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loro elevata opinabilità) - ha contrassegnato, come è noto, l'individuazione della ragione giustificatrice

della sancita nullità del patto commissorio (sia indiretto sia autonomo). Senza pretesa di completezza, sarà

qui sufficiente ricordare che le tesi tradizionali hanno individuato il fondamento del divieto nell'esigenza

di tutela dei debitori - esposti, a causa del bisogno, a subire il rischio di un approfittamento da parte dei

creditori - ovvero di tutela dei creditori - risultando leso il principio della par condicio -, o di entrambe

le categorie. Su un piano diverso, è stato sottolineato il contrasto del potere di autosoddisfacimento del

creditore con l'esclusiva statale della funzione esecutiva. Secondo altra tesi, infine, il divieto si

giustificherebbe con l'esigenza di evitare che il patto, quale clausola di stile, determini l'instaurarsi di un

sistema di garanzia inidoneo ad esprimere un assoggettamento del patrimonio del debitore esattamente

adeguato alla funzione di garanzia. A sua volta, la giurisprudenza di questa Corte per lungo tempo ritenne di

impostare la soluzione del problema della liceità o illiceità del patto commissorio autonomo, integrato da una

alienazione in garanzia, con riferimento alla decorrenza degli effetti del trasferimento della cosa alienata in

garanzia. Si affermò, invero, la liceità della vendita fiduciaria a scopo di garanzia, accompagnata da patto di

riscatto o di ritrasferimento, caratterizzata da un trasferimento effettivo ed immediato della proprietà al creditore,

il quale tuttavia assume l'impegno, in forza di accordo consistente nel patto di riscatto o in quello di retrovendita,

di ritrasferire il bene al venditore se questi estinguerà, nel termine previsto, il debito garantito. Per converso, si

ritenne nulla, ai sensi dell'art. 2744 c.c., la vendita dissimulante un mutuo con patto commissorio, ricorrente

nell'ipotesi in cui le parti, pur dichiarando formalmente di voler vendere ed acquistare, concordano in sostanza

che il creditore acquirente diventerà proprietario soltanto se il debitore ed alienante non estinguerà il debito nel

termine pattuito, attuando così una vendita sottoposta a condizione sospensiva (per tutte: Cass. n. 1004 del 1962

e n. 642 del 1980). Il problema venne posto quindi, per l'ipotesi illecita, in chiave di simulazione, e l'illiceità del

contratto dissimulato venne fatta discendere dalla violazione diretta del divieto ex art. 2744 c.c. (estensivamente

interpretato come relativo anche al patto commissorio autonomo). La soluzione adottata fu oggetto di critica e

ad essa si contrapposero difformi pronunce (significativo esempio si riscontra in Cass. n. 3800 del 1983), che

abbandonarono il suindicato criterio distintivo, rilevando come anche nella vendita con patto di riscatto o di

retrovendita, se conclusa a scopo di garanzia, l'effetto traslativo diviene definitivo ed irrevocabile soltanto a

seguito dell'inadempimento del mutuatario. Ne consegue che, ove risulti l'intento primario delle parti di

vincolare il bene a garanzia ed in funzione del rapporto di mutuo, la complessa convenzione - in quanto

produttiva degli stessi effetti di una alienazione sottoposta a condizione sospensiva e caratterizzata da

un nesso teleologico e strumentale tra i due negozi di mutuo e di compravendita - presenta una causa

effettiva divergente da quella tipica della compravendita, ed avente natura di causa illecita, in quanto

volta a frodare il divieto del patto commissorio attraverso il ricorso ad un procedimento simulatorio. Il

nuovo orientamento venne fatto proprio, con alcune precisazioni, dalle Sezioni Unite, con due sentenze

dell'anno 1989 (n. 1611 e n. 1907). Premesso, in adesione alla tesi tradizionale, che il divieto di patto

commissorio è diretto ad impedire al creditore l'esercizio di una coazione morale sul debitore, spesso

spinto alla ricerca di un mutuo (o alla richiesta di una dilazione, nel caso di patto commissorio ex

intervallo) da ristrettezze finanziarie, con facoltà di far proprio il bene, attraverso un meccanismo che

gli consenta di sottrarsi alla regola della par condicio creditorum, hanno affermato le Sezioni Unite che

nella vendita con patto di riscatto o di retrovendita a scopo di garanzia questa non costituisce soltanto

motivo, ma assurge a causa del contratto, in quanto il trasferimento della proprietà trova obiettiva

giustificazione nel fine di garanzia. E tale causa è inconciliabile con quella della vendita, posto che il

versamento del denaro non costituisce pagamento del prezzo, ma esecuzione di un mutuo, mentre il

trasferimento del bene non integra l'attribuzione al compratore, bensì l'atto costitutivo di una posizione

di garanzia innegabilmente provvisoria, in quanto suscettibile di evolversi a seconda che il debitore

adempia o meno. Ed è proprio la provvisorietà che costituisce l'elemento rivelatore della causa di

garanzia, e quindi della divergenza tra causa tipica del negozio prescelto e determinazione causale

concreta, indirizzata alla elusione di una norma imperativa, qual è l'art. 2744 c.c.: le parti, invero,

adottando uno schema negoziale astrattamente lecito per conseguire un risultato vietato dalla legge, realizzano

un'ipotesi di contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c) (in senso conforme si è espressa Cass. n. 2126 del 1991).

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In tale quadro, va quindi ribadito che è sanzionabile con la nullità, nei sensi suindicati, la vendita con patto

di riscatto (o di retrovendita) che, risultando inserita in una più complessa operazione contrattuale,

caratterizzata dalla sussistenza di un rapporto credito-debitorio tra venditore ed acquirente, sia piegata

al perseguimento non già di un trasferimento di proprietà, bensì di un rafforzamento, in funzione di

subordinazione e di accessorietà rispetto al mutuo, della posizione del creditore, suscettivo di

determinare la (definitiva) acquisizione della proprietà del bene in mancanza di pagamento del debito

garantito, così realizzando il risultato giuridico ed economico vietato dall'art. 2744 c.c. (che, sotto tale

profilo, integra quindi una norma materiale). Merita per contro un ulteriore approfondimento l'analisi degli

elementi sintomatici idonei a denunciare la sussistenza di una operazione fraudolenta del tipo delineato. Al

riguardo, più che l'indagine sull'atteggiamento soggettivo delle parti (valorizzata da Cass. n.3800 del 1983, non

seguita, sul punto, dalle Sezioni Unite), sarà utile l'accertamento di dati obiettivi, quali la presenza di una

situazione credito-debitoria (preesistente o contestuale alla vendita), e, soprattutto, la sproporzione tra entità del

debito e valore del bene alienato in garanzia, di regola presente nelle fattispecie in esame e costituente

significativo segnale di una situazione di approfittamento della debolezza del debitore da parte del creditore, che

tende ad acquisire l'eccedenza dì valore, così realizzando un abuso che il legislatore ha voluto espressamente

sanzionare. A conferma di ciò, deve considerarsi che l'illiceità è invece esclusa, pur in presenza di

costituzioni di garanzie che postulano un trasferimento di proprietà, qualora queste siano integrate da

schemi negoziali che il menzionato abuso escludono in radice, come avviene nel caso del pegno

irregolare (art. 1851 c.c.), del riporto finanziario e del c.d. patto marciano, in virtù del quale al termine

del rapporto si procede alla stima, ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento

dell'importo eccedente l'entità del credito. La ratio del divieto posto dall'art. 2744 c.c. risulta quindi

desumibile argomentando a contrario dalla liceità delle figure ora menzionate. Non vale opporre che

sproporzione tra entità del credito e valore del bene, e conseguente abusiva appropriazione dell'eccedenza non

sono espressamente richieste dall'art. 2744 c.c., potendosi replicare che il legislatore, nel formulare un giudizio di

disvalore nei riguardi del patto commissorio, ha fondatamente presunto, alla stregua dell'id quod plerumque

accidit, che in siffatta convenzione il creditore pretende di regola una garanzia eccedente l'entità del credito.

Appare quindi corretto ritenere che la sussistenza di una sproporzione tra valore del bene ed entità del credito

possa offrire, in sede di indagine, uno degli indizi di maggior peso (Cass. n. 736 del 1977, in motivazione; Cass. n.

776 del 1960, in motivazione; sembrano invece svalutare tale elemento indiziario altre decisioni: Cass. n. 1611 e

n. 1907 del 1989 delle Sezioni Unite, che peraltro richiamano proprio Cass. n. 736 del 1977). E non giova

argomentare dalla disciplina generale dettata dall'art. 1448 c.c., per desumerne la sanzionabilità della sproporzione

tra prestazioni soltanto mediante l'azione di rescissione, poiché resta da dimostrare la assoluta coerenza del

sistema sanzionatorio previsto dal codice civile, nel quale si rinvengono ipotesi di tutela del contraente debole

mediante l'irrogazione della nullità (artt. 1341, 1815, comma 2), e può opporsi che l'art. 2744 c.c. esprime una

specifica valutazione legale di riprovevolezza del patto commissorio, in virtù della sua intrinseca elevata

potenzialità - per frequenza di impiego e facilità di realizzazione - a determinare il rischio (presunto) di produrre

effetti che l'ordinamento non consente, e che si risolvono, in definitiva, in un eccesso di garanzia per il creditore

e di responsabilità patrimoniale per il debitore. (omissis)

1.5 Art. 2 del d.l. 59 del 2016

Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente

condizionato

1. Al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, dopo l'articolo 48 e' aggiunto il seguente articolo:

«Art. 48-bis (Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente

condizionato). - 1. Il contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca o altro soggetto

autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico puo' essere garantito dal trasferimento, in

favore del creditore o di una societa' dallo stesso controllata o al medesimo collegata ai sensi delle vigenti

disposizioni di legge e autorizzata ad acquistare, detenere, gestire e trasferire diritti reali immobiliari, della

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proprieta' di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell'imprenditore o di un terzo,

sospensivamente condizionato all'inadempimento del debitore a norma del comma 5.

2. In caso di inadempimento, il creditore ha diritto di avvalersi degli effetti del patto di cui al comma 1,

purche' al proprietario sia corrisposta l'eventuale differenza tra il valore di stima del diritto e l'ammontare

del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento.

3. Il trasferimento non puo' essere convenuto in relazione a immobili adibiti ad abitazione principale del

proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado.

4. Il patto di cui al comma 1 puo' essere stipulato al momento della conclusione del contratto di

finanziamento o, anche per i contratti in corso al momento dell'entrata in vigore del presente decreto, per

atto notarile, in sede di successiva modificazione delle condizioni contrattuali. Qualora il finanziamento sia gia'

garantito da ipoteca, il trasferimento sospensivamente condizionato all'inadempimento, una volta

trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all'iscrizione ipotecaria.

5. Per gli effetti del presente articolo, si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per

oltre sei mesi dalla scadenza di almeno tre rate, anche non consecutive, nel caso di obbligo di rimborso a

rate mensili; o per oltre sei mesi dalla scadenza anche di una sola rata, quando il debitore e' tenuto al

rimborso rateale secondo termini di scadenza superiori al periodo mensile; ovvero, per oltre sei mesi,

quando non e' prevista la restituzione mediante pagamenti da effettuarsi in via rateale, dalla scadenza del

rimborso previsto nel contratto di finanziamento. Al verificarsi dei presupposti di cui al presente comma, il

creditore e' tenuto a notificare al debitore e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, nonche' a

coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull'immobile successivamente alla

trascrizione del patto di cui al comma 1 una dichiarazione di volersi avvalere degli effetti del patto di cui al

medesimo comma, secondo quanto previsto dal presente articolo.

6. Decorsi sessanta giorni dalla notificazione della dichiarazione di cui al comma 5, il creditore chiede al

presidente del tribunale del luogo nel quale si trova l'immobile la nomina di un perito per la stima, con relazione

giurata, del diritto reale immobiliare oggetto del patto di cui al comma 1. Si applica l'articolo 1349, primo

comma, del codice civile. Il perito comunica il valore di stima al debitore, e, se diverso, al titolare del diritto

reale immobiliare, al creditore nonche' a coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto

sull'immobile successivamente alla trascrizione del patto di cui al comma 1.

7. Qualora il debitore contesti la stima, il creditore ha comunque diritto di avvalersi degli effetti del patto di cui

al comma 1 e l'eventuale fondatezza della contestazione incide sulla differenza da versare al titolare del diritto

reale immobiliare.

8. La condizione sospensiva di inadempimento, verificatisi i presupposti di cui al comma 5, si considera

avverata al momento della comunicazione al creditore del valore di stima di cui al comma 6 ovvero al

momento dell'avvenuto versamento all'imprenditore della predetta differenza, qualora il valore di stima sia

superiore all'ammontare del debito inadempiuto, comprensivo di tutte le spese ed i costi del trasferimento. Il

contratto di finanziamento contiene l'espressa previsione di un conto corrente bancario, intestato al titolare

del diritto reale immobiliare, sul quale il creditore deve accreditare l'importo pari alla differenza tra il valore di

stima e l'ammontare del debito inadempiuto.

9. Ai fini pubblicitari connessi all'annotazione di cancellazione della condizione sospensiva, il creditore,

anche unilateralmente, rende nell'atto notarile di avveramento della condizione una dichiarazione, a norma

dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con cui attesta

l'inadempimento del debitore a norma del comma 5, producendo altresi' estratto autentico delle scritture

contabili di cui all'articolo 2214 del codice civile.

10. Puo' farsi luogo al trasferimento a norma del presente articolo anche quando il diritto reale immobiliare gia'

oggetto del patto di cui al comma 1 sia sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione. In tal

caso l'accertamento dell'inadempimento del debitore e' compiuto, su istanza del creditore, dal giudice

dell'esecuzione e il valore di stima e' determinato dall'esperto nominato dallo stesso giudice. Il giudice

dell'esecuzione provvede all'accertamento dell'inadempimento con ordinanza, fissando il termine entro il

quale il creditore deve versare una somma non inferiore alle spese di esecuzione e, ove vi siano, ai crediti

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aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell'istante ovvero pari all'eventuale differenza tra il valore di

stima del bene e l'ammontare del debito inadempiuto. Avvenuto il versamento, il giudice dell'esecuzione,

con decreto, da' atto dell'avveramento della condizione. Il decreto e' annotato ai fini della cancellazione della

condizione, a norma dell'articolo 2668 del codice civile. Alla distribuzione della somma ricavata si provvede

in conformita' alle disposizioni di cui al libro terzo, titolo II, capo IV del codice di procedura civile.

11. Il comma 10 si applica, in quanto compatibile, anche quando il diritto reale immobiliare e' sottoposto ad

esecuzione a norma delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.

602.

12. Quando, dopo la trascrizione del patto di cui al comma 1, sopravviene il fallimento del titolare del diritto

reale immobiliare, il creditore, se e' stato ammesso al passivo, puo' fare istanza al giudice delegato perche',

sentiti il curatore e il comitato dei creditori, provveda a norma del comma 10, in quanto compatibile.

13. Entro trenta giorni dall'estinzione dell'obbligazione garantita il creditore provvede, mediante atto notarile, a

dare pubblicita' nei registri immobiliari del mancato definitivo avveramento della condizione sospensiva.».

2. PATTO COMMISSORIO E SALE AND LEASE BACK

Cass., Sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1625

Il patto marciano – clausola contrattuale con la quale si mira ad impedire che il concedente, in caso di

inadempimento, si appropri di un valore superiore all’ammontare del suo credito, pattuendosi che, al termine

del rapporto, si proceda alla stima del bene e il creditore sia tenuto al pagamento in favore del venditore

dell’importo eccedente l’entita’ del credito (iure emptoris possideat rem iusto pretio tunc aestimandam, secondo

la tradizione giustinianea) esclude l’illiceita’ della causa del negozio, la quale non sussiste “pur in presenza di

costituzione di garanzie che presuppongano un trasferimento di proprieta’, qualora queste risultino integrate

entro schemi negoziali che tale abuso escludono in radice, come nel caso del pegno irregolare, del riporto

finanziario e del c.d. patto marciano – in virtu’ del quale, come e’ noto, al termine del rapporto si procede alla

stima, ed il creditore, per acquisire il bene, e’ tenuto al pagamento dell’importo eccedente l’entita’ del credito”

(omissis)

2.2. – Questa Corte ha da tempo chiarito che lo schema socialmente tipico del lease back presenta

autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e

soggettiva che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare,

una fattispecie che, in quanto realizzi una alienazione a scopo di garanzia, si risolva in un negozio

atipico nullo per illiceita’ della causa concreta (Cass. 22 marzo 2007, n. 6969; 14 marzo 2006, n. 5438, ed

altre).

Peraltro, la causa concreta del contratto di sale and lease back ben puo’ essere piegata al fine illecito

vietato dall’articolo 2744 c.c., il quale costituisce una norma materiale, destinata a trovare applicazione

non soltanto in relazione alle alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate

all’inadempimento del debitore, ma anche a quelle immediatamente traslative e risolutivamente

condizionate all’adempimento del debitore (Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1611, e successive, quale, fra

le altre, 16 ottobre 1995, n. 10805, 19 luglio 1997, n. 6663 e 2 febbraio 2006, n. 2285), esprimendo essa un

divieto di risultato.

Si e’ altresi’ precisato (Cass. 26 giugno 2001, n. 874; 19 luglio 1997, n. 6663) che la verifica se lo schema

negoziale del lease back sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio va

operata dal giudice del merito in base ad elementi sintomatici sia soggettivi che oggettivi, i quali non

sono sindacabili in sede di legittimita’, se non nell’ambito del controllo sulla motivazione.

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L’effetto di piegare un negozio lecito al raggiungimento di un risultato contrario alla norma imperativa dipende,

pertanto, dalle circostanze del caso concreto e dalle clausole negoziali presenti nell’accordo, fondandosi su tali

elementi di fatto la corretta qualificazione della fattispecie. Occorrera’ la ravvisabilita’ di un nesso funzionale, che

renda manifesto l’intento negoziale complessivo delle parti; ma l’individuazione della causa concreta del negozio,

ai fini della valutazione della sua liceita’ alla luce del complessivo regolamento d’interessi perseguito, appartiene

alla sfera di competenze riservate al giudice del merito, sindacabile solo per vizio di motivazione.

(omissis)

2.4. – La censura della ricorrente fa leva, inoltre, sulla presenza nel contratto di una c.d. clausola marciana,

secondo cui, per come riferita in ricorso, in caso di risoluzione per inadempimento il concedente potra’

pretendere che l’utilizzatore paghi i canoni scaduti, gli interessi moratori, le spese ed un importo pari

all’ammontare dei canoni non scaduti, dovendosi da cio’ dedurre quanto conseguito dal concedente in seguito

alla vendita del bene. Nell’assunto della ricorrente, tale clausola esclude il carattere fraudolento e vietato del lease

back.

Il decreto impugnato, al riguardo, contiene unicamente il seguente inciso, dopo avere riscontrato gli elementi del

patto commissorio: “restando, in punto di verifica di liceita’ del contratto, solo marginale il rilievo della clausola

di cui all’articolo 11 delle condizioni generali di contratto, relativa alla detrazione, in caso di risoluzione

contrattuale, di quanto il concedente abbia conseguito dalla vendita o riallocazione del bene”.

2.5. – Secondo quanto affermato da questa Corte, il patto marciano – clausola contrattuale con la quale si

mira ad impedire che il concedente, in caso di inadempimento, si appropri di un valore superiore

all’ammontare del suo credito, pattuendosi che, al termine del rapporto, si proceda alla stima del bene e

il creditore sia tenuto al pagamento in favore del venditore dell’importo eccedente l’entita’ del credito

(iure emptoris possideat rem iusto pretio tunc aestimandam, secondo la tradizione giustinianea)

esclude l’illiceita’ della causa del negozio, la quale non sussiste “pur in presenza di costituzione di

garanzie che presuppongano un trasferimento di proprieta’, qualora queste risultino integrate entro

schemi negoziali che tale abuso escludono in radice, come nel caso del pegno irregolare, del riporto

finanziario e del c.d. patto marciano – in virtu’ del quale, come e’ noto, al termine del rapporto si

procede alla stima, ed il creditore, per acquisire il bene, e’ tenuto al pagamento dell’importo eccedente

l’entita’ del credito”(cosi’ Cass. 21 gennaio 2005, n. 1273).

(omissis)

Si ritiene, dunque, che il c.d. patto marciano sia strumento idoneo a scongiurare l’illiceita’, permettendo l’uso di

uno contratto finanziario, come il lease back, ritenuto vantaggioso dagli utilizzatori: si riconosce cosi’ la

“ragionevolezza commerciale” dell’intera operazione per entrambe le parti, rispondendo essa alle peculiari

“esigenze del mercato” che esige, in dati casi, l’anticipata monetizzazione del valore del bene in favore

dell’utilizzatore-venditore, senza che egli pero’ ne perda il godimento o se ne privi definitivamente.

In tal senso, si reputa, da molti interpreti, che la cautela marciana riesca a superare i profili di possibile illiceita’

del lease back, in quanto prevede, al termine del rapporto, la stima del bene oggetto di garanzia quale

presupposto del consolidarsi dell’effetto traslativo iniziale, evenienza che si verifichera’ qualora il valore del bene

sia equiparabile all’importo del credito inadempiuto (nonche’ del danno da inadempimento); mentre, ove tale

importo sara’ inferiore, verra’ quantificata la differenza e sara’ pagato un prezzo aggiuntivo al debitore, quale

condizione del consolidamento dell’effetto traslativo. Cio’ garantirebbe contro il pericolo che il debitore subisca

una lesione in conseguenza del trasferimento con funzione di garanzia: la stima imparziale del valore del bene ad

opera di un terzo e l’obbligo, da parte del creditore, di restituire l’eccedenza al debitore assumono, quindi, il

compito di escludere l’abuso, e con esso l’operativita’ del divieto di patto commissorio e la conseguente illiceita’.

Il Collegio ritiene che tale principio vada ora affermato.

Fondamento dell’effetto salvifico e’, da un lato, l’idoneita’ della clausola a ristabilire l’equilibrio

sinallagmatico tra le prestazioni del contratto di lease back (requisito svalutato da chi reputa che

l’articolo 2744 c.c. non esiga alcuna sproporzione dei valori, ma dovendosi invece ribadire che

l’ordinamento presume detta sproporzione nel meccanismo vietato), e, dall’altro lato, la sua capacita’ di

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scongiurare che l’attuazione coattiva del credito avvenga senza alcun controllo dei valori patrimoniali in

gioco.

Cosi’ come in altre fattispecie – per l’articolo 1851 c.c., in presenza di un pegno irregolare a garanzia, “la banca

deve restituire solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti”;

nella cessione dei beni ai creditori, l’articolo 1982 c.c. attribuisce il residuo al debitore; quanto alle garanzie reali

tipiche, ad esempio, l’articolo 2798 c.c. ammette l’assegnazione al creditore della cosa oggetto del pegno solo

previa “stima da farsi con perizia o secondo il prezzo corrente, se la cosa ha un prezzo di mercato”, l’articolo

2803 c.c. prevede la riscossione del credito dato in pegno, ma, se il credito garantito e’ scaduto, “il creditore puo’

ritenere del denaro ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni e restituire il residuo al

costituente o, se si tratta di cose diverse dal danaro, puo’ farle vendere o chiederne l’assegnazione” secondo la

norma ora citata e l’articolo 2804 c.c. sancisce che il creditore pignoratizio non soddisfatto puo’ in ogni caso

chiedere che gli sia assegnato in pagamento il credito ricevuto in pegno “fino a concorrenza del suo credito”; piu’

in generale, tutto il sistema del processo esecutivo per espropriazione forzata e di quello fallimentare mira ad

assicurare la tutela, sotto il profilo indicato, del debitore – l’ordinamento permette la realizzazione coattiva dei

diritti del creditore, purche’ sia tutelato pure il diritto del debitore a pagare al creditore quanto in effetti gli spetti.

Per tale ragione, e’ necessario allora che, sin dalla conclusione del contratto di lease back, siano stati

previsti meccanismi oggettivi e procedimentalizzati che, sulla falsariga delle disposizioni ora ricordate,

permettano la verifica di congruenza tra valore del bene oggetto della garanzia, che viene

definitivamente acquisito al creditore, ed entita’ del credito; per la stessa ragione, non avrebbe tale

effetto la verifica del “giusto prezzo” al momento della conclusione del contratto.

Perche’ la c.d. clausola marciana possa conseguire il ricordato effetto legalizzante del contratto di lease

back, occorre pertanto che essa preveda, per il caso ed al momento dell’inadempimento ossia quando si

attuera’ coattivamente la pretesa creditoria (cfr. articolo 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del

bene, entro tempi certi e con modalita’ definite, che assicurino la presenza di una valutazione

imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona

indipendente ed esperta la quale a detti parametri fara’ riferimento (cfr. articolo 1349 c.c.), al fine della

corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da corrispondere

all’utilizzatore. La pratica degli affari potra’ poi prevedere diverse modalita’ concrete di stima, purche’ siano

rispettati detti requisiti. L’essenziale e’ che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo

previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perdera’ eventualmente la proprieta’ del suo

bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perche’ il surplus gli sara’ senz’altro

restituito.

Non e’ invece necessario che la clausola marciana subordini, altresi’, alla condizione del pagamento della

differenza l’acquisizione del bene da parte del creditore: invero, cosi’ come per il divieto ex articolo 2744 c.c.,

anche la clausola marciana puo’ essere in concreto articolata non solo nel senso di ancorare all’inadempimento il

trasferimento della proprieta’ del bene, ma pure il consolidamento dell’effetto traslativo gia’ realizzato, che si

verifichera’ solo ove sia corrisposta l’eventuale differenza.

2.6. – (omissis)

3. PRIVILEGIO VS IPOTECA

Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2009, n. 21045

Il privilegio speciale sul bene immobile, che assiste (ai sensi dell'art. 2775 bis c.c.) i crediti del promissario

acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645 bis

c.c., siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall'ultima parte

dell'art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca, sancita, se non

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diversamente disposto, dal secondo comma dell'art. 2748 c.c. e soggiace agli ordinari principi in tema di

pubblicità degli atti. Ne consegue che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice

dell'immobile scelga (come nella specie) lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell'art. 72 legge

fall.), il conseguente credito del promissario acquirente (nella specie, per la restituzione della caparra versata

contestualmente alla stipula del contratto preliminare), benché assistito da privilegio speciale, deve essere

collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla

trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull'immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento

concesso alla società costruttrice.

I. - PREMESSA - IL RICORSO E LA QUESTIONE SOTTOPOSTA ALL'ESAME DELLE SEZIONI

UNITE.

(omissis)Preliminare rispetto al vaglio delle doglianze prospettate nel ricorso è l'esame della premessa giuridica

dalla quale muove l'impugnato provvedimento, secondo cui il privilegio del credito del promissario acquirente

per mancata esecuzione del contratto preliminare prevale, ai sensi dell'art. 2748 c.c., 2° comma, sui crediti

ipotecari, anche se l'ipoteca è stata iscritta prima della trascrizione del preliminare, salvo soltanto che si tratti di

ipoteche relative a mutui erogati per l'acquisto del medesimo immobile promesso in vendita o iscritte a favore dei

creditori garantiti ai sensi dell'art. 2825 bis c.c. Solo ove, infatti, tale premessa fosse da condividere occorrerebbe

valutare se reggono o meno alla critica le conseguenti considerazioni in base alle quali il tribunale ha ravvisato la

prevalenza sul privilegio speciale spettante al promissario acquirente dell'ipoteca iscritta a garanzia del mutuo

fondiario erogato dalla cassa di risparmio; qualora, viceversa, quella premessa fosse da disattendere, s'imporrebbe

la correzione della motivazione del provvedimento impugnato, ma il ricorso dovrebbe essere rigettato.

La suaccennata premessa, dalla quale il tribunale prende le mosse (e la cui fondatezza è contestata dalla

controricorrente), è in effetti conforme a quanto affermato nel già menzionato precedente di questa Corte (Cass.

n. 17197 del 2003), secondo cui, appunto, in forza del disposto dell'art. 2748, 2° comma, c.c. (per il quale i

creditori che hanno privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecali, se la legge non dispone

diversamente), anche il privilegio speciale immobiliare, previsto dal citato art. 2775 bis, prevale rispetto alle

ipoteche gravanti sullo stesso immobile, pur se trascritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare

da cui il privilegio scaturisce, non rilevando in contrario la natura “iscrizionale” (o “trascrizionale”) di siffatto

privilegio, giacché questa non basta a rendere applicabile, in simili casi, il principio della prevalenza dei diritti

secondo l'ordine delle trascrizioni e delle iscrizioni dal quale è regolata la pubblicità immobiliare.

L'ordinanza che ha rimesso la soluzione della questione alle sezioni unite ritiene che le conclusioni alle quali è

pervenuta la citata sentenza n. 17197 del 2003 non abbiano placato il dibattito che già prima era insorto in

dottrina in ordine alla corretta interpretazione da dare alle disposizioni dettate dal codice a tutela del promissario

acquirente di immobili (introdotte, com'è noto, con il D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con

modificazioni dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30). Dibattito che, piuttosto, ne è stato rinfocolato. Viene, allora,

chiesto l'approfondimento dei seguenti punti:

a) il privilegio accordato al promissario acquirente non si ricollega esclusivamente alla causa del credito, ma

presuppone necessariamente la trascrizione del contratto preliminare, alla quale pare pertanto ragionevole

assegnare, in ragione della sua efficacia costitutiva, anche la funzione, ad essa connaturata, di risolvere i possibili

conflitti tra titolari di diritti assoggettati al medesimo regime di pubblicità;

b) poiché nella graduazione prevista dall'art. 2780 c.c. il privilegio in questione è collocato dopo quelli che

assistono i crediti per concessione di acque e per tributi indiretti, i quali non possono essere esercitati in

pregiudizio dei diritti anteriormente acquisiti dai terzi sui medesimi immobili, la prevalenza di tale privilegio sulle

ipoteche iscritte anteriormente renderebbe impossibile stabilire l'ordine di collocazione dei crediti;

c) detta prevalenza risulterebbe inoltre scarsamente razionale, dal momento che le ipoteche iscritte anteriormente

sono certamente opponibili all'acquirente, in caso di perfezionamento del contratto definitivo di acquisto

dell'immobile;

d) l'art. 2825 bis c.c., prevedendo eccezionalmente che, in caso di accollo del mutuo fondiario da parte del

promissario acquirente, l'ipoteca iscritta a garanzia dello stesso prevalga sulla trascrizione anteriore del contratto

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preliminare, fa supporre, a maggior ragione, l'operatività del medesimo criterio in presenza di una trascrizione

posteriore di tale contratto, trovando applicazione, in tal caso, i principi generali in materia di pubblicità

immobiliare.

In conclusione, la questione sottoposta alle Sezioni Unite consiste nello stabilire se, ai fini della distribuzione

del ricavato della vendita, disposta in sede fallimentare, di un immobile già promesso in vendita dal

fallito con contratto preliminare trascritto, il privilegio che, a norma dell'art. 2775 bis c.c., assiste il

credito del promissario acquirente per la mancata esecuzione del preliminare prevalga (o meno), ai

sensi dell'art. 2748, 2° comma, c.c., sulle ipoteche iscritte sul medesimo immobile in data anteriore alla

trascrizione del contratto preliminare.

II. - LA TRASCRIVIBILITÀ DEL CONTRATTO PRELIMINARE ED IL PRIVILEGIO CHE ASSISTE I

CREDITI DEL PROMISSARIO ACQUIRENTE.

La trascrivibilità del preliminare, non prevista dal testo originario del codice civile, in ragione della natura

meramente obbligatoria di tale contratto, è stata introdotta dall'art. 3 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 (convertito

con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30), che ha modificato il titolo I del libro VI del codice,

inserendo nel capo I l'art. 2645 bis. Questo ammette la possibilità di procedere alla trascrizione dei contratti

preliminari, ancorché sottoposti a condizione o relativi ad edifici da costruire o in corso di costruzione, purché

essi: a) abbiano ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 dell'art. 2643; b)

risultino da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

La ratio della disciplina consiste nel tutelare il promissario, che, all'atto della stipulazione del

preliminare o comunque nelle more della stipulazione del contratto definitivo, abbia corrisposto in tutto

o in parte il corrispettivo dovuto, contro l'eventualità che il promittente si sottragga all'adempimento

dell'obbligazione assunta, ponendo in essere atti di disposizione del bene promesso, tali da rendere

impossibile il successivo trasferimento dell'immobile.

Essa muove dalla presa d'atto che, nella pratica commerciale, la stipulazione di un contratto preliminare

costituisce ormai una fase pressoché imprescindibile del procedimento negoziale che conduce al trasferimento

dei diritti reali immobiliari, la quale trova per lo più giustificazione nell'esigenza delle parti di consacrare

provvisoriamente l'accordo raggiunto, al fine di consentire, in vista della stipulazione del contratto definitivo, la

verifica dell'esatta consistenza dell'immobile, della sua conformità alle norme urbanistiche e degli oneri tributari

connessi al trasferimento. A questa prassi fa riscontro, talvolta, la consegna anticipata dell'immobile e, più spesso,

il versamento di uno o più acconti sul prezzo pattuito, il quale trova giustificazione, nel caso di vendita di beni

ancora da edificare o in corso di costruzione, nei convergenti interessi del venditore ad autofinanziarsi mediante

l'anticipata riscossione del corrispettivo e dell'acquirente a spuntare un prezzo più vantaggioso attraverso

l'acquisto su progetto.

Nella vigenza del testo originario del codice civile, l'impossibilità di procedere alla trascrizione

del preliminare, dovuta all'inidoneità di tale contratto a determinare il trasferimento del diritto reale,

esponeva il promissario, che avesse in tutto o in parte adempiuto la propria obbligazione, al rischio

dell'inadempimento della controparte, dovendo egli soccombere di fronte ad atti dispositivi

eventualmente posti in essere da quest'ultima, ovvero ad atti compiuti da terzi in danno della

medesima controparte; la trascrizione di questi atti, se intervenuta anteriormente al contratto definitivo,

ne rendeva infatti impossibile la stipulazione, precludendo anche l'accoglimento di un'eventuale

domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. A tale rischio, riconducibile alla normale alea contrattuale, si aggiungeva,

nel caso in cui il promittente venditore fosse un imprenditore, quello proprio dell'attività d'impresa, che aumenta

notevolmente il pericolo dell'aggressione dei beni da parte di terzi, fino all'ipotesi estrema del fallimento, che,

consentendo al curatore di sciogliersi dal vincolo contrattuale (come è avvenuto nella fattispecie in trattazione),

costringe il promissario acquirente ad insinuarsi al passivo per ottenere la restituzione delle somme versate e

quindi ad assoggettarsi alle regole del concorso, con scarse speranze di ottenere la soddisfazione del proprio

diritto, avuto riguardo alla natura chirografaria del credito.

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Per evitare questi inconvenienti (ai quali, in passato, poteva ovviarsi esclusivamente attraverso la

tempestiva trascrizione di una domanda di esecuzione in forma specifica) è ora riconosciuta la possibilità di

tutelare il proprio diritto all'acquisto direttamente mediante la trascrizione del contratto preliminare.

L'efficacia di tale adempimento pubblicitario è disciplinata dai commi secondo e terzo dell'art. 2645 bis, i quali

prevedono che, ove entro un anno dalla data convenuta tra le parti, e comunque entro tre anni dalla trascrizione

del preliminare, segua la trascrizione del contratto definitivo o di un altro atto che costituisca comunque

esecuzione del contratto preliminare, ovvero della domanda giudiziale di cui all'art. 2652, 1° comma, n. 2, gli

effetti di tale trascrizione o di quella della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in

forma specifica del contratto preliminare retroagiscono fino alla data della trascrizione di quest'ultimo,

prevalendo sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite in data successiva contro il promittente alienante. Tale

efficacia è stata definita di “prenotazione” degli effetti tipici della trascrizione del contratto definitivo, e

consiste nel fatto che, ove seguita da quest'ultima, la trascrizione del preliminare rende inopponibili al

promissario acquirente tutte le iscrizioni o trascrizioni eseguite medio tempore nei confronti del

promittente.

È tuttavia controverso se l'effetto prenotativo renda inopponibili al promissario acquirente le

sole formalità pubblicitarie eseguite successivamente nei confronti del promittente alienante in virtù di

titoli da lui voluti, ovvero abbia portata generale, estendendosi anche alle trascrizioni di pignoramenti o

sequestri ed alle iscrizioni di ipoteche giudiziali.

In riferimento all'ipotesi di fallimento del promittente, l'art. 72, terzo comma, della legge fall., anch'esso

introdotto dall'art. 3 del D.L. n. 669 del 1996, esclude infatti la prevalenza del preliminare, confermando la

facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto, ai sensi del 2° comma del medesimo articolo, e disponendo che in

caso di esercizio di tale facoltà l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia

dovuto il risarcimento del danno, e gode del privilegio di cui all'art. 2775 bis c.c., a condizione che gli effetti della

trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.

Approssimandoci alla questione in esame, occorre ricordare che, oltre all'efficacia prenotativa, l'art. 3 del

D.L. n. 669 del 1996 ha attribuito alla trascrizione del contratto preliminare una peculiare efficacia costitutiva,

introducendo nel titolo III del libro VI del codice civile, alla sezione III del capo II, l'art. 2775 bis, il quale, al fine

di tutelare i crediti del promissario acquirente derivanti dalla mancata esecuzione del contratto preliminare,

dispone al primo comma che essi “hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare,

sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto risultante da

atto avente data certa, ovvero al momento della domanda giudiziale di risoluzione del contratto o di condanna al

pagamento, ovvero al momento della trascrizione del pignoramento o al momento dell'intervento nella

esecuzione promossa da terzi”.

La trascrizione del preliminare fa sorgere pertanto, a favore dei crediti del promissario, un

privilegio speciale immobiliare, subordinato alla condizione che gli effetti della trascrizione siano

ancora in atto al momento in cui si verificano gli eventi che costituiscono causa del credito.

Tale privilegio è collocato al n. 5 dell'ordine stabilito dall'art. 2780 c.c., in particolare dopo quelli che assistono i

crediti dello Stato per concessioni di acque (art. 2774) e per tributi indiretti (art. 2772).

Il 2° comma dell'art. 2775 bis prevede che esso “non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa

a mutui erogati al promissario acquirente per l'acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca

ai sensi dell'art. 2825 bis”; ossia, ai creditori che abbiano iscritto ipoteca su un edificio o complesso

condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a garanzia di finanziamento dell'intervento edilizio ai

sensi degli articoli 38 e seguenti del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385: tale ipoteca, peraltro, prevale sulla

trascrizione anteriore del contratto preliminare “limitatamente alla quota di debito derivante dal suddetto

finanziamento che il promissario acquirente si sia accollata con il contratto preliminare o con altro atto

successivo eventualmente adeguata ai sensi dell'articolo 39, comma 3, del citato decreto legislativo n. 385 del

1993”, con l'ulteriore precisazione che “se l'accollo risulta da atto successivo, questo è annotato in margine alla

trascrizione del contratto preliminare”.

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Quest'ultima disposizione mira a contemperare la tutela del terzo acquirente con quella dei terzi che

abbiano concesso finanziamenti per l'acquisto o la costruzione dell'immobile promesso in vendita, in conformità

con le finalità perseguite dall'art. 3 del decreto legge n. 669 del 1996, che consistono tra l'altro nel promuovere la

realizzazione e l'acquisto della prima casa di abitazione.

Nella prima parte, essa sembra fare riferimento all'ipotesi (piuttosto marginale) in cui il promittente venditore

abbia prestato il proprio consenso, prima della stipulazione del contratto definitivo, all'iscrizione di ipoteca

sull'immobile promesso in vendita, a garanzia del credito derivante da un mutuo concesso al promissario

acquirente: diversamente, infatti, non si spiegherebbe come quest'ultimo possa concedere ipoteca su di un bene

del quale non è ancora divenuto proprietario.

Nella seconda parte, invece, la norma si riferisce alle ipoteche concesse dal promittente venditore a garanzia di

crediti derivanti dai mutui fondiari accordati da banche concedenti finanziamenti a medio e lungo termine,

garantiti da ipoteca di primo grado su immobili, ovvero da ipoteche di grado ulteriore nei casi consentiti dalla

Banca d'Italia; in tal caso, la prevalenza dell'ipoteca è subordinata alla condizione che il promissario acquirente si

sia accollato il relativo debito, nello stesso preliminare o con atto successivo annotato a margine della

trascrizione, ed opera limitatamente alla quota gravante sull'immobile promesso in vendita. Tale condizione trova

fondamento nella considerazione che l'opponibilità al promissario dell'ipoteca iscritta successivamente al

preliminare è giustificata solo in caso di accollo del mutuo, in quanto egli diviene parte del rapporto derivante dal

finanziamento, giovandosi della relativa rateazione ai fini del pagamento del prezzo; qualora invece acquisti senza

accollo, pagando il prezzo direttamente al promittente, il promissario rimane estraneo al rapporto tra

finanziatore, e finanziato, con la conseguenza che l'ipoteca, iscritta successivamente alla trascrizione del

preliminare, non gli è opponibile.

Il privilegio in esame prevale, pertanto, ai sensi dell'art. 2645 bis, sulle ipoteche iscritte in data successiva

alla trascrizione del preliminare, escluse quelle previste dall'art. 2825 bis, in quanto tale disposizione stabilisce

eccezionalmente la prevalenza delle ipoteche relative a mutui erogati al promissario acquirente, nonché di quelle

relative a mutui fondiari erogati al promittente venditore, che il promissario acquirente si sia accollato.

III. - GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO E DELLA DOTTRINA.

L'orientamento quasi unanime affermatosi nella giurisprudenza di merito sostiene che le ipoteche delle

quali s'è detto siano comunque destinate a cedere in caso di concorso con il privilegio spettante al

promissario acquirente.

Esso muove dal rilievo secondo cui il concorso tra privilegi ed ipoteche sarebbe regolato esclusivamente dall'art.

2748, 2° comma, non potendo trovare applicazione l'art. 2644, il quale disciplinerebbe, invece, il conflitto tra

cause di prelazione e diritti reali di godimento; ciò posto, esso afferma che al principio della prevalenza dei

privilegi, sancito dalla predetta disposizione, potrebbe derogarsi soltanto in presenza di un dato normativo chiaro

ed inequivocabile, non ravvisabile né nell'art. 2775 bis (il quale, nella parte in cui subordina la nascita del

privilegio del promissario acquirente alla trascrizione del preliminare, non introdurrebbe elementi di novità

rispetto ad altre fattispecie previste dalla normativa vigente), né nell'art. 2825 bis (il quale, riferendosi alle sole

ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del preliminare, non sarebbe applicabile a quelle iscritte in data

anteriore).

L'indirizzo in esame riflette l'opinione espressa dai primi commentatori del decreto-legge n. 669 del

1996, i quali avevano ritenuto insuperabile il dato normativo emergente dall'interpretazione letterale degli artt.

2748, 2° comma, e 2825 bis c.c., escludendo così che le ipoteche iscritte in epoca anteriore alla trascrizione del

contratto preliminare potessero prevalere sul privilegio che assiste il credito del promissario acquirente.

All'obiezione secondo cui l'ipoteca prevale sui diritti dei terzi trascritti in epoca successiva all'iscrizione,

essi replicavano che ciò accade perché il rapporto tra le cause di prelazione e i diritti reali di godimento è regolato

dal principio prior in tempore, potior in jure, esaltato, nel caso di immobili, dalla priorità della relativa pubblicità;

nella fattispecie in esame, tuttavia, non vi è un conflitto tra il diritto del promissario di ottenere

l'esecuzione specifica del contratto e l'ipoteca del terzo sullo stesso bene oggetto del preliminare, ma

un conflitto tra il privilegio speciale del promissario (conseguente alla risoluzione o allo scioglimento del

contratto preliminare) e l'ipoteca iscritta sullo stesso bene: si tratterebbe di un conflitto tra cause di

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prelazione, la cui prevalenza sarebbe disciplinata dalla legge in base ad un principio diverso da quello

della priorità cronologica. Ciò spiegherebbe, tra l'altro, perché le ipoteche iscritte in data anteriore alla

trascrizione del preliminare siano opponibili all'acquirente in caso di stipulazione del contratto definitivo, mentre

risultano inopponibili in caso di mancata esecuzione del preliminare.

Secondo tale orientamento, la deroga al principio della prevalenza dei privilegi, richiesta dall'art. 2748, 2°

comma, ai fini dell'opponibilità dell'ipoteca al creditore privilegiato, non può essere desunta dall'art. 2825 bis: tale

disposizione, infatti, non ha nulla a che fare con il privilegio di cui all'art. 2775 bis, previsto per il caso di mancata

esecuzione del preliminare, in quanto si limita a regolare gli effetti dell'ipoteca fondiaria edilizia sulla trascrizione

del preliminare che venga regolarmente eseguito; il 2° comma dell'art. 2775 bis, inoltre, limitando la prevalenza

delle ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del preliminare a quelle concesse a garanzia di mutui

contratti per la costruzione o per l'acquisto dell'immobile, presupporrebbe che, al di fuori di tali ipotesi, dette

ipoteche siano destinate a cedere nel concorso con il privilegio, e sarebbe quindi applicabile, a maggior ragione,

alle ipoteche iscritte in data anteriore.

All'obiezione secondo cui tale opinione, favorendo il promissario acquirente a scapito degli interessi dei

creditori ipotecari, si sarebbe ripercossa negativamente sui rapporti tra le imprese costruttrici e le aziende di

credito, scoraggiando queste ultime dal concedere finanziamenti per la costruzione di immobili, in contrasto con

le finalità che la legge intendeva perseguire, si replica che il senso della nuova disciplina consisteva anche nel

responsabilizzare il ceto bancario, dissuadendolo da un'eccessiva disinvoltura nell'erogazione del credito

fondiario. (omissis)

Sotto un diverso profilo, si riconosce che, una volta ovviatosi, mediante la previsione della trascrivibilità

del preliminare, al pericolo che il diritto al trasferimento dell'immobile sia vanificato da atti dispositivi compiuti

dal promittente venditore o da atti di aggressione del suo patrimonio posti in essere da terzi prima della

stipulazione del definitivo, l'attribuzione di un rango privilegiato ai crediti del promissario nascenti dalla mancata

esecuzione del contratto si traduce in una tutela eccessiva, quanto meno in riferimento all'ipotesi in cui, pur

potendo ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, egli abbia optato per la tutela

risarcitoria.

In ogni caso, anche coloro i quali sono disposti ad ammettere che la prevalenza del privilegio determina

un'ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei creditori che abbiano iscritto ipoteca in data anteriore

alla trascrizione del preliminare, ritengono che a tale inconveniente possa ovviarsi esclusivamente attraverso una

declaratoria di incostituzionalità della norma in esame, o mediante un intervento chiarificatore del legislatore.

La dottrina più recente ritiene invece che la questione possa essere risolta anche in via interpretativa,

avvalendosi dei principi sui cui si fonda la pubblicità immobiliare e di una pluralità di elementi emergenti dalla

stessa disciplina in materia. Essa sottolinea la natura “iscrizionale” o “trascrizionale” del privilegio in

questione, il cui concorso con le ipoteche iscritte sull'immobile promesso in vendita deve considerarsi

disciplinato dall'art. 2644 c.c., non essendo il privilegio accordato esclusivamente in ragione della causa

del credito, ma essendo condizionato alla trascrizione del contratto preliminare ed alla sua perdurante

efficacia. A sostegno di tale orientamento, sono state sottolineate anche le anomalie che l'opposta tesi

introdurrebbe nel sistema delle cause di prelazione, osservandosi da un lato che in caso di stipulazione del

contratto definitivo le ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del preliminare sono opponibili

all'acquirente, dall'altro che nell'ordine dei privilegi quello previsto dall'art. 2775 bis è collocato successivamente a

quelli di cui agli artt. 2772 e 2774 c.c., i quali non sono esercitabili in pregiudizio dei diritti precedentemente

acquisiti dai terzi. Sono stati infine evidenziati i gravi abusi cui potrebbe condurre una rigida applicazione dell'art.

2748 cit., la quale consentirebbe al promittente venditore di sottrarre l'immobile alla garanzia dei propri creditori

ipotecari, mediante la simulazione di un preliminare di compravendita con un promissario compiacente, cui

potrebbe far seguito la risoluzione del contratto, con la conseguenza che, in sede di esecuzione forzata, i crediti

restitutori e risarcitori del promissario dovrebbero essere soddisfatti con precedenza rispetto a quelli dei creditori

ipotecari.

Alle medesime conclusioni un'autorevolissima dottrina è pervenuta sulla base di un diverso percorso

argomentativo, che muove dalla qualificazione del preliminare di compravendita come vendita ad effetti

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obbligatori, dalla quale sorge a carico del promittente un'obbligazione di dare e dall'affermazione dell'autonomia

di tale contratto rispetto al definitivo, ricollegando alla sua trascrizione l'efficacia tipica di cui all'art. 2644 c.c., per

sostenere che tale efficacia si estende anche al privilegio che assiste i crediti del promissario acquirente, il cui

concorso con le ipoteche iscritte in data anteriore deve pertanto ritenersi disciplinato dal principio della priorità

cronologica. L'aspetto più suggestivo di questa dottrina è rinvenibile nell'attribuzione al promissario acquirente di

un jus ad rem (non di un mero jus in persona) e nella riconduzione del rapporto tra preliminare e definitivo (non

come rapporto tra due contratti distinti ed autonomi, ciascuno dotato di una propria causa) al modello tedesco

della distinzione tra titulus e modus adquirendi, con la conseguenza che la stipulazione del definitivo non

comporta l'assorbimento del preliminare né rende irrilevanti i vizi che lo inficiano, i quali risultano anzi idonei ad

incidere, attraverso la caducazione del contratto cui afferiscono, sulla stessa trascrizione del contratto definitivo.

La riprova sarebbe costituita proprio dalla trascrivibilità del preliminare, il cui effetto di opponibilità trova

giustificazione nella natura del diritto che da esso scaturisce per il promissario acquirente, mentre la limitazione

temporale di tale effetto si giustificherebbe con l'efficacia obbligatoria del contratto.

IV. - LA SOLUZIONE DELLA QUESTIONE.

Sulla scorta di tutto quanto premesso è ora possibile passare alla soluzione del quesito, subito anticipando che le

sezioni unite intendono disattendere il precedente orientamento espresso dalla menzionata Cass. n. 17197 del

2003, attraverso una trattazione concernente il generale problema della regola di conflitto tra cause di prelazione,

al di là della specifica ipotesi (della quale pure si dirà) del credito fondiario, disciplinata dagli artt. 2775 bis, 2°

comma, e 2825 bis c.c.

Il ragionamento parte dalla premessa che l'art. 2748 c.c., allorquando nel secondo comma stabilisce

che i creditori muniti di privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecari “se la legge non

dispone diversamente”, fa riferimento ad una deroga non necessariamente contenuta in un esplicito

precetto, ma che può e deve essere individuata nell'ordinamento nel suo complesso, attraverso la lettura

e l'interpretazione normativa che tenda all'armonioso coordinamento dello specifico istituto in

trattazione con l'intero sistema; così da evitare applicazioni ermeneutiche settoriali che, sebbene compatibili

con il microsistema nel quale le disposizioni sono inserite, finiscano con lo stridere rispetto al complesso della

materia nelle quali le norme stesse esplicano il proprio effetto. Siffatto sforzo interpretativo si impone con ancora

maggior impegno quando (come nel caso di specie) le norme esaminate non appartengono all'originaria

impostazione codicistica, ma sono frutto di una successiva interpolazione legislativa, mossa da esigenze sociali ed

economiche via via emerse nella realtà giuridica dei commerci.

Espresse norme derogatrici alla regola del secondo comma dell'art. 2748 c.c. sono rinvenibili nel quarto

comma dell'art. 2772 e nel secondo comma dell'art. 2774: il privilegio che assiste i crediti dello Stato per tributi

indiretti o per canoni di concessione di acque non si può esercitare in pregiudizio dei diritti che i terzi hanno

anteriormente acquistato sugli immobili. Deroga ispirata, dunque, alla diversa regola della prevalenza in base alla

data di trascrizione o di iscrizione.

Nel nostro caso una espressa norma derogatoria al precetto stabilito dalla prima parte del secondo

comma dell'art. 2748 c.c. non esiste, ma, come si vedrà, l'organica analisi dell'intero quadro normativo

disciplinante la materia consente di affermare che i creditori muniti dello speciale privilegio del quale trattiamo

non sono preferiti ai creditori muniti di ipoteca iscritta precedentemente al sorgere del privilegio stesso, secondo

una ricostruzione che, come s'è detto, prescinde dalla specifica ipotesi (disciplinata dal secondo comma dell'art.

2275 bis, in relazione all'art. 2825 bis) del privilegio che assiste il credito per il finanziamento dell'intervento

edilizio.

Occorre innanzitutto porre nel giusto rilievo che il privilegio che assiste il credito del promissario

acquirente, conseguente alla (eventuale) mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto, non si

ricollega esclusivamente alla causa del credito (come prescrive la prima parte dell'art. 2745 c.c.) ma la sua

costituzione necessariamente presuppone la trascrizione del contratto preliminare ai sensi dell'art. 2645

bis; rientrando, dunque, nella categoria dei privilegi la cui costituzione, come consentito dalla seconda

parte dell'art. 2745 c.c., è subordinata ad una particolare forma di pubblicità. Peraltro, esso assiste il credito a

condizione che gli effetti della menzionata trascrizione non siano cessati a determinati momenti (quello della

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risoluzione del contratto, oppure della domanda giudiziale della risoluzione, oppure della trascrizione del

pignoramento, oppure ancora dell'intervento nell'esecuzione promossa da terzi).

Siffatto privilegio (come molti altri introdotti nel tempo dal legislatore in specifici settori) si aggiunge ai

privilegi speciali immobiliari previsti dal codice agli artt. da 2770 a 2775, ma se ne differenzia perché non è

posto, come questi, a tutela di interessi pubblici, bensì a tutela dell'interesse meramente privato del

promissario acquirente.

(omissis)Autorevolissima dottrina spiega che la via scelta dal legislatore nel secondo comma dell'art. 2748

è la più conforme all'indole del privilegio, che, assistendo crediti normalmente incidenti sul processo di

produzione o di valorizzazione di una cosa, deve necessariamente essere anteposto all'ipoteca. In altri termini, la

ragione della maggior parte dei privilegi va ricercata nella particolare inerenza economica di alcuni crediti alla cosa

gravata, la quale spiega anche la preferenza dei creditori privilegiati sui creditori forniti di garanzia reale: poiché

questi ultimi acquistano un diritto al valore di scambio della cosa, sono necessariamente posposti a coloro i quali,

mediante l'erogazione di energie di lavoro o di utilità dal cui corrispettivo sorge il credito, hanno contribuito alla

creazione, alla conservazione o all'incremento del valore medesimo.

La stessa dottrina avvisa pure che queste considerazioni rilevano ai fini interpretativi della concreta

applicazione delle norme positive e che sarebbe assurdo escludere dal novero dei privilegi le figure che hanno il

presupposto in forme di pubblicità, solo perché ad esse non si applica il brocardo secondo cui privilegia non ex

tempora estimantur (ossia la regola trasfusa nel secondo comma dell'art. 2748). Ponendo, così, in evidenza che,

per un verso, la qualifica di “privilegio” non necessariamente comporta l'applicazione del principio secondo cui

esso prevale sull'ipoteca precedentemente iscritta e che, per altro verso, l'applicazione delle ordinarie regole sulla

pubblicità non consente di escludere la particolare qualifica di “privilegio” al tipo di prelazione trattato.

Il privilegio del quale si discute esplica i suoi effetti in una vicenda specularmente opposta a quella

summenzionata. Esso non assiste un credito che incide sul processo di produzione o di valorizzazione

della cosa (piuttosto, siffatta incidenza appartiene al credito del finanziatore dell'opera), bensì il credito

del promissario acquirente che acquista il diritto al valore di scambio della cosa, e la sua costituzione è

subordinata ad un preciso onere pubblicitario, così come la sua esistenza è collegata al perdurare degli

effetti della pubblicità.

Ne consegue che, relativamente ad esso, non vige la regola della prevalenza dei privilegi sulle ipoteche,

bensì quella del prior tempore potior in jure che pervade di sé l'intero sistema della pubblicità,

facendone conseguire che l'ipoteca trascritta prima della costituzione del privilegio debba su

quest'ultimo prevalere.

(omissis)

Le caratteristiche del privilegio in esame assumono un rilievo determinante, distinguendolo tanto dagli altri

privilegi speciali immobiliari, la cui nascita non è condizionata ad un adempimento pubblicitario avente efficacia

costitutiva, quanto dagli altri privilegi iscrizionali, che hanno ad oggetto beni mobili; rispetto a questi ultimi,

ovviamente, il problema del concorso con altre cause di prelazione aventi natura trascrizionale non si pone, ma

per il caso in cui concorrano più privilegi la legge prevede espressamente che il conflitto vada risolto in base alla

regola della priorità della trascrizione (art. 2762, ultimo comma, c.c.); per i primi, invece, pur valendo la regola

secondo cui il privilegio prevale sulle ipoteche, la legge stabilisce, in riferimento a casi in cui la prelazione è

accordata per un interesse non individuale, che essa non possa essere esercitata in pregiudizio dei diritti che i terzi

hanno anteriormente acquistato sugli immobili (si tratta dei già menzionati artt. 2772, quarto comma, e 2774,

secondo comma, c.c.). A maggior ragione deve, quindi, affermarsi che un privilegio accordato in funzione di un

interesse individuale, la cui nascita è subordinata all'adempimento di una formalità pubblicitaria, sia destinato a

cedere, nel concorso con cause di prelazione precedentemente iscritte.

In quest'ordine di idee è riduttivo ed avulso dalla visione sistematica dell'istituto fare una formalistica

applicazione della regola di conflitto dettata nel secondo comma dell'art. 2748 c.c., per ammettere

categoricamente che qualunque genere di privilegio speciale immobiliare (compreso quello previsto a favore del

promissario acquirente) prevalga sull'ipoteca (qualunque ipoteca, non solo quella che assiste il credito del

finanziatore), benché questa sia stata iscritta prima del nascere del privilegio.

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23

A questo punto occorre fare alcune precisazioni in ordine ad una serie di ricostruzioni che sono state

operate per pervenire al medesimo risultato al quale qui si perviene.

In primo luogo occorre chiarire che la regola di conflitto tra privilegio ed ipoteca precedentemente iscritta

non può essere rinvenuta nell'art. 2645 bis, 2° comma, c.c., il quale stabilisce la prevalenza del contratto

definitivo sulle trascrizioni e le iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione

del contratto preliminare. Espressione, questa, del già menzionato effetto prenotativo della trascrizione del

contratto preliminare ed attuazione della generalissima regola dell'art. 2644 c.c.

Neppure giova il richiamo alla specifica regola di conflitto tra cause di prelazione contenuta nel

secondo comma dell'art. 2775 bis, il quale prevede due categorie di creditori ai quali il privilegio concesso in

favore del promissario acquirente non è opponibile: a) quelli garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al

promissario acquirente per l'acquisto del bene immobile; b) quelli garantiti da ipoteca ai sensi dell'art. 2825 bis.

Quanto all'ipotesi sub a) non è il caso di dilungarsi, pur dovendosi segnalare che tutti i commentatori hanno

rilevato l'oscurità di una disposizione che sembrerebbe ammettere che il promissario, per effetto del preliminare,

possa iscrivere ipoteca a garanzia dei suoi debiti su un bene non ancora di sua proprietà, in deroga dunque all'art.

2822 c.c. Sta di fatto, comunque, che, nell'ipotesi delineata, il conflitto è risolto nel senso che l'ipoteca a favore

del mutuante prevale sul privilegio a favore del promissario acquirente, a prescindere dalla circostanza che la

garanzia reale sia stata iscritta prima o dopo la costituzione del privilegio.

Quanto alla ipotesi sub b) - quella che maggiormente interessa - occorre tener conto della disposizione dell'art.

2825 bis, richiamata dall'art. 2775 bis. Essa prevede (come s'è già visto in precedenza) che l'ipoteca iscritta

sull'edificio (costruito o costruendo) a garanzia del finanziamento dell'intervento edilizio (ai sensi degli artt. 38 e

segg. del D.Lgs. n. 385 del 1993) prevale sulla trascrizione anteriore del contratto preliminare, limitatamente alla

quota accollatasi dal promissario acquirente. In altri termini, benché iscritta successivamente alla trascrizione del

preliminare, siffatta ipoteca prevale sul privilegio concesso a garanzia dei crediti vantati dal promissario

acquirente nei confronti del promittente venditore. Risultando, così, risolto il problema del frazionamento del

credito fondiario assistito da ipoteca che s'era posto nella precedente giurisprudenza ed attuato il favore del

legislatore (del quale prima s'è detto) per i crediti incidenti sul processo di produzione o di valorizzazione della

cosa.

Ora, le disposizioni correlate costituiscono un ulteriore sottosistema nell'ambito del sottosistema della

trascrizione del contratto preliminare. Nel senso che l'art. 2775 bis, 2° comma, non si occupa dei problema di

ordine generale del rapporto tra privilegio a favore del promissario ed ipoteca iscritta contro il promittente, ma

solo del rapporto tra privilegio ed ipoteca inerenti all'operazione di credito fondiario, disponendo l'inopponibilità

del privilegio a due specifiche categorie di creditori ipotecari.

(omissis)

Affermare la prevalenza del privilegio sulle ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare

comporterebbe, infatti, un'ingiustificata disparità di trattamento a seconda che il preliminare abbia o meno

esecuzione: tali ipoteche, che in caso di stipulazione del contratto definitivo sono opponibili all'acquirente (in

base al principio dell'anteriorità stabilito dall'art. 2644 c.c.), in caso di inadempimento dell'obbligo di contrarre

diverrebbero a lui inopponibili, per effetto del privilegio nascente dalla stessa trascrizione del preliminare, con

evidente sovvertimento della regola posta dall'ultima menzionata disposizione. Tenuto, altresì, conto di un'altra

praticissima ma per nulla irrilevante considerazione: ossia, che il promissario, nel momento in cui stipula il

preliminare ha contezza dell'esistenza dell'iscrizione ipotecaria sul bene che va ad acquistare; diversamente, il

creditore (nel caso nostro il finanziatore) che abbia sin dall'inizio dell'operazione iscritto ipoteca a garanzia del

suo credito sul medesimo immobile finirebbe (seguendo l'opposta tesi) con il vedere il suo credito posposto

rispetto ad una serie indefinita ed indefinibile di crediti di promissari acquirenti (muniti di crediti privilegiati)

susseguitisi nel commercio dello stesso bene.

(omissis)

Il proprietario di un immobile gravato da ipoteca potrebbe, infatti, agevolmente sottrarre il bene alla garanzia del

proprio creditore, simulando un preliminare di compravendita con un soggetto compiacente, dichiarando di aver

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24

ricevuto l'intero corrispettivo e poi risolvendo il contratto, in quanto in sede di esecuzione forzata il credito del

promissario acquirente per la restituzione del prezzo versato sarebbe collocato con grado poziore rispetto a

quello ipotecario del creditore, che rimarrebbe pertanto insoddisfatto.

Infine, essendo il privilegio in questione collocato all'ultimo posto nell'ordine stabilito dall'art. 2780 (e quindi

dopo quelli riconosciuti ai crediti dello Stato per concessioni di acque e tributi indiretti, i quali non possono

essere esercitati in pregiudizio delle ipoteche precedentemente iscritte da terzi), l'accoglimento della diversa

opinione determinerebbe un circolo vizioso, rendendo impossibile stabilire l'ordine delle cause di prelazione in

caso di concorso dei privilegi di cui agli artt. 2772 e 2774 con quello di cui all'art. 2775 bis e con ipoteche

anteriori.

V - LE CONCLUSIONI.

In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio:

Il privilegio speciale sul bene immobile, che assiste (ai sensi dell'art. 2775 bis c.c.) i crediti del

promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi

dell'art. 2645 bis c.c., siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costitutiva (come

previsto dall'ultima parte dell'art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del

privilegio sull'ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal secondo comma dell'art. 2748 c.c. e

soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti. Ne consegue che, nel caso in cui il

curatore del fallimento della società costruttrice dell'immobile scelga (come nella specie) lo

scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell'art. 72 legge fall.), il conseguente credito del

promissario acquirente (nella specie, per la restituzione della caparra versata contestualmente alla

stipula del contratto preliminare), benché assistito da privilegio speciale, deve essere collocato con

grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla

trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull'immobile stesso ipoteca a garanzia del

finanziamento concesso alla società costruttrice.

(omissis)

4. PEGNO ROTATIVO

4.1 Cass., 22 dicembre 2015, n.25796

(omissis)

2. - I tre motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto intimamente connessi, ponendo tutti la

questione se, in presenza nel contratto di pegno della clausola di c.d. rotatività, la garanzia permanga

qualora la banca abbia venduto i titoli alla scadenza, depositando il controvalore su conto corrente del

cliente e, dietro autorizzazione di questi espressamente riferita al conto deposito in garanzia ed al

beneficiario della stessa, acquistato nuovi titoli immessi in pegno nel suddetto deposito.

Il Collegio reputa di dare al quesito risposta affermativa.

2.1. - I titoli di credito costituiscono una categoria intermedia tra diritti e beni, perchè, come da tempo si osserva,

la cosa è oggetto di diritto reale ed il credito incorporato esprime un diritto relativo (cfr. Cass. 23 ottobre 1998, n.

10526, che parla del pegno sui titoli "quale vero e proprio diritto reale limitato sui titoli" e Cass. 26 aprile 1999, n.

4208, secondo cui il pegno di titoli "non costituisce un tertium genus distinto e alternativo rispetto al pegno su

cose mobili e al pegno di crediti, ma rientra, sotto l'aspetto strutturale e costitutivo, nell'ambito tipologico del

primo, pur partecipando, in certo qual modo, della natura del secondo in virtù del fenomeno della

incorporazione del diritto nel titolo").

Pertanto, il pegno sui titoli resta diritto reale sulla res (salvo considerare gli effetti su tale affermazione del

regime di dematerializzazione dei titoli, che qui non viene in discussione).

2.2. - Il pegno rotativo - individuato come il contratto caratterizzato dal "patto di rotatività", con il

quale le parti convengono la variabilità dell'oggetto del pegno secondo modalità concordate ab initio e

con continuità della garanzia, nonostante il variare dei beni che ne costituiscono l'oggetto, la cui

sostituzione non fa venire meno quindi l'identità del rapporto giuridico - è stato reputato lecito ex art.

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1322 c.c. , da questa Corte da tempo risalente (sin da Cass. 28 maggio 1998, n. 5264; in seguito, cfr. Cass. n.

4520 del 2004; n. 16914 del 2003; n. 10685 del 1999; n. 5264 del 1998).

Il contratto è sorto nella prassi bancaria, allo scopo di risolvere un problema postosi in tema di pegno di titoli di

credito, la cui scadenza è spesso più ravvicinata della prevedibile durata del rapporto di garanzia. In molte delle

vicende venute all'attenzione dei giudici, in particolare, il problema della certezza della data si presentava ai fini

dell'esperibilità dell'azione revocatoria e la genesi del diritto reale di garanzia si faceva, così, risalire al momento

della stipulazione originaria.

Il riconoscimento della validità del patto si fonda anche sulla considerazione che i terzi non vengono pregiudicati,

in quanto i titoli nuovi rappresentino il reinvestimento di quelli scaduti e dunque siano di valore uguale o

inferiore.

In tal modo, il c.d. patto di rotatività, in virtù del quale si prevede, fin dall'origine, la sostituzione totale o

parziale dei beni oggetto della garanzia, considerati non nella loro individualità ma per il loro valore

economico, è idoneo a salvaguardare la continuità del rapporto, facendosi risalire alla consegna dei

beni originariamente costituiti in garanzia gli effetti della loro surrogazione.

2.3. - La Corte individuò dapprima come requisiti indispensabili del c.d. patto di rotatività, anzitutto la previsione

che le future ed eventuali sostituzioni dell'oggetto della garanzia si mantengano entro il valore dei beni

originariamente costituiti in pegno, e, quindi, la scrittura avente data certa che accompagni la consegna e

contenga sufficiente indicazione della cosa e del credito (Cass. 28 maggio 1998, n. 5264).

Tuttavia, è stato poi precisato (Cass. 11 novembre 2003, n. 16914; 1 ottobre 2012, n. 16666), con evoluzione dal

Collegio pienamente condivisa e cui intende dare continuità, che la sussistenza dei requisiti di cui all'art.

2787 c.c. , comma 3, va valutata con riferimento all'atto di costituzione del pegno e non ai successivi

atti, pure scritti, i quali ne rappresentano un mero rinnovo, attraverso la sostituzione del titolo

originariamente costituito in garanzia e nel frattempo venuto a scadenza, secondo l'espressa previsione

del contratto originario che conteneva la clausola di rotatività, in tal modo quindi espressamente

prevedendo l'assoggettamento all'originario vincolo dei titoli eventualmente depositati, con il consenso

della banca, in sostituzione di quelli inizialmente consegnati, tale appunto essendo il portato essenziale

di detta clausola.

In tal modo, questa Corte ha disatteso l'affermazione, dalla ricorrente reiterata, secondo cui i requisiti previsti

dagli l'art. 2786 c.c. e ss., per la costituzione del pegno c.d. rotativo, dovrebbero essere rispettati con riferimento

sia all'atto originario di costituzione della garanzia, sia ai successivi atti di trasferimento del vincolo sui nuovi

beni.

Ai fini dell'avvicendamento dei beni nel patrimonio del garante, la verifica dei requisiti previsti dall'art.

2786 c.c. , non va dunque operata dal giudice del merito anche con riguardo ai successivi atti di

trasferimento del vincolo: la consegna del bene sostitutivo, con il conseguente effetto traslativo del

diritto reale su di esso, si configura come elemento di una fattispecie a formazione progressiva, che trae

origine dall'accordo stipulato con il patto di rotatività, nella quale la volontà delle parti è perfetta già al

momento dell'accordo (se sussiste certezza della data e sono determinati il credito da garantire e la

cosa da offrire in garanzia) e l'eventuale sostituzione dei beni oggetto della garanzia si pone come un

elemento meramente materiale.

Contrariamente all'assunto del ricorrente, il portato del patto di rotatività - col quale soprattutto si pone l'accento,

in luogo che sulla individualità dei beni oggetto della garanzia, sul relativo valore economico - è appunto, in una

fattispecie progressiva, nella sostituzione dell'oggetto del pegno senza necessità di ulteriori pattuizioni e, quindi,

nella continuità del rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente dati in

pegno.

Il trasferimento del vincolo pignoratizio su altri titoli, acquistati in sostituzione dei primi in virtù della clausola

c.d. clausola rotativa pattuita, non richiedeva, dunque, che l'indicazione di tali nuovi titoli fosse espressa in un

atto scritto avente data certa.

In sostanza, ciò che occorre è che la sostituzione dei beni sia accompagnata dalla specifica indicazione

dei beni sostituiti e dal riferimento all'accordo originario, consentendo tali indicazioni di operare il

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collegamento con l'originaria pattuizione ed eliminare ogni incertezza in ordine al riferimento dei nuovi

beni alla pattuizione originaria. Proprio tale collegamento permette che il vincolo pignoratizio non trovi

titolo in una nuova e diversa volontà delle parti, ma nel patto originariamente concluso.

E' stato, altresì, chiarito che, ai sensi dell'art. 2786 c.c. , comma 1, e art. 2787 c.c., comma 3, il pegno, nel

rapporto tra le parti, non è subordinato ad alcuna formalità e si costituisce con la sola consegna della cosa,

mentre l'atto scritto di data certa contenente l'identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla

garanzia è richiesto ai soli fini della prelazione, ossia per rendere opponibile la garanzia agli altri creditori del

soggetto datore di pegno (Cass. 26 marzo 2010, n. 7257; 26 gennaio 2010, n. 1526; 19 novembre 2007, n. 23839;

5 settembre 2006, n. 19059; 19 novembre 2002, n. 16261; 23 novembre 2001, n. 14869; 7 giugno 1999, n. 5562; 4

dicembre 1985, n. 6073; 16 maggio 1977, n. 1968).

Il pegno, pertanto, nel rapporto tra le parti non è subordinato ad alcuna forma e si costituisce con la sola

consegna della cosa, mentre l'atto scritto di data certa contenente l'identificazione del credito garantito e dei beni

assoggettati alla garanzia è richiesto ai fini della prelazione, la garanzia attenendo alla rilevanza interna dell'atto ed

al rapporto fra i soggetti dell'operazione contrattuale, e riguardando invece la prelazione la rilevanza esterna e la

circolazione del diritto.

Ciò è sufficiente ad escludere che, in tali evenienze, il trasferimento ai nuovi titoli del vincolo pignoratizio

originariamente gravante sui titoli scaduti, previsto dalla convenzione stipulata per iscritto dalle parti, si realizzi

sono a seguito di ulteriore atto scritto.

2.4. - Nè il transito temporaneo del controvalore dei titoli pregressi, prima del reimpiego, in un conto corrente

del debitore vale ad estinguere definitivamente il pegno rotativo, il quale immediatamente si ricostituisce sui

nuovi titoli, con tale somma acquistati (Cass. 1 ottobre 2012, n. 16666).

L'accredito sul conto corrente ordinario del debitore, da parte della banca, della somma riveniente dalla vendita

dei titoli originariamente costituiti in pegno a favore della banca stessa non implica, pertanto, l'estinzione del

pegno medesimo.

(omissis)

4.2 Cass., 1 luglio 2015, n 13508

(omissis)

3.1.- Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Come affermato, tra le ultime, nella pronuncia

2456/2008, richiamando le precedenti sentenze 4520/2004, 16914/2003, 10685/1999, il patto di rotatività del

pegno si attua mediante una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall'accordo scritto e

di data certa delle parti, cui segue la sostituzione dell'oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori

stipulazioni e con effetti ancora risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno, a

condizione che nella convenzione costitutiva tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente,

e purchè il bene offerto in sostituzione non abbia un valore superiore a quello sostituito; ne consegue,

ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria fallimentare, che la continuità dei rinnovi fissa la genesi

del diritto reale di garanzia al momento della stipulazione originaria e non a quello successivo della

sostituzione. La sostituzione pertanto costituisce soltanto il meccanismo attuativo della prevista

rotatività, senza determinare alcun effetto novativo del rapporto e la certezza della data, pertanto, va

riferita solo alla convenzione originaria prevedente la sostituzione e non già alla scrittura o alle scritture

con le quali la stessa in concreto si attui.

(omissis)

Va a riguardo rilevato che il carattere rotativo del pegno deve riscontrarsi alla stregua dell'originario atto

costitutivo (e nel caso tale carattere è indiscusso), e non avuto riguardo ai movimenti successivi, per i quali si

deve soltanto verificare che i titoli non siano di importo superiore a quello dei titoli sostituiti, e per il resto, per

quanto sopra già evidenziato, per l'atto di sostituzione non occorre la data certa.

(omissis)

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5. PEGNO NON POSSESSORIO

Art. 1 d.l. 59 del 2016

Pegno mobiliare non possessorio

1. Gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per

garantire i crediti loro concessi, presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione

dell'importo massimo garantito, inerenti all'esercizio dell'impresa.

2. Il pegno non possessorio puo' essere costituito su beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa, a

esclusione dei beni mobili registrati. I beni mobili possono essere esistenti o futuri, determinati o

determinabili anche mediante riferimento a una o piu' categorie merceologiche o a un valore complessivo.

Ove non sia diversamente disposto nel contratto, il debitore o il terzo concedente il pegno e' autorizzato

a trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque a disporre dei beni

gravati da pegno. In tal caso il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla

trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale

corrispettivo, senza che cio' comporti costituzione di una nuova garanzia.

3. Il contratto costitutivo, a pena di nullita', deve risultare da atto scritto con indicazione del creditore, del

debitore e dell'eventuale terzo concedente il pegno, la descrizione del bene dato in garanzia, del credito

garantito e l'indicazione dell'importo massimo garantito.

4. Il pegno non possessorio si costituisce esclusivamente con la iscrizione in un registro informatizzato

costituito presso l'Agenzia delle entrate e denominato «registro dei pegni non possessori»; dalla data

dell'iscrizione il pegno prende grado ed e' opponibile ai terzi e nelle procedure concorsuali.

5. Il pegno non possessorio, anche se anteriormente costituito ed iscritto, non e' opponibile a chi abbia

finanziato l'acquisto di un bene determinato che sia destinato all'esercizio dell'impresa e sia garantito da riserva

della proprieta' sul bene medesimo o da un pegno anche non possessorio, a condizione che il pegno non

possessorio sia iscritto nel registro in conformita' al comma 6 e che al momento della sua iscrizione il

creditore ne informi i titolari di pegno non possessorio iscritto anteriormente.

6. L'iscrizione deve indicare il creditore, il debitore, se presente il terzo datore del pegno, la descrizione del

bene dato in garanzia e del credito garantito secondo quanto previsto dal comma 1 e, per il pegno non

possessorio che garantisce il finanziamento per l'acquisto di un bene determinato, la specifica individuazione

del medesimo bene. L'iscrizione ha una durata di dieci anni, rinnovabile per mezzo di un'iscrizione nel

registro effettuata prima della scadenza del decimo anno. La cancellazione della iscrizione puo' essere

richiesta di comune accordo da creditore pignoratizio e datore del pegno o domandata giudizialmente. Le

operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione presso il registro, gli obblighi a carico

di chi effettua tali operazioni nonche' le modalita' di accesso al registro stesso sono regolati con decreto del

Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da adottarsi entro trenta

giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, prevedendo modalita'

esclusivamente informatiche. Con il medesimo decreto sono stabiliti i diritti di visura e di certificato, in

misura idonea a garantire almeno la copertura dei costi di allestimento, gestione e di evoluzione del

registro. Al fine di consentire l'avvio della attivita' previste dal presente articolo, e' autorizzata la spesa di euro

200.000 per l'anno 2016 e di euro 100.000 per l'anno 2017.

7. Al verificarsi di un evento che determina l'escussione del pegno, il creditore, previo avviso scritto al

datore della garanzia e agli eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto successivamente, ha

facolta' di procedere:

a) alla vendita dei beni oggetto del pegno trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a

concorrenza della somma garantita e con l'obbligo di informare immediatamente per iscritto il datore della

garanzia dell'importo ricavato e di restituire contestualmente l'eccedenza; la vendita e' effettuata dal creditore

tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il

caso di beni di non apprezzabile valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme

di pubblicita', la massima informazione e partecipazione degli interessati; l'operatore esperto e' nominato di

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comune accordo tra le parti o, in mancanza, e' designato dal giudice; in ogni caso e' effettuata, a cura

del creditore, la pubblicita' sul portale delle vendite pubbliche di cui all'articolo 490 del codice di procedura

civile;

b) alla escussione dei crediti oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita;

c) ove previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro delle imprese, alla locazione del bene oggetto del

pegno imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, a

condizione che il contratto preveda i criteri e le modalita' di valutazione del corrispettivo della locazione; il

creditore pignoratizio comunica immediatamente per iscritto il datore della garanzia stessa;

d) ove previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro delle imprese, all'appropriazione dei beni oggetto

del pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda anticipatamente i

criteri e le modalita' di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell'obbligazione garantita; il

creditore pignoratizio comunica immediatamente per iscritto al datore della garanzia il valore attribuito al

bene ai fini dell'appropriazione.

8. In caso di fallimento del debitore il creditore puo' procedere a norma del comma 7 solo dopo che il suo

credito e' stato ammesso al passivo con prelazione.

9. Entro tre mesi dalla comunicazione di cui alle lettere a), c) e d), il debitore puo' agire in giudizio per il

risarcimento del danno quando la vendita e' avvenuta in violazione dei criteri e delle modalita' di cui alle

predette lettere a), c) e d) e non corrispondono ai valori correnti di mercato il prezzo della vendita, il

corrispettivo della locazione ovvero il valore comunicato a norma della disposizione di cui alla lettera c).

10. Agli effetti di cui agli articoli 66 e 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 il pegno non possessorio e'

equiparato al pegno.

6. FIDEIUSSIONE, CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA E

POLIZZE FIDEIUSSORIE

6.1 Cass., 14 giugno 2016, n. 12152

(omissis) 3. - Entrambi i motivi - da scrutinarsi congiuntamente per la loro stretta connessione non possono

trovare accoglimento. 3.1. - Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi a partire dall'arresto di

cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 3947 del 18 febbraio 2010 (orientamento dal quale il Collegio non intende

discostarsi, non essendo state esibite contrarie ragioni decisive), «il contratto autonomo di garanzia (cd.

Garantlevertrag), espressione dell'autonomia negoziale ex art. 1322 cod. civ., ha la funzione di tenere indenne il

creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che

può riguardare anche un fare infungibile (qual è l'obbligazione dell'appaltatore), contrariamente al contratto del

fideiussore, il quale 5 garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l'identità tra

prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante); inoltre, la causa concreta del contratto

autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione

di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la

fideiussione, nella quale solamente ricorre l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto

adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un "vicario" del

debitore, l'obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all'obbligo primario di

prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad

essa e non rivolta all'adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante

il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta

prestazione del debitore». Posta tale funzione, il contratto autonomo di garanzia, dunque, si caratterizza

rispetto alla fideiussione per l'assenza dell'accessorietà della garanzia, derivante dall'esclusione della

facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all'art.

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1945 c.c., dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore

garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al

garante successivamente al pagamento effettuato da quest'ultimo (tra le altre, Cass., 31 luglio 2015, n.

16213), là dove l'accessorietà della garanzia fideiussoria postula, invece, che il garante ha l'onere di

preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell'art. 1952,

secondo comma, cod. civ., all'evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al

pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore (Casa., 17 giugno 2013, n.

15108). Peraltro, se l'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e

senza eccezioni" vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto

incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia

un'evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale (così Cass., sez. un., 18 febbraio

2010, n. 3947), tuttavia, in presenza di elementi - quali quelli in precedenza indicati che conducano

comunque ad una qualificazione del negozio in termini di garanzia autonoma, l'assenza di formule

come quella anzidetta non è elemento decisivo in senso contrario. L'accertamento relativo alla distinzione,

in concreto, tra contratto di fideiussione e contratto autonomo di garanzia è, in ogni caso, questione riservata al

giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di

ermeneutica ovvero per vizio di motivazione (tra le tante, Cass., 15 febbraio 2011, n. 3678). (omissis)

6.2 Cassazione civile, sez. I, sentenza 31 luglio 2015 n. 16213

Il contratto autonomo di garanzia si caratterizza rispetto alla fideiussione per l'assenza dell'accessorietà della

garanzia, derivante dall'esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al

debitore principale, in deroga all'art. 1945 c.c., e dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il

garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità

di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest'ultimo.

(omissis)

2. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., comma 2,

art. 1936 c.c., comma 1, artt. 1941 e 1945 cod. civ., anche in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, osservando che la

qualificazione del rapporto come contratto autonomo di garanzia, anzichè come fideiussione, si pone in

contrasto con il tenore letterale della polizza, nell'ambito della quale il richiamo agli obblighi previsti dalla

concessione doveva essere riferito all'obbligazione principale inerente all'utilizzazione del contributo, avente ad

oggetto la realizzazione delle opere previste. L'estensione della garanzia agli adempimenti successivi, oltre ad

essere smentita da un'interpretazione sistematica del contratto, che prevedeva la liberazione della garanzia a

seguito di collaudi parziali delle opere, si poneva in contrasto con il comportamento successivo delle parti, e

segnatamente con una circolare ministeriale del 24 luglio 1991, con cui l'Agenzia per la promozione dello

sviluppo del Mezzogiorno aveva invitato gli organi di collaudo ad esprimere il loro parere in ordine all'importo

svincolabile a seguito di un collaudo parziale, nonché con la premessa del disciplinare, che individuava la finalità

del contributo nella realizzazione dello stabilimento industriale. La qualificazione della fattispecie come contratto

autonomo di garanzia, oltre a risultare incompatibile con la previsione della liberazione del garante in caso di

collaudi parziali, postulava infine l'esclusione della facoltà di opporre le eccezioni spettanti al debitore principale,

non contemplata dalla polizza, in cui la Banca si era limitata a rinunciare alle eccezioni derivanti dal rapporto di

garanzia.

2.1. - Il motivo è infondato.

Nel ricondurre il rapporto intercorrente tra le parti al contratto autonomo di garanzia, anzichè alla fideiussione, la

sentenza impugnata si è correttamente attenuta al principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza

di legittimità, secondo cui il carattere distintivo della prima figura è costituito dall'assenza

dell'elemento dell'accessorietà della garanzia, derivante dall'esclusione della facoltà del garante di

opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga alla regola essenziale posta

per la fideiussione dall'art. 1945 cod. civ., e dalla conseguente preclusione della legittimazione del

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debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto

principale, nonchè della proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento da

quest'ultimo effettuato (cfr. Cass., Sez. 3, 23 giugno 2009, n. 14621; 9 novembre 2006, n. 23900; Cass., Sez. 1,

17 gennaio 2008, n. 903).

Ai fini della predetta qualificazione, la Corte territoriale ha peraltro ritenuto non decisiva la previsione

dell'obbligo del garante di pagare "a semplice richiesta" o "a prima richiesta" del creditore, in tal modo

conformandosi ad un orientamento all'epoca diffuso, secondo cui le predette espressioni potevano riferirsi sia a

forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie,

caratterizzate da un vincolo di accessorietà più o meno accentuato nei riguardi dell'obbligazione garantita, sia

infine a clausole il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti,

non già all'esclusione, ma a una deroga parziale della disciplina dettata dall'art. 1957 cod. civ., esonerando il

creditore dall'onere di proporre azione giudiziaria (cfr. Cass., Sez. 3, 8 gennaio 2010, n. 84; 19 marzo 2007, n.

6450; 12 dicembre 2005, n. 27333). In quest'ottica, la sentenza impugnata non si è limitata ad evidenziare il

tenore letterale delle clausole contrattuali, in particolare di quella che poneva a carico del garante l'obbligo di

pagare entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta del Ministero, senza necessità della prova

dell'inadempimento e del consenso della debitrice principale, e con l'espressa rinuncia a proporre qualsiasi

eccezione. Pur affermando che, in quanto volta ad escludere l'onere del preavviso previsto dall'art. 1952 cod. civ.

e la conseguente opponibilità al garante delle eccezioni spettanti al debitore principale, tale pattuizione si

configurava come una deroga al principio dell'accessorietà dell'obbligazione fideiussoria, la Corte territoriale ha

tenuto conto anche delle indicazioni emergenti dal contenuto complessivo del contratto e dal comportamento

tenuto dalle parti, ponendo in risalto il collegamento esistente tra il richiamo agli obblighi imposti alla debitrice

principale dal disciplinare allegato alla concessione e gli obiettivi perseguiti dal legislatore attraverso la previsione

del contributo, nonché i limiti quantitativi cui era sottoposta la riduzione del garante, e desumendo da tali

elementi che la garanzia non aveva ad oggetto esclusivamente l'adempimento dell'obbligo di realizzare lo

stabilimento industriale, ma si estendeva anche al mantenimento dei livelli occupazionali previsti dal progetto

approvato.

(omissis)

La rilevanza dei predetti elementi, ai fini della qualificazione della fattispecie, dev'essere d'altronde ridimensionata

notevolmente alla luce della sentenza 18 febbraio 2010, n. 3947, sopravvenuta alla pronuncia di quella impugnata,

con cui le Sezioni Unite di questa Corte, componendo il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine all'idoneità

della clausola di pagamento "a semplice richiesta" o "a prima richiesta" a determinare la trasformazione della

fideiussione in contratto autonomo di garanzia, hanno fatto proprio l'orientamento contrario a quello cui si è

uniformata la Corte distrettuale, affermando l'idoneità della predetta clausola ad orientare l'interprete verso

l'approdo alla fattispecie del Garantievertrag, salva l'evidente discrasia con il contenuto residuo del contratto,

riconoscendo a tale soluzione l'ineliminabile pregio di consentire ex ante la necessaria prevedibilità della decisione

giudiziaria in caso di controversia, nonché di restringere le maglie di aleatori spazi ermeneutici sovente forieri di

poco comprensibili disparità di decisioni a parità di situazioni esaminate (cfr. al riguardo anche Cass., Sez. 3, 20

ottobre 2014, n. 22233; 27 settembre 2011, n. 19736).

(omissis)

6.3 Corte di cassazione, sez.III civile, sentenza 12 febbraio 2015, n.2762

(omissis)

La doglianza in entrambi i profili merita attenzione. A riguardo, corre l'obbligo di sottolineare preliminarmente

che, come ha già avuto modo di statuire questa Corte con un orientamento, cui questo Collegio intende aderire,

'l'interpretazione del contratto, dal punto di vista strutturale, si collega anche alla sua qualificazione e la relativa

complessa operazione ermeneutica si articola in tre distinte fasi: a) la prima consiste nella ricerca della comune

volontà dei contraenti; b) la seconda risiede nella individuazione del modello della fattispecie legale; c) l'ultima è

riconducibile al giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto concretamente accertati. Le ultime

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due fasi, che sono le sole che si risolvono nell'applicazione di norme di diritto, possono essere liberamente

censurate in sede di legittimità, mentre la prima - che configura un tipo di accertamento che è riservato al giudice

di merito, poiché si traduce in un'indagine di fatto a lui affidata in via esclusiva - è normalmente incensurabile

nella suddetta sede, salvo che nelle ipotesi di motivazione inadeguata o di violazione dei canoni legali di

ermeneutica contrattuale, così come previsti negli artt. 1362 e seguenti cod. civ. (Cass. n. 27000/05).

Ciò premesso, torna utile richiamare l'attenzione sul rilievo che le ragioni della doglianza sono state articolate

dalla ricorrente attraverso tre profili fondamentali, che, a suo avviso, escludevano l'accessorietà del contratto di

garanzia rispetto al contratto di locazione finanziaria. Ed invero, la Corte - così scrive in sintesi la società

ricorrente – aveva trascurato che nella specie il patto di riacquisto obbligava i garanti a) al pagamento anche

'nell'eventualità di mancata conclusione del contratto'; b) a pagare 'immediatamente' al ricevimento della fattura,

in deroga al disposto di cui all'art. 1952 e 1945 cc; c) a corrispondere l'importo dovuto persino 'in caso di

distruzione, perdita o irrecuperabilità dei beni' oggetto del contratto di leasing.

(omissis)

Ciò posto, mette conto di sottolineare che la causa concreta del contratto autonomo di garanzia è quella di

trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una

prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no (v. Sez. Un. n.

3947/2010 in motivazione), assicurando comunque la soddisfazione dell'interesse economico del

beneficiario compromesso dall'inadempimento (v. Cass. n. 2377/2008), ipotesi quest'ultima logicamente

equiparabile a quella della mancata conclusione di un contratto. Infatti, in quest'ultima ipotesi, pur non

risultando dovuto il pagamento in relazione al rapporto di base che non si è trasfuso in un contratto, il

garante resta obbligato a soddisfare l'interesse economico della società di leasing, a prova dell'assoluta

autonomia dei due rapporti.

Ed è appena il caso di osservare che la carenza dell'elemento dell'accessorietà, che costituisce la

caratteristica fondamentale del contratto autonomo di garanzia, vale a distinguerlo da quello di

fideiussione di cui agli artt. 1936 e ss cod. civ..

Analogamente, anche l'obbligo assunto dai garanti di pagare 'immediatamente', al ricevimento della

fattura da parte della società di leasing, il prezzo di riacquisto dei beni costituisce indice di deroga alla

normale accessorietà della garanzia fideiussoria, nella quale invece il garante ha l'onere di preavvisare il

debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell'art. 1952, secondo comma,

cod. civ., all'evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano

eccezioni da far valere nei confronti del creditore. Peraltro, come hanno già avuto modo di sottolineare le

Sezioni Unite, nella citata sentenza n.3947/2010 in motivazione, la clausola 'a prima richiesta e senza

eccezioni' dovrebbe di per sé orientare l'interprete verso l'approdo alla autonoma fattispecie del

Garantievertrag.

Ugualmente, l'assunzione, da parte del garante, di corrispondere l'importo dovuto anche in caso di

distruzione, perdita o irrecuperabilità dei beni, oggetto del contratto di leasing, costituisce ulteriore

testimonianza dell'autonomia del rapporto di garanzia rispetto al rapporto base, contrariamente a quanto

accade per la fideiussione, nella misura in cui i garanti, come risulta dal testo dei patti di riacquisto, non

accennano in tale scrittura, neppure per implicito, alla facoltà di opporre eccezioni fondate sul rapporto di base,

si impegnano a pagare indipendentemente da ogni responsabilità della beneficiarla riguardo al recupero dei beni,

oggetto del contratto di leasing ('nessuna responsabilità viene comunque da voi assunta circa il predetto recupero,

restando in ogni caso come sopra determinato l'importo da noi a Voi dovuto, che vi sarà prontamente

corrisposto al ricevimento della vostra fattura') e soprattutto consentono la sopravvivenza della garanzia in

oggetto anche nell'ipotesi in cui venga a mancare l'oggetto stesso del contratto di leasing, accettando di

corrispondere prontamente il prezzo di riacquisto dei beni oggetto del contratto di locazione 'anche in caso di

distruzione, perdita o irrecuperabilità dei beni'.

(omissis)

Pertanto, dovendosi ritenere sulla scorta delle precedenti considerazioni che nella fattispecie si verte in tema di

contratto autonomo di garanzia, non può applicarsi la norma dell'art. 1957 cod. civ. sull'onere del creditore

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garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poiché tale

disposizione, collegata al carattere accessorio della obbligazione fideiussoria, instaura un collegamento necessario

e ineludibile tra la scadenza dell'obbligazione di garanzia e quella dell'obbligazione principale, e come tale rientra

tra quelle su cui si fonda l'accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un'obbligazione di

garanzia autonoma (v. Sez. Un. n. 3947/2010 in motivazione).

(omissis)

6.4 Cassazione, Sezioni Unite, 18 febbraio 2010, n. 3947

La polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore assurge a garanzia

atipica, a cagione dell'insostituibilità della obbligazione principale, onde il creditore può pretendere dal garante

solo un risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto. Con la precisazione, peraltro, della

invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto all'inadempimento delle obbligazioni

garantite.

1. La giurisprudenza di questa corte ha seguito, nel tempo, itinerari interpretativi non sempre univoci sul tema dei

rapporti tra fideiussione e cd. Garantievertrag, pur avendo di recente manifestato una sempre maggiore

consonanza di pensiero nella strutturazione di una sempre più indispensabile actio finium regundorum tra le due

fattispecie.

Già all'indomani della pronuncia di Cass. ss. uu. n. 7341 del 1987, nella quale ancora nebulosa apparve, ai

commentatori e agli interpreti più accorti, la distinzione tra contratto autonomo di garanzia e fideiussione con

clausola solve et repete, le linee portanti dei due istituti verranno più pensosamente esplorate al sempre più nitido

delinearsi dei caratteri tipici del contratto autonomo di garanzia, che (sorto alla fine dell'800 in Inghilterra e in

Germania per soddisfare evidenti e pressanti esigenze di semplificazione del commercio internazionale), approda,

non senza contrasti, nel nostro Paese con indiscutibile ritardo, attesa la problematica compatibilità della nuova

fattispecie con i tradizionali parametri cui dottrina prevalente e giurisprudenza pressochè unanime erano avvezzi

a far riferimento in materia negoziale: da un lato, il dogma della accessorietà "necessaria" del negozio di garanzia

titolato, dall'altro, il requisito della causa negotii tralaticiamente intesa come funzione "economico sociale" del

negozio - quantomeno fino alla recente svolta di questa corte di legittimità di cui alla sentenza 10490/2006,

autorevolmente confermata dalle sezioni unite, con la sentenza n. 26972/2008.

Incertezze e disarmonie interpretative trassero linfa dalla peculiarità di una fattispecie felicemente definita (Trib.

Torino, 29 agosto 2002), come "un articolato coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il

destinatario della prestazione (e beneficiario della garanzia), il garante (sovente una istituto di credito), e il

debitore della prestazione (ordinante la garanzia atipica)", in attuazione di una complessa operazione economica

destinata a dipanarsi, sotto il profilo della struttura negoziale, attraverso una scansione diacronica di rapporti, il

primo (di valuta), corrente tra debitore e creditore, tra cui viene originariamente pattuito l'adempimento di una

certa prestazione del primo nei confronti dell'altro, il secondo (di provvista), destinato a intervenire tra debitore e

futuro garante, con esso pattuendosi l'impegno di quest'ultimo a garantire il creditore del primo rapporto, il terzo

nascente, infine, tra creditore e garante, con quest'ultimo senz'altro obbligato ad adempiere alla prestazione del

debitore a semplice richiesta del primo nel caso di inadempimento del secondo (rapporti ai quali non risulterà poi

inusuale l'aggiunta di una quarta convenzione negoziale collegata, quella tra un secondo istituto di credito

controgarante e banca prima garante, avente lo stesso contenuto del primo rapporto di garanzia).

L'elemento caratterizzante della fattispecie in esame viene individuato nell'impegno del garante a

pagare illico et immediate, senza alcuna facoltà di opporre al creditore/beneficiario le eccezioni relative

ai rapporti di valuta e di provvista, in deroga agli artt. 1936, 1941 e 1945 c.c., caratterizzanti, di converso,

la garanzia fideiussoria.

Elisione del vincolo di accessorietà e scissione della garanzia dal rapporto di valuta caratterizzano sul

piano funzionale il Garantievertrag, la cui causa concreta viene correttamente individuata in quella di

assicurare la libera circolazione dei capitali e il pronto soddisfacimento dell'interesse del beneficiario

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(ovvero ancora in quella di sottrarre il creditore al rischio dell'inadempimento, trasferito nei fatti su di un altro

soggetto, "istituzionalmente" solvibile), il quale può così porre affidamento su di una rapida e sollecita

escussione di una controparte affidabile, senza il rischio di vedersi opporre, in sede processuale, il

regime tipico delle eccezioni fideiussorie.

E' in tali sensi che par lecito discorrere, a proposito del contratto atipico di garanzia, di una funzione di tipo

"cauzionale" - mentre la sua più frequente utilizzazione rispetto al deposito di una vera e propria cauzione trae

linfa proprio in ragione della sua minore onerosità e della possibilità di evitare una lunga e improduttiva

immobilizzazione di capitali (conseguenza ineludibile del deposito cauzionale): è in conseguenza di tali aspetti

funzionali che la garanzia muta "geneticamente" da vicenda lato sensu fideiussoria in fattispecie atipica che, ai

sensi dell'art. 1322 c.c., comma 2, persegue un interesse certamente "meritevole di tutela", identificabile

nell'esigenza condivisa di assicurare l'integrale soddisfacimento dell'interesse economico del beneficiario

vulnerato dall'inadempimento del debitore originario e, di conseguenza, di conferire maggiore certezza allo

scorrere dei rapporti economici (specie transnazionali).

2. Emerge così, in via definitiva, sotto il profilo causale, la disarmonia morfologica e funzionale con la

fideiussione (volta a garantire l'adempimento di un debito altrui), sopravvivendo resti di omogeneità tra i due

"tipi" negoziali soltanto nella misura in cui, attorno alle due le fattispecie, orbiti ancora il concetto di garanzia,

pur nelle non riconciliabili differenze di gradazioni "che il rapporto con la garanzia stessa può assumere lungo lo

spettro, unico, che conduce dalla accessorietà alla autonomia e che delinea il Garantievertrag entro ben

determinati limiti di operatività: da un lato, un limite iniziale, costituito (soltanto) dalla illiceità della causa del

rapporto di valuta, dall'altro, un limite funzionale, rappresentato dall'abuso del diritto da parte del beneficiario, la

cd. exceptio doli generalis seu presentis, che si verifica qualora la richiesta appaia fraudolenta e con esclusione

della buona fede del beneficiario", come, di recente, un'attenta dottrina non ha mancato di osservare,

aggiungendo ancora come l'indagine sulla volontà dei contraenti andrebbe più propriamente condotta lungo il

sentiero ermeneutico dell'accertamento della carenza dell'elemento dell'accessorietà, destinato ad emergere, in

concreto, attraverso l'adozione di un complesso di regole interpretative, testuali ed extratestuali, ritenendosi, in

particolare, che la clausola "a prima richiesta" o "a semplice richiesta" possa alternativamente rappresentare

diversi "tipi" funzionali, a grado di intensità crescente: il primo, rigorosamente procedimentale, volto alla sola

inversione dell'onere probatorio; il secondo, determinativo dell'effetto di solve et repete, per ciò solo del tutto

inscritto (ancora) nell'orbita del negozio fideiussorio; il terzo, di sostanziale separazione del diritto

all'adempimento della autonoma obbligazione di garanzia rispetto al contratto sottostante.

Largamente prevalente, in proposito, appare l'orientamento giurisprudenziale (avallato dalla dottrina

maggioritaria), predicativo della decisiva rilevanza di clausole che sanciscano l'impossibilità, per il

garante, di opporre al creditore le eccezioni relative al rapporto di base che spettano al debitore

principale (così, tra le altre, Cass. 31 luglio 2002, n. 11368; Cass. 20 luglio 2002, n. 10637; Cass. 7 marzo 2002, n.

3326; Cass. 19 giugno 2001, n. 8324; Cass. 17 maggio 2001, n. 6757; Cass. 1 ottobre 1999, n. 10684; Cass. 21

aprile 1999, n. 3964; Cass. 6 aprile 1998, n. 3552), mentre alcune pronunce di merito fondano la ricostruzione del

Garantievertrag su altri elementi del tessuto negoziale, quali la previsione di un termine breve entro cui il garante

è obbligato al pagamento, la decorrenza di tale termine dal ricevimento della richiesta del beneficiario, l'espressa

esclusione del beneficio della preventiva escussione (ex aliis, Trib. Milano 22 ottobre 2001).

Criterio interpretativo utile ad orientare l'interprete verso l'autonomia della vicenda di garanzia divisata dalle parti

riposa ancora sull'individuazione - nell'ambito di una lettura complessiva delle singole convenzioni negoziali - di

una sua eventuale funzione "cauzionale": la peculiarità propria del Garantievertrag è difatti quella di

consentire al creditore di escutere il garante con la stessa, tempestiva efficacia con cui egli potrebbe far

proprio un versamento cauzionale. La funzione cauzionale sarebbe soddisfatta, e l'autonomia della garanzia

sarebbe conseguentemente rinvenuta, secondo alcune pronunce di questa corte, tutte le volte che la relativa

convenzione attribuisca al creditore la facoltà di procedere ad immediata riscossione delle somme, a prescindere

dal rapporto garantito, realizzando così una funzione del tutto simile a quella dell'incameramento di una somma

di denaro a titolo di cauzione (Cass. 17 maggio 2001, n. 6757; Cass. 21 aprile 1999, n. 3964; Cass. 6 aprile 1998,

predicative di un principio di diritto condiviso da autorevole dottrina).

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Con particolare riguardo alle polizze fideiussorie (sulle quali, funditus, tra le altre, Cass. 11 ottobre 1994, n.

8295, pres. Rossi, rel. Bibolini, mentre l'orientamento tradizionale, che le inquadrava tout court nell'ambito della

fideiussione, sembra risalire a Cass. 17 giugno 1957, n. 2299), si è più volte sottolineato come esse concretino un

rapporto di un soggetto (una compagnia di assicurazioni o un istituto bancario) che, dietro pagamento di un

corrispettivo, si impegna a garantire in favore di altro soggetto l'adempimento di una determinata obbligazione

assunta dal contraente della polizza, strumento contrattuale che, pur non essendo espressamente disciplinato dal

codice del '42, è menzionato in molte leggi speciali che lo prevedono come forma di garanzia sostitutiva della

cauzione reale, normalmente richiesta per chi stipula - come nel caso di specie - contratti con la P.A..

Disattesa pressochè unanimemente la ricostruzione volta a riconoscere natura essenzialmente assicurativa alla

fattispecie (risulta essersi pronunciata in tal senso la sola, peraltro assai risalente, Cass. 9 luglio 1943), la

giurisprudenza di questa corte, sia pure nell'ambito dell'orientamento (che appare ormai minoritario) applicativo

delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c. ha in passato ritenuto che la polizza de qua costituisse un sottotipo

innominato di fideiussione, giudicando decisivo a tal fine il permanere della funzione di garanzia

dell'adempimento di una altrui obbligazione, pur in presenza di elementi caratteristici idonei a distinguerla

all'interno della fattispecie tipica della fideiussione come disciplinata dal codice (l'assunzione, cioè, della garanzia

secondo modalità tecnico-economiche dell'assicurazione: tra le meno recenti, Cass. 8 febbraio 1963, n. 221; 9

giugno 1975, n. 2297; 17 novembre 1982, n. 6155). La maggior parte delle pronunzie, di converso (Cass. 11

ottobre 1994, n. 8295, poc'anzi citata; Cass. 9 gennaio 1975, n. 1709, in Giust. civ. Mass., 1975; Cass. 14 marzo

1978, n. 1292, ivi, 1978; Cass. 25 ottobre 1984, n. 5450) avrebbe viceversa posto l'accento sul carattere

decisamente atipico della polizza, separando la questione della determinazione della disciplina applicabile al

contratto da quella dell'individuazione del tipo nominato cui la polizza stessa appaia in sè riconducibile - ma

circoscrivendo pur sempre il tema della atipicità alla alternativa tra causa assicurativa e causa fideiussoria

(entrambe compenetrate in parte qua nel contratto); gli aspetti prevalenti, e tendenzialmente assorbenti

resteranno, però, quelli tipici della fideiussione, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1936 e

ss. c.c..

La dottrina, dal suo canto, ha ritenuto di poter individuare tre tipi di polizze fideiussorie: quelle in cui l'obbligo

del garante dipende dall'esistenza dell'obbligo del debitore principale; quelle in cui l'obbligo del garante è

indipendente da quello del debitore principale; quelle, infine, in cui il beneficiario, per ottenere il pagamento della

garanzia, deve provare, in genere mediante documenti indicati nella polizza stessa, alcuni fatti attinenti al

rapporto principale (in tal guisa ritenendo applicabile la disciplina della fideiussione alle sole polizze del primo

tipo, per effetto della permanenza del carattere accessorio dell'obbligo assunto dal garante, e iscrivendo le altre

nell'orbita dei contratti autonomi di garanzia).

Quanto alla giurisprudenza più recente, va in limine osservato come, tra le sentenze citate dall'odierno

controricorrente, quelle di cui a Cass. 4 luglio 2003, 10574 (Pres. Genghini, rel. Marziale) e a Cass. 7.1.2004, n. 52

(Pres. Fiducia, est. Finocchiaro), pur contenendo alcune tra le più chiare distinzioni tra le fattispecie della

fideiussione e del contratto autonomo di garanzia, non esplorino specificamente il terreno delle polizze

fideiussorie: nella prima pronuncia si legge, difatti, che la deroga all'art. 1957 cod. civ. non può ritenersi implicita

nell'inserimento, nella fideiussione, di una clausola di "pagamento a prima richiesta" o di altra equivalente, sia

perchè detta norma è espressione di un'esigenza di protezione del fideiussore, che prescinde dall'esistenza di un

vincolo di accessorietà tra l'obbligazione di garanzia e quella del debitore principale e può essere considerata

meritevole di tutela anche nelle ipotesi in cui tale collegamento sia assente, sia perchè, comunque, la presenza di

una clausola siffatta non assume rilievo decisivo ai fini della qualificazione di un negozio come "contratto

autonomo di garanzia" o come "fideiussione", potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate

dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di

accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell'obbligazione garantita, sia infine a clausole, il cui

inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, (non all'esclusione,

ma) a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad esempio limitata alla previsione che una

semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l'estinzione della garanzia, esonerando il creditore dall'onere

di proporre azione giudiziaria. Ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento a prima richiesta di per sè

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incompatibile con l'applicazione della citata norma codicistica, spetta al giudice di merito accertare, di volta in

volta, la volontà in concreto manifestata dalle parti con la stipulazione della detta clausola; nella seconda, ancora,

che, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia oppure di un contratto di fideiussione, non

è decisivo l'impiego o meno delle espressioni "a semplice richiesta" o "a prima richiesta" del creditore, ma la

relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione principale e l'obbligazione di garanzia. Ne consegue che

la carenza dell'elemento dell'accessorietà, che caratterizza il contratto autonomo di garanzia ("performance

bond") e lo differenzia dalla fideiussione, deve necessariamente essere esplicitata nel contratto con l'impiego di

specifica, clausola idonea ad indicare l'esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni

spettanti al debitore principale, ivi compresa l'estinzione del rapporto (con riguardo, peraltro, a vicenda inerente

ad un preliminare di vendita con fideiussione bancaria).

3. Passando, allora, alla analisi specifica dei più significativi, precedenti di legittimità in subiecta materia, deve

essere considerato:

- Da un canto:

1) il dictum di cui a Cass. 2 aprile 2002, n. 4637 (Pres. Giustiniani, rel. Di Nanni), la quale, dopo la generale

premessa secondo cui il contratto atipico di garanzia autonoma si differenzia dalla fideiussione per la

mancanza dell'elemento dell'accessorietà, nel senso che il garante si impegna a pagare al beneficiario,

senza opporre eccezioni fondate sulla validità o efficacia del rapporto di base, ha poi escluso, nella

specie, che valessero a snaturare il contratto tipico di fideiussione ed a qualificarlo come garanzia

autonoma le diverse previsioni contrattuali di un termine per il pagamento decorrente dalla richiesta,

dell'esclusione del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, della non necessità del

consenso di quest'ultimo al pagamento da parte del garante, del divieto per il garantito a sollevare

obiezioni sullo stesso pagamento (nella motivazione della sentenza, si legge ancora che in particolari rapporti,

specie quelli di appalto, nella pratica da tempo è invalso l'uso che l'appaltatore, per evitare l'immobilizzazione di

somme dovute a scopo cauzionale, presti al committente garanzie bancarie o assicurative di pagamento

incondizionato ed irrevocabile di quanto è da lui dovuto: ciò consente all'appaltatore di non versare la cauzione e

garantisce l'appaltante che conseguirà le sonane a semplice richiesta, purchè siano rispettate le forme previste,

specificandosi, subito dopo, che questo risultato, peraltro, può essere realizzato anche attraverso una

fideiussione, quando il contratto è articolato in modo atipico, prevedendo, ad esempio, deroghe diverse rispetto

alla disciplina della fideiussione, come quella dell'esclusione del beneficio della preventiva escussione, ex art. 1944

cod. civ., oppure quella dell'esclusione per il fideiussore di opporre al creditore principale le eccezioni

appartenenti al debitore principale, ex art. 1945 c.c.);

2) Le affermazioni di cui a Cass. 6 aprile 1998, n. 3552 (Pres. Iannotta, rel. Preden), ove si legge che, al contratto

cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato

dall'assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare

un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a

lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizione della fideiussione, salvo che sia stato

diversamente disposto dalle parti. Riveste carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione, la

clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il

pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni". In tal caso, in deroga all'art. 1945, è

preclusa al fideiussore l'opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale,

restando in ogni caso consentito al garante di opporre al beneficiario "l'exceptio doli", nel caso in cui la richiesta

di pagamento immediato risulti "prima facie" abusiva o fraudolenta.

3) I principi di cui a Cass. 18 maggio 2001 n. 6823 (Pres. Fiducia, rel. Manzo), secondo cui la cosiddetta

assicurazione fideiussoria costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e

la fideiussione ed è contraddistinta dall'assunzione dell'impegno, da parte (di una banca o) di una

compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso

di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente. E', poi, caratterizzata, dalla stessa funzione

di garanzia del contratto di fideiussione, per cui è ad essa applicabile la disciplina legale tipica di questo contratto,

ove non derogata dalle parti;

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Dall'altro:

1) I principi di diritto affermati da Cass. 21 aprile 1999, n. 3964 (Pres. Iannotta, rel. Lupo) e 19 giugno 2001, n.

8324 (Pres. Greco, rel. Macioce), a mente della quali, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo

di garanzia, oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l'impiego o meno delle espressioni

"a semplice richiesta" o a "prima richiesta del creditore", ma la relazione in cui le parti hanno inteso

porre l'obbligazione principale e l'obbligazione di garanzia. Infatti la caratteristica fondamentale che

distingue il contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione è l'assenza dell'elemento dell'accessorietà della

garanzia, insito nel fatto che viene esclusa la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che spettano

al debitore principale, in deroga alla regola essenziale della fideiussione, posta dall'art. 1945 cod. civ. (in entrambi

i casi la fattispecie, analoga a quella oggetto del presente ricorso, aveva a sua volta ad oggetto una polizza

fideiussoria cauzionale: i giudici di merito, con consonanti decisioni, confermate in punto di diritto da questa

corte, ritennero di dover qualificato in termini di autonomia la convenzione di garanzia stipulata, valorizzando la

clausola secondo cui la società garante avrebbe dovuto pagare entro un breve termine dalla richiesta del creditore,

dopo semplice avviso al debitore principale, di cui non era richiesto il consenso e che nulla avrebbe potuto

eccepire in merito al pagamento, anche in sede di rivalsa del garante, e opinando, in particolare, che la stessa

apposizione di un termine breve precludesse a priori qualsiasi possibilità, per il garante, di sollevare eccezioni in

ordine al rapporto sottostante, non essendo immaginabile, in tempi estremamente ristretti, lo svolgimento delle

necessarie indagini per l'accertamento in concreto dell'inadempimento dell'appaltatore e della legittimità della

richiesta dell'amministrazione garantita).

2) Il recente dictum di cui a Cass. 2008, n. 2377, ove si legge che la polizza fideiussoria prestata a garanzia

dell'obbligazione dell'appaltatore costituisce una garanzia atipica in quanto essa, non potendo

garantire l'adempimento di detta obbligazione, perchè connotata dal carattere dell'insostituibilità, può

semplicemente assicurare la soddisfazione dell'interesse economico del beneficiario compromesso

dall'inadempimento, risultando, quindi, estranea all'ambito delle garanzie di tipo satisfattorio proprie

delle prestazioni fungibili, caratterizzate dall'identità della prestazione, dal vincolo della solidarietà e

dall'accessorietà, ed essendo, invece, riconducibile alla figura della garanzia di tipo indennitario -

cosiddetta "fideiussio indemnitatis" -, in forza della quale il garante è tenuto soltanto ad indennizzare,

o a risarcire, il creditore insoddisfatto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva

ritenuto che la polizza fideiussoria oggetto di controversia dovesse qualificarsi come garanzia atipica in quanto

non finalizzata a garantire la restituzione di un credito erogato dalla Provincia autonoma di Bolzano a fondo

perduto per un progetto di riconversione industriale finalizzato al raggiungimento dei livelli occupazionali ed

economici preventivati, giacchè detta restituzione sarebbe stata richiesta dalla medesima Provincia unicamente

nel caso in cui il mutuatario non fosse stato in grado di adempiere al promesso piano di riconversione

industriale).

Un ulteriore passo avanti verso la automaticità dell'equazione Polizza fideiussoria dell'appaltatore =

Garantievertrag sembrerebbe implicitamente potersi rinvenire nella sentenza (ritenuta, in dottrina, "una

inspiegabile rottura, o quantomeno una forzatura, rispetto al precedente indirizzo giurisprudenziale") di cui a

Cass. 27.5.2002, n. 7712 (Pres. Giuliano, est. Durante), a mente della quale, ove sia prestata a garanzia

dell'obbligazione dell'appaltatore, la polizza fideiussoria non è configurabile come fideiussione, bensì come

garanzia atipica, in quanto l'insostituibilità della prestazione fa venire meno la solidarietà

dell'obbligazione del garante e comporta che il creditore possa pretendere da lui soltanto un indennizzo

o un risarcimento, che è prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (nella specie la Suprema

Corte riconoscerà la validità della polizza fideiussoria, a mezzo della quale una società assicuratrice aveva

garantito l'adempimento delle obbligazioni dell'appaltatore, sebbene la sua stipulazione fosse stata addirittura

posteriore al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligazione garantita. In sede di commento alla pronuncia, non

si è mancato di osservare come quest'ultima ancori la propria ratio decidendi al sillogismo per cui: 1) la polizza

fideiussoria - a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore - assurge a garanzia atipica, a cagione

dell'insostituibilità della obbligazione principale (premessa maggiore); 2) il creditore può pretendere dal garante

solo un indennizzo o risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (premessa minore); 3) la

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polizza fideiussoria è valida anche se intervenuta successivamente rispetto all'inadempimento delle obbligazioni

garantite (conclusione), sillogismo del quale si dicono condivisibili le premesse (sia quella maggiore che quella

minore), ma non la conclusione.

Va infine ricordato come, ancora più di recente, Cass. 21 febbraio 2008, n, 4446 (Pres. Velia, rel. Mensitieri),

abbia avuto modo di operare una sorta di "sintesi" riepilogativa delle posizioni assunte da questa corte in tema di

polizze fideiussorie, alla luce della quale: al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione

fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato dall'assunzione di un impegno, da parte di una

banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde

garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le

disposizioni della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. La clausola con la

quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento

immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni" riveste carattere derogatorio rispetto alla

disciplina della fideiussione. Siffatta clausola, risultando incompatibile con detta disciplina, comporta

l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c.,

consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/beneficiario (Cass. 1/6/2004 n.

10486); in tema di garanzia personale, la cosiddetta assicurazione fideiussoria o cauzione fideiussoria o

assicurazione cauzionale, è una figura intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è caratterizzata

dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un

determinato importo al beneficiario, onde garantirlo in caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal

terzo. Poichè infatti le norme contenenti la disciplina legale tipica della fideiussione sono applicabili se non sono

espressamente derogate dalle parti, portata derogatoria deve riconoscersi alla clausola legittima in virtù del

principio di autonomia negoziale - con cui le parti abbiano previsto la possibilità per il creditore garantito di

esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni", in quanto

preclude al garante l'opponibilità al beneficiario delle eccezioni altrimenti spettanti al debitore principale ai sensi

dell'art. 1945 c.c.. Siffatta clausola, risultando incompatibile con la disciplina della fideiussione, comporta

l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c.,

consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/beneficiario (Cass. 14/2/2007. n.

3257); nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale

ma al suo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di

decadenza previsto dall'art. 1957 c.c., (Cass. 27/11/2002 n. 16758; 19/7/1996 n. 6520; 24/3/1994 n. 2827);

la clausola con la quale il fideiussore si impegni a soddisfare il creditore a semplice richiesta del medesimo

configura una valida espressione di autonomia negoziale e da vita ad un contratto atipico di garanzia, che pur

derogando al principio dell'accessorietà, non fa venir meno la connessione tra rapporto fideiussorio e quello

principale (Cass. 12/1/2007 n. 412).

4. Sulla scorta di tali premesse, l'intervento delle sezioni unite deve, da un canto, definitivamente chiarire i tratti

differenziali, sul piano morfologico, funzionale e interpretativo, tra le fattispecie della fideiussione e del

contratto autonomo di garanzia; dall'altro, risolvere il contrasto circa la natura delle polizze assicurative cd.

"fideiussorie", sia su di un piano generale, sia nella specifica dimensione, più propriamente oggetto di dubbi

ermeneutici, delle convenzioni negoziali stipulate dall'appaltatore di opere pubbliche, con particolare riguardo, in

quest'ultima ipotesi, e per quanto di interesse a fini interpretativi:

(omissis)

5. Il ricorso è fondato.

Avverso la sentenza della corte d'appello di Perugia la ATER propone quattro motivi di impugnazione,

chiedendo all'adita corte di legittimità di interpretare la convenzione negoziale per la quale è processo in termini

di contratto autonomo di garanzia alla luce sia della previsione di un obbligo di pagamento entro un breve

termine (dalla richiesta scritta) - non rilevando, in senso contrario, il mancato uso di espressioni quali "a

semplice" o "a prima richiesta", atteso che l'interpretazione della convenzione negoziale de qua andrebbe

viceversa desunta dalla relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione principale e quella di garanzia -;

sia dell'impegno assunto dalla ditta debitrice di rimborsare al garante tutte le somme versate, con espressa

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rinuncia a sollevare qualsiasi eccezione; sia della normativa pubblicistica all'uopo richiamata - che considera(va) la

polizza come sostitutiva di una cauzione dovuta dall'appaltatore in favore dello Stato o di altro ente pubblico.

La ricorrente deduce, di conseguenza, l'inapplicabilità, alla fattispecie, della decadenza di cui all'art. 1957 c.c.,

ovvero la deroga a tale disposizione, dovendo ritenersi che la proposizione dell'istanza scritta di pagamento sia

indice inequivoco della volontà dell'ente creditore di avvalersi della garanzia.

I motivi di ricorso appaiono meritevoli di accoglimento, per quanto di ragione.

E' opportuno premettere, ad avviso del collegio, alcune più generali premesse in ordine ai rapporti tra negozio

tipico di fideiussione e negozio atipico di garanzia (cd. Garantievertrag) che consentano di pervenire a

soddisfacente soluzione in diritto con riguardo alla vicenda processuale di cui queste sezioni unite

risultano oggi investite.

6. E' prassi ormai sempre più frequente, nel sottosistema civilistico delle garanzie personali, che contratti di

identico contenuto siano indicati con nomi diversi, come accade, in particolare, in tema di polizza fideiussoria,

denominata, di volta in volta, "assicurazione cauzionale", "cauzione fideiussoria", "polizza cauzionale",

"fideiussione assicurativa".

La polizza fideiussoria è, sotto il profilo genetico, un negozio stipulato dall'appaltatore su richiesta del

committente e in suo favore, strutturalmente articolato secondo lo schema del contratto a favore di

terzo, funzionalmente caratterizzato dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una

compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso

di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente (così, ex aliis, Cass. n. 11261/2005); il

terzo non è parte, nè in senso sostanziale nè in senso formale, del rapporto, e si limita a ricevere gli

effetti di una convenzione già costituita ed operante, sicchè la sua adesione si configura quale mera

condicio iuris sospensiva dell'acquisizione del diritto, rilevabile per facta concludentia, risultando la

dichiarazione di volerne profittare necessaria soltanto per renderla irrevocabile ed immodificabile ex

art. 1411 c.c., comma 3 (Cass. n. 23708/2008 e n. 13661/1992); non rileva, difatti, che il contratto sia stato

eventualmente stipulato anche con la partecipazione del creditore garantito, derivandone l'esclusivo

effetto di obbligare direttamente la compagnia assicuratrice nei confronti del creditore stesso ed

impedire che quest'ultimo, quale beneficiario della prestazione negoziata a suo favore dal debitore,

possa dichiarare di non aderire alla stipulazione secondo la disciplina del contratto a favore del terzo

(Cass. n. 7766/1990), anche se, alla forma giuridica bilaterale della stipulazione - in relazione alla quale il

committente è terzo - corrisponde un'operazione economica sostanzialmente trilatera, in cui l'unica

parte effettivamente interessata alla validità del contratto è il beneficiario della polizza, che ad essa

condiziona l'erogazione delle sue prestazioni, potendo lo stipulante appaltatore anche non avere

interesse all'effettiva validità ed efficacia dell'assicurazione (così, ancora, Cass. n. 23708/2008).

Deve, pertanto, convenirsi con la più attenta dottrina che ricostruisce la fattispecie riconoscendo al debitore

principale la qualità di parte del contratto - per assumerne la veste di stipulante -, al garante la veste di

promittente, al creditore principale quella di (terzo) beneficiario (con la precisazione che, nella normalità dei casi,

il testo della garanzia viene in realtà imposto dal beneficiario, il quale non lascia al debitore ordinante margini di

negoziazione in ordine alle condizioni contrattuali: nè è escluso che il garante, su incarico del cliente-debitore,

stipuli il contratto direttamente con il creditore).

E' questa una prima, essenziale differenza morfologica rispetto allo schema tipico delle convenzioni fideiussorie,

che, caratterizzate dalla funzione di garantire un'obbligazione altrui, intercorrono esclusivamente tra il fideiussore

e il creditore (così, tra le tante, Cass. n. 1525/1984, che non manca di sottolineare come, ai sensi dell'art. 1936

c.c., comma 2, la fideiussione sia efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza: la differenza parrebbe

attenuarsi nel dictum di cui a Cass. n. 3940/1995, a mente della quale la fideiussione "può anche essere stipulata

con l'intervento del debitore o tra quest'ultimo ed il garante, in modo da configurare un contratto a favore del

terzo creditore che, dichiarando di voler profittarne, rende irrevocabile la stipulazione, ai sensi dell'art. 1411 c.c.",

secondo una ricostruzione strutturale della fattispecie che parrebbe peraltro evocare, più propriamente, l'istituto

dell'accollo cumulativo esterno, oltre che confliggere con il preciso dictum normativo di cui all'art. 1936 c.c., che

identifica le parti del contratto nel creditore e nel garante).

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Altra differenza funzionale rispetto alla fideiussione è costituita dall'essere la polizza o assicurazione

fideiussoria "necessariamente onerosa" in quanto assunta dall'assicuratore in corrispettivo del

pagamento di un premio (Cass. n. 221/1963), mentre la fideiussione può essere anche a titolo gratuito

(nel qual caso il contratto, ponendo obbligazioni a carico di una sola parte, si perfeziona in forza del

disposto dell'art. 1333 c.c.(Cass. n. 9468/1987).

7. Quanto alla natura giuridica delle polizze, la giurisprudenza di questa corte le ha diacronicamente

considerate, sotto l'aspetto tipologico, di volta in volta come sottotipo innominato di fideiussione (Cass. n.

221/1963), come figura contrattuale intermedia fra il versamento cauzionale e la fideiussione, come contratto

atipico, come contratto misto risultante dalla fusione di elementi propri di vari contratti (tra le tante: Cass. n.

2899/1968; n. 1292/1978; n. 6155/1982; n. 5981/1986; n. 6499/1990; n. 13661/1992; n. 3940/1995; n.

6823/2001; n. 11261/2005; n. 3257/2007; n. 14853/2007; n. 11890/2008, in motivazione; n. 12871/2009).

In particolare, diversamente dalla cauzione, la prestazione viene assunta da un terzo (garante) e non dallo stesso

debitore obbligato, mentre manca il versamento anticipato di una somma di denaro, così evitandosi l'effetto

negativo di una lunga e improduttiva immobilizzazione di capitali; diversamente dalla fideiussione, l'impegno del

garante è di estensione tale da consentire al creditore principale di soddisfarsi in via di autotutela, cioè di

realizzare il suo credito sui beni oggetto della garanzia (seppur non tramite l'incameramento della cauzione ma)

mediante un atto unilaterale costituito da una richiesta della somma assicurata (in caso di inserimento della

clausola "a semplice" o "prima richiesta"), all'esito di un accertamento unilaterale ed insindacabile dello stesso

creditore in ordine alla ricorrenza delle condizioni previste per l'escussione.

Va altresì sottolineato che, pur essendo prestata spesso da un'impresa di assicurazione, la funzione della polizza

non consiste nel trasferimento o nella copertura di un rischio - che assume un rilievo assai marginale, essendo la

prestazione del garante svincolata da un preciso ed obiettivo accertamento del suo presupposto (il quale è

demandato allo stesso beneficiario) - ma in quella di garantire al beneficiario l'adempimento di obblighi assunti

dallo stesso contraente, anche quando l'inadempimento sia dovuto a volontà dello stesso e questi sia solvibile.

8. Secondo un primo orientamento della giurisprudenza di questa corte, poichè la causa del negozio de quo

consiste sostanzialmente nel garantire l'adempimento ("sostitutivo o di regresso": Cass. n. 1292/1978 cit.) della

prestazione dovuta al creditore da un terzo, troverebbe applicazione la disciplina legale tipica della fideiussione,

ove non espressamente derogata, potendo le parti, nella loro autonomia contrattuale, richiamare le norme

sull'assicurazione per quanto riguarda i rapporti tra il debitore contraente e l'assicuratore (Cass. n. 5450/1984

ritiene, pertanto, applicabili le norme sulla fideiussione, considerata come rapporto tipico "prevalente", e in

particolare l'art. 1941 c.c. secondo cui la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore nè può

essere prestata a condizioni più onerose; mentre Cass. n. 11038/1991 e n. 6757/2001 si esprimono nel senso che,

nelle ipotesi di dichiarazioni inesatte o reticenti del contraente-debitore in ordine alla formazione del rapporto

principale, non trovi applicazione la disciplina dell'art. 1892 c.c. sull'assicurazione, dovendo la validità del

contratto essere piuttosto valutata alla stregua delle regole dell'annullabilità per errore o dolo.

Peraltro, in senso opposto, Cass. n. 2297/1975, n. 3457/1981, n. 7028/1983, n. 14656/2002 si esprimono nel

senso dell'applicabilità della normativa sull'assicurazione, in particolare dell'art. 2952 c.c., comma 1, quanto alla

prescrizione annuale delle rate di premio).

8.1. - Di segno speculare, invece, l'orientamento secondo il quale (pur ritenendosi la convenzione in parola -

tanto se diretta a garantire al beneficiario l'adempimento dell'obbligazione originariamente assunta verso di lui dal

contraente della polizza quanto se volta ad assicurargli la somma dovuta per inadempimento o inesatto

adempimento funzionale a garantire un obbligo altrui secondo lo schema previsto dall'art. 1936 cod. civ.,

affiancando al primo un secondo debitore di pari o diverso grado), la polizza fideiussoria, se prestata a garanzia

dell'obbligazione dell'appaltatore, non ripete i caratteri morfologici della fideiussione, ma si configura come

garanzia atipica (cd. fideiussio indemnitatis), in quanto l'infungibilità della prestazione dell'appaltatore fa venir

meno la solidarietà dell'obbligazione del garante e comporta che il creditore può pretendere da lui solo un

indennizzo o un risarcimento, che è prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (così, tra le altre, Cass. n.

7712/2002; Cass. n. 2377/2008).

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Questo secondo orientamento trae linfa dalla considerazione per cui elemento "normale ed essenziale" del

vincolo fideiussorio è pur sempre l'identità con l'obbligazione principale nella sua stessa quantità e nelle sue

stesse condizioni. Dal suo canto, autorevole dottrina evidenzia che la polizza non mira a garantire l'adempimento

dell'obbligazione del debitore principale (come accade nella fideiussione), ma ad assicurare al creditore la

presenza di un soggetto solvibile in grado di tenerlo indenne dall'eventuale inadempimento del medesimo, ciò

che dimostrerebbe il venir meno di uno degli elementi strutturali della fideiussione, vale a dire l'accessorietà

dell'obbligazione del garante rispetto a quella del debitore principale, con conseguente slittamento verso il

modello del contratto autonomo di garanzia e inadeguatezza del modello legale fideiussorio (erroneamente

applicato secondo la teoria della prevalenza o dell'assorbimento, ove la disciplina normativa viene individuata

attraverso l'incorporazione del contratto nel tipo prevalente o che più gli assomiglia). La medesima dottrina

propone, così, l'applicazione del cd. metodo "tipologico", che consentirebbe di rintracciare, nella trama del

contratto in questione, sotto- strutture negoziali differenti mediante un'opera di destrutturazione del contratto

che offra all'interprete l'opportunità di individuare diverse caratteristiche tipologiche che solo successivamente

verranno utilizzate al fine di determinare (sempre senza valicare i limiti dell'incompatibilità) il mix disciplinare che

meglio risponde all'esigenza di regolare il rapporto (mentre da altra parte si invita a considerare la naturale

propensione delle polizze a modellarsi in funzione delle diverse esigenze di garanzia di volta in volta soddisfatte e

a cogliere e valorizzare il quid proprium delle diverse configurazioni assunte nella prassi, rifuggendo da

aprioristici tentativi di generalizzazione e di riduzione a un "tipo").

Sulla polizza fideiussoria si riverbera così l'eco del dibattito sul contratto autonomo di garanzia (Garantievertrag)

e sulla sua causa.

8.2. Pur non essendo questa la sede per approfondire gli esiti di tale questione, pare sufficiente considerare che,

secondo una diffusa opinione, la funzione del Garantievertrag è quella di tenere indenne il creditore

dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che

non sempre consiste in un dare ma può anche riguardare un fare infungibile, contrariamente a quanto

accade per il fideiussore, il quale garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale

altrui (attesa l'identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante). In altri termini,

mentre con la fideiussione è tutelato l'interesse all'esatto adempimento dell'(unica) prestazione

principale - per cui il fideiussore è un "vicario" del debitore -, l'obbligazione del garante autonomo è

qualitativamente altra rispetto a quella dell'ordinante - sia perchè non necessariamente sovrapponibile

ad essa, sia perchè non rivolta al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore

insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva

della mancata o inesatta prestazione del debitore.

Ne consegue che polizze fideiussorie e fideiussione, pur accomunate dal medesimo (generico) scopo di

offrire al creditore-beneficiario la garanzia dell'esito positivo di una determinata operazione economica,

si distinguono perchè le prime (se prestate a garanzia di obbligazioni infungibili) appartengono alla

categoria delle cd. garanzie di tipo indennitario, potendo il creditore tutelarsi (rispetto

all'inadempimento del debitore) soltanto tramite il risarcimento del danno, mentre la fideiussione

appartiene alle cd. garanzie di tipo satisfattorio, caratterizzate dal rafforzamento del potere del creditore

di conseguire il medesimo bene dovuto, cioè di realizzare specificamente il soddisfacimento del proprio

diritto.

8.3 Ancora con specifico riguardo alle polizze fideiussorie, l'introduzione, nelle condizioni generali di contratto,

di clausole di pagamento con diciture "a semplice" o "a prima richiesta (o domanda) ", "senza eccezioni" o

analoghe ("incondizionatamente", "a insindacabile giudizio del beneficiario" e così via), se ne ha di fatto

evidenziato l'impredicabilità di qualsivoglia natura assicurativa e l'indiscutibile avvicinamento al modello

cauzionale, ne ha specularmente posto il problema della compatibilità con il modello tipico fideiussorio.

La previsione di siffatte clausole di pagamento manifesta, difatti, una rilevante deroga alla disciplina legale della

fideiussione, che si sostanzia nell'attribuzione, al creditore-beneficiario, del potere di esigere dal garante il

pagamento immediato, a prescindere da qualsiasi accertamento (e dalla prova da parte del creditore) in ordine

all'effettiva sussistenza di un inadempimento del debitore principale (ciò vale, in particolare, per l'incameramento

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della cauzione da parte dell'ente appaltatore di opere pubbliche, il quale non è tenuto a dimostrare la sussistenza

di un danno in concreto, proprio in ragione della determinazione forfettaria dello stesso che consegue alla

previsione della cauzione: così Cass. n. 8295 del 1994, in motivazione). A tale riguardo, questa corte ha avuto

modo di affermare che, se è consentito alle parti di concedere (o far concedere da un terzo) una somma di

denaro al creditore a garanzia dell'adempimento della prestazione dovutagli, allo stesso modo deve poter

rientrare nei poteri riconosciuti all'autonomia negoziale la sostituzione della somma di denaro con l'impegno di

un terzo di provvedere a quella prestazione o a quel pagamento a semplice richiesta del creditore, dovendosi

pertanto riconoscere in dette clausole una "una valida espressione di autonomia negoziale".

9. Di tali clausole, secondo un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 6499/1990, n.

10486/2004, n. 4446/2008 in motivazione), si predica la incompatibilità con la disciplina della fideiussione, e la

conseguente inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali quelle fondate sull'art. 1947 c.c.

(compensazione opposta dal garante con un debito del creditore verso il debitore principale), art. 1956

(liberazione del fideiussore per obbligazione futura assunta dal creditore), art. 1957 (decadenza prevista per

l'ipotesi che il creditore non coltivi dopo la scadenza dell'obbligazione la propria pretesa nei confronti del

debitore principale).

9.1. Secondo un diverso orientamento, dette clausole sarebbero invece idonee a valere anche come osservanza

dell'onere di cui all'art. 1957 prescindendo dalla proposizione dell'azione giudiziaria (Cass. n. 7345/1995, cit.),

sicchè non si tratterebbe di un'esclusione ma di una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad

esempio limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l'estinzione della

garanzia, esonerando il creditore dall'onere di proporre azione giudiziaria (Cass. n. 10574/2003, n. 27333/2005,

n. 13078/2008, quest'ultima sulla limitata funzione, che può essere svolta da una clausola di pagamento a prima

richiesta, di evitare al creditore la decadenza di cui all'art. 1957 non solo iniziando l'azione giudiziaria verso il

debitore principale, ma anche soltanto rivolgendo al fideiussore la richiesta di adempimento).

9.2. E' dunque opportuno approfondire le ragioni che hanno indotto la giurisprudenza di questa corte a ravvisare

nelle clausole di pagamento in oggetto una deroga (seppur variamente atteggiata) alla disciplina legale della

fideiussione onde chiarire se di semplice deroga si tratti, ovvero di una così rilevante alterazione del "tipo"

negoziale fideiussorio tale da provocarne un exodus che conduca all'approdo al modello del Garantievertrag così

come comunemente praticato nel commercio internazionale e, di recente, anche nazionale (nelle forme del Bid

Bond o Bietungsgarantie, a garanzia del rispetto o del mantenimento di un'offerta contrattuale; del Performance

Bond o Leistungsgarantie e del Vertragserfullungsgarantie, quale garanzia di buona esecuzione di un contratto;

del Repayment Bond e dell'Advance payment Bond o Anzahlungsgarantie, a copertura del rischio che

l'appaltatore non rimborsi al committente il pagamento degli anticipi ricevuti in caso di mancata esecuzione dei

lavori; del Retention money Bond, la cui origine è nella prassi in base alla quale il committente trattiene una parte

dei pagamenti in occasione dei diversi stati di avanzamento dei lavori, al fine di costituire un fondo di copertura

per le spese eventuali da sostenere per riparare errori dell'appaltatore nell'esecuzione dei lavori).

Quelle ragioni risiedono nell'essere le suddette clausole volte a precludere al garante l'opponibilità al creditore

garantito delle eccezioni spettanti al debitore principale (siano esse relative al rapporto di valuta tra quest'ultimo e

il creditore o al rapporto di provvista tra il debitore principale e il garante), in deroga alla regola essenziale della

fideiussione posta dagli artt. 1945 e 1941 c.c., con l'effetto di svincolare (in tutto o in parte) la garanzia dalle

vicende del rapporto principale e di precludere la proponibilità delle eccezioni fideiussorie.

9.3. Sotto l'aspetto morfologico, il contratto autonomo di garanzia costituisce espressione di quella autonomia

negoziale riconosciuta alle parti dall'art. 1322 c.c., comma 2, che si configura come un coacervo di rapporti

nascenti da autonome pattuizioni fra il destinatario della prestazione (beneficiario della garanzia), il garante (di

solito una banca straniera), l'eventuale controgarante (soggetto non necessario, che solitamente si identifica in

una banca nazionale che copre la garanzia assunta da quella straniera) e il debitore della prestazione (l'ordinante).

Caratteristica fondamentale di tale contratto, che vale a distinguerlo da quello di fideiussione di cui agli artt. 1936

e seguenti cod. civ., è la carenza dell'elemento dell'accessorietà: il garante s'impegna a pagare al beneficiario, senza

opporre eccezioni in ordine alla validità e/o all'efficacia del rapporto di base, e identico impegno assume il

controgarante nei confronti del garante (così Cass. n. 1420/1998; sulla controgaranzia autonoma, Cass. n.

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12341/1992 specifica che l'obbligo di pagamento del garante secondo il meccanismo dell'adempimento "a prima

richiesta", tanto della "garanzia" che della "controgaranzia", si attiva a seguito dell'inadempimento

dell'obbligazione principale, restando irrilevante l'avvenuto adempimento del contratto collegato a catena).

La diversità di struttura e di effetti rispetto alla fideiussione si riflette sulla causa concreta (in argomento,

funditus, Cass. 10490/06) del Garantievertrag, la quale risulta essere quella di trasferire da un soggetto ad un altro

il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da

inadempimento colpevole oppure no: infatti, la prestazione dovuta dal garante è qualitativamente diversa da

quella dovuta dal debitore principale, essendo (non quella di assicurare l'adempimento della prestazione dedotta

in contratto ma) semplicemente quella di assicurare la soddisfazione dell'interesse economico del beneficiario

compromesso dall'inadempimento (Cass. n. 2377/2008 cit., proprio con riguardo alle polizze fideiussorie); per la

sua indipendenza dall'obbligazione principale, esso si distingue, pertanto, dalla fideiussione, giacchè mentre il

fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore principale e si obbliga direttamente ad adempiere, il garante

si obbliga (non tanto a garantire l'adempimento, quanto piuttosto) a tenere indenne il beneficiario dal nocumento

per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente

corrispondente a quella dovuta (Cass. n. 27333/2005; n. 4661/2007): ne consegue, in definitiva, la sua fuoriuscita

dal modello fideiussorio, essendo il rapporto affidato per intero all'autonomia privata nei limiti fissati dall'art.

1322 c.c., comma 2 ed essendo la causa del contratto quella di coprire il rischio del beneficiario mediante il

trasferimento dello stesso sul garante.

Il riferimento, come oggetto della garanzia de qua, al rischio contrattuale da preservare (ovvero all'interesse

economico sotteso all'obbligazione principale) ha rappresentato una soluzione funzionale a superare l'apparente

ossimoro celato nel sintagma "garanzia autonoma" (atteso che il concetto di garanzia presuppone

ontologicamente una relazione di accessorietà con un quid che dev'essere garantito), con la conseguenza che la

garanzia sarebbe autonoma rispetto all'obbligazione principale ma pur sempre accessoria rispetto all'interesse

economico ad essa sottostante, così evitandosi la (preoccupante) conseguenza di individuare nel rapporto

principale il termine della relatio e di assimilare in tal modo la garanzia autonoma a quella accessoria.

9.4. Sotto il profilo funzionale, il regime "autonomo" del Garantievertrag trova un limite quando:

le eccezioni attengano alla validità dello stesso contratto di garanzia (Cass. n. 3326/2002 cit.) ovvero al rapporto

garante/beneficiario (Cass. n. 6728/2002, sul diritto del garante di opporre al beneficiario la compensazione

legale per un credito vantato direttamente nei suoi confronti); il garante faccia valere l'inesistenza del rapporto

garantito (Cass. n. 10652/2008, in motivazione, "trattandosi pur sempre di un contratto (di garanzia) la cui

essenziale - quindi inderogabile - funzione è quella di garantire un determinato adempimento"); la nullità del

contratto- base dipenda da contrarietà a norme imperative o illiceità della causa ed attraverso il contratto di

garanzia si tenda ad assicurare il risultato che l'ordinamento vieta (Cass. n. 3326/2002; n. 26262/2007; n.

5044/2009); sia proponibile la cd. exceptio doli generalis seu presentis, perchè risulta evidente, certo ed

incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell'obbligazione principale per

adempimento o per altra causa (nel senso che il garante non è autorizzato ad effettuare pagamenti

arbitrariamente intimatigli, a pena di perdita del regresso nei confronti del debitore principale: Cass. n.

10864/1999; n. 917/1999; n. 5997/2006; in generale, sull'obbligo del garante di opporre l'exceptio doli a

protezione del garantito dai possibili abusi del beneficiario, Cass. n. 10864/1999; n. 5997/2006; n. 23786/2007;

n. 26262/2007; sull'obbligo del garante di fornire la prova certa ed incontestata dell'esatto adempimento del

debitore ovvero della nullità del contratto garantito o illiceità della sua causa: Cass. n. 3964/1999; n.

10652/2008), mentre discussa è la conseguenza della impossibilità sopravvenuta della prestazione principale non

imputabile al debitore (che, secondo una recente giurisprudenza di merito - App. Genova 25 luglio 2003 -

sarebbe a sua volta causa di estinzione della garanzia).

La più rilevante differenza operativa tra la fideiussione e il contratto autonomo di garanzia non riguarda, peraltro,

il momento del pagamento - cui (anche) il fideiussore "atipico" può essere tenuto immediatamente a semplice

richiesta del creditore -, ma attiene soprattutto al regime delle azioni di rivalsa dopo l'avvenuto pagamento.

9.5. Se, difatti, il pagamento non risulti dovuto per motivi attinenti al rapporto di base, il garante (dopo aver

pagato a prima/semplice richiesta) che agisce in ripetizione con l'actio indebiti ex art. 2033 c.c. nei confronti

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dell'accipiens, cioè del creditore beneficiario, facendo valere le eccezioni di cui dispone il debitore principale,

risponde in realtà come un fideiussore, atteggiandosi la clausola di pagamento in questione come una ordinaria

clausola solve et repete ex art. 1462 c.c.. Il garante "autonomo", invece, una volta che abbia pagato nelle mani del

creditore beneficiario, non potrà agire in ripetizione nei confronti di quest'ultimo (salvo nel caso di escussione

fraudolenta), rinunciando, per l'effetto, anche alla possibilità di chiedere la restituzione di quanto pagato

all'accipiens nel caso di escussione illegittima della garanzia, ma potrà esperire l'azione di regresso ex art. 1950 c.c.

unicamente nei confronti del debitore garantito (il più delle volte mediante il cosiddetto "conteggio automatico"

a carico del debitore, quando questi ha anticipato alla banca le somme necessarie per il pagamento o quando

sussista la possibilità di addebitare le somme su un conto corrente), senza possibilità per il debitore di opporsi al

pagamento richiesto dal garante nè di eccepire alcunchè, in sede di rivalsa, in merito all'avvenuto pagamento (così

Cass. n. 8324/2001; n. 7502/2004; n. 14853/2007).

L'effetto è di "autonomizzare" il rapporto di garanzia rispetto al rapporto base, contrariamente a quanto accade

per la fideiussione tipica: è a quest'ultima, infatti, che si riferisce il principio secondo il quale "quando si estingue

l'obbligazione principale, si estingue anche quella accessoria di garanzia. Pertanto, se il fideiussore paga un debito

già estinto, per remissione, per pagamento o per altra causa, non può esercitare azione di regresso nei confronti

del debitore principale" (così Cass. n. 2334/1967).

Sarà il debitore principale ordinante, vittoriosamente escusso dal garante che abbia pagato al beneficiario, ad agire

in rivalsa, se il pagamento non era dovuto alla stregua del rapporto di base (ad esempio, per il pregresso e

puntuale adempimento della medesima obbligazione), sulla base del rapporto di valuta, nei confronti del

beneficiario, il quale ha ricevuto dal garante una prestazione non dovuta, mentre la stessa azione di rivalsa del

garante verso il debitore-ordinante viene esclusa quando il primo abbia adempiuto nonostante disponesse di

prove evidenti della malafede del beneficiario, salva in tal caso la possibilità di agire contro il beneficiario stesso

con la condictio indebiti, ai sensi dell'art. 2033 c.c. (Va in proposito ricordato che l'art. 20 della Convenzione

UNCITRAL, sulle garanzie autonome e sulle lettere di credito, elaborata dalla Commissione delle Nazioni Unite

sul commercio internazionale, tra le alternative riconosciute all'ordinante per neutralizzare il pericolo di

un'abusiva escussione, prevede sia la possibilità di inibire al garante di trattenere o recuperare presso l'ordinante

le somme pagate in base alla garanzia sia la possibilità di richiedere un provvedimento giudiziario che impedisca

al beneficiario di riscuotere la garanzia).

10. Chiarite così le differenze operative tra fideiussione (eventualmente resa atipica dall'inserimento delle clausole

in questione) e Garantievertrag, va affrontato e risolta la speculare questione dell'idoneità o sufficienza della

clausola di pagamento a prima o semplice richiesta (o senza eccezioni) a trasformare un contratto di

fideiussione (pur atipico) in un Garantievertrag. A tale riguardo, si segnalano due non omogenei

orientamenti della giurisprudenza di questa Corte che - pur nella consonanza delle affermazioni secondo cui, da

un lato, la qualificazione della garanzia come contratto autonomo di garanzia o di fideiussione (eventualmente

atipica) si risolve in un apprezzamento dei fatti e delle prove da parte del giudice di merito, incensurabile in sede

di legittimità se congruamente motivato (Cass. n. 4981/2001; n. 10637/2002; n. 11368/2002; n. 13001/2006; n.

2464/2004), essendo privo di valore il nomen iuris utilizzato dalle parti per designare la garanzia; dall'altro, a

fronte della qualificazione della garanzia come fideiussoria, soggetta, in quanto tale, alla sorte del debito

principale, la parte che faccia valere la diversa configurazione di detta garanzia come autonoma, e, quindi,

svincolata dal debito principale, ha l'onere di dedurre gli elementi oggettivi sui quali tale configurazione si fonda

(Cass. n. 8540/2000) - appare, sul punto, contrastante: - un primo indirizzo è nel senso che l'inserimento di

clausole del genere valga di per sè a qualificare il negozio de quo come contratto autonomo di garanzia, essendo

incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza la fideiussione (Cass. n. 3552/1998, in motivazione;

n. 6757/2001; n. 3257/2007 cit.; n. 14853/2007; n. 11890/2008, in motivazione; in particolare, Cass. n.

8248/1998 ha qualificato la garanzia come autonoma in presenza di una clausola di pagamento "a prima

richiesta", con esclusione del beneficium excussionis e dell'accertamento dell'inadempienza da parte dello stesso

creditore garantito sulla base della contabilità dell'appalto); - un secondo filone interpretativo è invece nel senso

che il contratto non assume i connotati del contratto autonomo di garanzia per il solo fatto di presentare un

patto che obblighi il garante a pagare, sulla richiesta del beneficiario, il quale gli dichiari essersi verificati i

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presupposti per l'esigibilità della garanzia, e senza poter opporre eccezioni attinenti al rapporto di base: la

distinzione tra fideiussione e Garantievertrag andrebbe tratta, infatti, anche dalla considerazione dei profili

funzionali della garanzia, e nel secondo caso la funzione sarebbe non già quella di garantire l'adempimento

dell'obbligazione altrui o l'integrale soddisfacimento della pretesa risarcitoria traente origine dall'inadempimento

del debitore, quanto quella, prossima a quella della cauzione, di assicurare al beneficiario la disponibilità almeno

di una determinata somma di danaro, a bilanciamento di rischi tipici di determinati contratti. Un patto di rinunzia

del fideiussore a far valere subito determinate eccezioni non altererebbe, peraltro, il tipo contrattuale, che resta

caratterizzato, come la fideiussione, dal principio di accessorietà (artt. 1939 e 1945 cod. civ.): la clausola è dunque

in sè valida, giacchè, pur con riguardo alla causa del contratto di fideiussione ed alla relativa disciplina, essa

costituisce una manifestazione di autonomia contrattuale, che resta nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 cod.

civ.), dalla quale si trae, insieme, che clausole limitative della possibilità di proporre eccezioni sono in certa misura

ed a determinate condizioni consentite dall'ordinamento (art. 1341 c.c., comma 2), e che una clausola del tipo di

quella di cui si discute non è in contrasto con l'aspetto essenziale del contratto di fideiussione, aspetto

rappresentato dall'accessorietà (così Cass. n. 2909/1996, in motivazione; nel senso che, ai fini della distinzione

del contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione, non è decisivo l'impiego o meno di espressioni quali "a

prima richiesta" o "a semplice richiesta scritta", ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione

principale e quella di garanzia, ancora di recente, Cass. n. 5044/2009 cit.).

Pur se non direttamente investite della questione, vertendo il contrasto di giurisprudenza oggi sotto posto

all'esame del collegio sulla natura e sulla disciplina applicabile alle polizze fideiussorie, queste sezioni unite

ritengono che debba essere data continuità al primo degli orientamenti citati, che ha l'ineliminabile pregio di

consentire, ex ante, la necessaria prevedibilità della decisione giudiziaria in caso di controversia, restringendo le

maglie di aleatori spazi ermeneutici sovente forieri di poco comprensibili disparità di decisioni a parità di

situazioni esaminate, così che la clausola "a prima richiesta e senza eccezioni" dovrebbe di per sè orientare

l'interprete verso l'approdo alla autonoma fattispecie del Garantievertrag, salva evidente, patente, irredimibile

discrasia con l'intero contenuto "altro" della convenzione negoziale.

10.1. Così ricostruiti i caratteri strutturali ed effettuali del contratto autonomo di garanzia, pare innegabile che, in

difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, ad esso non possa applicarsi la norma dell'art. 1957

cod. civ. sull'onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del

debitore principale, poichè tale disposizione, collegata al carattere accessorio della obbligazione

fideiussoria (così Cass. n. 3964/1999 cit., ancora in tema di polizza fideiussoria; Cass. n. 11368/2002, in

motivazione) instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell'obbligazione di

garanzia e quella dell'obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda

l'accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un'obbligazione di garanzia

autonoma.

10.2. Per ciò che più specificamente concerne l'oggetto della questione sottoposta al collegio, è opportuno

ripercorrere, in sintesi, le divergenze manifestatesi nella giurisprudenza di questa corte sui profili di seguito

indicati.

10.3. Quanto ai caratteri morfologici della polizza fideiussoria, prevalente appare l'orientamento predicativo della

sua natura fideiussoria, con conseguente applicazione della disciplina legale tipica ex art. 1936 ss. c.c. ove non

derogata dalle parti; un diverso, minoritario indirizzo, ne esclude, viceversa, la configurabilità in termini di

fideiussione laddove essa sia prestata a garanzia dell'obbligazione dell'appaltatore: in tal caso, la convenzione

integrerebbe gli estremi della garanzia atipica in quanto, non potendo surrogare l'adempimento "specifico" di

detta obbligazione (connotata dal carattere dell'insostituibilità), ha la funzione di assicurare, sic et simpliciter, il

soddisfacimento dell'interesse economico del beneficiario, compromesso dall'inadempimento. Essa risulta,

pertanto, vicenda del tutto disomogenea rispetto al sistema delle garanzie di tipo satisfattorio proprie delle

prestazioni fungibili caratterizzate dall'identità della prestazione e dal vincolo della solidarietà

(sussidiarietà)/accessorietà -, riconducibile di converso alla figura della garanzia di tipo indennitario, in forza della

quale il garante è tenuto soltanto ad indennizzare, o a risarcire, il creditore insoddisfatto (Cass. n. 2377/2008 cit.;

n. 7712/2002).

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10.4. Queste sezioni unite intendono dare continuità al secondo degli orientamenti poc'anzi ricordati.

Non appaiono decisive, difatti, le riserve che dottrina e giurisprudenza attestate sul fronte dell'equiparazione della

polizza de qua alla convenzione fideiussoria (quantunque atipica) hanno diacronicamente manifestato in subiecta

materia. Si obbietta, difatti, che la banca garantisce non già la prestazione primaria (cioè l'esecuzione dell'opera o

della fornitura), bensì quella secondaria, che consiste nel pagamento di una somma di denaro prestabilita (la quale

spesso assume i caratteri della clausola penale): ciò consentirebbe di ritenere che vi sia identità tra l'oggetto della

prestazione garantita e quello dell'obbligazione di garanzia, trattandosi in entrambi i casi di una (anzi della stessa)

somma di denaro. Si è anche osservato che, da questo punto di vista, la differenza con la fideiussione è meno

marcata, giacchè l'indennità non solo può essere in certi casi omogenea alla prestazione pecuniaria ed originaria

del debitore, ma è comunque omogenea rispetto alle prestazioni pecuniarie secondarie del debitore (derivino esse

da un risarcimento del danno o da una clausola penale). Con specifico riguardo alla garanzia (cd. definitiva)

dovuta all'Amministrazione appaltante, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 30, comma 2, si è poi rilevato che, se

è vero che la garanzia ha carattere indennitario, in quanto il fideiussore non è obbligato ad adempiere in luogo del

debitore principale, essendo tenuto a rifondere il creditore degli oneri affrontati in conseguenza del mancato o

inesatto adempimento del debitore, è altrettanto vero che la diversità della prestazione dell'assicuratore non

esclude la funzione di garanzia in quanto la fideiussione sostituisce non la esecuzione dell'obbligazione principale

ma la cauzione, cioè la garanzìa reale dell'obbligazione dell'esecutore: ad essere garantito non sarebbe tanto un

qualsiasi adempimento, bensì la prestazione della cauzione.

Non si è mancato poi di sottolineare, per altro verso, che il concetto di fungibilità e infungibilità della prestazione

appare qualificazione giuridica tra le più sfuggenti, cui, del resto, non sempre è riconosciuto un autonomo

significato, trattandosi di un problema di interpretazione in senso lato, di talchè la fungibilità di un'obbligazione

non dipenderebbe tanto dal tipo di prestazione o dalla natura del suo oggetto secondo criteri astratti, ma avrebbe

da esser valutata in concreto, tenuto conto anche dell'interesse del creditore, ex art. 1173 c.c. (ciò che ha

consentito alla moderna dottrina di considerare fungibile anche l'adempimento delle obbligazioni di fare - così

superandosi la tradizionale impostazione, figlia del codice del 1865, propensa a ritenere che soltanto

l'obbligazione pecuniaria potesse essere garantita da fideiussione -, coerentemente con il disposto dell'attuale art.

1936 c.c. - il cui pendant è costituito dal 765, comma 1, del BGB -, il quale non contiene alcuna distinzione

esplicita in argomento, indicando solo che la fideiussione garantisce "l'adempimento di un'obbligazione altrui",

così venendo meno qualsivoglia argomento letterale a favore dell'idea di un'identità di contenuto

dell'obbligazione principale e dell'obbligazione fideiussoria, mutando il precedente richiamo dell'art. 1898 c.c.

abrogato alla "stessa obbligazione"). Si è infine rilevato che l'accessorietà dell'obbligazione fideiussoria non

implicherebbe una assoluta ed univoca dipendenza del rapporto di garanzia dal rapporto garantito, in quanto la

fideiussione, al pari di qualsiasi altro rapporto obbligatorio, vive e si mantiene in questa relazione funzionale con

una individualità propria, e che il nostro ordinamento non conosce una nozione tecnica di accessorietà, ossia una

disciplina unitaria del fenomeno, onde la "relativizzazione" del requisito in parola, intesa come conseguenza

dell'acquisita autonomia causale della fideiussione, manifestandosi nell'ordinamento il riconoscimento di una

certa indipendenza dell'obbligazione di garanzia rispetto a quella garantita, con un'implicita retrocessione del

requisito dell'accessorietà a un livello non essenziale.

11. Le considerazioni che precedono non appaiono decisive al fine di predicare una non realistica consonanza tra

polizza fideiussoria e convenzione di garanzia tipica ex art. 1936 c.c.. Al di là della osservazione (di per sè

decisiva) secondo la quale esse non appaiono sufficienti a far superare il principio secondo cui rimangono fuori

dalla possibilità di essere garantite per il tramite di una fideiussione le obbligazioni di fare infungibile, nelle quali

c'è comunque un interesse del creditore alla personale esecuzione del debitore - non potendosi, in questo caso,

realizzarsi in alcun modo la sostituzione del fideiussore al debitore principale, poichè il garante non deve (nè può)

adempiere, in rapporto di solidarietà con il debitore principale, un debito identico a quello su di lui gravante -

non sembra seriamente contestabile che si discorra di fideiussio indemnitatis con riferimento a fattispecie nella

quale la funzione di garanzia viene piuttosto a porsi in via (succedanea e secondaria sì, ma) del tutto autonoma

rispetto all'obbligo primario di prestazione, onde garantire il risarcimento del danno dovuto al creditore per

l'inadempimento dell'obbligato principale e, quindi, per un'obbligazione non soltanto futura ed eventuale (ciò che

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non costituirebbe di per sè ostacolo alla configurabilità di una fideiussione, avendo l'attuale art. 1938 c.c. posto

termine ad un dibattito dottrinale e giurisprudenziale formatosi nel vigore del precedente codice con l'ammettere

esplicitamente la legittimità della fideiussione "anche per un'obbligazione condizionale o futura"), ma

essenzialmente diversa rispetto a quella garantita, con l'ulteriore conseguenza che l'obbligazione del garante non

diviene attuale prima dell'inadempimento della (diversa) obbligazione principale, verificatosi il quale sorge

l'obbligo secondario del "risarcimento" del danno (rectius, dell'indennizzo conseguente all'inadempimento): viene

irredimibilmente vulnerato, in tal guisa, proprio quel meccanismo della solidarietà che attribuisce al creditore la

libera electio, cioè la possibilità di chiedere l'adempimento così al debitore come al fideiussore, a partire dal

momento in cui il credito è esigibile.

Venendo così meno la funzione di garantire, in senso preventivo, l'adempimento, la cd. fideiussio indemnitatis

pare definitivamente espunta dall'orbita della garanzia fideiussoria, per acquisire una funzione reintegratoria (non

del tutto aliena da un modello assicurativo).

Nè decisiva appare, ancora, l'obiezione secondo la quale, nel nostro ordinamento, un'astrazione assoluta

dell'elemento causale, in cui la sorte o i difetti dell'obbligazione sottostante non abbiano mai alcuna ripercussione

sull'obbligazione astratta di garanzia, non pare a tutt'oggi legittimamente predicabile.

Va premesso, in proposito, che, tra astrazione assoluta e accessorietà (intesa nel senso tradizionale) si stagliano

orizzonti che abbracciano diverse gradazioni di strutture negoziali che il legislatore di volta in volta legittima,

secondo un giudizio di valore rispetto ai vari interessi coinvolti: l'accessorietà dell'obbligazione autonoma di

garanzia rispetto al rapporto debitorio principale assume un carattere certamente più elastico, di semplice

collegamento/coordinamento tra obbligazioni, ma non viene del tutto a mancare, come dimostrato, da un lato,

dalla rilevanza delle ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il

rapporto sottostante (supra, sub 6.2);

dall'altro, dal meccanismo di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso il sistema delle rivalse.

Va inoltre considerato che, come condivisibilmente affermato dalla terza sezione di questa corte con la sentenza

10490/06 (e poi ribadito, sia pur in obiter, da queste stesse sezioni unite con le 4 pronunce dell'11 novembre del

2008, rese in tema di danno non patrimoniale), appaia oggi predicabile una ermeneutica del concetto di causa

che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che la configurava come strumento di controllo

della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale

del negozio (che, a tacer d'altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale

elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello,

anche tipico, adoperato).

Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti.

Causa, dunque, ancora oggettivamente iscritta nell'orbita della dimensione funzionale dell'atto, ma, questa volta,

funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto,

secondo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla

cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l'uso che di ciascuno di essi hanno

inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale.

E' innegabile, pertanto, che di causa negotii sia lecito discorrere, in termini di sua concreta esistenza, anche con

riferimento al contratto autonomo di garanzia e alla polizza fideiussoria, ad esso assimilabile quoad effecta. E'

altresì innegabile, nel caso di specie, che la forma di garanzia prescelta dalle parti, in alternativa al deposito

cauzionale in denaro o titoli, non sia stata quella della fideiussione, bensì quella della polizza fideiussoria,

alternativa e, per l'effetto, sostituiva forma di prestazione della cauzione stessa, "consentita" (così, letteralmente,

il testo negoziale rilevante in parte qua) dall'amministrazione appaltante senza essere accompagnata da alcuna

dichiarazione abdicativa di tutti gli altri poteri e facoltà spettatile sulla base della normativa di settore vigente

ratione temporis. La funzione individuale del singolo, specifico negozio (id est della polizza fideiussoria) è stata

dunque quella di sostituire la traditio del denaro tipica della cauzione con l'obbligazione di corrispondere una

somma di denaro, da parte del garante, a richiesta del creditore, senza alcuna possibilità, per il primo, di invocare

il meccanismo, tipicamente fideiussorio, di cui all'art. 1957 c.c..

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Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: la polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni

assunte da un appaltatore assurge a garanzia atipica, a cagione dell'insostituibilità della obbligazione principale,

onde il creditore può pretendere dal garante solo un risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva

diritto. Con la precisazione, peraltro, della invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto

all'inadempimento delle obbligazioni garantite.

7. LETTERE DI PATRONAGE

7.1 Corte di cassazione, sez. I civile, sentenza 9 febbraio 2016, n.2539

Con riguardo alle cosiddette lettere di 'patronage', che una società capogruppo o controllante indirizzi ad una

banca, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata, l'indagine

diretta a stabilire se le lettere medesime si limitino a contenere dati e notizie sulla situazione del gruppo o sul

rapporto di controllo, rilevanti al solo fine di mettere la banca in condizione di valutare adeguatamente

l'opportunità di riconoscere detto credito, ovvero implichino anche l'assunzione di garanzia fideiussoria per i

debiti della società controllata, si traduce in un accertamento di merito, come tale insindacabile in sede di

legittimità, se correttamente ed adeguatamente motivato» (Cass., sez. 1, 9 maggio 1985, n. 2879)

1.Con il primo mezzo di impugnazione (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1324 e 1333 c.c., in

relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), la ricorrente ha posto a questa Corte il seguente quesito di

diritto:

-«se in applicazione dell'art. 1362 c. c. e del principio in claris non fit interpretatio, la formulazione

testuale della lettera di patronage con la quale il patronnant si impegna ad informare immediatamente

il creditore dei mutamenti del rapporto di controllo maggioritario della società sovvenuta e a «porre la

predetta società in condizione di provvedere .. alla copertura dei vostri crediti», per la sola ipotesi che «

si verificasse la perdita da parte nostra, per qualsiasi ragione, del suo controllo amministrativo», possa

esse interpretata come assunzione di una obbligazione di garanzia».

(omissis)

2. Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1936 e 1338 c.c., in relazione all'art. 360,

primo comma, n. 3, c.p.c.), la ricorrente ha posto a questa Corte il seguente quesito di diritto:

-«se una mera lettera di patronage, ovvero la dichiarazione con la quale applicazione il patronnant

informa il creditore della sua posizione di influenza nei confronti del debitore e si obbliga a «porre» il

sovvenuto «in condizione di adempiere» qualora tale posizione di controllo cessi, possa essere

qualificata quale fideiussione al fine di parificarne e/o assimilarne in tutto e per tutto gli effetti giuridici

a quelli tipici del predetto istituto ».

(omissis)

3. Il primo mezzo di ricorso è infondato.

3.1. Nella motivazione della sentenza impugnata è chiaro il ragionamento volto alla identificazione ed alla

qualificazione del documento, in termini di lettera di patronage, della Compagnia a favore della Banca, senza che

si possa fondatamente parlare di un travisamento del suo tenore testuale.

3.2. Invero, la Corte territoriale afferma che tale garanzia, avrebbe un contenuto «forte» in quanto, con essa, il

«patrocinante» non si sarebbe limitato ad esternare la propria posizione di influenza ma avrebbe assunto un vero

e proprio impegno, così generandosi un'obbligazione su base negoziale, avente per oggetto un facere e una

finalità di garanzia.

4.3. Tale motivazione, per quanto succinta e riecheggiante l'espressione di una massima elaborata dalla

giurisprudenza di questa Corte, contiene comunque la necessaria qualificazione dell'atto di autonomia privata e le

connesse conseguenze giuridiche, che - come esposto dai giudici di merito - non possono essere ricondotte

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semplicisticamente a quella della garanzia fideiussoria (come afferma la ricorrente) ma a una forma di garanzia

sostanziale, costituita dalla volontà - giuridicamente vincolante - di assicurare l'adempimento dell'obbligazione del

terzo, in una delle molteplici forme possibili in cui è possibile addivenire ad esso (ad es. mettendo a disposizione

della debitrice la provvista per l'adempimento).

5. I1 secondo motivo, perciò, è del pari infondato, atteso che nella sentenza impugnata la qualificazione dell'atto

come lettera di patronage è ricostruita con piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche derivanti dalla

violazione dei relativi impegni, onde la coerente conclusione circa l'accertamento dell'esistenza di un danno

potenziale (la cui entità e sussistenza non sono state censurate dalla ricorrente).

6.In conclusione il ricorso, è infondato alla luce del principio di diritto secondo cui:

«con riguardo alle cosiddette lettere di 'patronage', che una società capogruppo o controllante indirizzi

ad una banca, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società

controllata, l'indagine diretta a stabilire se le lettere medesime si limitino a contenere dati e notizie

sulla situazione del gruppo o sul rapporto di controllo, rilevanti al solo fine di mettere la banca in

condizione di valutare adeguatamente l'opportunità di riconoscere detto credito, ovvero implichino

anche l'assunzione di garanzia fideiussoria per i debiti della società controllata, si traduce in un

accertamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, se correttamente ed

adeguatamente motivato» (Cass., sez. 1, 9 maggio 1985, n. 2879).

7.2 Cass., Sez. III, sentenza 25 settembre 2012, n. 16259

(omissis) Nel SECONDO MOTIVO si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1333,1176,1218,1362 ss,

1337,1338,1381,1936 ss,1987,2043 cc e 2967 cc., art.4 commi 2 e 3 legge 1992 n.59 in relazione allo art.360 n.3

c.c. ; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione e vizio logico in relazione allo art.360 m.5 c.p.c. .

QUESITO nei seguenti termini: "Se la dichiarazione rilasciata dal socio di minoranza esuli dal campo

degli obblighi giuridicamente rilevanti; dica inoltre la Corte se la obbligazione del patronnant sia di

mezzi, con conseguente onere del creditore di provare la mancanza di diligenza del patronnant, ovvero

di risultato e, in questo ultimo caso, se il patronnant, che dimostri di avere agito in buona fede e

correttezza e provi di aver fatto tutto il possibile affinché il patrocinato adempisse agli impegni assunti

verso il creditore, possa essere esente da responsabilità:" . TERZO MOTIVO si deduce violazione e falsa

applicazione degli artt. 1176,1218,2697 comma secondo c.c. e vizio della motivazione omessa, insufficiente e

contraddittoria per vizio logico. Quesiti se gli artt. 1218 e 2697 debbano essere interpretati nel senso che il

giudice deve consentire al debitore la prova liberatoria e se debba prova liberatoria consista nella dimostrazione

dello specifico inadempimento che ha reso impossibile la prestazione,ovvero nella dimostrazione di avere

pienamente soddisfatto lo impegno di diligenza e di cooperazione richiesto secondo il tipo del rapporto

obbligatorio per la realizzazione dello interesse del creditore; b. se l'art.2697 comma secondo cc debba essere

interpretato nel senso che il giudice deve consentire alla parte di provare i fatti su cui si fonda la eccezione. Nel

QUARTO MOTIVO si deduce error in iudicando per violazione degli artt. 1936.1937,1938 0.0. e vizio

logico della motivazione per contraddittorietà, sul rilievo che la norma dello art.1939 c.c. si applichi

anche alle lettere di patronage.( omissis) IL secondo motivo è inammissibile in relazione alla errata

formulazione dei quesiti, che ipotizzano alternative tra di loro inconciliabili: dapprima si sostiene che il socio di

minoranza possa fare promesse anche insensate e non obbligatorie; subito dopo si sostiene che essendo valide

tali promesse occorreva stabilire se queste erano di mezzi e di risultato ,e in ordine a tale valutazione si

propongono regole di comportamento per il patronnant. Sfugge al ricorrente la ampia e coerente motivazione

data dalla Corte di appello a ff 8 e ss della parte argomentativa e ricostruttiva del rapporto, come obbligazione

di garanzia atipica con promessa di risultato, sia pure a contenuto lo variabile,con ogni conseguenza ai

fini della liberazione del patronnant dal risarcimento dei danni da inadempimento, ai sensi dello

art.1218 c.c. dovendo lo stesso fornire la prova che lo inadempimento è stato determinato da

impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Tale sintesi descrittiva contrasta in

pieno con le alternative come sopra proposte, e non risulta correttamente censurata. Il terzo motivo è infondato,

in guanto censura proprio il punto della motivazione che applica al rapporto di garanzia atipico, che per

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locuzione dottrinale si configura come patronage con obbligazione di risultato, la unica disciplina possibile

desunta del regime generali delle obbligazioni, e cioè quella dello esatto adempimento in relazione alla natura

della promessa formulata, da ritenersi lecita e valida e non viziata, come si deduce, ma infondatamente, nel

settimo motivo. La chiara ratio decidendi evidenzia come nessuna prova della impossibilità dello inadempimento

risulta proposta o dedotta: la Temaplast Scarl è stata dichiarata fallita proprio in ragione dello stato di insolvenza

che la dichiarazione di patronage assicurava invece che non si sarebbe verificato. INFONDATI risultano il

quarto ed il quinto motivo, che pretendono di applicare al patronage di risultato, la diversa disciplina

desunta per analogia dalla figura tipica della fideiussione, attesa la assoluta diversità oggettiva e

funzionale delle diverse garanzia utilizzate, onde risulta arduo risalire, in via dottrinaria o speculativa,

ad una configurazione di principi generali che non siano quelli propri del sistema delle obbligazioni

considerato nella parte generale e sistematica del codice civile. Non sussiste pertanto alcuna violazione

delle norme sostanziali dedotte e la motivazione è congrua e corretta in ordine allo accertamento della

responsabilità. INFONDATO il sesto motivo, in relazione alla legittimazione attiva delle Banche e dunque alla

statuizione solidale di condanna. Infondato il settimo motivo, posto che dalla motivazione emerge a chiare lettere

che nessun errore essenziale appare nella lettera di patronage, che invece è lo strumento che induce la Banca ad

una erogazione del credito a rischio di no fault. (omissis)