World Economic Scenario Giugno 2018 · Gli USA stanno mostrando segnali tipici di un ciclo...

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# 2 | giugno 2018 “Con la svolta restrittiva della Fed, torneremo a vedere tassi reali sui Fed funds positivi per la prima volta da un decennio. Al momento abbiamo visto volatilità solo a sprazzi. Tuttavia, il rischio è di vedere un sell-off più sistemico e sostenuto.” Dino Kos “La riforma dell’Eurozona è stata messa definitivamente in secondo piano. Il grande tema del momento è l’immigrazione.” Eric Chaney “I contrasti tra la Cina e l’Occidente dureranno per molti anni.” Andy Xie

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# 2 | giugno 2018

“Con la svolta restrittiva della Fed, torneremo a vedere tassi reali sui Fed funds positivi per la

prima volta da un decennio. Al momento abbiamo visto volatilità solo a sprazzi. Tuttavia, il

rischio è di vedere un sell-off più sistemico e sostenuto.”

Dino Kos

“La riforma dell’Eurozona è stata messa definitivamente in secondo piano. Il grande tema del

momento è l’immigrazione.”

Eric Chaney

“I contrasti tra la Cina e l’Occidente dureranno per molti anni.”

Andy Xie

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Questa estate la ripresa economica negli USA segnerà il suo decimo

anno di vita, diventando una delle più lunghe riprese della storia del

Paese. Eppure, a un decennio dall’inizio dell’attuale ciclo economico, i tassi

d’interesse in dollari restano vicini a zero in termini reali, nonostante il trend

d’inflazione relativamente favorevole e il contesto finanziario che hanno

permesso alla Fed di tenere dritta la rotta.

Tuttavia, molti dei pilastri del mondo post-GFC (crisi finanziaria globale)

sembrano modificarsi. Nell’ultimo trimestre, lo scenario per gli investimenti

ha risentito sia delle crescenti incertezze sulla direzione in cui procederà la

globalizzazione, sia del ben più serio restringimento delle condizioni

finanziarie “core”, che si sono tradotte in un dollaro più forte, un

appiattimento della curva dei rendimenti USA e un ampliamento degli

spread nel segmento High Yield. Quest’anno, a oggi, abbiamo assistito a

un aumento della volatilità e a una serie di episodi di sell-off sui

mercati. Guardando avanti alla seconda metà del 2018, appare

probabile che la bilancia dei rischi penda ancor più verso il basso.

In questa occasione di dibattito, Dino Kos, Eric Chaney e Andy Xie, influenti

commentatori del contesto economico globale, hanno condiviso il loro

pensiero su questi e altri temi macroeconomici. ■

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Sommario

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■ L’economia USA è giunta al decimo anno di espansione: ci troviamo

in una fase matura del ciclo, secondo molte misure.

■ Al rientro dei tassi monetari reali in territorio positivo per la prima

volta in un decennio, le tensioni potrebbero estendersi dalla

periferia dei mercati emergenti fino ai mercati core.

■ I rischi d’inflazione sono in aumento, e l’inflazione sta già

aumentando.

■ La riduzione del bilancio della Fed, insieme con l’accrescersi dei

deficit fiscali, comporta ulteriori rischi al rialzo sui tassi USA, a

causa dell’incremento dell’offerta di carta.

■ Le politiche monetarie stanno divergendo a livello mondiale, con la

Fed considerata da molti in ritardo rispetto alla curva, mentre altre

banche centrali non sono nella posizione di attuare un

restringimento.

Gli USA stanno mostrando segnali tipici di un ciclo economico maturo. Stiamo

entrando nel decimo anno di espansione, dunque il ciclo è storicamente molto lungo.

Benché questo non implichi che non possa continuare ancora per un certo periodo,

data la natura del calo dal quale si è partiti, siamo comunque in una fase matura del

ciclo, in base a qualsiasi misura. Il tasso di crescita nel secondo trimestre è previsto

al 4%, rispetto a un tasso di crescita potenziale stimato intorno al 2%, o anche

meno, secondo alcune misure. Anche il tasso di disoccupazione è a livelli

storicamente bassi. Il FOMC stima il tasso naturale di disoccupazione attorno al

4,5%, rispetto all’attuale livello di 3,8%. In sintesi, nella fase attuale del ciclo,

l’economia USA sta mostrando grande vigore. Tuttavia, a mio avviso questi

tassi di crescita probabilmente non sono sostenibili. Infatti, in alcune aree

abbiamo cominciato a vedere indicazioni di una mancanza di manodopera e del

fatto che esistano più offerte di lavoro che persone in cerca di un impiego. Per i

lavoratori statunitensi questa è una buona cosa, naturalmente, perché significa che

possono ottenere aumenti di salario. Ma tutti questi elementi suggeriscono che gli

USA si trovano in una fase molto avanzata del ciclo economico.

Nonostante la forza dell’economia, il tasso Fed fund reale è ancora a circa zero.

DinoKos

“L’economia USA sta

mostrando grande vigore. Questi tassi di

crescita probabilmente

non sono sostenibili.”

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Possiamo discutere di quale sia il miglior tasso di inflazione, ma in ogni caso, con il

tasso d’interesse monetario (o il tasso sui Fed funds) vicino al 2%, e l’inflazione a

circa 2%, siamo essenzialmente passati dall’avere 10 anni di tassi reali negativi

a un tasso che è adesso a circa zero e che comincerà a entrare in territorio

positivo. Tuttavia, poiché i tassi reali sono ancora relativamente bassi, la domanda

resterà sostenuta. Al contempo, le politiche fiscali sono diventate più espansive. A

seguito della riforma delle tasse dello scorso dicembre, e della legge sulla spesa

approvata a gennaio, la spesa pubblica americana risulterà molto più elevata di

quanto atteso da chiunque. Questo certamente contribuirà a estendere il ciclo

positivo, ma il prezzo da pagare potrebbe essere un surriscaldamento

dell’economia.

I rischi d’inflazione stanno aumentando notevolmente, e continueranno ad

accrescersi all’ulteriore chiudersi dell’output gap. Alcune misure di inflazione

riflettono già queste tendenze. Fino alla fine dell’anno scorso, i mercati non stavano

affatto scontando un simile scenario. Da un decennio, viviamo in un contesto di

inflazione all’1,5-2,0%, o anche più, se torniamo indietro verso l’inizio di questo

secolo. C’è, molta inerzia a livello di inflazione e di aspettative d’inflazione, che una

volta ancorate non si muovono granché. Tuttavia, siamo in un contesto nuovo, ora.

Le autorità stanno scommettendo che le pressioni di prezzo verranno contenute da

un aumento della partecipazione alla forza lavoro – attualmente a livelli storicamente

bassi – al ritorno dei lavoratori scoraggiati nel mercato del lavoro. A fare da

contraltare a questa tendenza è l’invecchiamento della popolazione, che è un tema

ben noto, ma anche il fatto che gli esclusi dalle forze lavoro potrebbero non avere le

competenze richieste dalle imprese, soprattutto nei settori nuovi e più dinamici. Per

ironia della sorte, storicamente molte di queste lacune sono state colmate negli USA

dagli immigrati, che tuttavia ora si trovano di fronte a un atteggiamento politico molto

negativo.

Alla luce di tutto questo, mi sorprende vedere come nelle previsioni ufficiali ci si

aspetti un continuo miglioramento del mercato del lavoro senza alcuna

ripercussione sui tassi d’inflazione. Credo che questo sia piuttosto ottimistico.

Naturalmente, se l’inflazione non aumenta, le politiche monetarie e fiscali

possono essere calibrate per mantenere in vita il ciclo positivo per altri 18

mesi, fino a dopo le prossime elezioni, e poi oltre il 2020.

“Se l’inflazione

non aumenta, le politiche

monetarie e fiscali

possono essere

calibrate per mantenere in

vita il ciclo positivo per

altri 18 mesi.”

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Tuttavia, io non credo che l’andamento dell’inflazione sarà così blando, e a un

certo punto la Fed si troverà a dover attuare un restringimento più aggressivo, se

non nel 2018, subito dopo, all’aumentare dell’inerzia del trend d’inflazione. Questo

potrebbe indubbiamente creare tensioni tra la Fed e il nuovo ramo esecutivo, il che

determinerebbe una volatilità ancore maggiore di quanto incorporata nel mio

scenario di base. Come abbiamo visto a gennaio, appena il mercato ha la

percezione che la Fed sia in ritardo rispetto alla curva, può reagire molto

negativamente. Credo che questi rischi vadano presi seriamente in considerazione

dagli investitori.

L’economia USA è forte, ma le condizioni finanziarie hanno già intrapreso

un’inversione, e l’appiattimento della curva deli rendimenti ne è un aspetto. Gli

spread nel segmento High Yield hanno cominciato ad ampliarsi, benché da un punto

di partenza molto basso, e il dollaro è in rafforzamento. Nel frattempo, la volatilità dei

corsi azionari è aumentata, e le valutazioni si sono contratte. Secondo molti segnali,

stiamo assistendo a un restringimento delle condizioni finanziarie globali: il trend è

molto chiaro ed è probabile che continui. Questo potrebbe costituire una fonte di

ulteriore volatilità sui mercati finanziari nei prossimi mesi e trimestri.

La mia percezione è che, sotto la leadership di Jerome Powell, gli investitori non

potranno attendersi che la Fed cambi prontamente il proprio orientamento in caso di

un calo delle attività di rischio. In altre parole, credo che il Presidente Powell si

mostrerà probabilmente meno sensibile a modeste correzioni di mercato rispetto al

suo predecessore, Janet Yellen. Naturalmente, Powell è in carica solo dallo scorso

febbraio, pertanto ci vorrà del tempo per comprendere come intenda dispiegare la

sua politica, e in particolare come la funzione di reazione della Fed possa cambiare

sotto la sua guida. Greenspan fu a capo della Fed per 19 anni. Dopo il decimo anno,

gli investitori avevano compreso il modus operandi della Fed, e avevano capito che

esisteva una sorta di soglia oltre la quale la Fed sarebbe intervenuta nel caso di una

correzione delle quotazioni delle attività finanziarie. In un certo senso, il prezzo

‘strike’ di tale ‘put’ era inferiore, ma non troppo, a quello di mercato. Io ritengo che

il prezzo ‘strike’ del ‘Put di Powell’ possa essere leggermente inferiore del

prezzo di mercato, ma non sono sicuro che i mercati lo comprendano davvero.

“L’economia USA è forte, ma

le condizioni finanziarie hanno già intrapreso

un’inversione.”

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A oggi, Powell ha distanziato la Fed dagli effetti secondari del ciclo di restringimento,

quali gli effetti sui mercati emergenti. Inoltre, non essendo un economista, è

probabile che Powell sia più scettico nei confronti dei modelli economici e più

sensibile alle variabili osservabili rispetto ai suoi predecessori, che hanno dato molto

peso ad argomentazioni teoriche, quali la “r-star”, per giustificare il mantenimento di

tassi bassi.

Un altro aspetto è che, in coincidenza con questo restringimento monetario, l’offerta

di Treasury statunitensi aumenterà, il che è pura aritmetica, dati i livelli di spesa e

l’aumento del deficit. E, cosa importante, questo coinciderà con l’aumento dei

rimborsi della Fed, al ridursi del suo bilancio. Quando la Fed smetterà di reinvestire i

titoli in portafoglio a scadenza, tali titoli dovranno essere assorbiti dal mercato,

pertanto si avrà una diversa forma di offerta aggiuntiva, che aggiungerà ulteriori

pressioni al rialzo sui rendimenti.

Dato tale contesto per le politiche USA, è evidente che le politiche monetarie

stanno divergendo. Questo è un aspetto molto importante, date le implicazioni sui

tassi di cambio. La modalità del restringimento monetario della Fed è cosa nota. Da

tempo la Fed sta alzando i tassi a un ritmo regolare di 25 punti base, e al contempo

la riduzione del bilancio della Fed, che è cominciato a piccoli passi, sta accelerando,

e ogni tre mesi le somme aumentano. Data questo ritmo molto regolare e prevedibile

di rialzi, non è chiaro se la Fed si troverà in ritardo rispetto alla curva nel corso di

quest’anno o all’inizio dell’anno prossimo. Questo è certamente un aspetto al quale il

mercato farà attenzione. Mentre la Fed è impegnata ad alzare i tassi e a segnalare

un restringimento ancora maggiore, la BCE si sta impegnando a mantenere i tassi al

livello attuale fino alla fine dell’estate del 2019. Per certi versi, questo offre una

garanzia che i differenziali dei tassi di interesse si amplieranno, il che

dovrebbe avere chiare implicazioni per le valute. Infatti, abbiamo visto un segnale

di ciò nella forma dell’apprezzamento del dollaro rispetto all’euro nelle ultime

settimane.

Come ho detto prima, continuo a pensare che potremo avere un periodo di maggiore

volatilità in chiusura di quest’anno. A mio avviso, i rischi geopolitici sono più

bassi ora. Nonostante le dispute commerciali, la situazione nella penisola coreana è

molto migliorata e, al tempo stesso, l’aumento del prezzo del petrolio ha dato un po’

più di respiro ai Paesi del Medio Oriente.

“I rischi geopolitici

sono più bassi ora.”

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A oggi, abbiamo avuto diversi episodi di volatilità: il sell-off azionario nel primo

trimestre, lo stress su alcuni mercati emergenti quali l’Argentina e la Turchia, e le

tensioni generate dalle elezioni italiane e dal loro esito, con la difficile formazione di

un governo. Ritengo che potremo vedere altri episodi simili. Tuttavia, ciò che mi

preoccupa di più è il rischio di un sell-off più sistemico e sostenuto. Da un

punto di vista finanziario, credo che potremo assistere a una maggiore volatilità

perché, con il rialzo dei tassi della Fed, vedremo per la prima volta da un decennio il

passaggio a un tasso reale sui Fed funds positivo. Le obbligazioni high yield e dei

mercati emergenti, nonché il mercato dei junk bond sono molto vulnerabili, ed

è in queste aree che starei attento a cogliere segnali di stress, che spesso

precedono movimenti di sell-off nei mercati azionari più in generale. Sarà

importante verificare se solo la periferia, o le aree periferiche del mercato

emergente, saranno vulnerabili al restringimento o se le tensioni

cominceranno a farsi strada anche verso il centro, verso i mercati core.

A questo proposito, ho visto uno studio analitico l’altro giorno secondo cui in un

ampio campione di imprese USA, una quota a doppia cifra, tra il 10 e il 15 per cento,

lamentava la difficoltà a coprire anche solo le spese per interesse – e questo in un

contesto di tassi molto bassi; stiamo ora passando a un contesto di tassi più elevati.

Sarà importante monitorare le pressioni sui margini, al restringersi delle condizioni di

finanziamento e rifinanziamento. Questo è uno scenario che mi preoccupa. La

maggioranza degli economisti, tra cui molti della Fed, considererà il livello ancora

basso dei tassi d’interesse, in termini storici, e concluderà che gli investitori

dovrebbero restare ottimisti sulle prospettive economiche. I traders, al contrario,

danno più importanza alle traiettorie che ai livelli: la traiettoria attesa verrà scontata e

confrontata con la traiettoria delle autorità monetarie. In passato, negli anni 2010-

2012, molti operatori di mercato erano scettici sul sentiero previsto della Fed, così

come lo ero anche io. Ritenevamo che i tassi sarebbero rimasti bassi. Ora credo

che potremmo essere nella fase inversa. Penso che questo tema resterà

importante nella seconda metà del 2018, e che siano possibili cali sui mercati

azionari e più in generale tra le attività ad alto beta. La prima metà dell’anno può

aver offerto agli investitori Sharpe Ratio bassi, in termini generali, ma i guadagni ci

sono stati comunque. Nella seconda metà, credo che avremo ratio ancora più bassi,

perché ci sono molti fattori che potrebbero determinare un aumento della volatilità.

Io prevedo uno Sharpe Ratio ben al di sotto dell’unità per la rimanente parte di

quest’anno.

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“Ciò che mi preoccupa di

più è il rischio di un sell-off

più sistemico e sostenuto.”

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A oggi, abbiamo avuto diversi episodi di volatilità: il sell-off azionario nel Q1, lo stress

su alcuni mercati emergenti quali l’Argentina e la Turchia, e le tensioni generate dalle

elezioni italiane e dal loro esito, con la difficile formazione di un governo. Ritengo che

potremo vedere altri episodi simile. Tuttavia, ciò che mi preoccupa di più è il rischio

di un sell-off più sistemico e sostenuto.

Non ho parlato finora delle dispute commerciali, intenzionalmente, perché non

credo che si vorrà scatenare una vera e propria guerra commerciale, che

porterebbe a un drastico calo dei volumi degli scambi, come accadde per esempio

negli anni ‘30. Negli anni ‘80, i forti squilibri esterni vennero affrontati di comune

accordo tra gli USA e il Giappone, con un forte aggiustamento dei tassi di cambio.

Non credo che questa ricetta possa risolvere i problemi in questo caso, soprattutto

considerato che tra gli USA e la Cina, tra cui intercorrono i più grandi squilibri

commerciali, gli USA mirino a ottenere non solo una riduzione del deficit

commerciale, ma soprattutto un maggiore accesso al mercato cinese, e vogliano

affrontare il problema del trasferimento di tecnologia e dei furti di proprietà

intellettuale. La posta in gioco è di quelle che non possono necessariamente essere

risolte da organismi quali il WTO o un coordinamento delle banche centrali – ci sono

in gioco principi politici più fondamentali. E a questo proposito, credo che negli USA

la gente si stia già abituando al modo di operare di Trump – Trump è scettico sul

commercio, e su questo tema ci sarà molto rumore fintanto che lui sarò presidente.

In particolare, ha molto a che fare con questioni personali e l’accumulo di potere

negoziale.

Tuttavia, il fatto che abbia fatto un passo indietro sulla società di telecomunicazioni

cinese, per esempio, è un’indicazione che non vuole una guerra commerciale a tutto

campo. Naturalmente, Trump continuerà a usare le proprie tattiche di negoziazione

e le proprie minacce, che secondo lui rafforzano la posizione negoziale degli Stati

Uniti e portano benefici nel breve termine. ■

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“Non credo che si vorrà

scatenare una vera e propria

guerra commerciale.”

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Eric Chaney

■ Per quanto riguarda il commercio mondiale, la Cina ha molto più da

perdere degli USA, ma gli USA hanno più da perdere rispetto all’UE.

■ Il restringimento delle condizioni finanziarie globali è un rischio

globale; i mercati emergenti sono particolarmente vulnerabili.

■ La questione del debito italiano è di natura prettamente domestica, e

gli indicatori finanziari stanno migliorando. Tuttavia, gli squilibri

rispetto agli obiettivi sono un punto di forte conflitto tra gli Stati

membri dell’Eurozona.

■ I principali rischi in Europa sono di natura politica, e le relazioni tra i

membri dell’UE reteranno difficili nel prossimo futuro.

■ Il ritorno sugli investimenti sarà deludente, e sarà più probabile un

aumento di volatilità che un calo.

Guardando indietro, le indagini presso le imprese svolte a inizio anno avevano

ragione nel segnalare un rallentamento dell’economia globale. Io ho sempre

sostenuto che questi sondaggi sono importanti e affidabili, perché aggregano dati e

traducono le informazioni in arrivo direttamente dalle imprese. Gli indicatori

suggeriscono che i grandi esportatori tedeschi, per esempio, prevedono una svolta

nell’andamento degli affari, magari non per il peggio, ma comunque verso livelli più

normali – benché restino ottimisti sulla fase attuale. Questo è il caso in particolare

per il settore dei beni strumentali, in cui le imprese esprimono giudizi

progressivamente più negativi sul medio periodo. E negli USA, se mettiamo a

confronto l’indicatore di produzione dell’ISM con il libro ordini dei mesi precedenti,

vediamo anche un chiaro deterioramento a marzo e successivamente. Ritengo

questo indicatore di “sorpresa” un buon anticipatore dell’attività economica.

Questi sviluppi sono legati alle preoccupazioni per il commercio globale e al rischio

di un generalizzato incremento dei dazi commerciali. Sono resi più gravi, a mio

avviso, dalle brutali tattiche negoziali di Donald Trump. Molte delle promesse

elettorali di Trump erano incentrate sul commercio globale e sul punire i Paesi con

avanzi commerciali. Come abbiamo visto nel caso della Corea del Nord, il modus

operandi della nuova amministrazione USA consiste nel creare prima il caos nelle

relazioni con le controparti estere, e poi vantare il raggiungimento di un accordo,

dipingendola come coerente con l’agenda politica. Pertanto, credo che le tensioni

resteranno alte tra gli USA e i suoi partner mondiali.

“Rischio di un generalizzato

incremento dei dazi

commerciali.”

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I danni collaterali maggiori saranno concentrati negli investimenti delle

imprese, perché le imprese hanno bisogno di un quadro futuro chiaro per poter

investire e assumere rischi. Quando si parla di commercio, non ci sono nemici né

amici, ma partner. In tale contesto, tutti i Paesi avrebbero da perdere, perché questi

sviluppi si traducono in una crescita inferiore dell’economia reale. Secondo uno

studio degli olandesi CPB, che considera l’effetto a 10 anni di una guerra

commerciale a tutto spiano, gli effetti di un aumento dei dazi sull’economia mondiale

non sarebbe affatto lineare. Lo studio conclude che la Cina sarebbe il Paese più

colpito. E gli USA hanno più da perdere rispetto all’Unione Europea. Questo è

un aspetto da sottolineare.

Gli USA e l’Europa si trovano in fasi diverse dei propri cicli economici.

Tuttavia, effettivamente le politiche monetarie si stanno muovendo nella

stessa direzione: negli USA i tassi d’interesse sono in rialzo e la BCE sta

riducendo gli acquisti di titoli. Possono esserci degli interrogativi sull’attuale corso

della BCE, ma il programma di acquisti verrà comunque concluso entro la fine

dell’anno, e Mario Draghi ha dichiarato che il primo rialzo dei tassi potrà venire dopo

l’estate del 2019 – benché credo che Draghi vorrà lasciare la prima mossa al suo

successore, che prenderà il timone della BCE a ottobre 2019. In ogni caso, stiamo

vivendo una fase di restringimento monetario a livello globale, che è evidentemente

un motivo di preoccupazione per i mercati emergenti. Uno dei punti più importanti

del Global Financial Stability Report del FMI ha a che fare con il ruolo delle banche

non-USA nei flussi di capitale in dollari verso i Paesi emergenti, a cui si collegano i

timori per le manovre restrittive della Fed.

Il restringimento delle condizioni finanziarie, soprattutto nell’area dollaro, è un

rischio globale, e questo è perfettamente in linea con quanto abbiamo visto

nei mercati emergenti, alcuni dei quali sono evidentemente più vulnerabili di altri.

Sui mercati finanziari, credo che i ritorni saranno deludenti, ed è più probabile

un aumento di volatilità che una diminuzione, il che significa che, al netto dei

rischi, le mie previsioni sono molto meno positive di quanto fossero prima.

Tuttavia, se devo fare una classifica, credo che gli Stati Uniti faranno meglio

dell’Europa, e l’Europa farà meglio dei mercati emergenti. Al contempo, credo che la

leadership della Fed, nominata da Trump, sarà sottoposta a pressioni enormi per far

sì che l’economia USA proceda senza scossoni almeno per i prossimi due anni, fino

alle prossime elezioni.

“Gli USA e l’Europa si

trovano in fasi diverse dei propri cicli economici.

Tuttavia, effettivamente

le politiche monetarie si

stanno muovendo

nella stessa direzione.”

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In Europa, gli sviluppi economici e finanziari hanno determinato un miglioramento

dei fondamentali. In particolare, il sistema bancario italiano sta finalmente

recuperando, e a un ritmo sorprendentemente rapido. Se prima la prospettiva di un

piano di ricapitalizzazione pubblico per l’Italia, in contrasto con molte regole UE,

poneva il rischio di un serio conflitto con la Germania, ora i dati mostrano che le

sofferenze in Italia sono in rapido calo, a un impressionante ritmo di circa -34% a/a

ad aprile. Voglio sottolineare inoltre che è importante capire che la questione del

debito italiano è prettamente domestica: a differenza della Spagna, che doveva

fare fronte a cospicui impegni esteri, la posizione netta internazionale dell’Italia in

termini di investimenti è praticamente bilanciata. E il debito aggregato italiano è in

linea con quello dell’aggregato dell’area Euro, o anche con gli USA, e molto più

basso rispetto alla Francia, dove il debito privato è in rapidissimo aumento.

Al contempo, c’è la questione degli squilibri di TARGET, che non è un fatto nuovo,

ma è comunque molto importante. Mentre i dati possono ora essere influenzati in

una certa misura dal programma di acquisto titoli della BCE, la realtà è che la

Germania ha una posizione netta in titoli superiore ai 900 miliardi di euro, dunque

assolutamente enorme. E l’Italia ha una posizione debitoria prossima a 450 miliardi

di euro. Fino a quando l’Eurozona resta intatta, questi squilibri non sono importanti.

Nel caso di una disaggregazione, invece, quale una potenziale ‘Italexit’, queste

posizioni diventerebbero reali, dovute al valore nominale. Questo significa che la

posta in gioco è molto alta e, nello specifico, la Germania ha troppo da perdere in

caso di dissoluzione dell’UE. Questo è un punto di grande e fondamentale conflitto

tra l’Italia e la Germania, e non c’è soluzione al momento. Continuerà a complicare i

rapporti tra i due Paesi. Per quanto riguarda le pretese tedesche, tuttavia, ci sarà

sempre una differenza tra retorica e realtà. Pertanto, i rapporti politici sono molto più

difficili di quanto sarebbero senza gli squilibri TARGET.

Di recente ho ascoltato un affascinante racconto sui primi passi del progetto euro, a

proposito dei negoziati tra Italia e Germania. All’inizio, la Germania non voleva che

l’Italia facesse parte dell’area Euro fin da subito. Poi, il cancelliere dell’epoca,

Helmut Kohl, venne convinto dal presidente francese Francois Mitterand e poi

Jacques Chirac che l’Italia doveva essere tra i membri fondatori. Kohl si rivolse al

Bundestag, che era contrario all’idea, chiedendo di ascoltare prima che cosa avesse

da dire l’Italia, per poi prendere una decisione.

“La questione del debito italiano è

prettamente domestica.”

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E la persona che sostenne le ragioni dell’Italia di fronte al Bundestag fu Mario

Draghi. Questo dice molto, a mio avviso, sui rapporti tra Italia e Germania. Quello

che voglio dire è che questa relazione sarà dolorosa e difficile ancora per molti anni.

In sintesi, i principali rischi in Europa sono politici. La politica è alla ribalta ora

sia in Italia che in Germania, soprattutto considerato che le posizioni anti-

establishment stanno continuando a guadagnare consensi, con l’immigrazione in

cima ai temi caldi della politica UE. Credo che il recente incontro tra Macron e la

Merkel, e la cosiddetta dichiarazione di Meseberg che ne è risultata, che traccia

un’ambiziosa mappa per le riforma dell’UE, debba essere presa per quello che è: la

Germania ha espresso sostegno per gli obiettivi della Francia solo a parole. Il

mondo è cambiato molto rispetto a 20 anni fa, quando Germania e Francia potevano

imporre la direzione nell’Unione Europea e poi nell’area Euro. Benché possa esserci

un certo sostegno per la direzione in cui vorrebbe muoversi la Francia, ossia verso

l’unione fiscale, da parte per esempio di Spagna e Italia, questa è una direzione in

cui la Germania realmente non vuole andare. Tuttavia, dato che Angela Merkel è

oggi alle prese con numerose sfide politiche nel proprio Paese, potrebbe avere

bisogno del sostegno della Francia. Pertanto, la mia interpretazione di questo

accordo di Meseberg è che siano solo parole, senza un reale impegno. La Germania

si è semplicemente detta d’accordo su alcuni temi. La cosa importante per la

Germania è il controllo delle politiche fiscali, che non è affatto ciò a cui aspira la

Francia. E così la Francia ha ottenuto tutte le definizioni che voleva (EMS, bilancio,

backstop…), e anche la Germania ha ottenuto il proprio scopo, ossia di evitare di

muoversi verso un’unione dei trasferimenti. Io lo vedo come un compromesso

formale tra Francia e Germania. A mio avviso, le riforme dell’Eurozone sono

ormai relegate in secondo piano. Il tema caldo adesso è l’immigrazione.

Penso inoltre che, dato lo stato attuale dei negoziati tra il Regno Unito e l’Unione

Europea, avremo una ‘Brexit’ disordinata. Direi che dobbiamo prenderlo per certo.

‘Brexit’ sarà il risultato di condizioni politiche su entrambe le sponde della Manica.

Nel lungo periodo, le relazioni si normalizzeranno e potranno anche essere

ottime, ma nel medio periodo saranno sfidanti, ma non simmetriche: sarà il

Regno Unito a uscirne peggio. Come sappiamo, l’UE ha un mercato dei beni

libero, con una totale assenza di frontiere, e le relazioni commerciali tra imprese

britanniche e dell’UE saranno molto diverse dopo l’uscita del Regno Unito dal

mercato unico.

“I principali rischi in

Europa sono politici.”

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Date queste tensioni politiche e i rischi, è difficile essere ottimisti sui mercati

finanziari europei e soprattutto sull’azionario: il premio per il rischio resterà

probabilmente alto. Le prospettive per l’azionario globale sono molto meno chiare di

quanto fossero alcuni mesi fa, nonostante la riforma fiscale negli USA, che è molto

positiva, ma essenzialmente già scontata dal mercato. A mio avviso, i mercati si

stanno concentrando sulle grandi incertezze economiche legate al commercio

mondiale. Il fatto che l’obbligazionario a lungo termine europeo non abbia

reagito alla posizione più aggressiva della Fed indica che i mercati

obbligazionari vedono un aumento della probabilità di una svolta al ribasso

della crescita USA e mondiale nel 2019-2020. Questo riguarderà in particolare,

visti i crescenti rischi al rialzo dell’inflazione, non solo gli USA, ma anche la

Germania, dove un mercato del lavoro con un eccesso di offerta sta già

determinando salari più alti. L’inflazione rappresenta un grosso rischio e deve

essere monitorata molto attentamente. E proprio come l’apertura delle frontiere

determina un calo dell’inflazione, qualsiasi impedimento al commercio mondiale

aggiunge pressioni al rialzo. ■

“I mercati si stanno

concentrando sulle grandi

incertezze economiche

legate al commercio mondiale.”

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AndyXie

■ La Cina sta andando bene, ma le tensioni tra gli USA e la Cina non si

placheranno.

■ Il tema sottostante più importante è lo sviluppo economico cinese,

non gli squilibri commerciali.

■ La Cina sta progredendo e sta cominciando a fare concorrenza

aggressiva anche nei settori industriali di alta gamma.

■ La reazione negativa dell’Occidente sarà più intensa e i contrasti tra

la Cina e l’Occidente perdureranno per molti anni.

■ Non vedo come il mercato azionario possa fare bene nel prossimo

futuro.

Ci sono tre importanti temi che riguardano la Cina, sui quali credo che gli investitori

debbano concentrarsi. Il primo è che i media finanziari stanno riportando dati

economici deboli, su produzione industriale e così via. Ma io ho appena avuto

incontri con una decina di imprese attive in diversi settori in Cina, e pare che

l’economia sia ancora forte, ed è la stessa impressione che si ha guardando il

prezzo del petrolio o dell’acciaio. Sembra proprio che l’economia cinese stia

andando ancora bene, per cui non sono preoccupato per le prospettive di crescita

nei prossimi mesi.

Tuttavia, da un punto di vista più globale, ci sono molte tensioni al momento, e non

credo che possano essere risolte facilmente. Nell’ultima puntata della schermaglia

commerciale, la Cina ha offerto agli USA 70 miliardi di dollari in acquisti aggiuntivi,

soprattutto in energia e agricoltura, ma gli USA hanno risposto con altri dazi. La

Cina ha poi minacciato ritorsioni, e gli USA hanno ulteriormente aumentato la

pressione. Data questa apparente escalation nel processo di negoziazione, credo

che ora la Cina si sia resa conto che questo tipo di risposta è controproducente,

pertanto credo che lascerà sedimentare le attuali condizioni. Credo che i dazi

verranno applicati, ma che dopo una forte potenziale correzione dei mercati

azionari, potranno esserci incentivi diversi da negoziare. Alla fine, a mio avviso non

ci sarà una guerra commerciale vera e propria: l’impatto sarà nell’ordine di alcuni

miliardi di dollari, non di decine di miliardi. Non credo che sarà un grosso problema,

nel medio periodo.

“Sembra proprio che l’economia cinese stia

andando ancora bene.”

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L’aspetto più preoccupante è che queste tensioni tra gli USA e la Cina non si

placheranno: Trump ha preso di mira la strategia industriale della Cina fino al

2025. E non è neppure la politica industriale in sé la cosa principale, ma il fatto che

la Cina sta realmente progredendo e sta entrando in molti nuovi settori, come

è naturale che sia, perché l’economia cinese è in crescita da 40 anni, e c’è un’intera

generazione di persone che sanno fare molte più cose di quanto la Cina fosse in

grado di fare in passato.

Ma come di consueto, quando in Cina si fa qualcosa di nuovo, sono in moltissimi a

salire subito sul carro, e il prezzo di quel qualcosa di nuovo crolla. Componenti per

l’iPhone che il Giappone produceva a un dollaro vengono ora venduti dalla Cina a

50 centesimi. Questo è solo un esempio del perché l’impatto della Cina

sull’economia globale continuerà ad essere travolgente e avrà conseguenze per

molte imprese occidentali, soprattutto con l’ingresso della Cina in questi nuovi settori

industriali.

Ed è anche per questo che non ritengo che l’inflazione globale crescerà molto

ancora per parecchio tempo, forse un paio d’anni. L’unica soluzione in termini

globali è una riduzione degli investimenti da parte della Cina. Oggi investe il 45% del

PIL, mentre la crescita economica è circa il 6%, di gran lunga troppo. C’è troppo

capitale in giro e qualsiasi cosa si mostri redditizia attira tonnellate di investimenti.

Questo comporta poi un crollo della redditività delle imprese, che porta giù anche

tutti quanti gli altri. Questo è un problema che la Cina deve affrontare, altrimenti

l’Occidente sarà sempre più colpito.

Credo che la reazione negativa dell’Occidente si farà più intensa e i contrasti

tra la Cina e il mondo occidentale perdureranno per molti anni a venire. Nel

breve termine, queste tensioni avranno probabilmente un impatto sullo sviluppo

della Cina, soprattutto nel settore dell’informatica, perché la Cina dipende ancora

dagli USA per le tecnologie di avanguardia, pertanto è questo l’ambito in cui gli USA

hanno più potere contrattuale e in cui potremmo vedere qualche turbolenza. Nel

complesso, tuttavia, queste politiche non fermeranno la Cina. Se pure la Cina

rallentasse un po’, continuerà a svilupparsi.

La disputa tra gli USA e la Cina non è solo una tattica negoziale, è un fatto

assolutamente reale. A mio avviso, gli USA alla fine si assesteranno e

troveranno un accordo con l’UE, per poi unire le forze per negoziare con la Cina.

“I contrasti tra la Cina e il

mondo occidentale

perdureranno per molti anni a

venire.”

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Tale processo scatenerà parecchia volatilità, che secondo me sarà visibile in

tutta la seconda metà di quest’anno. Questa non è una buona cosa per

l’azionario, né per i mercati emergenti.

Sotto la guida di Powell, la Fed farà un passo indietro e sospenderà la stretta in

caso di indebolimento dei mercati finanziari o delle economie emergenti? Io credo di

sì. Lo abbiamo visto molte volte in passato, negli ultimi 40 anni, quando la Fed

comincia a restringere le condizioni monetarie. Ogni volta, la Fed dice che

l’economia sta andando bene e che il ‘sud’ dovrebbe andare bene perché la stretta

significa che l’economia USA è in buona salute. Ma non funziona mai. È tutto legato

al mercato azionario e se dovesse calare, diciamo, di un 20%.

Nel frattempo, la Cina sta operando un deleveraging, la quantità di moneta è calata

notevolmente negli ultimi trimestri. È importante ricordare che la Cina è responsabile

di quasi il 40% della creazione di moneta a livello globale, e che le condizioni di

liquidità continuano a rimanere piuttosto restrittive, mentre al contempo la liquidità è

in calo anche a livello globale. Credo che questo contesto finanziario crei le

condizioni per un mercato al ribasso – non vedo come il mercato azionario possa

andare bene nel prossimo futuro, e non vedo come le tendenze possano invertirsi

presto. La volatilità è destinata ad aumentare ancora.

Eppure la questione più importante non è ciclica, ma geopolitica. È per questo

che le attuali tensioni con gli USA non possono essere risolte comprimendo i deficit

commerciali, o aggiustando i tassi di cambio, come accadde con il cambio USD/JPY

nel 1985. Gli squilibri che oggi stanno arrivando a un punto di rottura sono molto più

profondi. Naturalmente, sarebbe un bene per la Cina rivalutare lo yuan, che è

effettivamente molto sottovalutato. La sottovalutazione della valuta riflette la struttura

macroeconomica di base della Cina nonché l’eccesso di risparmio e l’eccesso degli

investimenti, un fatto deflazionistico, e non solo per la Cina, ma anche per il resto

del mondo.

A mio avviso, questo stato di eccessivo investimento riflette molto bene la strategia

politica di lungo termine del Partito Comunista per controllare il Paese. Il Partito

dipende dal fatto che l’eccesso di risorse venga nella disponibilità del governo. Si

tratta di una questione politica e ideologica.

“Non vedo come il

mercato azionario

possa andare bene nel

prossimo futuro.”

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Pertanto, credo che i prossimi anni saranno molto sfidanti per i leader

mondiali, e che la Cina farà un gioco duro. La Corea del Nord, o quello che sta

succedendo con la Russia, o il CEO della Shanghai Security Organization… sono

tutti esempi di correnti politiche di fondo. Ritengo che ci saranno molti altri eventi nei

prossimi mesi e nei prossimi anni che relegheranno in secondo piano i temi che oggi

occupano tanto del nostro tempo. La gente osserverà lo sviluppo di questi eventi e il

mercato diventerà molto volatile. ■

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DinoKos

Dino Kos, già Responsabile “Mercati” presso la Federal Reserve Bank di New York, è

Vice Presidente Esecutivo presso CLS Bank International, New York. Nel 2011 è stato

co-fondatore di Hamiltonian Associates Ltd. New York, una società specializzata nella

consulenza su temi macroeconomici. Ha lavorato presso Hamiltonian Associates tra il

2011 e il 2013, offrendo consulenza a hedge fund, fondi comuni e altri investitori su

ciclo economico, valute e mercati obbligazionari. In precedenza, Dino Kos è stato

Direttore Generale di Portales Partners LLC New York (2008 – 2011) e Direttore

Generale e Direttore Globale del dipartimento “Banche centrali e fondi sovrani” di

Morgan Stanley Investment Management Hong Kong (2007 – 2008). Tra il 1985 e il

2007 ha lavorato presso la Federal Reserve Bank of New York dove nel 2001 è

diventato Vice Presidente Esecutivo del “Markets Group”. ■

Eric Chaney

Eric Chaney è consulente su temi macroeconomici e geopolitici presso Institut

Montaigne e tramite la sua società, EChO. È stato Capo Economista Globale del

Gruppo AXA dal 2008 al 2016. Tra il 2000 e il 2008 è stato Capo Economista per

l’Europa presso Morgan Stanley, dove era entrato nel 1995. Precedentemente è stato

a capo del dipartimento Previsioni dell’istituto statistico francese INSEE e responsabile

delle previsioni e analisi economiche globali del Ministero del Tesoro francese. È

membro del Comitato Scientifico dell’Autorità di supervisione dei Mercati Francesi

(AMF). Dal 2014 è vicepresidente del Consiglio di Amministrazione di IHES (Institut

des Hautes Etudes Scientifiques). ■

AndyXie

Andy Xie è economista indipendente ed editorialista del “South China Morning Post”.

Nel 2013, Bloomberg Magazine lo ha inserito nella sua classifica delle 50 persone più

influenti dell’anno. La cinese First Finance lo ha nominato economista dell’anno per il

2011.

Inizia la sua carriera di economista presso la Banca Mondiale, dove tra il 1990 e il 1995

si occupa di industria, commercio, del settore bancario e di progetti di assistenza

nell’ambito delle telecomunicazioni in Indonesia e altri Paesi insulari del Pacifico. Tra il

1995 e il 1997 è direttore associato della Macquarie Bank a Hong Kong e a Singapore.

Nel 1996 entra in Morgan Stanley dove lavora fino al 2006 in qualità di Capo

Economista per la Cina. ■

Eurizon Advisory Board

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Nulla del contenuto del presente documento deve essere inteso come ricerca in materia di

investimenti o come una comunicazione di marketing né una raccomandazione o

suggerimento, implicito o esplicito, rispetto ad una strategia di investimento avente ad

oggetto gli strumenti finanziari o emittenti strumenti finanziari né come una sollecitazione o

offerta, né come consulenza in materia di investimenti, legale, fiscale o di altra natura.

Le informazioni vengono aggiornate su base trimestrale.

Le opinioni, previsioni o stime contenute nel presente documento sono formulate con

esclusivo riferimento alla data di redazione, e non vi è alcuna garanzia che i risultati o

qualsiasi altro evento futuro saranno coerenti con le opinioni, previsioni o stime qui

contenute. ■

Eurizon Capital SGR S.p.A.Sede Legale: Piazzetta Giordano dell’Amore, 3 - 20121 Milano - ItaliaTel. +39 02 8810.1 - Fax +39 02 8810 65 00Capitale sociale eur 99.000.000,00 i.v. - Codice Fiscale e n. Iscrizione Registro Imprese di Milano 04550250015 - Partita IVA n. 12914730150 - Iscritta all’Albo delle SGR, al n. 3 nella Sezione Gestori di OICVM e al n. 2 nella Sezione Gestori di FIA - Società soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Intesa Sanpaolo S.p.A. ed appartenente al Gruppo Bancario Intesa Sanpaolo, iscritto all’Albo dei Gruppi Bancari. Socio Unico: Intesa Sanpaolo S.p.A. –Aderente al Fondo Nazionale di Garanzia

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