Weekly Report N°12/2015

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www.bloglobal.net N°12, 26 APRILE 9 MAGGIO 2015 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 26 aprile-9 maggio 2015

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N°12, 26 APRILE – 9 MAGGIO 2015

ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 10 aprile 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Weekly Report N°12/2015 (26 aprile – 9 maggio 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net

Photo credits: Reuters; Reuters/Ognen Teofilovski; Marit Hommedal/NTB Scanpix/Reuters; Il Messaggero; AP Photo; Emil Salman/Haaretz; White House; Yahya Arhab/European Pressphoto Agency;

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FOCUS

ARABIA SAUDITA ↴

In una fase estremamente delicata per la monarchia saudita, alle prese con la caotica

situazione in Yemen, la storica rivalità con l’Iran e le tensioni sunniti-sciiti, Re Salman

bin Abdulaziz al-Saud, insediatosi nel gennaio 2015, ha apportato a sorpresa alcuni

cambiamenti strategici nelle fila del governo. Il Principe ereditario Muqrin è

stato sostituito dal Ministro dell’Interno Mohammed bin Nayef, nipote del Re, vicino

agli USA e fermo oppositore di al-Qaeda. Il rango di vice Principe ereditario è stato

concesso al giovane Mohamed bin Salman, figlio del sovrano, attualmente alla guida

del Ministero della Difesa e dell’intervento militare saudita in Yemen. Mohamed bin

Salman, considerato nel mondo arabo l’uomo forte del Regno e lodato per le grandi

capacità strategiche nel decreto di nomina reale, è anche vice Primo Ministro e Diret-

tore del Consiglio di Affari Economici e di Sviluppo e controlla la sicurezza interna in

coordinamento con il Ministro dell’Interno e quello della Guardia Nazionale, Principe

Mitab bin Abdalà. Il nuovo Ministro degli Esteri, in sostituzione di Saud al-Faysal, è

l’attuale Ambasciatore negli Stati Uniti Adel al-Jubeir, ritenuto vicino al Re ed espo-

nente attivo sulla scena mediatica statunitense. Al-Faysal, che era alla guida della

diplomazia saudita dal 1975, è stato nominato consigliere e inviato speciale del Re e

supervisore per gli affari esteri. L’amministratore delegato della compagnia nazionale

di idrocarburi Saudi Aramco, Khalid al-Falih, è stato scelto come nuovo Ministro della

Sanità; Mufrej al-Haqbani ha rimpiazzato al dicastero del Lavoro Adel al-Fakieh, che

è stato promosso alla guida del Ministero dell’Economia e della Pianificazione econo-

mica.

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Sul piano regionale, il 5 maggio si è tenuto a Riyadh un attesto vertice straor-

dinario del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). A tener banco le que-

stioni relative all’unità intra-araba del consesso e i principali dossier di politica me-

diorientale. Se da un lato si affrontavano i problemi sorti all’interno dell’organizza-

zione dopo il diniego omanita ad accettare l’evoluzione del GCC da consesso di coo-

perazione politica ed economica ad un’Unione del Golfo in chiave soprattutto militare,

a guida saudita e in funzione anti-iraniana, dall’altro sono stati discussi i numerosi

dossier ancora aperti nella regione: crisi yemenita, conflitto in Siria, Iraq e dossier

nucleare iraniano. Per la prima volta ha partecipato un leader europeo, il Pre-

sidente francese Hollande, in Qatar per la firma di un contratto di vendita di caccia

Rafale. La riunione del GCC, creato nel 1981 tra Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait,

Oman, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, è stata anche un’occasione per discutere del

rafforzamento delle relazioni bilaterali all’interno e all’esterno della regione del Golfo

Persico/Arabico. Proprio in tale ottica i leader dei 6 Paesi saranno ricevuti il 13-14

maggio alla Casa Bianca da Obama e il giorno successivo in un incontro a Camp

David.

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EUROPA/SICUREZZA ↴

Sono in corso dal 4 maggio operazioni di addestramento militare su larga scala

nella regione del Baltico. L’Estonia ha lanciato la più grande operazione di adde-

stramento terrestre della sua storia (“Operazione Siil-2015” o “Hedgehog”, preceduta

a fine aprile da “Tornado”, esercitazione congiunta con gli USA), che durerà fino al

prossimo 15 maggio e che vede il coinvolgimento di 13.500 soldati provenienti da

tutti i Paesi NATO (tra cui 7mila riservisti e numerosi volontari dell’Estonian Defense

League) con lo scopo di testare il livello di risposta alle minacce esterne nel più

ampio contesto di “Atlantic Resolve” (OAR), operazione istituita nel quadro

dell’European Reassurance Initiative scaturita dalla crisi ucraina.

Allo stesso modo “Lightning Strike”, le più ampie esercitazioni mai avvenute in Litua-

nia grazie alla partecipazione di circa 3mila soldati, è focalizzata sul rafforzamento

della cooperazione tra le autorità militari e civili contro le cosiddette “minacce ibride”,

puntando sulla difesa da attacchi terroristici informatici legati ad aerei di linea com-

merciali.

Nel Mar del Nord e nel Canale dello Skagerrak ha preso avvio “Dynamic Mon-

goose”, esercitazione anti-sommergibile annuale della NATO – che vede la parteci-

pazione di circa 5mila soldati provenienti da 10 Paesi dell’Alleanza Atlantica nonché

l’impiego di nove fregate, due navi rifornimento, 4 sottomarini, tre aerei antisom ed

elicotteri – a cui hanno preso parte per la prima volta anche forze della Svezia.

Nelle scorse settimane (27-28 aprile) la Marina finlandese, nel corso di alcune ope-

razioni di pattugliamento a largo di Helsinki, aveva peraltro lanciato l’allarme per la

presunta presenza di attività sottomarina – riconducibile probabilmente alla

Russia – in un episodio analogo a quello accaduto alla Svezia alcuni mesi fa; il Ministro

della Difesa finlandese Carl Haglund ha annunciato che alcune cariche di profondità

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sono state sparate come avvertimento e che sono stati allertati almeno 900mila ri-

servisti in vista di una potenziale situazione di crisi.

Contemporaneamente l’Alleanza Atlantica ha deciso il trasferimento momen-

taneo del proprio quartier generale meridionale da Napoli a Cincu, in Roma-

nia, in occasione dell’esercitazione militare Trident Joust che si svolgerà dal 17 al 28

giugno per testare le capacità di reazione di una forza militare multilaterale.

La risposta della Russia, già attiva negli ultimi mesi con diverse operazioni addestra-

mento in un arco geografico dal Caucaso al Mar di Barents e che – come dichiarato

dal Ministro della Difesa Serghej Shoigu, sta per rinnovare la produzione del Tupolev

Tu-160 “Blackjack”, il bombardiere a lungo strategico supersonico e utilizzabile per

l’interdizione navale –, vedrà – come già anticipato nelle scorse settimane e ora con-

fermato da alcune fonti turche – esercitazioni militari congiunte con la Cina nel

Mediterraneo, le prime in questo quadrante regionale (hanno difatti già cooperato

nel Pacifico nel 2012). Pechino metterà a disposizione due fregate, le navi Linyi e

Weifang, e il rifornitore Weishanhu, attualmente impegnate in azioni di scorta a con-

vogli mercantili nel Golfo di Aden a largo della Somalia, con lo scopo di aumentare

l’abilità di entrambe le forze navali e affrontare le minacce alla sicurezza marittima,

pur specificando che queste operazioni esulano dal quadro di crisi regionale e dunque

dalle tensioni tra Occidente e Russia.

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IRAQ ↴

Circa 1.500 guerriglieri tribali sunniti si uniranno al Fronte di Mobilitazione Popolare

per contrastare la presenza dello Stato Islamico (IS) nell’Anbar iracheno. Il “Se-

condo Battaglione dei Figli di Amiriyat al-Falluja” (cittadina a trenta chilometri

a sud-est di Falluja) è stato salutato dal Governatore della provincia, Souhaib al-Ani,

come uno spartiacque per il prosieguo della campagna contro il Califfato. In aprile

l’esercito regolare aveva intrapreso un’ambiziosa operazione nell’Anbar, che per prima

nel gennaio del 2014 ha conosciuto l’affermazione e il consolidamento della minaccia

islamista. Nonostante il recente successo conseguito a Tikrit, la manovra delle forze

di sicurezza irachene è stata però di corto respiro, alimentando una pesante controf-

fensiva dell’IS che ha compromesso la stessa tenuta del capoluogo Ramadi e ha co-

stretto migliaia di persone a sfollare verso Baghdad. Il vertice dell’esecutivo guidato

da Haider al-Abadi ha dunque istruito le autorità militari di armare i corpi volontari di

diverse tribù locali, promuovendo il 6 maggio la costituzione di un comitato (rappre-

sentativo dei vari livelli di governo e degli ufficiali statunitensi) per sovrintendere

l’esecuzione del provvedimento nella base di Habbaniya, nei pressi di Ramadi.

Tuttavia, l’integrazione dei combattenti tribali nei ranghi delle milizie popolari non

sembra poter gettare le premesse dell’annunciata costituzione di una Guardia Nazio-

nale irachena, cui il governo di Baghdad ha appuntato la promessa di un Iraq federale

e unificato, né rievocare il cosiddetto “risveglio” sunnita che nel 2006 fornì alle truppe

statunitensi un apporto fondamentale allo scopo di estirpare l’organizzazione qaedista

(al-Qaeda in Iraq), allora guidata da Abu Musab al-Zarqawi e dalle cui ceneri si è poi

costituita l’attuale leadership dell’IS. Dal punto di vista militare, le unità tribali ac-

corse a sostegno delle istituzioni centrali sono sprovviste dell’addestramento e

dell’equipaggiamento necessario per fronteggiare un nemico che sfoggia ri-

sorse e capacità di combattimento ben superiori. Prima di ottenere il riconoscimento

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ufficiale di Baghdad il 9 maggio, nelle ultime settimane centinaia di combattenti tribali

hanno ingaggiato azioni di guerriglia urbana con i miliziani del Califfato, seppur

con mezzi antiquati e senza ricevere alcuna forma di retribuzione. Pertanto, data

anche la grave mancanza di una catena di comando unificata che coordini i vari attori

del fronte antagonista (l’esercito regolare iracheno, le milizie sciite, i volontari sunniti,

gli alleati della coalizione internazionale), l’integrazione formale dei guerriglieri tribali

non è suscettibile di cambiare il segno delle ostilità in corso nell’Anbar. Nelle attese

della leadership irachena, le forze volontarie fedeli agli sceicchi sunniti saranno

impegnate primariamente nella difesa e nel controllo del territorio, dunque

lasciando alle unità di élite dell’esercito regolare i compiti di proiezione offensiva e

soprattutto riducendo il coinvolgimento politicamente delicato delle milizie sciite.

Quest’ultime invece rivendicano un ruolo crescente negli sviluppi della campagna

nella provincia sunnita, così osteggiando un più risoluto intervento aereo da parte

della coalizione internazionale diretta dagli Stati Uniti. Il comandante del Fronte di

Mobilitazione Popolare, Hadi al-Ameri, ha dichiarato, in termini oppositivi rispetto

all’ingerenza statunitense, che le milizie sciite saranno in prima linea nella li-

brazione dell’Anbar, aggiungendo che la protezione della popolazione della provin-

cia rappresenta un dovere religioso, morale e giuridico.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

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Da queste spaccature l’IS continua a trarre evidenti benefici, costruendovi le proprie

fortune belliche. Ciò conferma che gli squilibri politici tra le varie componenti etnico-

settarie e le conseguenti ripercussioni a livello regionale pregiudicano l’obiettivo uni-

ficante della repressione del sedicente Califfato islamico.

A questo proposito, è assai rilevante annotare il rinnovato appello all’indipen-

denza del Kurdistan affermato da Masoud Barzani, Presidente del governo re-

gionale curdo, recatosi a Washington per una lunga serie di colloqui con la diri-

genza statunitense. Nonostante l’immediata priorità della lotta contro l’IS, il leader

curdo ha annunciato l’intento di indire entro un anno un referendum per ridefinire il

grado di autonomia della regione. Insidiato dalle opposizioni interne, che guardano

alla prossima scadenza (in agosto) del mandato presidenziale, Barzani ha dunque

alzato la posta del confronto istituzionale con Baghdad, malgrado l’insediamento

dell’esecutivo presieduto da al-Abadi abbia recentemente incoraggiato un migliora-

mento nei rapporti bilaterali. Benché l’amministrazione Obama sia ufficialmente irre-

movibile riguardo a qualsiasi ipotesi secessionista, Barzani ha espresso soddisfazione

per come le istanze curde sono state ricevute dalle controparti americane. Gli incon-

tri hanno ruotato attorno all’assistenza militare offerta ai Peshmerga, lad-

dove la delegazione curda ha biasimato Baghdad per la mancata consegna di arma-

menti e munizioni. In ragione della temuta questione indipendentista, le istituzioni

centrali sono infatti restie ad approvare il trasferimento di commesse belliche statu-

nitensi in direzione di Erbil.

A questo riguardo, proprio durante la visita di Barzani, un gruppo di senatori ame-

ricani ha introdotto una bozza di legge che attribuirebbe all’esecutivo la fa-

coltà di trattare direttamente con le autorità curde l’invio di armamenti, così

scavalcando la mediazione di Baghdad. La proposta, condannata dal Parlamento ira-

cheno, è stata prontamente sconfessata dall’amministrazione Obama, che ha ribadito

l’impegno verso l’integrità e la sovranità di un Iraq federale. Tuttavia, il disegno di

legge avanzato dai “falchi” certifica la presenza di voci dissonanti in seno al Congresso

americano che auspicherebbero un deciso rafforzamento della lunga alleanza con Er-

bil per mettere ai margini del conflitto iracheno i potenti gruppi paramilitari sciiti

dietro cui si staglia l’ombra iraniana. Il Presidente curdo ha comunque ricevuto piena

assicurazione che l’assistenza militare concordata con gli Stati Uniti raggiungerà

senza ritardi i guerriglieri curdi.

Intanto, l’andamento del conflitto appare incerto non solo nel teatro dell’Anbar, ma

anche in gran parte del territorio iracheno. La raffineria di Baiji è ancora terreno

di violenti scontri e i fondamentalisti continuano a imperversare nella località pe-

trolifera, malgrado i ripetuti raid effettuati dall’aviazione irachena e dai caccia della

coalizione internazionale. Inoltre, l’IS ha mosso ingenti risorse (compresi veicoli co-

razzati) nell’area di Kirkuk, dove i miliziani islamisti minacciano le comunità locali di

dare alle fiamme gli appezzamenti agricoli qualora parte del raccolto non venga tri-

butata al Califfato. Se ciò indica una flessione nelle finanze dell’organizzazione terro-

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ristica, le uniformi nere non hanno però ridimensionato la scala dell’offensiva, por-

tandosi nuovamente a ridosso di Baghdad con una serie di attentati dinamitardi:

nella sola giornata del 1° maggio l’esplosione di tre autobombe nella capitale ha pro-

vocato la morte di 13 persone e il ferimento di 56.

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STATI UNITI ↴

È durato otto giorni, dal 26 aprile al 4 maggio, il tour negli Stati Uniti del Primo

Ministro giapponese, Shinzo Abe. Una visita che già alla vigilia l’Ambasciatore di

Tokyo a Washington non aveva esitato a definire “storica”. Il 29 aprile, per la prima

volta nella storia delle relazioni bilaterali, Abe si è rivolto al Congresso americano

ricordando, con un occhio rivolto alla storia, che «il nostro incontro con l’America è

stato il nostro incontro con la democrazia». «La storia», ha detto riferendosi alla

Seconda Guerra Mondiale, «è dura e quel che è accaduto è accaduto e non si può

cambiare», porgendo poi «eterne condoglianze» per quei soldati statunitensi che per-

sero la vita combattendo contro i giapponesi. Oggi, però, Tokyo occupa una diversa

posizione nel sistema internazionale proprio grazie a Washington, che gli ha permesso

di «avanzare come membro del mondo occidentale».

Passando dalla storia all’attualità, Abe ha proseguito ribadendo la centralità della

realizzazione della Trans-Pacific Partnership (TPP) sia per il Giappone che per

gli Stati Uniti: «non c’è alternativa», ha affermato, tanto più se la sua importanza

«va al di là dei benefìci economici» poiché, in termini geopolitici, apporterebbe sta-

bilità allo «stato delle acque asiatiche». Il Primo Ministro, nel suo discorso, non ha

mai fatto riferimento alla Cina, la quale comunque è apparsa protagonista indiretta

delle sue parole.

Contestualmente al viaggio di Abe, Stati Uniti e Giappone hanno diffuso le nuove

linee guide per la cooperazione bilaterale nell’ambito della Difesa corredato

da un comunicato congiunto firmato dai rispettivi Ministri della Difesa e degli Esteri.

Il documento sottolinea l’assoluta centralità ed attualità del trattato d’alleanza fon-

dato sulla difesa collettiva (che comprende, a detta dell’amministrazione Obama, an-

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che le contestate isole Senkaku); sancisce la creazione di un meccanismo perma-

nente di coordinazione dell’alleanza sia in tempo di pace che in quello di crisi con una

pianificazione congiunta; invita il Giappone a contribuire in termini militari, ad esem-

pio nel caso delle operazioni di peacekeeping o di sicurezza marittima, alla stabilità

del sistema internazionale al fianco degli altri Paesi partner; espande la collaborazione

bilaterale alla sicurezza cibernetica e all’assistenza umanitaria; incentiva la coopera-

zione nell’industria militare, nell’intelligence e nell’area di ricerca e sviluppo. Il fine

ultimo delle nuove linee guide, di comune accordo con la National Security Stra-

tegy 2015 degli Stati Uniti, è quello di «promuovere una stabile, pacifica e pro-

sperosa regione Asia-Pacifico, e oltre». Tokyo si impegna quindi a continuare ad ospi-

tare sul suo territorio le Forze Armate americane, a cominciare dalle basi di Okinawa

e di Yokosuka, che saranno tecnologicamente rafforzate dall’invio di armamenti avan-

zati.

Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano la loro intensa attività internazionale in un

panorama globale costantemente travolto da crisi. Il Presidente Barack Obama, alla

luce dei mutevoli equilibrio nel Grande Medio Oriente, ha invitato i Paesi del Golfo,

a partire da Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e UAE, a Camp David e a

formare un sistema di difesa regionale per contrastare un’eventuale minaccia missi-

listica che potrebbe essere posta dall’Iran.

Anche sul piano interno gli USA sono molto attivi in vista delle elezioni presi-

denziali del 2016. Per il Partito Repubblicano sono state ufficializzate tre nuove can-

didature: Ben Carson (medico), Carly Fiorina (CEO di Hewlett-Packard) e Mike Huc-

kabee (già governatore dell’Arkansas). Per il Partito Democratico, invece, ha annun-

ciato di voler correre nelle primarie Bernie Sanders (già Senatore del Vermont).

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BREVI

CORNO D’AFRICA, 4-5 MAGGIO ↴

La prima settimana di maggio ha visto il Segretario di

Stato americano John Kerry impegnato in un tour

dell’Africa Orientale. Sull’onda del sanguinoso

attentato all’università di Garissa, la visita in Kenya ha

evidenziato un rafforzamento della cooperazione tra i

due Paesi nella lotta al terrorismo in preparazione della

prossima visita del Presidente Obama prevista per fine

luglio. L’evento segna inoltre la ripresa delle missioni di alti esponenti

dell’establishment statunitense dopo l’interruzione conseguente alle accuse della

Corte Penale Internazionale al Presidente Uhuru Kenyatta, ritenuto responsabile delle

violenze elettorali tra il 2007 e il 2008, ritirate nel dicembre 2014 per insufficienza di

prove. Kerry ha annunciato lo stanziamento di 100 milioni di dollari per supportare il

Kenya nel rafforzamento della sicurezza delle proprie frontiere, con lo scopo di

collaborare nell’intelligence, nella formazione del personale militare e nella strategia

anti-terrorismo, e di 45 milioni per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i

Rifugiati per la protezione e l’assistenza dei 600mila rifugiati nel Paese. Kerry si è poi

recato in Somalia, primo Segretario di Stato nella storia, dove ha incontrato il

Presidente, il Premier e i leader regionali, auspicando che il Paese possa presto

giungere ad avere un governo effettivo nonostante le sfide alla sicurezza e l’attivismo

del gruppo al-Shabaab. La tappa a Gibuti ha previsto colloqui con il governo e la visita

alla base militare USA di Camp Lemonnier, importante avamposto militare nella lotta

alla pirateria e al terrorismo internazionali.

ISRAELE, 7 MAGGIO ↴

Dopo 42 giorni di trattative difficili ed estenuanti – le

elezioni in Israele si sono tenute il 17 marzo scorso –,

il Primo Ministro incaricato Benjamin Netanyahu è

riuscito a formare un governo di coalizione a poche ore

dal termine ultimo (8 maggio) imposto dal Presidente

della Repubblica Reuven Rivlin. Il nuovo governo, che

dovrebbe giurare già l’11 maggio prossimo, è riuscito dunque nell’impresa di

raggiungere in Parlamento (Knesset) la soglia minima di 61 seggi su 120, necessari

a garantire la maggioranza. Il 34esimo esecutivo della storia israeliana sarà composto

oltrechè dal consevatore e partito di maggioranza relativa Likud (30 seggi), dal

centrista Kulanu (10), dal nazional-sionista Jewish Home (8) e, infine, dai due partiti

di estrazione religiosa Shas (7) e United Torah Judaism (UJT, 6). A dispetto delle

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previsioni iniziali, Yisrael Beiteinu

dell’ex Ministro degli Esteri

Avigdor Lieberman ha rifiutato

l’intesa con il Likud, accusando

Netanyahu di «cercare un

accordo politico basato

sull’opportunismo e sul

conformismo». Oltre a ricoprire

l’incarico di Premier, Netanyahu

manterrà ad interim anche il

dicastero degli Esteri, nella

speranza che Isaac Hertzog,

leader di Unione Sionista – il

blocco politico di centro-sinistra

costituito dai Labor e da HaTnua di Tzipi Livni –, accetti di entrare a far parte del

governo anche se ad oggi le possibilità di un’intesa politica sono da ritenersi minime

data la netta distanza di posizioni. Vincitori di questa tornata di trattative sono Naftali

Bennett, che ricoprirà l’incarico di Ministro dell’Istruzione, e il suo partito Jewish

Home, che ha ottenuto il Ministero della Giustizia, che sarà affidato alla deputata

Ayelet Shaked, quello del Ministero dell’Agricoltura ricoperto da Uri Ariel e il vice

Ministero della Difesa (con delega all’Amministrazione Civile e quindi anche ai

Territori Palestinesi) con Eli Ben-Dahan. Il moderato Kulanu e il suo leader Moshe

Kahlon hanno ottenuto invece il dicastero dell’Economia, mentre Shas e UJT

completano il cerchio con incarichi minori. Tuttavia non mancano i primi malumori

nel Likud di Netanyahu a causa della contrarietà di alcuni suoi deputati per

l’assegnazione, a loro modo di vedere arbitraria, degli incarichi ministeriali. Ad ogni

modo il Likud ha conservato per sè i Ministeri dei Trasporti e della Difesa, ricoperti

rispettivamente da Israel Katz e e Moshe Ya’alon.

MACEDONIA, 14 APRILE ↴

A seguito di alcune rivelazioni del leader

dell’opposizione socialdemocratica Zoran Zaev circa il

tentativo dell’esecutivo di insabbiare il caso di omicidio

del giovane macedone Martin Neškovski, ucciso da un

poliziotto nell’esercizio delle sue funzioni nel corso di

una manifestazione contro la vittoria del partito

conservatore VMRO-DPMNE nel 2011, sono scoppiate a

Skopje proteste contro il governo del Primo Ministro Nikola Gruevski. Già da alcuni

mesi Gruevski, al potere da 9 anni, era finito al centro di uno scandalo politico, dopo

le accuse dello stesso Zaev di corruzione e di mancanza di trasparenza

nell’assegnazione delle cariche pubbliche, di controllare la magistratura, di aver

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intercettato per anni politici ed esponenti della società civile, di aver censurato e

minacciato di morte giornalisti indipendenti e dunque di aver imposto uno Stato di

polizia e autoritario. È di 38 agenti feriti e almeno 30 arresti il bilancio degli scontri

tra dimostranti e forze di sicurezza macedoni. Ad innalzare il clima di tensione si è

aggiunta l’incursione di un gruppo armato in un quartiere periferico a maggioranza

albanese della città di Kumanovo, al confine con Serbia e Kosovo, che ha ingaggiato

scontri a fuoco con le forze di polizia con armi automatiche e bombe a mano: il

bilancio provvisorio è di decine di agenti feriti e almeno 5 quelli morti, insieme con

alcuni assalitori. Sull’identità e sulla provenienza del commando – formato da almeno

70 uomini secondo il portavoce della polizia macedone – le autorità nazionali

mantengono il massimo riserbo: il portavoce del Ministero dell’Interno, Ivo Kotevski,

ha dichiarato che si è trattato un un gruppo terroristico penetrato illegalmente da un

non meglio precisato Paese vicino, che secondo molti sarebbe il Kosovo anche alla

luce di una precedente incursione di un gruppo di 40 kosovari di origine albanese

(dichiaratosi appartenente al Kosovo Liberation Army, KLA) che lo scorso 21 aprile

aveva occupato per alcune ore una stazione di polizia di Gosince inneggiando alla

creazione di uno Stato albanese in Macedonia.

SUDAN, 6 MAGGIO ↴

Il canale televisivo al-Mayadeen, vicino ad Hezbollah,

ed alcuni media arabi, riprendendo il sito online del

quotidiano israeliano The Jerusalem Post, hanno

riferito di una serie di forti esplosioni avvertite prima

dell’alba a Omdurman, nei pressi della capitale sudane

se Khartoum. Secondo le prime ricostruzioni si sarebbe

trattato di una serie di raid aerei di “entità straniere”, probabilmente da parte di jet

israeliani. Fonti ufficiali delle Forze Armate sudanesi hanno rivelato che le forze di

difesa aerea hanno attaccato alcuni jet non identificati che sono entrati nello spazio

aereo del sobborgo di Wadi Sidna della città di Omdurman. Il portavoce dell’esercito

sudanese, il colonnello Alsawarmi Khaled Saad, ha confermato all’emittente Sky

News che non c’è stato nessun attacco, ma semplicemente le unità contraeree hanno

colpito un oggetto non ben identificato. Testimoni residenti nell’area hanno rivelato,

invece, la presenza di un jet o un UAV israeliano che avrebbe colpito un deposito di

armi. Le forze di difesa israeliane (IDF) non hanno voluto commentare l’episodio né

tantomeno fornire ulteriori elementi al riguardo: tuttavia, gli israeliani hanno

compiuto, in passato, diversi attacchi ai danni di alcune strutture in Sudan, ritenendo

il Paese una via di passaggio privilegiata per le armi che dall’Iran arrivano ai

guerriglieri di Hamas nella Striscia di Gaza. Nel frattempo, la Commissione Elettorale

del Sudan ha comunicato l’esito delle elezioni presidenziali delle scorso 27 aprile: il

Presidente in carica Omar al-Bashir è stato rieletto con il 94%, estendendo

ulteriormente il suo mandato che dura ormai da 25 anni. Nonostante l’affluenza si sia

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attestata attorno al 46%, la Commissione Elettorale ha negato ogni critica di scarsa

partecipazione. Resta il fatto che Omar al-Bashir è, al momento, l’unico leader al

mondo ad essere in carica nonostante l’accusa pendente di crimini contro l’umanità.

YEMEN, 8 MAGGIO ↴

Dopo 50 giorni di combattimenti sul campo e di raid

aerei sauditi contro le postazioni dei ribelli Houthi a

Sana’a e nelle altre principali città del Paese, lo Yemen

inizia a scorgere alcuni timidi spiragli di tregua. A

favorire ciò è soprattutto la proposta simbolica

accettata dagli Houthi e lanciata nei giorni precedenti

dall’Arabia Saudita e dalle corone gemelle del Golfo

durante il vertice straordinario del Gulf Cooperation Council (GCC), tenutosi il 5

maggio a Riyadh. Il colonnello delle forze pro-Houthi, Sharaf Luqman, aveva

affermato all’agenzia stampa SABA che i ribelli si sarebbero resi disponibili ad

accettare l’accordo per una tregua umanitaria. L’intesa, sostenuta anche da Stati

Uniti e Russia, scatterà alle 23 del 12 maggio e dovrebbe rimanere in vigore per 5

giorni con l’obiettivo di distribuire aiuti umanitari ai civili. Unica condizione posta era

l’accettazione della stessa da parte degli Houthi. Qualora l’intesa dovesse mantenere,

numerosi analisti ritengono che questa possa essere la base di lavoro per un accordo

più duraturo e di medio-lungo termine. Intanto, mentre infuriano i raid aerei sauditi

– solo 130 ne sono stati lanciati nella giornata del 9 maggio – lungo soprattutto il

confine nord dello Yemen, la situazione umanitaria peggiora di giorno in giorno tanto

da aver prodotto 1.400 morti, più di 6.000 feriti e portato quasi 7,5 milioni di persone

sull’orlo dell’insicurezza alimentare.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN YEMEN – FONTE: AMERICAN ENTERPRISE INSTITUTE AND THE NEW YORK TIMES

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ALTRE DAL MONDO

FRANCIA-QATAR, 4 MAGGIO ↴

Impegnato in tour mediorientale che lo ha portato a partecipare anche al summit del

GCC a Riyadh in qualità di ospite d’onore, il Presidente François Hollande ha incon-

trato a Doha l’Emiro Tamim al-Thani con in quale ha chiuso un importante contratto

di fornitura militare di 24 aerei da combattimento Rafale, per una commessa totale

dal valore complessivo di 6,3 miliardi di dollari. In attesa di chiudere un accordo

analogo anche con gli Emirati Arabi Uniti, l’intesa con il Qatar segna un nuovo suc-

cesso nella diplomazia militare francese, dopo le vendite di aerei, elicotteri e navi-

fregata a India ed Egitto.

KAZAKISTAN, 21 APRILE ↴

Le elezioni presidenziali hanno confermato la netta affermazione del Presidente in

carica Nursultan Nazarbayev, che ha ottenuto il 97,7% dei voti. Gli altri due candidati

in corsa, Turgun Syzdykov e Abelgazy Kusainov, hanno ottenuto, rispettivamente, lo

0,7% e l’1,6% dei voti espressi. Ha votato, secondo il capo della Commissione Elet-

torale Centrale Kuandyk Turgankulov, più del 95% degli aventi diritto, dato confer-

mato anche dagli osservatori internazionali che però hanno messo in discussione la

regolarità del voto.

IRAN, 28 APRILE ↴

La Marina dell’Iran ha abbordato e sequestrato nelle acque del Golfo Persico una nave

cargo battente bandiera delle Isole Marshall. Nelle prime ore si era pensato potesse

essere una nave appartenente alla marina commerciale statunitense; la voce è stata

subito smentita dal Pentagono. Tuttavia pare fosse adibita al trasporto di personale

militare americano. Il 7 maggio Teheran ha rilasciato la nave con a bordo i trenta

uomini dell’equipaggio.

MALI, 5 MAGGIO ↴

La località di Ténenkou, a un centinaio di chilometri ad ovest di Mopti, è stata il teatro

di violenti scontri tra l’esercito maliano e i ribelli del Movimento Nazionale di Libera-

zione dell’Azawad. Gli autori dell’attacco sarebbero arrivati dalla città di Léré, nei

pressi della frontiera con la Mauritania, dove a fine aprile gli scontri tra esercito e

gruppi armati a maggioranza tuareg avevano fatto una ventina di morti. È il quarto

attacco di questo tipo da quando il GATIA, una milizia pro-governativa, ha riconqui-

stato la città di Ménaka. La speranza delle autorità maliane è che la ripresa degli

Page 18: Weekly Report N°12/2015

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scontri non abbia ripercussioni sulla firma ufficiale di un accordo di pace, prevista per

il 15 maggio.

NAGORNO KARABAKH, 3 MAGGIO ↴

Si sono svolte in Nagorno-Karabakh le seste elezioni parlamentari da quando la re-

gione si è autoproclamata indipendente dall’Azerbaijan il 10 dicembre 1991. Alle con-

sultazioni ha partecipato oltre il 70% dei 101.653 aventi diritto, per eleggere i 33

deputati che compongono l’Assemblea Nazionale. Il partito Madrepatria Libera dell’at-

tuale Primo Ministro Araik Harutiuniansi si è aggiudicato il 47,35% dei voti, seguito

dal Partito Democratico del Karabakh guidato dal Presidente del Parlamento Ashot

Gulian con il 19,1%, mentre la Federazione Rivoluzionaria Armena ha ricevuto il

18,51% dei voti.

PAKISTAN, 8 MAGGIO ↴

Il ramo dei Talebani pachistani, Tehrik-i-Taliban (TTP), ha rivendicato l’abbattimento

di un elicottero militare nella la zona di Naltar, nella provincia settentrionale di Gilgit-

Baltistan. Il velivolo è precipitato nei pressi di una scuola aumentando il numero dei

morti. Sebbene non vi siano cifre definitive, attualmente il bilancio consta di 17 vit-

time, 11 diplomatici e 6 cittadini pachistani. Tra coloro che hanno perso la vita oltre

ai due piloti pachistani, vi sono anche gli Ambasciatori di Norvegia e Filippine, rispet-

tivamente Leif H. Larsen e Domingo D. Lucenario Junior, e le mogli degli Ambasciatori

di Malesia e Indonesia. Feriti invece gli Ambasciatori di Polonia e Olanda. Come spie-

gato dal portavoce dei TTP Muhammad Khorasani al quotidiano locale The Express

Tribune, il vero l’obiettivo dell’attacco era il Primo Ministro Nawaz Sharif che stava

partecipando alla stessa missione ufficiale a bordo di un altro velivolo.

REGNO UNITO, 7 MAGGIO ↴

Il Partito Conservatore guidato da David Cameron ha trionfato nelle elezioni politiche

generali. Nonostante i sondaggi avessero preventivato una parità tra Laburisti e Con-

servatori con la prospettiva di un nuovo Parlamento “appeso” (Hung Parliament),

Cameron ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Il suo trionfo ha portato alle

dimissioni da leader del partito Ed Miliband (Labour Party), Nick Clegg (Lib-Dem) e

Nigel Farage (UKIP).

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 5 MAGGIO ↴

Un convoglio della missione ONU in Congo è stato attaccato da alcuni uomini appar-

tenenti ai ribelli ugandesi delle Allied Democratic Forces (ADF). L’attacco, avvenuto

nel nord-est del Paese, a una decina di chilometri dalla città di Eringeti, ha causato

Page 19: Weekly Report N°12/2015

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la morte di due caschi blu tanzaniani e di tre civili, nonché il ferimento di tredici

persone. L’imboscata è avvenuta nella stessa zona dove, il giorno precedente, i ribelli

dell’ADF avevano colpito un elicottero dell’ONU.

TOGO, 25 APRILE – 3 MAGGIO ↴

Il Presidente Faure Gnassingbé, al potere dal 2005, è stato ufficialmente rieletto per

un terzo mandato consecutivo. Ad annunciare la vittoria dell’incumbent è stata la

Corte Costituzionale, rivelando i dati ufficiali delle elezioni presidenziali svoltesi lo

scorso 25 aprile. Gnassingbé è stato rieletto con il 58,77% dei voti, contro il 35,19%

dello sfidante Jean-Pierre Fabre. Lo sconfitto e leader dell’opposizione Fabre ha con-

testato i risultati forniti dalla Corte Costituzionale, proclamandosi quale reale vincitore

della tornata elettorale.

UCRAINA, 2 MAGGIO ↴

Il Presidente della Repubblica polacco, Bronislaw Komorowski, ha firmato la legge per

la ratifica dell’accordo sull’istituzione della “LitPolUkrBrig”, la brigata congiunta tra

Polonia, Lituania e Ucraina. Approvata dagli altri due Paesi tra febbraio e marzo, nelle

prossime settimane prenderanno il via le discussioni dei gruppi di lavoro per la defi-

nizione della struttura e dell’operatività. L'Ambasciatore USA in Ucraina, Geoffrey

Pyatt, è tornato a denunciare la concentrazione di un considerevole numero di armi

pesanti e di un sistema di difesa anti-aereo da parte della Russia nel Donbass.

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ANALISI E COMMENTI

LA NAZIONE “INDISPENSABILE”?

GLI STATI UNITI E LA NUOVA NATIONAL SECURITY STRATEGY

DAVIDE BORSANI ↴

L’anno appena trascorso ha mutato in profondità le priorità strategiche degli Stati

Uniti. Il primo mandato di Barack Obama si era aperto nel 2009 con due necessità:

il disimpegno militare dalla “guerra per scelta” irachena intrapresa da George W.

Bush e il re-engagement verso l’Asia che avrebbe trasformato gli USA da Atlantic

Power a Pacific Power. Il secondo mandato, iniziato nel 2013, si avvia oggi alla con-

clusione con il ritorno dell’America in Iraq per fronteggiare la minaccia dello Stato

Islamico (IS) e, per dirla con Walter Russell Mead, con un rinnovato Pivot to Europe

a fronte del dinamismo russo in Ucraina. Emblemi di questo cambiamento nell’orien-

tamento strategico sono le due National Security Strategy (NSS) pubblicate dalla

Casa Bianca nel 2010 e nel 2015. Quest’ultima, in particolare, non ha raccolto l’eco

mediatica che avrebbe meritato, soprattutto qui in Italia, un Paese che, per la sua

collocazione geografica, rappresenta per Washington uno snodo assai utile per la sua

strategia nel Mediterraneo allargato (…) SEGUE >>>

UCRAINA, UN ANNO DOPO MAIDAN. VERSO UN NUOVO ORDINE INTERNAZIONALE?

OLEKSIY BONDARENKO ↴

ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA

Un anno dopo le proteste di Maidan e l’annessione della Crimea, la crisi politica in

Ucraina non accenna a stemperarsi. Gli eventi dell’ultimo anno hanno segnato pro-

fondamente le relazioni tra Mosca, Washington e Bruxelles, mutando concretamente

la struttura delle relazioni internazionali. L’origine dell’attuale crisi non risiede solo

nella questione ucraina, bensì nell’ordine costituito dopo il crollo del muro di Berlino

e la disgregazione dell’URSS che, in condominio con gli USA, aveva formato il sistema

bipolare dopo la seconda guerra mondiale. Se la fine della Guerra Fredda e del si-

stema stabilito a Yalta fu simbolicamente sancita dallo storico incontro tra George

Bush e Gorbachev durante il summit di Malta nel dicembre del 1989, le basi poste

per le nuove relazioni tra le potenze sul continente europeo si sono dimostrate piut-

tosto fragili. Come si cercherà di approfondire di seguito, uno dei principali fattori alla

base della più grande crisi internazionale degli ultimi decenni è stata proprio l’inde-

terminatezza del ruolo sul palcoscenico della politica europea di quella che è simbo-

licamente e politicamente l’erede dell’Unione Sovietica, la Russia (…) SEGUE >>>

Page 21: Weekly Report N°12/2015

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I REBUS DEL VOTO IN REGNO UNITO

DAVIDE VITTORI ↴

A poche ore dalle aperture delle urne nel Regno Unito, l’esito della tornata elettorale,

stando almeno ai principali sondaggi, è ancora incerto e lo scenario di una nuova

alleanza tra due – o più – partiti per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi,

come già accaduto nel 2010 tra Conservatori e Liberaldemocratici, e prima ancora

nel 1977 tra questi ultimi e Laburisti, appare tutt’altro che remoto. Un fatto incon-

sueto, soprattutto per il maggioritario del tipo plurality, del Regno Unito, dove nei

collegi uninominali il seggio è attribuito a turno unico a chi ha la maggioranza relativa

dei voti. Questo tipo di legge elettorale tende a ridurre il numero dei partiti e a favo-

rire la conservazione dei “seggi sicuri”, dove la contesa con gli oppositori è minima.

La conseguenza è che la maggioranza assoluta dei 650 seggi del Parlamento sovente

finisce ad appannaggio di un solo partito. Lo scorso appuntamento elettorale, al pari

di questo, tuttavia, dimostra come le leggi elettorali possano, sì, indirizzare la com-

petizione elettorale, ma è il contesto politico a determinarne l’esito (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

www.bloglobal.net