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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 6|2014 giugno luglio www.saverianibrescia.it ® Numero programmatico Amare questo tempo. Alfabeti per la cura delle relazioni Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LIII - n. 6 - Giugno-Luglio 2014 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - Contiene I.R. TEST INVALSI LA POLEMICA CONTINUA VIAGGIO NEL CIBO SAPERI RELIGIOSI NELLE SCUOLE DEL MONDO

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Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

DirettoreBrunetto [email protected]

Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected])

Segreteria e sitoMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Lubna Ammoune, Daniele Barbieri, Mas-simo Bonfatti, Silvio Boselli, Luciano Bosi,Gianni Caligaris, Patrizia Canova, ChiaraColombo, Stefano Curci, Marco Dal Corso,p. Arnaldo De Vidi, Fiorenzo Ferrari, SaraFerrari, Lino Ferracin, Antonella Fucecchi,Lorenzo Luatti, Maria Maura, Rita Roberto,

Nadia Savoldelli, Elisabetta Sibilio, AlessioSurian, Aluisi Tosolini, Sebi Trovato, LauraTussi, Marco Valli-Osel Dorje

Collaboratori CEM dell’annata 2014-2015Lara Albanese, Paola Bonsi, Francesco Ca-ligaris, Giacomo Caligaris, Anna Cattaneo,Agnese Desideri, Alessandra Ferrario, Fran-cesca Galloni, Adel Jabbar, Francesco Mar-rella, Clelia Minelli, Roberto Morselli, MariaClaudia Olivieri, Roberto Papetti, LucianaPederzoli, Candelaria Romero, Oriella Sta-merra, Alessandro Valera, Marisa Villagra,Martina Vultaggio

Hanno collaborato a questo numeroOdoardo Semellini, Rocco Rolli

Direttore responsabileMarcello Storgato

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Quote di abbonamentoCopia singola cartacea € 5,00Cartaceo 10 numeri - annuale € 30,00On line 10 numeri - annuale € 20,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 50,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Per le modalità di abbonamento consultare il sitowww.saverianibrescia.it

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegno di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

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www.saverianibrescia.it

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TEST INVALSI,LA POLEMICA CONTINUA

VIAGGIONEL CIBO

SAPERI RELIGIOSINELLE SCUOLE DEL MONDO

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missio-naria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 -25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127in data 19/02/1993.

La testata fruisce dei contributi statali diretti dicui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

editorialeDell’amore difficile 1Brunetto salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditorialeTest Invalsi, la polemica continua 3Stefano Curci

cibusViaggio nel cibo 4Gianni Caligaris

Sommarion. 6 / giugno-luglio 2014

Il Decalogo 23e i suoi enigmi prima puntata

a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni

ascuolaeoltre

bambine e bambini

La mela (di Newton) non cade mai 6troppo lontano dall’alberoSebi Trovato

ragazze e ragazzi

Una rete pacifica in cui è bene cadere 8Sara Ferrari

generazione y

Stanno crescendo da soli? 10Stefano Curci

In cerca di futuro

Due o tre cose su internet 12e il cosmopolitismoAluisi Tosolini

mumble mumble

Senti chi ascolta 13Fiorenzo Ferrari, Chiara Colombo

educazione degli adulti

La legge di Mathys 14Rita Roberto

saggezza folle

Senza radici... 16Marco Valli - Osel Dorje

agenda interculturale

Mondialità aperta? 33Alessio Surian

saperi religiosi nelle scuole del mondo

Il mondo, la scuola, i saperi religiosi 34Marco Dal Corso

seconde generazioni

Cina vs Italia. Chi si «impegna» 36di più a rispettare gli appuntamenti? Lubna Ammoune

domani è accaduto

Che strani 17 maggio ci riserva 37il futuroa cura di Dibbì

spazio CEM 38

app-grade

La testa in tasca 40Patrizia Canova, Maria Maura

crea-azione

Il teatro di strada 41Nadia Savoldelli

mediamondo 42

nuovi suoni organizzati

Ali Farka Touré 43Luciano Bosi

saltafrontiera

Il maialibro 44Lorenzo Luatti

cinema

Per altri occhi 45Rocco Rolli, Lino Ferracin

i paradossi 47Ciò che mi spaventaArnaldo De Vidi

la pagina dei girovaghi 48Massimo Bonfatti

Numero programmatico 17

Come linfa nelle sequoie 18Gianni Caligaris

Culture come sistemi porosi 21Patrizia Canova

A che serve «generalizzare»? 22Maria Maura

O beata solitudo... 27Marco Valli

Le ore d’aria 28Gianni Caligaris

Spigolando nei campi 29del Signore?Marco Valli

Sogni rovesciati 30Gianni Caligaris

Generazione Gutenberg 31e Generazione 3.0Patrizia Canova

Le realtà del virtuale 32Maria Maura

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che catturò al volo al suo apparire (1967) milioni di lettori,può ancora esserci utile. Perché anche noi, oggi, ci sen-tiamo spesso come José Arcadio Buendía e i suoi di-scendenti, immersi in un microcosmo indecifrabile e daicontorni porosi. E Cent’anni di solitudine è un caleido-scopio di figure e figurine che ci coinvolge e ci travolgecon la forza inarrestabile di un’etica del miracolo liberada tentazioni di esorcismi a basso prezzo. Così lo de-scriverà lui: «Il romanzo ideale è un romanzo assoluta-mente libero, che non solo inquieta per il suo contenutopolitico e sociale, ma anche per il suo potere di pene-trazione nella realtà; e meglio ancora se è capace di ri-voltare la realtà per mostrarne il rovescio». Di Gabo, però, mi piace ricordare anche il commoventeL’amore ai tempi del colera, uscito nel 1985 e pure dinotevole successo: la vicenda incredibile ma umanissimadi una passione amorosa, quella del malinconico e au-stero Florentino Ariza per l’adolescente Fermina Daza,che non troverà coronamento prima di «cinquantatréanni, sette mesi e undici giorni, notti comprese» (in tuttoquel tempo, infatti, la donna si comporterà come sequell’uomo non esistesse, sposandosi senza amore maper conquistare stabilità sociale). Alla fine, la pazienza inesausta di Florentino sarà pre-miata, oltre ogni attesa. Ed è di quella pazienza che dob-biamo armarci, ma altresì di quella passione quotidianae all’apparenza folle: come sembrerebbe folle amarequesto nostro tempo. Così, come chiosa lo scrittore co-lombiano a margine di quella love story dai contornimagici: «Nel corso degli anni entrambi arrivarono, se-guendo vie diverse, alla conclusione saggia che non erapossibile vivere altrimenti, né amarsi altrimenti: nulla aquesto mondo era più difficile dell’amore». Nulla di più difficile, è vero: eppure, nulla di più neces-sario alla vita. nnn

Dell’amore difficile

«A mare questo tempo». Un imperativo nonfacile, quello che ci accompagnerà nelnostro convegno estivo ma anche nei

prossimi dodici mesi su questa rivista, per molti motiviche ci siamo detti tante volte: perché questo ci apparecome un tempo ingrato e imperscrutabile, che premiapochi furbastri e che, soprattutto, si presenta complessoda interpretare poiché le categorie classiche con cuiabbiamo imparato a leggere il mondo risultano inservibili.Tutto cambia a velocità impressionanti, e cresce - anchenel pluriverso della scuola e della formazione - la vogliadi chiamarsene fuori. Attenzione: la stanchezza sta col-pendo in particolare quanti, negli anni scorsi, hanno de-dicato le migliori energie e grande passione a cambiarele cose. Ancora una volta, da queste pagine, cercheremodi andare controcorrente. Di educarci ad amare e adabitare, nonostante tutto, questo nostro tempo, l’unico -del resto - di cui disponiamo. Se è pressante il bisognodi recuperare coesione sociale e impegno civile, noiscommettiamo sul fatto che sia possibile farlo: senzaipotizzare fantasmagoriche svolte pedagogiche, peraltro,ma piuttosto riscoprendo l’alfabeto minimo della convi-venza, delle relazioni, del buen vivir. A piccoli passi,certo, imparando - o reimparando, meglio - a comporrele tessere del puzzle, prendendo sul serio le nostre re-sponsabilità di educatori e adottando, una volta di più,la strategia dell’interculturalità. Una rotta, a ben vedere, parallela a quella che ci ha in-dicato chiaramente l’epico cantore del realismo magico,Gabriel García Márquez, scomparso ottantasettennequalche settimana fa dopo un’esistenza piena, trascorsafra impegno civile e tentativi (riusciti) di reinventare nar-rativamente il mondo. Un programma che egli stessoaveva lucidamente tracciato nel suo capolavoro ricono-sciuto, ovviamente Cent’anni di solitudine, ambientatoa Macondo quando «il mondo era così recente, chemolte cose erano prive di nome, e per citarle bisognavaindicarle col dito». Sì: quell’autentico diluvio creativo,senza freni né regole, sostenuto da una tensione visionariae da una carica ironica insospettabili quanto inattesi,

brunetto salvarani | direttore [email protected]

editoriale brunetto salvarani | direttore [email protected]

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editoriale

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CEM Mondialità è giunto all’appuntamento annuale con il «numero programmatico»: così amiamo definire, in sintonia

con il ritmo dell’anno scolastico, il fascicolo della rivista del mese di giugno-luglio, pubblicato in vista della ripresa

autunnale. È inoltre l’occasione per presentare le novità che vengono inserite nella rivista. Ringraziamo di cuore

Elisabetta Sibilio e Eugenio «Gegè» Scardaccione per il loro prezioso contributo, nell’annata appena chiusa, nella cura rispet-

tivamente delle rubriche «Cose» e «CEM Sud». Tra le novità, nella prima parte della rivista, vede la luce «Cibus», riflessione su

cibo e dintorni, e «FAQ» (Frequently Asked Questions, domande ricorrenti), rubrica critica di economia e finanza. Entrambe le

nuove rubriche saranno curate da Gianni Caligaris, già valente curatore della rubrica «Rebus» (e in precedenza di «Brics» e

«Spread»). Elisabetta Sibilio ci parlerà di cultura e università in una nuova rubrica bimestrale.

La parte centrale della rivista continuerà ad ospitare «dossier» monografici, che nell’annata 2014-2015 si propongono di con-

tinuare la riflessione sul tema del Convegno 2014 di CEM, «Amare questo tempo. Alfabeti per la cura delle relazioni». Scrive

Gianni Caligaris, uno dei curatori del «dossier programmatico»: «Nella nuova annata 2014-2015 ci siamo dati l’obiettivo

di stimolarci a riflettere sui “beni relazionali” [...] Le relazioni sono un bene

immateriale. Sono anch’esse essenziali per la vita ed il futuro dei singoli e

delle comunità ma sono, teoricamente, inesauribili. Il loro utilizzo non le

consuma, anzi ne aumenta il volume e la circolazione. Hanno un valore

che non può mai essere tradotto in prezzo. Hanno un costo, ma la compo-

nente monetaria è marginale o anche inesistente. Non possono essere stoc-

cate in silos o magazzini. Però possono deteriorarsi, degradare, addirittura

diventare nocive, conflittuali, tossiche. […] Lo stato di salute di un sistema è

funzione della qualità delle relazioni fra le sue componenti. Per questo è

sacrosanto parlare di beni relazionali».

Il «dossier programmatico», curato, oltre che da Gianni Caligaris, da Patrizia Canova, Maria Maura e Marco Valli, offre un’an-

teprima dei temi che verranno trattati nel corso dell’annata, individuando un percorso stimolante in un «territorio» ricco di

elementi interculturali. La parte centrale della rivista continuerà ad ospitare, com’è tradizione, una riflessione sull’attualità,

saldamente basata su valori morali e spirituali. Anche nella nuova annata ci aiuteranno nella riflessione Antonella Fucecchi

e Antonio Nanni, che tratteranno della problematicità del tema dei «Dieci Comandamenti», del loro significato oggi: chi o

che cosa potrebbe essere in grado di restituire ai Dieci Comandamenti un’autorità che pare essere perduta per sempre?

Due nuove rubriche caratterizzeranno la terza parte della rivista, «Appgrade», a cura di Maria Maura e Patrizia Canova, che

affronteranno i temi più attuali e scottanti della cosiddetta «rivoluzione digitale», evidenziandone luci e ombre, ricercandone

il senso, ma anche smascherandone i limiti, e «Saperi religiosi nelle scuole del mondo», a cura di Marco Dal Corso, che si pro-

pone di esaminare come il fattore religioso entri nell’istituzione scolastica, com’è considerato, come lo si insegna. nnn

Cari lettori, ci auguriamo che vorrete seguirci anche in questa nuova annata di CEM Mondialità, che speriamo riesca ad offrirvi analisi,riflessioni e spunti sul vasto settore dell’intercultura. Buona lettura!

Questo numero

a cura di Federico [email protected]

Fabio FollaI disegni di questo numero sono di Fabio Follache ringraziamo di cuore

Per contatti:[email protected] - www.folla.it fb: https://www.facebook.com/FabioFollaArt

2 | cem mondialità | giugno-luglio 2014

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giugno-luglio 2014 | cem mondialità | 3

Ogni anno si riaccendepuntuale la discussionerelativa ai test Invalsi1 e alleproblematiche ad essicollegate. Queste provestandardizzate, che vengonoeffettuate a livello nazionalenelle classi II e V primaria, III secondaria di I grado (che influiscono sul votofinale), II secondaria di secondo grado, suscitano grandi tensioni.

Molti docenti sono refrattari a questo tipo divalutazione, giudicata tecnica ed astratta, edalcuni lo sono ad ogni tipo di valutazione (si

pensi alle polemiche che si levano quando qualcunodice che bisognerebbe «premiare gli insegnanti mi-gliori»); altre voci invece sostengono che è proprio lamancanza di un sistema di valutazione che porta a fallenel sistema formativo italiano (ad es. nelle Universitàitaliane una matricola su tre abbandona gli studi, oppureil percorso di scuola secondaria degli studenti nonconta per gli atenei, che non lo considerano attendibile).Dall’Invalsi dicono che queste prove servono a capiredove si può migliorare, non a produrre forme di sele-zione. E soprattutto ripetono che non si tratta di daregiudizi sulle persone, ma di cercare informazioni sullecompetenze degli studenti. Certo è che leggere risultati(prendo qua e là dagli esiti degli anni passati) in cui silegge che ci sono grandi divari tra le scuole del Sud,in ritardo rispetto a quelle del Nord, o che nel Sud cisono licei che ottengono risultati inferiori agli Istitutitecnici del Nord non può essere banalizzato comeun’astruseria da docimologi. La questione è complessa perché tocca corde delicate:si tratta di una rilevazione di tipo «esterno», ma è effet-tuata dai docenti delle singole scuole (e non potrebbeessere altrimenti, dati i costi smisurati che avrebbero

test condotti in ogni scuola nazionale da personale mi-nisteriale). Questo ha portato alle reazioni più disparateche spaziano da insegnanti ultras che hanno suggeritole risposte agli studenti per far emergere la propriascuola, magari sperando nell’assegnazione di finan-ziamenti, o lo hanno fatto come forma di boicottaggio«creativo», a insegnanti «obiettori» che si sono rifiutatidi collaborare. Il matematico Giorgio Israel sulle pagine del quotidianoIl Mattino (17 febbraio) ha osservato che, se per farebene queste prove dobbiamo chiedere agli studenti diesercitarsi all’uopo, rischiamo il fenomeno del teachingto the test, cioè dell’insegnamento mirato al supera-mento dei test e non all’acquisizione di conoscenze.Ma proprio gli esperti dei paesi anglosassoni, che sonoabituati a queste pratiche, sembra che stiano comin-ciando ad avere forti dubbi sull’efficacia di questo in-segnamento. Ora, mi sembra che il problema rientri in quella grandespaccatura che si è manifestata dal 1968 in poi, quellatra il «pedagogista» e lo «scienziato dell’educazione»: ilprimo si lega ad una visione antropologica e filosoficadell’educazione, che non è mai neutra, nemmeno quan-do pretende di esserlo; il secondo invece insegue i mo-delli delle scienze esatte, e vorrebbe trattare l’educativocome un fatto oggettivo misurabile. Il pedagogista vor-rebbe valutare, ma cercando di inserire l’aspetto quali-tativo, il che suscita forti resistenze: Luisa Ribolzi sulquotidiano Il Sole 24 Ore (10 febbraio) ha scritto che se«si operasse un ridimensionamento del programma ditest in favore della cosiddetta valutazione qualitativa, fi-niremmo anche con l’allontanarci dal quadro di riferi-mento europeo». Insomma la discussione sul temadella valutazione dovrebbe essere più approfondita,magari coinvolgendo maggiormente i docenti, ma almomento l’Invalsi non si mostra disponibile. nnn

1 Invalsi sta per «Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativodi istruzione e di formazione», ente di ricerca di diritto pubblico postosotto la vigilanza del Ministero della pubblica istruzione.

Test Invalsi la polemica continua

stefano [email protected] l’altroeditoriale

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Viaggio nel cibo

CARISSIMI, QUEST’ANNO IL VOSTRO SERVO SI DIVIDE IN DUE. LA PRIMA METÀ PROSEGUIRÀ

QUEL TAGLIO PIÙ O MENO ECONOMICO DEGLI ANNI SCORSI E SI CHIAMERÀ «FAQ» (FRE-

QUENTLY ASKED QUESTIONS, DOMANDE RICORRENTI). LA SECONDA METÀ SI OCCUPERÀ DI

TUTT’ALTRO E SI CHIAMERÀ CIBUS. NON SARÀ OVVIAMENTE UNA RUBRICA DI GASTRONOMIA,

L’INTENZIONE È QUELLA DI INVESTIGARE IL RUOLO DEL CIBO, DELLA SUA PREPARAZIONE,

DEL SUO CONSUMO NELLE RELAZIONI FRA PERSONE E COMUNITÀ. INSOMMA, DUE SEPARATI

IN CASA, UNITI SOLO DAL VIZIO CHE COLTIVO DA SEMPRE (INSIEME AL FUMO): LA CURIOSITÀ.

INAUGURO L’ANNATA CON IL NUOVO NATO; ECCO A VOI L’ANTIPASTO…

Fra i 400 ed i 500 mila anni fa, l’homo sapiens imparò a dominare ed utilizzare ilfuoco. Il fuoco era più gestibile in un insediamento stabile, così iniziò la lentissimatrasformazione da nomadi cacciatori a stanziali agricoltori ed allevatori, anche sesempre cacciatori (con buona pace dei miei tanti amici vegetariani). Nacque cosìl’homo coquus, che nessun paleontologo ha mai censito. Lo faccio io.All’inizio il fuoco serviva per arrostire rozzamente le carni delle prede o dei primianimali allevati, ma in seguito, affinando le tecniche ed introducendo la tecnologia(i primi contenitori in terracotta), l’uomo cuoco avviò la pratica della cucina, im-parando a manipolare carni, pesci, verdure, tuberi. Siamo nel periodo Neolitico,quando si supera un crinale: nasce la divisione dei compiti. Gli uomini difendono,

cacciano e allevano, le donne curano la prole, raccolgonole erbe, tessono, cucinano. La loro estromissione dalle attività produttive generòanche l’estromissione dalla gestione della comunità, epiù in là dalla gestione del potere pubblico. Per contro,si rivalutò il ruolo dei soggetti deboli, anziani, bambini,invalidi, che trovavano il modo per essere utili.Inizia così il lungo cammino del cibo (della cucina, delraffinamento del gusto) nella storia e nella cultura del-l’umanità. Si pone subito come crocevia delle relazioni.È la prima cosa che si offre all’ospite, è il momentounificante delle famiglie e delle micro comunità, si am-

manta di significati simbolici fra i più disparati (pensiamo all’«ultimo pasto» deicondannati a morte). Nei culti dei morti lo si pone nella tomba, affinché il defuntone possa avere ristoro nell’aldilà. Ben presto il cibo diventò un elemento determinante di contaminazione intercul-turale. Una delle prime cose che sperimentavano gli erranti (pellegrini, commer-cianti, missionari, conquistadores o invasori che fossero) era il cibo delle popolazionilocali. E queste esperienze se le portavano a casa, nel ritorno, nuovi ingredienti,nuovi modi per cucinare. Contemporaneamente inoculavano nelle culture localile usanze e le tradizioni proprie, creando mélange straordinari. Pensiamo allacucina italiana, oggi la prima al mondo, ed al crogiuolo da cui è nata: greci,

IL CIBO È UNAPOTENTE ECOMPOSITAPIATTAFORMA DIMETICCIAMENTO ESTA DIVENTANDO, VIAVIA, UN LINGUAGGIOUNIVERSALE

4 | cem mondialità | giugno-luglio 2014

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giugno-luglio 2014 | cem mondialità | 5

gianni [email protected]

Oggi andiamo a far spesa in ipermercatiasettici come gabinetti odontoiatrici, clima-tizzati in ogni stagione, dove troviamo quasitutti i prodotti inscatolati, sigillati, plasti-cizzati, omologati. In questi «non-luoghi»,come li avrebbe definiti Marc Augé, ci muo-viamo come termiti. Solitari in mezzo aduna folla, il nostro unico rapporto con l’al-terità è la sapiente manovra del carrelloper arrivare il prima possibile alle casse,dove gelide cassiere (e vorrei vedere, collavoro che devono fare, degno della peggiorecatena di montaggio) riscuotono l’obolo eti permettono di guadagnare l’uscita. Conl’odorato pieno del nulla.Prima non era così. Ogni bottega aveva isuoi odori, i suoi profumi. Il panettiere, ilpasticcere, il fruttivendolo, la rosticceria, ilsalumiere: per prima cosa ti avvolgevanoin una nuvola di aromi, che spesso si av-vertiva già dal marciapiede, e poi ti chiede-vano cosa volevi. Si facevano due chiacchierecol gestore o con i vicini venuti a fare la spe-sa. E le drogherie, mamma mia, chi non ri-

bizantini, arabi, albanesi, catalani, celti, nor-manni, sanniti, etruschi, galli boi, ebrei, la-dini, occitani, sardi, liguri. Più tardi spagnoli,francesi, austriaci. Ma già a metà del 1500l’Italia cominciò a restituire con gli interessiciò che aveva messo in cascina: Caterinade’ Medici chiamò alla corte di Parigi cuochiitaliani, soprattutto toscani, operando l’attofondativo della cucina francese. Il cibo è quindi una potente e compositapiattaforma di meticciamento e sta diven-tando, via via, un linguaggio universale. Al-dilà delle conferme storiche, basta ascoltarei ragli afoni di chi teme le contaminazioni(sapendo di non sapere chi è) e che con-trappone il cous-cous alla polenta (igno-rando fra l’altro che in Italia si mangiava ilcous-cous secoli prima della polenta) e va,provocatoriamente, ad offrire zuppa di co-stine di maiale agli homeless. Altra considerazione. Chi cucina, a parte isingle, lo fa per gli altri. Per amore o perforza, per ruolo o per lavoro, chi trasformagli alimenti in cibo sa di misurarsi con ilgusto di altri e che il metro di misura dellasua fatica sarà il gradimento degli altri. Èun territorio ricco di relazioni: complicità,ammiccamenti, vellicamenti; oppure con-flitti, asprezze domestiche, rancori. Comun-que, nella quasi totalità dei casi, questa at-tività di sopravvivenza ed oblativa nello stes-so tempo è il regno e la galera delle donne,che intorno al focolare contribuiscono allaconservazione e coesione delle famiglie edelle micro comunità. Parafrasando una pubblicità in onda in que-sto periodo, «dietro tutte le ricette c’è il no-me di una donna».Altro asterisco. Per cucinare servono gli in-gredienti. Dai mercatini di villaggio, natispontaneamente con lo sviluppo degliscambi, dell’agricoltura e degli allevamentida cortile, si arriva ai grandi carrefour. LesHalles di Parigi, la Boqueria di Barcellona,a metà della Rambla, le «piazze delle erbe»di tante città, Ballarò, fino agli innumerevolimercati stabili o itineranti di tutte le nostrecomunità urbane. I mercati o mercatini sonoanche, forse soprattutto, luoghi di relazionie di sensazioni.

UNA DELLE PRIME COSE CHESPERIMENTAVANO PELLEGRINI,COMMERCIANTI, MISSIONARI,CONQUISTADORES O INVASORICHE FOSSERO, ERA IL CIBODELLE POPOLAZIONI LOCALI

corda il profumo delle drogherie (si affac-ciano alle rive le colorate vele, fragranti digarofano e di pepe, come canta Guccini) haperso qualcosa che ormai può trovare sololontano dalle nostre città. Parleremo di tante altre cose; ci misurere-mo con parole ispide: anoressia, bulimia,ortoressia.Ci soffermeremo a riflettere sulle istanzesuperiori che orientano scelte di alimenta-zione che non coincidono con le nostre dioccidentali onnivori. Vegetariani, vegetal-liani, vegani, musulmani, ebrei, buddhisti,induisti; un tempo erano pochi o lontani;oggi sono in mezzo a noi, ognuno di noi neconosce qualcuno o forse molti. Ciò può in-fluire sulle convivialità, sui momenti di ri-storazione collettiva (pensiamo alle mensescolastiche). Può creare minuscole sacchedi apartheid o, al contrario, aiutare a svi-luppare il rispetto reciproco; è una grandepalestra. Il menù è ricco; se mi seguirete potremmoanche divertirci.

BEN PRESTO IL CIBODIVENTÒ UN ELEMENTODETERMINANTE DICONTAMINAZIONEINTERCULTURALE

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ce di modello, né come mo-dello da imitare. Poi le guar-davo, queste mie due crea-ture, e mi dicevo che loro sa-rebbero state diverse, sicura-mente altro da me e dalla Ro-setta. Gli anni passarono sen-za che io pensassi mai all’in-fluenza che avrebbe potutoavere su di loro l’altra partedell’albero: il babbo ed i suoiillustri parenti.Un fisico rappresenterebbe lacaduta delle mie due melecon un segmento orientato,munito cioè di una freccia aduna delle sue estremità e ca-ratterizzato da quattro ele-menti: il modulo, la direzione,il verso ed il punto di appli-cazione. Se sei un insegnantecreativo e sai come trasmet-tere queste informazioni sen-za ammosciare i tuoi studen-ti, può capitare che una classedel liceo diretto dal consortedecida di allevare tre pesci edi chiamarli fisicaMente: Mo-dulo, Direzione e Verso. Untale evento accade solo sel’insegnante è geniale e se ilpreside che consente l’alleva-mento ittico è un ironico. Eanche lui fa parte dell’alberoda cui cadono le mele: chegenere di mele saranno maidivenute le due creature dicui sopra?

Ludovica (mia figlia maggiore) è un’ostetrica ed ha fondato con alcune amiche e colleghe «MAM Beyond borders», un’associazione che si occupa delle mamme e dell’infanzia dei paesi in guerra ed in via di sviluppo.

bambine e bambinisebi [email protected]

ascuolaeoltre

ascuolaeoltre

Se non investiamosui bambini e

sull’educazione,l’umanità dovrà

chiedere aiutoad un altro

Isaac... Asimov!

La mela (di Newton) non cade mai troppo lontanto dall’albero

L’altra parte dell’albero

Non capisco come, ma, di-ventata madre, questa pos-sibilità per le mie figlie micreava lo stesso disappunto,come se, essendo nella ge-nerazione di mezzo, non an-dassi bene né come imitatri-

Chissà se si può far risalire a IsaccoNewton il detto La mela non cademai troppo lontano dall’albero, cu-

rioso modo di dire per indicare che si tendeinvolontariamente ad assomigliare ai proprigenitori. Da adolescente vi pensavo conterrore e cercavo di far caso a quei com-portamenti che avrei dovuto evitare. Cen’erano anche troppi! Dio ce ne scampi eliberi! Dico, stiamo scherzando? Io ugualealla Rosetta ed al Gianni?…..no, no, piut-tosto mi sarei trasferita sul cucuzzolo dellamontagna con il nonno di Heidi!Giunsi purtroppo alla conclusione che nonimporta quanto impegno ci metti, quantodisperatamente cerchi di frequentare per-sone estranee e provi a crearti una perso-nalità tua: avendo vissuto a lungo con loro,i genitori restano il principale modello dicomportamento.

Ovvero: comunque orienti il verso, il vettore migrazione ha problemi con la scuola

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bambine e bambini

Leyla nel mezzo, ovvero, il vettore migrazionesolitamente orientatoÈ una graphic novel di Sara Garland, edita da LoStampatello. In un paese in guerra comincia lastoria, la solita cui siamo ormai avvezzi, di Leyla. Labambina ed i suoi genitori sono in pericolo, perciòdevono abbandonare la loro casa e fuggire inItalia, dove dovranno imparare un’altra lingua evivere in mezzo a stranieri. Leyla affronta icambiamenti drammatici nella sua vita concoraggio e determinazione: anche e soprattutto,l’inserimento in una scuola a lei estranea. «Lascuola era così rumorosa! I bambini correvanointorno a Leyla. I loro vestiti erano diversi. Il loromodo di parlare era diverso [...] aggrottò lesopracciglia e pensò: Non piangerò». Ci vorrannoalcuni mesi, ma Leyla si ambienterà, anche se nontornerà mai più a casa sua. E qui sta la differenza.

La Dadi nel mezzo: ovvero, il vettore migrazionediversamente orientatoQuesta è una storia vera, narrata dalla mia melanumero uno, perché le mele non cadono maitroppo lontane dal loro albero. Ludovica (la miafiglia maggiore) è un’ostetrica ed ha fondato conalcune amiche e colleghe MAM Beyond borders,un’associazione che si occupa delle mamme edell’infanzia dei paesi in guerra ed in via disviluppo. Le lascio la parola: «Nell’introduzione lamamma ha ironizzato sull’importanza delleesperienze vissute e dell’educazione ricevuta, maun po’ di torto lo ha. Quando da grande impariche al mondo due donne su tre non hanno l’acqua,ti stupisci, ti senti fortunato e pensi che dovrestifare qualcosa per loro, o non lo pensi per niente, ilseme di questa decisione va cercato nella tuainfanzia. Se oggi sto cercando di insegnare a miafiglia che il mondo non è “solo” questo, è perchéda piccola ho imparato, grazie ai miei genitori, aconoscere realtà diverse, attraverso la lettura, ivideo, l’esperienza quotidiana. Da marzo 2013MAM Beyond borders, collaborando con altreassociazioni e onlus, si è adoperata per prestaresoccorso ai profughi siriani. Ho partecipatopersonalmente ad alcuni viaggi in Siria,occupandomi del progetto malnutrizione. Doporipetute esperienze come volontaria in Africa, hodeciso di portarci anche mia figlia. In accordo conle suore che gestiscono la missione del Gurage, inEtiopia, avevamo deciso che la piccola avrebbefrequentato la baby class nella loro scuola, accantoal mio ospedale. Il mio modo di educarla è usarepoche parole e mostrarle molte persone, personedi “altri” mondi, persone cittadine del mondo,sempre lo stesso mondo».

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La fisica è laregina di tutte

le scienze,persino delle

scienzeumane

Il vettore che prende il verso opposto al solito

«Così la Dadi è venuta in Etiopiacon me, facendo il percorso op-posto a quello che fanno milionidi bambini. Nella missione pro-vava felicità allo stato puro: incucina a far da mangiare consuor Marta, nei campi a discu-tere con le mucche e le capre,a portare il pane alle galline perringraziarle che le avevano fattol’uovo; a suor Francesca quan-do ha scoperto che oltre allecapre, alle mucche, alle galline,aveva anche due gattini, ha det-to: “Ma tu hai tutto!”. Il verogrande problema è stata lascuola: pensavo che fosse l’am-biente ideale per integrarsi, per-ché la Dadi conosceva già lestorie di molti dei bambini cheha poi frequentato. Eppure, puressendo partita positiva e caricadi entusiasmo, l’ho vista scon-trarsi con due grandi barriere:la lingua ed i preconcetti, pre-concetti da bambino occiden-tale, abituato a considerarsi alcentro del mondo. L’idea di an-dare a scuola e non capire cosale dicevano la tormentava: di-ceva che i bambini facevano

troppo rumore, che le maestrele parlavano sempre e che lei sispaventava. I primi giorni è ad-dirittura scappata: le suore l’hanno vista prendere il suo zai-netto e correre nei campi, tra ilbestiame, per arrivare alla clinicadove lavoravo io. Mi consolava-no come farebbe una maestraitaliana, dicendomi che era as-solutamente normale e che “civogliono alcuni mesi per capiree farsi capire in una lingua di-versa, molti mesi per costruirerapporti e quando i bambini sifermano per più di un anno, poipiangono all’idea di tornare acasa”. In fondo la Dadi ha solovissuto per alcuni giorni quelloche sperimentano i bambini im-migrati quando mettono piedenelle scuole italiane: non capivauna parola di quello che dice-vano e non aveva amici. Eral’unica vera straniera in questo“viaggio”, ma i suoi compagnil’hanno accolta come sanno fa-re i bambini: l’hanno guardatacon curiosità, così pallida, o co-me dicono loro più gentilmente,“vaniglia”, relativamente benvestita, molto ben nutrita rispet-to a loro, ma in classe era asso-lutamente normale che ci fosseanche lei». Che cosa si evince da tutto que-sto? Che la fisica è la regina ditutte le scienze, persino dellescienze umane (come insegnaSheldon Cooper in The Big BangTheory) e che se non investiamosui bambini e sull’educazione,l’umanità dovrà chiedere aiutoad un altro Isaac... Asimov! n

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ragazze e ragazzisara [email protected]

ascuolaeoltre

Il programma nazionale «Pace, fraternità e dialogo. Sui passi di Francesco» è un progetto dieducazione alla cittadinanza democratica. Innumerevoli gli interventi proposti durante l’iniziativa:gli incontri programmati erano divisi e pensati per studentesse e studenti dai 5 al 19 anni.

Una rete pacificain cui è bene cadere

«La culturasenza pace non è cultura» Aluisi Tosolini, 14 aprile 2014, Assisi

Sul numero di febbraioscorso mi impegnavoad accompagnare i miei

ragazzi al Meeting nazionaleper la Pace ad Assisi, ho man-tenuto la promessa. I ragazzi,a distanza di un mese e mez-zo, continuano a parlarne(scrivo a fine maggio - n.d.r.)e non tanto per le apparizionied interventi di Giulio Golia,di Jovanotti o per i selfie scat-tati in piazza Santa Chiara,ma per le idee che stanno col-tivando e la voglia di condi-viderle, di proseguire il cam-mino intrapreso.Per chi non c’era o non sanulla del Meeting, tutto è ini-ziato il 4 ottobre, quando ab-biamo aderito al programmanazionale «Pace, fraternità edialogo. Sui passi di France-

sco», un progetto di educa-zione alla cittadinanza demo-cratica. Noi docenti abbiamoguidato le classi alla riscoper-ta del valore delle parole (vio-lenza-pace, egoismo-respon-sabilità, paura-speranza). Poii ragazzi e le ragazze hannoscelto le tipologie di creazioniche potevano meglio rappre-sentare i loro lavori, i mezzi,hanno scelto loro: canzoni,immagini, video, musica, vi-deobox, poesie... lavori sem-plici, ma genuini o intrisi diretorica, loro.

Un selfie al Meeting per la Pace

Un selfie di noi al Meeting: il14 aprile arriviamo trafelati ein ritardo in piazza San Fran-cesco, ai piedi della BasilicaInferiore, questo appunta-mento coronava il lavoro fat-to durante l’anno scolasticodalle scuole che avevano ade-rito al programma. La piazzapacificamente invasa dai co-lori e dalle scolaresche ci ab-braccia, esponiamo i nostricartelloni e gli striscioni. Sulpalco si alternano numerosepersonalità, ed è stato diver-

Giulio delle iene! Andiamo afarci un selfie con lui!», «Macome prof, non ha scaricatoRetrica?», «Ecco la ministradell’istruzione, ma si è fattabionda?», «No, quella era laGelmini, questa è la Gianni-ni», «C’è anche il preside diParma, ...cosa ci fa qui,prof?», «È direttore del Co-ordinamento nazionale per lapace e i diritti umani!», «Eadesso prof: cosa facciamo?Dove andiamo?». Poi si sus-

tente ascoltare i ragazzi chetentavano di riconoscerli, trauna tarantella della pace e undiscorso. «Quello coi capellibianchi deve essere Flavio Lot-ti, ce lo aveva fatto vedere infoto la prof», «C’è un frate!»,«...siamo ad Assisi!», «Ora c’è

Sitografia

www.lamiascuolaperlapace.itwww.perlapace.it

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seguono i discorsi, infine labandiera della pace si srotolasulle nostre teste, e ricopretutta la piazza. Ricomincia ilpomeriggio, e viviamo quelloche i ragazzi hanno definitoil momento più emozionante:la visita alla cripta di San Fran-cesco, dove lasciamo i nostriintenti di operatori di pace,facciamo le nostre promessee poi... andiamo a giocarecon un’altra scolaresca, fa-cendo un laboratorio su cos’èla pace per noi. La sera stessae il giorno seguente innume-revoli gli interventi proposti,gli incontri programmati era-no divisi e pensati per stu-dentesse e studenti dai 5 al19 anni: l’incontro con Su-sanna Tamaro, la visita allaBasilica Superiore... Nel po-meriggio del 15 un temporalesi è abbattuto sulla piazza ela cerimonia di chiusura si ètenuta in Basilica maggiore,

La Carta di Assisi sui passi di Francesco

Facciamo pace a scuola![…] noi studenti, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori,rappresentanti di istituzioni e associazioni laiche e religiose,amministratori di Enti Locali e Regioni riuniti ad Assisi suipassi di Francesco ci impegniamo

1. a educare ed educarci alla pace, alla fraternità e aldialogo;2. a fare in modo che la scuola sia un luogo di pace, dialogoe fraternità, un luogo in cui l’accoglienza, l’organizzazione,lo stile educativo, le relazioni, l’approccio ai saperi, lo spazioalle diversità, la gestione della partecipazione democraticarendano possibile una esperienza di pace;3. a fare in modo che, incamminandosi sui passi diFrancesco, tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e leragazze, gli studenti e le studentesse possano scoprire il

significato autentico dei valori universali della pace, dellafraternità e del dialogo;4. a vivere l’educazione alla pace, ai diritti umani e allacittadinanza democratica come «sfondo integratore»dell’intero processo formativo aiutando ciascuno non solo aguardare ma a vedere, non solo a sentire ma ad ascoltare,non solo a sapere ma a capire e a capire per cambiare;5. a promuovere la pace positiva intesa non solo comeassenza di guerra ma come promozione e rispetto dei dirittiumani di tutti, come promozione della giustizia, dellademocrazia, della legalità, del dialogo, dell’interculturalità,della solidarietà, del bene comune;6. a far sì che ciascuno sia consapevole dei propri doveri,delle proprie responsabilità e delle proprie possibilità dicontribuire in prima persona alla costruzione della pace;7. a elaborare piani dell’offerta formativa territoriale in cuiscuola ed enti locali condividano la lettura dei bisogni dellacomunità e la sperimentazione delle risposte adeguate;8. a far sì che le scuole dell’autonomia diventino luoghi diformazione alla cittadinanza democratica inclusiva per tuttala comunità locale.

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ragazze e ragazzi

Nel prossimoanno

scolasticoprenderà

il via il programma«Dalla grande

guerra allagrande pace»,

in occasionedel

centenariodella prima

guerramondiale

non-violenza, la responsabi-lità. Abbiamo sottoscritto an-che noi la Carta di Assisi, nellaquale sono declinati otto im-pegni per fare della paceun’esperienza, l’Esperienza.Siamo anche noi nell’appenanata «Rete nazionale dellescuole di pace», perché met-tere al centro della nostrascuola l’educazione alla cit-tadinanza democratica puòessere un buon passo, il se-condo. In ultimo - siccomenon c’è via migliore per arri-vare alla pace che attraversarela guerra - nel prossimo annoscolastico prenderà il via an-che il programma «Dallagrande guerra alla grande pa-ce», per il centenario della pri-ma guerra mondiale. Voglia-mo ricordare, non celebrare,perché ci aiuti a ricordarel’impegno di un’Italia che ri-pudia la guerra. E ora, comescrivono i miei ragazzi: «Pe-dinateci! Calcate i passi dellaPace!». nnn

Tornando a casa

Se a scuola siamo riusciti aparlare di pace e fraternità,da Assisi in avanti la parolachiave è stata in realtà dialo-go. Con chi dialogare? Le stu-dentesse e gli studenti chedialogano, prima di tutto coipropri docenti, poi con gli «al-tri» (famiglie e cittadinanza,amministrazione pubblica evolontariato). Lo fanno daprotagonisti. «Sui passi diFrancesco» ci ha portati adandare oltre, in modo del tut-to naturale. Così coltiviamo un’idea, conassessori, volontari, FlavioLotti, una buona idea: unamarcia per la pace, sul nostroterritorio. Ad Assisi non si so-no sentiti soli e questo hacambiato la loro prospettiva.L’idea della marcia per la paceè nata proprio da questo: dia-logare col paese, col nostroterritorio, condividere queiprincìpi che abbiamo ri-co-minciato a scoprire, speranza,

forse è stato anche meglio,più suggestiva è stata la let-tura della «Carta di Assisi» (v.box). Infine, nel tardo pome-riggio, Lorenzo Jovanotti haintervistato - in un’insolita ve-ste di critico letterario - AldoNove, sul romanzo Tutta laluce del mondo e il pullmanci aspettava e Il Cantico di Jo-vanotti sfumava nell’aria.

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generazione ystefano [email protected]

ascuolaeoltre

L’imbarbarimento sociale è caratterizzato dalla frattura generazionale e dalla maleducazionediffusa, intesa come incapacità di convivenza, di solidarietà, di legalità.

Stanno crescendoda soli?

casi di ricovero di ragazzi trai 12 e i 15 anni per crolli ner-vosi, tentativi di suicidio o epi-sodi di autolesionismo. Tra irelatori c’era Daniele Biondo,psicanalista dell’Associazioneromana per la Psicoterapiadell’adolescenza (Arpad), au-tore, tra l’altro, di Fare grup-po con gli adolescenti (EditoriRiuniti 2008), che ha parlatodi imbarbarimento sociale,caratterizzato soprattuttodalla frattura generazionalee dalla maleducazione diffu-sa, intesa come incapacità diconvivenza, di solidarietà, di

I ragazzihannoinfinite

opportunitàma sono

in genere più fragili

A i primi di aprile si ètenuto a Torino unconvegno molto in-

teressante, di cui ha dato no-tizia l’agenzia giornalisticaRedattore sociale1, che pre-senta dati diffusi dal repartodi Neuropsichiatria infantiledell’ospedale Regina Marghe-rita di Torino, a margine dellostesso convegno, che raccon-tano ancora del malessereesistenziale dei giovani. L’attenzione dei medici è statasollecitata dall’aumento dei

legalità. Ancora una volta tor-na il tema che ho affrontatonegli ultimi articoli: nella no-stra società stanno venendomeno gli adulti. SecondoBiondo mancano relazioni af-fettive profonde e i ragazzi,in preda al malessere gene-razionale, si sono come ras-segnati a fare a meno degliadulti e della stessa adultitàcome modello di riferimento,per rivolgersi esclusivamenteai coetanei come unici rap-

presentati della comunità so-ciale. Saremmo di fronte cosìad un’altra faccia della «net-generation», quella della pri-ma generazione alla qualeviene chiesto di crescersi dasola.

Il branco, una socialitàprimitiva

Anche Biondo segnala il pa-radosso per cui da una parteil prolungamento della fasedell’adolescenza sembra ren-dere adolescente la societàstessa, dall’altra i veri adole-scenti non trovano il percorsoche dovrebbe portarli a for-mare il proprio sé. Come hodetto, Biondo è un espertodi dinamiche di gruppi gio-vanili, e attribuisce le nostredifficoltà all’impossibilità diaccedere all’esperienza del-l’altro, di sperimentare in mo-do vivificante il gruppo deipari. In questo senso, i socialnetwork non sono da consi-

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giugno-luglio 2014 | cem mondialità | 11

generazione y

derare nemmeno come unsurrogato di quel piccologruppo affettivo con il qualecondividere la fatica di cre-scere. Così, soprattutto quan-do il processo di soggettiva-zione è ostacolato da traumio abbandoni, è molto più fa-cile che il ragazzo si isoli o ri-manga imbrigliato nella so-cialità primitiva rappresentatadal branco. Biondo usa l’im-magine «normale» dell’ado-lescente che si emancipa stac-candosi dalla mano del geni-tore per andare per la propriastrada, che non è più fre-quente come prima: al suoposto c’è sempre più un pro-cesso di scissione, di distaccobrusco.

Il disagio dell’inciviltà

Biondo collega il problemadell’adolescente con quellodella struttura sociale: ma seper Freud il disagio della ci-viltà produceva nevrosi, se-condo lo psicanalista contem-poraneo c’è oggi un disagiodell’inciviltà, che produce pa-tologie narcisistiche: il riferi-mento è alle adolescenti cu-biste, agli adescamenti in re-te, alla sessualità precoce. Alconvegno è intervenuta an-che la neuropsichiatra Anto-nella Annichini, che ha offer-to spunti educativi, afferman-do ad esempio che gli adole-scenti ci chiedono di fissarelimiti, ripiegandosi su se stessise genitori e insegnanti nonsono capaci di stabilirli. Laquestione dei limiti è moltodiscussa dal punto di vistaeducativo, ricordo che ancheBenasayag e Schmit, nel lorofortunato libro, dicono chel’esperienza del limite, dellanon-onnipotenza, pur fonda-

mentale per gli adolescenti,è al centro di un tentativo dirimozione da parte della so-cietà: «la clonazione, la sceltadel sesso del bambino e i mil-le problemi della tecnica chepreconizzano un mondo sen-za frontiere e senza divieti ali-mentano un immaginario chei giovani oggi non conside-rano più una promessa, maun diritto. In un simile con-testo le pratiche pedagogichee terapeutiche sono chiara-mente controcorrente, pro-prio perché cercano di stabi-lire dei divieti e di risvegliarei giovani dal sogno di onni-potenza»2. Dunque il disconoscimentodel ruolo dell’adulto non valegato solo alla classica ribel-lione adolescenziale, perchéanche per i ragazzi è un’espe-rienza dolorosa. Annichini eBiondo, che non sono edu-catori stricto sensu, sono peròd’accordo nel dire che biso-gna offrire ai ragazzi una ri-sposta solidificante, non liqui-da, anche abbattendo i solitisteccati tra discipline e inte-grando l’approccio psicolo-gico e quello educativo, chesia in grado di restituire dellecertezze a questi ragazzi.

Per un’adeguata capacità di «raccoglimento»

Da educatori sottoscriviamo queste parole, con una rifles-sione conclusiva. L’esperienza di classe ci mostra continua-mente genitori che sono anche molto preoccupati di offrireai loro figli le opportunità migliori, dallo studio delle lingueal fisico sportivo, dall’esperienza all’estero alla scuola «utile»(da qui uno dei motivi di sfiducia verso il liceo classico), mache si soffermano continuamente sul piano dell’avere op-portunità, raramente su quello dell’essere persona. I ragazzihanno infinite opportunità ma sono complessivamente piùfragili. Senza guida, e senza capacità di gestirsi da soli,sono sempre più legati alle loro pulsioni, che sono più facilida soddisfare, piuttosto che ai desideri veri: «perché le pul-sioni sono immediate e non modificabili, i desideri e i sen-timenti sono il frutto di un processo di maturazione chevede al tempo stesso protagoniste la sfera emotiva e quellarazionale»3. Per maturare desideri e sentimenti è indispen-sabile il feed-back con gli adulti. Sottoscriviamo ancora leparole di Giuseppe Savagnone: «il lavoro dell’educatore,oggi, non può dunque prescindere dalla varietà delle espe-rienze dei giovani, con la loro carica emotiva, tanto menodeve mirare a un estrinseco controllo su di esse. Ciò cheegli deve riuscire a trasmettere è, piuttosto, che le stesseesperienze ed emozioni perdono il loro significato senzaun’adeguata capacità di “raccoglimento” - nel senso letteraledel termine - con cui l’io possa gradualmente unificarsi, at-traverso preziosi momenti di silenziosa e solitaria riflessioneche bisogna imparare a conquistarsi nella frenetica corsadi ogni giorno»4. nnn

1 Cfr. http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Ar-ticolo/458045/Adolescenti-psicopatologie-in-au-mento-L-esperto-Stanno-crescendo-da-soli2 M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passionitristi, Feltrinelli, Milano 20117, p. 95.3 G. Savagnone, Educare nel tempo della post-modernità, Ldc, Torino 2013, p. 18.4 Ivi, p. 19.

L’attenzionedei medici è

statasollecitata

dall’aumentodei casi diricovero di

ragazzi tra i 12e i 15 anni per

crolli nervosi,tentativi disuicidio oepisodi di

autolesionismo

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in cerca di futuroaluisi [email protected]

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«R ewire. Cosmopo-liti digitali nell’eradella globalità»1 è

l’ultimo testo di Ethan Zuc-kerman, direttore del Centerfor Civic Media del Mit di Bo-ston. «Un libro bellissimo -scrive De Biase, responsabiledi Nòva de Il Sole 24 ore - unsaggio che si legge come uninsieme di storie connesse».L’idea di fondo è che median-te internet e l’iperconnessioneil cosmopolitismo è divenutorealtà. Già Democrito, Plato-ne e Diogene segnalarono ilvalore del cosmopolitismo: ilsaggio è per sua natura cit-tadino del mondo. Successi-vamente la corrente stoicapensò che il cosmopolitismoriguardasse tutta la societàumana e affermò la fratellan-za di tutti gli uomini e la lorodipendenza da una legge co-mune naturale. Con l’elleni-smo - che vide prevalere il po-tere universale di AlessandroMagno - la diffusione di idealicosmopolitici fu favoritadall’adozione della linguagreca come mezzo di comu-nicazione per i popoli medi-terranei. Oggi i mezzi tecnici

e la rete hanno la teorica pos-sibilità di inverare i sogni deigrandi filosofi. Ma sarà proprio così? L’uma-nità si sta collegando: anchele persone, le loro conoscen-ze, le loro esperienze si com-prendono solo leggendolenella rete delle connessioni.La dinamica del network tra-sforma i segreti in misteri, leculture in espressioni, spiaz-zando l’individualismo permostrarne l’obsolescenza. Ilcosmopolitismo è una possi-bilità fondamentale, ma restasolo una possibilità: possiamoperdere l’occasione interpre-tando la rete in modo chiusoe localistico, lasciandoci do-minare dalla preferenza per ilsimile e il rifiuto del diverso…Ma proprio per questo occor-re ripensare la rete. O meglio:il modo in cui la stiamo co-struendo.Dice Zuckerman: «a ogninuova tecnologia c’è chi pre-dice che ne deriveranno pace

Oggi il modello di business dominante si basa sulla iperpersonalizzazione dei contenuti di cui fruiamo. Serve a definire e inquadrare le nostre preferenze, e venderci prodotti taratiesattamente su di esse.

e cosmopolitismo. Basta ri-cordare la retorica sulla radio,a partire da quella di Gugliel-mo Marconi. Diceva cheavrebbe reso la guerra impos-sibile, perché l’avrebbe resaassurda. La sua teoria era cheuna volta che avessimo po-tuto sentire la voce di popo-lazioni di altri paesi non sa-remmo mai andati in guerracontro di loro. Lo stesso è sta-to ipotizzato per l’aereo. Pri-ma che diventasse uno stru-mento di guerra, si pensavache potendo le persone viag-giare in luoghi lontani, e i di-plomatici incontrarsi faccia afaccia, il risultato di quellanuova tecnologia sarebbestato la pace. Lo stesso per il

telegrafo, il telefono, la tele-visione. C’è sempre questosalto immaginativo, e poil’impatto con la realtà: la ra-dio, nei fatti, ha portato di-strazione più che incontro. Esi può sostenere lo stesso sistia verificando con Internet».

Social network per il cosmopolitismo:piattaforme per la «serendipità»

Come se ne esce? In primoluogo aprendo la propria di-mensione internet all’ignoto,a ciò che normalmente stafuori dalla bolla che ci siamocostruiti attorno. Per iniziaresi potrebbe usare l’idea pre-sentata da Zuckerman e de-finita Terra Incognita: un uti-lizzo del browser che, inveceche aprirsi con una paginabianca o pubblicitaria, si apresu una città dell’est asiatico,su una notizia dall’Africa…Oggi il modello di businessdominante si basa sulla iper-personalizzazione dei conte-nuti di cui fruiamo. Serve adefinire e inquadrare le nostrepreferenze, e venderci pro-dotti tarati esattamente su diesse. La serendipity è un fat-tore di disturbo perché ci sug-gerisce - montalianamente -ciò che non siamo e non vo-gliamo. nnn

1 Milano, Egea 2013. Il titolo originaleè: Digital cosmopolitans in the Age ofConnection. Si veda anche Luca De Bia-se, I media civici. Informazione di mutuosoccorso, Feltrinelli, Milano 2013.

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Due o tre cose su internete il cosmopolitismo

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metamorfosi è addirittura, se-condo Elena Besozzi, «lastruttura portante dell’agireprofessionale dell’insegnante,che coltiva il dubbio ed èaperto all’elaborazione e allaricomposizione continua;senza questa struttura dilem-matica non c’è riflessività,perché la riflessività si appog-gia sul dubbio, sulla disponi-bilità a mettere in crisi ciò chesi sa e ciò di cui si è certi»3.Ancora una volta l’intercul-tura muove da una sana con-sapevolezza della relatività delproprio ruolo e delle proprieidee. nnn

2 A. Dal Lago, Il business del pensiero,manifestolibri, Roma 2007, pp. 128-129. 3 E. Besozzi, Insegnare oggi tra passione,sfide e disagio, intervento al seminarioPaura di entrare in classe. Insegnanti,sfide professionali e bisogni formativi,Milano 18 novembre 2013.

L’ascolto come competenza sociale

Nel dialogo filosofico è prio-ritario farsi capire da tutti efinché ciascuno non ha com-preso un’argomentazione ilgruppo si ferma e collaboraalla chiarificazione del pen-siero, a costo di non prose-guire. È importante il conte-nuto di un’argomentazionee non chi la sostiene. È utilelasciar parlare i compagni emagari, alla fine, rendersiconto che ciò che si pensavaè stato detto da loro, graziead una gestione comune delragionamento e della fatica,ma anche della soddisfazio-ne, nel portarlo avanti.

Dall’ascolto al cambiamento

Alessandro Dal Lago com-menta causticamente che l’iodegli altri appare come «lapreoccupazione costante, di-lagante, delle pratiche filoso-fiche e parafilosofiche al pun-to di stuzzicare la vena auto-biografica e autonarrativa dichiunque». Così la «piccolasofistica contemporanea»edificherebbe e consolerebbe«laddove si tratterebbe piut-tosto di decostruire e di indi-gnarsi»2. Per costruire rispostee produrre cambiamento ènecessario anzitutto superaredialetticamente (o, rifacendo-si ad altri paradigmi, deco-struire) l’egocentrismo e ilpersonale bisogno di ricono-scimento. Questa capacità di

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C iò che chiediamo aibambini è impegna-tivo. Anche gli inse-

gnanti confermano questapercezione quando, dopoaver sperimentato il labora-torio di filosofia non comeconduttori ma come parteci-panti, si stupiscono di quantosia difficile ascoltare gli altri.Nondimeno, l’ascolto dell’al-tro, piuttosto che l’espressio-ne di sé, è la finalità dell’espe-rienza filosofica intesa comeeducazione interculturale.Proviamo ad affrontarne al-cune dimensioni.

Sentichi ascolta

Per costruire risposte e produrre cambiamento è necessario anzitutto superare dialetticamentel’egocentrismo e il personale bisogno di riconoscimento.

mumble mumblechiara colombo | fiorenzo [email protected]

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L’adulto che ascolta i bambiniPer Daniele Novara,«dal punto di vistapedagogico lo specificodell’insegnante sta nellasua capacità di ascoltoe sintonizzazione con il gruppo classe»1.L’insegnante, in aula,come Socrate in piazza,pone domandelegittime ai bambini e li aiutamontessorianamente a fare da soli. Che nonsignifica in solitudine -neppure in quella delrapporto personalizzatosecondo la logica dei BES - ma insieme e in autonomia,valorizzando le intelligenzespecifiche di ciascuno.

1 D. Novara, L’ascolto come condi-zione dell’apprendimento, relazio-ne presentata al convegno Io pen-so, dunque siamo. Intercultura,educazione, filosofia con i bambi-ni, Verbania 29 maggio 2010.

L’ascoltodell’altro,

piuttosto chel’espressione

di sé, è lafinalità della

esperienzafilosofica

intesa come

educazioneinterculturale

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La leggeMathys

educazione degli adultirita [email protected]

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Di fronte al gesto dei colleghi di lavoro che hanno rinunciato alle ferie per consentire a un padre di stare accanto al figlio malato, possiamo renderci conto dell’importanza dellasolidarietà, che è un vero e proprio atto d’amore.

Un grande regalo a un padre in difficoltà

Mai è stato fatto un regalopiù grande da colleghi di la-voro a un padre in difficoltà:la possibilità di dedicarsi com-pletamente al figlio morente.Purtroppo questa tenerissimastoria ha avuto un brutto fi-nale poiché il piccolo Mathysè morto il 31 dicembre del2009, ma ha lasciato a tuttiun’importante eredità: unalegge che porta il suo nomee consente ai dipendenti pub-blici e privati di regalare giornidi ferie ad un collega che ab-bia un figlio gravemente ma-lato in modo che possa oc-cuparsi di lui. Questa legge ènata dall’impegno di Christo-phe che, dopo la morte delfiglio, non ha mai smesso dilottare con la sua associazio-ne «D’un papillon à une étoi-le» (Da una farfalla ad unastella) per far sì che quel ge-sto di generosità e di «benerelazionale» dei colleghi, così

Q uesta legge di recente approvata inFrancia nasce da una bellissima maanche dolorosa esperienza di un pa-

dre. Christophe Germain, dipendente di unostabilimento di acqua minerale Badoit aSaint-Galmier, un piccolo paese nel centrodella Francia, aveva esaurito tutte le ferie e ipermessi per stare accanto a suo figlio Ma-thys, affetto da un tumore al fegato. Quando,purtroppo, nel 2009 la malattia si è ripre-sentata in una forma molto aggressiva ed èstato chiaro che senza un nuovo fegato Ma-thys non ce l’avrebbe fatta, Christophe com-prese che non poteva più perdere tempo alavorare. Il suo posto era accanto a suo figlio.Ma come fare? Come trovare il tempo e con

quali permessi senza correre il rischio di per-dere il lavoro? Alla domanda di Antony, ami-co d’infanzia e collega di lavoro: «Come pos-siamo aiutarti?», Christhope rispose: «Vorreisolo avere altro tempo da passare con il miobambino». Ad Antony fu chiaro che Chri-sthope aveva assoluto bisogno di tempo datrascorrere con Mathys per godersi quel figlioche stava combattendo la sua battaglia piùdura, tenergli la mano, accarezzarlo e soste-nerlo fino all’ultimo istante. Antony alloraebbe un’idea brillante: organizzò una speciedi colletta di giorni di ferie arretrati tra i col-leghi, e chiese alla direzione dell’azienda seaccettava che venissero trasferiti a Christophe.L’azienda non ebbe nulla in contrario, anzicollaborò attivamente, e dette il permessodi effettuare la colletta che consentì di rac-cogliere ben 170 giorni di ferie da regalareal papà di Mathys, quasi metà anno per de-dicarsi interamente a suo figlio.

Una legge di recente

approvata in Francia nasce

da una bellissimama anche

dolorosaesperienza

di un padre

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Una legge nata dal bassoLa legge Mathys fornisce un enormeaiuto ai genitori dal momento che ilcodice del lavoro francese accorda solotre giorni all’anno di assenza per malattiadi un figlio, e un «congedo parentale» di14 mesi su tre anni, non remunerati, per icasi di malattia grave. Di fronte a ungesto del genere possiamo renderciconto dell’importanza della solidarietà,che è un vero e proprio atto d’amore chepermette alle famiglie di conciliare illavoro con i momenti tragici che bisognaaffrontare nella vita. Per una volta loschema si è invertito poiché l’input perquesta legge è partito dal basso, daldono, dalla solidarietà e dalla vita vera.Mettere fiducia nel donare è un buon«investimento» per innestare unacircolarità dinamica nella quale il donopuò causare nell’altro la capacità di darea sua volta agli altri. Il dono deve trovare

un posto e una pratica non solo nellerelazioni umane ma anche nella politica enel mercato per rendere la società comeuna communitas di fratelli, uguali nelladignità e diversi tra loro. Questa legge èuna buona prassi da replicare anche neglialtri Stati, che promuove e sviluppa unapolitica che assume la solidarietà comeproprio tratto distintivo. Questo significa,concretamente, procedere allacostruzione di uno spazio dellaprossimità socio-relazionale-culturale,che presuppone un elevato livellod’interazione intersoggettiva, lacreazione di uno sfondo comune, di unclima di confidenza e fiducia reciproca ela co-costruzione di una cultura civica. Ilcollante di questa cultura civica ècostituito dai beni relazionali, i quali, adifferenza di un bene privato che puòessere goduto da solo, e a differenza,altresì, di un bene pubblico, che puòessere goduto congiuntamente da piùsoggetti, può essere patrimonio di tutti.

fuori da ogni regola, facessescuola e diventasse un benecomune. La possibilità che gliera stata concessa doveva es-sere offerta anche a tutti i ge-nitori che vivono lo stessodramma. Ed è così che loscorso 30 aprile il Senatofrancese ha approvato la leg-ge, già passata dall’Assem-blea nazionale il 25 gennaio2012, per cui un dipendentepotrà «rinunciare anonima-mente e senza contropartita»a una parte o a tutti i giornidi riposo non utilizzati per ce-derli a un collega con figliosotto i 20 anni colpito da unamalattia, un handicap o vit-tima di un incidente di parti-colare gravità. Il genitore acui verranno donati i giornidi riposo dovrà solo fornireun certificato medico, e avràdiritto al 100% dello stipen-dio.

Una tela che sostiene la solidarietà

La «prestazione di beni rela-zionali» diventa ottimalequanto più essa è la conse-guenza di ciò che accomuna,quanto più essa è il risultatodi uno sfondo condiviso disenso, di obiettivi e di valori.Per la propria specifica natu-ra, il bene relazionale favori-sce il crearsi e consolidarsi direlazioni basate sullo scambiodialogico, sull’affidabilità re-ciproca, dunque sul mutuosostegno e sulla coesione. Ilvalore dei beni relazionali au-menta con la loro diffusione

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educazione degli adulti

e la loro condivisione: l’ami-cizia, la fiducia, il senso civico,la partecipazione, la giustizia,la buona comunicazione e laconoscenza. È una tela che,

se ben tessuta, irrobustisce,dirama e sostiene la solidarie-tà e che può diventare la basesu cui «ricamare o dipingere»un modello di crescita e diprogresso sociale a misurad’uomo, per superare quelloattuale, estremo e selvaggio,che ha generato la crisi, ridot-to in povertà non solo eco-nomica milioni di persone eviolentato il sistema dei valori.Solo così la logica del mercatonon invade più tutta la vitadegli individui ma rientra inambiti circoscritti, lasciandoposto al primato delle perso-ne e delle relazioni rese ge-nerative dalle azioni del do-nare e del ricevere. nnn

La leggeMathys è unabuona prassida replicareanche negli

altri Stati

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saggezza follemarco valli - osel [email protected]

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Tempo fa un’analisi delle acque del Tamigi ha rilevato una percentuale abnorme di Prozac e dicocaina, conseguenza di un uso sfrenato di queste sostanze da parte dei londinesi.

Tempo fa ho pensato diproiettare il film su Eli-sabetta I ai miei stu-

denti, certo che sarebbe statoun buon ausilio didattico allostudio del periodo storico chestavamo trattando... Finito ilfilm, una studentessa mi siavvicina e mi chiede: «questaè la madre o la sorella dellaregina attuale?». Non sapevose scoppiare in una risata omettermi a piangere.La fanciulla, ormai ventenne(essendo ripetente), non ave-va in alcun modo contestua-lizzato ciò che aveva visto,non lo aveva saputo decodi-ficare né situare nella lineadel tempo; neppure gli abitidegli attori o il contesto ma-teriale l’aveva aiutata a situarela storia in un certo periodostorico.In un’altra classe, si finisceper parlare dell’islam e un pa-io di studenti musulmani sistupiscono del fatto che iosappia molto più di loro sulCorano e sulla loro religione,anzi ammettono di sapernepochissimo, di adempiere aidoveri prescritti meccanica-mente e senza capirne il si-

Senza radici... come abbiamo fatto a giun-gere a questi estremi?La decostruzione delle radiciculturali è stato un processorelativamente veloce, direi untrentennio circa, e adessocoinvolge pienamente i gio-vani immigrati che, presi dal-l’entusiasmo dell’omologazio-ne, tendono a recidere il le-game con le culture di origine(tranne quelli che per reazionesi buttano fra le braccia delfondamentalismo).In parte non posso non rite-nermi responsabile (con lamia generazione sessantotti-na) dello slancio iconoclastacon cui, sognando un mondonuovo e più giusto, abbiamocercato di cancellare miti, ritie valori del passato… ma lanostra contestazione avevaradici profonde, nella Resi-stenza, nel marxismo, nel cri-stianesimo…I miei studenti non contesta-no più nulla, si disinteressanodi tutto: per contestare biso-gna conoscere ciò che si con-testa, a loro basta guardareda un’altra parte. Stiamo cre-ando generazioni senza me-moria storica e senza radiciculturali, generazioni debo-lissime e facilmente manipo-labili, che non hanno oriz-zonti.Spesso i miei studenti «extra-comunitari» sono più occi-dentali degli occidentali, anzisempre più bramosi di per-dersi nella massa (chissà per-ché mi viene alla mente Mi-

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gnificato. Meglio non parlaredei nostri cattolicissimi e ita-lianissimi superbattezzati-cre-simati, ecc. che non conosco-no nulla del Vangelo e menche meno dell’Antico Testa-mento: risulta impossibilespiegare loro Dante o altri pe-riodi storici, vista la loro totaleignoranza dei fondamenti delcristianesimo e del cattolice-simo. Provate a spiegare laRiforma luterana a qualcunoche non sa nulla della Chiesacattolica...Di fronte a tutto questo mi èvenuto spontaneo chiedermi:

chael Jackson e il suo deliran-te bisogno di diventare «bian-co»…). Al di là dell’evidentedisastro sociale/culturale,questa mancanza di radici di-venta un rischio a livello psi-cologico e spirituale, perchéla formazione dell’io necessitadi punti fermi e solo a partireda un io forte si può intra-prendere il superamento del-l’io che è alla base di un au-tentico percorso spirituale.Se non ho un io strutturato,non vi è superamento dell’ioe in ultima analisi c’è solo ilrischio del disagio psichico,che peraltro dilaga in ognistrato della nostra società(tempo fa un’analisi delle ac-que del Tamigi ha rilevato unapercentuale abnorme di Pro-zac e di cocaina, conseguen-za di un uso sfrenato di que-ste sostanze da parte dei lon-dinesi).

È tempo diinvertire la rotta, di cercare(sempre che si siaancora in tempo)di riconnettercialle nostre radici,finanche per criticarle,contestarle e abbandonarle,ma conoscendoleadeguatamente.

Al di làdell’evidente

disastroculturale, lamancanza

di radicidiventa un

rischio alivello

psicologicoe spirituale

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TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE. ARTE PASSIONE INTERCULTURA

NUMEROPROGRAMMATICO2014-2015

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COME LINFANELLE SEQUOIEGIANNI CALIGARIS

L’angiologo è il medico specialista che si prende curadella corretta circolazione del sangue: vene, arterie, finoall’ultimo capillare periferico. Tutti i sottosistemi del

nostro corpo possono essere perfetti, ma se il sangue non cir-cola come deve, la nostra esistenza affronterà tribolazioni divaria severità, fino ad esiti che possono rivelarsi anche fatali.Utilizzeremo un apologo nello stile di Menenio Agrippa, cheintorno al 500 a.C. applicò al corpo sociale una metafora or-ganicistica; ma in fondo noi cosa siamo, dal puro punto divista fisiologico, se non organismi pulsanti organizzati in coloniedi organismi simili? Secondo il nostro apologo, i rapporti in-terpersonali, quelli delle micro comunità, quelli dei corpi socialiintermedi, quelli delle grandi comunità, hanno bisogno di unsangue che circoli libero, purificato e fecondo: le relazioni.Possiamo proporvi una seconda metafora, più bucolica, menoviscerale. Le sequoie sono i più grandi e possenti esseri viventidel mondo vegetale, fra i più longevi. Ma anch’esse, senza la

linfa che scorre nei loro vasi legnosi, diventerebbero prestolegna da ardere.Nell’annata appena trascorsa ci siamo occupati di «beni comuni».Questi hanno alcune caratteristiche: sono risorse fisicamente per-cepibili, presenti in quantità limitata. Indispensabili o quanto menonecessari alla sopravvivenza ed allo sviluppo di comunità umane,la cui penuria assegna loro un prezzo oltre che un valore.Nella nuova annata 2014-2015 ci siamo dati l’obiettivo di stimolarcia riflettere sui «beni relazionali». È un altro universo.Le relazioni sono un bene immateriale. Sono anch’esse essenzialiper la vita ed il futuro dei singoli e delle comunità ma sono, teo-ricamente, inesauribili. Il loro utilizzo non le consuma, anzi neaumenta il volume e la circolazione. Hanno un valore che nonpuò mai essere tradotto in prezzo. Hanno un costo, ma la com-ponente monetaria è marginale o anche inesistente. Non possonoessere stoccate in silos o magazzini Però possono deteriorarsi,degradarsi, addirittura diventare nocive, conflittuali, tossiche.

La tematica di quest’anno s’ispira al bisognin uno scenario del presente segnato da undella volontà di partecipare. Imparare ad amdisponibile, è un compito necessario per vivdi fiducia, in una parola, di passione. OccorrHillesum, «il cuore pensante della baraccaconcetti chiave: responsabilità, cura, relazio

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Se vogliamo addentrarci in concetti assai complessi, tutte leteorie sistemiche, da von Bertalanffy, attraverso Talcott Parsons,Shils ed altri, in termini generalissimi definiscono un sistemacome un insieme organizzato di relazioni tra oggetti, risultanteda un processo di riduzione selettiva del disordine. La proprietàpiù generale e fondamentale di un sistema è l’interdipendenzadelle parti o variabili. L’interdipendenza consiste nell’esistenzadi determinate relazioni tra le parti o variabili.Lo stato di salute di un sistema è quindi funzione della qualitàdelle relazioni fra le sue componenti. Per questo è sacrosantoparlare di beni relazionali. Anche le teorie che si occupano di organizzazioni complesse,ad esempio le aziende, si sono spesso focalizzate sull’importanzadelle relazioni. Sono le scuole definite «organicistiche» in con-trapposizione a quelle «meccanicistiche», di stampo tayloristico.Così ci fu quella delle «human relations», poi quelle di imposta-zione sistemica (vedi sopra). Fra le ultime nate, quella del «sym-

LO STATO DISALUTE DI UN

SISTEMA ÈFUNZIONE DELLA

QUALITÀ DELLERELAZIONI FRA LESUE COMPONENTI.

PER QUESTO ÈSACROSANTO

PARLARE DI BENIRELAZIONALI

bisogno di riprendere il cammino formativoo da una drammatica crisi delle relazioni ee ad amare e ad abitare questo tempo, l’unicoper viverlo in una prospettiva di speranza eOccorre voler essere, come affermava Ettyaracca». Per farlo abbiamo individuato trerelazione. Antonella Fucecchi

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dossierNUMERO PROGRAMMATICO 2014-2015

bolic management», un approccio quasi antropolo-gico che parte dall’analisi e dalla genesi di cultura,riti, miti, codici linguistici che elaborano tratti distintivirispetto ad entità apparentemente omologhe.Tornando al generale, gli umani e le loro comunità,fra i sistemi più «giovani» dell’universo, conosconobene il valore delle relazioni. Il sorriso speranzoso eaccattivante di un bimbo di pochi mesi e le sue ma-nine protese, cosa sono se non richiesta di relazione,prima ancora che di soddisfazione dei bisogni es-senziali o di protezione? Sono qui, voglio comunicarecon te, voglio confondermi con te. Ma, come si diceva prima, le relazioni possono an-dare in sofferenza o, se deteriorate, produrre soffe-renza. Ecco perché vorremmo tematizzare l’esigenzadi comprenderle e di prendersene cura. Per sommicapi, come sarà meglio illustrato nei paragrafi suc-cessivi, abbiamo individuato alcuni nodi. Le «istituzioni totali», in cui le relazioni sono limitatead un ambiente circoscritto e sottoposte a severeetero regolamentazioni. Il complesso mondo delledipendenze, che sono di sovente rifugio, sbocco omedicina malata di deficit relazionali. I rapporti in-tergenerazionali o fra generi, in cui troppo spesso ilterzo incomodo è l’incomunicabilità. Gli incontri ele convivenze ondivaghe fra religioni e culture. Lepotenzialità ed i rischi delle relazioni virtuali, con levarie possibilità di dare vita a personalità travisateper trarre in inganno se stessi o gli altri, spesso i piùdeboli. Le situazioni di volontaria deprivazione rela-zionale, ovvero quando una scelta di vita fa tornaremonadi, volutamente estraniati dal fluire delle inte-razioni che caratterizzano la nostra esistenza dallanascita. L’anacoreta ed il guardiano del faro possonoessere i simboli, religioso e laico, del fenomeno. Affronteremo questi nodi, consapevoli che non esistela spada di Alessandro per tagliarli, ma che occor-rono conoscenza, sensibilità, cura. Affinché le relazioni continuino ad essere «come lalinfa nelle sequoie».

LE RELAZIONI SONO UNBENE IMMATERIALE.

SONO ANCH’ESSEESSENZIALI PER LA

VITA ED IL FUTURO DEISINGOLI E DELLE

COMUNITÀ MA SONO,TEORICAMENTE,

INESAURIBILI. IL LOROUTILIZZO NON LE

CONSUMA, ANZI NEAUMENTA IL VOLUME E

LA CIRCOLAZIONE.HANNO UN VALORECHE NON PUÒ MAI

ESSERE TRADOTTO INPREZZO. HANNO UN

COSTO, MA LACOMPONENTEMONETARIA È

MARGINALE O ANCHEINESISTENTE. NONPOSSONO ESSERE

STOCCATE IN SILOS OMAGAZZINI PERÒ

POSSONODETERIORARSI,

DEGRADARSI,ADDIRITTURA

DIVENTARE NOCIVE,CONFLITTUALI,

TOSSICHE.

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ibride di sincretismo, quanto piuttosto quelle volte alla pro-mozione di convivenze sociali capaci di valorizzare le diversitàe farne una ricchezza. Vorremmo proporre nuovi modi di staredentro alla complessità sociale, raccontare e dare spazio anuovi modelli di rappresentanza, di gestione dello spazio pub-blico, di partecipazione politica e di riconoscimento di citta-dinanza. Vorremmo occuparci di relazioni interculturali intese comeopportunità per preservare identità culturali, in un’ottica peròdi sguardo cosmopolita, di meticciamento secondo la logicadella glocalizzazione teorizzata da Roland Robertson3.Se consideriamo infatti le identità non come monadi statiche,ma piuttosto quali entità dinamiche e in continua trasforma-zione, è chiaro che le stesse non possono che arricchirsi, mi-gliorare e rafforzarsi proprio grazie al dialogo, al confronto ealla relazione con gli altri. E le relazioni interculturali possono diventare strumenti peropporsi all’indifferenza, recuperare la capacità di indignarsi,riassumere il valore della responsabilità e della pratica dellacittadinanza attiva. Possono aiutarci a ri-pensare al passato,comprendere il presente, progettare futuro, in definitiva pen-sare alle gener-azioni della vita.

1 G. Mantovani, Interculturalità. È possibile evitare le guerre culturali?, IlMulino, Bologna 2004.2 G. Di Cristofaro Longo, Cultura, culture, dialogo interculturale, in G. Spagnuolo(a cura di), Il magico mosaico dell’intercultura. Teorie, mondi, esperienze,Franco Angeli, Milano 2007.3 R. Robertson, Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios,Trieste 1999.

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Casi di ghettizzazione o di apartheid, guerre traculture in cui si mira all’annientamento dell’Altro,conflitti interculturali nelle metropoli del terzomillennio non appartengono purtroppo a unpassato lontano, ma troppo spesso caratteriz-

zano il nostro presente. Il benessere delle realtà sociali com-plesse in cui viviamo e agiamo dovrebbe invece essere col-legato sempre più allo sviluppo di culture e di menti aperte ecapaci di riconoscere l’Altro come prossimo, cittadino, alleato.Le relazioni interculturali dovrebbero essere considerate «benicomuni», opportunità per produrre con-sensi, vicinanze, pros-simità. Per attivare, nel ri-conoscimento delle diversità, elementigenerativi di trasformazione. Per questo come gruppo CEM,da anni impegnato sul fronte dell’educazione e del dialogointerculturale, crediamo che oggi più che mai occorra lavorareper facilitare le relazioni tra le culture immaginandole, comescrive Mantovani1, «come sistemi porosi, spazi di scambio,sistemi di risorse disponibili agli attori sociali per la loro rela-zione con l’ambiente». In quest’ottica, indispensabile diventala diffusione, come sostiene la Di Cristofaro2, «di quel com-plesso di valori, orientamenti, atteggiamenti e comportamentiai quali ispirare scelte individuali e collettive di soggetti ap-partenenti a culture diverse che convivono in una stessa co-munità». Per questo, nella nuova annata della rivista, vorremmoindagare le relazioni interculturali che non mirano all’elimi-nazione delle differenze, né che cercano di produrre forme

dossierALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI

CULTURE COME SISTEMI POROSIPATRIZIA CANOVA

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dossierALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI

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scutere, c’è chi le paragona al marxismo come pericolosità(una certa chiesa conservatrice), c’è chi le vede come un’oc-casione di riscatto per vedersi riconosciuto dalla comunitàcome una persona con pari diritti rispetto agli altri cittadini.Al di là delle etichette è sicuramente importante incontrare lepersone, parlare con loro, comprenderle profondamente,come ricorda Papa Francesco.La diffusione sempre maggiore di persone che si scoprono esi palesano appartenenti al «terzo genere» è il risultato di unamaggiore liberazione dal pregiudizio o il frutto di una tendenzadella società a decostruire tutto, anche l’identità di genere? Euna volta decostruita, cosa resterà? Quanto pesa la voce delleminoranze, anche di genere, nella costruzione di una societàche sembra sotto certi aspetti sempre più omologata e sottoaltri sempre più differenziata? Nel dossier che dedicheremo al tema indagheremo certa-mente il modo in cui sono cambiate le concezioni sulle identitàdi genere, e di conseguenza che tipo di relazioni vi siano trale persone alla luce di queste trasformazioni, anche per quantoriguarda i legami familiari, genitoriali e di coppia.

Per secoli, per millenni, la supposta superiorità del-l’uomo sulla donna, motivata soprattutto dalla mag-gior forza fisica, ha prevalso nel panorama storico,culturale e legislativo di molte società. Con l’ondatarivoluzionaria, dalle suffragette alle femministe, in

circa un secolo sono cambiate le carte in tavola: la donna haraggiunto un grado di emancipazione prima inimmaginabilee si è imposto anche a livello intellettuale il tema della differenzadi genere. Alcuni frutti di quelle battaglie sono ancora acerbi,gli angoli bui di oppressione ci sono ancora, basti pensarealla violenza sulle donne, psicologica e fisica, alle discrimina-zioni sul lavoro che ancora ci sono, alle mutilazioni sessuali,agli stupri di guerra, alla segregazione delle donne nella culturaislamica più integralista... ma altri sono maturati e in molti negodono il profumo. Il congedo per paternità, la sempre mag-giore disponibilità degli uomini a condividere con le compagnei lavori domestici e la cura dei figli sono solo alcuni esempi.L’umanità però non è fatta solo di uomini e donne, ci sonoanche altre sfumature per definire l’identità di genere e diconseguenza le relazioni tra le persone. Il «terzo genere» non

A CHE SERVE «GENERALIZZARE»?MARIA MAURA

è neutro, ma solo differente e difficile da definire con una solaparola; questo genere contiene in sé femminilità e mascolinitàin proporzioni e caratterizzazioni diverse. Parliamo di genere,perché rispetto a «sesso» è un termine più appropriato perrappresentare non solo la caratterizzazione fisico-biologica,ma anche l’identità. Oggi è diventato imprescindibile parlaredelle persone GLBQTI (Gay, Lesbiche, Bisessuali, Queer,Transessuali, Intersessuali) e non solo per l’atteggiamento ela condotta sessuale. Il discorso sul genere è molto di piùche una constatazione della forma dei genitali, dei vestiti odei gusti circa i partner con cui avere rapporti intimi; la que-stione di genere non è solo biologica, fisica, ma è anche cul-turale, educativa, esistenziale, emotiva (cercate su GoogleGenderbread-person per guardare come cuore, cervello, ge-nitali e atteggiamento si differenziano e si integrano in com-binazioni diverse). Le teorie di genere certamente fanno di-

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a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI58

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BENI COMUNI E... VIZI CAPITALI

LA SUPERBIA

Considerato radice e culmine di ogni male moraleda sant’Agostino e san Tommaso, la superbia ènel canone dei sette vizi la violazione principale,

perché contiene e p

a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI14

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IL DECALOGOE I SUOI ENIGMI

Gli inserti di CEM Modialità per l’annata 2014-2015avranno come oggetto la ri-letttura dei DieciComandamenti quale testo-base di un’etica pubblicaper l’umanità. Come per le annate precedenti,l’inserto «Deka-Logous (10 parole). Quale Etica per l’Umanità?», di cui in questo primonumero pubblichiamo gli obiettivi programmatici el’impianto generale, si articolerà complessivamentein nove puntate secondo il seguente ordine:

Giugno-luglio 2014 Il Decalogo e i suoi enigmi

Agosto-settembre 2014Il Decalogo nelle grandi religioni

Ottobre 2014Il Decalogo nella letteratura, nel cinema e nelle arti

Novembre 2014Non avrai altro Dio fuori di me

Dicembre 2014Atti del convegno CEM Mondialità

Gennaio 2015Non uccidere

Febbraio 2015Settimo, non rubare

Marzo 2015Non dire falsa testimonianza

Aprile 2015Non desiderare la donna d’altri, né le sue cose

Maggio 2015L’oblio dei comandamenti... e la fine di ogni autorità

Obiettivo di questo inserto introduttivo è mo-

strare come il tema dei Dieci Comandamenti

sia problematico in ogni suo aspetto, a comin-

ciare dalla stessa determinazione del «testo» e delle

sue suddivisioni. Riteniamo opportuno iniziare il nostro

percorso dalla situazione di profonda ignoranza in cui

versano gli italiani in materia di cultura religiosa. A

darne ampia e inquietante documentazione è – ancora

una volta – il recente «Rapporto sull’analfabetismo re-

ligioso in Italia» (Bologna, Il Mulino 2014), curato dallo

storico Alberto Melloni, nel quale si mostra - tra le altre

cose – come nel nostro paese la Bibbia sia scarsamente

conosciuta, pochissimo letta, e soprattutto ignorata per-

fino nei suoi capisaldi più ovvii e scontati. C’è veramente

da rimanere sbigottiti!

Si pensi che ancora oggi alla domanda «chi ha scritto la

Bibbia?», un quarto degli interpellati risponde che è

stata scritta da Mosè, e un altro 20 per cento risponde

che l’ha scritta Gesù! Inoltre, soltanto il 30 per cento

degli interpellati è in grado di indicare i Dieci Coman-

damenti. La gran parte si limita ad indicare «Non ruba-

re», che sembra essere il più famoso dei comandamenti,

ma quasi tutti trascurano il primo, «Non avrai altro Dio

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fuori di me». Ecco allora una motivazione incontrover-

tibile che si aggiunge alle altre e che viene a rendere

ancora più impellente e - si potrebbe quasi dire - ob-

bligatorio questo inserto CEM sui Dieci Comandamenti

per l’annata 2014-2015. Ma da dove si potrebbe partire

per ri-pensare il nostro tema?

Nella mente di tanti di noi vi è forse la convinzione che

i Dieci Comandamenti - detti anche Decalogo (10 parole)

- siano stati incisi sulle «Tavole della legge» e dati a

Mosè da Dio stesso sul monte Sinai. Purtroppo, però,

questa comoda rappresentazione - solo apparentemente

lineare e inconfutabile - è troppo semplice per essere

vera. Per tante ragioni.

Facciamo presto a dire «Dieci Comandamenti», in realtà

nell’originale testo ebraico (o versioni del testo ebraico)

non si parla né di 10 né di comandamenti! È la tradu-

zione in lingua greca dei Settanta che riporta l’espres-

sione Deka Logous (dieci parole) da cui deriva il termine

«decalogo» che poi risulterà vincente.

È anzitutto opportuno riconoscere che le ingiunzioni

sono ben più di 10 e che il testo in ebraico è presente,

con versioni leggermente diverse, in due libri della Bib-

bia: Esodo (20, 2-17) e Deuteronomio (5, 6-21).MOLTEPLICI VERSIONI DEL DECALOGO

Non esiste dunque un unico testo del Decalogo, ma findall’inizio si è dinanzi a più di una versione. La ragioneper cui abbiamo intitolato questo nostro inserto intro-duttivo Il Decalogo e i suoi enigmi sta essenzialmentenel fatto che anche il «testo» dei sacrosanti 10 coman-damenti deve essere de-mitizzato e considerato perquello che è: una costruzione letteraria.Basti pensare che nelle due originali versioni in linguaebraica contenute l’una nel libro dell’Esodo e l’altra nellibro del Deuteronomio (un tempo, com’è noto, attribuitientrambi a Mosè come «autore»!) non riportano alcunanumerazione, né la punteggiatura, né una suddivisionein capoversi. Bisognerà infatti attendere prima la tra-duzione dei Settanta e poi il lavoro dell’esegesi cristianaper assistere alla suddivisione «in versetti» del testobiblico che favorirà l’individuazione di quella data partee ne faciliterà sia la memorizzazione sia la citazione.Non è questa la sede per trascrivere le molteplici versioniche già nell’ebraismo, ma ancor più nelle altre religioni

RITENIAMOOPPORTUNO INIZIAREIL NOSTRO PERCORSODALLA SITUAZIONE DI PROFONDAIGNORANZA IN CUIVERSANO GLIITALIANI IN MATERIADI CULTURARELIGIOSA.

MOSÈ SPEZZALE TAVOLE DELLA LEGGE

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magini come parte del primo comandamento. Inoltre,prendendo come testo-base la versione del Deutero-nomio (5, 6-21), separano la proibizione di desiderarela donna del prossimo dalla proibizione di desiderareanche le sue cose.Nella tradizione ebraica, che è poi quella più antica eoriginaria, il primo dei comandamenti è la premessadei comandamenti cristiani, mentre il secondo coman-damento ebraico corrisponde al primo comandamentocattolico e luterano. Ecco perché bisogna parlare dimolteplici versioni del Decalogo.

LA VERSIONE «CATTOLICA» DEL DECALOGO

Nella tradizione della chiesa cattolica la versione delDecalogo riprende il testo del Deuteronomio (5, 6-21),apportandovi leggere (o sostanziali?) modifiche. Adesempio, si noti la differenza che esiste tra la versioneebraica e quella cattolica rispetto al primo e al sestocomandamento. Nel Deuteronomio il primo comanda-mento dice: «Non avere altro Dio di fronte a me. Non tifarai idolo né immagine... Non ti prostrerai davanti aquelle cose»; nella versione cattolica il primo suonacosì: «Non avrai altro Dio fuori di me», mentre scompareil riferimento all’idolatria e al divieto di farsi immagine;così pure, il sesto comandamento dice: «Non commettereadulterio», mentre nella versione cattolica diventa «Noncommettere atti impuri».In definitiva possiamo affermare che la versione cattolicapiù diffusa - e ridotta per scopi «catechistici» onde fa-cilitarne la memorizzazione - sia la seguente:

«Ascolta Israele, io sono il Signore Dio tuo:

1. Non avrai altro Dio fuori di me2. Non nominare il nome di Dio invano3. Ricordati di santificare le feste4. Onora il padre e la madre5. Non uccidere6. Non commettere atti impuri7. Non rubare8. Non dire falsa testimonianza9. Non desiderare la donna d’altri

10. Non desiderare la roba d’altri»

monoteiste - e in particolare nelle confessioni cristiane- esistono dei Dieci Comandamenti. Ciò significa chesiamo dinanzi a differenti interpretazioni anche all’in-terno di una stessa religione!Venendo poi più dettagliatamente al problema dellasuddivisione dei Dieci Comandamenti, bisogna dire chele principali differenze si concentrano all’inizio e allafine del Decalogo, ossia sulla distinzione tra primo esecondo comandamento e, conseguentemente, tra nonoe decimo comandamento. Più concretamente, sia per l’ebraismo sia per la chiesaortodossa (oltre che per alcune chiese evangeliche), ilsecondo comandamento inizia dove c’è la prescrizionedi non farsi immagini di Dio, di non prostrarsi di frontead esse e di non adorarle. Di conseguenza, il comanda-mento riguardante il non desiderare la moglie del pros-simo va a fare tutt’uno con quello che riguarda le cosedel prossimo. Invece la chiesa cattolica - e successivamente anchequella luterana - considerano la prescrizione delle im-

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I DIECI COMANDAMENTI: PAROLE DI DIO O PAROLE DELL’UOMO?

È forse questo l’interrogativo centrale cui siamo oggichiamati a rispondere. Che senso può avere infatti il ri-chiamo ai Dieci Comandamenti nel tempo di internet edella globalizzazione, in un contesto dove la secolariz-zazione, il relativismo e il nichilismo sembrano spadro-neggiare? Di quale etica pubblica - a livello planetario- la nostra società avrebbe bisogno per vivere «civil-mente» nella differenza tra culture, etnie e religioni?Chi o che cosa potrebbe essere in grado di restituire aiDieci Comandamenti un’autorità che pare essere per-duta per sempre?Perché non funziona più il legame tra legge divina elegge naturale? Perché sembra restare senza rispostaogni appello ad un’Autorità «altra» dall’uomo?È questa la ragione per cui abbiamo ritenuto opportunorinviare anche alla rassegna di incontri organizzata aMisano Adriatico (ottobre-novembre 2012) sul tema «Idieci comandamenti: parole di Dio o parole dell’uomo?»,cui hanno preso parte noti intellettuali come SalvatoreNatoli, Vito Mancuso, Carlo Sini, Vincenzo Vitiello, MarcoGuzzi, Umberto Curi ed altri. L’impegno di ri-pensareoggi i Dieci Comandamenti non può non collocarsi traquel che rimane delle religioni e la sfida di un’eticadella prossimità e della responsabilità.

OLTRE IL DECALOGO. QUALE «ETICA MONDIALE» PER L’UMANITÀ?

Teniamo a precisare che lo spirito con cui ci apprestiamoa ri-leggere i Dieci Comandamenti è quello di un’er-meneutica aperta all’inedito (interculturale, interreli-giosa, interdisciplinare), senza nostalgie per il passato.Un’ermeneutica che fa proprio l’interrogativo formulatoda Hans Küng: cosa mettere alla base di un’etica mon-diale, che gli uomini possano condividere alla luce ditutte le grandi religioni e tradizioni etiche? Troviamocorretta l’impostazione di Küng: anzitutto il principiodell’umanità, ossia che ogni uomo (maschio o femmina,bianco o di colore, ricco o povero, giovane o vecchio)

deve venire trattato «umanamente». Ciò è bene espres-so, come sappiamo, nella «regola aurea» della recipro-cità: «non fare agli altri quello che non vorresti fossefatto a te». L’approccio con cui il teologo svizzero affrontail suo interessante progetto di etica mondiale è il se-guente:

z Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni;z Non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le reli-

gioni;z Non c’è dialogo tra le religioni senza un

modello etico globale;z Non c’è sopravvivenza del nostro pianeta,

nella pace e nella giustizia, senza un nuo-vo paradigma di relazioni internazionalifondato su modelli etici globali.

Riguardo all’etica mondiale, Küngfa inoltre capire che non si trattadi costruire una dottrina o un si-stema, ma piuttosto un «atteggia-mento morale di fondo» (che eglichiama ethos) che determina l’in-tero agire e che abbraccia - incondi-zionatamente - sia i diritti sia i doveriumani.

BIBLIOGRAFIA

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D. Zoletto, Bibbia e intercultura, Claudiana, Torino 2011

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O BEATA SOLITUDO...MARCO VALLI

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vita, costringendoci ad una sopravvivenza stentata, priva diogni apertura a ciò che ci circonda. L’isolamento è la radicedi molte delle patologie psichiche e sociali che attanaglianola nostra società postmoderna.La beata solitudo dei monaci medioevali può avere una citta-dinanza anche nel nostro mondo? Possiamo ancora assaporarelo stare con noi stessi e da qui aprirci verso gli altri?Molti segnali fanno ben sperare, ma certo è che se non riu-sciamo a riscoprire il valore della solitudine, sia essa vissutain una prospettiva religiosa o laica e psicologica, allora l’iso-lamento con le sue patologie avrà il sopravvento portando adun totale depauperamento della capacità di relazione creativa.Senza capacità di solitudine non vi può essere capacità diascolto, senza ascolto non vi può essere relazione, senza re-lazione non vi può essere società.La solitudine è un modo per fare amicizia con noi stessi, esolo se siamo in pace possiamo aprirci all’amicizia con ciòche è altro da noi; va da sé che una solitudine creativa sarebbeuna terapia di base per le nostre incapacità relazionali.

Il termine solitudine, nel nostro parlare quotidiano, tendespesso ad avere connotazioni negative, solitudine si af-fianca a depressione piuttosto che a disagio esistenziale.Pare che per i più la solitudine sia una dimensione sco-nosciuta e, nel complesso, temuta... un’esperienza da

rifuggire il più possibile. Non è sempre stato così, in altritempi e in altre culture l’esperienza della solitudine è statagrandemente apprezzata e valorizzata; dagli eremiti e anacoretiagli sciamani, dai filosofi ai poeti, in tanti hanno trovato nellasolitudine un terreno fertile per la propria crescita umana espirituale.Che cosa s’intende però per solitudine?In inglese essere soli si dice to be alone; alone deriva da allone, essere tutt’uno, essere uniti in se stessi e con tutto ciòche esiste. Se questa è la solitudine di cui parliamo, allora ciriferiamo ad una dimensione profondamente contemplativa,che tanta parte ha avuto nella storia della mistica e della crea-zione artistica. Se invece stiamo parlando dell’isolamento,cioè di quella patologia dell’anima che ci spinge a chiudercial mondo, agli altri e, in definitiva, a noi stessi, allora siamo difronte ad un deragliamento esistenziale che porta solo fru-strazione e sofferenza.La solitudine è una scelta, temporanea o definitiva,che ci spin-ge a entrare nelle profondità di noi stessi, a conoscerci pro-fondamente fino a connetterci col nostro cuore più profondo,ove riverbera la luce dell’Essere e da qui aprirci e ad abbrac-ciare l’intero universo.L’isolamento non si sceglie, si subisce, ci piomba addossocome una maledizione privandoci dell’Eros, l’amore per la

dossierALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI

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«Istituzioni totali». Erving Goffman fu il primo a battezzarle così

(Asylum, 1961), dopo di lui numerosi studiosi ne utilizzaronoil termine. Esso definisce tutte le situazioni in cui un certonumero di esseri umani trascorre tutta o parte dell’esistenzaall’interno di strutture che limitano o negano ogni interazione

col resto della società: microcosmi etero diretti, con regole rigide, a cuigli individui possono rispondere con una gamma di comportamenti: dallaribellione (fino al suicidio) all’assuefazione (fino al collaborazionismo).Ciò vale soprattutto per le istituzioni coercitive (prigioni, manicomi, orfa-notrofi, campi di concentramento, eserciti); ma esistono anche istituzionidi libera scelta (corpi militari volontari, conventi di clausura stretta).Nei casi estremi, le relazioni sono negate non solo con l’esterno, ma anchefra gli stessi «ospiti» e ridotte al minimo con i soli custodi, vedi il casoGuantanamo. Un mondo a sé sono le istituzioni che ospitano e gestiscono la follia,poiché ivi le interazioni fra i controllati sono governate da variabili ingestibili,con notevoli cariche di asocialità. Fortunatamente, si stanno avviando al-l’estinzione.Comunque, non a caso, dopo Goffman gli studiosi si sono concentratisulle istituzioni coercitive (in Italia ricordiamo, su tutti, Basaglia) che acasa nostra vedono come ultimi nati i CIE, ex CPT. In questi sottosistemi chiusi interagiscono due ruoli fondamentali: i con-trollori ed i controllati. Fra i controllati, poi, si sviluppano nuovi ruoli, mor-bosamente complementari, le cui dinamiche definiscono e codificano icomportamenti. Vengono così normate le regole di vita di quelle comunità,racchiuse e rigidamente omosessuali, come le definizioni di rango, le vi-carianze sessuali, i codici d’onore, i riti di iniziazione. Di ciò i controllori

non possono/devono occuparsi, se non in casi estremi, poiché l’ingra-naggio funziona se si autolubrifica. Un suicida impiccato, uno sgoz-zamento sotto le docce, un colpo sparatosi in bocca (ricordate ilfilm Full metal jacket?) sono costi accettabili e preventivati.Paradossalmente, l’interazione controllori/controllati determinaanche una reciproca influenza sui ruoli e sulle aspettative diruolo. Ciò fu empiricamente dimostrato nel celebre «esperimento

di Stanford», condotto nel 1971 da Philip Zimbardo, docentedi sociologia alla Stanford University (Usa). Ventiquattro

studenti universitari furono inseriti in un contesto che re-plicava un carcere. Dodici volontari ricoprirono il ruolo

di guardia carceraria e dodici il ruolo di carcerato. I ri-sultati furono sconcertanti: al sesto giorno fu posto fineall’esperimento, a causa delle violenze dei soggetti chericoprivano il ruolo di guardie. Questo, ed altro, ispiraronoa Goffman un’altra delle sue eleganti teorie: quella dellabeling, ovvero dell’«etichettamento», secondo la qualele persone tendono ad assumere i comportamenti deglistereotipi che gli altri assegnano loro. Questa è un’altrastoria, ma pensate a come questo meccanismo puòfunzionare in un sistema rinchiuso.

«Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va /perciò ho deciso di rinunciare alla mia ora di libertà / se

c’è qualcosa da spartire tra un prigioniero e il suo piantone/ che non sia l'aria di quel cortile, voglio soltanto che sia

prigione» (Fabrizio De Andrè)

LE ORE D’ARIAGIANNI CALIGARIS

dossierALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI

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ad una reale crisi dei credi consolidati, aprendoci a visioninuove e creative; egli stesso si definiva sia cristiano sia bud-dhista e hindu, figlio di culture differenti che però avevanotrovato un’armonia profonda nel cuore del suo essere.Bede Griffiths parlava di matrimonio fra oriente e occidente esi definiva un sannyasin (monaco errante o anche ricercatoredi verità) cristiano-hindu, seguendo le orme di Henri Le Saux;durante l’Eucarestia faceva leggere la Baghavad Gita o leUpanishad assieme al Vangelo.Il cammino intrareligioso è la cura per le numerose patologiedel dialogo interreligioso perché parte là dove le certezze va-cillano e si è pronti ad accogliere la verità altrui come veritàanche nostre, senza più arroccarci nelle consuetudini fidei-stiche e dogmatiche.Quando ci ritroviamo con amici appartenenti ad altre tradizioni,stiamo parlando dello stesso Dio? O forse ognuno parla solodella sua immagine di Dio e tutti ci aggiriamo nello stessocampo senza accorgercene?Il dialogo ha i suoi rischi: dal rimanere immobili sulle proprieposizioni al confondere tutte le posizioni in una marmellataNew Age, ma è ormai un bisogno imprescindibile in una so-cietà globalizzata; gli hindu, i sikh, i musulmani vivono a fiancodella nostra porta, non sono più una curiosità esotica e sonoportatori di valori, intuizioni, esperienze che devono interpel-larci e fecondarci: solo così ci sarà una possibilità di un cam-mino umano e spirituale comune.Uscire dal proprio ben recintato giardino non è sempre facile,richiede un po’ di coraggio e di disponibilità ma può diventareun’avventura esaltante e stimolante, un viaggio verso un nuovomodo di essere.

Consesso interreligioso: teologo cattolico, altoprelato, pastore protestante, rabbino, monacobuddhista o hindu (intercambiabili, visto che inmolti non capiscono la differenza), l’imam mu-sulmano, a volte un pope ortodosso. Si parla di

Dio, ovviamente. Tutti con molto rispetto reciproco, bon ton eanche un po’ di stucchevole gentilezza, tutti attenti a nonessere troppo decisi o forti nel descrivere (difendere?) la pro-pria idea/posizione, alla fine abbracci di pace e cordiali salutie la vaga sensazione che nessuno abbia realmente ascoltatol’altro. È questo è il dialogo interreligioso che desideriamo?È questo che ci serve?Quando va bene, questo dialogo è pura accademia, un eser-cizio intellettuale, una curiosità sociologica che non ci mettein discussione, che non ci porta oltre i nostri schemi usuali,che non ci spinge a inoltrarci in nuovi territori.Quello che noi chiamiamo dialogo interreligioso non è altroche una curiosità reciproca che non diventa mai feconda,una sorta di erotismo sterile che non dà vita a nulla.Raimon Panikkar, anni fa, nel corso di un convegno ad Assisi,affermò che era giunta l’ora di toglierci i nostri «preservativireligiosi e culturali» e di aprirci ad un percorso nuovo cheegli definiva «intrareligioso».La via indicata da Panikkar era quella di una reale fecondazionefra culture religiose nel cuore stesso del singolo che spingesse

dossierALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI

SPIGOLANDONEI CAMPI DEL SIGNORE?MARCO VALLI

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dossierALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI

A parte le conseguenze più vistose sul piano sociale (microe macro criminalità, violenze domestiche, comportamenti autodistruttivi, rischi sanitari e quant’altro) c’è un comun denomi-natore: il soggetto vive in un bozzolo opalescente che distorcela sua visione della realtà. Siamo tutti consapevoli del fattoche le dipendenze non hanno «una» motivazione. Innumerevolifattori, alcuni di incertissima decifrazione, possono portare lepersone ad affacciarsi ad uno dei tanti tunnel, e poi ad ad-dentrarvisi. Ma anche qui possiamo trovare, forse, un datocomune: l’esistenza di deficit relazionali. Questi sono spessopresenti nei vettori scatenanti e lo sono sicuramente negliesiti. La «scimmia sulla schiena», come la chiamava Burroughs,è un potente estraniante che altera l’orizzonte di vita e deformale prospettive. Ma se le relazioni possono essere concausadella malattia, esse possono essere anche parte attiva dellacura.

Qui si entra veramente in un territorio infido, ur-ticante, che non ammette e non perdona ap-procci dilettantistici. Non essendo un esperto,ci andrò quindi molto cauto, resterò ai margini,sarò un border liner, con uno sguardo appren-

sivo ma rispettoso di altrui competenze ed esperienze.Siamo tutti consapevoli che il complesso e disarticolato mondodelle dipendenze, negli ultimi decenni, ha ampliato la sua gam-ma. Il versante strettamente corporeo della chimica (sostanzepsicotrope, alcol) si sta allargando con un nuovo campionariodi dipendenze immateriali, che non si inoculano, non si sniffano,non si bevono, ma che comunque marchiano significativamentele esistenze e quelle delle persone con cui sono in relazione.

SOGNIROVESCIATIGIANNI CALIGARIS

Ovviamente esistono diversi gradi di severità: in alcuni casi ilproblema è puramente socio-relazionale, in altri porta con sésignificativi ritorni sanitari ed economici negativi che si river-berano sul quotidiano e sul ménage familiare.Tentiamo un classificazione semplificata:z Sostanze psicotrope. Senza addentrarci nella differenza fra«leggere» e «pesanti» (anche perché la maligna inventiva dichi ci lucra continua a crearne di nuove, di incerta classifica-zione, vedi le smart drug).z Alcol. Forse la dipendenza più antica. Noè visse la primasbronza, secondo la tradizione se non secondo la storia. Nonsappiamo se dopo continuò a bere, ma la sua reazione fu daperfetto alcolista: non si assunse la responsabilità, ma se laprese con Cam.z Dipendenze virtuali. Da internet, dalla pornografia (si affacciaquella da social network).z Ludopatie. Le dipendenze dal gioco d’azzardo, in crescitaesponenziale, non a caso ormai prese ufficialmente in caricodai SerT.

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PATRIZIA CANOVA

Per cercare di rispondere a queste ed altre domande, tracciaremappe provvisorie, individuare strade alternative, proporremonella nuova annata della rivista 2014-2015 stimoli per ri-pensareil confronto tra generazioni e indagare le trasformazioni in attonella nostra società. Essere adulti oggi comporta, oltre cheimpegno e responsabilità, anche capacità crescenti di trovarenuove modalità per riuscire a stare in contatto e dialogarecon i giovani, pena la perdita di trasmissione di memoria,valori e saperi. E di patrimoni affettivi.In questa direzione raccoglieremo punti di criticità, ma anchebuone pratiche, volti a ri-conoscere i confronti generazionaliquali beni relazionali importanti, da valorizzare, tutelare, pro-muovere.

Qualche giorno fa, dialogando con gli studenti diun istituto superiore, alla domanda su quali sianoritenuti i valori importanti oggi, un ragazzo mi harisposto convinto: «Il computer». «Come - ho ri-battuto io - il pc è un oggetto, perché lo definisci

un valore?». «Perché attraverso il computer vado in rete doveposso incontrare altre persone e dialogare. La rete c’è semprequando hai bisogno, a differenza dei genitori e spesso anchedegli amici che non sono facili da trovare». Un altro studente haaggiunto: «E poi nella rete puoi chiedere consigli, fare domandeanche difficili mantenendo l’anonimato e ricevi subito una ri-sposta. Basta andare sul social network Ask per sperimentarloin prima persona. Certo non sai chi ti sta rispondendo, maquesto poco importa, lì trovi sempre qualcuno che ti dà retta, adifferenza della famiglia o, peggio ancora, della scuola...!».Affermazioni secche, chiare, amare che, una volta di più, ri-chiamano con urgenza la necessità di riflettere e comprenderemodi, tipologie e contesti nei quali si dispiegano le relazioniumane in generale e quelle tra giovani e adulti in particolare.Senza dubbio, riflettere oggi sui rapporti intergenerazionalivuol dire indagare uno spazio multiprospettico e per certiversi molto «liquido». Uno spazio che può essere statico omobile, che può diventare opportunità di dialogo, incontro ecrescita reciproca o, al contrario, può caratterizzarsi quale noman’s land, zona franca, crepa di una società che sta cam-biando, territorio dell’incomunicabilità.Dove cercano e trovano i loro modelli i ragazzi e le ragazzedella Generazione 3.0? La famiglia, da sempre riconosciutaquale matrice fondamentale dell'individuazione e dell’appar-tenenza, assolve ancora il compito di trasmissione transge-nerazionale di significati, valori, codici emozionali, modellirelazionali, qualità degli affetti? E la scuola rappresenta ancoraun sistema di interazione tra soggetti diversi disponibili e de-siderosi di mettere in comune valori, saperi, conoscenze econcezioni del mondo? E ancora: quanto i nuovi linguaggidella comunicazione umana si stanno caratterizzando qualiinsuperabili digital divide tra giovani e adulti?

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GENERAZIONE GUTENBERG EGENERAZIONE 3.0

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dossierALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI

Come tutti gli ambienti, anche internet non è intrinsecamenteneutro: dipende da chi lo abita! Il mondo virtuale che ognunodi noi si porta in tasca sul proprio smartphone è più reale diquanto pensiamo. È alimentato dalla nostra vita pratica e allostesso tempo la condiziona. Condiziona le relazioni tra le per-sone nel bene (amicizie, condivisione di saperi e buone prati-che) e nel male (dipendenze, frodi, adulteri). Nel dossier che vi dedicheremo parleremo di come il temadell’uso della tecnologia digitale non sia solo una questionedi rapporto delle persone con i loro dispositivi, ma soprattuttodi rapporto delle persone con la propria solitudine, con sestessi e con gli altri. Le tecnologie digitali sono media, si inter-pongono tra le persone e filtrano le relazioni. Amplificanopiaceri e dolori. Sono oggetti particolari, non sono semplicistrumenti, sono da usare con cura.

La parola virtuale proviene dal latino virtus, forza, po-tenza. Nella filosofia Scolastica virtuale è ciò che esi-ste in potenza e non in atto. Il virtuale dunque tendead esistere senza passare alla concretizzazione pra-tica, tangibile ed evidente. C’è ma non c’è. Non c’è

ma c’è. E in ogni caso è piuttosto forte.Con l’arrivo dei videogiochi e poi dei social network la realtàvirtuale sta diventando sempre più simile al reale, sempre piùsofisticata, e la differenza diventa sempre più sottile.Colpiscono gli sguardi dei ragazzini mentre giocano ai video-giochi: sono lì, in carne ed ossa, ma non sono lì. Ciò che liunisce al mondo reale sono le loro emozioni. Rabbia, paura,tristezza, divertimento, apatia... le loro emozioni, per quanto su-scitate da esperienze virtuali, sono reali. Come quando ci in-cantano un quadro, una poesia, una musica.

LE REALTÀDEL VIRTUALEMARIA MAURA

In rete le cose avvengono in un modo simile, ma più complesso.Chi condivide sui social network la sua vita si sente legato inmodo profondo ed empatico con gli altri contatti, anche se nonsono lì in carne ed ossa. In rete si può parlare, ci si può sfogare,si possono confidare intime paure e si possono fare domandeimbarazzanti restando in un presunto anonimato. Tuttavia nonè esattamente come ascoltare una poesia o guardare un quadro:dall’altra parte non c’è un oggetto, ricco di significato, ma pursempre inanimato; dall’altra parte ci sono le persone e questenon sono affatto inanimate. Possono essere individui compren-sivi, onesti, divertenti, ma anche pericolosi, bugiardi, criminali.Questo non è facile da scoprire perché in quel luogo chiamatointernet si usano le parole come incantesimi/illusioni, e spessopossono portare a dipendenze, inganni.

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agenda interculturale

MONDIALITÀAPERTA?ALESSIO SURIAN | [email protected]

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agenda interculturale

Diamo i numeri. Più telefonini che persone. Perchi promuove la mondialità è interessante sa-pere che quest’anno il numero di telefonininel mondo supererà quello degli abitanti. Inalcuni paesi la crescita è stata esponenziale eha mutato radicalmente i modi di comunicare,di informarsi, ed alcuni fattori chiave econo-mici e ambientali: in Guatemala già nel 2011

il numero di telefonini aveva raggiunto la cifra di 20.7milioni in un paese di 14 milioni di abitanti, dove il numerodei telefonini era 3.1 milioni nel 2004. Tutti iperconnessi?Non solo: in parallelo sono cresciute a 13 mila le tonnellatedi telefonini e a 18.600 le tonnellate di computer (mala-mente) smaltiti. Anche in questo settore sarà meglio di-stinguere un centro e una periferia: se il telefonino connette,lo smartphone distingue e già nel 2015 dovrebbe avere unmercato di 2 miliardi di persone: insieme, telefonia mobilee smartphone valgono un mercato da 600 miliardi di dollari.Un mercato che non va tanto per il sottile quanto a strategieaggressive e diritti dei lavoratori (anche se le alternative cisono)1. Anche a questo settore in crescita guardano le Na-zioni Unite quando propongono politiche di cooperazioneinternazionale: attraverso iniziative come il Global Compact2

si adeguano alla privatizzazione e alla delega alle impresedi ogni settore di intervento.Diamo i numeri. 10 o 20 anni? Intorno a noi il modello eco-nomico (e culturale) dominante sta collassando e non offre

segni significativi di inversione di tendenza. Domandarsi«quanto può durare ancora?» sembrerebbe un atto normalee invece è una domanda che rimane in ombra. Ripesco qual-che appunto di Gail Tverberg3: anche se si è provato a scre-ditarlo, il rapporto del 1972 del Club di Roma sui limiti dellosviluppo4 indica uno scenario credibile, che difficilmenteconsente all’assetto attuale dell’economia mondiale più di10-20 anni di vita, individuando nell’assenza di credito alleimprese uno dei fattori della tendenza al collasso. Qualcheanno fa CEM aveva chiesto all’economista Tonino Perna seci fosse la possibilità di «planare dolcemente»: «Lo sgancia-mento dal mercato mondiale non significa rinchiudersi inun’economia autarchica - rispose Perna -, ma significa ridurreil grado di dipendenza da meccanismi perversi ed incontrol-labili per la maggioranza della popolazione. Significa, adesempio, costruirsi delle “monete locali” nell’era delle me-gamonete (dollaro, euro) che dominano il mondo. E quanto,fra gli altri, stanno sperimentando in Ecuador le organizza-zioni indigene che di fronte ai processi di dollarizzazionedel paese, per cui se non hai un dollaro non hai diritto acomprare niente, hanno creato una moneta locale che circolaa livello comunitario per soddisfare bisogni basici».In Ecuador non si sono fermati lì. Hanno denunciato ildebito e ne hanno ricostruito la logica di rapina. E stannorealizzando il progetto Flok5, centrato sull’elaborazionecollaborativa delle politiche pubbliche. Un tentativo di ri-conoscere i processi interculturali in atto nel continenteamericano accanto alle prospettive di conoscenze «aperte»proposte da partner come la p2p Foundation6, che mettonoal centro la creazione di beni comuni «piuttosto che delMercato o dello Stato», a partire dalle relazioni sociali comevia e criterio per allocare e gestire le risorse, piuttosto chesu meccanismi di prezzo o su sistemi gerarchici. l

1 it.wikipedia.org/wiki/Fairphone2 www.unglobalcompact.org/resources3 www.nakedcapitalism.com/2014/01/gail-tverberg-eia-iea-researchers-mode-ling-wrong-growth-limit.html4 it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_sui_limiti_dello_sviluppo5 floksociety.org/6 p2pfoundation.net/Italiano

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MARCO DAL CORSO [email protected]

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saperi religiosi nelle scuole del mondo

IL MONDO LA SCUOLAI SAPERI RELIGIOSI

IL MONDO

Se è vero che viviamo la finedel «cosmo storico civile»,cioè la fine di un mondo,quello del Novecento, co-struito attorno al confrontotra ideologie totalizzanti,assillato dal problema dei to-talitarismi prima e dal bipo-

larismo della guerra fredda poi, si tratta,allora, di capire in quale altro mondo vi-viamo. L’interdipendenza mondiale, l’av-vento di società multiculturali, la migra-zione di popoli sono, quindi, alcune delle«realtà» caratterizzanti questa nuovaepoca post-moderna. Attraversata, se-condo le analisi più raffinate, da due im-portanti patologie: da una parte l’osses-sione dell’Io che porta ad un individua-lismo illimitato, dall’altra l’ossessione delNoi che, invece, porta ad un comunita-rismo chiuso a chi non fa parte di quel«noi»1. La traduzione storica di tali pa-tologie, allora, sembra darsi sotto la vestedi fondamentalismi nuovi ed antichi in-sieme: accanto a quello tribale ed etnico,quando non religioso, anche quelloomologante e consumistico del «villaggio

globale». Con un’efficace e felice formula:Mc World contro Jihad. Ad un io «atomiz-zato» spesso indifferente e solipsistico corri-sponde una comunità che mentre assolutizzale differenze, chiede l’obbligo di apparte-nenza: o con noi o contro di noi. Il risultatoè, per dirla con i filosofi, la «perdita del mon-do»: insieme alla crisi ecologica, anche quellasociale. Stiamo perdendo, questa la denun-cia, il mondo come spazio di bene comune.La traduzione per la vita emotiva è, allora, ilgeneralizzato sentimento di paura che glianalisti definiscono «paura globale». Per ri-tornare ad una metafora spesso usata, il «vil-laggio globale» sembra essere «privo di mon-do». Incapace, cioè, come dimostrano le pa-tologie descritte, di vivere il bene comuneche è il mondo o anche solo di condividereun senso comune dentro questo mondo. Lastessa realtà, se indagata in profondità, offredelle «piste» per uscire dalla crisi e dalla «per-dita di mondo». Davanti, infatti, all’assenzadi paura dell’individuo senza limiti postmo-derno, la vita ricorda, prima o dopo, che lasua illimitatezza, invece, è vulnerabile. La suae quella dell’altro da sé. Ma anche davantiall’eccesso di paura sperimentato dalla co-munità «tribale», chiusa su se stessa, la vitainsegna che l’altro è già entrato, ha già datempo e spesso in modo virtuoso, quandonon solidale, «contaminato» la vita associa-tiva. Vulnerabilità e contaminazione, insom-ma, sono le «scoperte» che dobbiamo fare.Che la stessa realtà ci pone davanti. Esse, setradotte in responsabilità e solidarietà, pos-sono essere le strategie per riguadagnare ilmondo. Per declinare, senza fughe retorichee senza rischi ereticali, il bene comune neitempi attuali. Ma qui, appunto, occorre l’eti-ca. Occorre ripensare l’umanità, rifondarel’idea di umanità.

PER RITORNARE AD UNA METAFORA SPESSO USATA,IL «VILLAGGIO GLOBALE» SEMBRA ESSERE «PRIVO DI

MONDO». INCAPACE, CIOÈ, COME DIMOSTRANO LEPATOLOGIE DESCRITTE, DI VIVERE IL BENE COMUNE

CHE È IL MONDO O ANCHE SOLO DI CONDIVIDERE UNSENSO COMUNE DENTRO QUESTO MONDO

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saperi religiosi nelle scuole del mondo

LA SCUOLASe l’analisi risulta pertinente, allora il prota-gonismo di agenzie educative quali la scuoladiventa importante. Nonostante la crisi chequeste attraversano. Non è un caso, infatti,che si parli di «neoliberalismo scolastico»quando si tenta di descrivere la «mercanti-lizzazione dell’istruzione», dove, cioè, anchele logiche educative vengono misurate suquelle di competizione-efficienza del mercatoglobale. In questo senso, ad esempio, va in-terpretato, per rimanere al caso italiano, lariduzione delle discipline umanistiche quali,tra altre, storia dell’arte e filosofia. Una scuolamisurata sul mercato è quella che perde perstrada l’educazione al bene comune e che,anche dai genitori, viene vissuta solamentecome servizio utile al percorso individualedel proprio figlio. E invece la scuola è chia-mata ad essere «sfera pubblica di democra-zia», perché l’educazione che essa proponeè un patrimonio che serve alla collettività enon alle forze del mercato. Ripresa in manola sua «vocazione», anche la scuola sa che«la sopravvivenza dell’umanità dipende dallosviluppo di una coscienza universale capacedi creatività e compassione. La dimensionespirituale deve essere al centro della nostranuova riflessione sull’educazione» (KaranSingh Educazione per una società globale,annesso al rapporto Delors)2.

I SAPERI RELIGIOSISi apre quindi una nuova stagione per le re-ligioni in generale (quello che gli esperti de-finiscono come epoca post-secolare) e per isaperi religiosi anche dentro la scuola. Pernon «perdere il mondo» dentro il villaggioglobale abbiamo bisogno di riscoprire dopola libertà e l’uguaglianza, compatibili con lanatura quantitativa delle democrazia, la fra-ternità, dimensione qualitativa della stessademocrazia. Tornare a imparare la fraternitàa scuola significa tornare a far valere il suopeso politico: riconoscere la diversità di ognu-no e insieme riscoprire la comunità comeluogo cooperativo e solidale. Le religioni, al-lora, con i loro saperi sono convocate adeducare al linguaggio e al valore della fra-

ternità. Le religioni in dialogo sono chia-mate a formulare un nuovo paradigmadi laicità: quando le religioni servononon tanto ad alimentare l’identità (quila deriva della religione civile variamenteintesa), quanto a rappresentare «serbatoidi senso», capaci di critica verso l’occi-dentalizzazione del mondo e di propostaper una comunità sovranazionale. Le re-ligioni come ermeneutica di alterità. Ab-biamo bisogno dei loro «saperi». Queisaperi che sono apertura di speranza, so-stegno alla responsabilità, esperienza diumanità, cultura dell’anima, trascendi-mento di orizzonti… Questi saperi ci in-teressano in questa stagione, come detto,post-secolare e post-metafisica. Fin quile motivazioni. All’interno della rivista, larubrica sui «saperi religiosi nelle scuoledel mondo», allora, intende provare adare conto delle diverse esperienze di in-segnamento religioso nelle realtà edu-cative, in primis quelle della scuola, spe-rimentate nel mondo. Un panorama in-terculturale e mondiale per provare a direcome imparare le religioni (about reli-gions) e imparare dalle religioni (from re-ligions) serva a pensare un nuovo para-digma di umanità. Ci aiuteranno diversepersone «presenti» a vario titolo sul cam-po: alla ricercatrice negli Stati Uniti, si af-fiancheranno i missionari dei vari conti-nenti per provare, infine, a prendere inmano i diversi modelli europei di inse-gnamento della religione a scuola. L’emer-genza educativa da tutti sottolineata puòdiventare, allora, tempo favorevole perripensare, con il contributo delle religioni,il bene comune, per ripensare, infondo,quel «mondo» che rischiamo di perdere,per non privare di mondo il villaggio glo-bale che abitiamo. l

1 Queste note, e le considerazione a margine, sono ri-prese da un testo già segnalato in altri articoli di CEM;si tratta del saggio di Elena Pulcini, La cura del mondo,Bollati-Boringhieri, Torino 2009.2 Devo la citazione e le considerazioni sui saperi religiosia scuola le alla riflessione proposta nell’articolo di FulvioDe Giorgi, La conoscenza religiosa nella scuola, oltreogni rischio di religione civile, in A. Melloni (a cura di),Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, Il Mulino,Bologna 2014, pp. 333-348.

Una scuolamisurata sul

mercato è quellache perde per

strada l’educazioneal bene comune e

che, anche daigenitori, viene

vissuta solamentecome servizio utile

al percorsoindividuale delproprio figlio.

E invece la scuolaè chiamata adessere «sfera

pubblica didemocrazia»,

perchél’educazione che

essa propone è unpatrimonio che

serve allacollettività e non

alle forze delmercato

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CINA VS ITALIAChi si «impegna» di più a rispettare gli appuntamenti?

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A CURA DI MARY PAN

Iprimi giorni che ero tornata a Ro-ma, sento una conversazione tra«pischelli» romani che dovevanosaltare un appuntamento: «Vabbèdai….scialla!». Ecco. Va tutto be-ne. Va tutto liscio. Essendo ritor-nata a Roma dopo mesi, voleva-mo rivederci tra amici ed ex col-

leghi. Inizialmente «ok ok», ma poi comeal solito subentrano altri impegni e spes-so gli incontri saltano. Gli incontri di la-voro sono quasi sempre un mistero. «Vabene lunedì?». «Sì». «Ok, poi ti confer-mo» e quel giorno della conferma nonè ancora arrivato. E di lunedì ne sonopassati sette. Ecco invece cosa mi succede in Cina:«Mary, dobbiamo parlare di X con il si-gnor X, quando puoi?». «Quando vuoi».

«Ok, allora domani va bene?». Ecco unaparticolarità cinese. Un appuntamentolo si prende per il giorno dopo o massi-mo l’indomani ancora. Perché non si samai cosa può accadere. Poi naturalmentedipende anche dai contesti, ma se seinella stessa città… perché aspettare lasettimana dopo? Non so voi, ma io avolte ho bisogno di farmi un’idea, pre-pararmi all’appuntamento… qui in Italiase rimando alla settimana dopo «non

succede niente», può essere comprensi-bile… ma in Cina se provo a dire «la set-timana prossima» nonostante io sia nellastessa città vuol dire che la cosa non miinteressa o che con me non ci sarannobuoni risultati. Se ho altri impegni nellostesso giorno, devo comunque riuscirea incastrare i pezzi. Per questo ogni voltache torno in Italia, se vedo persone chehanno preso un impegno con me, con-fermandolo e poi annullandolo, mi vieneda pensare: «come hai fatto se nella tuaagenda c’ero prima io?». Una cosa cheammiro infatti della cultura cinese è pro-prio il concetto di responsabilità nel pren-dersi un impegno. Si preferisce non daresubito l’ok, ma se poi lo si prende è raroche non ci si presenti. Prima di scriverequesto articolo, ho voluto avere confer-me della mia teoria. Ho chiesto in giroad amici cinesi e italiani. «Come ti com-porti quando devi dare buca agli appun-tamenti?». Una curiosità, in cinese fangge zi (liberare i piccioni) corrisponde alnostro «dare buca» o «tirare un pacco»,perché in passato quando si mandavanoi messaggi tramite piccioni, alcuni diquesti non tornavano indietro. Tra italianiquando qualcuno «tira un pacco», ilgruppo è comprensivo e anche da partedi chi non ha rispettato l’appuntamentoc’è una tacita pretesa che siano gli altria dover capire i suoi impegni. Tra i cinesiinvece è diverso, il gruppo si sente offesoe il «piccione che non è tornato indietro»si sente molto più in colpa, poiché è con-sapevole che è stato lui a mancare di ri-spetto nonostante il fuoriprogrammache lo porta a mancare l’appuntamentosia ancor più grave. Ora, io non vogliooffendere nessuno, oggi non faccio chescrivere «italiani» e «cinesi», cosa che dàfastidio anche a me, ma le differenzeculturali esistono ed io, lo ammetto,spesso mi adeguo a dove mi trovo. Sulfatto degli impegni, in verità, «me latiro» molto di più qui in Italia e riesco aprendere decisioni con più calma. In Cinase ci provo… il pacco poi me lo ritrovoin faccia io! l

dal sito www.yallaitalia.it

LUBNA AMMOUNE | [email protected] generazioni queste sconosciute

OGNI VOLTA CHE TORNO DA UN ALTROPAESE, SONO PARTICOLARMENTESENSIBILE ALLE DIFFERENZE CULTURALI.QUANDO POI SI ARRIVA DOPO PARECCHIOTEMPO DA UN PAESE TOTALMENTEDIVERSO, OGNI COSA DIVENTA UNPARAGONE. TRE MESI IN ASIA E TORNAREQUI, NONOSTANTE L’ITALIA SIA SEMPRESTATA LA MIA CASA, MI HA PORTATO ACONSTATARE ALTRE DIFFERENZE TRA LAMIA PARTE ITALIANA E LA MIA PARTECINESE. QUESTA VOLTA HO DATOIMPORTANZA ALLA DIFFERENZA CHE C’ÈNEL PRENDERE IMPEGNI.

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CURIOSAMENTE NELLA FANTASCIENZA (INTENDO IN QUELLACHE IO HO ARCHIVIATA CON RIFERIMENTO ALLE DATE«FUTURE») CI SONO BEN TRE 17 MAGGIO INTERESSANTIANCHE DIDATTICAMENTE. NON FATE CASO ALLA«CONSECUTIO TEMPORUM» NELLE FRASI SEGUENTI:PARLARE OGGI DI UN LIBRO SUL FUTURO PUBBLICATO INPASSATO … RENDE PIUTTOSTO COMPLICATA LA«CONCORDANZA» DEI VERBI PERSINO A SEVERO DEPIGNOLIS (CHE È IL MIO ALTER EGO PRECISINO).

I l primo salto allora è al 17 maggio 2015.Fra un anno scopriremo - nella fiction - chenoi umani siamo innocenti delle atrocità

commesse in millenni. La colpa è dei Vitoni.Non vi dirò di più perché Schiavi degli invisibiliè, fino al quarto capitolo, un susseguirsi di ge-niali colpi di scena: il bel romanzo di Erik FrankRussell è stato ristampato nel 2010 dall’editoreConiglio (purtroppo con la pessima introdu-zione dei fascistoidi Gianfranco De Turris e Se-bastiano Fusco). Interessante anche quel che accade alle ore 11del 17 maggio 2051. Infatti nel romanzo di Bar-bara Paul - che Urania tradusse, nel 1980, comeRagazza del 2051 ma il titolo originale era Pillarsof Salt - Angie Patterson parte per la sua primaesperienza sessuale «per interposta persona».Siamo evidentemente nella logica dei viaggi deltempo e gli studiosi ritengono che per conoscerebene un’epoca sembra ragionevole (ma di certoCarlo Giovanardi non approverebbe) avere ancheesperienze sessuali usando corpi «a prestito».Nel romanzo seguono complicazioni, interes-santi anche scientificamente, di vario tipo ma ame colpisce soprattutto la pedagogia sottintesaall’esperienza di Angie Patterson, 15 giorni nellamente e nel corpo di donne vissute in secoliprecedenti. Con la stessa tecnica dei viaggi neltempo (e nei corpi) nel romanzo i giovani ven-

CHE STRANI 17 MAGGIOCI RISERVA IL FUTURO

gono istruiti anche in altre materie, mentre gliadulti approfittano di analoghe escursioni prin-cipalmente per relax. Ma dove «vola» Angie?Medioevo? Preistoria? O, sia mai, Gomorra? Benpiù vicino a noi, nel 1948.Il 17 maggio 2157 è invece la data, sul diario diMargie, all’inizio di un racconto (fra i più celebri)di Isaac Asimov, Quanto si divertivano. So ditante/i insegnanti che lo utilizzano in classe -magari in coppia con Nove volte sette, sempredi Asimov, storia rivelatrice sui poteri della ma-tematica - per ragionare sulla scuola del presentee quella del futuro. Perciò se già non li conosce-te... vi invito a farne materiale didattico. Per una curiosa coincidenza (o c’è una ragione«occulta» che io non intendo?) maggio è unmese molto amato da chi scrive fantascienza.Anche il famosissimo L’ultima domanda - giàraccontato in questa rubrica - di Asimov iniziain maggio (il 21) mentre il 1° maggio 2088partono i diari di viaggio di terrestri e marzianinel romanzo Verso le stelle di Joe Haldeman eil 15 maggio 2084 inizia Korolev, geniale ro-manzo dell’italiano Paolo Aresi. Per chiudere il cerchio vi dirò che il 19 maggio2025 nel romanzo La penultima verità di PhilipDick si scopre che una delle guerre più sangui-nose «in corso»... è un’invenzione dei media.Rassicurante, fin troppo. Se degli orrori pos-siamo incolpare i Vitoni o i giornalisti, alloranoi siamo sempre innocenti. Mi viene in menteuna vecchia vignetta di Altan: «Mi chiedo chisia il mandante di tutte le cazzate che faccio».Temo di sapere la sgradevole risposta. l

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di DIBBÌ | [email protected] è accaduto

Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri.

wordpress.com

«CHI NON SPERA QUELLO CHE NON SEMBRA SPERABILE NON POTRÀ SCOPRIRNE LAREALTÀ, POICHÉ LO AVRÀ FATTO DIVENTARE, CON IL SUO NON SPERARLO, QUALCOSA CHENON PUÒ ESSERE TROVATO, E A CUI NON PORTA NESSUNA STRADA». ERACLITO

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a cura della redazione

Massimo Bubola nasce a Terrazzo (Vr) il 15marzo 1954 e già giovanissimo suscita l’at-

tenzione del discografico Antonio Casetta, patrondell’etichetta Produttori Associati. La sua primacollaborazione, nelle vesti di autore e musicista,è al fianco di Pino Donaggio, per il quale scriveil testo della canzone Naturale. Nello stesso anno,il 1976, esce il suo primo disco, Nastro giallo,grazie al quale si fa notare da Fabrizio De André,che lo invita a lavorare con lui. Da questo fortunatoe riuscito sodalizio nascono due opere dell’artistagenovese, Rimini (1978) e Fabrizio De André(1981), cui fa seguito un tour in cui Bubola hal’occasione di farsi apprezzare da un vasto pub-blico. Inoltre licenzia due dischi (Tre rose, 1981e Massimo Bubola, 1982), prodotte dalla casa di-scografica del collega.Dopo un periodo di silenzio discografico, inter-rotto dalle collaborazioni con Cristiano De André,Milva e Aida Cooper, torna alla ribalta con Vita,morte e miracoli (1989). È poi la volta dellafattiva partecipazione a due album storici deiGang, Le radici e le ali (1990) e Storie d’Italia(1992), che collocano la band marchigiana trale punte di diamante del folk-rock nostrano. Bu-bola si mette in luce anche con le partecipazioniai dischi di Mauro Pagani come autore, di GraziaDi Michele come produttore e soprattutto conle canzoni scritte per un’interprete raffinata qualè Fiorella Mannoia, che porta al successo il bra-no Il cielo d’Irlanda. Si rinnova quindi la par-tnership con Fabrizio De André con Don Raffaé,

canzone ripresa da diversi artisti tra cui RobertoMurolo.La prolificità del cantautore veronese è testimo-niata inoltre dalla sua nutrita discografia, checonta a tutt’oggi 18 album, di cui ben 5 live: la di-mensione dal vivo, infatti, testimonia la capacitàdi Bubola di coinvolgere il pubblico e, al con-tempo, di dare nuova vita alle sue canzoni. Hada poco pubblicato un concept album sulla primaguerra mondiale, intitolato Il testamento del ca-pitano, che è il seguito naturale di Quel lungotreno (2005), dove accanto a brani tradizionali fi-gurano canzoni originali. Esordisce in campo let-terario col romanzo Rapsodia delle terre basse(Gallucci 2009). Da qualche tempo collabora conRepubblica per la composizione di instant songssui fatti salienti della cronaca. Capace di fondere il linguaggio della musicarock con la tradizione del folk italiano e interna-zionale, Bubola ha il pregio di scrivere testi in cuisi avvertono fortissime suggestioni culturali trale più ricche e varie: da Dino Campana a Dosto-jevskij, da Omero a Pasolini, fino alla tradizioneorale dei nativi americani o, più semplicemente,dei nostri avi. Senza dimenticare certi mostri sacridella canzone, come Dylan e Cohen.Sull’artista veneto si è espresso in modo lusin-ghiero più d’un critico musicale; tra questi, ci pia-ce ricordare il giudizio del giornalista Gianni Mu-ra: «Per me, quando uno ha messo mano a FiumeSand Creek e Don Raffaé (in panchina Il cielod’Irlanda) è in regola col mondo».

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Tra Riminie l’Irlandadi Odoardo Semellini

Massimo Bubola sarà presente il giorno 29 agosto al ConvegnoCEM, che si terrà a Trevi (Pg) dal 27 al 31 agosto 2014.

Il Centro Saveriano Animazione Missionaria(CSAM) e il Centro Educazione alla Mon-dialità (CEM) prendono parte alla Campagnanazionale di sensibilizzazione messa apunto dagli organismi cattolici italiani perrispondere all’appello del papa «a darevoce a tutte le persone che soffrono si-lenziosamente la fame, affinché questavoce diventi un ruggito in grado di scuotereil mondo». Un appello che papa Francescoaveva lanciato in un videomessaggio loscorso 10 dicembre per l’avvio della cam-pagna internazionale sul diritto al cibo pro-mossa da Caritas Internationalis.

n www.cibopertutti.it

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Un «grazie» dal Festival del Cinema Africano,d’Asia e America Latina

Carissimi,

lunedì 12 maggio si è conclusa a Milano la 24°edizione del «Festival del Cinema Africano, d’Asiae America Latina».È stata un’edizione ricca di contenuti che ha saputocoinvolgere un pubblico vasto e motivato. Proie-zioni cinematografiche di qualità, proposte in bensei sale della città e tante iniziative interculturalidi incontro e di conoscenza offerte al Festival Cen-ter hanno caratterizzato le giornate del Festival,suscitando la partecipazione di giovani e adulti el’interesse dei mezzi di comunicazione.L’Associazione Centro Orientamento Educativoringrazia tutti coloro che hanno reso possibilequesta edizione.

Un grazie particolare a CEM Mondialità per lasua partecipazione, che anche quest’anno si è ri-velata molto importante per il buon esito dell’ini-ziativa. E nello specifico un grazie a p. Marco Vi-golo, a Brunetto Salvarani, a Michela Paghera e aSilvio Boselli che ha partecipato alla serata di pre-miazione.

Un cordiale saluto

Gabriella Rigamonti

a cura della redazione

Premio CEM MondialitàIl premio è stato asse-gnato al film Twaa-ga di Cédric Ido (Bur-kina Faso/Francia, 2013,30’) ed è stato consegna-to da Silvio Boselli. Il pre-mio, che consiste nell’ac-quisizione dei diritti di di-stribuzione in Italia, è at-tribuito al miglior corto-metraggio africano suitemi del dialogo intercul-turale da una  Giuriacomposta da ragazze eragazzi tra i 15 e i 18 annidi Milano: Maria Anzalone, Anna Brocchini, Stefano Cunich, DeborahDziezynski, Sabrina Elmzaili, Pavel Giusto, Kalil Jebaci, Florida Likja, An-drea Monaldini, Angela Moschino, Alice Palma, Rumi Rahman, AsheSola, Federica Zanin.

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app-grade

LA TESTA IN TASCARischi e opportunità nell’era digitale

Giriamo tutti con la testa intasca. Sì, è vero sul collo c’èancora il cranio con dentroil cervello, ma la testa, quel-la è più spesso in tasca: nelnostro smartphone, nel ta-blet, oppure tra le nuvole,nel cloud, perché le infor-

mazioni che prima avevamo scolpite neineuroni ora sono date in outsourcing aqualche dispositivo digitale connesso adinternet. I ragazzi stessi hanno smessodi ritenere importante la memorizzazionedelle informazioni e dei dati... «tanto c’èinternet!», dicono. Morin, ma prima di lui Montaigne, scri-veva che è più importante avere una te-sta ben fatta che una testa ben piena.L’importante è che la testa sia ben strut-turata, che il nostro modo di affrontareproblemi e ricerche sia ben organizzato:le informazioni e i contenuti cambianoma i processi di scoperta e d’indaginese sono mal funzionanti non portanomolto lontano. Nell’era digitale oltre alla testa che ab-biamo sulle spalle dobbiamo saper or-ganizzare e strutturare bene anche le te-ste «che abbiamo in mano».Nell’era digitale occorre sviluppare unasaggezza digitale che ci permetta di af-frontare i piccoli grandi problemi praticiche la vita contemporanea ci pone nelmiglior modo possibile; perché dentrola multiforme realtà digitale si nascon-dono grandi opportunità ma anche per-fide insidie.In questa rubrica affronteremo i temipiù attuali e scottanti della cosiddetta«rivoluzione digitale», evidenziandoneluci e ombre, vogliamo cercarne il senso,ma anche smascherarne i limiti. Sapere

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che esiste un modo di fare presentazioniaccattivanti e creative come Flowboardpotrebbe essere utile come strumentoper interessare i ragazzi e stimolarli adorganizzare un discorso. Usare i socialcome Facebook, Pinterest, Linkedin, Twit-ter, Tumblr, Flickr con saggezza e crea-tività, conoscerne i meccanismi profondi,può servire per trovare idee, contatti,spunti per il lavoro, ma anche per riflet-tere su quale sia un corretto uso di stru-menti che spesso vengono in modo in-consapevole, incosciente, superficiale epericoloso (non solo dai ragazzi).Il compito di educatori, insegnanti e ge-nitori è quello di guidare i bambini e igiovani, formarli e orientarli in questomondo sempre più stratificato e com-

plesso. Diamo loro in mano mezzi po-tentissimi che sanno usare bene tecni-camente, meglio di noi. Ma ai ragazzinispesso manca la capacità critica di con-testualizzare, di pensare oltre, di assu-mersi la responsabilità dei loro tweet.Chi deve fare lo sforzo maggiore per pre-parare la sua testa a vivere nella crescentecomplessità della globalizzazione digi-tale: i ragazzi o noi adulti? Ovviamentenoi, immigrati digitali con il grande com-pito di raccontare ai giovani il mondoche abbiamo visto e il mondo che ve-diamo oggi, facendo dialogare passatoe futuro nel presente. l

Per saperne di più

E. Morin, La testa ben fatta. Riforma del-l’insegnamento e riforma del pensiero,Cortina, Milano 2000

M. Prensky, La mente aumentata. Dai na-tivi digitali alla saggezza digitale, Erickson,Trento 2013

M. Serres, Non è un mondo per vecchi,Bollati Boringhieri, Torino 2012

A CURA DI PATRIZIA CANOVA e MARIA MAURA | [email protected] | [email protected]

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Il Teatro di Strada porta da annisulla scena internazionale una for-ma artistica che abbraccia pano-rami interculturali spesso non ri-conosciuti dal teatro di tradizionee che invece merita uno sguardoattento. Nell’estate italiana anchequest’anno si svolgono vari festi-

val tra cui segnalo quello di «Mirabilia»a Fossano (Cn) collegato tra gli altri ancheai Festival svizzero di Berna e di Bath inInghilterra. Ecco allora il Circo contem-poraneo, la Danza e il Teatro, italiani einternazionali dal 18 al 22 giugno 2014.Il Festival si pone come punto di contattocon l’Europa e come uno dei maggiorifestival di creazione contemporanea perle arti dello spettacolo dal vivo. Un im-portante appuntamento europeo sia co-me vetrina internazionale, presentandoa 200 operatori da 16 nazioni le più in-teressanti novità dell’anno, sia per i mo-menti di scambio tra professionisti, ovespesso nascono numerosi progetti eu-ropei. Con 43 compagnie internazionali,il festival esplora alcuni delle migliori epiù innovative produzioni europee, concreazioni nuove che vanno dal circo alladanza alle arti urbane. Grandi eventi, focus e attività fanno diquesto unico festival contemporaneo unevento ancora più eccezionale: la sezionedella Biennale di Danza di Lione Iles ho-norables delegations che, con la colla-borazione di Torinodanza e del TeatroStabile di Torino, vede più di 400 dan-zatori, 12 scene e 300 marionette. Inoltrevi sarà la produzione di grandi dimen-sioni di HipHop Urban Project ExperienceOne two freedom e poi la prima di ungrande spettacolo della compagnia fran-

IL TEATRO DI STRADAper lo sviluppo del circo europeo

A CURA DI NADIA SAVOLDELLI | [email protected]

Per la segnalazione di eventi interculturali

scrivere [email protected]

PER MAGGIORI INFORMAZIONIWWW.CIRCUSNEXT.EU

cese XY. Si assiste anche all’incontromondiale dei direttori e dei giornalisti dimensili di Performing arts, circo attualee arti urbane, con 16 nazioni parteci-panti. Vengono poi presentate la piat-taforma europea CircusNext e la Stagioneeuropea del circo contemporaneo2016/17 e alcuni dei 7 progetti laureatiCircusNext in Belgio ad aprile. Il Pro-gramma culture della Comunità europeasostiene la piattaforma CircusNext per ilquinquennio 2013-17 tramite il più im-portante strand di sostegno sviluppatodall’Unione europea nell’ambito cultu-rale. La piattaforma, costituita da 9 co-organizzatori e 31 partner in 16 paesieuropei, con partner esterni e collabo-razioni in altri 3 continenti, divide l’Eu-ropa in 5 macropoli e rappresenta forsela più estesa rete mondiale per la ricercaed il sostegno delle drammaturgie con-temporanee. Nato dalla constatazione che i giovaniartisti e le compagnie incontrano reali

difficoltà nel loro processo creativo, Cir-cusNext è destinato a trovare e coltivarela scoperta di questi giovani creatori edi favorire nuovi metodi di lavoro nelcampo delle arti circensi. Consideratocome una delle principali operazioni disostegno per i giovani autori e creatoriin questo campo, il progetto mantieneil suo obiettivo: quello di sostenere lacreazione accompagnandola con unagrande promozione pubblica. l

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Raimon PanikkarDialogo interculturale e interreligiosoJaca Book, Milano 2013, pp. 272, euro 28

Nell’ambito della pubblicazione della sconfinata Opera Omnia di Raimon Panikkar esce il volumeDialogo interculturale e interreligioso, che raccoglie il succo della sua riflessione su questi temi.Partendo dal medioevo per giungere sino ai nostri giorni, Panikkar analizza i problemi, le aperturee le chiusure nel processo dialogico fra oriente e occidente offrendo indicazioni creative per glisviluppi futuri. I popoli e le religioni del mondo non possono vivere nell’isolamento. Per Panikkar,alzare barriere è un suicidio culturale e umano. Egli non crede in una religione universale né laauspica. Panikkar crede profondamente alla dialogicità e al reciproco guadagno di qualsiasi incontroin cui vi sia vero ascolto. Vede come nella storia e nel presente il dialogo sia indispensabile e impre-scindibile e indica vie percorribili. (Marco Valli)

David Steindl RastIl cuore in ascoltoInternos, Chiavari (Ge) 2013, pp. 152, euro 14

Finalmente esce in italiano questo prezioso libretto di David Steindl Rast, benedettino statunitensepioniere del dialogo interreligioso, e dello scambio cristiano-buddhista. Un’introduzione allaspiritualità dei sensi fra cristianesimo, zen, poesia contemporanea, ecc. Per secoli i nostri cinquesensi - e ancora di più il piacere che essi possono donarci - sono stati guardati con sospetto da certeforme di religiosità disincarnata. Fratel David, invece, traccia un cammino «al Senso attraverso isensi», un cammino verso una pienezza spirituale che non esclude l’esperienza sensoriale, anzi nefa la propria base. Una guida insolita e preziosa ad una forma antichissima di spiritualità cheall’uomo di oggi appare nuova e addirittura rivoluzionaria. Un libro che aiuta chi lo legge (meglio:chi lo medita), a qualunque credo egli appartenga, a guardare la realtà con occhi diversi e a godernecon gioia e riconoscenza, gustando pienamente e liberamente delle benedizioni che ci vengono davista, gusto, tatto, udito e olfatto. (m.v.)

Luigi SchiavoL’invenzione del diavolo Emi, Bologna 2013, pp. 260, euro 15

Come spiega il sottotitolo «Donne, stranieri e diversi: quando l’altro è demonizzato», «principalechiave di lettura è il concetto di rappresentazione sociale, strumento di codificazione simbolica del-l’esperienza del male e del negativo, essenziale per definire l’immaginario collettivo delle società».Le donne sono demoniache: malvagie o deboli, «troppo belle» («tanto da tentare anche gli angeli»),impure per le mestruazioni, devono essere escluse dal sacro: «un’assurda misoginia» con conseguenzeterribili «fino ad oggi». Si cerca (e trova) il diavolo in ogni diversità e alterità: «vedremo che attribuirea qualcuno di esterno l’origine dei mali individuali e collettivi è in relazione con la difficile integrazionee assimilazione della diversità nella società». È il «sessualmente diverso» che non si riconosce nel«modello dominante “eterosessuale” (maschio e femmina)». È «l’altro» che può semplicemente staredi fronte oppure essere diverso, sconosciuto, nemico, a costituire «la sfida». (Daniele Barbieri)

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per i possessori della CEM Card.

Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - tel. 030.3772780 - fax 030.3772781www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

CEMcard

mediamondo

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Ben ritrovate e ben ritrovati.Non potevamo concludereil nostro viaggio nel norddel Mali, un’area tra le piùprolifiche e generative diculture musicali del mondo,senza ricordare Ali FarkaTouré, depositario ed inno-

vatore delle tradizioni musicali malianenonché indiscusso patriarca del desertblues, che il 6 marzo 2006, all’età di 66anni, ha lasciato la sua amata terra pertrasformarsi definitivamente in un Djim-bala: uno spirito d’acqua. L’unico di diecifigli a sopravvivere alla prima infanzia,Ali Farka viene, forse per questo, sopran-nominato dai genitori Tourè, che significa«asino», animale molto amato e consi-derato per la sua forza, resistenza e dol-cezza. Nasce nel 1939 a Kanau, sullerive del Niger, da genitori allevatori esarti che in quanto appartenenti a gruppisocialmente nobilitati non vedranno dibuon occhio la naturale predisposizione

ALÌ FARKA TOURÉLo spirito del fiume che ama la terra

del figlio a dedicarsi alla musica. La suainiziazione alla spiritualità legata alle ac-que del Niger e al Djimbala è stata pre-coce e favorita dalla nonna KounandiSamba, una sacerdotessa molto impor-tante nell’ambito di tali pratiche religiose.In seguito, dopo la morte della nonna,decise di allentare la pratica di questiculti, pur rimanendovi sempre legato econvinto del loro valore culturale e so-ciale, senza con ciò creare contraddizionicon la sua fede musulmana. Anche ilsuo approccio musicale è connesso alculto degli spiriti dell’acqua, e agli stru-menti musicali/rituali da loro preferiti: iliuti a pizzico djekel e ngoni, e lo njarka,un monocordo ad arco che Touré hacontinuato ad utilizzare anche dopo aver

SELEZIONE DISCOGRAFICAThe Source, World Circuit, 1992

Talking Timbuctù, (con Ry Coo-der), World Circuit, 1994

In the Heart of the Moon, (conToumani Diabaté), World Circuit,2005

Savane, World Circuit, 2006Ali and Toumani, (con ToumaniDiabaté), World Circuit, 2009

deciso nel 1956 di diventare chitarrista.Negli anni ’60 si appassionò all’R&B edin particolare al blues, e alla musica delchitarrista John Lee Hooker, che influenzòmoltissimo il suo stile. Il suo talento loportò, in poco più di vent’anni, a diven-tare un musicista di fama internazionale,pur restando legato alla rielaborazionedi musiche tradizionali con testi nelle di-verse lingue della regione: sonraï, la sualingua madre, peul, bambara, dogon,tamascheq, la lingua dei tuareg, e altre.Nonostante la grande fama internazio-nale raggiunta (vinse ben 3 GrammyAwards), rimase sempre legato alla suaterra, e a quello che sentiva essere il suoruolo nella vita: curare la sua fattoria estare con la sua famiglia. La selezionediscografica proposta meriterebbe cer-tamente qualche commento, a cui pur-troppo devo rinunciare per motivi di spa-zio. Comunque posso garantire che que-sti splendidi lavori vi coinvolgeranno perpiù di qualche ascolto. L’etichetta tedescaWorld Circuit garantisce ad oggi la di-stribuzione dell’intera discografia del no-stro figlio del fiume. Buon ascolto a tuttee a tutti. l

LUCIANO BOSInuovi suoni organizzati

«L’AFRICA È LA MIA

FONTE DI ISPIRAZIONE, LA MIA BUSSOLA

E LA MIA FELICITÀ»ALI FARKA TOURÉ

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saltafrontiera

IL MAIALIBRO

LORENZO LUATTI | [email protected]

STEREOTIPI SOTTOSOPRA Esce per EDT-Giralangolo una nuovacollana di albi illustrati, coordinatadalla ricercatrice Irene Biemmi, daltitolo Sottosopra: basterà prendersiuno dei sei cartonati pubblicati incontemporanea per capire qualistereotipi le storie narrate sipropongono di ribaltare. Libriespressamente orientati al principiodell’identità di genere eall’interscambiabilità dei ruolimaschili e femminili attraverso cui sicerca di promuovere un punto divista divergente, un immaginarioalternativo, ancora molto presente intanta letteratura per l’infanzia. I protagonisti di Una bambola perAlberto (p. 20) di Charlotte Zolotowe Clothilde Delacroix e Il trattoredella nonna (p. 28) di AnselmoRoveda e Paolo Domeniconi, solo percitarne un paio, sono bambine ebambini, donne e uomini, liberi diagire, pensare e comportarsi senzavincoli legati al proprio sessobiologico di appartenenza.

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Non occorrono fini ana-lisi sociologiche o sta-tistiche per riconosce-re come vanno certirapporti familiari, do-ve la mamma e la mo-glie, accanto a com-pagni e figli poco col-

laborativi, si accolla tutta la gestionedella famiglia e della casa, spessoinsieme ad un lavoro da svolgerefuori dalle pareti domestiche. Le di-visioni dei compiti a casa, è risaputo,sono inique, e spesso tra le muradomestiche si nascondono piccoliinferni riservati alle figure femminili.Ma la signora Maialozzi, simpaticaprotagonista de Il maialibro (Kalan-draka, 2013, p. 40) scritto e illustratodal grande Anthony Browne, non cista a fare l’«angelo del focolare», ea un certo punto decide di dire bastaalla casalinga tirannia dei suoi duefigli - maschi - e del marito. A casaMaialozzi le cose non sembrano an-dare per il giusto verso: il signor Ma-ialozzi e i suoi figli non si scompon-gono più di tanto se non per chie-dere e la signora Maialozzi lava, sti-ra, rifà i letti, passa l’aspirapolvere,prepara la colazione, il pranzo, lacena. Ed esce di casa per andare alavorare. La donna così perde i propritratti e la propria personalità, va viavia disfacendosi, rischia di annullarsi.Di lei non vediamo neppure il volto:lo vedremo, raggiante, soltanto allafine, quando ritornerà a casa dopoaver lasciato in balia di se stessi ilmarito e i due figli. Ed è proprio così: un giorno, unocome tanti, al rientro a casa figli e

marito trovano ad attenderli solo unbiglietto: «Siete dei maiali!». E dellasignora neppure l’ombra. Ed eccoche per magia, o forse per profezia,i tre «maschietti» di casa si trasfor-mano, kafkianamente, in veri e pro-pri maiali laidi, sudici e incapaci. Delresto, non essendo abituati a farenulla, non sono capaci di preparareda mangiare, pulire, riordinare, la-vare e in men che non si dica si tro-vano a vivere in un vero porcile. Allafine, quando la lezione parrà dav-vero metabolizzata, e avranno capitoche si deve cambiare registro, la si-gnora Maialozzi farà ritorno. Sta-volta però secondo le sue regole. Un albo di cui piace l’acume, l’ironia,l’umorismo tagliente e impietoso, laforza narrativa iconica e la vena sur-reale. Uscito nel 1986, ma solo orapubblicato in Italia, Il maialibro man-tiene tutta la sua attualità: non sem-bra che da allora le cose siano cam-biante poi molto. Per i piccoli e pernoi maschietti adulti! l

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RegiaSilvio Soldini

Italia-Svizzera. 95min. 2013. Lumière & co.

Nel film gli autori si acco-stano alla vita di dieci per-sone cieche provando araccontare il mondo comequesti lo vedono, cercan-do di evitare i luoghi co-muni, il pietismo e i clichétipici. Seguono Enrico, fi-

sioterapista che va in barca a vela, Gio-vanni un piccolo imprenditore che amasciare, Gemma la studentessa che suonail violoncello e gareggia sugli sci, Felicedi professione scultore e che gioca a ba-seball; Luca musicista con la passionedella fotografia, Loredana centralinistache tira con l’arco, Mario un pensionatotutto sportivo, Piero che fa il consulenteinformatico, e Claudio e Michela, unacoppia nel quotidiano. Dieci esistenze

PER ALTRI OCCHI

apparentemente imprevedibili, ritrattecon allegria e leggerezza, che cambianoil nostro sguardo sulla condizione deiciechi lasciandoci in un mare di dubbi: èpossibile accettare quella condizione eaddirittura essere felici? Che cosa signi-fica non vedere, non poter godere di unpaesaggio o dell’espressione di un volto,non poter capire attraverso il senso chepiù di tutti, nella nostra civiltà, è statoinnalzato ad essere il più importante?Gli autori ci suggeriscono, forse, che ciòche conta sono le abilità delle persone enon le loro disabilità.

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ROCCO ROLFI E LINO FERRACIN | [email protected]

Docu-film di Silvio Soldini e Giorgio Garini

IL FILMIl sottotitolo del film Avventure quoti-diane di un manipolo di ciechi fa pensareal libro La parabola dei ciechi di GertHofmann, ispirato all’omonimo dipintodi Pieter Brueghel, dove si racconta disei mendicanti ciechi che sono in viaggioper rispondere alla convocazione di unpittore che vuole ritrarli. I ciechi sbaglianodi continuo la direzione, tra loro e la re-altà si erge un muro nero. Nel raccontoi ciechi cercano, con l’aiuto di vedentifra cui un bambino, il luogo scelto dalpittore per ritrarli. Chi dà loro indicazionigli fa percorrere un tragitto tortuoso an-ziché mandarli direttamente a destina-zione. Persino il bambino, che si supponeinnocente, finge di condurli dietro al fie-nile perché possano espletare i propribisogni corporali, ma li lascia invece sulla

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dai rumori del traffico. E per chi vuol ca-pire è chiaro che fra le difficoltà del muo-versi nella giungla del traffico cittadinoe giocare a baseball, tirare con l’arco osciare, le differenze sono enormi. Altroche l’eccezionalità dell’andare in barca avela. L’eccezionalità bisognerebbe rico-noscerla nel coraggio del muoversi in cit-tà, andare al lavoro o al cinema, entrarein un museo o fare la spesa. Nel film siintravede la condizione delle nostre città,dei marciapiedi pieni di ostacoli, dellamerce esposta negli spazi di tutti. Manon si vedono le cacche dei cani che secolpite dal bastone bianco, una voltachiuso, va a finire sotto l’ascella della

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pubblica piazza dove i presenti ridonodi loro e li sbeffeggiano. Mentre i ciechistanno per cadere in uno stagno, l’artistali richiama in vita per farsi ispirare dallaloro caduta. L’artista in questo modoprova ad entrare nel profondo delle cosee a mettere davanti agli occhi degli uo-mini i particolari che essi non vedono escuoterli alla consapevolezza.Il film presentandoci dieci storie non vuo-le raccontare la vita di tutti i ciechi, névuole essere una dotta riflessione socio-logica sulla loro condizione, ma mira afarci guardare questa realtà in modo di-verso e inusuale. Ci troviamo di fronte adieci simpatici e ottimisti non vedenti,

cinema

IL REGISTASilvio Soldini (Milano 1958) ha al suo attivo apartire dal 1982 una trentina tra corti,lungometraggi e documentari. Nel 1990 conL’aria serena dell’ovest raggiunge il grandepubblico; seguiranno poi tra gli altri Un’animadivisa in due (1993), Le acrobate (1997), Pane etulipani (2000), Brucio nel vento (2002), Agata ela tempesta (2004), Giorni e nuvole (2007), Ilcomandante e la cicogna (2012). Un regista maibanale, capace anche attraverso la commedia diaffrontare temi scomodi, mai solamente privati.

di milioni, a farle con sicurezza. O la man-canza della data di scadenza degli ali-menti in braille, come per le medicine, acosto zero per il produttore. E come nonricordare l’odiosissimo divieto nei museidi toccare anche le opere in marmo obronzo, senza la consapevolezza che ciòè come dire ai vedenti, vietato vedere: lamano del cieco è lo sguardo oculato sullecose e sul mondo. E noi lo neghiamo.Il rischio di un film come questo, orga-nizzato sul talento di queste dieci per-sone, è che faccia trascurare le reali dif-ficoltà di quelle migliaia che con questodeficit convivono nonostante i limiti im-posti dalla nostra indifferenza o peggioancora dalla quantità di ostacoli che frap-poniamo fra noi e loro tutti i giorni allaloro vita, veri e propri muri che, nono-stante le leggi, i principi universali suidiritti o le semplici dichiarazioni di buonavolontà, creiamo rendendo quella con-dizione sempre più difficile. Per altri occhi ha il pregio comunque,pur nella parzialità di una visione un po’troppo ottimistica, di mettere lo spetta-tore di fronte ad una realtà dove le stra-tegie individuali messe in atto per sentirsiliberi e autonomi si scontrano con quelbambino innocente della parabola de-scritta all’inizio, che oggi non conducequei ciechi sulla cattiva strada, ma perignoranza o diffidenza alza continui murineri verso una società dell’inclusione edella responsabilità. Come fosse un apologo finale, non biso-gna scordare la storia vera vissuta da FeliceTagliaferri, lo scultore nel film, duranteuna visita a Napoli nell’aprile 2008, quan-do non gli fu consentito di vedere a suomodo, cioè con le mani, la celebre sculturadi Giuseppe Sanmartino, Il Cristo velatoesposta nella Cappella Sansevero. Tornatoa casa pensò di realizzare una sua versionedell’opera, disponibile alla fruizione tattile,e da allora porta avanti il messaggio chel’arte è patrimonio universale e come taledeve essere accessibile a tutti secondo leproprie possibilità. Il nome dell’opera diTagliaferri, Cristo rivelato, ha il doppio si-gnificato di «velato per la seconda volta»e «svelato ai non vedenti». l

che affrontano con coraggio e a voltecon impudenza la loro esistenza, fattadi sci, vela, canoa, tiro con l’arco, realiz-zazioni artistiche, senza comunque tra-scurare i problemi della quotidianità edella vita domestica. Il film non nega l’handicap, anzi fa vedere come è propriola ricerca della normalità a spingere que-ste persone a fare cose eccezionali. Ma, fra l’umorismo e la tenacia, nellepieghe del quotidiano si affacciano il do-lore e la consapevolezza del limite. Dicegiudiziosamente Giovanni, l’imprendito-re: «Essere ciechi è durissima, ma te nefai una ragione»; oppure Piero, il consu-lente informatico: «Attraversare la stradapuò essere una lotta fra te e il mondo. Espesso tu perdi». E per alcuni secondisaggiamente gli autori ci lasciano al buio,senza immagini sullo schermo, sovrastati

persona. I percorsi pedo-tattili, quandoesistono, sono troncati a caso o ostruitida cantieri, invasi da automobili ed osta-coli vari. E la mancanza di semplici striscedi qualche euro sui gradini delle scale neiluoghi pubblici che aiuterebbero quelpiccolo numero di ipovedenti, un paio

CHE COSA SIGNIFICA NONVEDERE, NON POTER GODERE

DI UN PAESAGGIO ODELL’ESPRESSIONE DI UN

VOLTO, NON POTER CAPIREATTRAVERSO IL SENSO CHE

PIÙ DI TUTTI, NELLA NOSTRACIVILTÀ, È STATO INNALZATO

AD ESSERE IL PIÙIMPORTANTE?

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Ciò che mi spaventa

arnaldo de [email protected]

i paradossi

Gesù ha elaborato l’utopia del Regno di Dio, che consistenel progetto politico divino del bene comune. Con lapassione del Regno e la com-passione, Gesù fece l’op-zione per i poveri, invitandoli ad unirsi e entrare nel Re-gno. L’immagine di un Gesù né di destra né di sinistrané di centro, «spiritualizzato», è falsa. Gesù denunciava gli abusi del potere, la corruzione e ivizi del sistema; lo faceva affrontando faccia a faccia ipotenti del suo tempo e, mosso dall’amore, li chiamavaa conversione. Egli non ha smesso neanche quando hacapito che correva il pericolo di una morte violenta nelfiore degli anni. Di fatto, era prevedibile che il poterepolitico e quello religioso si sarebbero alleati per elimi-narlo. Nel Getsemani Gesù ha sudato sangue in vistadella sconfitta evidente, con la sola speranza della vittoriacreduta, per la sua fedeltà viscerale al Padre!Gesù ha trasmesso ai cristiani la sua utopia e... il conflitto.L’utopia del Regno sempre pungola la realtà strutturalee congiunturale, spingendo i cristiani ad essere militantiinquieti, e soggetti alla persecuzione del regime di turno.Essere inquieti non significa essere arrabbiati, ma farel’opzione per i poveri che Gesù ha fatto ed essere ecodella sua voce... Io, personalmente, a volte taccio amotivo della paura... della quale chiedo perdono. Ma molto mi spaventano quei cristiani che tacciononon per paura, ma pensando di dar gloria a Dio col si-lenzio. Peggio, s’è diffusa l’ideologia perversa, chevuole il cristiano «analfabeta politico», reazionario. Siritiene che l’impegno socio-politico sia indegno del cri-stiano! Il cristiano che denuncia è perfino demonizzatodalla sua comunità, tacciato di essere comunista. Quan-te volte la Chiesa si è alleata al potere ingiusto o apolitici imbonitori! Mi spaventa la Chiesa del primomondo quando pensa che può essere fedele al suo Si-gnore senza mettere la giustizia del Regno al di sopradi tutto. Quando non grida di aprire le porte allo stra-niero e all’orfano. Quando non si fa muro del piantodegli esclusi. Quando non ammonisce a dare ai poverimetà dei beni e restituire al terzo mondo, con Zaccheo,il quadruplo di quello che ha frodato. nnn

Il peso della solidarietà e dell’unione è innegabile. Sono famose le parole di F.G.E. Martin Niemöller:

Quando sono venuti a prendere i comunistisono rimasto in silenzio perché non ero comunistaQuando sono venuti a prendere gli ebreisono rimasto in silenzio perché non ero ebreoQuando sono venuti a prendere gli omosessualisono rimasto in silenzio perché non ero omosessualeQuando sono venuti a prendere gli zingarisono rimasto in silenzio perché non ero zingaroQuando sono venuti a prendere me,non c’era più nessuno che potesse difendermi.

M artin Luther King disse: «Ciò che mi spa-venta non è la violenza dei potenti, ma il si-lenzio degli onesti». Io però modificherei

così: «Ciò che mi spaventa è il silenzio dei cristiani».Mi spiego: il silenzio degli onesti è una forma di difesa,seppure equivoca. Ricordo le lotte operaie di S. Paolodi fine anni ‘70. A entrare in sciopero furono i metal-meccanici e non gli operai più sfruttati, ché temevanodi perdere anche il misero salario che ricevevano. Holetto da qualche parte: «Se a una colomba strappi duepenne, essa reagisce contro di te; ma se le strappi tuttele penne, essa cercherà rifugio nella tua mano». Insom-ma, pur non approvandolo, io capisco il silenzio deglionesti e degli impoveriti. Ma i cristiani... loro non possonotacere, perché Gesù non taceva!

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dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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Quota individuale di partecipazione: euro 260, comprendente vitto, alloggio e laboratori.Bambini: euro 170, compresa la quota animazione e baby-sitter. Per le famiglie e giovani studenti o senza reddito è prevista una riduzione.

Religioni fra tradizione e globalità

Una collana diretta da Brunetto Salvarani

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per i possessori della CEM Card.Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - tel. 030.3772780 - fax 030.3772781 www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

1 FATTORE R*2 INDUISMO3 RELIGIONI TRADIZIONALI*4 EBRAISMO*5 BUDDHISMO*6 CONFUCIANESIMO E

TAOISMO7 ALTRE RELIGIONI

DELL’INDIA: GIAINISTI, SIKH E DINTORNI

8 SHINTOISMO9 CRISTIANESIMO: CATTOLICI*

10 CRISTIANESIMO: ORTODOSSI

11 ISLAM*

12 CRISTIANESIMO:PROTESTANTI (E ANGLICANI)*

13 AVVENTISTI, CHRISTIAN SCIENCE,MORMONI, TESTIMONI DI GEOVA*

14 CRISTIANESIMO:PENTECOSTALI*

15 NEW AGE/NEXT AGE E NUOVI MOVIMENTIRELIGIOSI (NMR)

16 DIZIONARIETTO DELLE RELIGIONI

Possibilità di abbonamentoalla collana Fattore R:sconto su ogni titolo del20% e spese di spedizionegratuite (scrivere [email protected])* VOLUMI PUBBLICATI

Chi ci accompagna?

ROSSANA FARINATIattrice e regista. Nata aBelluno nel 1961, con unalunga esperienza teatrale,

negli anni più recenti ha concentrato il suo

interesse sull’infanzia e sulle domande artisticheche questo pubblico pone.

Per adesioni ed iscrizioni rivolgersi a:Gegè Scardaccione080.5343087 - [email protected]

Gianpaolo Petrucci080.5344790 - [email protected]

Per altre informazioni visitate il sito:www.gruppoeduchiamociallapace.it

Cosa faremo? All’inizio ci saranno

donne e uomini che arriveranno da posti

diversi, con pensieri diversi ed occhi

che vedono cose diverse, desiderando

«spensierarsi» nei giorni che passeranno

insieme. Allora Rossana Farinati

proporrà loro il «Gioco del principio».

Porterà le «Storie della creazione», un

libro che conterrà parole già

conosciute, eppure le immagini che ne

scaturiscono li sorprenderanno. Ci sarà

l’invito a cercare le loro parole e a

dar vita ad immagini, a scrivere e

comporre, a «creare» ciò che fino ad un

attimo prima ancora non c’era.

In principio…16-20 luglio 2014Villa SperanzaOstuni (Brindisi)

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CON LA PARTECIPAZIONE DI

ANDREA CANEVAROPEDAGOGISTA

MASSIMO BUBOLAAUTORE E CANTAUTORE

KHALID CHAOUKIPARLAMENTARE

DAGMAWI YIMERREGISTA E ATTORE

HOTEL DELLA TORRES.S. FLAMINIA KM. 147LOCALITÀ MATIGGE TREVI (PERUGIA)TEL. 0742.3971 FAX 0742.391200www.folignohotel.com [email protected]

INFORMAZIONItel. [email protected]

53O CONVEGNO NAZIONALE DI CEM MONDIALITÀTREVI (PG), 27-31 AGOSTO 2014

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