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La Venaria Reale 2015

Rappresentare il mondo

Percorso di sculture alla Reggia di Venaria

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Rappresentare il mondo.

Percorso di sculture alla Reggia di Venaria

Francesco Messina, Giuliano Vangi, Arnaldo Pomodoro, Novello Finotti, Giacomo Manzù, Paolo Borghi, Luigi Stoisa: un nuovo percorso d’arte alla Reggia di Venaria con i maestri della scultura italiana del XX secolo. In collaborazione con Studio Copernico e Luigi Stoisa.

DOVE: Reggia di Venaria QUANDO: dal 28 maggio 2015 al 7 febbraio 2016 COME: compreso in tutti i biglietti d’ingresso

INFO: www.lavenaria.it - +39 011 4992333

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Rappresentare il mondo.

Percorso di sculture alla Reggia di Venaria

La scultura italiana del XX secolo è poco frequentata, in Italia. È invece un libro straordinario in cui si legge l’andamento dei tempi, il loro respirare: che non significa una frattura ferma fra gli stili, ma individuare le zone intermedie in cui stratificano le piccole influenze e germogliano gli scontri generazionali. Negli anni Trenta, per esempio, persisteva l’idea di un continuo ritorno all’ordine dopo le inquietudini delle avanguardie d’inizio secolo, mentre era ormai a maturazione l’impegno dei ragazzi di Corrente, appunto una “corrente di vita giovanile” animata (e sostenuta) dal figlio del sen. Giovanni Treccani: pare quantomeno curioso immaginare che siano i famigliari dei promotori fascisti a sfruttare il denaro e l’influenza dei genitori per contestare e opporsi al regime. Potevano perciò coesistere, negli stessi anni, le riaffermazioni classiche di Francesco Messina e gli esperimenti del più giovane Manzù, il quale perseguiva una strada personale che in pittura affiancava il ciclo primitivista di Renato Birolli e -soprattutto- di Aligi Sassu degli «Uomini rossi» alla fine degli anni Venti. Se Messina sceglie di proseguire il cammino battuto dal gruppo Novecento, cui aderirà nel 1926, Manzù milita per il fronte opposto, non solo politico, ma estetico. «Il Marciatore» di Messina del 1931 è un manifesto culturale oltre che artistico, poiché pesca direttamente nel bacino della propaganda fascista in cui il mito della giovinezza atletica affascina tutte le frange sociali e serve all’autore per mettere in luce le proprie eccezionali capacità plastiche; Manzù invece preferisce ritirarsi in una figurazione che è linea, sbavatura, protesta anziché adesione al sistema linguistico predominante. Di certo, Messina, di origine siciliane, trasporta nella sua opera la bellezza antica, dotandola però di un senso stretto che non prescinde dalla quotidianità del reale, come succede col piccolo «Adolescente» che è un inno alle opportunità della vita. Le sue donne, per converso, irrompono con corpi pieni, seducenti, ancora debitori della rivoluzione francese post-rodeniana di Aristide Maillol e Antonie Bourdelle, impegnati a ridisegnare la forma della sensualità: «Estate. Summertine» è il paradigma della femminilità che col tempo declina nei corpi magri delle ballerine, ma qui si presenta in tutta la sua forza dal sapore antico, agreste. Le presenze femminili di Manzù sono poco attratte dalla verità dei fatti, quanto da una verità della visione che oltrepassa i registri accademici scivolando in una sorta di poesia liberatoria, dove il vero è velato dalla condizione di rifiuto o dolore, qualcosa di più struggente della nostalgia, il candore di «Double face» testimonia il tentativo finale di arrivare a una forma che è quasi astrazione, se non in termini figurali lo è di fatto concettualmente. Uno stato d’animo che, pur ancora vincolato agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, preannuncia la fioritura degli anni Cinquanta quando un artista come Lucio Fontana taglia lo spazio dipinto per recuperare un mondo ulteriore. In questo contesto, l’affermazione immediata dell’opera di Arnaldo Pomodoro si giustifica con la necessità di accogliere le nuove istanze senza prescindere dalla tecnica tradizionale. L’uomo ha bisogno di guardare oltre alla storia di ieri, si prepara a un nuovo futuro e pretende dagli artisti una riflessione rispetto al passato. Dunque i tagli sbalzati, i chiodi, le superfetazioni di Pomodoro (ma potremmo pensare a Emilio Scanavino in pittura) dipanano in matrici geometriche che lasciano intendere le piaghe e le cicatrici della carne, come dello spirito. La sua «Spirale aperta» ricorda un nastro che si allunga verso il cielo e alterna sulla superfici parti che districano in materia scura, poi subito un colpo di bronzo traslucido: l'avvicendamento di segni formati tra lo scorrere dell’ombra e quello della luce. La scultura di Pomodoro è un segno preciso di un’epoca ormai proiettata in avanti, dunque capace di superare le ferite di guerra con una disamina più intima, uno sguardo gettato all’interno, come Jorge Luis Borges che trasformò la cecità in un metodo per osservare oltre le apparenze.

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C’è una data emblematica per la storia dell’arte italiana, meglio ancora si può rintracciare l’evento stesso: la Biennale di Venezia del 1964. Spesso si porta a racconto suggestivo l’aneddoto curioso per cui il più silenzioso e introverso dei pittori, Giorgio Morandi, sia morto due giorni prima della celebrazione internazionale della Pop Art americana, chiassosa, azzardata, colorata. Da questo momento cambia il baricentro geografico della cultura, non è più Parigi con i grandi maestri dell’Ottocento e i pionieri di inizio Novecento, ma sono New York e Londra. Eppure, l’artista segreto che cambia in maniera sottile e persistente la nostra scultura figurativa o i suoi autori primari è un francese, di madre basca, Jean Robert, detto Ipousteguy, anche egli presente in Laguna con una sala personale. I più giovani Floriano Bodini, Giuliano Vangi, Augusto Perez restano affascinati dalla sua capacità di trattare la materia, che sia bronzo o pietra; In Vangi l’apporto si spinge fino alla sua dedizione per la scelta del marmo, soprattutto quando ne assembla diversi tipi per bilanciare il racconto figurale. Nelle sue realizzazioni persiste il sottile velo dell’incomunicabilità concepita come luogo di accadimento, recuperando i teatri di Arturo Martini con una declinazione estrema, tale da rilevare nell’essere umano quella sua costante e persistente bestialità che sviluppa in tragedia. D’altronde Vangi non è rimasto indifferente neppure al clima del Realismo esistenziale milanese che lo obbliga a stabilire con l’opera un destino psicologico, come succede per i protagonisti del «Grande racconto» in cui le distanze sono misura spirituale oltre che fisica. Di Ipousteguy a Novello Finotti interessa piuttosto la concezione stessa della scultura, ricercando anche il mistero di quella pelle che fa sentire lo scorrere del sangue fin dentro ai più piccoli capillari. Egli ne sposa le scelte plastiche ma – forse per motivi anagrafici – ne evita il dramma (finanche intellettuale), preferendo l’ironia. Proprio l’arguzia, il piccolo inganno, l’attenzione per l’immagine in sé, spinge Finotti a creare delle opere tangenti all’irreale, nel divertito regno del plausibile più che del certo, in questa linea s’innesta «Cari avi», scultura che in modo ancestrale, quasi lavarle, testimonia la sacralità delle origini. Negli anni Settanta l’Arte povera impone il nuovo codice d’impegno artistico e come controreazione la Transavanguardia rompe gli argini del concettuale e del poverismo, mentre ormai una nuova figurazione cerca di ritagliarsi un proprio spazio. In questo coté, in cui si muove la rivalutazione del figurativo attraverso esperimenti come la Metacosa di Gianfranco Ferroni, l’attività dei giovani scultori Paolo Borghi, Giuseppe Bergomi, Ugo Riva si fa notare per il recupero della scultura policroma: già Messina riprese a colorare le sculture, come facevano gli antichi, questi giovani autori però, per tre sentieri diversi, cercano un dialogo con l’opera che possa nel contempo diventare racconto di una storia umana. È vero che il Nuovo Realismo iberico di Antonio Lopez riporta al centro del dibattito la maniacalità del dettaglio, che in lui poi crea un incidente con la realtà per cedere/accedere al sogno, ma è anche vero che muoversi oggi nel realismo significa dover far i conti con una poetica non ancora del tutto sdoganata dalla critica più che dal pubblico. Borghi costruisce mondi nuovi partendo da un dato realistico e così le montagne, la relazione di coppia, il tempo come elemento unificante, sono gli archetipi naturali e magici de «Le Alpi», scultura policroma che diventa narrazione per icone di un sentimento, una malinconia: assembla diversi momenti di una esistenza e recupera i riferimenti di un’antichità che non smette di interessare e ispirare gli intelletti. Anche Luigi Stoisa cresce artisticamente alla fine degli anni Settanta, ma in contesto diverso, e comunque in un periodo che classifica la pittura da cavalletto affatto commerciale, mentre sono i tedeschi e i giovani italiani a dettare il passo. La sua ricerca è un costante tentativo di capire le influenze della materia e della luce sulla forma, che per altro significa ancora una volta cercare una domanda antica e offrirgli risposte innovative, e lui con «Gea» è interessato a reperire l’aspetto primordiale e misterico di tutta la creazione. Se non posso che immaginare Auguste Rodin come il primo scultore “contemporaneo” ad aver gestito il problema della forma in una esplosione creativa unica nel suo genere, oggi il problema è ancora attuale e conduce verso proposte che possono diventare un punto fermo di discussione, come Tony Cragg o i giovani protagonisti della scena est europea. D’altronde, la forma è ciò che racchiude l’anima e poche cose, come la scultura, hanno il privilegio di offrirsi a specchio dei propri tempi, che non significa presentare ma rappresentare un’epoca in tutte le sue sfaccettature.

Flavio Arensi

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Francesco Messina

Linguaglossa (CT) 1900 - Milano 1995

Estate (Summertime)

1989 Bronzo Courtesy: Studio Copernico - Milano

Giuliano Vangi

Barberino di Mugello (FI) 1931

Grande racconto

2004 Bronzo

Courtesy: Studio Copernico - Milano

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Arnaldo Pomodoro

Morciano di Romagna (RN) 1926 Spirale aperta

1997/98 bronzo

Courtesy: Studio Copernico - Milano

Novello Finotti

Verona 1939 Cari Avi

2004 bronzo

Courtesy: Studio Copernico - Milano

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Luigi Stoisa

Selvaggio di Giaveno (TO) 1958 Gea

2011 catrame su bronzo e acciaio corten Collezione privata

Giacomo Manzù

Bergamo 1908 - Roma 1991 Double-face

1970/2004 Bronzo Courtesy: Studio Copernico - Milano

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Francesco Messina

Linguaglossa (CT) 1900 - Milano 1995 Marciatore

1931 Bronzo Courtesy: Studio Copernico - Milano

Paolo Borghi

Como 1942 Le Alpi

2003 Bronzo Courtesy: Studio Copernico - Milano

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Francesco Messina

Linguaglossa (CT) 1900 - Milano 1995 Adolescente

1983 Bronzo Courtesy: Studio Copernico - Milano

Il valore complessivo delle opere è stimato in circa 2.500.000 euro

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Andrea Scaringella (resp.) Matteo Fagiano

Maria Clementina Falletti Cristina Negus Paolo Palumbo Carla Testore

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