PANNELLI DI SALA E ALTRI MATERIALI DIDATTICI - lavenaria.it · Introduzione parte storica 5...

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1 FATTO IN ITALIA. DAL MEDIOEVO AL MADE IN ITALY PANNELLI DI SALA E ALTRI MATERIALI DIDATTICI SALA 1 ingresso Concept di mostra “Fato innella butega de…”, impresso sul retro delle maioliche realizzate in Italia, è il marchio, il segno forte che fin dal Medioevo identificava la qualità artistica e artigianale del prodotto fatto in Italia. E’ nel Duecento infatti che l’eccellenza italiana comincia ad essere resa riconoscibile e regolamentata al fine di potersi affermare sui mercati di tutta Europa. Il racconto della mostra prende inizio proprio dall’invenzione di quel marchio per narrare la straordinaria storia del Made in Italy, dalle sue lontane origini fino alla produzione più attuale. Una vicenda nata nelle botteghe e nelle corporazioni medievali, dove il genio artistico si trasformava in produzione artigianale, e che poi, andando sotto traccia nell’età della rivoluzione industriale, ricompare oggi in questo scorcio di XXI secolo. Fin dall’antichità l’Italia ha sempre vantato un substrato culturale estremamente ricco e profondo, sempre vivo fino ai giorni nostri e che nelle epoche di fiorente economia ha saputo dar vita alla creazione di opere straordinarie. E’ l’eccezionalità del prodotto italiano. In mostra si osserverà come nella produzione artistica italiana ci sono stati alcuni momenti speciali in cui la qualità, la capacità di innovazione e l’eccellenza tecnica si sono unite producendo oggetti straordinari, opere d’arte destinate all’uso quotidiano. È ancora questo il modello che, tutt’oggi, molti designer italiani adottano per dare forma alle loro visioni e rispondere alle esigenze in continua ridefinizione dell’utenza contemporanea; è questo che – insieme al molto altro originato dai processi dell’industria qui non testimoniati – rende unico il Made in Italy. Introduzione parte storica 5 SECOLI/146 OPERE Fin dal Medioevo, tessuti, maioliche, armature e bronzi diventano riconoscibili per il loro stile: veneziano o genovese, lombardo o siciliano. Le botteghe artigiane nascevano spesso dove esisteva disponibilità di materia prima, come ferro, argilla, o corallo. In altri casi la presenza di una vivace struttura mercantile consentiva l’importazione di materie prime pregiate da cui si sviluppava poi il processo creativo e produttivo. Spesso nelle botteghe si coniugava la conoscenza dell’antico, che connota tutta la cultura italiana, con le più avanzate invenzioni della pittura o della scultura del tempo, per creare oggetti del tutto nuovi. Da queste botteghe partivano gli oggetti preziosi che hanno diffuso lo stile italiano nel mondo allora conosciuto. La mostra si apre sui materiali preziosi lavorati a Venezia, prosegue, attraverso un arco temporale che va dal Duecento al Seicento, con i broccati tessuti a Lucca, i metalli forgiati a Milano, le maioliche modellate a Faenza e a Urbino, i damaschi che vestivano le nobili dimore genovesi, per concludersi con le splendide creazioni in corallo del gusto siciliano. Introduzione parte contemporanea FATTO IN ITALIA. POETICHE CONTEMPORNEE 9 anni / 31 OGGETTI DI DESIGN Quanto esposto nella sala delle “Poetiche contemporanee” assume i connotati di un ragionamento stimolato e ispirato dalla straordinaria sequenza di manufatti proposta nel percorso dedicato al periodo antico; questa riflessione, consciamente parziale, è volutamente mirata a identificare una delle possibili, specifiche manifestazioni odierne del processo che coniuga le attività del progetto a quelle della

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FATTO IN ITALIA. DAL MEDIOEVO AL MADE IN ITALY

PANNELLI DI SALA E ALTRI MATERIALI DIDATTICI

SALA 1 – ingresso Concept di mostra “Fato in… nella butega de…”, impresso sul retro delle maioliche realizzate in Italia, è il marchio, il segno forte che fin dal Medioevo identificava la qualità artistica e artigianale del prodotto fatto in Italia. E’ nel Duecento infatti che l’eccellenza italiana comincia ad essere resa riconoscibile e regolamentata al fine di potersi affermare sui mercati di tutta Europa. Il racconto della mostra prende inizio proprio dall’invenzione di quel marchio per narrare la straordinaria storia del Made in Italy, dalle sue lontane origini fino alla produzione più attuale. Una vicenda nata nelle botteghe e nelle corporazioni medievali, dove il genio artistico si trasformava in produzione artigianale, e che poi, andando sotto traccia nell’età della rivoluzione industriale, ricompare oggi in questo scorcio di XXI secolo. Fin dall’antichità l’Italia ha sempre vantato un substrato culturale estremamente ricco e profondo, sempre vivo fino ai giorni nostri e che nelle epoche di fiorente economia ha saputo dar vita alla creazione di opere straordinarie. E’ l’eccezionalità del prodotto italiano. In mostra si osserverà come nella produzione artistica italiana ci sono stati alcuni momenti speciali in cui la qualità, la capacità di innovazione e l’eccellenza tecnica si sono unite producendo oggetti straordinari, opere d’arte destinate all’uso quotidiano. È ancora questo il modello che, tutt’oggi, molti designer italiani adottano per dare forma alle loro visioni e rispondere alle esigenze in continua ridefinizione dell’utenza contemporanea; è questo che – insieme al molto altro originato dai processi dell’industria qui non testimoniati – rende unico il Made in Italy. Introduzione parte storica 5 SECOLI/146 OPERE Fin dal Medioevo, tessuti, maioliche, armature e bronzi diventano riconoscibili per il loro stile: veneziano o genovese, lombardo o siciliano. Le botteghe artigiane nascevano spesso dove esisteva disponibilità di materia prima, come ferro, argilla, o corallo. In altri casi la presenza di una vivace struttura mercantile consentiva l’importazione di materie prime pregiate da cui si sviluppava poi il processo creativo e produttivo. Spesso nelle botteghe si coniugava la conoscenza dell’antico, che connota tutta la cultura italiana, con le più avanzate invenzioni della pittura o della scultura del tempo, per creare oggetti del tutto nuovi. Da queste botteghe partivano gli oggetti preziosi che hanno diffuso lo stile italiano nel mondo allora conosciuto. La mostra si apre sui materiali preziosi lavorati a Venezia, prosegue, attraverso un arco temporale che va dal Duecento al Seicento, con i broccati tessuti a Lucca, i metalli forgiati a Milano, le maioliche modellate a Faenza e a Urbino, i damaschi che vestivano le nobili dimore genovesi, per concludersi con le splendide creazioni in corallo del gusto siciliano. Introduzione parte contemporanea FATTO IN ITALIA. POETICHE CONTEMPORNEE 9 anni / 31 OGGETTI DI DESIGN Quanto esposto nella sala delle “Poetiche contemporanee” assume i connotati di un ragionamento stimolato e ispirato dalla straordinaria sequenza di manufatti proposta nel percorso dedicato al periodo antico; questa riflessione, consciamente parziale, è volutamente mirata a identificare una delle possibili, specifiche manifestazioni odierne del processo che coniuga le attività del progetto a quelle della

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produzione, concentrandosi su opere realizzate secondo i criteri artigianali della serie limitata, quando non addirittura del pezzo unico. Questa “sezione” della mostra presenta il frutto dell’attività di auto-produzione o di progettazione per realtà manifatturiere d’eccellenza da parte di alcuni designer italiani, riferendosi ad un arco di osservazione temporale compreso nell’ultimo decennio, anche nel tentativo di alimentare un ragionamento che possa significativamente ritenersi valido se proiettato nell’immediato futuro. La tesi di fondo dell’analisi proposta è unica: che la “cultura del fare”, intesa come la capacità di "ideazione creativa” coniugata al “sapere fabbricare", continui a essere oggi come in passato una prerogativa dell’azione produttiva italiana, definendo una specifica eccellenza che distingue, qualifica e valorizza ciò che viene “fatto in Italia” in tutto il resto del mondo. seguono DUE pannelli sulla grafica della mostra TERRE D’ITALIA: I COLORI DELLA MOSTRA La diverse tinte impiegate nell’allestimento della mostra sono, in forma astratta e volutamente semplificata, la simbolica trasposizione delle cromie dominanti che i terreni assumono nelle diverse regioni della penisola italiana. Il “ventaglio di colori” messo in opera, con toni differenti, intende rappresentare e restituire una sequenza di panorami terrei, costituendo un “inventario minimo” delle tinte del suolo che identificano, a settentrione come nel meridione, i diversi luoghi dell’Italia raccontata in mostra. I colori che si susseguono e si alternano nel percorso di visita rendono omaggio e si riferiscono alla terra di Siena – naturale o bruciata – alle terre gialle di Roma e di Verona, alle varianti rosse della Sardegna, di Venezia o delle terre ferruginose pugliesi, comprendendo le gradazioni più neutre della terra bianca di Carrara. ALFABETI D’ITALIA: LA TIPOGRAFIA DELLA MOSTRA I testi che guidano e accompagnano l’esperienza di visita di questa mostra sono stati composti mediante famiglie di caratteri tipografici accuratamente selezionate, con l’intenzione di offrire anche in relazione a questo aspetto di comunicazione un ulteriore, significativo, contributo alla definizione di un immaginario visivo che rievochi un senso di specifica, diffusa “italianità”. Dopo un attento studio, si è deciso di realizzare le titolazioni della sezione storica della mostra con il carattere tipografico “Mantinia”, disegnato da Matthew Carter nel 1993 e ispirato dalle lettere incise o dipinte da Andrea Mantegna che, nel Rinascimento, recuperò l’interesse per la tipografia monumentale dell’antica Roma. Tutti gli altri testi – incluse le titolazioni della sezione contemporanea – sono in “Semplicità”, famiglia tipografica di caratteri lineari disegnata nel 1930 da Alessandro Butti per la Fonderia Nebiolo di Torino.

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SALA 2 VENEZIA pannello di sala: VENEZIA: IL CENTRO DEL LUSSO Tra il Duecento e il Trecento Venezia costituiva uno dei centri più importanti in Europa per la fabbricazione e l’esportazione di prodotti di lusso. Termini come façon de Venise o de opere venetico si ritrovano in riferimento all’oreficeria a filigrana, alla lavorazione del cristallo di rocca, del vetro, di tessuti. La potenza mercantile della città consentiva di importare dall’Oriente le materie prime che mancavano sul territorio - vetro semilavorato, cristallo, seta - e di esportare il prodotto finito in tutta Europa. Le stoffe bizantine e islamiche venivano copiate nella tecnica e nei motivi decorativi e inviate ovunque; le miniature sotto cristallo di rocca facevano concorrenza agli smalti ed i vetri smaltati veneziani sono stati ritrovati, durante scavi archeologici, fino in Scandinavia e nei paesi baltici. I grandi committenti da sempre compravano a Venezia: Carlo II d’Angiò, re di Sicilia, acquistò i due candelabri realizzati nel 1296 in cristallo di rocca e filigrana d’argento dorato, qui esposti, per donarli al Tesoro di San Nicola di Bari. La repubblica veneziana proteggeva la qualità del prodotto con un rigido sistema corporativo e favoriva l’arrivo di maestranze straniere. La produzione, soprattutto dei tessuti, era di una tale vastità da assumere caratteristiche protoindustriali. Immagine di contestualizzazione degli oggetti della sala, con relativa spiegazione Cupido e il suo corteo offrono a Didone un cofanetto d’avorio e ricchi tessuti: tipici doni nuziali. È una pagina dell’Eneide illustrata da Apollonio di Giovanni. Il miniatore fiorentino trasporta il racconto in ambiente quattrocentesco.

Virgilio Riccardiano Incontro di Didone e Ascanio-Cupido 1460-65 ca pagina manoscritta Firenze, Biblioteca Riccardiana, Firenze, Ricc. 492 c.74v

Pannello di approfondimento LA BOTTEGA DEGLI EMBRIACHI La ricca condizione economica di Venezia favoriva l’arrivo di nuove botteghe: è il caso di una delle più famose, quella del mercante fiorentino Baldassarre Ubriachi (o Embriachi). Commerciante in lana, vini, gioielli e carte geografiche, Baldassarre, oberato dai debiti e sospetto per le sue amicizie politiche, nel 1392 spostò a Venezia una fiorente produzione di opere sacre (dossali d’altare e piccoli oggetti per la devozione privata) e profane (cofanetti nuziali e cornici). La sua grande intuizione fu quella di produrre oggetti che hanno l’apparenza del prezioso avorio ma sono invece realizzati in osso, molto più economico e facilmente reperibile. Nel 1406 raccontava di non aver mai smesso di viaggiare ‘in Lonbardia, in Francia, in Catalogna, in Nispagna e Portogallo’, conosceva personalmente Riccardo II d’Inghilterra, Martino I d’Aragona, Jean de Berry, Gian Galeazzo Visconti. Didascalia di approfondimento La produzione della bottega degli Embriachi era vastissima e si spiega con l’efficienza della sua organizzazione: le placchette d’osso venivano intagliate con misure e iconografie ricorrenti, in modo da poter essere applicate su diversi supporti, accelerando il processo di produzione. Le tacche alla base delle placchette sono marche d’assemblaggio che consentono di capire il lato dell’oggetto al quale devono essere applicate e in quale sequenza.

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Pannello di approfondimento - microstorie CONGEGNI MECCANICI PER PRINCIPI ASIATICI E AFRICANI Nel maggio del 1338 sei nobili mercanti veneziani, da poco tornati dalla Cina, si apprestarono a ripartire per affari diretti in India. Portarono con sé per offrire al Sultano di Dehli due oggetti di grande raffinatezza usciti dalle botteghe degli artigiani veneziani: una fontana e un orologio meccanico. Attraversato il Mediterraneo, la Persia e l’Afghanistan giunsero a destinazione e il Sultano, seguendo la tradizione orientale, li ricompensò per il dono meraviglioso elargendogli la cifra fenomenale di 100.000 bisanti, investiti in perle che riportano a Venezia nel 1342. E’ il primo esempio di nuova tecnologia occidentale che giunge in Asia. Nel 1402 una missione diplomatica partì invece da Venezia per l’Africa Orientale, portando con sé vesti di seta, oggetti di alta oreficeria, specchi e un orologio con complessi meccanismi che battevano le ore stupendo la corte del re d’Etiopia.

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SALA 3 BRONZI pannello di sala: BRONZI - BRONZETTI SULLE SCRIVANIE DI PRINCIPI E STUDIOSI La fusione in bronzo, che aveva già lasciato sul territorio italiano capolavori di età romana come la statua equestre di Marco Aurelio a Roma, venne ripresa su larga scala in età rinascimentale. Dalle invenzioni dei grandi maestri, in particolare di Donatello, la produzione di opere in bronzo si rivolse presto ad oggetti di piccolo formato, di impegno tecnico più contenuto e di minor costo. Le riproduzioni dall’antico e le invenzioni moderne che ne riprendono temi e modelli all’inizio del Cinquecento si diffusero rapidamente soprattutto nell’Italia nordorientale, anche grazie alla replica in più copie dei modelli di successo. I prototipi si trovavano nelle stanze dei principi: Isabella d’Este, marchesa di Mantova, possedeva nel suo studiolo oggetti del tutto simili a quelli esposti. Nelle stanze degli studiosi, più modestamente, calamai e campanelli, lucerne e portapenne consentivano al ceto intellettuale che ruotava intorno alle corti e alle università di possedere oggetti d’arredo di raffinato contenuto culturale. Immagine di contestualizzazione degli oggetti della sala, con relativa spiegazione Il pittore veneziano Vittore Carpaccio rappresenta Sant’Agostino come uno studioso del suo tempo: nel suo studio e intorno a lui si vedono libri e strumenti scientifici. Sulle mensole altri libri e piccoli bronzi.

Vittore Carpaccio Sant’Agostino nello studio 1502 olio su tela Venezia, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni

Pannello di approfondimento - microstorie IL VALORE DELL’ARTE SECONDO GLI ARTISTI: IL PERSEO PER CELLINI Nella coscienza dei grandi artefici era chiaro che il valore delle loro opere incorporava tre fattori: la “spesa della materia, la spesa de l’accomodare la materia e la spesa de l’arte”, tripartita a sua volta tra ingegno, tempo e fatica. La spesa della materia identificava il costo delle materie prime e dei semilavorati; quella per accomodarla le prestazioni correlate (l’imballaggio o il trasporto); la spesa dell’arte invece remunerava l’ingegno, la componente creativa più difficile da misurare, il tempo (suddivisibile in ore/frazioni/giornate retribuite secondo criteri sovente stabiliti dalle corporazioni) e la fatica, che commensurava la difficoltà dell’opera, variante a seconda dei materiali, dei volumi e della perizia necessaria (fusioni, incisioni, cotture, etc.) Ad esempio Benvenuto Cellini, nel corso della trattativa con il duca Cosimo de’ Medici per il Perseo, richiese per la sua fatica il 67,3% di 5.200 scudi; in modo analogo, quando dopo l’ennesimo ritardo di consegna, papa Clemente VII chiese al Cellini di restituirgli, seppur incompiuto, il calice d’oro commissionatogli con la somministrazione di 500 scudi d’oro per la fusione, il geniale fiorentino rispose che sarebbe stato lieto di ridargli la somma, ma non l’opera, poiché il calice era il frutto del suo lavoro, il cui valore era da considerare a parte.

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SALA 4 TESSUTI ANTICHI pannello di sala: TESSUTI ANTICHI - TRA DUECENTO E QUATTROCENTO La produzione tessile italiana del basso medioevo si concentrava a Lucca e a Venezia. All’inizio del Trecento, a causa della crisi politica che investì Lucca, i tessitori lucchesi si spostarono in diversi centri ma soprattutto a Venezia. Lo scambio di tecniche e modelli tra le città italiane e l’Oriente era fittissimo, tanto che spesso era impossibile distinguere l’origine di una manifattura. L’arrivo dei panni tartarici dall’impero mongolo modificò il repertorio decorativo, che passò dalle rigide simmetrie dei tessuti duecenteschi a variopinte fantasie di animali veri e di invenzione e a pattern vegetali variegati e naturalistici. Sia Lucca che Venezia, oltre ai lampassi, che consentivano raffigurazioni a più toni e colori, si specializzarono nella produzione di velluti. L’egemonia della produzione italiana era evidente dalla sua diffusione europea: il calzare liturgico di Arnaud de Via è un tessuto lucchese di inizio Trecento appartenuto ad un cardinale avignonese, nipote del Papa e tesoriere della cattedrale di Salisbury in Inghilterra. Immagine di contestualizzazione degli oggetti della sala, con relativa spiegazione Il re Riccardo II d’Inghilterra si inginocchia davanti alla Vergine, accompagnato dai suoi santi protettori. Il primo, Sant’Edmondo, e lo stesso re indossano ricchissimi abiti con motivi di animali, riconoscibili come tessuti italiani, in particolare quello del re con il motivo del cervo.

Pittore francese o inglese Dittico Wilton 1395-1399 ca olio su tavola Londra, National Gallery

infografica LE ARTI DELLA SETA NELLE CITTÀ ITALIANE - istituzione delle corporazione dei setaioli nelle citta’ italiane XIII secolo Lucca Venezia Bologna XIV secolo Genova Firenze XV secolo Modena Catanzaro Racconigi 1438 Siena 1442 Milano 1459 Perugia 1462 Ferrara 1465-75 Napoli 1481 Pinerolo 1491 Cesena 1493 Messina

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XVI secolo Cosenza Palermo 1502 Reggio Emilia 1519 Torino 1523 Mantova 1544 Cremona 1546 Pisa 1549 Pavia 1553 Faenza 1554 Verona 1561 Vicenza 1563 Vercelli 1563 Brescia 1565 Crema 1568 Bergamo 1573 Catania 1578 Bassano 1582 Asti 1586 Como 1589 Roma 1608 Urbino Pannello di approfondimento - microstorie PELLICCE ARTIFICIALI PRODOTTE A FIRENZE Nell’aprile del 1594 il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici inviò in Transilvania al principe Zygmunt Báthory delle perfette imitazioni di «certi zibellini et lupi cervieri, non di quei veri che vengono da altre bande, ma di quei che l’arte immita ne luoghi miei (a Firenze). Et gliene invio non per il valore della cosa, ma per la novità dell’artifitio». La lettera data ufficialmente la nascita delle pellicce ecologiche e rivela che sin dal Quattrocento le botteghe italiane furono intensamente impegnate nella produzione di copie, repliche e imitazioni legali, realizzate su supporti più economici e con materie prime meno costose, che alimentarono la produzione di succedanei destinati a soddisfare la domanda dei diversi contesti sociali ai quali erano destinati. Didascalia di approfondimento Progettare un tessuto è un’operazione molto complessa, in cui il disegno del motivo decorativo deve tener conto delle possibilità e dei limiti meccanici del telaio. Di conseguenza, molto spesso strutture tessili e motivi decorativi di successo vengono ripetuti a lungo, variati in diversi colori o imitati in luoghi diversi da quelli di origine. Didascalia di approfondimento Il tessuto di Palazzo Madama, forse una gualdrappa da cavallo, è un raro esempio di imitazione orientale di tessuto italiano. Il motivo decorativo a coppie di pavoni, pantere e altri uccelli, è molto simile ai lampassi italiani di metà Trecento, ma la struttura tecnica con due distinti filati metallici ne rivela la probabile origine mamelucca, ovvero dall’area che spaziava dall’Egitto alla Siria. E’ proprio il suo carattere italianeggiante ad aprirgli una strada nei mercati europei.

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SALA 5 METALLI pannello di sala: I METALLI - SCULTURE D’ACCIAIO Dalla descrizione di Bonvesin de la Riva del 1288, la città di Milano appariva popolata di cavalieri luccicanti di armi e di fabbri in grado di produrre armature di ogni genere e quantità. L’abbondanza di miniere di ferro nelle vallate lombarde era all’origine di una vera e propria industria, che dal Duecento al Settecento ha rifornito di armi e armature tutta l’Europa. Le officine lombarde, che avevano all’interno una grande diversità di specializzazioni, erano in grado di produrre sia le armature per le milizie, realizzate in grandi quantità, sia i pezzi unici per i grandi committenti. Opere d’arte che utilizzavano le incisioni di grandi artisti, da Raffaello a Mantagna, così come i repertori dei grandi scultori. Mentre Milano, soprattutto nel cuore del Cinquecento, raggiungeva i massimi vertici in termini di qualità e quantità nella produzione di armature, Brescia si specializzava invece dalla fine del secolo nella produzione di canne per armi da fuoco, che venivano poi vendute in tutta Europa. Immagine di contestualizzazione degli oggetti della sala, con relativa spiegazione Una scena di bivacco in cui sono protagoniste le diverse tipologie di armi. L’armatura a liste in primo piano, elmi, rotelle, pistole, archibugi, spade costituiscono una natura morta che allude alla fugacità della vita e a ciò che rimane sui campi di battaglia.

David Teniers il Giovane L’interno di un posto di guardia 1640 ca olio su tela Collezione privata, Christie’s

Pannello di approfondimento - microstorie LE FAVOLOSE CUCINE E PADELLE DEL CAVALIER BOTTEGARI L’ingegnosità italiana nella lavorazione dei metalli si manifestava anche in campo gastronomico. Il fiorentino Cosimo Bottegari, musicista di fama e Cavaliere dell’Ordine di S. Stefano, inventò una cucina economica con cui si potevano preparare molti cibi contemporaneamente, dalle zuppe ai lessi agli arrosti ai fritti, inclusi ‘spinazzi, pesce, ova, fritate’, con un prodotto finale di ottima qualità. Tra il 1607 e il 1612 Bottegari brevettò il suo ritrovato a Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma e nel Ducato di Modena, pubblicizzando la cucina tramite dei volantini a stampa e vendendola a monasteri, ospedali e privati in tutta l’Italia del centro-nord. In seguito diversificò la sua offerta inventando nuovi tipi di scaldamani, scaldaletti, padelle, pentole e pignatte. La produzione e la vendita di tutta questa gamma di oggetti brevettati era affidata in franchising nelle varie città ad artigiani del metallo, con l’obbligo di apporre sempre il marchio di fabbrica del Cavalier Bottegari. Pannello di approfondimento - microstorie LA CARROZZA GASTRONOMICA DEL BUONTALENTI L’utilizzo di svariate leghe metalliche trovò largo impiego nella produzione di utensili di varia natura, tra cui spiccano quelli usati nelle cucine di monasteri, corti e grandi locande, in cui venivano quotidianamente preparati anche centinaia di pasti, dalla complessità raramente immaginabile. Per garantire la medesima - straordinaria - qualità dei grandi banchetti anche durante i continui viaggi e gli spostamenti nelle residenze extraurbane che caratterizzano lo stile di vita delle élites italiane tra Quattro e Seicento, vennero progettati e realizzati oggetti speciali: dai grandi set di posate, piatti e bicchieri abilmente impilati nelle valige da viaggio sino alle cucine mobili montate su speciali carrozze e fornite di bracieri, fuochi, scaldavivande e ghiacciaie portatili, di cui è celebre quella progettata da Bernardo Buontalenti per le merende della corte medicea.

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Didascalia di approfondimento Il globo terrestre della Biblioteca Nazionale di Torino realizzato da Francesco Pellizzone detto il Basso, attivo nella bottega Zarabaglia, è un raro esempio di mappamondo metallico. L’opera è firmata e datata al 1570. La Terra è stata realizzata con la tecnica dell’ageminatura, in oro e argento, e la presenza della firma si spiega probabilmente col fatto che il globo è opera esclusiva del suo autore, mentre firme e marchi sulle armature indicano la provenienza da una bottega, dove l’opera era realizzata da diversi artisti specializzati. Didascalia di approfondimento L’insieme di stocco (spada corta da cavallo), spada e spiedo da caccia sono alcune delle parti che compongono l’armatura da cavallo di Ferdinando del Tirolo, arciduca d’Austria (1529-1595). La guarnitura, di cui si conosce anche il costo (2600 scudi) fu realizzata intorno al 1559-1560 nella grande bottega di Giovanni Battista Panzeri, detto Zarabaglia, e di Marco Antonio Fava, che teneva rapporti così stretti con la corte asburgica da avere un proprio emissario a Vienna. Le lame portano il marchio del famoso spadaio Daniele da Serravalle. La varietà e la raffinatezza della lavorazione ad agemina ne fanno uno dei capolavori assoluti dell’armatura lombarda del Cinquecento.

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SALA 6 GRAFICA MAIOLICHE pannello di sala: MAIOLICHE - I CENTRI PRODUTTIVI A partire dal Quattrocento, l’abbondanza di materia prima quale l’argilla di fiume o di cava consentì a molti centri italiani di sviluppare la produzione della maiolica: la ceramica smaltata su cui possono essere raffigurati decori molto complessi come paesaggi, storie sacre e profane, stemmi. Dal Cinquecento l’Italia vide una straordinaria fioritura di questi prodotti, e ne mantenne il primato in Europa per tutto il Seicento. In questi due secoli una fittissima rete di piccole botteghe, incentrate sui gruppi familiari, produsse in modo corale una gamma molto vasta di prodotti di uso e forme diverse per il mercato o su specifica commissione. In Francia il successo dei prodotti di Faenza fece sì che nella lingua francese ancor oggi si usi il termine faïence per indicare la ceramica. La maiolica cambiò frequentemente stili di decorazione e soggetti: doveva tenersi sempre aggiornata, utilizzando per questo largamente le incisioni che si trovano sul mercato e contribuendo così, con la sua diffusione in tutta Europa, a far conoscere le invenzioni della pittura italiana, in particolare di Raffaello e della sua bottega. INFOGRAFICA I CENTRI PRODUTTIVI E GLI SPOSTAMENTI DELLE BOTTEGHE Infografica dei centri produttivi italiani: Faenza, Forlì, Modena, Ravenna, Rimini, Perugia, Spello, Foligno, Genova, Venezia, Pesaro, Urbino, Deruta, Fabriano, Pisa, Cafaggiolo, Montelupo, Gubbio, Casteldurante (Urbania), Venezia, Padova, Verona, Castelli, Napoli, Laterza, Gerace, Squillace, Palermo, Caltagirone, Sciacca, Collesano, Burgio Migrazioni puntuali di maestri o botteghe: Da Casteldurante a Torino, da Faenza a Siena, da Casteldurante a Urbino, da Faenza a Verona, da Casteldurante a Nazzano, da Castelli a Napoli (da sovrapporre alla precedente) Con frecce più grandi: da Faenza verso Lombardia e Toscana, dalle Marche verso Venezia, Firenze e Roma (da sovrapporre) Pannello di approfondimento CERAMISTI ITALIANI NELLE “STRANIERE PROVINCE” La capillare diffusione della maiolica su tutto il territorio italiano provocò già a inizio del Cinquecento la necessità, specie nei distretti più importanti, Veneto, Romagna e Marche, di allargare l’attività vendendo all’estero o trasferendosi. Si trovavano maiolicari italiani in Spagna, Olanda e Francia, e qualcuno si spingeva fino a Corfù e a Cracovia. I primi che riuscirono ad utilizzare gli intensi contatti commerciali furono i veneziani, che esportarono maioliche verso la Germania, soprattutto presso le famiglie della nobiltà e i mercanti di Augusta e di Norimberga. Ben presto le officine romagnole e marchigiane, fortemente appoggiate dalle corti dei Gonzaga e dei Della Rovere, attirarono commissioni dalla Francia e dalla stessa Germania. Particolarmente richieste furono le “credenze”, servizi completi anche di centinaia di pezzi ordinati soprattutto in occasione di matrimoni, con gli stemmi degli sposi entro fastose decorazioni. Il dono a personaggi influenti, da parte della bottega stessa o promosso da una corte, venne spesso utilizzato come potente mezzo di autopromozione.

SALA 7 MAIOLICHE

Immagine di contestualizzazione degli oggetti della sala, con relativa spiegazione L’interno di una grande cucina con dispensa seicentesca. La ricchezza della casa è evidente dalla quantità di persone che vi lavorano e dal gran numero di suppellettili di metallo e maiolica ordinatamente disposte sulle mensole e sopra il camino.

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Joseph Heintz il Giovane Interno di cucina metà XVII (?)sec. olio su tela Bologna, Musei Civici

Pannello di approfondimento LE CORTI ITALIANE E LA PORCELLANA CINESE. UNA SFIDA TECNICA Il mistero della composizione chimica della porcellana cinese decorata con motivi blu su fondo bianco affascinò i principi italiani del Rinascimento, che nel corso del Cinquecento tentarono di scoprirne il segreto. Dopo la metà del secolo il Duca di Ferrara Alfonso II ospitò a corte degli artigiani nel tentativo di riprodurla, ma il maestro che sembrava averne trovato la ricetta morì improvvisamente nel 1567, portando il segreto con sé nella tomba. Nel frattempo, a Firenze, il Principe Francesco de’ Medici spiava quanto stava accadendo a Ferrara e conduceva esperimenti in prima persona, assistito da una nutrita schiera di tecnici. Dopo molti tentativi, nel 1575, riuscì a scoprire un composto a pasta tenera con cui produsse vasi e altri oggetti che negli anni seguenti inviò come doni diplomatici a vari principi europei, primo fra tutti il sopra menzionato Alfonso II d’Este. Tale evento segnò la nascita della cosiddetta ‘porcellana medicea’, ineguagliata in Europa fino al Settecento. Pannello di approfondimento - microstorie GLI OGGETTI PIÙ BIZZARRI PRODOTTI DALLE MANIFATTURE DI CORTE Le botteghe di corte sin dalla metà del Quattrocento svilupparono tecniche e linee di prodotto innovative, dalle finte pietre preziose alle ambre realizzate con i materiali più disparati (paste vetrose, resine vegetali e animali, ortaggi), dalle stampe su tessuto ai sughi d’erba (gli arazzi dipinti su seta e cotone), dalle sculture di gesso, stucco, cera e cartapesta agli oggetti di cuoio, carta, stagnola e cartone, alla costante ricerca di novità tecniche e stilistiche. Parimenti furono impegnate nella produzione di oggetti “incredibilmente” lussuosi nella loro apparente modestia: gabbie da canarino in ferro o legno, finestre di carta, palle di pelle colorata per giocare a pallacorda, scarpine per i nani, grattugie d’argento, collari e grattoni per cani tempestati di pietre preziose, bottoni di diamanti, orinali di cristallo, spremiagrumi d’ argento, sonagli per ghepardi o stuzzicadenti d’oro, che dimostrano il ruolo propulsivo esercitato dalla raffinatezza della domanda delle corti. Didascalia di approfondimento UNA BOTTEGA DI CORTE A TORINO Le botteghe dei maiolicari, concentrate nell’Italia centrale, nel secondo Cinquecento si spostarono in cerca di nuovi sbocchi professionali. Nello stesso tempo, Emanuele Filiberto avendo stabilito a Torino il nuovo centro del ducato, necessitò di artefici specializzati. Con la mediazione del vescovo di Torino, che apparteneva al ramo piemontese della potente famiglia Della Rovere, alcuni urbinati si trasferirono in città: della loro produzione rimasero una serie di delicate coppe con la loro firma.

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SALA 8 MILANO pannello di sala: MILANO - “MADRE COMUNE DI TUTTI I VIRTUOSI” Così venne definita nel 1578 la città dove, sotto il dominio spagnolo, fioriva una straordinaria varietà di botteghe di armaioli, scultori, intagliatori in pietra e metallo. Grandi scultori come Leone Leoni e Annibale Fontana fornirono i modelli che servirono agli orafi per decorare i vasi in cristallo o in pietre dure e agli scultori in metallo per stipi e cassoni. Placchette e medaglie vengono collezionate per se stesse, ma sono anche modelli per sculture più complesse. In mostra si può ammirare un esemplare delle raffinatissime e fragilissime creazioni in cristallo di rocca lavorate “in cavo”, ossia dall’interno, che i principi europei si contendevano. Insieme al cristallo si lavoravano le pietre dure in cammei e in splendidi vasi di soggetto mitologico. Le botteghe, connesse tra loro anche da stretti legami familiari, trattavano direttamente con i principi e i collezionisti stranieri, soprattutto dell’area dell’Impero, tanto che un ramo della famiglia milanese dei Miseroni venne chiamato a Praga da Rodolfo II d’Asburgo, e vi rimase in attività per circa un secolo. Immagine di contestualizzazione degli oggetti della sala, con relativa spiegazione Tutte le attività di una bottega che lavora il metallo. Piatti, vasi, coppe e gioielli, accompagnati dai disegni impiegati dagli artefici.

Alessandro Fei L’Oreficeria 1571 olio su tavola Firenze, Palazzo Vecchio, Studiolo di Francesco I

Pannello di approfondimento NELLE COLLEZIONI EUROPEE La Parigi di Caterina de Medici e di Cristina di Lorena, il castello di Ambras dell’arciduca Ferdinando II del Tirolo, la Praga dell’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, la Monaco di Alberto V Wittelsbach, duca di Baviera, la Dresda dell’Elettore di Sassonia Augusto sono i centri principali dell’apprezzamento internazionale degli oggetti di lusso prodotti dalle industrie artistiche di Milano. Spesso utilizzate come prestigiosi doni diplomatici, le opere dei milanesi (dalle armature ai cristalli, dai ricami ai lavori in pietre dure) dalla seconda metà del Cinquecento sono al centro delle brame collezionistiche delle corti italiane - dei Medici, dei Farnese, dei Savoia e dei Gonzaga - e fanno ormai parte del necessario corredo di oggetti di rappresentanza dei cittadini più illustri. Didascalia di approfondimento Queste due straordinarie opere “all’antica”, ricchissime di riferimenti classici e rinascimentali, sono state realizzate per l’imperatore Carlo V, forse donate da Francesco d’Avalos, comandante generale dell’esercito imperiale in Lombardia. Sono quasi certamente opera della più importante bottega milanese di armaioli, quella dei Negroli. Chi indossa l’elmo a testa di leone diventa simile a Ercole, mentre l’impressionante testa di Medusa, sbalzata ad altissimo rilievo e rifinita al cesello, minaccia la pietrificazione dei nemici. Didascalia di approfondimento La placchetta con Il Sacrificio di Isacco deriva da un modello di Annibale Fontana più volte imitato con diverse tecniche. Una scena analoga è presente nella coppa con Storie della Genesi del museo del Louvre qui esposta. La medaglia di Annibale Atellani dello scultore Pietro Paolo Romano, figlio di un intagliatore di pietre dure, raffigura con grande precisione un trapano che incide una pietra incastonata in un anello, e rappresenta nella sua storia le relazioni tra tutte le arti nella Milano del Cinquecento.

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SALA 9 GENOVA pannello di sala: GENOVA - L’ARTE DELLA SETA E’ L’ANIMA DELLA NOSTRA CITTA’ La manifattura della seta nacque a Genova all’inizio del Trecento, sulla scia dell’emigrazione dei tessitori lucchesi, e crebbe trainata dalla potenza economica della città e del suo porto. A partire dal Cinquecento la fama dei tessuti genovesi si estese ovunque in Europa, tanto che velluti e damaschi prodotti altrove, soprattutto in Francia, vennero spacciati per genovesi o perlomeno indicati come “à la façon de Gênnes”. Lo sviluppo delle manifatture era tale che quando la repubblica, nella seconda metà del Cinquecento, contava circa 60.000 abitanti, più della metà erano impegnati nella lavorazione e nel commercio dei tessuti, e anche le famiglie aristocratiche erano coinvolte a pieno titolo nel finanziamento e nella gestione di queste attività. Come a Venezia, anche a Genova lo stato esercitava un ferreo controllo sulla qualità del prodotto, che continuerà ad avere un primato europeo fino alla metà del Settecento. Per ricchi borghesi e aristocratici di tutta Europa, avere letti a baldacchino e sale foderate di velluti e damaschi genovesi, i più costosi e sfarzosi, era indice di uno status symbol. Pannello di approfondimento - microstorie IL MIGLIOR VELLUTO NERO DEL MONDO Tra Cinquecento e Seicento il predominio spagnolo in Italia diffuse la moda dei tessuti neri, adottati sia dall’aristocrazia che dai ceti mercantili e professionali. Genova mantenne per secoli il primato nella produzione di velluti neri di altissima qualità, che dominavano in tutti i mercati europei ed erano esportati fin nelle Americhe. Le industrie di città rivali, come Venezia, tentarono invano di riprodurre la qualità del ‘veludo nero alla zenoina’, non riuscendo a impedire che il pelo di seta tagliato del velluto sbiadisse rapidamente con l’uso. Alla base del successo genovese c’era da un lato l’abilità degli artigiani, che con un lungo e complesso procedimento tecnico - nel quale si impiegava noce di galla orientale, gomma arabica, vetriolo, limatura di ferro, aceto e sapone – ottenevano un nero brillante e di grande durata. Dall’altro lato, come affermavano alcuni contemporanei, la giusta composizione chimica e la limpidezza delle acque di Genova e il suo clima garantivano un prodotto che nessuno riuscì a eguagliare per secoli. Didascalia di approfondimento Il letto di Albissola è un manufatto eccezionale sia per la rarità di arredi di questo tipo sia per la qualità raffinata del ricamo. Il disegno mostra una forte impronta di Domenico Piola e di suo cognato Stefano Camogli, che aveva lavorato nella bottega del fiammingo Jan Roos: si spiega così la coesistenza di animali “alla fiamminga” con fiori e frutti disposti in ghirlande “alla francese”. E’ un esempio raro di quei complessi tessuti d’arredo e ricami genovesi che erano ricercati e apprezzati in tutta Europa. Didascalia di approfondimento Edificata nella prima metà del XVIII secolo su commissione del nobile genovese Gerolamo Durazzo, Villa Faraggiana è un cospicuo esempio settecentesco di dimora signorile ligure di villeggiatura. La Villa rimase di proprietà Durazzo fino al 1821, anno in cui fu venduta ai nobili liguri Faraggiana , da cui passò al Comune di Novara. Nella Villa, aperta al pubblico, spicca come luogo centrale la magnifica Galleria delle Quattro Stagioni, con le sculture lignee dorate di Filippo Parodi (1660) e la Stanza da letto con stucchi policromi settecenteschi da cui proviene il letto qui esposto. Didascalia di approfondimento Frutto del felice incontro tra Andrea Doria, ammiraglio di Carlo V e signore “di fatto” della Repubblica di Genova, ed un artista aggiornato quale Perino del Vaga, il palazzo dei principi Doria si è distinto sin dalle origini per la ricchezza degli apparati tessili, continuamente incrementati tra XVI e XVII secolo. Preziosi arazzi e tessuti di grande pregio (come il velluto cesellato seicentesco qui esposto) coprivano, in alternanza stagionale o in base agli “hospitaggi” in corso, le pareti della dimora, oggi aperta al pubblico dai discendenti del fondatore.

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SALA 10 CORALLI pannello di sala: CORALLI - NEL MARE DI TRAPANI E’ la costa di Trapani il mare in cui si pesca fin dal Medioevo la miglior qualità di corallo, materiale la cui natura era allora incerta, tra minerale, vegetale e animale. Al corallo sono state attribuite fin dall’antichità proprietà terapeutiche e apotropaiche, ovvero di protezione contro le influenze negative, ma nello stesso tempo le sue qualità di colore e la possibilità di lavorarlo ne hanno assicurato la sua fortuna come oggetto decorativo. Entrata nell’orbita politica della Corona d’Aragona, Trapani si trasformò fin dal Quattrocento in centro di pesca, lavorazione ed esportazione del corallo. Patrimonio, in un primo momento, di alcune famiglie ebraiche, poi convertitesi per sfuggire alle persecuzioni di fine Quattrocento, la produzione si espanse e crebbe fino ad arrivare al suo culmine tra Sei e Settecento. Esisteva una lavorazione “in picciolo”, spesso affidata alle donne, in cui le minutissime parti, incastrate nella lamina di rame dorato, servivano per realizzare numerosissimi oggetti di uso profano e religioso. Allo stesso tempo si estendeva la lavorazione dei coralli più grandi, che si cimentava nel confronto con la grande scultura, soprattutto con le straordinarie composizioni dei trionfi. Immagine di contestualizzazione degli oggetti della sala, con relativa spiegazione ll ritratto di un orefice di Bruges mentre discute con una coppia di promessi sposi l’acquisto di un anello. Gli sposi sono stati identificati in Maria di Gheldria e Giacomo II re di Scozia e il dipinto è denso di riferimenti matrimoniali: l’anello, la cintura in primo piano, e il corallo, portatore di protezione soprattutto dei bambini.

Petrus Christus L’orefice in bottega 1449 olio su tavola New York, Metropolitan Museum

Pannello di approfondimento - microstorie GIUSEPPE BONO, CACCIATORE DI CORALLI E PERLE CON CAMPANE SUBACQUEE La domanda rinascimentale di oggetti in corallo stimolò la creazione di nuovi strumenti tecnici per incrementare la pesca della materia prima. Un’invenzione originale si deve al palermitano Giuseppe Bono, che sperimentò un ‘vaso’ capace ‘di far andar gl'huomini sott'acqua a pescar coralli et ogn'altra cosa che fosse nel profondo del mare’. Si trattava di una campana subacquea, costruita prima in legno e poi in bronzo, con la quale due nuotatori potevano calarsi nei fondali marini e restarvi a lungo a raccogliere il corallo. Nel 1570 il Granduca di Toscana concesse a Bono un brevetto di dieci anni per utilizzare la sua campana nel Tirreno, presso Livorno, a patto che un decimo del corallo pescato fosse ceduto allo Stato e che il materiale venisse lavorato solo a Pisa o a Firenze. L’invenzione diede buoni risultati, tanto che Bono ricevette un altro privilegio dal Vicerè di Napoli nel 1574 e poi uno dal re Filippo II di Spagna nel 1582, di portare la sua campana nelle colonie americane per impiegarla anche nella pesca delle perle. Didascalia di approfondimento Sui trionfi I trionfi sono forse le composizioni più complesse della lavorazione del corallo, oggetti destinati a ornare le tavole o soprammobili. Costruiscono architetture verticali sulla cui sommità si trova una raffigurazione, sacra o profana, che consente di utilizzare coralli di grandi dimensioni.

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SALA 11 CORRIDOIO pannello di sala: LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE - IL DESTINO DELLE BOTTEGHE ARTISTICHE La Rivoluzione Industriale ha determinato tra Sette e Ottocento una svolta fondamentale nel sistema manifatturiero esistente in Italia e in Europa. Le grandi botteghe artigiane che operarono tra il Duecento e il Seicento e i saperi da esse generati e disseminati in Italia e nel mondo hanno costituito una dorsale portante dell’economia pre-industriale italiana, ma la loro eredità in seguito alla Rivoluzione Industriale venne misconosciuta o ricusata. Si formò una frattura storiografica che per secoli non si è più ricomposta: la spaccatura sette e ottocentesca tra arte e artigianato, tra arti utili e inutili, pratiche e improduttive, belle e applicate. In seguito a tale cesura, le attività riconducibili alle grandi botteghe operanti nel campo di quello che oggi è impropriamente definito “artigianato artistico”, presidiate sino ai primi anni trenta del Novecento dalle cosiddette industrie artistiche, sono state reputate troppo industriali per meritare l’interesse della storia dell’arte e troppo artistiche per destare le attenzioni di quella economica, determinando un equidistante disinteresse per quest’area d’intersezione. Solo di recente sono stati finalmente riconosciuti i numerosi legami che uniscono i settori del Made in Italy ai loro secolari antenati, legami spesso mai interrotti nel corso degli ultimi secoli.

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FATTO IN ITALIA POETICHE CONTEMPORANEE

pannello di sala: FATTO IN ITALIA. POETICHE CONTEMPORANEE Una selezione di oggetti progettati e realizzati in Italia e collegabili in modo diretto ad un “sentire” di tipo artigianale raccontano la sezione di Poetiche Italiane. Nella figura del designer contemporaneo – a discrezione ed opinione dei curatori – sembrano riassumersi e ritrovarsi alcuni dei tratti che definivano la figura dell’antico Maestro di bottega, non solo detentore di una raffinata conoscenza della materia praticata, ma anche responsabile della strategia organizzativa all’interno della bottega. Vocazione alla ricerca e interesse per la sperimentazione sono i caratteri che accomunano gli autori presentati, capaci di interpretare il ruolo di progettista esplorando i territori di un’espressività poetica che, oltre a produrre degli esiti tangibili rispondenti a precisi requisiti di tipo formale e funzionale, intendono caricare l’oggetto di rilevanti valenze significative, anche simboliche. Ciascun manufatto – in alcuni casi compreso in una collezione/famiglia – acquista quindi il valore di un vettore di senso, assumendo l’identità di un dispositivo in grado di assorbire e poi rilasciare specifiche narrazioni, nel tentativo di stabilire con il suo utilizzatore un legame di corrispondenza emotiva e affettiva anche utile ad attivare un rapporto di tipo empatico. Nella realizzazione di ogni pezzo è percepibile una cura del dettaglio, una perizia nella scelta dei materiali, un’inopinabile qualità nella selezione degli strumenti e delle tecniche utili alla sua esecuzione; aspetti che, oltre a manifestare le distinte sensibilità dei progettisti, derivano da un costante, intenso rapporto di dialogo e collaborazione di questi con una nutrita schiera di maestranze artigianali altamente specializzate. È anche attraverso questo genere di produzioni che si conserva e tramanda la memoria di uno specifico sapere, per poi dare un nuovo impulso a specifici settori di operosità artigianale con l’obiettivo di rinnovare la straordinaria tradizione manifatturiera italiana e stimolare la sua economia; è anche in questa direzione che bisogna muoversi per formulare nuovi paradigmi attraverso i quali esprimere ed aggiornare un complesso di competenze teoriche e pratiche che, nel loro insieme, costituiscono un patrimonio culturale di straordinaria rilevanza per l’ Italia e, di riflesso, per quanti nel mondo ne beneficiano. Giorgia Zanellato & Daniele Bortotto - “Acqua Alta Collection”, 2014 La serie Acqua Alta si compone di cinque “variazioni” sul tema del dominio dell’acqua nella città di Venezia, concepite come elementi di un’unica indagine sull’influenza della sua presenza pervasiva sulla cultura de La Serenissima e sulla sua estetica. La Salina è una lampada a sorgente Led, tagliata in un profilo sottilissimo di marmo “intaccato” alla base per simulare e ricordare l’erosione operata dalla salsedine sulle pietre delle scalinate e dei colonnati. La texture e i cromatismi degli intonaci dei palazzi veneziani sono invece riprodotti ne I Sestieri, una serie di tessuti dalla trama pittorica, prodotti dall’azienda locale Rubelli. In vetro di Murano è il contenitore per fragranze, composto di tre cilindri in ceramica che diffondono essenze, versione in scala delle tante briccole presenti in laguna. Dalla collaborazione con il maestro Massimo Lunardon è nata la sfida di realizzare in vetro borosilicato i vasi Passerelle, ispirati all’estetica dei ponteggi mobili utilizzati in caso di acqua alta. Infine, il tappeto La Giudecca è la traduzione in scala 1:1 della vista dall’alto della tipica gradinata di discesa in acqua dei canali, la cui successione cromatica corrisponde a quella prodotta dal movimento disomogeneo dell’acqua sugli scalini. Faberhama - “&Ability”, 2015 &Ability è il nome di un tavolo in rovere che può essere configurato in modi diversi grazie alla possibilità di accogliere lungo il suo piano circolare elementi di piccola e media dimensione, come ceste in vimini, vasi in ceramica tornita, paralumi e ciotole di varie dimensioni. Il progetto offre un’interpretazione in chiave contemporanea – riferita all’ambito del design – del tema della “rete”, alludendo alle possibili connessioni tra individui, alle relazioni tra singole maestranze, all’opportunità di stabilire delle corrispondenze tra soggetti attraverso la condivisione della cultura del saper fare e della conoscenza di processi artigianali specifici e differenti.

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La “rete” è il filo conduttore della serie, materialmente rievocata negli intrecci del vimini e nei motivi della decorazione eseguita con terre colorate sui vasi di ceramica, così come nella commistione dei materiali usati nei singoli oggetti, che diventano parte integrante dell’insieme pur mantenendo la propria identità. I vari elementi sono mobili e possono essere combinati dall’utente secondo le proprie esigenze, creando composizioni originali. Il nome del progetto contiene il logogramma “&”, usato nella lingua latina per legare le lettere della congiunzione “et” e che, accostato alla parola “ability”, ovvero “capacità”, rimarca l’importanza dei contributi che provengono da conoscenze diverse. Andrea Marcante & Adelaide Testa (UdA) - “Cose Da Bocia”, 2014 Andando a indagare un ambito poco esplorato dal design contemporaneo, Andrea Marcante e Adelaide Testa (UdA) riscoprono il mondo dell’infanzia e realizzano la prima collezione di Kids Furniture connotata da criteri di versatilità e di alta trasformabilità nel tempo. Con Cose Da Bocia usano il dialetto (“bocia” è il ragazzino in piemontese) per proiettarci in una dimensione domestica e familiare: la collezione è composta da un sistema di elementi pensati per i bisogni dei più piccoli, ma che al contempo risultano in grado di soddisfare l’appetito estetico e l’ironia dell’età adulta. I mobili della serie - disegnati per arredare la camera dei bambini ma adattabili anche a destinazioni d’uso differenti - sono realizzati principalmente in MDF colorato e completati da un tubolare metallico, con un esplicito riferimento ad un immaginario d’antan che ora risulta rimodulato in chiave contemporanea, con diverse forme e in una varietà di tinte pastello. Con uno sguardo attento alla storia degli arredi progettati per i bambini, in particolare tra gli anni 1920 e 1970, Marcante e Testa sviluppano un progetto di prodotto in grado di rispondere alle esigenze della famiglia d’oggi, superando l’idea di un mobilio per l’infanzia “usa e getta”. Il processo di realizzazione di Cose Da Bocia coniuga la cura per il dettaglio artigianale con la fascinazione di un segno visivo accattivante che utilizza materiali 100% Eco-Friendly (legno riciclato, sughero, corda naturale). Breaking the Mould - “Venice>>Future”, 2015 Breaking the Mould è un progetto che unisce in collettivo alcuni designer chiamati a rinnovare la tradizione veneziana del vetro soffiato a stampo. La serie di 14 esemplari compresi nella collezione Venice>>Future è un esempio di come digitale e analogico possano convivere in un unico processo produttivo che combina tecnologia e tradizione. Ciascun pezzo è realizzato in collaborazione con Materiaterza per la stampa tridimensionale degli elementi in ceramica refrattaria, mentre la formatura del vetro è eseguita dai maestri vetrai dell’isola di Murano, nella storica fornace Salviati. Sedotta dalla tecnologia o plasmata dall’uomo, la materia trova compimento nell’unione di due antipodi: il vetro, ancora incandescente e informe, viene colato all’interno della ceramica prestampata in 3D, dove resta imprigionato e si modella in fase di soffiaggio. Il risultato di ciascun processo è un pezzo unico, che testimonia le possibilità estetiche e funzionali del binomio produttivo arte/tecnica. Breaking the Mould sviluppa un racconto, reale e metaforico, di come antiche prassi artigianali possano dialogare con l’evoluzione tecnologica in ambito industriale, ovvero di come i preziosi saperi dei maestri di bottega possano essere accolti nella produzione contemporanea. Formafantasma - “De Natura Fossilium”, 2014 Rifiutando il pensiero che associa preferenzialmente il termine “local” ai concetti di intrattenimento e turismo, Formafantasma guarda alle piccole realtà territoriali e al loro patrimonio culturale per approfondire lo studio di determinati habitat, concentrandosi su aspetti riguardanti le loro tradizioni e la loro storia. È il caso della Sicilia e delle isole Eolie, dove l’immaginario arcaico e mitologico del vulcano costituisce il punto di partenza per la progettazione del concept di De Natura Fossilium. Nell’idea di Andrea Trimarchi e Simone Farresin, la specificità della materia fossile trova forma in una collezione di vasi, tavolini, orologi, specchi, tessuti, in cui la sostanza lavica è trattata con differenti tecniche artigianali e a diversi stati di consistenza della materia, da quello fibroso al cristallino e roccioso. Per tradurre le loro intuizioni in una collezione di manufatti, i designer si avvalgono delle competenze di esperti - locali e internazionali - ai quali si affidano per portare a termine un processo che coniuga una molteplicità di fasi: l’analisi scientifica eseguita sulle pietre vulcaniche, gli esperimenti in fornace relativi alla

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fusione della lava e alla successiva soffiatura della pasta di vetro, il taglio a controllo numerico del basalto siciliano, le tecniche di lavorazione e finitura sulle superfici d’ottone, la filatura e conseguente tessitura in una morbida trama delle fibre di pietra lavica. Martino Gamper - “If Gio Only Knew…”, 2014 Nel 1960 l’architetto e designer milanese Gio Ponti viene incaricato di disegnare gli ambienti comuni e le camere per l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento, nel golfo di Napoli. Sceglie una bicromia di bianco e di blu, motivi geometrici e schemi visivi di gusto marino, tagli minimali e pochi interventi figurativi. Quasi cinquant’anni dopo Martino Gamper mette in scena una performance dal titolo If Gio Only Knew…, presentata live al pubblico di Design Miami/Basel. Attraverso un’operazione tanto concettuale quanto manuale, Gamper – con la complicità della galleria milanese Nilufar - sottopone alcuni arredi originali disegnati da Ponti a un’inedita operazione ready-made: armato degli attrezzi da laboratorio, il designer li scompone, taglia e riassembla in un gesto di Action Design. Munito di intuizione progettuale e istinto, Martino Gamper si misura in un freestyle artigianale che amplifica il valore di unicità dell’oggetto di partenza. If Gio Only Knew… è un’azione di ripensamento dell’atto del progettare, un attraversamento emotivo e intellettuale dentro la storia del design, una coraggiosa riappropriazione che si compie nella verità dell’esperienza e, infine, un invito a riconsiderare il tema dell’autorialità e della ripetizione come quota parte del valore artigianale. Il risultato della performance è un compendio di mobili (tra cui tavoli, trumeau, sedute, mensole, specchiere) presentato per la prima volta nel 2007 all’interno degli spazi della galleria Nilufar per la mostra Gio Ponti translated by Martino. Paolo Ulian & Moreno Ratti - “Introverso 2”, 2014 Paolo Ulian e Moreno Ratti sono nativi, rispettivamente, di Massa e di Carrara; il marmo è il materiale naturale che caratterizza il loro orizzonte visivo di origine, una sostanza di cui conoscono bene le proprietà, le qualità plastiche e le tecniche di lavorazione. Nel marmo disegnano sottraendo la materia con un segno leggero, anche ironico, quasi grafico, che risponde a un solo imperativo: minimizzare lo scarto. Forti di un’etica del progetto che non consente abusi di materiale, orientano il loro lavoro al fine di permettere, preferenzialmente, il recupero di residui o avanzi di lavorazione delle lastre di pietra. Con pochi e precisi tratti rinnovano l’estetica antica del marmo, giustapponendo alle tradizionali modalità di trasformazione fisica della materia alcune tecniche operative di ultima generazione, per poi invitare l’utente a una progettazione condivisa, secondo un modello di “design cooperativo”, che trasferisce al fruitore la responsabilità di dare la configurazione finale all’oggetto progettato. Introverso 2 è un esempio di questo approccio: è un “vaso nel vaso”, realizzato per mezzo di macchinari a controllo numerico (CNC) che, mediante un disco diamantato, incidono un parallelepipedo di marmo secondo il principio della sbozzatura con frese piane. Il risultato è un contenitore dalla doppia anima che, a discrezione dell’utilizzatore, può essere lasciato nella sua forma originale oppure modificato con un martello per farne emergere - in toto o in parte - la silhouette nascosta. L’utente, avendo facoltà di personalizzare a piacimento l’oggetto, assume il ruolo del designer, dell’artista o dell’artigiano, prendendo parte a tutti gli effetti al processo di produzione del manufatto. ZAVEN - “Lorem Ipsum”, 2010 - “Make It”, 2010 Fondato nel 2006 da Enrica Cavarzan e Marco Zavagno, Zaven è uno studio creativo che si esprime attraverso un approccio progettuale ad ampio spettro, con una vocazione alla ricerca che favorisce l’esperimento e che si traduce in esiti materiali di varia natura. Nel dominio dell’autoproduzione, studiano la grammatica di alcune esperienze artigianali, le pratiche di certe officine e laboratori, dove il lavoro manuale si accompagna all’esplorazione di soluzioni specifiche e stimola l’ingegno compositivo. E proprio grazie alle competenze di alcuni artigiani orafi - in particolare di Eugenio Lovato e Arduino Zappaterra - che i designer realizzano i prototipi delle due serie Make It e Lorem Ipsum, gioielli pensati per assumere una configurazione finale decisa dalla persona che li indossa.

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Alla maniera del vecchio meccano, Make It è un sistema di geometrie modulari in ottone che possono essere combinate tra loro secondo una sequenza personalizzabile. Per la realizzazione del gioiello è stata usata la tecnica del taglio laser, a partire da sottili lastre di materiale poi rifinite a mano per consentirne l’assemblaggio tramite micro ganci. Allo stesso modo, Lorem Ipsum è una collana composta da minuti “steli” prismatici, diversi in dimensione, ciascuno identificato da una lettera dell’alfabeto in rilievo sulla sua parte terminale, a imitazione degli antichi caratteri tipografici mobili in metallo. Ogni successione delle barrette è personalizzabile, permettendo la composizione delle singole lettere in “messaggi” testuali che, in virtù della geometria del monile, risultano celati in modo semplice agli occhi di chi osserva il gioiello. Jacopo Foggini - “Brilli”, 2014 L’esperienza diretta maturata nei laboratori di ricerca e in quelli di lavorazione dei polimeri è il valore aggiunto della formazione progettuale di Jacopo Foggini che, fin da giovanissimo, si cimenta con l’utilizzo del metacrilato scoperto nell’azienda di famiglia. Affascinato dalle sue qualità plastiche, estetiche e cromatiche, il designer inizia a verificare le potenzialità di questa resina termoplastica già dai primi anni Novanta, sottoponendola a trattamenti operativi tanto estremi quanto inediti e costruendo macchinari di sua invenzione per lavorarla. In questo modo ottiene il primo filamento di metacrilato, somigliante al vetro ma dall’insolita leggerezza e dalle caratteristiche cromatiche inattese, ottenuto da una modellazione a mano che gli permette di plasmare un profilo preciso con curvature morbide. Da questo primo tentativo nasce l’idea di realizzare collezioni di sculture luminose monumentali, dove una cascata di filamenti prende forme e trasparenze inedite, con intrecci di colore sorprendenti. In questo contesto si inserisce la serie di lampadari Brilli, classici nel taglio e innovativi nella modalità di composizione: i tanti “nastri” di metacrilato di cui sono composti danno vita a volumi che somigliano a diamanti sovradimensionati o evocano gruppi di stalattiti dalle forme addolcite, prive di asperità, come morfologie arcaiche. Questi lavori di Foggini ammiccano alla storia del design degli anni Quaranta e Cinquanta, con citazioni di matrice orientale che si accompagnano ad un certo avvenirismo estetico tipico di quegli anni. Paolo Polloniato “Metamorfosi”, 2011 “Metamutoidi”, 2014 “Tritone con vista”, 2012 Paolo Polloniato è un “progettista-artigiano”, discendente di una storica famiglia di maestri ceramisti della città di Nove, in provincia di Vicenza, località nota per la lunga tradizione decorativa avviata già alla fine del 1600. Nelle sue opere rivivono oltre due secoli di conoscenze, tramandate di generazione in generazione, con una ibridazione di stili che ripercorrono la storia dell’eccellenza del Made in Italy fatta da pittori, decoratori, stampatori e scultori di una scuola che, tornando indietro nel tempo, si collega al Canaletto. Il decorativismo Barocco, proprio delle classiche porcellane d’arredo nobiliare - interpretato secondo gli insegnamenti dei familiari, Maestri della decorazione su maiolica e terraglia della Premiata Manifattura Barettoni già Antonibon - abbraccia il presente, contaminandolo con alterazioni morfologiche, ironiche e dissacranti. Attraverso l’appropriazione e poi la manipolazione di stampi originali, Polloniato produce innesti temporali, di ieri e di oggi, confondendo epoche e stili, linguaggi estetici e significati formali. La sua è una “metamorfosi della tradizione” resa possibile da assemblaggi di calchi diversi che alterano il valore d’uso e distorcono l’importanza dell’oggetto, da prodotto-contenitore a progetto-contenuto. Designer dall’innata manualità, Polloniato è anche artista della memoria: in quelle che possono essere definite a ragione delle sculture, è custodito un archivio di antiche conoscenze, di saperi tradizionali che sono espressione di un’eccellenza artigiana così preservata dal consumo imposto dal contemporaneo. NUCLEO “Stone Fossil”, 2014 “Souvenir of the Last Century”, 2015

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La ricerca di NUCLEO è un’investigazione dentro la storia che prende la forma di un tributo alla capacità umana di saper progettare, inventare e creare, ieri come oggi. La ciclicità delle ere è evidenziata all’interno di un’estetica che ingloba e incorpora l’esperienza del tempo in una ideale proiezione del passato dentro al futuro, e viceversa. La sensibilità artigianale espressa in natura dalla mano degli agenti atmosferici è l’oggetto d’indagine del progetto Stone Fossil che rappresenta, attraverso una “rilettura d’autore”, il fenomeno geologico della creazione di pietre e minerali. Si tratta difatti di un pezzo in esemplare unico facente parte di una serie che imita l’estetica dei processi naturali, imperfetta ma esclusiva, per produrre oggetti semi-preziosi, alla stregua di quarzi, giade, ossidiane. Questo fossile contemporaneo supera le alterità del materiale naturale esaltandone le qualità simboliche: facendo riferimento a culture antiche dell’impero cinese o delle tribù sudamericane, NUCLEO utilizza un processo primitivo adoperando resina epossidica pigmentata, con trasparenze e colori artificiosi, per archiviare la memoria di una quercia centenaria che, immersa nel polimero liquido, assurge a feticcio senza tempo. Allo stesso modo, Souvenir of the Last Century è il tentativo di produrre un archivio di ricordi materiali del ventesimo secolo, preservandone il know-how artigianale con il quale sono stati prodotti. L’idea che connota la collezione riguarda l’inclusione di “reperti” d’uso quotidiano in manufatti contemporanei dai rinnovati connotati materiali; gli esiti del lavoro originano prodotti distinti da una carica espressiva forte, da una sottile tensione tra ciò che “contiene” e quanto è “contenuto”, tra la solidità concreta e lucida del bagno di resina epossidica che tutto racchiude e la fragilità di alcuni oggetti in legno consumati dall’utilizzo e segnati da un organico decadimento. I pezzi della serie sono presenze in equilibrio tra passato e presente,“souvenir” programmaticamente simili a inclusioni in ambra fossile, in cui le reazioni tra i legni e la resina creano aree di frizione fisica che cristallizzano in “schiume” d’aria e rarefatte scie brune, secondo pattern complessi e non prevedibili.