Maintenant Mensile, Giugno 2011, Anno 1, Numero 2

4
del grado di democrazia di un paese. La satira dà fastidio ai potenti perché ri- corda i fatti e nel commentarli in modo divertente consente allo spettatore di mettere in prospettiva il fatto e quindi di comprenderlo. Di fronte alla mole di notizie, un autore di satira deve sa- per cogliere quelle rilevanti e separarle da quelle irrilevanti, che è proprio quello che non viene fatto in televisio- ne, perché non si vuole che la gente prenda coscienza di quello che sta capi- tando. Luttazzi ricorda spesso uno dei più grandi autori satirici e giornalisti di tutti i tempi, Karl Kraus, col suo gior- nale La Fiaccola (Die Fackel) faceva con- tro-cultura nell'epoca nazista. La satira nel commentare i fatti che accadono non risparmia nessuno: «I fatti non so- no né di destra né di sinistra e la satira non fa propaganda. In questi anni, inve- ce, la destra ha cercato di far passare come fazioso chiunque esprimesse cri- tiche legittime e oggettive sul suo ope- rato. Attaccare il potere non è attacca- re la democrazia, è la democrazia. E chiunque in democrazia ha la sua quota di potere...». «Dicono anche che sono fazioso, ma la satira deve essere faziosa. Anche per Cleone, Aristofane era fa- zioso, perché era vittima dei suoi strali. Alla lunga si è visto che Aristofane ave- va ragione. » È importante distinguere la satira dal semplice sfottò. Lo sfottò è la presa in giro bonaria, la parodia, la caricatura; lo sfottò è reazionario per- ché alla fine rende simpatico il perso- naggio preso di mira, come Fiorello con La Russa. La satira invece esprime un punto di vista, su un fatto specifico, fa nomi e cognomi, e impegna perso- nalmente l'autore. «La satira inquieta, semina dubbi. Io non offendo le perso- ne ma i pregiudizi, in primo luogo i miei». «La comicità leggera, quella dei giochetti di parole, va benissimo, se però è permessa anche l'altra. Se que- sto non è possibile, la comicità "light" significa ritirarsi nella torre d'avorio Come per tutta l'arte, il gusto per la comicità è soggetto ad evoluzione, per cui ci sono battute a cui non si può ridere finché non si è fatto un certo percorso. Uno scrittore di afo- rismi del Settecento, Georg Lichten- berg diceva che "più si conosce l'u- morismo, più si diventa esigenti in finezza". Questo vale per l'autore satirico, ma vale anche per il pubbli- co, di qualsiasi tipo. Facendo un para- gone pittorico, «è come se il pubblico fosse ancora fermo a De Pisis: tu gli fai una battuta che sembra Klee, e loro non l'apprezzano. Non intellet- tualmente, ma come gusto». «Come autore, scrivendo battute e occupan- doti di comicità, col passare degli anni non ti accontenti più delle tecni- che vecchie e quindi scrivi cose nuo- ve, battute anche tecnicamente nuo- vissime alle quali sai benissimo che la gente non potrà ridere perché il loro gusto comico non è evoluto come il tuo». «Purtroppo, più le battute sono vecchie e scontate, più la gente le apprezza, perché le capisce subito», ed è per questo che molti comici tele- visivi hanno successo anche se ripro- pongono battute vecchie di trent’anni. Questo avviene in ogni campo dell'arte, e Luttazzi fa un ulte- riore paragone con la musica: «è pos- sibile che una persona che ascolta Mi- no Reitano possa apprezzare John Zorn? È impossibile, perché non è preparata a quella musica. In com- penso, per una persona che apprezza John Zorn, è possibile apprezzare Mino Reitano. C’è un percorso che devi fare, e non tutti hanno voglia di farlo. Non si nasce imparati.» «In ogni mio spettacolo, c’è sempre una battuta che gela il pubblico». «C'è una tradizione comica, quindi il pub- blico magari è ancora fermo non so a Walter Chiari (geniale, bravissimo) e tu fai battute tipo: "che sapore ha un feto appena abortito? Pollo crudo". » «“Questa che cos’è?”, pensano. Non sanno collocarla. Capita a volte che uno rida. Evidentemente il suo gusto è arri- vato fino a quel punto. Recentemente, a Napoli ho riproposto la battuta sul feto. Gelo. “Eh, ma non fa ridere”, dicevano. “No, vi assicuro che fa molto ridere. Non fa ridere voi, perché dovete ancora fare un percorso. Io quel percorso l'ho già fatto. Fra vent’anni vi farà molto ridere, fidatevi”». Quindi c'è anche un dovere educativo verso il pubblico. «Per esempio: dieci anni fa io facevo Magazine 3, quindi Sesso con Luttazzi in televisione. Tu vedi adesso le cose, co- me dicevi tu, in quel programma di Rai- SatExtra ed è perfettamente comprensi- bile. All'epoca mi davano del matto. Dice non è possibile far vedere in tele- visione tu che mangi su una tartina dello sperma o che bevi una caraffa di mestru- o. Adesso, sulla scorta di altre cose che vengono dall'America, dall'Inghilterra e da altri paesi, sembra normale. Noi lo facevamo in Italia già dieci anni fa; Ma io lo facevo perché avevo letto Frigidaire, per esempio. Attingevo a una creatività che era veramente nuova e che insegnava al resto del mondo a fare certe cose.» La satira è una forma libera del teatro che storicamente e cultural- mente, ricorda Luttazzi,"risponde ad un'esigenza dello spirito umano: l'oscil- lazione fra sacro e profano". La satira, dice Luttazzi, si occupa da sempre di temi rilevanti: la politica, la religione, il sesso e la morte, e su questi propone punti di vista alternativi e attraverso la risata veicola delle piccole verità, semi- na dubbi, smaschera ipocrisie, attacca i pregiudizi e mette in discussione le con- vinzioni. Per Luttazzi, parafrasando E. B. White "La satira è un punto di vista e un po' di memoria". Questo, assieme ai temi rilevanti che affronta, la distingue dalla comicità e dallo sfottò, nei quali l'autore non ricorda fatti rilevanti e non propone un punto di vista ma fa solo del "colore". La satira è anche un indicatore Satira e cultura Luttazzi tra Aristofane e Rabelais D I M ARCO BONIFAZI MENSILE M A I N T E N A N T Giugno 2011Anno 1Numero 2 Via Garibaldi, 27 - Terni Tel. 0744.429511 Corso Tacito, 29 - Terni Tel. 0744.409201 come capitava agli scrittori dell'epoca fascista che si rintanavano nel bello scri- vere per evitare di affrontare i problemi veri. Queste cose le abbiamo studiate nei libri di scuola, sembravano lontane, ma oggi le stiamo rivivendo». La televi- sione ha abituato il gusto degli italiani alla comicità d'evasione, all'umorismo innocuo, allo "zucchero filato"; ma «una dieta di solo zucchero filato ti uc- cide, serve anche il pollo arrosto». «La tv invece la guardo per infuriarmi. Se penso che la maggioranza degli italia- ni si informa col tg1 mi viene lo scon- forto». Come ogni cosa che si occupa delle relazioni tra esseri umani e delle forze che condizionano e modificano questi rapporti, la satira è essenzial- mente politica. «Siamo un paese plagia- to dal cattolicesimo. Per questo il ber- saglio principale è il sesso. Altri tabù sono la Chiesa e la politica. Da noi non si accetta il fatto che la satira sia anti- dogmatica, anti-ideologica e quindi anti religiosa» Luttazzi ha ricordato la defi- nizione che ne diede Dario Fo quando venne ospite a Satyricon: «la satira è una forma libera, assoluta del teatro». In risposta a un consigliere Rai che aveva dichiarato che «la satira deve deformare non informare» Luttazzi ha più volte replicato «La satira informa, deforma e fa quel cazzo che le pare». La satira vera si vede dalla reazione che suscita: più cercano di bloccarti, più vuol dire che stai facendo bene il tuo lavoro. Luttazzi ricorda anche un principio di Mel Bro- oks: «la satira se non è eccessiva non fa ridere». È sbagliato parlare di volgarità della satira, essa da sempre ha come tecnica (corpo grottesco) la riduzione alla esigenze corporali: mangiare, bere, defecare, urinare, scopare. Chi lancia accuse di volgarità è un ignorante, e dovrebbe leggersi i capolavori del gene- re: Aristofane, Ruzante, Rabelais, Swift, Sterne, Karl Kraus e Dario Fo. La satira tende a svalutare e non c'è niente di più svalutante della merda. (continua a pagina 2)

description

Un giornale contro il futuro, quattro pagine di presente. Adesso, per esigere il desiderabile e non più il desiderio. Sottovalutare l'altrui demenza e fare affidamento sulla propria per rilanciarsi. Maintenant Mensile: il presente come possibilità e non come reiterazione dell'esistente: sgocciolare pensiero fradicio di informazione quotidiana, che dilata l'ignoranza con l'illusione di azzerarla; fare terreno di coltura per la cultura, qui e adesso, qui è Maintenant: per molti probabilmente un esercizio di stile, per alcuni una forma di idiozia, ma in quest'epoca in cui tutti spremono "profonde riflessioni", dire idiozie è il solo modo per provare di avere una mentalità LIBERA ed INDIPENDENTE

Transcript of Maintenant Mensile, Giugno 2011, Anno 1, Numero 2

Page 1: Maintenant Mensile, Giugno 2011, Anno 1, Numero 2

del grado di democrazia di un paese. La satira dà fastidio ai potenti perché ri-corda i fatti e nel commentarli in modo

divertente consente allo spettatore di mettere in prospettiva il fatto e quindi di comprenderlo. Di fronte alla mole di notizie, un autore di satira deve sa-per cogliere quelle rilevanti e separarle

da quelle irrilevanti, che è proprio quello che non viene fatto in televisio-ne, perché non si vuole che la gente prenda coscienza di quello che sta capi-tando. Luttazzi ricorda spesso uno dei

più grandi autori satirici e giornalisti di tutti i tempi, Karl Kraus, col suo gior-nale La Fiaccola (Die Fackel) faceva con-tro-cultura nell'epoca nazista. La satira nel commentare i fatti che accadono

non risparmia nessuno: «I fatti non so-no né di destra né di sinistra e la satira non fa propaganda. In questi anni, inve-ce, la destra ha cercato di far passare come fazioso chiunque esprimesse cri-

tiche legittime e oggettive sul suo ope-rato. Attaccare il potere non è attacca-re la democrazia, è la democrazia. E chiunque in democrazia ha la sua quota di potere...». «Dicono anche che sono

fazioso, ma la satira deve essere faziosa. Anche per Cleone, Aristofane era fa-zioso, perché era vittima dei suoi strali. Alla lunga si è visto che Aristofane ave-va ragione. » È importante distinguere

la satira dal semplice sfottò. Lo sfottò è la presa in giro bonaria, la parodia, la caricatura; lo sfottò è reazionario per-ché alla fine rende simpatico il perso-naggio preso di mira, come Fiorello

con La Russa. La satira invece esprime un punto di vista, su un fatto specifico, fa nomi e cognomi, e impegna perso-nalmente l'autore. «La satira inquieta, semina dubbi. Io non offendo le perso-

ne ma i pregiudizi, in primo luogo i miei». «La comicità leggera, quella dei giochetti di parole, va benissimo, se però è permessa anche l'altra. Se que-sto non è possibile, la comicità "light"

significa ritirarsi nella torre d'avorio

Come per tutta l'arte, il gusto per la comicità è soggetto ad evoluzione, per cui ci sono battute a cui non si

può ridere finché non si è fatto un certo percorso. Uno scrittore di afo-rismi del Settecento, Georg Lichten-berg diceva che "più si conosce l'u-morismo, più si diventa esigenti in

finezza". Questo vale per l'autore satirico, ma vale anche per il pubbli-co, di qualsiasi tipo. Facendo un para-gone pittorico, «è come se il pubblico fosse ancora fermo a De Pisis: tu gli

fai una battuta che sembra Klee, e loro non l'apprezzano. Non intellet-tualmente, ma come gusto». «Come autore, scrivendo battute e occupan-doti di comicità, col passare degli

anni non ti accontenti più delle tecni-che vecchie e quindi scrivi cose nuo-ve, battute anche tecnicamente nuo-vissime alle quali sai benissimo che la gente non potrà ridere perché il loro

gusto comico non è evoluto come il tuo». «Purtroppo, più le battute sono vecchie e scontate, più la gente le apprezza, perché le capisce subito», ed è per questo che molti comici tele-

visivi hanno successo anche se ripro-pongon o bat tute v ecchie di trent’anni. Questo avviene in ogni campo dell'arte, e Luttazzi fa un ulte-riore paragone con la musica: «è pos-

sibile che una persona che ascolta Mi-no Reitano possa apprezzare John Zorn? È impossibile, perché non è preparata a quella musica. In com-penso, per una persona che apprezza

John Zorn, è possibile apprezzare Mino Reitano. C’è un percorso che devi fare, e non tutti hanno voglia di farlo. Non si nasce imparati.» «In ogni mio spettacolo, c’è sempre una

battuta che gela il pubblico». «C'è una tradizione comica, quindi il pub-blico magari è ancora fermo non so a Walter Chiari (geniale, bravissimo) e tu fai battute tipo: "che sapore ha un

feto appena abortito? Pollo crudo". »

«“Questa che cos’è?”, pensano. Non sanno collocarla. Capita a volte che uno rida. Evidentemente il suo gusto è arri-

vato fino a quel punto. Recentemente, a Napoli ho riproposto la battuta sul feto. Gelo. “Eh, ma non fa ridere”, dicevano. “No, vi assicuro che fa molto ridere. Non fa ridere voi, perché dovete ancora

fare un percorso. Io quel percorso l'ho già fatto. Fra vent’anni vi farà molto ridere, fidatevi”». Quindi c'è anche un dovere educativo verso il pubblico. «Per esempio: dieci anni fa io facevo

Magazine 3, quindi Sesso con Luttazzi in televisione. Tu vedi adesso le cose, co-me dicevi tu, in quel programma di Rai-SatExtra ed è perfettamente comprensi-bile. All'epoca mi davano del matto.

Dice non è possibile far vedere in tele-visione tu che mangi su una tartina dello sperma o che bevi una caraffa di mestru-o. Adesso, sulla scorta di altre cose che vengono dall'America, dall'Inghilterra e

da altri paesi, sembra normale. Noi lo facevamo in Italia già dieci anni fa; Ma io lo facevo perché avevo letto Frigidaire, per esempio. Attingevo a una creatività che era veramente nuova e

che insegnava al resto del mondo a fare certe cose.» La satira è una forma libera del teatro che storicamente e cultural-mente, ricorda Luttazzi,"risponde ad un'esigenza dello spirito umano: l'oscil-

lazione fra sacro e profano". La satira, dice Luttazzi, si occupa da sempre di temi rilevanti: la politica, la religione, il sesso e la morte, e su questi propone punti di vista alternativi e attraverso la

risata veicola delle piccole verità, semi-na dubbi, smaschera ipocrisie, attacca i pregiudizi e mette in discussione le con-vinzioni. Per Luttazzi, parafrasando E. B. White "La satira è un punto di vista e

un po' di memoria". Questo, assieme ai temi rilevanti che affronta, la distingue dalla comicità e dallo sfottò, nei quali l'autore non ricorda fatti rilevanti e non propone un punto di vista ma fa solo del

"colore". La satira è anche un indicatore

Satira e cultura

Luttazzi tra Aristofane e Rabelais

DI MARCO BONIFAZI

MENSILE

M A I N T E N A N T

Giugno 2011– Anno 1– Numero 2

Via Garibaldi, 27 - Terni

Tel. 0744.429511 Corso Tacito, 29 - Terni

Tel. 0744.409201

come capitava agli scrittori dell'epoca fascista che si rintanavano nel bello scri-vere per evitare di affrontare i problemi

veri. Queste cose le abbiamo studiate nei libri di scuola, sembravano lontane, ma oggi le stiamo rivivendo». La televi-sione ha abituato il gusto degli italiani alla comicità d'evasione, all'umorismo

innocuo, allo "zucchero filato"; ma «una dieta di solo zucchero filato ti uc-cide, serve anche il pollo arrosto». «La tv invece la guardo per infuriarmi. Se penso che la maggioranza degli italia-

ni si informa col tg1 mi viene lo scon-forto». Come ogni cosa che si occupa delle relazioni tra esseri umani e delle forze che condizionano e modificano questi rapporti, la satira è essenzial-

mente politica. «Siamo un paese plagia-to dal cattolicesimo. Per questo il ber-saglio principale è il sesso. Altri tabù sono la Chiesa e la politica. Da noi non si accetta il fatto che la satira sia anti-

dogmatica, anti-ideologica e quindi anti religiosa» Luttazzi ha ricordato la defi-nizione che ne diede Dario Fo quando venne ospite a Satyricon: «la satira è una forma libera, assoluta del teatro». In

risposta a un consigliere Rai che aveva dichiarato che «la satira deve deformare non informare» Luttazzi ha più volte replicato «La satira informa, deforma e fa quel cazzo che le pare». La satira vera

si vede dalla reazione che suscita: più cercano di bloccarti, più vuol dire che stai facendo bene il tuo lavoro. Luttazzi ricorda anche un principio di Mel Bro-oks: «la satira se non è eccessiva non fa

ridere». È sbagliato parlare di volgarità della satira, essa da sempre ha come tecnica (corpo grottesco) la riduzione alla esigenze corporali: mangiare, bere, defecare, urinare, scopare. Chi lancia

accuse di volgarità è un ignorante, e dovrebbe leggersi i capolavori del gene-re: Aristofane, Ruzante, Rabelais, Swift, Sterne, Karl Kraus e Dario Fo. La satira tende a svalutare e non c'è

niente di più svalutante della merda.

(continua a pagina 2)

Page 2: Maintenant Mensile, Giugno 2011, Anno 1, Numero 2

Luttazzi ama dire che " la merda è per l'autore satirico quello che la pietra filosofale era per l'alchimista.” L'autore

satirico utilizza l'escremento per arri-vare alla grazia. «La fatica ad accettare la satira c'è sempre stata, ma oggi è più forte che mai. Io credo che le motiva-zioni siano di due tipi: da una parte c'è

il problema della dicotomia anima-corpo, vale a dire della non accettazio-ne della componente corporea, di tut-to ciò che è espressione del corpo e che viene dalla nostra cultura sempre

censurato; d'altra parte credo che ciò a cui stiamo assistendo in questi tempi sia un progressivo ridursi della compe-tenza del pubblico in quanto tale.» Il gusto per la satira si acquisisce in età

adulta, e non può piacere ai bambini. «La satira è un gusto a cui devi essere educato, non apprezzi subito la satira, specie se la tua mente è bloccata da ideologie varie; le battute ti spiazzano

e mettono in discussione le cose nelle

quali hai creduto sempre. La satira fa questo e se non sei adulto non sei por-tato a tollerare, ad accettare la cosa.

Qualche persona a teatro si alza e se ne va.» «La satira è una forma libera del teatro, la sua forza sta nell'esplorare la contraddizione umana». «La gente ride di una battuta satirica perché contiene

un nocciolo di verità umana che mette in mostra una contraddizione, che fa venire un dubbio.» «La satira ha sicura-mente una funzione di provocazione intellettuale e psicologica, di disagio

che non ti lascia completamente tran-quillo. Dopo il momentaneo diverti-mento, la fulminea risata, c’è e rimane la riflessione sul messaggio, sul fatto che hai grottescamente messo in evi-

denza; colpire l'emotività per mettere i n f u n z i o n e i l c e r v e l l o . » «Nel mondo la comicità ha fatto passi da gigante. La televisione italiana è rimasta ferma al Cinquanta, per cui si

può capire la cosa. Per fortuna però

tanti giovani leggono i giornali e il loro cervello non è stato leso dall'influenza nefasta di questa nazione in cui siamo

condannati tutti quanti a vivere e quindi sono contento che ci siano riscontri su cose un po' strane, eccentriche, ecc». Secondo Luttazzi quasi tutti i comici televisivi italiani si rifanno alla comicità

di Totò, mentre «pochissimi ricordano l'umorismo che viene espresso da riviste come Il Bertoldo o da umoristi come Marcello Marchesi, Leo Longanesi, En-nio Flaiano.» Secondo Luttazzi, «non ha

più senso la caricatura di Bossi-Hannibal e di Rutelli-Alberto Sordi: è anni ottan-ta. Le Iene sono morte, e loro lo sanno. Funzionano perché l'Italia è lenta e si vive di inerzia. E Striscia la notizia, no-

nostante i suoi ascolti, è irrilevante.» «Con Satyricon invece ero mosso dalla curiosità intellettuale e dal gusto per la risata tridimensionale» (in senso freudia-no, cioè contenente contemporanea-

mente l'aspetto comico, spiritoso ed

POST FUKUSHIMA

DI ORESTE CRISOSTOMI

D IS—CONOSCERE ENRICO BRIZZI

DI MARTINA FRANCESCHI

-sti culturali e critici letterali, apposero l’etichetta di “Cannibali” su di un gruppo di scrittori, accumunati, a loro parere, dall’intenzione di rivisitare il ge-nere “pulp” (formatosi negli anni venti negli Stati Uniti). Nella quarta di copertina della raccolta Gioventù cannibale (pubblicata nel 1996) si legge: “Una covata di narratori italiani giovani o giovanissimi getta scompiglio nei vicoli della cittadella letteraria. Sfuggono a qualunque tentativo di incasellarli. Scrivono senza com-plessi di colpa verso cinema, tv e i nuovi me-dia, perché li conoscono molto bene e di essi, come di molte altre cose, la loro scrittura si nutre in modo naturale.” Ti sei mai riconosciu-to come esponente di un nuovo fenomeno letterario?

E.B.: Bastogne è uscito nel 1996, come Gio-

ventù cannibale, ma quando mi chiamarono

alla tivù insieme agli altri “esponenti della co-

vata” rifiutai di andarci. Non credo infatti di

fare parte di una corrente letteraria. Alcuni dei

miei libri finiscono fra i diari di viaggio, altri

nella narrativa attuale, Jack Frusciante talora si

trova fra i classici per la scuola. E la giovinezza

cannibale era solo un’invenzione dell’ufficio

stampa di Einaudi Stile Libero per lanciare i

propri protetti, taluni talentuosi e altri balbet-

tanti al limite dell’analfabetismo.

M.F.:“Nessuno lo saprà. Viaggio a piedi dall'Argen-tario al Conero”, pubblicato nel 2005, è il primo romanzo della trilogia dedicata agli avventurieri ed ai viaggi “a forza di gambe”. Jorge Luis Bor-ges scrive : “Gradiva le differenze: forse per questo viaggiò tanto”; Italo Calvino: “Viaggiando ci s'accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma, ordine, distanze, un pulviscolo informe invade i continenti.” , Enrico Brizzi?

E.B.:Stupisce come, dopo alcune settimane spostandoti a passo d’uomo, non smetti di notare differenze fra una contrada e l’altra, eppure finisci per sentirti a casa ovunque.

M.F.: “Gli Psicoatleti”, da poco uscito, è invece l’ultimo della trilogia. Ispirato all’iniziativa Itali-ca 150: Viaggio a piedi dalla Vetta d’Italia a Capo Passero nel 150° dell’Unità Nazionale”, vuole essere anche un omaggio alla Società Nazio-nale di Psicoatletica, la più antica organizzazione del paese consacrata ai viaggi a piedi, , nata a Torino nel 1861, dal sodalizio tra Valsecchi, Taumann e Pintor. Come è nato il progetto di compiere un così lungo viaggio a piedi dall’Alto Adige alla Sicilia?

umoristico). «A teatro il mio gusto è nell'interpretare il monologo comico, è una forma che adoro e poi ogni mono-

logo in realtà è un dialogo con il pubbli-co, io ho peraltro introdotto in Italia, delle varianti tecniche di monologo comico che ne hanno ammodernato lo stile e mi fa piacere vedere che molti

comici adesso utilizzano le mie innova-zioni ed è bello che sia così» Un altro gusto a cui non si è abituati è quello per il grottesco (che lavora per accumulazione mentre l'ironia lavora

per sottrazione), gusto che invece era molto diffuso nei cabaret europei negli anni '20 e '30; una sensibilità che è poi stata spazzata via dal carico di dolore della seconda guerra mondiale.

PAGINA 2 M A I N T E N A N T

(continua da pagina 1)

Martina Franceschi: Hai esordito, non ancora ventenne, con “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, tradotto in 24 paesi e divenuto poi film nel 1996. In un numero di TTL-Tuttolibri del 2003 si legge "A Brizzi serviranno dieci anni per farsi perdonare il successo di Jack Frusciante" , è stato davvero così?

Enrico Brizzi: Agli occhi di certi parrucconi, non ne basteranno cento. Il successo è un palco troppo ambito, e chi non l’ha mai occupato non immagina cosa si veda da lassù: gente pro-tesa in smorfie grottesche per farsi notare ed incrociare il tuo sguardo. Come spesso raccon-to agli amici, ad un certo punto mi sono ritro-vato ad un bivio : diventare “uno famoso” op-pure “uno scrittore”, considerato che le esi-genze del primo gruppo, coincidono di rado con quelle del secondo. Ho optato per la se-conda ipotesi, e da mezza vita lavoro in questo particolare campo: “l’artigianato della narrati-va”, sfiorando solo di rado le occasioni della cultura pop. Mi interessano di più le collabora-zioni con persone autentiche, come quelle con il disegnatore-tatuatore Maurizio Manfre-di o la band Yuguerra.

M.F. : “Bastogne” , pubblicato nel 1994, è annoverato tra i romanzi che meglio rappre-sentano il genere del “cannibalismo letterario”. Nella seconda metà degli anni novanta, giorna-

Redentori si specchiano l'uno nell'altro con sincronismo perfetto. Ai redenti si consiglia il suicidio. L'insegna Esther Williams: God Bless You spicca sulla colli-na. Tra due specchi l'agonia si moltipli-ca all'infinito: una fila interminabile di uomini desiderosi di carne, soldati al servizio della necrofilia di stato, viene quotidianamente liberata dopo anni di torture. Ogni giorno molti uomini e donne vengono sguinzagliati per semi-nare terrore. La città è popolata al 90%

da vecchi perché tutti i nuovi nati vengo-no sequestrati prima del concepimento: un segnale individua nella donna il deside-rio di maternità, riesce a dare forma a quel pensiero ancor prima che possa esse-re fecondata. Loro plasmano il feto in labo-ratorio. I redenti vengono resi allegri con una stereofonia di polveri e in poco tempo

sepolti. Il monitor, residuato archeologico di un mondo che non è più, riceve segnali ad intermittenza: trasmissioni con cani di

razza senza denti e con occhi di cristallo. Un cane ha il corpo interamente coperto di spilli, è immobile, forse imbalsamato. Vomito prieto, yellow fever. Il Capo guarda dall'alto pisciando dal balcone. Una donna, ad un angolo della strada, sotto il mio vecchio appartamento dove abitavo tanto tempo fa, allatta vecchi e boy-scouts fuori tempo massimo. I vecchi hanno la precedenza. . La donna porta al collo un amuleto-svastica con al centro un occhio sotto formalina, alle orecchie sono

(continua a pagina 3)

E.B.: L’idea del viaggio è germinata duran-

te le precedenti imprese con i miei soci:

mentre andavamo a Gerusalemme, nel

2008, parlammo per la prima volta della

Società Nazionale di Psicoatletica, e l’anno

successivo, lungo l’itinerario della Linea

Gotica, ci impegnammo solennemente a

progettare e compiere un viaggio dal punto

più settentrionale del Paese all’estremità

sudorientale della Sicilia, esattamente come i

pionieri di allora. Dall’esperienza reale, che ci

ha visti partire dall’Alto Adige il 7 aprile 2010,

per arrivare a Capo Passero a metà luglio dopo

2191 km a piedi, sono nati frutti diversi: il

romanzo “Gli Psicoatleti”, appunto, che di quel

viaggio rappresenta la dimensione più onirica.

Poi c’è il film “Italica 150” di Serena Tommasini

Degna, un vero documentario rock ‘n’ roll

arricchito dalle musiche di Righeira, Freak

Antoni, Roy Paci, Flor de Mal e tanti altri, che

sarà prossimamente disponibile in DVD. Non

ultima per importanza, infine, la mostra foto-

grafica itinerante del mio socio Franz Monti.

appese altre orecchie attaccate alle sue con stuzzicadenti che le infilzano i lobi, alle estremità degli stecchini ha dei cherry tomatoes.

La casa dove abitavo è stata presa dai CP, milizia in divisa d'ordinanza da Cappuc-cetto Rosso, sempre pronti a sparare a chiunque non sia in regola con un codice che in realtà non esiste. Il capo dei CP si chiama Heidi ed è l'unico che si differen-zia dagli altri Cappuccetti Rossi perché

Page 3: Maintenant Mensile, Giugno 2011, Anno 1, Numero 2

i n s o p p o r t a b i l e c u r i o s i t à . È riuscire a “toccare i segreti senza le paro-l e . ” È u n ’ i m m a g i n e . Q u e l l a

dell’acrobata di circo che esegue il suo salto mortale, pericolosamente, di pro-pria iniziativa, per la gioia degli spetta-tori.

DRAMATIS PERSONA

DI MARTINA FRANCESCHI

LE CITTÀ VISIBILI

DI GIOSUÉ QUADRINI

PAGINA 3 M A I N T E N A N T

(continua da pagina 2)

non è, per l'appunto, un Cappuccet-to Rosso, ma è Heidi. Ho l'alito pe-santissimo, mi faccio schifo da solo. La città è invasa dai conigli, che però è proibito mangiare, pena la morte. I conigli sono diventati animali carni-vori, rosicchiano le dita ai bambini in culla, sono voracissimi. Dormire su una panchina è molto pericoloso, potrebbero unirsi in branco e sbra-narti; questa è una misura antibivacco che venne presa dal Direttore del Nonsoché molti anni fa. La mia casa fu. Io fui. La mia casa non è più. Mia madre scorreggiava in finestra, per questo fu internata. Mi ricordo che commentava il passaggio degli alti funzionari con sonore petardate di culo. I funzionari andavano in bici-cletta, sul sellino era posizionato un grande fallo che si infilavano in culo sedendosi. Ad ogni passaggio del Pre-fetto o chicchessia mia madre sottoli-neava il momento con rutti e scor-regge vigorose. È stata internata per peti molesti e la mia casa messa sotto sequestro. Mio padre non so chi sia. L’uso di quei particolari sellini era legato ad uno strano divieto che im-pediva qualunque tipo di rapporto

affettivo slegato dal meretricio e gli uomini con prole erano obbligati ad utilizzare tonache color salmone e a muoversi con quel tipo di velocipede. Ricordo che tutte le mattine il fornaio caricava la sua figliola di troia in canna e la accompagnava a scuola; lui men-tre montava in bici emetteva uno stra-no lamento: un misto tra soddisfazio-ne e dolore. Sì, perché qui non ci so-no più malattie, tranne le emorroidi. In questo governo non c'è il culto di nessuno, c'è solo un Capo, vecchio e stanco che ogni tanto piscia dal balco-ne, o svuota il pappagallo in testa a qualche passante. I Cappuccetti Rossi sono una milizia al servizio di nessu-no. Il profitto, e il concetto di nazio-ne che ne deriva, è stato ampliamente superato ed è iniziato un vaudeville senza senso. Il denaro non esiste più, non c'è la fame nel mondo perché si è scoperto che i topi sono very deli-cious e si riproducono con grande velocità. Ognuno ha il suo piccolo allevamento di proteine. Io stesso allevo grosse pantegane che, di tanto in tanto, mi mozzicano mentre puli-sco la loro gabbia piena di merdine. Il cinema non esiste più, almeno inteso

come una volta, ora ci sono ologram-mi a gettoni che riproducono scene di sesso, la maggior parte tra specie di-verse, donne con cani oppure con una nuova specie simile a una scimmia, ma con testa umana e fallo equino. Un genere che ha largo seguito. I trans, una volta molto in voga, sono stati per anni allevati, riempiti di sili-cone e poi, una volta passati di moda, frullati nel tritatutto gigante.

I trans e non le trans, era vietato chia-marli al femminile: pena la morte o il ritiro della patente.

Oreste thanks Gretchen Ryan for her new beautiful drawing, for her kindness and for her availability in taking an active part to the issue.

o in una piccola provincia tutto ciò che ap-pare è solamente la storta litania di ciò che vorrebbe apparire.

Scatta un’ ora precisa qualsiasi e loro si chiudono in casa, fanno le valigie con tutto in perfetto ordine: orari, sintassi, giacche squallide, saponette; girano il viso dalla parte che di solito non utiliz-zano, cantano sotto la doccia mentre lavano via i giorni dovuti, si asciugano barba e speranze e tirano fuori cordiali sorrisi dall'armadio delle emergenze. Si mettono orologi, anche se non si inte-resseranno dell'ora, mettono profumi senza odorarsi, lasciano un paio di paro-le in bacheca per dare fuoco alla loro noia, poi, soppressi i doveri di sempre, scendono in centro, nella grande città, e

immaginano, senza salutare nessuno, non si fermano, danno le spalle perché si vedano meglio, espongono corallo e combinazioni di tessuto, mentre altri personaggi entrano in scena: il tatuato, l'abbronzata silenziosa, lo studente affa-ticato, la sorella di mio cugino, il cane giallo-bava, due amici che si odiano, un sordo con lo stereo alto. Non si dicono nulla: non possono; se uomini e donne incominciassero ad essere reali nessuno dei sogni della settimana sarebbe stato utile, immaginano solamente mentre passano zitti nei conventi del cen-tro ,dove tutti pregano di non essere

scelti, così tutto finge di essere grazioso, sotto coperte spesse di lana granulare si celano seduzioni e amicizie tutto il resto è solo ciò che appare,non vedono cose ma solo cose che significano altre cose, non vedono persone ma solo cose che signifi-cano altre persone, drink e cellulari indi-cano la funzione prescelta, segni di altre cose distanti e dettate; e mentre credono di essere, loro sono, sono di altri, di chis-sachi. Quel che è certo, è che se chiedes-simo loro “cosa sei, cosa vuoi” senza dub-bio alcuno risponderebbero “altro”: l'ec-cesso di desiderio cancella quanto di desi-derabile c'è; nel centro di una grande città

Alma ed Elisabeth.

Alma è Elisebeth.

Elisabeth è Alma.

Un unico volto. Due mezzi volti. La me-

tà peggiore, rinnegata, del volto di cia-scuna.

Ha occhi solo per guardare se stesso. È un volto cangiante che insulta, mole-sta, ride e si prende gioco delle sue me-tà. Muto, protesta e rinuncia. Sospende e vivifica il dolore. Su di lui ha suono il

silenzio di Elisabeth e si fa afona la ver-bosità di Alma. Discrimina ciò che ognu-na è per se stessa, da ciò che è per e dell’altra. Lancia sortilegi, improvvisa trucchi da circo e lascia la verità libera di

Persona, I. Bergman, 1966

“Un unico volto. Due mezzi volti. La metà peggiore, rinnegata, del volto di ciascuna.”

trasmutarsi. Il bianco e nero di cui si veste è invocazione, supplica e preghiera. Ago-gnata via di scampo. Prima di tutto dal

linguaggio. Artificiale, equivoco, menzo-gnero. Spesso, solo sedativo di un vuoto.

Al riparo dalla vita, non c’è azione. Tutto è narrazione, ricordo di ciò che è stato, posa, gesto ad al culmine schiaffo e carez-za. Eppure un’urgenza c’è: “avere accenti

sinceri”. Esser riconosciuti e riconoscersi. Abbandonare l’ostinazione e la ferocia del dramma. Mediare sogni, fantasie, esplo-sioni di follia, spasimi di fede, fino a rap-presentarsi da soli le proprie realtà.

È un gioco, è una fame da bambino.

È curiosità, una illimitata, mai appagata,

Gretchen Ryan, Tinley Drawing 3.

Mixed media on paper, 22" x 14", 2011

Page 4: Maintenant Mensile, Giugno 2011, Anno 1, Numero 2

Boris Vian, genio ventisettenne, deliziosa-mente immaturo, si è visto presto assegna-re patenti di surrealismo che sicuramente non gli spettavano. Il suo vitalismo dispe-rato, che contiene in sé anche il suo epilo-go, prende forma negli azzardi di una scrittura automatica, tesa a maltrattare la realtà per poi piegarla ai propri voleri. La schiuma dei giorni è un romanzo soave e sorprendente, in cui Vian si diverte ad esasperare la scrittura, come un giovane jazzista (quale in fondo era), che non ha ancora capito a quale punto del suo assolo il pubblico inizierà a sbadigliare.

Protagonista de La schiuma dei giorni è Co-lin, un giovane aristocratico annoiato, che passa il suo tempo oziando e strimpellando strumenti di sua invenzione come il piano-cktail: un pianoforte in cui ad ogni nota corrisponde un alcolico forte, un liquore oppure una spezia; per avere un seltz è necessario un trillo su un registro acuto

mentre per procurarsi del ghiaccio basta intervenire sul pedale del piano. Il piano-cktail non è solo ironico rovesciamento dell'organo che miscelava essenze per il protagonista di À Rebours, è anche simbolo del procedere della scrittura di Vian, che alterna invenzioni ad invenzioni, artifici a volute barocche, lenti multicolori ad irra-diare tutto e tutti. Ogni passaggio, al di là del suo semplice valore descrittivo, nascon-de un imprevisto, ripiegamenti di paragrafo in paragrafo, tentativi continui di spostare l’attenzione dall’ordinario allo straordina-rio, preferendo ad esempio, concentrarsi sul rumore che fa la linfa che scorre nei fiori ai bordi della strada, piuttosto che sulla simultanea morte di un passante.

È, quella di Vian, una Parigi in cui gli intel-lettuali non sono altro che cacciatori di ci-meli del loro guru: lo scrittore-filosofo Jean-Sol Partre (autore, ovviamente, de Il Vomi-to); in cui dietro ai cherubini assiri del Lou-

vre si nascondono satiri e dove un matrimo-nio non è tale senza dei pederasti d'onore. È una Parigi moderna e sconclusionata quella in cui Colin e soci saltano da un party ad un altro, fra danze dal nome improbabile e piatti ancora più improbabili, frutto delle inverosimili ricette del fido cuoco-filosofo Nicolas.

La trama potrebbe perfino dirsi banale: Co-lin incontra Chloè, i due s'innamorano, si sposano, ma poi lei si ammala. Vian però sa servirsene sapientemente per rappresentare la forza schiacciante del mondo nei confron-ti di una felicità privata. Infatti, se al loro primo appuntamento Colin e Chloé vengo-no avvolti da un'amichevole nuvola rosa che li protegge dal mondo esterno, tutto divie-ne fatalità quando la malattia si fa strada nei polmoni di lei. Le stanze cominciano lette-ralmente a deformarsi attorno ai due inna-morati, negando loro luce e spazio. Colin è costretto a lavorare, ma in un romanzo così

LA SCHIUMA DEI GIORNI: LA SCRITTURA COCKTAIL DI BORIS VIAN

DI ANDREA CIRIBUCO

VIVENTI

A PERDERSI NELLE CITTÀ

Ho fatto pace con il mare _ Zadar, HR

DI VALERIO ROMPIETTI

In attesa di ripartire, è bastato fare qualche passo in più, fino al limite del molo, per sco-prire l’organo marino. Morske Orgulje, da queste parti lo chiamano così, è tutt’uno col paesaggio del lungomare. Se non riempisse l'aria di suoni nessuno potrebbe giurare che si trova proprio lì. La grande scala che si perde nell'acqua, d'una pietra bianca come la stessa luce di Zara, ha viscere d'acciaio che danno

voce alle onde: l'aria sale, sospinta dall'acqua, per un sistema di tubi, canne e fischietti e rie-merge nuova dai fori dei gradini. I suoni, sem-pre armonici, compongono nell’aria melodie diverse quanto uguali, a richiamare l’immutabile andare e venire del mare. (Chissà cosa direbbe oggi Alfred Hitchcock, che già in passato si fece fotografare proprio qui, potendo

finalmente ascoltare la voce del mare, davanti al «più bel tramonto del mondo» ?) Seduto sui gradini di questo confine sfran-giato, mi sono accorto di come sia possibile trasformare una barriera in un luogo, ripro-ducendo, come generalmente solo la natura sa fare, l’interdipendenza tra terra ed ac-qua. Nei nostri porti tendiamo quasi sem-pre a perderla. È molto più facile tirare una

retta tra ciò che è solido, sicuro e che cono-sciamo, e ciò che è sempre in movimento, sempre diverso e che non conosciamo. Quasi dovessimo sempre proteggerci, quasi dovessimo sempre averne paura. Al limite ultimo del porto e della città, intagliato nella pietra della pavimentazione, c'è Pozdrav Suncu: il Saluto al Sole. Un

Ci sono luoghi che da soli valgono un intero viaggio. Luoghi che accendono la mia mera-viglia e che è il caso a svelarmi. Di solito, mi accorgo della loro esistenza quasi al mo-mento di ripartire, e non conta che siano lì da ieri o da millenni, che siano piccolissimi o enormi, opera d'autore o di uno scono-sciuto: conta la loro capacità di comunicare qualcosa in più del loro semplice essere,

conta che possa percepirne il respiro. Prima di questo pomeriggio al tramonto d'ambra di Zara, non avevo mai ascoltato il mare cantare e la mia ostilità nei suoi ri-guardi, che mai sono riuscito a spiegarmi fino in fondo, mi sembrava si perdesse nell'aria, al suono delle voci, con le note e il fruscio delle onde, fino a sparire.

PAGINA 4 NUMERO 2

lavorare vuol dire far germogliare canne di fucile dal terreno con il calore del pro-prio corpo e quindi sottostare all'illogicità del mondo e credere alla favola – questa sì, assurda per Vian – che il lavoro nobiliti l'uomo invece di debilitarlo. Il lavoro, nell'universo di Vian, è l'esatto opposto dell'amore. L’amore che colpisce imme-diatamente come una canzone e segue poi il suo corso come cosa necessaria e natu-rale, per divenire tormento e sacrificio quando si scontra con la realtà. Lo stesso autore scriveva, nel 1946, nella premessa al romanzo: “Solo due cose contano: l'a-more, in tutte le sue forme e la musica di New Orleans o di Duke Ellington. Il resto sarebbe meglio che sparisse, perché il resto è brutto...”

grande cerchio di vetro e silicio, affiancato ad altri più piccoli, a rappresentare il siste-ma solare. E' in grado di catturare abba-stanza energia da illuminare la notte di tutto il lungomare. Quello che più colpisce sono le luci ed i colori che il disco più grande restituisce alla città dal tramonto all'alba, coinvolgendo chiunque si trovi a

passare di là, in un gioco collettivo di im-magini, quasi una danza nella notte. E' stato bello perdervisi, prima di tornare a casa. Da quassù, sul ponte della nave che ormai ha lasciato il porto, guardo le luci della città disfarsi e ricomporsi riflesse sul filo dell'acqua. Ho la piacevole sensazione d'a-ver fatto pace con il mare.

GRETCHEN RYAN: Nata a Boulder, Colorado. I suoi lavori sono stati esposti negli Stati Uniti ed in Europa. Attualmente vive e lavora a Los Angeles. Dall’inizio della sua carriera, Gretchen ha ritratto bambine parteci-panti ai concorsi di bellezza. Ha spesso seguito le stesse modelle durante la loro infanzia, catturando la consapevolezza del la loro avvenenza man mano che crescevano, affacciandosi all’adolescenza, riuscendo a cogliere il lato oscuro della loro bellezza e racchiudendo, negli sguardi, la loro innocenza e il riflesso di una società basata sull’apparire, per nulla innocua. Recente è la collaborazione con la band Hole, della quale è leader Courtney Love, che ha inserito, nella copertina dell’ album Nobody’s Daughter, il dipinto Accident del 2009.

www.gretchenryan.com /www.fredtorres.com

VALERIO ROMPIETTI: Nato a Rieti nel 1983. Ha studiato architettura presso l’Università degli Studi di Ferrara e alla Technische Universiteit Delft. Vive e lavora tra Terni e Roma.

ENRICO BRIZZI: Nato nel novembre 1974. È ancora alle superiori quando inizia a frequentare la redazione anconetana della casa editrice Transeuropa, presso la quale debutterà a vent’anni non ancora compiuti con Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Negli anni l’autore, uno dei più rappresentativi della generazione under 40 in Italia, ha allineato sugli scaffali romanzi, raccolte di testi brevi e graphic novel; al contempo, ha dato corpo alle passioni per i lunghi viaggi a piedi e per le narrazioni ad alta voce, alternando le pubblicazioni con imprese zaino in spalla (fra le altre, Via Francigena, 2006; Roma-Gerusalemme, 2008; Italica 150, 2010) e la realizzazione di spettacoli dal vivo e compact disc in collaborazione con diverse band (Nessuno lo saprà con Frida X, 2006; Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro con Numero6, 2007; La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio con Yuguerra!, 2010). ANDREA CIRIBUCO:Nato a Narni, Terni, nel 1983. Dopo un anno di studi a Leeds (Inghilterra), si è laureato in Lingue e Letterature Moderne all'Università degli Studi di Perugia, con una tesi sul modernismo inglese. Attualmente collabora con un istituto privato nell’ organizzazione di corsi di italiano per studenti americani.

Registrazione

presso il Tribunale di Terni n°8 del 31 marzo 2011

Fondatori:

Marco Bonifazi, Giosuè Quadrini, Martina Franceschi

Direttore Responsabile: Eleonora Bonoli

Vicedirettore: Marco Bonifazi

Direttore Editoriale:

Martina Franceschi

Via Belli n.5, 05100 -Terni Tel.340 4024506

Tel. 333 9345240 E-mail: [email protected]

Facebook: facebook.com/MaintenantMensile

BON TON, DOPO AVERLE PISCIATO ADDOSSO

DI PETER D’ANGELO

I prodotti chimici nelle piscine, gli antibiotici e le esplosioni di talco nei culi sodi hanno reso questo mondo invivibile. Borsoni da ginnastica pieni di

battiti cardiaci, passere ben nutrite a muesli e giovani benestanti che impollinano fiori di zucca a mano, per dare il loro apporto alla green eco-nomy dei Baustelle, mi fanno venir voglia di

macchiare i peluche di catarro, piuttosto che uscire la sera. Con l'eye-liner qualsiasi casalinga annoiata dall'UNESCO, può sembrar fica. Sonia,

è una di quelle che ti faceva riportare indietro

un’ape finita casualmente nella tua Hyundai, al rien-tro dalla Slovenia. Sonia, dovrebbe essere riconverti-ta in affumicatoio per i salmoni. Era soggetta a tre

stati: petulanza, meraviglia e tedio. Certo, era in grado di ricoprire tutte le posizioni canoniche dell'o-zono per la via lattea del sesso anale, ma starci a parlare era stimolante come tagliare le erbacce sotto

i cavi dell'alta tensione. Abusavo d'aerosol per far passare più in fretta il tempo. Avevo iniziato a cen-

trare gli sfiatatoi dei delfini con le monetine, tra una pausa e l'altra del suo ictus favellatorio. Proprio

con l’abbigliamento giusto dell'entourage dell'amministrazione Carter, con la canotta mac-chiata di succo di melograno, le ho cortesemente

chiosato:"Allontanati, immediatamente, come un principe deposto della Nigeria. Puoi sempre trasferirti su una fetta di pan di spagna, ma restia-mo amici". Avevo una gran voglia di esporle le

mie feci, ma ho dato un’ occhiata ai livelli di CO2 nell'atmosfera ed ho desistito dall'impresa, avrei solo migliorato l'ecosistema. Restava ancora aperta la questione nigeriana. È esperta di e-

e-commerce ed è nuda per una specie di web-casting che ho indetto sul momento. Forse non

avrei dovuto cacciarla. I rimorsi si fanno tali che per riallineare il mio chakra dovrei scopare una quarantenne correttrice di bozze di minimum fax, quelle che trattano il proprio mestruo come

fosse sangue di Elvis all'ultimo live al Madison

Square Garden, oppure tornare sui miei passi, tacere, scopare, e accettare che le miniere di uranio facciano piovere ottani.