Kropotkin, La Grande Rivoluzione

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  • 8/17/2019 Kropotkin, La Grande Rivoluzione

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    Pëtr Alekseevi! Kropotkin

    La grande rivoluzione

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    TITOLO: La grande rivoluzioneAUTORE: Kropotkin, Pëtr Alekseevi!TRADUTTORE:CURATORE:NOTE:

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    DIRITTI D'AUTORE: no

    LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

    TRATTO DA: La grande rivoluzione 1789-1793 / PietroKropotkine. - Ginevra : Edizione del Gruppo del ri-

    sveglio, 1911. - 2 v. ; 20 cm.

    CODICE ISBN FONTE: non disponibile

    1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 17 dicembre 2013

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    Indice generale

    La Grande Rivoluzione.................................................10VOLUME I...................................................................11

    PREFAZIONE.........................................................................12ILE DUE GRANDI CORRENTI DELLA RIVOLUZIONE...15II

    L'IDEA....................................................................................21IIIL'AZIONE...............................................................................29IVIL POPOLO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE.....................35VLO SPIRITO DI RIVOLTA; LE SOMMOSSE......................39VI

    GLI STATI GENERALI DIVENUTI NECESSARI...............55VIILA SOLLEVAZIONE DELLE CAMPAGNE NEI PRIMI MESI DEL 1789..................................................61VIIISOMMOSSE A PARIGI E NEI DINTORNI..........................76IX

    GLI STATI GENERALI.........................................................80XPREPARATIVI DEL COLPO DI STATO..............................90XIPARIGI ALLA VIGILIA DEL 14 LUGLIO.........................103XIILA PRESA DELLA BASTIGLIA........................................118

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    XIIILE CONSEGUENZE DEL 14 LUGLIO A VERSAGLIA...131XIV

    SOLLEVAZIONI POPOLARI..............................................139XVLE CITTÀ.............................................................................145XVILA SOLLEVAZIONE DEI CONTADINI............................160XVIILA NOTTE DEL 4 AGOSTO E LE SUE CONSEGUENZE...............................................................................................172

    XVIIII DIRITTI FEUDALI RIMANGONO..................................187XIXDICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO................202XXGIORNATE DEL 5 E 6 OTTOBRE 1789............................209XXITERRORI DELLA BORGHESIA NUOVA ORGANIZZAZIONE MUNICIPALE...................224XXIIDIFFICOLTÀ FINANZIARIE. – VENDITA DEI BENI DELCLERO..................................................................................237XXIIILA FESTA DELLA FEDERAZIONE..................................245XXIV

    I DISTRETTI E LE SEZIONI DI PARIGI...........................253XXVLE SEZIONI IN PARIGI SOTTO LA NUOVA LEGGEMUNICIPALE......................................................................264XXVILENTEZZA NELL'ABOLIZIONE DEI DIRITTI FEUDALI...............................................................................................272

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    XXVIILEGISLAZIONE FEUDALE DEL 1790.............................287XXVIII

    SOSTA DELLA RIVOLUZIONE NEL 1790.......................297XXIXLA FUGA DEL RE. – LA REAZIONE. – FINEDELL'ASSEMBLEA COSTITUENTE................................314XXXL'ASSEMBLEA LEGISLATIVA. – LA REAZIONE NEL1791-1792.............................................................................328XXXI

    LA CONTRO RIVOLUZIONE NEL MEZZOGIORNO.....341XXXIIIL 20 GIUGNO 1792............................................................351XXXIIIIL 10 AGOSTO; LE SUE CONSEGUENZE IMMEDIATE368INDICE.................................................................................385

    La Grande Rivoluzione...............................................387

    VOLUME II...............................................................388XXXIVL'INTERREGNO – I TRADIMENTI...................................389XXXVLE GIORNATE DI SETTEMBRE.......................................409XXXVILA CONVENZIONE – LA COMUNE – I GIACOBINI.....425XXXVII

    IL GOVERNO. – LOTTE INTESTINE ALLACONVENZIONE – LA GUERRA.......................................437XXXVIIIIL PROCESSO DEL RE.......................................................453XXXIXMONTAGNA E GIRONDA.................................................466

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    XLSPORZI DEI GIRONDINI PER ARRESTARE LARIVOLUZIONE....................................................................477

    XLIGLI «ANARCHICI».............................................................483XLIICAUSE DEL MOVIMENTO DEL 31 MAGGIO................493XLIIIRIVENDICAZIONI SOCIALI. – STATO D'ANIMO APARIGI. – LIONE.................................................................505XLIV

    LA GUERRA. – LA VANDEA. – TRADIMENTO DIDUMOURIEZ.......................................................................517XLV NUOVA SOLLEVAZIONE RESA INEVITABILE.............533XLVISOMMOSSA DEL 31 MAGGIO E DEL 2 GIUGNO..........543XLVIILA RIVOLUZIONE POPOLARE. – IL PRESTITOFORZATO.............................................................................553XLVIIILE TERRE COMUNALI.COSA NE FECE L'ASSEMBLEA LEGISLATIVA.............560XLIXLE TERRE SONO RESTITUITE AI COMUNI..................571L

    ABOLIZIONE DEFINITIVA DEI DIRITTI FEUDALI......579LIBENI NAZIONALI..............................................................585LIILOTTE CONTRO LA CARESTIA – IL «MASSIMO» – GLIASSEGNATI.........................................................................591

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    LIIILA CONTRO RIVOLUZIONE IN BRETTAGNA.ASSASSINIO DI MARAT...................................................603

    LIVLA VANDEA – LIONE – IL MEZZOGIORNO..................613LVLA GUERRA – L'INVASIONE RESPINTA........................624LVILA COSTITUZIONE. – IL GOVERNO RIVOLUZIONARIO...............................................................................................635LVII

    ESAURIMENTO DELLO SPIRITO RIVOLUZIONARIO 646LVIIIIL MOVIMENTO COMUNISTA.........................................654LIXIDEE SULLA SOCIALIZZAZIONE DELLA TERRA,DELLE INDUSTRIE, DELLE SUSSISTENZE E DELCOMMERCIO......................................................................666LXFINE DEL MOVIMENTO COMUNISTA...........................675LXICOSTITUZIONE DEL GOVERNO CENTRALELE RAPPRESAGLIE...........................................................686LXIIISTRUZIONE – SISTEMA METRICO – NUOVOCALENDARIO – 

    TENTATIVI ANTIRELIGIOSI............................................699LXIIILE SEZIONI SCHIACCIATE..............................................713LXIVLOTTA CONTRO GLI HEBERTISTI.................................719

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    LXVCADUTA DEGLI HEBERTISTI. – DECAPITAZIONE DI DANTON........................................730

    LXVIROBESPIERRE E IL SUO GRUPPO..................................739LXVIIIL TERRORE........................................................................745LXVIIIIL 9 TERMIDORO. – TRIONFO DELLA REAZIONE..........................................754CONCLUSIONE..................................................................771

    INDICE.................................................................................784

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    La Grande Rivoluzione

    ...Da una parte la rivoluzione deve combatte-re ogni religione armata; dall'altra deve combat-tere ogni privilegio: che cos'è, adunque, la rivo-luzione se non la guerra dell'irreligione e dell'e-guaglianza?

    ...Gli uomini di poca fede si ricordino chenon vi fu mai progresso che non toccasse alla proprietà e alla religione, e che... già dall'89 al93,quattro soli anni bastavano per trascorreredall'equivoco della libertà al regno della scienzae dell'eguaglianza.

    GIUSEPPE FERRARI.

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    PIETRO KROPOTKINE

    La Grande

    Rivoluzione1789-1793

    PRIMA EDIZIONE ITALIANA

    VOLUME I

    GINEVRAEDIZIONE DEL GRUPPO DEL RISVEGLIO

    Rue des Savoises, 6

    1911

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    PREFAZIONE

    Più si studia la Rivoluzione francese e più si constatache della storia di quella grande epopea, ancora incom-

     piuta, rimangono assai lacune da colmare e punti dachiarire.

    La Grande Rivoluzione, che ha tutto sommosso, tutto

    rovesciato, incominciando a ricostruire tutto nel corso di pochi anni, fu un vero mondo in azione. E se, studiandoi primi storici di quell'epoca, soprattutto il Michelet, si ècostretti di ammirare l'enorme lavoro compiuto da alcu-ni uomini per districare le serie infinite dei fatti e deimovimenti paralleli di cui la Rivoluzione è composta, siconstata in pari tempo la grandiosità del lavoro che ri-

    mane da compiere.Le ricerche eseguite durante questi ultimi trent'anni

    dalla scuola storica, di cui Aulard e la Società della Ri-voluzione francese sono i rappresentanti, hanno certa-mente accumulato preziosi materiali, che gettano fascidi luce sugli atti della Rivoluzione, sulla sua storia poli-

    tica, sulla lotta dei partiti che si contendevano il potere.Ma tuttavia, lo studio degli aspetti economici della Ri-voluzione e delle sue lotte rimane ancora da fare, e,come ha detto giustamente Aulard, un'intera vita non

     basterebbe a compiere quest'opera, senza la quale, biso-gna pur riconoscerlo, la storia politica della Rivoluzionerimane incompleta e spesso incomprensibile. Tutta una

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    serie di nuovi problemi, vasti e complessi, si presentanoallo storico non appena egli affronti l'esame di questocarattere della burrasca rivoluzionaria.

    Gli è per districare appunto alcuni di questi problemiche io avevo, sin dal 1885, incominciato degli studi par-ziali sugli inizi popolari della Rivoluzione, sulle solleva-zioni dei contadini nel 1789, sulle lotte pro e contro l'a-

     bolizione dei diritti feudali, sulle vere cause del movi-mento del 31 maggio, ecc. Disgraziatamente, ho dovuto

    limitarmi, per tali studi, alle collezioni stampate – ric-chissime, certo – del British Museum e non ho potutodedicarmi a ricerche negli Archivi nazionali di Francia.

    Tuttavia, siccome il lettore non potrebbe orientarsi instudi di questo genere, se non avesse un quadro generaledi tutto lo sviluppo della Rivoluzione, sono stato con-dotto a fare una narrazione più o meno ordinata degli

    avvenimenti. Non ho voluto ripetere la parte drammati-ca di grandiosi episodi narrati più volte, e mi sono ado-

     perato invece e soprattutto a utilizzare le ricerche mo-derne, per far risaltare il nesso intimo e le cause deigrandi avvenimenti, il cui insieme forma la grande epo-

     pea che corona il secolo decimottavo.

    Il metodo che consiste nello studiare la Rivoluzione,esaminandone separatamente le diverse parti della suaopera, offre senza dubbio degli inconvenienti: costringea parecchie ripetizioni. Ma poco m'importa che mi siarimproverato, se posso così imprimere più profonda-mente nello spirito del lettore le forti correnti di pensie-ro e di azione, che si urtarono durante la Rivoluzione

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    La Grande Rivoluzione

    1789–1793

    I

    LE DUE GRANDI CORRENTI DELLARIVOLUZIONE

    Due grandi correnti prepararono e fecero la Rivolu-zione. Una, la corrente d'idee – cioè il complesso dellenuove idee sulla riorganizzazione politica degli Stati –veniva dalla borghesia. L'altra, quella dell'azione, veni-va dalle masse popolari – dai contadini e dai proletaridelle città che volevano ottenere degli immediati e tan-gibili miglioramenti alle loro condizioni economiche. Eallorquando queste due correnti s'incontrarono, dirette auno scopo, sul principio comune, e s'aiutarono per qual-che tempo reciprocamente, la Rivoluzione scoppiò.

    Già da parecchio tempo i filosofi del diciottesimo se-colo avevano scalzato sin dalle fondamenta le basi dellesocietà incivilite dell'epoca, nelle quali il potere politico,così come una immensa parte delle ricchezze, apparte-nevano all'aristocrazia e al clero, mentre il resto del po-

     polo era curvo sotto il giogo dei signori. Proclamando la

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    sovranità della ragione, predicando la fiducia nella natu-ra umana e dichiarando che questa – corrotta dalle isti-tuzioni, che nel corso dei secoli imposero all'uomo la

    schiavitù – ritroverebbe tuttavia le sue qualità migliorinon appena avesse riconquistato la libertà, i filosofi ave-vano aperto nuovi orizzonti al genere umano. Procla-mando l'eguaglianza di tutti gli uomini e chiedendo daogni cittadino – re o bifolco – obbedienza alla legge, te-nuta ad esprimere le volontà della nazione allorquando

    fosse promulgata da rappresentanti del popolo; doman-dando infine la libertà di contrattazione fra uomini liberie l'abolizione delle servitù feudali: formulando tutti que-sti postulati uniti tra di loro dallo spirito sistematico edal metodo che caratterizzano il pensiero del popolofrancese – i filosofi avevano certamente, almeno nellecoscienze, preparata la caduta del vecchio regime.

    Ma ciò non era sufficiente a far scoppiare la Rivolu-zione. Occorreva inoltre passare dalla teoria all'azione,dall'ideale concepito nell'immaginazione alla sua realiz-zazione nei fatti; ciò che la storia deve studiare oggisono le circostanze che a un dato momento permiseroalla nazione francese di compiere questo sforzo, di co-

    minciare, cioè, la realizzazione dell'ideale.D'altra parte, già molto prima dell'89, la Francia eraentrata in un periodo d'insurrezioni. L'avvento al tronodi Luigi XVI nel 1774 fu il segnale di una lunga serie dirivolte, cagionate dalle fame. Esse durarono fino al1783. Seguì un periodo di calma relativa. Ma nel 1786,e specialmente nel 1788, le insurrezioni dei contadini si

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    rinnovarono con maggiori forze. La carestia era stata lacausa della prima serie di rivolte. Ma per le ultime, ac-canto alla mancanza di pane, si aggiungeva quale causa

    il desiderio di non pagare più i cànoni feudali.Queste rivolte divennero sempre più numerose sino al

    1789, ed in quest'anno si generalizzarono in tutto l'est, ilnord-est ed il sud-est di Francia.

    Così si scioglieva il nesso sociale. Tuttavia, una jac-querie non è ancora una rivoluzione, anche se assuma

    forme terribili come quelle che caratterizzarono la solle-vazione dei contadini russi nel 1773, sotto la bandiera diPougatchoff. Una rivoluzione è molto di più che una se-rie d'insurrezioni nelle campagne e nelle città. Una rivo-luzione è qualche cosa di più che una semplice lotta di

     partiti anche sanguinosa – o una battaglia nelle strade; èmolto di più che un semplice cambiamento di governo,

    come la Francia ne fece nel 30 e nel 48. Una rivoluzioneè il rovesciamento rapido – in pochi anni – di istituzioniche avevano messo dei secoli a profondar le radici nelsuolo e che sembravano così solide e immutabili da faresitare nell'attacco demolitore anche i più ribelli filosofi.È la caduta, lo smembramento in un breve volger d'anni

    di tutto quanto formava l'essenza della vita sociale, reli-giosa, politica ed economica di una nazione, il rovescia-mento delle idee acquisite e delle nozioni correnti attor-no alle relazioni così complicate fra le unità che forma-no il genere umano.

    È da ultimo il prorompere di nuove concezioni egua-litarie pei rapporti fra cittadini – concezioni che non tar-

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    dano a realizzarsi e allora cominciano a illuminare an-che le nazioni vicine, capovolgono il mondo e danno alsecolo che segue la sua parola d'ordine, i suoi problemi,

    la sua scienza, le linee del suo sviluppo economico, po-litico e morale.

    Per arrivare a un risultato di tale importanza, per farsì che un movimento assuma le forme di una rivoluzio-ne – come avvenne in Inghilterra nel 1648-1688 e nel1789-1793 in Francia – non basta che un movimento d'i-

    dee, sia pure profondo, si produca fra le classi colte – nè bastano sommosse di popolo – siano pur esse vaste enumerose. Occorre che l'azione rivoluzionaria, prorom-

     pente dal popolo, coincida col  pensiero rivoluzionario,rampollante dalle classi colte. È necessaria la loro unio-ne.

    Ecco perchè la Rivoluzione francese, così come la Ri-

    voluzione inglese del secolo precedente, scoppiò nelmomento in cui la borghesia, dopo aver largamente at-tinto alle fonti della filosofia della sua epoca, giunse allacoscienza dei propri diritti, concepì un nuovo piano diorganizzazione politica e forte del proprio sapere, decisaall'opera, si sentì in grado di afferrare le redini del go-

    verno, strappandole a un'aristocrazia cortigiana che – in-capace, frivola e prodiga – spingeva il regno verso l'e-strema rovina. Ma la borghesia e le classi colte da solenon avrebbero fatto nulla, se, grazie a diverse circostan-ze, anche la massa dei contadini non fosse insorta e nonavesse dato, dopo un quadriennale periodo d'insurrezio-ni, la possibilità ai malcontenti delle classi medie di

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    combattere il re e la Corte, di rovesciare le vecchie isti-tuzioni e di cambiare da cima a fondo il regime politicodel regno.

    Tuttavia, la storia di questo duplice movimento rima-ne ancora da fare. La storia della grande Rivoluzionefrancese è stata fatta e rifatta molte volte, da parecchi di-versi punti di vista; ma fino ad oggi gli storici hannoavuto cura sopratutto di raccontare la storia politica, lastoria, cioè, delle conquiste della borghesia a danno del

     partito di Corte e dei difensori delle vecchie istituzionimonarchiche. Così noi conosciamo molto bene il risve-glio delle coscienze che precedè la Rivoluzione. Cono-sciamo del pari i principii che dominarono la Rivoluzio-ne e che si tradussero nella sua opera legislativa; ci esta-siamo dinanzi alle grandi idee ch'essa lanciò nel mondoe che il diciannovesimo secolo cercò più tardi di realiz-

    zare nei paesi civili.Insomma, la storia parlamentare della Rivoluzione, le

    sue guerre, la sua politica, la sua diplomazia sono statestudiate e narrate sin nei più minuti particolari. Ma lastoria popolare della Rivoluzione non è stata ancor fatta.La parte che in questo movimento ha avuto il popolo

    delle città e dei campi non fu ancora nel suo complessonè studiata nè raccontata. Delle due correnti che fecerola Rivoluzione, l'una, quella del pensiero ci è nota, ma

     per l'altra, quella dell'azione popolare, siamo ancora al-l'oscuro.

    A noi – discendenti di coloro che i contemporaneichiamarono anarchici  – spetta il còmpito di studiare

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    quest'azione popolare e di rilevarne, almeno, i caratteriessenziali.

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    II

    L'IDEA

    Per ben comprendere l'idea inspiratrice della borghe-sia nel 1789, bisogna giudicarla dai suoi risultati: gliStati moderni.

    La formazione degli Stati, che vediamo oggi in Euro-

     pa, s'inizia solo alla fine del diciottesimo secolo. L'at-tuale centralizzazione dei poteri era ben lungi versoquell'epoca dall'avere quella perfezione e quella unifor-mità che le riconosciamo oggi. Questo formidabile mec-canismo che dietro un ordine emanato da una capitale,mette in moto tutti gli uomini d'una nazione, pronti allaguerra, e li lancia a portare la desolazione nelle campa-

    gne e il lutto nelle famiglie; questi territori coperti dauna rete di amministratori la cui personalità è annientatadalla loro servitù burocratica, per obbedire come automiagli ordini emanati da un'autorità centrale; questa obbe-dienza passiva dei cittadini alla legge, questo culto dellalegge, del Parlamento, del giudice e dei suoi agenti che

    noi oggi constatiamo; questo insieme gerarchico di fun-zionari disciplinati; questa rete di scuole, mantenute odirette dallo Stato, nelle quali s'insegna con la sottomis-sione il culto del potere; questa industria di cui gli ingra-naggi stritolano il lavoratore abbandonato dallo Statoalla mercè del capitalismo; questo commercio che accu-

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    mula incalcolabili ricchezze nelle mani degli incettatoridel suolo, della miniera, delle vie di comunicazione edelle ricchezze naturali e che nutre lo Stato; questa

    scienza infine che, pur liberando il pensiero, centuplicale forze produttive dell'umanità, ma vuol nello stessotempo sottometterla al diritto del più forte e allo Stato,tutto ciò non esisteva prima della Rivoluzione.

    Tuttavia, molto tempo prima che la Rivoluzione s'an-nunciasse coi suoi boati, la borghesia francese, il Terzo

    Stato, avevano già intravveduto l'organismo politico chesi sarebbe sviluppato sulle rovine della monarchia feu-dale. E assai probabile che la Rivoluzione inglese abbiadimostrato col fatto l'opera che la borghesia sarebbe sta-ta chiamata a compiere un giorno nel governo delle so-cietà civili. Ed è indubbio che la Rivoluzione americanastimolò le energie dei rivoluzionari francesi. Ma già fin

    dagli inizi del diciottesimo secolo lo studio dello Stato edella costituzione delle società incivilite, fondate sullaelezione dei rappresentanti, era divenuto – grazie aHume, Hobbes, Montesquieu, Rousseau, Voltaire, Ma-

     bly, d'Argenson, ecc. – lo studio favorito, al quale Tur-got e Adamo Smith aggiunsero di poi lo studio delle

    questioni economiche e della funzione della proprietànella costituzione politica dello Stato.Ecco perchè l'ideale di uno Stato centralizzato e ben

    ordinato, governato dalle classi detentrici di proprietàfondiarie o industriali o da quelle che si dedicano allecosidette professioni liberali, era vagheggiato ancor pri-ma che la Rivoluzione scoppiasse ed era esposto in in-

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    numerevoli libri ed opuscoli, dai quali gli uomini dellaRivoluzione attinsero più tardi la loro inspirazione e laloro equilibrata energia.

    Ecco perchè la borghesia francese, al momento d'en-trare, nel 1789, nel periodo rivoluzionario, sapeva beneciò che voleva. Certo non era repubblicana – lo è forseoggi? Ma essa rifiutava tuttavia il potere arbitrario delre, del governo, della Corte; insorgeva contro ai privile-gi dei nobili che accaparravano le migliori cariche dei

    governo, ma non facevano che saccheggiare lo Stato,come saccheggiavano, senza farle produrre, le loro im-mense proprietà. La borghesia era repubblicana nei co-stumi – come nelle nascenti repubbliche d'America; mavoleva altresì il governo affidato alle classi abbienti.

    Senza essere atea, era piuttosto libera pensatrice, manon detestava affatto il culto cattolico. Ciò ch'essa dete-

    stava, era la Chiesa soprattutto, colla sua gerarchia; isuoi vescovi alleati ai principi; i suoi parroci, docili stru-menti nelle mani della nobiltà.

    La borghesia dell'89 comprendeva ch'era venuto an-che in Francia – come in Inghilterra centoquarant'anni

     prima – il momento in cui il Terzo Stato avrebbe raccol-

    to il potere sfuggito dalle mani della dinastia; e sapeva bene ciò che ne avrebbe fatto.Il suo ideale era di dare alla Francia una costituzione

    modellata su quella inglese. Ridurre il re alla funzionedi semplice scriba registratore, – potere ponderatore tal-volta, ma incaricato soprattutto di rappresentare simbo-licamente l'unità nazionale. Quanto al potere effettivo,

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    eletto, doveva essere rimesso nelle mani d'un parlamen-to, nel quale la borghesia colta – rappresentante la parteattiva e intelligente della nazione – dominerebbe il re-

    sto. Nello stesso tempo, era suo ideale l'abolizione di tutti

    i poteri locali o parziali che costituivano altrettante unitàautonome nello Stato, l'accentramento di tutta la potenzagovernativa nelle mani di un potere esecutivo centrale,strettamente sorvegliato dal parlamento – strettamente

    obbedito nello Stato e conglobante tutto: imposte, tribu-nali, polizia, forze militari, scuole, sorveglianza polizie-sca, direzione generale del commercio e dell'industria–tutto! Proclamare, d'altra parte, la libertà completa dellecontrattazioni e dare contemporaneamente carta biancaalle imprese industriali per lo sfruttamento non solo del-le ricchezze naturali, ma anche dei lavoratori, abbando-

    nati ormai senza difesa ai datori di lavoro.E tutto doveva essere posto sotto al controllo dello

    Stato, che avrebbe agevolato l'arricchirsi dei singoli el'accumulazione di grandi fortune – condizioni alle qualila borghesia d'allora attribuiva necessariamente unagrande importanza, dal momento che la convocazione

    stessa degli Stati Generali aveva avuto luogo per evitarela rovina finanziaria dello Stato. Nè meno chiare erano le idee degli uomini del Terzo

    Stato, dal punto di vista economico. La borghesia fran-cese aveva letto e studiato Turgot e Adamo Smith, icreatori della Economia politica. Sapeva che in Inghil-terra le loro teorie erano già state applicate e la borghe-

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    sia di Francia invidiava alla consorella d'oltre Manica lasua potente organizzazione economica, come il suo po-tere politico. Essa sognava l'appropriazione delle terre

    da parte della piccola e grande borghesia e lo sfrutta-mento delle ricchezze del suolo, rimasto fino allora im-

     produttivo nelle mani del clero e della nobiltà. E in ciòtrovava degli alleati nei piccoli borghesi rurali, già fortinei villaggi, prima che la Rivoluzione ne moltiplicasse ilnumero. Essa intravvedeva già lo sviluppo rapido del-

    l'industria e la produzione intensiva delle merci, coll'a-iuto della macchina, il commercio lontano e l'esporta-zione transoceanica dei prodotti dell'industria: i mercatiorientali, le grandi imprese e le fortune colossali.

    La borghesia comprendeva che per raggiungere il suointento, bisognava anzitutto spezzare i vincoli che tene-vano il contadino legato al villaggio. Occorreva ch'egli

    diventasse libero di abbandonare la sua capanna e chefosse anzi obbligato di abbandonarla, trascinato ad emi-grare nelle città in cerca di lavoro, affinchè cambiando

     padrone, egli procacciasse dell'oro all'industria invecedei cànoni che pagava prima al signore – pesantissimi

     per lui, ma tuttavia insufficenti per il padrone. Occorre-

    va ancora riordinare le finanze dello Stato, stabilire del-le tasse più redditive e più facili a pagare.Occorreva, insomma, ciò che gli economisti hanno

    chiamato la libertà dell'industria e del commercio, ecioè, da un lato, la liberazione dell'industria dalla sorve-glianza meticolosa e nociva dello Stato, dall'altro, la li-

     bertà di sfruttare l'operaio privo di libertà. Quindi nessu-

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    na unione di mestieri, nessun'associazione di artigiani,nè giurande, nè maestranze che potrebbero in qualchemodo frenare lo sfruttamento del lavoratore salariato – e

    neppure la sorveglianza dello Stato che danneggerebbel'industriale – nè dogane interne, nè leggi proibitive. Li-

     bertà intera di contrattazione per i padroni – proibizioneassoluta di «coalizione per i lavoratori. «Lasciar fare» i

     primi; impedire agli ultimi di associarsi.Tale fu il doppio piano concepito dalla borghesia. E

    non appena si presentò l'occasione di realizzarlo – la borghesia, forte della sua coltura, della lucidità delle suemire, della sua abitudine negli «affari», lavorò senzaesitazioni, nè sul complesso, nè sui dettagli, a far passa-re le sue idee nella legislazione. E si pose a tal operacon un'energia cosciente e tenace, che il popolo non hamai avuta, semplicemente perchè non ha concepito ed

    elaborato un ideale da opporre a quello dei signori delTerzo Stato.

    Certo sarebbe ingiusto affermare che la borghesiadell'89 fu guidata solo da idee strettamente egoistiche.In questo caso essa non avrebbe mai raggiunto i suoiscopi. È necessario sempre un po' d'ideale per compiere

     profonde trasformazioni sociali. I migliori rappresentan-ti del Terzo Stato avevano bevuto alla fonte sublime del-la filosofia del diciottesimo secolo, che conteneva inembrione tutte le grandi idee che fiorirono poi. Lo spiri-to eminentemente scientifico di questa filosofia, il suocarattere fondamentalmente morale anche quando deri-deva e scherniva la morale convenzionale; la sua fiducia

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    nell'intelligenza, la forza e la grandezza dell'uomo liberoallorquando vivrà fra eguali, il suo odio per le istituzionidispotiche; – tutto ciò si ritrova nei rivoluzionari dell'e-

     poca. Dove avrebbero adunque attinto la forza delle pro- prie convinzioni e l'abnegazione che addimostrarono nelmomento della lotta? Bisogna altresì riconoscere che fracoloro che lavoravano di più a realizzare il programmad'arricchimento della borghesia, taluni credevano in

     buona fede che l'arricchimento dei singoli fosse il mez-

    zo migliore per arricchir la nazione. I più dotti economi-sti – Smith alla testa – non l'avevano predicato con con-vinzione?

    Ma per quanto elevate fossero le idee astratte di liber-tà, di eguaglianza, di progresso libero che inspiravanogli uomini sinceri della borghesia del 1789-93, è dalloro programma pratico, dalle applicazioni della teoria

    che noi dobbiamo giudicarle. Con quali mezzi l'ideaastratta si tradurrà nella vita reale? È il fatto che ci daràla vera misura dell'idea.

    Ebbene, se è giusto riconoscere che la borghesiadell'89 era inspirata da idee di libertà, d'eguaglianza (da-vanti alla legge) e di liberazione politica e religiosa – è

    altresì vero che queste idee non appena prendevan cor- po, si traducevano precisamente nel duplice programmada noi or ora abbozzato: libertà di utilizzare le ricchezzed'ogni genere per l'arricchimento personale, libertà disfruttare il lavoro umano, senza nessuna garanzia per levittime dello sfruttamento. E noi vedremo fra poco qualilotte terribili scoppiarono nel 93, quando una parte dei

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    rivoluzionari volle oltrepassare – superandolo – questo programma.

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    III

    L'AZIONE

    E il popolo? Quali erano le sue idee?Anche il popolo aveva in una certa misura subìto l'in-

    fluenza della filosofia del secolo. Attraverso mille canaliindiretti, i grandi principii di affrancamento e di libertà

    erano giunti fino ai villaggi e ai sobborghi delle grandicittà. Scompariva il rispetto alla dinastia e alla aristocra-zia. Le idee egualitarie penetravano dovunque. Baglioridi rivolta attraversavano le coscienze. La speranza di un

     prossimo cambiamento faceva talvolta battere anche i più umili cuori. – «Non so che cosa accadrà, ma qualco-sa deve accadere e presto», diceva nel 1787 una vecchia

    ad Arturo Young, che alla vigilia della Rivoluzione per-correva la Francia. Questo «qualcosa» doveva alleviarele miserie del popolo.

    Si è recentemente discusso per sapere se il movimen-to che precedè la Rivoluzione e la Rivoluzione stessa,contengano un elemento di socialismo. La parola «so-

    cialismo» non c'era, poichè fu messa in voga solo versola metà del diciannovesimo secolo. La concezione delloStato capitalista, alla quale la frazione socialdemocrati-ca del grande partito socialista cerca oggi di ridurre ilsocialismo, non dominava certo come fa attualmente,

     poichè i fondatori del «collettivismo» socialdemocrati-

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    co, Vidal e Pecqueur, non scrissero che fra il 1840 e il1849. Tuttavia, rileggendo le opere degli scrittori pre-cursori della Rivoluzione, si è colpiti dal fatto che i loro

    scritti sono compenetrati dalle idee che costituisconol'essenza stessa del socialismo moderno.

    Due idee fondamentali – quella dell'eguaglianza ditutti i cittadini nei loro diritti alla terra e l'altra che noiconosciamo oggi sotto il nome di comunismo, reclutava-no partigiani fedeli tra gli enciclopedisti e tra gli scritto-

    ri più popolari dell'epoca, come il Mably, il d'Argensone tant'altri di minore importanza. L'industria era allora infascie e non dall'officina, bensì dalla terra era costituitoil capitale per eccellenza, lo strumento principale persfruttare il lavoro umano. Onde il pensiero dei filosofi e

     più tardi quello dei rivoluzionari del XVIII secolo si portava verso il  possesso in comune del suolo. Mably,

    che, molto più di Rousseau, inspirò gli uomini della Ri-voluzione, non domandava infatti fin dal 1768 ( Doutes

     sur l'ordre naturel et essentiel des sociétés) l'eguaglian-za di tutti nel diritto alla terra e il possesso comunisticodel suolo? E il diritto della nazione su tutte le proprietàfondiarie, come su tutte le ricchezze naturali – foreste,

    fiumi, cascate, ecc. – non era l'idea dominante degliscrittori precursori della Rivoluzione, e, scoppiata que-sta, della Sinistra dei rivoluzionari popolari?

    Disgraziatamente, queste aspirazioni comuniste non prendevano, nei pensatori che volevano il bene del po- polo, una forma netta e concreta. Mentre, nella borghe-sia istruita, le idee di liberazione si traducevano in un

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     programma completo di organizzazione politica ed eco-nomica, le stesse idee venivano presentate al popolo sot-to forma di vaghe e lontane aspirazioni. Spesso si tratta-

    va di semplici negazioni. Coloro che parlavano al popo-lo non cercavano di dare una forma concreta a questi de-siderata, a queste negazioni. Si potrebbe credere quasich'essi evitassero di precisare. Coscientemente o no, pa-reva dicessero: «A qual scopo parlare al popolo sulleforme della sua organizzazione futura! Ciò raffreddereb-

     be la sua energia rivoluzionaria. Ch'egli abbia intanto laforza dell'attacco per marciare all'assalto delle vecchieistituzioni. – Al resto, penseremo poi.»

    Quanti socialisti e anarchici seguono ancora lo stesso procedimento! Impazienti e vogliosi d'affrettare il gior-no della rivolta, essi accusano di addormentatrici tutte leteorie che cercano di gettare qualche sprazzo di luce sul-

    la futura ricostruzione rivoluzionaria.Le cause di questa imprecisione di linguaggio van

    date in parte anche all'ignoranza degli scrittori, in mag-gioranza cittadini e uomini di gabinetto. Così, in quel-l'assemblea di uomini colti e rotti agli «affari» che ful'Assemblea nazionale – avvocati, giornalisti, commer-

    cianti, ecc. – non c'erano che due o tre membri giuristiche conoscessero i diritti feudali, ed è noto inoltre che irappresentanti dei contadini, famigliari – per loro espe-rienza personale – coi bisogni del villaggio, erano po-chissimi.

    Per questo complesso di ragioni diverse, l'idea popo-lare si esprimeva soprattutto con semplici negazioni. –

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    «Bruciamo i catasti ove sono registrati i cànoni feudali!Abbasso le decime! Abbasso madama Veto! Gli aristo-cratici alla lanterna!» Ma di chi sarebbe la terra libera?

    A chi andrebbe l'eredità degli aristocratici ghigliottinati?Quali mani afferrerebbero le redini dello Stato che cade-vano dalle mani di Madama Veto per passare in quelledella borghesia, potenza ben più formidabile dell'anticoregime?

    La mancanza di chiarezza nelle concezioni del popolo

    su ciò che poteva sperare dalla Rivoluzione lasciò la suaimpronta su tutto il movimento. Mentre la borghesiamarciava con passo fermo e deciso alla costituzione delsuo potere politico in uno Stato che cercava di modella-re conforme alle sue idee, il popolo esitava. Nelle cittàsoprattutto esso non sapeva – all'inizio – come avrebbe

     potuto utilizzare a suo vantaggio il potere, una volta che

    lo avesse conquistato. E allorquando, più tardi, i progettidi legge agraria e di pareggiamento delle fortune comin-ciarono a precisarsi, trovarono le maggiori difficoltà nei

     pregiudizi sulla proprietà, dei quali erano imbevuti nonmeno degli altri anche coloro che avevano sinceramentesposato la causa del popolo.

    Scoppiò lo stesso conflitto nelle concezioni sull'orga-nizzazione politica dello Stato. Lo si vede nella lotta enell'antitesi fra i pregiudizi governativi dei democraticidell'epoca e le idee che cominciavano a farsi strada trale masse, sul decentramento politico e sulle funzioni

     preponderanti che il popolo voleva affidare ai suoi mu-nicipii, alle sue sezioni nelle grandi città e alle assem-

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     blee del villaggio. Qui è l'origine di tutta quella serie disanguinosi conflitti che scoppiarono nella Convenzione.Di qui la povertà di risultati tangibili per la grande mas-

    sa del popolo – eccettuate tuttavia le terre tolte ai signorilaici e religiosi e liberate dai gravami feudali.

    Ma se le idee positive del popolo erano confuse, quel-le negative invece, erano, sotto certi rapporti, assai pre-cise.

    Anzitutto, l'odio del povero contro l'aristocrazia ozio-

    sa, dissipatrice, perversa che lo dominava, mentre la mi-seria mieteva vittime nei villaggi e nei quartieri tenebro-si delle grandi città. Poi l'odio contro il clero che simpa-tizzava per l'aristocrazia e non pel popolo da cui era nu-trito. L'odio contro tutte le istituzioni del vecchio regimeche rendevano ancora più pesante la povertà, poichè nonriconoscevano nel povero i diritti umani. L'odio contro

    il regime feudale e i suoi cànoni, che tenevano il colti-vatore in uno stato di servitù verso il proprietario fon-diario, sebbene non esistesse più la servitù personale.Da ultimo la disperazione del contadino, allorquando inquegli anni di carestia, vedeva la terra rimanere incoltanelle mani del signore o trasformata in luogo di diverti-

    mento pei nobili, mentre la fame batteva a tutte le portedei villaggi.Questo odio, maturato lentamente e tenacemente

    mano mano che l'egoismo dei ricchi diveniva nel corsodel secolo XVIII più rapace, e il bisogno della terra,d'onde erompe il grido del contadino affamato e insor-gente contro al padrone che glie la toglieva, svegliarono

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    sin dall'88 lo spirito di rivolta. Quest'odio e questo biso-gno unitamente alla speranza di successo – sostennerodell'89 al 93 le continue rivolte dei contadini, rivolte che

     permisero alla borghesia di rovesciare il vecchio regimee di organizzare il suo potere sotto un nuovo regime:quello del governo rappresentativo.

    Lo sforzo della borghesia sarebbe stato inutile e vanosenza queste insurrezioni, senza questa disorganizzazio-ne completa dei poteri in provincia che fu l'effetto im-

    mediato delle incessanti rivolte; senza lo slancio del po- polo parigino e d'altre città ad armarsi e marciare controle fortezze della dinastia, slancio e prontezza che nonmancarono mai ad ogni appello lanciato dai rivoluziona-ri al popolo. Ed è appunto al popolo, a questa semprefresca e viva sorgente della Rivoluzione – al popolo

     pronto ad impugnare le armi – che gli storici della Rivo-

    luzione non hanno ancor reso la giustizia che gli deve lastoria della civiltà.

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    IV

    IL POPOLO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE

    Sarebbe inutile di fermarsi qui per descrivere a lungol'esistenza che i contadini nelle campagne e i poveri del-le città, trascinavano alla vigilia dell'89. Tutti gli storicidella grande Rivoluzione vi hanno consacrato pagine

    eloquentissime. Il popolo gemeva sotto al fardello delleimposte esatte dallo Stato, dei cànoni pagati al signore,delle decime che ingrassavano il clero – e delle corvéesimposte da tutti e tre. Intere popolazioni erano ridotte amendicare e percorrevano le strade in numero di cinque,dieci, ventimila uomini, donne, fanciulli in tutte le pro-vincie: le statistiche ufficiali del 77 fanno salire a

    1,100,000 la cifra dei mendicanti. Nei villaggi la care-stia era passata allo stato cronico; ritornava a intervalli

     brevi e decimava intere provincie. Allora i contadinifuggivano in massa dalla loro provincia nella speranza,subitamente delusa, di trovare altrove migliori condizio-ni di vita. Nello stesso tempo cresceva d'anno in anno la

    folla dei poveri nelle città. La mancanza di pane eracontinua; e poichè i municipi non potevano rifornire imercati, le sommosse per fame, accompagnate sempreda uccisioni, erano all'ordine del giorno in tutto il regno.

    D'altra parte, si assisteva allo spettacolo della raffina-ta aristocrazia del decimottavo secolo, dilapidatrice, con

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    un lusso sfrenato e assurdo, di fortune colossali – centi-naia di migliaia e di milioni di franchi di reddito all'an-no. Un Taine può oggi estasiarsi davanti alla vita che i

    nobili conducevano, sol perchè la conosce da lontano, aun secolo di distanza, attraverso i libri; ma in realtàquella vita nascondeva – dietro alle manifestazioni este-riori regolate dal maestro di ballo e dietro la dissipazio-ne rumorosa – una cruda sensualità, l'assenza di ogniconvincimento, di ogni pensiero – l'assenza finanche di

    semplici sentimenti umani. Ne conseguiva che la noia batteva perennemente alle porte di questi signori ed essila combattevano ricorrendo inutilmente a tutti i mezzi

     più futili e infantili. Quanto valesse questa nobiltà lo si èvisto allo scoppiar della Rivoluzione, quando, invece didifendere il loro re, la loro regina, i nobili emigrarono echiamarono in loro soccorso l'invasione straniera. Nelle

    colonie d'emigrati che si formavano a Coblenza, a Bru-xelles, a Mitau si è potuto vedere il valore e la nobiltà dicarattere della nobiltà...

    Questi estremi di lusso e di miserie, così frequenti neldiciottesimo secolo, sono stati mirabilmente descritti datutti gli storici della Grande Rivoluzione. Ma occorre

    aggiungervi un particolare, di cui si comprende l'impor-tanza quando si voglia esaminare la condizione presentedei contadini russi, alla vigilia della grande Rivoluzionerussa.

    La miseria della grande massa dei contadini francesiera certamente spaventosa. Dal regno di Luigi XIV –mano a mano che le spese dello Stato crescevano e che

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    il lusso dei signori, raffinandosi, prendeva quel carattered'eccentricità del quale ci danno tante notizie alcune me-morie dell'epoca – la miseria s'era aggravata. Le esazio-

    ni dei signori erano divenute veramente insopportabili pel fatto che gran parte della nobiltà rovinata, ma dissi-mulatrice tuttavia della propria miseria sotto le parvenzedel lusso, strappava, con feroce accanimento, ogni pic-cola rendita ai contadini, esigeva il pagamento anche dei

     più piccoli debiti e cànoni in natura fissati dalla consue-

    tudine antica, trattava – per mezzo d'intendenti – i con-tadini colla esosità feroce dei rigattieri. I nobili ridotti in povertà – nei loro rapporti cogli ex-servi, si rivelavano borghesi avidi di denaro, ma impotenti a trovarlo in altrefonti che non fossero lo sfruttamento degli antichi privi-legi, avanzi dell'epoca feudale. Ecco perchè durante iquindici anni del regno di Luigi XVI, che precedettero

    l'89, lo sfruttamento dissanguatore della nobilaglia ebbeuna recrudescenza della quale non mancano le traccienei documenti dell'epoca.

    Ma se gli storici della Grande Rivoluzione hanno ra-gione di dipingere a colori assai foschi la condizione deicontadini, non minor ragione hanno altri storici, come il

    Tocqueville ad esempio, che parlano di miglioramentinelle campagne proprio nel periodo che immediatamen-te precede la Rivoluzione. Sta di fatto che un duplice fe-nomeno si compiva allora nei villaggi: l'immiserimentoin massa dei contadini e il miglioramento di qualcunofra di loro. Lo stesso fenomeno si ripete oggi in Russia,dopo l'abolizione della servitù.

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    V

    LO SPIRITO DI RIVOLTA; LE SOMMOSSE

    Un nuovo regno comincia quasi sempre colle riforme. Nè quello di Luigi XVI fa eccezione alla regola. Duemesi dopo il suo avvento al trono, il re chiamava Turgotal ministero e un mese più tardi, lo nominava controllo-

    re generale delle finanze. Non solo; ma lo sostenne con-tro l'opposizione violenta che la Corte faceva per forzadi cose al nuovo ministro, economista, borghese parsi-monioso, nemico dell'aristocrazia fannullona.

    La libertà del commercio dei grani, proclamata nel17741, l'abolizione delle corvées nel 1776, la soppressio-ne nelle città delle vecchie giurande e corporazioni, che

    servivano ormai solamente a mantenere una certa aristo-crazia nell'industria, tutte queste misure risvegliavano lesperanze del popolo. Vedendo cadere le barriere feudalidi cui la Francia era coperta e che impedivano la liberacircolazione dei cereali, del sale e di altri generi di pri-ma necessità, i poveri si rallegravano nel veder pure in-

    taccati gli odiosi privilegi dei signori. I contadini piùagiati eran lieti di veder abolito l'obbligo, in solido, di

    1 Prima il colono non poteva vendere il grano nei tre mesi suc-cessivi al raccolto. Solo il signore poteva farlo; era un privilegiofeudale che gli permetteva di vendere il suo grano a prezzi di usu-ra.

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    tutti i contribuenti2. Nel 1779, la mano-morta e le servi-tù personali furono soppresse nei domini del re e unanno dopo fu decisa l'abolizione della tortura, che si era

    continuato ad applicare sin allora nella procedura pena-le, sotto le forme più atroci, stabilite coll'ordinanza del16703.

    Si cominciava a parlare anche del governo rappresen-tativo, simile a quello che gli inglesi avevano instauratodopo la loro Rivoluzione e che gli scrittori filosofi desi-

    deravano. Turgot aveva già preparato a tal fine un pro-getto di assemblee provinciali, che dovevano precederel'istituzione di un governo rappresentativo per tutta laFrancia e la convocazione di un Parlamento eletto dalleclassi abbienti. Luigi XVI retrocesse dinanzi a tal pro-getto e licenziò Turgot, ma fin d'allora tutta la Franciacolta cominciò a parlare di Costituzione e di rappresen-

    tanza nazionale4.

    2 Lo stesso obbligo è stato abolito testè in Russia (1906).3 Dichiarazione del 24 agosto 1780. La pena della ruota esiste-

    va ancora nel 1785. I parlamenti, malgrado il volterrianesimo del-l'epoca e l'addolcimento generale dei costumi, erano rimasti di-fensori accaniti della tortura, che fu definitivamente abolita solo

    dall'Assemblea Nazionale. È interessante constatare (E. Selig-man, La justice en France pendant la Révolution, p. 97, note) cheBrissot, Marat e Robespierre contribuirono coi loro scritti al mo-vimento per la riforma del codice penale.

    4 Gli argomenti sui quali si basò Luigi XVI sono degni dinota. Li riassumo dal lavoro di E. Semichon ( Les réformes  sous Louis XVI: Assemblées provinciales et parlements. Parigi 1876, p.57). I progetti di Turgot sembravano pericolosi a Luigi XVI che

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    D'altronde, era ormai impossibile evitare la questionedella rappresentanza nazionale, che ritornò sul tappeto,nel luglio del 1777, quando Necker fu chiamato al mini-

    stero. Egli sapeva indovinare le idee del suo padrone ecercava di conciliarne le mire di autocrata coi bisognidelle finanze, per cui tergiversò dapprima non propo-nendo che delle assemblee provinciali e facendo intrav-vedere, solo come possibilità futura, la rappresentanzanazionale. Ma ebbe pure da parte di Luigi XVI un for-

    male rifiuto: – «Non sarebbe meglio, scriveva il finan-ziere astuto, che Vostra Maestà divenuta intermediariafra gli Stati e i suoi popoli non spiegasse che l'autoritànecessaria a segnare i limiti fra il rigore e la giustizia», –al quale invito, Luigi XVI rispondeva: « L'essenza dellamia autorità mi pone in testa, non mi fa intermediario.»Sarà bene di ricordare queste parole per non cadere nei

    sentimentalismi sciocchi che gli storici del campo rea-zionario hanno ammanito ultimamente ai loro lettori!Luigi XVI non era il personaggio indifferente, innocuo,

    scriveva: «Venendo da un uomo che ha delle mire buone, la suacostituzione avrebbe capovolto lo stato attuale.» E più lungi:«Questo sistema censitario d'elezione è un mezzo per creare dei

    malcontenti fra i non abbienti e se a costoro vien concesso di riu-nirsi, ne nascerà il disordine.» – «Il passaggio dal regime abolitoal regime che Turgot attualmente propone, è degno d'attenzione;si vede ciò che è, ma solo virtualmente si vede ciò che non è, enon si devono fare imprese arrischiate se non ne è ben chiaro lo scopo.» Vedi nell'appendice A, del Semichon, la lista molto inte-ressante delle principali leggi promulgate sotto Luigi XVI, dal1774 al 1789.

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     bonario – occupato solamente nella caccia – che certicortigiani hanno descritto. No. Luigi XVI seppe resiste-re durante quindici anni, fino al 1789, al bisogno sem-

     pre più impellente di nuove forme politiche da sostituir-si al dispotismo regale e alle abbominazioni dell'anticoregime.

    L'arma che servì di preferenza Luigi XVI fu l'astuzia,e cedette solo davanti alla paura; resistè, non solo sinoal 1789, ma, sempre impiegando le stesse armi, – astu-

    zia e ipocrisia, – sino ai suoi ultimi momenti, sino a pie'del palco di morte. Ad ogni modo, nel 1778, quando or-mai gli spiriti più o meno aperti vedevan già chiarocome l'autocrazia regale avesse compiuto il suo ciclo eche l'ora era suonata di sostituirla con qualche forma dirappresentanza nazionale, Luigi XVI non fece che mal-volontieri alcune lievi concessioni. Convocò le assem-

     blee provinciali del Berry e della Haute-Guyenne (1778-1779). Ma davanti all'opposizione dei privilegiati, fu ab-

     bandonato il progetto di estendere queste assemblee adaltre provincie e Necker fu licenziato nel 1781.

    Frattanto, la rivoluzione d'America contribuì pure arisvegliare gli spiriti e ad inspirarli col soffio della liber-

    tà e della democrazia repubblicana. Il 4 luglio del 1776,le colonie inglesi, dell'America del Nord proclamaronola loro indipendenza e i nuovi Stati Uniti furono ricono-sciuti nel 1778 dalla Francia, il che provocò una guerracoll'Inghilterra che durò sino al 1783. Tutti gli storici

     parlano dell'impressione prodotta da questa guerra. Ècerto, infatti, che la rivolta delle colonie inglesi e la co-

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    stituzione degli Stati Uniti esercitarono una profonda in-fluenza in Francia e contribuirono assai a risvegliare lospirito rivoluzionario. È noto del pari che le Dichiara-

    zioni di diritti, fatte nei nuovi Stati americani, influenza-rono profondamente i rivoluzionari francesi. Si potrebbeaggiungere ancora che la guerra d'America, avendo co-stretto la Francia a creare quasi dal nulla una flotta daopporre a quella inglese, finì di rovinare le finanze del-l'antico regime e accelerò lo sconvolgimento. È inoltre

    accertato che questa guerra fu l'inizio delle guerre terri- bili che l'Inghilterra scatenò di lì a poco contro la Fran-cia, come pure delle coalizioni che rovesciò più tardicontro la Repubblica. Non appena l'Inghilterra ebbe ri-

     parate le sue sconfitte e sentì la Francia indebolita dallediscordie intestine, provocò con ogni mezzo – aperto osegreto – la lunga serie di guerre che infierirono dal

    1793 sino al 1815.È necessario indicare tutte queste cause della grande

    Rivoluzione, poichè essa fu, come ogni avvenimento digrande importanza, il risultato di un complesso di cause,convergenti in un dato momento e creatrici degli uomi-ni, che contribuirono da parte loro a estendere di quelle

    cause gli effetti. Ma bisogna pur dire che, malgrado tuttigli avvenimenti precursori della Rivoluzione e malgradotutta l'intelligenza e le ambizioni della borghesia, questa,sempre prudente, avrebbe ancora lungamente pazienta-to, se il popolo non avesse precipitato gli avvenimenti.Le rivolte popolari – di proporzioni inaspettate e sempre

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     più gravi e numerose – furono l'elemento nuovo che die-de alla borghesia quella forza d'attacco che le mancava.

    Il popolo aveva sopportato miseria ed oppressione

    sotto il regno di Luigi XV; ma non appena il re fu mor-to, nel 1774, il popolo, il quale ben comprende che adogni cambiamento di padrone v'è di necessità un rallen-tamento dei ceppi dell'autorità, cominciò a ribellarsi.Una serie di sommosse scoppiarono tra il 1775 e il1777.

    Erano sommosse provocate dalla fame e represse sinoallora colla forza. Il raccolto del 1774 era stato scarso, il pane mancava. Nell'aprile del 1775, la sommossa scop- piò. A Digione il popolo s'impossessò delle case degliincettatori; distrusse i loro mobili, demolì i loro mulini.Fu in quell'occasione che il comandante della città – unodi quei signori raffinati che fanno venire al Taine l'ac-

    quolina dolce in bocca – pronunciò la funesta frase chefu più tardi così spesso ripetuta durante la Rivoluzione:

     L'erba è già spuntata, andate nei campi a pascervi!Auxerre, Amiens, Lille seguirono Digione. Alcuni

    giorni dopo, i «banditi» – la maggioranza degli storicidesignano con questo nome i rivoltosi affamati – riuniti

    a Pontoise, a Passy, a Saint-Germain, coll'intenzione disaccheggiare i mulini, si portarono a Versaglia. LuigiXVI dovette comparire al balcone, parlare agl'insorti,annunciar loro che avrebbe ridotto di due soldi il prezzodel pane – misura alla quale naturalmente il Turgot, da

     buon economista, si oppose. Il prezzo del pane non furibassato. Frattanto i «banditi» entrarono dentro Parigi,

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    saccheggiarono i fornai e distribuirono alla folla il loro bottino di pane. La truppa li disperse. Nella piazza diGrève furono impiccati due rivoltosi che morendo gri-

    darono di sacrificarsi pel popolo; ma da quel momentola leggenda dei «briganti», padroni delle strade di Fran-cia, cominciò a diffondersi e servì magnificamente piùtardi qual pretesto alla borghesia delle città per armarsi.Sui muri di Versaglia comparvero già dei manifesti cheinsultavano il re e i suoi ministri e promettevano di giu-

    stiziare il re all'indomani della sua incoronazione o disterminare l'intera famiglia reale, se il pane fosse rima-sto allo stesso prezzo. Nello stesso tempo circolavano in

     provincia decreti apocrifi del governo. Uno di questi af-fermava che il Consiglio aveva tassato il grano a dodicilire per sestiere.

    Queste sommosse furono represse, ma nondimeno eb-

     bero conseguenze profonde. Fu uno scatenarsi di lottefra partiti diversi; gli opuscoli piovevano: si accusavanoi ministri, si accennava a complotti dei principi contro ilre, si denigrava l'autorità regia. Insomma, collo statod'eccitazione in cui si trovavano gli spiriti, la sommossa

     popolare fu come la scintilla che incendia le polveri. Si

     parlò anche – e nessuno vi aveva mai neppure pensato –di accordare alcune riforme al popolo: furono concessilavori pubblici; vennero abolite le tasse di macinato – laqual cosa fece credere agli abitanti dei dintorni di Rouenche tutti i diritti nobiliari fossero stati aboliti e una solle-vazione scoppiò – nel luglio – per non più pagarli. Èevidente, insomma, che i malcontenti non perdevano il

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    loro tempo, ma profittavano di qualunque occasione propizia per estendere le rivolte popolari.

    Mancano documenti per raccontare tutte le sommosse

    che scoppiarono durante il regno di Luigi XVI gli storicise ne occupano poco; gli archivi non sono stati frugati;solo, per caso, ci accade di sapere che in questa e inquella località avvennero «disordini». Rivolte abbastan-za gravi, ad esempio, scoppiarono a Parigi, dopo l'aboli-zione delle giurande (1776) e quasi dovunque in Fran-

    cia, durante lo stesso anno, in seguito a false voci diffu-se sull'abolizione di ogni obbligo di corvée e di tagliaverso i signori. Tuttavia, dai documenti stampati da meconsultati, pare che dal 1777 al 1783 – forse a cagionedella guerra americana – diminuisse la frequenza dellerivolte.

    Ma nel 1782-83 esse ripresero la loro marcia e conti-

    nuarono – aumentando – sino alla Rivoluzione. Poitierssi sollevava nel 1782 – nel 1786 seguiva Vizille; dall'83all'87 le sommosse sconvolgono le Cevenne, il Vivaraise il Gévaudan. I malcontenti, che venivano chiamatimascarats, volendo punire gli azzeccagarbugli che se-minavano la discordia fra i contadini per provocare dei

     processi, irruppero nei tribunali, invasero gli uffici degliavvocati e dei notai e bruciarono tutti gli atti e i contrattiche vi si trovavano. Tre sobillatori furono impiccati, glialtri vennero condannati ai lavori forzati, ma i disordiniricominciarono non appena si chiusero i parlamenti5.

    5 C. de Vic e J. de Vaissete, Histoire générale du Languedoc,

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     Nel 1786, Lione insorge (Chassin, Génie de la Révolu-tion). I filatori di seta proclamano lo sciopero; vien loro

     promesso un aumento di salario – si chiama la truppa;

    v'è un conflitto, poi tre dei capi lasciano la vita sulla for-ca. Da allora, sino alla Rivoluzione, Lione rimane un fo-colare di rivolta e nel 1789 son nominati elettori i ribellidel 1786.

    Qualche sollevazione riveste carattere religioso, talaltra scoppia invece per resistere all'arruolamento dei

    soldati – (ogni leva di milizie conduceva a disordini,dice in un suo scritto Turgot) – oppure contro i dazi e ledecime. Ma non passa giorno senza sommosse: sono nu-merosissime nell'est, nel sud-est e nel nord-est: focolarifuturi della Rivoluzione. Queste sommosse assumonoun carattere di sempre maggiore gravità e finalmente nel1788, in seguito all'abolizione delle corti di giustizia

    chiamate parlamenti, sostituite però dalle cosidette «cor-ti plenarie», le sommosse si propagano in ogni angolodella Francia.

    Evidentemente, il popolo non trovava grandi differen-ze fra un parlamento e una «corte plenaria». Qualchevolta, è vero, i parlamenti si erano rifiutati di registrare

    gli editti promulgati dal re o dai ministri, ma d'altra par-te, non avevano mostrato nessuna cura degli interessidel popolo. Dal momento però che i parlamenti faceva-no l'opposizione alla Corte, ciò bastava; e allorquandogli emissari della borghesia e dei parlamenti andavano

    continuée par Du Mège, 10 volumi, 1840-1846.

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    tra il popolo a cercarne l'appoggio, il popolo coglieval'occasione propizia per tumultuare e manifestare in talmodo la sua avversione ai ricchi e alla Corte.

     Nel giugno 1787, il parlamento di Parigi divenne po- polare, perchè rifiutò i denari alla Corte. La legge esige-va che gli editti del re fossero registrati dal parlamento eil parlamento di Parigi registrò volontieri gli editti ri-guardanti il commercio dei grani, la convocazione delleassemblee provinciali e la corvée. Ma rifiutò di registra-

    re l'editto che stabiliva nuove tasse, – una nuova «sov-venzione territoriale» e un nuovo diritto di bollo. Allorail re convocò un «letto di giustizia», cioè una sua solen-ne seduta nel parlamento e fece registrare questi editticolla forza. Il parlamento protestò e guadagnò in talmodo le simpatie della borghesia e del popolo. A ogniseduta la folla s'accalcava nei dintorni del palazzo: ama-

    nuensi, sfaccendati curiosi, popolani si riunivano per ac-clamare i parlamentari. Per finirla, il re esiliò il parla-mento a Troyes – ma questa decisione provocò rumoro-se dimostrazioni a Parigi. L'odio del popolo era soprat-tutto diretto – già fin d'allora – contro i principi (in par-ticolare contro il duca d'Artois) e contro la regina, so-

     prannominata Signora Deficit.La Corte dei dazi di Parigi, sostenuta dalla sommossa popolare, unitamente con tutti i parlamenti di provinciae le corti di giustizia, protestò contro quest'arbitrio del

     potere regio, e poichè l'agitazione aumentava, il re fucostretto, il 9 settembre, a richiamare il parlamento esi-liato, la qual cosa provocò nuove dimostrazioni a Parigi,

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    durante le quali il ministro di Calonne venne bruciato ineffige.

    Questi tumulti scoppiavano il più sovente in seno alla

     piccola borghesia. Ma in altri luoghi essi assunsero ca-rattere più popolare.

     Nel 1788, la Brettagna insorse. Allorquando il gover-natore di Rennes e l'intendente della provincia si recaro-no al Palazzo per annunciare al parlamento di Brettagnail decreto col quale lo si aboliva, tutti i cittadini si rove-

    sciarono nelle strade. La folla insultò e malmenò i duefunzionari. Il popolo odiava l'intendente Bertrand diMoleville, e i borghesi ne profittavano per diffondere lavoce che l'intendente faceva tutto: «È un mostro dastrangolare», diceva uno dei bigliettini lanciati tra la fol-la. Quand'egli uscì dal palazzo fu ricevuto a sassate e

     parecchie volte gli venne gettata addosso una corda con

    nodo scorsoio. Un conflitto era imminente, quando – latruppa non potendo più contenere la gioventù – un uffi-ciale gettò la spada e fraternizzò col popolo.

    Tumulti dello stesso genere si verificarono a poco a poco in tutte le parti della Brettagna, e i contadini a lorovolta si sollevarono per l'imbarco dei grani a Quimper,

    Saint-Brieuc, Morlaix, Port-l'Abbé, Lamballe, ecc. È in-teressante a sapersi che gli studenti di Rennes partecipa-rono attivamente ai disordini, associandosi al popolo6.

    6 Du Châtelier,  Histoire de la Révolution dans les départe-ments de l'ancienne Bretagne, 6 vol., 1836, t. II, pag. 60-70, 161,ecc.

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     Nel Delfinato, particolarmente a Grenoble, la solleva-zione ebbe un carattere ancora più grave. Non appena ilcomandante Clermont-Tonnerre ebbe promulgato l'edit-

    to che licenziava il parlamento, il popolo di Grenobleinsorse. Le campane suonarono a stormo anche nei vil-laggi e i contadini si precipitarono in massa nella città.Il conflitto fu sanguinoso, con molti morti. La guardiadel comandante non potè resistere e il suo palazzo fusaccheggiato. Clermont-Tonnerre, minacciato con una

    scure sospesa sulla sua testa, dovette revocare l'edittoregio.Era il popolo – soprattutto le donne – che agiva.

    Quanto ai membri del parlamento, il popolo durò faticaa trovarli. S'erano nascosti e scrivevano a Parigi che lasollevazione era scoppiata contrariamente alla loro vo-lontà. E quando il popolo li ebbe scovati, li tenne prigio-

    nieri, poichè la loro presenza bastava a dare la vernicedella legalità all'insurrezione. Le donne montavano laguardia attorno a questi parlamentari in arresto. Essenon avevano voluto confidarli agli uomini, nel timoreche li rilasciassero.

    La borghesia di Grenoble s'impaurì senza dubbio da-

    vanti a questo movimento popolare e, nel cuor della not-te, essa organizzò la sua milizia, che s'impadronì delle porte della città e dei corpi di guardia che consegnò su- bito alle truppe. I cannoni furono puntati contro la follae dell'oscurità profittarono i parlamentari per fuggire.Dal 9 al 14 giugno la reazione trionfò, ma il 14, essen-dosi saputo che a Besançon dove il popolo era in rivolta,

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    gli svizzeri avevano rifiutato di far fuoco – gli animinuovamente s'eccitarono e fu ventilata l'idea di convoca-re gli Stati della provincia. Nuovi rinforzi di truppe

    giunti da Parigi ristabilirono però la calma. Tuttavia ilfermento, specie fra le donne, continuò ancora per qual-che tempo. (Vic e Vaissete, t. X, p. 637).

    Queste due sollevazioni, menzionate dalla grandemaggioranza degli storici, non furono le sole; altre scop-

     piarono alla stessa epoca in Provenza, Linguadoca, Ros-

    siglione, nel Bearnese, nelle Fiandre, nella Franca Con-tea e in Borgogna. Anche in quei luoghi dove movimen-ti insurrezionali non ci furono, non mancò una certa agi-tazione degli animi, nè mancarono dimostrazioni.

    A Parigi, all'epoca del licenziamento dell'arcivescovodi Sens, si ebbero numerose manifestazioni. Il Ponte

     Nuovo era custodito dalla truppa e parecchi conflitti

    scoppiarono tra la truppa e il popolo, di cui i capi – os-serva Bertrand de Moleville (p. 136), «furono gli stessiche più tardi parteciparono a tutti i movimenti popolaridella Rivoluzione». Bisogna leggere d'altronde la letteradi Maria Antonietta al conte di Mercy – in data 24 ago-sto 1788 – nella quale ella gli parla dei suoi timori e gli

    annuncia il ritiro dell'arcivescovo di Sens e le praticheda lei fatte per il richiamo di Necker, per comprenderelo stato d'animo della Corte davanti a questi commovi-menti di popolo. La regina prevede che il richiamo di

     Necker «indebolirà l'autorità del re»; teme «che si debba

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    nominare un principal ministro»; ma «il momentourge». Necker è divenuto necessario7.

    Tre settimane più tardi (il 14 settembre 1788), allor-

    chè si ebbe notizia del ritiro di Lamoignon, le manife-stazioni si rinnovarono. La folla si lanciò per bruciare lecase dei ministri Lamoignon, Brienne e Dubois. Vennechiamata la truppa e nelle vie Mélée e Grenelle fu«compiuta una orribile carneficina di quegli sciaguratiche non si difendevano neppure». Dubois fuggì da Pari-

    gi. – «Il popolo si sarebbe fatto giustizia da sè», dicono i Deux Amis de la Liberté.Più tardi ancora, nell'ottobre del 1788, allorquando il

    Parlamento, esiliato a Troyes, fu richiamato, «gli scriva-ni e la plebaglia» illuminarono a festa per parecchie seredi seguito la piazza Dauphine. Domandavano soldi ai

     passanti per accendere dei fuochi artificiali. Costringe-

    vano i signori a smontare dalle vetture e a salutare lastatua di Enrico IV. Bruciavano dei fantocci raffigurantiCalonne, Breteuil, la duchessa di Polignac. Poco mancò

    7 J. Feuillet de Conches. Lettres de Louís XVI, Marie Antoi-nette et Madame Elisabeth. Paris 1864, t. I, pag. 214-216. – «L'a- bate vi ha scritto ieri sera, signore, e vi ha esternato il mio deside-

    rio», scriveva la regina. «Credo che più che mai urga il momentoed è proprio essenziale ch'egli [Necker] accetti. Il re è perfetta-mente del mio parere e mi ha or ora apportato, vergate dalla suamano, le sue idee in proposito, delle quali vi mando copia». Al-l'indomani ella riscriveva: «Non c'è più da esitare: se domani puòmettersi all'opera, meglio ancora. È molto urgente... Temo che sidebba nominare un principal ministro» (un capo di gabinetto chesceglierebbe lui stesso i suoi colleghi per comporre il ministero).

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    non si bruciasse in effige anche la regina. A poco a pocoqueste manifestazioni si diffusero in tutti gli altri quar-tieri di Parigi e la truppa fu chiamata a disperderle. In

     piazza di Grève scorse il sangue e caddero dei morti edei feriti. Le persone arrestate se la cavarono con peneleggere, perchè vennero giudicate dai magistrati del par-lamento.

    In questo modo, alla vigilia della grande Rivoluzionesi svegliava e si propagava lo spirito rivoluzionario8. L'i-

    niziativa certo partiva dalla borghesia – specialmentedalla piccola borghesia; ma, generalmente parlando, i borghesi evitavano di compromettersi e, fra di essi, nonmolti furono quelli che prima della convocazione degliStati generali seppero resistere più o meno apertamentealla Corte. Coi loro scarsi atti di resistenza, la Franciaavrebbe certamente atteso per un pezzo il rovesciamento

    del dispotismo regio. Fortunatamente, mille circostanzespingevano il popolo a ribellarsi e sebbene ogni som-mossa avesse un seguito lugubre d'impiccagioni, di arre-sti in massa e di torture inflitte agli arrestati, pure il po-

     polo, esasperato dalla miseria e spronato da quelle va-ghe speranze accennate dalla vecchia che parlava a Ar-

    turo Young, insorgeva. Insorgeva contro gli intendenti di provincia, contro gli esattori delle tasse, contro gli agen-ti del dazio e contro l'esercito stesso, disorganizzando intal modo la macchina governativa.

    8 Per dati più numerosi consultare Félix Roquain, L'Esprit ré-volutionnaire avant la Révolution, Parigi, 1878.

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    Già nel 1788, le rivolte dei contadini si generalizzaro-no tanto che divenne impossibile provvedere alle finan-ze dello Stato e Luigi XVI, dopo aver rifiutato durante

    quattordici anni la convocazione dei rappresentanti dellanazione, nella tema di diminuire l'autorità del re, si videinfine costretto a convocare, dapprima, per due volte,delle Assemblee di notabili e poi gli Stati generali.

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    VI

    GLI STATI GENERALIDIVENUTI NECESSARI

    Per chiunque conosceva lo stato della Francia era evi-dente che non poteva più oltre durare il regime irrespon-sabile della Corte. Nelle campagne, la miseria cresceva,

    e ogni anno aumentavano le difficoltà per ottenere il pa-gamento delle tasse, colpe per forzare i contadini a pa-gare i cànoni ai signori e le numerose corvées al gover-no provinciale. Le imposte assorbivano più della metà equalche volta più dei due terzi del guadagno annuo di uncontadino. L'accattonaggio da una parte e la sommossadall'altra, diventavano lo stato normale delle campagne.

     Non era il solo contadino a protestare e ribellarsi, maanche la borghesia esprimeva ad alta voce il suo mal-contento. Essa approfittava, senza dubbio, dell'immiseri-mento dei contadini per arruolarli nell'industria e si ser-viva della demoralizzazione delle amministrazioni e deldisordine delle finanze per impadronirsi d'ogni specie di

    monopoli ed arricchire con prestiti fatti allo Stato.Ma questo non bastava alla borghesia. Per qualchetempo essa tollerò bene il dispotismo regio e il governodella Corte; tuttavia giunse il momento in cui cominciòa temere per i suoi monopolî, per il denaro prestato alloStato, per le proprietà fondiarie già acquistate, per le in-

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    dustrie costituite – e allora aiutò il popolo a ribellarsi,onde spezzare il governo della Corte e creare il suo pro-

     prio potere politico. È quanto accadde – e lo si vede per-

    fettamente – durante i primi tredici o quattordici annidel regno di Luigi XVI, dal 1774 al 1788.

    Un cambiamento profondo in tutto il regime politicodella Francia s'imponeva evidentemente, ma Luigi XVIe la Corte resistettero così a lungo, che quando il re sidecise ad accordare alcune piccole riforme, non bastaro-

    no ad accontentare la nazione che già pensava a ben altricambiamenti, mentre avrebbero forse potuto contentarlaal principio del regno o anche tra il 1783 e il 1785.Mentre nel 1775, un regime misto di autocrazia e di rap-

     presentanza nazionale avrebbe soddisfatto la borghesiadodici o tredici anni più tardi, nel 1787 e 88 il re si trovòin presenza di un'opinione pubblica, che non voleva più

    saperne di compromessi ed esigeva il governo rappre-sentativo con tutte le conseguenti limitazioni del poteresovrano.

    Abbiamo veduto come Luigi XVI respinse le modesteriforme di Turgot. Solo l'idea di una qualsiasi limitazio-ne del potere regio gli ripugnava. Così le riforme di Tur-

    got abolizione delle corvées, delle giurande e un timidotentativo di far pagare alcune imposte ai due ordini pri-vilegiati, la nobiltà e il clero – non approdarono a nulla.Tutti gli ingranaggi dello Stato sono connessi e necessa-ri gli uni agli altri e tutto, sotto l'antico regime, crollava.

     Necker, venuto poco dopo di Turgot, era più finanzie-re che uomo di Stato; egli aveva la mente corta dei fi-

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    nanzieri che giudicano grettamente le cose. Era bencompetente in materia di prestiti e d'operazioni finanzia-rie; ma basta leggere il suo Pouvoir Exécutif per capire

    come il suo spirito, abituato a ragionare sopra le teoriedi governo e non a districarsi nell'urto delle passioniumane e dei desiderata avanzati a un dato momento inuna società, fosse poco adatto a comprendere l'immenso

     problema economico, politico, religioso e sociale chestava dinanzi alla Francia nel 17899.

    Per queste ragioni, Necker non osò mai parlare a Lui-gi XVI il linguaggio netto, preciso, severo e audace chela situazione imponeva. Egli non gli parlò che assai ti-midamente del governo rappresentativo e si limitò a

     proporre riforme che non potevano risolvere le difficoltà

    9 Du pouvoir exécutif dans les grands Etats, 2 vol., 1792. L'i-dea di quest'opera è che se la Francia attraversava nel 1792 una

    crisi rivoluzionaria, la colpa ricadeva sull'Assemblea nazionaleche non aveva armato il re di un forte potere esecutivo. «Tutte lecose avrebbero più o meno perfettamente seguito il loro corso, sesi fosse diligentemente cercato di stabilire in mezzo a noi un'auto-rità tutelare», dice Necker nella prefazione all'opera sua, e spiegaquindi nei volumi che seguono di quali immensi diritti occorressearmare il potere regio. – È vero che nel suo libro Sur la législa-

    tion et le commerce des grains, pubblicato nel 1776, aveva enun-ciato idee favorevoli ai poveri per protestare contro il libero com-mercio dei grani difeso da Turgot; egli voleva, infatti, l'interventodello Stato nel fissare il prezzo del pane a profitto dei poveri; main questa sola riforma stava tutto il suo «socialismo» governativo.L'essenziale, per lui, era di avere uno Stato forte, un trono rispet-tato e circondato a tale scopo da alti funzionari, e un potere esecu-tivo possente.

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    del momento, nè soddisfare nessuno, mentre acuivanoin tutti il bisogno di un cambiamento fondamentale.

    Il numero delle assemblee provinciali istituito da Tur-

    got, venne aumentato di diciotto da Necker. Queste as-semblee, seguite da quelle di distretto e da quelle di par-rocchia, furono costrette a discutere i più ardui problemie a mettere a nudo le piaghe spaventevoli del potere illi-mitato della monarchia. E poichè le discussioni su tali

     problemi si propagarono fino ai villaggi, esse giovarono

    senza dubbio a minare le basi dell'antico regime. In que-sto modo le assemblee provinciali che avrebbero potutoevitare le rivolte nel 1776, le aiutavano invece nel 1788.Così il famoso  Rendiconto  dello stato delle finanze,

     pubblicato dal Necker nel 1781, pochi mesi prima di la-sciare il potere, fu un altro colpo mortale per l'autocra-zia. Come accade spesso in simili circostanze storiche,

    anche Necker contribuiva a scuotere il regime che giàcrollava, ma non potè poi impedire che il crollo diven-tasse una rivoluzione: probabilmente non la presentivanemmeno.

    Dopo il primo licenziamento di Necker, assistiamo alcrak finanziario dall'81 all'87. Le finanze erano ridotte a

    tal punto che i debiti dello Stato, delle provincie, dei mi-nisteri e anche quelli della casa reale s'accumulavanocon un crescendo inquietante. Da un momento all'altro

     poteva prodursi la bancarotta dello Stato – bancarottache la borghesia prestatrice voleva a qualunque costoevitare. Il popolo ridotto agli estremi della miseria non

     poteva più pagar tasse: non pagava e si ribellava. Quan-

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    to al clero e alla nobiltà, rifiutavano di sacrificarsi nel-l'interesse dello Stato. In tali condizioni l'insurrezionedelle campagne faceva avanzare a grandi passi la Rivo-

    luzione. In mezzo a queste difficoltà, il ministro Calon-ne convocò a Versaglia, il 22 febbraio 1787, un'Assem-

     blea di Notabili.Fu questo un passo errato: fu proprio la mezza misura

    che da un lato rendeva inevitabile la convocazione diun'Assemblea nazionale e, dall'altro, suscitava sfiducia

    verso la Corte e odio contro i due ordini privilegiati, lanobiltà e il clero. Si conobbero allora le cifre spavento-se, per quell'epoca, del disavanzo annuale e del debito

     pubblico della Francia: centoquaranta milioni il primo;un miliardo e seicento quaranta milioni l'ultimo. E que-sto, in un paese rovinato come la Francia! Tali cifre nonsolo impressionarono, ma furono ovunque discusse, e

    quando tutto il popolo si fu pronunciato in merito, i no-tabili scelti nelle classi elevate e rappresentanti un'as-semblea ministeriale, si separarono senza nulla aver de-ciso, senza nulla aver fatto. Durante le loro deliberazio-ni, Calonne fu sostituito da Loménie de Brienne, arcive-scovo di Sens; ma costui, coi suoi intrighi e i suoi atti di

    rigore, non fece che sollevare i parlamenti, provocaresommosse quando volle scioglierli e aumentare ancorail malcontento contro la Corte. Il suo licenziamento (25agosto 1788) fu accolto con gioia da tutta la Francia. Ma

     poichè egli aveva così luminosamente dimostrato l'im- possibilità del regime dispotico, alla Corte non restavache sottomettersi. L'8 agosto 1788, Luigi XVI fu obbli-

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    gato a convocare gli Stati generali e a fissarne l'apertura per il 1° maggio 1789.

    Anche in ciò, la Corte e Necker, richiamato al mini-

    stero nel 1788, non riuscirono che a disgustare la massa.La Francia democratica pensava che negli Stati generali

     – dove i tre ordini sarebbero stati rappresentati separata-mente – il Terzo Stato dovesse avere una doppia rappre-sentanza e che il voto dovesse farsi per testa. Ma LuigiXVI e Necker si opposero e convocarono (il 6 novem-

     bre 1788) una seconda assemblea dei Notabili, cheavrebbe dovuto rigettare il raddoppiamento del TerzoStato e il voto per testa. I Notabili ubbidirono a Neckere alla Corte, ma ciò malgrado l'opinione pubblica eratalmente preparata, in favore del Terzo Stato, dalle As-semblee provinciali, che la Corte e Necker dovettero ce-dere. Il Terzo Stato ebbe la doppia rappresentanza – cioè

    su mille deputati, il Terzo ne avrebbe avuti quanti la no- biltà e il clero riuniti insieme. Insomma, la Corte e Nec-ker fecero quanto fu in loro potere per irritare l'opinione

     pubblica, senza alcun vantaggio. L'opposizione dellaCorte alla convocazione di una rappresentanza naziona-le fu assolutamente vana. Il 5 maggio 1789, gli Stati ge-

    nerali si riunivano a Versaglia.

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    mosi cahiers. Ancora! Se in certi «quaderni» noi trovia-mo parole audaci di rivolta, quanta sottomissione, quan-ta modestia di desiderata, quanta timidità troviamo in

    tutti gli altri! I quaderni del Terzo Stato, dopo aver chie-sto il diritto di porto d'arme e alcune garanzie giudizia-rie contro l'arbitrio degli arresti, non domandano soprat-tutto che un po' più di libertà negli affari municipali 10.Solo più tardi, quando i deputati del Terzo Stato si vide-ro appoggiati dal popolo di Parigi e dai contadini minac-

    cianti l'insurrezione, essi presero un'attitudine più corag-giosa di fronte alla Corte.Per fortuna, il popolo insorse dovunque e l'onda in-

    surrezionale, dai moti provocati dai parlamenti durantel'estate e l'autunno del 1788 s'elevò sino alla sollevazio-ne generale dei villaggi nel luglio e agosto dell'89.

    Abbiamo già detto che la situazione dei contadini e

    del popolo nelle città era tale che un cattivo raccoltosolo avrebbe bastato per rialzare spaventosamente i

    10 Fra le richieste che più tardi eccitarono il furore dei pro- prietari van notate le seguenti: la tassa sul pane e la carne, da sta- bilire secondo i prezzi medii è richiesta da Lione, Troyes, Paris eChâlons. Rennes domanda che «il salario sia periodicamente re-

    golato in base alla quantità dei bisogni dei lavoratori», e parec-chie città chiedono che venga assicurato il lavoro a tutti i poverivalidi. Quanto ai monarchici costituzionali – ed erano numerosi –volevano, secondo il progetto di Cahier général , analizzato daChassin ( Les élections et les cahiers de Paris en 1789, t. III,1889, p. 185), limitare le deliberazioni degli Stati generali allaquestione delle finanze e delle economie da realizzarsi sulle spesedella casa reale e dei principi.

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     prezzi del pane nelle città e per provocare la carestianelle campagne. I contadini non erano più servi, poichèla servitù già da lungo tempo era stata abolita in Fran-

    cia, almeno nelle proprietà private. Dopo che Luigi XVIl'ebbe abolita nei dominii reali (1779), nel 1788 la Fran-cia intera non contava che un milione e mezzo di gentedi mano morta, di cui ottantamila nel Giura. Forse que-ste cifre sono ancora superiori al vero; ad ogni modoquesta gente di mano morta non era serva nel significato

    letterale della parola. La grande massa dei contadinifrancesi da tempo non contava più servi nel suo seno.Ma però continuavano a pagare una specie di riscattodella loro libertà personale con denaro, lavori e corvées.Questi cànoni, pesantissimi e svariati, non erano peròarbitrarî, e venivano considerati come un pagamento peril diritto di possesso della terra, – sia collettivo sia pri-

    vato, sia a podere, e ogni terra aveva i suoi cànoni, cosìnumerosi quanto diversi, consegnati accuratamente neiterriers.

    Inoltre, era stato mantenuto il diritto della giustizia baronale. Di un dato territorio, il signore era giudice onominava i giudici; grazie a questa antica prerogativa,

    egli sfruttava con ogni sorta di diritti personali i suoi ex-servi11. Allorquando una vecchia lasciava alla figlia uno

    11 In un eccellente opuscolo, Les fléaux de l'agriculture, ou-vrage pour servir à l'appui des Cahiers des Doléances des Cam- pagnes, di D..., 10 aprile 1789, si trovano riassunte le cause cheimpedivano lo sviluppo dell'agricoltura, ad esempio: le gravissi-me imposte, le decime «solite» e «insolite» sempre in aumento, i

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    o due alberi o alcune vecchie vesti (per esempio «la miasottana nera, ovattata» – ho visto di questi lasciti), «ilnobile e generoso signore» o «la nobile e generosa don-

    na del castello» prelevavano un loro diritto su questi la-sciti. Il contadino pagava pure il diritto di matrimonio,di battesimo, di sepoltura; pagava un tanto sulle suevendite, i suoi acquisti e il suo diritto di vendere i rac-colti era limitato; egli non doveva infatti precedere il pa-drone. Da ultimo, egli era soggetto a ogni genere di pe-

    daggi per l'uso del mulino, del torchio, del forno comu-ne, del lavatoio, della strada, del guado, pedaggi che sierano conservati dai tempi della servitù, insieme alle ob-

     bligazioni in natura (gravezze): nocciole, funghi, tela,filo, considerate altra volta come doni pei «faustieventi».

    Le corvées obbligatorie variavano all'infinito: lavori

    nei campi del signore, nei suoi parchi, nei suoi giardini,lavori per soddisfare tutti i suoi capricci... In qualchevillaggio v'era perfino l'obbligo di battere durante lanotte l'acqua degli stagni, perchè le rane crocidando nonturbassero i sonni del signore.

    Personalmente l'uomo s'era affrancato; ma tutto que-

    sto reticolato di obblighi, di gravezze, di pagamenti, chesi era a poco a poco costituito, grazie all'astuzia dei si-

    danni della selvaggina per abuso del privilegio di caccia, le vessa-zioni della giustizia baronale. Vi si legge che «i signori sono di-ventati despoti e tengono gli abitanti delle campagne nelle catenedella schiavitù, grazie al privilegio di far giustizia annesso ai feu-di» (pag. 95).

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