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w w w . e d it .h r/ l a v o c e A n n o V I n . 5 4 S a b a to 2 9 m a g g i o 2 0 1 0 cucina Erbe spontanee natura in tavola Q ualche giorno fa in ufficio, scher- zando (ma non tanto) un collega mi faceva notare, anche se fossimo a fine maggio, con il tempo sicuramente non consono a questo periodo dell’anno, di avere voglia di un piatto di “capuzi garbi e loganighe”. Come dargli torto: il fresco di questo periodo, nonostante la carenza di “materie prime invernali”, ci ha indotto a mantenere un menù piuttosto “pesante”. E così, sabato scorso, quella voglia esternata all’ora di pranzo in redazione, l’ho tramu- tata in realtà, per gli ultimi “capuzi garbi” dell’anno. In quanto alle salsicce ho pre- ferito “dare forfait”e insaporire i crauti con della buona pancetta. “Sia maledetto, Satana”, direbbe Francesca, una delle co- miche che nell’équipe di Simona Ventura a “Quelli che il calcio” fa la parte di in- tervistatrice impertinente un po’ svampi- ta. “Siamo alle porte dell’estate, bisogna prepararsi alla prova costume e tu ti metti a mangiare i crauti?”, direbbe con la sua voce stridula e quel tono insolente e accu- satorio al tempo stesso. In effetti avrebbe tutte le ragioni per farlo. Promesso: non si ripeterà. Del resto, anche il sottoscritto non vede l’ora di cambiare menù in cuci- na e dare spazio a sapori e colori dell’esta- te, periodo dell’anno in cui la scelta sulle bancarelle del mercato è più varia, nella nostra alimentazione prevalgono verdura e frutta, con il caldo si tende a mangiare di meno e quindi il corpo non ha bisogno di tante calorie. L’assunzione di calorie è uno dei pun- ti cardine della nostra alimentazione. È la benzina del nostro motore e di conseguenza della nostra salute. A proposito, un recen- te studio pubblicato dalla rivista americana “Science” ha messo in evidenza la connes- sione che c’è tra il numero di calorie assun- te e la longevità di una persona. Nell’arti- colo sono stati mostrati i risultati di una ri- cerca in regime di “restrizione calorica”. Di cosa si tratta? Riduzione delle porzio- ni, calorie tagliate di un terzo, niente dolci, ecc., praticamente un’alimentazione molto drastica. Tutto ciò provoca un rallentamen- to del nostro metabolismo, il nostro “moto- re” funziona a regime di risparmio, i con- sumi si riducono al minimo, ogni energia viene minuziosamente misurata. Adottando questo stile è stato dimostrato che la durata della vita degli organismi unicellulari (lie- viti) si è triplicata, nei moscerini della frut- ta è raddoppiata e nei topolini da laborato- rio si è allungata del 40 per cento. Per l’uo- mo la soglia di restrizione calorica è stata stabilita all’assunzione di 1.600 calorie e i risultati ottenuti dagli scienziati sono stati strabilianti. In un esperimento fatto qual- che anno fa con dei macachi, nel gruppo che si è alimentato normalmente per un pe- riodo di 20 anni, il tasso di mortalità è sta- to del 50 p.c., rispetto al 20 p.c. del gruppo di scimmie che ha avuto un’alimentazione in regime di restrizione calorica. Fra i ma- cachi che non sono sopravvissuti, fra quelli diciamo così a dieta, solo il 13 p.c. (rispet- to al 37 p.c. dell’altro gruppo) è morto per una delle malattie tipiche delle civiltà indu- striali: tumori, diabete e malattie di cuore. Gli autori della ricerca, parlando dell’uo- mo, ritengono che adottando le regole della restrizione calorica, si possono “guadagna- re 30 anni di vita, arrivando a 80-90 anni senza malattie”. Fanno anche notare che pensare a un’equazione “meno cibo=forma migliore” è scorretto, il loro studio tende ad arrivare ad una serie di geni che sono colle- gati al ritmo del metabolismo inseriti in un meccanismo comune a tutti gli organismi per difendersi dalla scarsità di cibo. L’équipe internazionale che ha firmato la ricerca specifica che l’obiettivo primario è stato l’analisi dei segnali che l’ambiente invia alle cellule attraverso il cibo. Quin- di sono state messe sotto esame le reazioni avute dal Dna all’atto dell’adattamento. In- fine hanno cercato di individuare una o più sostanze capaci di agire su questo meccani- smo, da far assumere all’uomo sotto forma di farmaco e produrre lo stesso effetto della restrizione calorica, possibilmente senza ef- fetti collaterali per la salute (cosa molto fre- quente in diversi farmaci dimagranti). L’ANTIPASTO di Fabio Sfiligoi Pagine 4 e 5 Pagina 5 Pagina 2 Meno calorie, ecco l’elisir di lunga vita Pagina 7 Viaggio in Bosnia, non solo ćevapčići Liquirizia, tante proprietà benefiche spesso sottovalutate Pagina 6 I nuovi trend della ristorazione moderna Francia, Spagna e Italia sul podio del mondiale del vino Spuntini: il segreto della piadina è la fantasia Segue a pagina 2 DEL POPOLO DEL POPOLO

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voce Anno VI • n. 54 • Sabato 29 maggio 2010

cucinaErbe spontanee natura in tavola

Qualche giorno fa in uffi cio, scher-zando (ma non tanto) un collega mi faceva notare, anche se fossimo

a fi ne maggio, con il tempo sicuramente non consono a questo periodo dell’anno, di avere voglia di un piatto di “capuzi garbi e loganighe”. Come dargli torto: il fresco di questo periodo, nonostante la carenza di “materie prime invernali”, ci ha indotto a mantenere un menù piuttosto “pesante”. E così, sabato scorso, quella voglia esternata all’ora di pranzo in redazione, l’ho tramu-tata in realtà, per gli ultimi “capuzi garbi” dell’anno. In quanto alle salsicce ho pre-ferito “dare forfait”e insaporire i crauti con della buona pancetta. “Sia maledetto, Satana”, direbbe Francesca, una delle co-miche che nell’équipe di Simona Ventura a “Quelli che il calcio” fa la parte di in-tervistatrice impertinente un po’ svampi-ta. “Siamo alle porte dell’estate, bisogna prepararsi alla prova costume e tu ti metti a mangiare i crauti?”, direbbe con la sua voce stridula e quel tono insolente e accu-satorio al tempo stesso. In effetti avrebbe tutte le ragioni per farlo. Promesso: non si ripeterà. Del resto, anche il sottoscritto non vede l’ora di cambiare menù in cuci-na e dare spazio a sapori e colori dell’esta-te, periodo dell’anno in cui la scelta sulle bancarelle del mercato è più varia, nella nostra alimentazione prevalgono verdura e frutta, con il caldo si tende a mangiare di

meno e quindi il corpo non ha bisogno di tante calorie.

L’assunzione di calorie è uno dei pun-ti cardine della nostra alimentazione. È la benzina del nostro motore e di conseguenza della nostra salute. A proposito, un recen-te studio pubblicato dalla rivista americana “Science” ha messo in evidenza la connes-sione che c’è tra il numero di calorie assun-te e la longevità di una persona. Nell’arti-colo sono stati mostrati i risultati di una ri-cerca in regime di “restrizione calorica”. Di cosa si tratta? Riduzione delle porzio-ni, calorie tagliate di un terzo, niente dolci, ecc., praticamente un’alimentazione molto drastica. Tutto ciò provoca un rallentamen-to del nostro metabolismo, il nostro “moto-re” funziona a regime di risparmio, i con-sumi si riducono al minimo, ogni energia viene minuziosamente misurata. Adottando questo stile è stato dimostrato che la durata della vita degli organismi unicellulari (lie-viti) si è triplicata, nei moscerini della frut-ta è raddoppiata e nei topolini da laborato-rio si è allungata del 40 per cento. Per l’uo-mo la soglia di restrizione calorica è stata stabilita all’assunzione di 1.600 calorie e i risultati ottenuti dagli scienziati sono stati strabilianti. In un esperimento fatto qual-che anno fa con dei macachi, nel gruppo che si è alimentato normalmente per un pe-riodo di 20 anni, il tasso di mortalità è sta-to del 50 p.c., rispetto al 20 p.c. del gruppo

di scimmie che ha avuto un’alimentazione in regime di restrizione calorica. Fra i ma-cachi che non sono sopravvissuti, fra quelli diciamo così a dieta, solo il 13 p.c. (rispet-to al 37 p.c. dell’altro gruppo) è morto per una delle malattie tipiche delle civiltà indu-striali: tumori, diabete e malattie di cuore. Gli autori della ricerca, parlando dell’uo-mo, ritengono che adottando le regole della restrizione calorica, si possono “guadagna-re 30 anni di vita, arrivando a 80-90 anni senza malattie”. Fanno anche notare che pensare a un’equazione “meno cibo=forma migliore” è scorretto, il loro studio tende ad arrivare ad una serie di geni che sono colle-gati al ritmo del metabolismo inseriti in un meccanismo comune a tutti gli organismi per difendersi dalla scarsità di cibo.

L’équipe internazionale che ha fi rmato la ricerca specifi ca che l’obiettivo primario è stato l’analisi dei segnali che l’ambiente invia alle cellule attraverso il cibo. Quin-di sono state messe sotto esame le reazioni avute dal Dna all’atto dell’adattamento. In-fi ne hanno cercato di individuare una o più sostanze capaci di agire su questo meccani-smo, da far assumere all’uomo sotto forma di farmaco e produrre lo stesso effetto della restrizione calorica, possibilmente senza ef-fetti collaterali per la salute (cosa molto fre-quente in diversi farmaci dimagranti).

L’ANTIPASTOdi Fabio Sfi ligoi

Pagine 4 e 5

Pagina 5

Pagina 2 Meno calorie, ecco l’elisir di lunga vita

Pagina 7

Viaggio in Bosnia, non solo ćevapčići

Liquirizia, tante proprietà benefi che spesso sottovalutate

Pagina 6

I nuovi trend della ristorazione moderna

Francia, Spagna e Italia sul podio del mondiale del vino

Spuntini: il segreto della piadina è la fantasia

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2 cucina

VIAGGI

Sabato, 29 maggio 2010

Sarajevo e dintorni: ćevapčići e altro nella gastronomia del vicino Paese

Cosa bolle nel pentolone bosniaco?

Dalla prima pagina

In questo ultimo segmento lo staff ha già allo studio diversi fi to-composti e, se tanto mi dà tanto, l’obiettivo verrà presto raggiunto. Infatti, in America si sta inve-stendo molto in questo campo proprio a causa del diffuso fenomeno della obesità.

Ma cosa dicono le persone che hanno provato la restrizione calorica? Un uomo di Pittsburgh, oggi 45.enne, segue paralle-lamente da 10 anni una dieta vegana e la restrizione calorica (era leggermente so-vrappeso). Stando alla sua testimonianza, i primi 6-9 mesi sono stati molto duri, poi “l’organismo si è abituato”. Dice di man-giare soprattutto frutta e verdura, noci e molto olio d’oliva. Tuttavia, ammette, deve ricorrere a supplementi di vitamina B, cal-cio e ferro. Alla domanda su come si sen-tisse, ha risposto così: “Benissimo dal pun-to di vista mentale. Dieci anni fa avevo un’aggressività e una tensione che ora ho perso completamente”.

di Lucio Vidotto

Paese che vai ćevapčići che trovi. Ci riferiamo, naturalmente ai Paesi nati dall’ex Jugoslavia che dopo gli eventi traumatici de-gli Anni Novanta del secolo scorso continuano a vendere ai turi-sti questo piatto, talvolta spacciato per proprio. C’è chi, durante il periodo in cui i vicini orientali erano considerati come nemici, ha addirittura voluto cambiare il nome ai piccoli cilindri di carne ma-cinata dando loro, soprattutto in Slovenia e Croazia, dei connotati autoctoni. C’è voluto poco per capire quanto sia assurdo proporre un luogo comune con un nome diverso dall’originale volendone nascondere le origini. A dire il vero, si discute ancora sulle vere origini, ma noi siamo propensi a credere che la Bosnia sia in asso-luto quella che insiste sulla tradizione.

Marchio di autenticitàIn quello che è l’Occidente, spesso solo geogra-

fi co dell’ex Stato, non c’è ristorante che nel proprio menù non abbia i ćevapčići nella sua offerta, piatto adorato dai turisti. Dentro c’è solitamente carne di

manzo e/o di maiale, mentre in Serbia talvolta ci met-tono anche quella di pecora. Nella versione “occiden-tale” o in quella serba questo piatto viene servito con cipolla, patate, ajvar e quant’altro possa essere richie-sto dall’avventore di turno. Il tutto anaffi ato, solita-mente, con birra, vino o Coca cola. Noi non siamo qui per discutere dei gusti, ma per raccontare qualche esperienza che a nostro parere, ha tutta l’aria di avere diritto a rivendicare il “marchio di autenticità” per i ćevapčići, senza voler mistifi care nulla.

Come per i buoni vini in Italia o Francia, così in Bosnia ed Erzegovina si lotta per il primato nella pre-parazione tra Sarajevo e Travnik. Ci siamo lasciati in-fl uenzare da quanto trovato su Internet, ma poi abbia-mo cercato delle conferme da parte di “guide locali“, possibilmente sopra le parti.

ĆevabdžiniceIn Bosnia i ćevapčići non sono solo una prelibatezza per i

turisti che, tra l’altro, non sempre sanno distinguere un locale tradizionale. Per quanto possa essere ripugnante per un amante della buona tavola questa espressione, la ćevabdžinica altro non è che un fast food. In quella tradizionale, senza contaminazio-ni occidentali, non c’è alcol, si ordina e una volta mangiato si lascia libero il tavolo, non prima di aver bevuto un bicchiere di latte fermentato, quello che rende il tutto più digeribile. Come le pizzerie serie in Italia, la ćevabdžinica che vuol farsi rispet-tare usa le braci. I ćevapi vengono serviti all’interno del somun (una specie di focaccia), con cipolla e, eventualmente con il kaj-mak (formaggio cremoso diverso da quello che troviamo in Ser-bia). Cosa c’è dentro? Lo abbiamo chiesto al cuoco del locale Hodžić, a pochi passi dalla Baščaršija, gestito da un ex calcia-tore dello Željezničar che ha giocato in Belgio e in Turchia fi no agli Anni Ottanta. “Solo carne di vitellone e un po’ di sale”; ci è stato risposto. Un’ulteriore conferma è arrivata allo “Željo”, altro locale indicato da tutti, sui forum e dalla gente di Sarajevo, che sia un giovane cameriere di un pub di tipo irlandese o di un fabbro che fabbrica souvenir nel cuore della Baščaršija. C’è lo “Željo 1“ e “Željo 2“, ma non si sbaglia comunque. A Travnik, siamo andati a trovare “Hari“, stesso trattamento e stessa quali-tà. È solo questione di gusti.

CotturaNell’ordinare, occorre precisare la quantità di ćevapi, cioè 5

o 10. Inoltre, è indispensabile sottolineare, se questi sono i vo-stri gusti, di volerli ben arrostiti. In caso contrario noterete al loro interno che sono un po’ crudi. Non si tratta di un errore o del cuoco che ha fretta, bensì del fatto che vanno mangiati an-che, o soprattutto così. Avete paura del rischio di intossicarvi? La ćevabdžinica che tiene alla propria reputazione e che paga migliaia di euro l’affi tto nella zona più tradizionale e prestigio-sa non rischia nulla. Il solo fatto di offrirvi i ćevapi all’apparen-za crudi è un’ulteriore garanzia che la carne è fresca. Semmai, occorre diffi dare se vengono serviti diversamente. Questi parti-colarissimi fast food aprono anche alle 8 del mattino, per la pri-ma colazione. Noi ci siamo adeguati, senza conseguenze e con il gusto di cipolla neutralizzato dapprima dal latte e quindi dal caffè turco, che qui preferiscono chiamare “bosniaco”, accom-pagnato dal rahatluk, dolcifi cante aromatizzato, anche ai peta-li di rosa, da mordicchiare e sciogliere in bocca con il caffè. Se per i ćevapi parliamo di fast food, per il caffè vale il principio opposto. Si fa tutto con estrema calma, senza alcuna fretta, non come siamo abituati con l’espresso italiano.

Festival del ciboSe i ćevapi sono troppo lontani da quelle che sono le vostre

abitudini appena svegliati, ci sono dolci diversi, ma anche il burek che in Bosnia è pasta sfoglia con carne macinata. Dalle nostre parti il burek è anche con il formaggio. In Bosnia, inve-ce, c’è la variante con il formaggio fresco chiamata “sirnica“, quella con gli spinaci chiamata “zeljanica” e la “tikvenica” con la Zucca. Per il modo in cui sono concepiti, in molti riten-gono che da queste ricette sia nato lo strudel.

A Sarajevo ci sono i ristoranti nazionali, tradizionalissi-mi, ma con meno fascino rispetto a un’”Aščinica“, dove tut-ti i giorni vengono offerti piatti tipici a prezzi modici. Più o meno come nelle nostre vecchie osterie dove si può mangiare un piatto di trippe o di pasta e fagioli, qui c’è il meglio della cucina popolare bosniaca. La cosa bella è che tra le pietanze nella vetrinetta non è necessario sceglierne una. Per un ospite curioso c’è la possibilità di assaggiare tut-to, dalla Begova čorba al Bosanski lonac, dalle cipolle ai pomodori ripieni. Sapori e aromi talvolta possono sembrarci stra-ni o quantomeno insoliti, ma per chi non ha pregiudizi e il palato disposto a nuove esperienze è un vero festival. Spesso in-contriamo la bamija (in italiano abelmo-sco), pianta della famiglia delle malvacee originaria dell’Egitto, con i semi ricchi di fi bre e un notevole regolatore per la dige-stione. Da qualche tempo troviamo questa assoluta prelibatezza anche nel mercato di Fiume.

Per il dessert abbiamo ritrovato un posto che conoscevamo già, visitato pri-ma della guerra e immediatamente dopo la fi ne degli eventi bellici. La pasticce-ria Egipat non è l’unica e nemmeno la più grande e famosa, ma la “tufahija” o la “baklava” (con le noci nella versione tur-ca o con le mandorle in quella greca) qui sono una garanzia. Basta avere la possibi-lità e la volontà di spendere le calorie ac-cumulate.

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cucina 3Sabato, 29 maggio 2010

In margine al Festival delle erbe spontanee di Chersano

Ritorno alla natura e alla tradizione alimentare

REPORTAGE

In Istria e Croazia le erbe spontanee com-mestibili vanno di moda. Si usano sem-pre di più in cucina e in cosmesi, ma

suscitano un grande interesse pure nel loro ambiente naturale, dove vengono raccolte da un numero sempre maggiore di amanti della natura e del vivere sano. È quanto si è potu-to evincere dal Festival delle erbe spontanee che l’Ente turistico del comune di Chersano ha organizzato per la prima volta dal 23 al 25 aprile scorsi in collaborazione con l’ammi-nistrazione comunale nonché Communico e Mark gruppo.

Tradizionale ed esoticoLa manifestazione si è svolta nell’ambi-

to della Festa della primavera, la festa di San Giorgio, che è, tra l’altro, patrono di Fiano-na. La maggior parte degli appuntamenti or-ganizzati in seno al festival ha avuto luogo nell’area del Centro sportivo-ricreativo di Pristav, dove sotto un tendone, nei tre giorni del festival sono stati presentati vari prodotti autoctoni e non solo. Un gruppo di ristorato-ri attivi nel comune di Chersano hanno pre-parato specialità tipiche con erbe selvatiche, mentre gli esperti, tra cui nutrizionisti ed er-boristi, di diverse parti della Croazia, hanno parlato su vari temi relativi alle erbe spon-tanee.

È stata, dunque, una bellissima occasio-ne per avere tutte le informazioni necessarie sull’utilizzo di erbe selvatiche per vari scopi. E così pure per copiare qualche ricetta sem-plice. Ad esempio, quella per il companatico spalmabile con erba cipollina, che si poteva assaggiare durante la manifestazione. La pre-parazione è tutt’altro che complicata. Come ci dirà la cuoca di turno, Miranda Gržinić, basta un chilo di formaggio fresco e un etto di erba cipollina per avere il companatico de-siderato. Ancora più semplice risulta essere l’impanatura e la frittura di denti di leone, fo-glie di alloro e persino pratoline. Basta dare alle piante e ai fi ori, dopo la raccolta, una la-vata e fornirsi della miscela per l’impanatu-ra con farina, uova e un po’ di sale, e a ciò va aggiunto, ci ha consigliato Elza Lipnik, una goccia di acqua minerale frizzante. “Così sa-ranno perfettamente croccanti”, ci spiega la Lipnik che al festival cucinava con Mario

Licul e Morena Matas. Lo stesso menu lo preparavano, assistiti da Licul, i cuochi più giovani del festival, gli alunni della locale fi liale della Scuola elementare “Ivan Go-

ran Kovačić” di Cepic, che erano i cuochi di turno per un paio di ore il secondo giorno

della manifestazione. I visitatori più giova-ni, che preferiscono il dolce a qualsiasi ver-dura e alimento che le assomiglia, hanno di-mostrato un interesse più grande per fritole e “palacinke” che a uno degli stand a Pristav si preparavano con una serie di erbe spontanee, tra cui salvia, fi co, menta, ortica.

Lo stand più esotico è stato, senza dub-bio, quello della casa del tè “Natura” di Spa-lato che, oltre a vari tè locali, offre circa 400 erbe da tè provenienti da Cina, Giappone e Sudafrica. A Chersano si sono potute assag-giare le loro praline alle varie erbe, come pure bocconcini di pollo al tè bancha, che con la loro decorazione richiamavano alla mente le diffusissime immagini degli extra-terrestri.

Tra tavolo, stand e raccolta

Sorprese non sono mancate nemmeno agli stand dei produttori istriani. Come, ad esempio, a quello della famiglia Komparić di Pola. Secondo quanto ci ha confermato

Štefi ca Komparić, la produzione familiare è incentrara negli ultimi 3 anni su marmella-te di fi chi, semplici e con l’aggiunta di noci, timo, salvia, arancia, mandorle e cannella. Tra i prodotti Komparić pure alcuni oli extra-vergine, tra cui un mix di leccino, pendolino, bianchera istriana e busa. Al festival a Cher-sano le marmellate è il prodotto che ha avuto pià successo.

Il locale apicoltore Klaudio Peteani si è presentato con i prodotti di miele alla cui nascita contribuiscono suo padre Armando,

che ha iniziato la tradizione familiare legata all’apicoltura e alla produzione di miele nel 1946, e suo fi glio Danijel. Tutti e tre si occu-pano di 100 alveari a Cosliaco, nel comune di Chersano. Tra i loro prodotti che si sono potuti acquistare al festival di Chersano da sottolineare il millefi ori, con il quale all’edi-zione 2009 della manifestazione internazio-nale a Zagabria “Medeno u Zagrebu” la fa-miglia ha vinto l’oro, e il loro miele di salvia, per il quale le è stato aggiudicato nella mede-sima occasione l’argento. Attirati dal profu-mo della lavanda, ci siamo spostati allo stand vicino, dove Ljubica Sošić di Chersano ha promosso i prodotti di lavanda della sua fa-miglia. È stata, come ci ha detto, una delle prime promozione della lavanda Sošić, pian-tata 3 anni fa e coltivata su una superfi ce di circa 8.000 metri quadrati. “Avevamo questo terreno che volevamo utilizzare per qualche cosa. Alla fi ne abbiamo deciso di usarlo per la coltivazione della lavanda. Per me oggi che sono in pensione è un bellissimo passa-tempo”, ha detto la Sošić. Molto impegnato al festival di Chersano è stato il noto erbori-sta di San Pietro in Selve, Franko Zgrablić. Oltre a uno stand che gestiva con la fi glia e la moglie, Zgrablić è stato pure uno dei relato-ri. Parlando a Chersano sul tema delle “Erbe spontanee nei piatti autoctoni dell’Istria”,

Zgrablić ha sottolineato che, dal punto di vi-sta botanico, l’area dell’Istria centrale è mol-to attraente per la particolarità dell’incontro del clima mediterraneo e di quello continen-tale. “È quasi impossibile – ha detto – trovare una tale simbiosi in Europa. Per cui non sor-prende che le famiglie istriane usano da se-coli a scopi culinari verdura spontanea, come ortica, dente di leone, papavero o asparagi, ed erbe aromatiche, quali lavanda, salvia, ro-smarino o alloro”.

Come e dove raccogliere erbe e verdure spontanee, e che cosa, quali parti della pianta raccolta, usare in cucina, Zgrablić lo ha dimo-strato e raccontato a più di 80 persone che han-no partecipato, sempre nell’ambito del pro-gramma del festival, a due raccolte guidate. Entrambe si sono svolte nei boschi tra Vosilli e Fianona, nei pressi della salita per la località Grbac. Tutti i partecipanti, tra cui pure, come ha detto Zgrablić, un bookman, ovvero una persona con un libro su erbe spontanee – un “must-have” durante la raccolta, hanno avuto prima dell’inizio della raccolta un bastone, una borsa e un erbario vuoto, in cui dopo una pas-seggiata di due ore sono fi nite le erbe trovate strada facendo. “Sono gli inizi del turismo bo-tanico”, ha dichiarato Zgrablić nell’evidenzia-re il potenziale turistico del festival e del terri-torio del comune di Chersano.

di Tanja Škopac

Elza Lipnik con Mario Licul e Morena Matas

Miranda Gržinić: l’aglio orsino con pancet-

ta e lardo può essere usato per il pesto

Franko Zgrablić durante la raccolta di erbe con uno dei gruppi

Ljubica Sošić

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Qualcosa sta cambiando nella cucina internazionale, oseremmo dire una “piccola grande rivoluzione”. Non

tanto perché perché la nona edizione del “San Pellegrino World’s 50 Best restauran-ts” ha attribuito il primo posto al “Noma” (gioco di parole tra “nordisk” – nordico – e “mad” – cibo) di Copenaghen e al suo chef René Redzepi, ma soprattutto per una nuo-va concezione della ristorazione che trion-fa grazie a essenzialità e semplicità, materie prime a chilometro zero, sapori netti e ance-strali, naturalità assoluta. Panne, salse, vellu-tate, spume, non sono assolutamente più at-tuali (questo può essere anche un messaggio ai nostri ristoratori che vogliono “viaggiare” in prima classe). L’artefi ce ne è proprio Red-zepi, 33 anni a dicembre, danese fi glio di pa-dre albanese emigrato dalla Macedonia, in-trodotto alla vocazione del cuoco grazie alla buona volontà di un amico che gli ha pagato il primo corso.

IlluminazioneCosa ha fatto per diventare noto in tutto

il mondo? Quando aveva 25 anni seppe che le autorità di Copenaghen avevano intenzio-ne di restaurare una parte dei docks di Chri-stianshavn, dove un tempo venivano lavorate le carni di balena o messe sotto sale tonellate di aringhe, inserendovi un locale dalla cuci-na che richiamasse in qualche modo la (poco nota) cucina danese. Redzepi mollò il posto dove lavorava e si mise a girare i Paesi nor-dici, dalla Groenlandia alla Finlandia per ca-pire cosa potevano offrire a livello di carne e pesce, frutta e verdura: “Non volevo fare l’ennesima copia di un ristorante francese o un fusion asiatico, ma imboccare una stra-da totalmente nuova. Così decisi che tutto doveva arrivare dal Nord, renne e buoi mu-schiati, granchi e aragoste delle Far Oer, tar-tufi del Gotland, germogli di felce o trifoglio, anatre delle nostre paludi”, ha detto in una delle tante interviste rilasciate dopo i risul-tati del “San Pellegrino award”. “La nostra forza è stata quella di avera molta pazienza – ha spiegato in occasione della premiazione –. Abbiamo fatto un lavoro certosino (conta uno staff di 25 persone, nda) e non abbia-mo commesso l’errore di ritenerci soddisfatti fi nché non abbiamo trovato dei nuovi sapori per la nostra regione. All’inizio, con l’idea di aprire un ristorante di cucina nordica, la gen-te si è messa a ridere. Perché quando si par-la di cibo tutti pensano che a sud del nostro confi ne tutto sia più buono. Io dico, forse l’ho anche dimostrato, che non è così. Anche noi abbiamo i nostri assi nella manica e soprat-tutto non vorrei parlare di ‘buono’ o ‘cattivo’, ma di diverso”.

Ingredienti nuoviNella sua caccia spietata a nuovi sapori

Redzepi ha interpellato soprattutto gli anzia-ni per conoscere la storia del cibo nel Nord Europa. E poi ha fatto indigestione di... pol-vere sfogliando pagine e pagine di libri di cu-cina sepolti nelle biblioteche dei musei. Dal menù sono così spariti tutti quegli ingredien-ti noti ormai a tutti i buongustai del mondo. È stato dato assoluto spazio a ingredienti lo-cali e tradizionali (per lo più sconosciuti nel mondo), usati, è vero, per ricette moderne, con frequente utilizzo di prodotti biologici. Chi ha avuto la fortuna di sedersi al “Noma” ritiene straordinarie le capesante secche con noci amare di faggio, il tartufo di Gotland su pelle di latte e l’orzo cotto con lo sciroppo di betulla. Poi ci sono le ostriche al crescio-ne con cereali biodinamici e ancora noci di faggio amare. “Quello di cui ho paura – ha ammesso Redzepi alla Reuters – è di perdere ispirazione e creatività in cucina. Il giorno in cui ‘cucinerò con il pilota automatico inseri-to’ capirò che è il momento di lasciare”. E se qualcuno pensa di trovarsi davanti un locale di lusso, sbaglia di molto. Ricorda moltissi-mo le nostre “konobe” (è un fattore comune a tutti i primi tre ristoranti della classifi ca): è un ambiente caratteristico, rustico, ma elegante,

raffi nato e molto curato nei dettagli, con sale caratterizzate da legno di quercia (in grande evidenza i travertini) ed eleganti abbinamenti di vetro, pietra e pelle.

OriginalitàOvviamente mangiare nel miglior risto-

rante del mondo costa, ma non pensate a ci-fre stratosferiche: con 100-120 euro si può provare un’esperienza culinariamente unica. Per tutti questi motivi gli esperti hanno tro-vato straordinario il coraggio di Redzepi, ol-tre che all’indiscutibile talento. Anche i col-leghi gli riconoscono una forza di “espressio-ne artistica”. Grazie a questa ricetta vincente il “Noma” ha iniziato a essere meta di un tu-rismo gastronomico (in taluni casi è meglio parlare di pellegrinaggio) che lo ha portato ad essere insignito del titolo di miglior ristoran-te al mondo, scalzando dal trono quel Ferran Adrià (“El Bulli”, Spagna) che ha probabil-mente “pagato” lo scotto per la polemica sul-l’uso di additivi in cucina, polemica che gli ha consigliato di prendere una pausa di rifl es-sione dalla cucina di un paio d’anni. E dire che di Adrià, Redzepi ha frequentato diver-si stage, oltre che a lavorare in Francia, cosa

che gli ha permesso di conoscere i segreti di quella cucina. Ma forse tutto questo non gli piaceva e non gli permetteva, soprattutto di essere originale, credo la cosa più importante a cui ambisce uno chef, oltre che al successo e a un ristorante sempre pieno.

Giovani cuochi cresconoLa classifi ca “San Pellegrino” è risulta-

to di un voto di oltre 800 cuochi, gourmet e giornalisti enogastronomici di 26 aree geo-grafi che. Come ogni classifi ca (compresa an-che la più nota ”Michelin”) lamenta qualche limite, secondo noi soprattutto perché è im-possibile “sezionare” ogni ristorante. Ma la classifi ca ha una grande risonanza mediatica internazionale perché in un certo senso testi-monia la tendenza della ristorazione moder-na: “La lista tanto movimentata di quest’an-no dimostra chiaramente che non si tratta di un elenco statico di ristoranti affermati – ha detto in occasione del Gran Gala Paul Woot-ton, editore di “Restaurant Magazine”, la ri-vista che organizza i premi - ma di una guida a colpo d’occhio dei migliori talenti della ri-storazione mondiale. I consumatori potranno discutere animatamente su ciò che fa di un

ristorante un buon ristorante o un pessimo ristorante e naturalmente le opinioni posso-no divergere, ma questa classifi ca conferma i trend più diffusi sullo scenario mondiale e segnala la rotta per l’anno successivo. Que-st’anno più che mai è una classifi ca che ap-

passiona e che evidenzia soprattutto il gran numero di chef giovani e dinamici, portatori di nuove idee nel mondo della gastronomia. La presenza di René Redzepi in cima alla classifi ca dimostra che i membri dell’Aca-demy che hanno espresso il loro voto desi-derano esprimere il loro apprezzamento per questa nuova ondata di talenti che stuzzicano chi gode già di una fama internazionale più consolidata”.

“Plavi podrum” 81.esimoIl “medagliere” vede gli Stati Uniti con il

maggior numero di ristoranti tra i “cinquan-ta”, ben otto locali. Poi la Francia con sei, Italia e Spagna a pari merito con cinque, poi Germania e Regno Unito con tre ciascuno. Nove sono le new entry: “Schloss Schauen-stein” in Svizzera (30), “Aqua” in Germana (34), “De Librije” in Olanda (37), “Jaan par Andre” in Singapore (39), “Il Canto di Sie-na” in Italia (40), “Biko” in Messico (46), “Nihonryori RyuGin” in Giappone (48), “Hibiscus” in GB (49) ed “Eleven Madison Park” negli Stati Uniti (50). Tra le conferme della classifi ca (è la seconda volta), anche se non è entrato nei Top 50, c’è anche il “Pla-vi podrum” di Volosca di Danijela Kramarić, classifi cato all’81.esimo posto, un migliora-mento di tredici posizioni rispetto a due anni fa. “In classifi ca trovano posto ristoranti di tutti i tipi – ha detto la proprietaria del “Plavi podrum” – ed è per questo che ritengo sia de-cisiva la personalità che un locale è capace di esprimere attraverso i piatti che propone. Noi abbiamo la fortuna di vivere in una Regio-ne in cui gli ingredienti tipici sono di elevata qualità. Se poi ci metti passione, dedizione e

un’équipe all’altezza, il risultato è garantito”. Magari se gli esperti di “Restaurant Magazi-ne” venissero più spesso dalle nostre parti, il locale voloscano non sarebbe l’unico della Regione in graduatoria. L’invito è esteso.

Il medagliere del “Campionato del Mondo” del settore vino e alcolici, esito della competizione tra quasi 7.000 etichette in concorso e provenienti da tutto il mondo, ha eletto i vincitori tra i concorrenti scesi in campo a Palermo in una vera e propria edizione dei record. I risultati del Concours Mondial de Bruxelles 2010 (questa la de-nominazione ufi ciale) rappresentano, ol-tre che un prestigioso fregio per le azien-de produttrici premiate, un’utile mappa per orientarsi tra quelle che sono le affermate eccellenze dell’enologia mondiale e tra gli sviluppi e le nuove tendenze del gusto in-ternazionale.

La composizione del podio rimane inva-riata rispetto all’edizione 2009 di Valencia. La Francia anche quest’anno si conferma primatista assoluta del “Concours” con 606 medaglie (401 argento, 191 oro, 14 Gran Medaglia d’Oro) ottenute da 2.277 campio-ni presentati. Una performance considere-vole, quindi, quella del secondo produttore mondiale di vino, sia per il numero di cam-pioni presentati che per la qualità riscon-trata e premiata dalle giurie. Al secondo posto la Spagna con 378 medaglie (225 A, 136 O, 17 G) su 1.394 etichette presentate. È spagnola anche la più abbondante colle-zione di Gran Medaglie d’Oro, ben 17, su-perando di una medaglia il primato, sempre spagnolo, dell’anno scorso. L’Italia ospite del “Concours 2010” si conferma al terzo posto con 228 medaglie (134 A, 89 O, 5 G) aggiudicate su 949 etichette inviate per le degustazioni. Ben 45 medaglie in più ri-spetto al 2009.

Di rilievo la prestazione del Cile che per numero di medaglie - 158 complessi-ve (80 A, 68 O, 10 G) - si colloca al quinto posto nel ranking mondiale, dopo il Porto-gallo che si attesta a quota 177 (107 A, 65 O, 5 G). Oltre a questo ottimo piazzamento il paese sudamericano può vantare 10 Gran Medaglie d’Oro: il doppio rispetto al botti-no dell’anno scorso. Sorpassate quindi, ri-spetto a questa onorifi cenza, Italia e Porto-gallo che entrambe mettono in bacheca 5 Gran Medaglie.

Altro Paese emergente che conquista un eccellente risultato è il Sudafrica che con le sue 80 medaglie (45 A, 33 O, 2 G) si scopre al sesto posto. Infi ne andando ad osserva-re l’esito riguardante il Lussemburgo, Pae-

se ospitante dell’edizione 2011 del “Con-cours”, troviamo ben 31 medaglie totali (24 A, 6 O, 1 G): dieci medaglie in più rispetto all’anno precedente, comprensive anche di una Gran Medaglia, di buon auspicio per la prossima edizione, sicuramente ancor più ricca di impegni e di soddisfazioni per que-sto piccolo paese produttore concentrato nelle valli della Mosella.

Eccellente la partecipazione e i risulta-ti ottenuti dai produttori sloveni che hanno totalizzato cinque medaglie d’oro (più due d’argento): Chardonnay Gomila Exclusive 2008, Sauvignon Jeruzalem Ormož 2009, Traminec Jeruzalem Ormož 2009, Riesling Renano Pullus 2008 e Sauvignon Pullus G 2009. Per la Croazia da citare una medaglia d’argento al Riesling Renano Bolfan Pri-mus 2008

A titolo indicativo, ecco i punti percen-tuali che corrispondono ai premi medaglia del Concours Mondial de Bruxelles 2010: 96-100 Gran Medaglia d’Oro, 87-95,9 Medaglia d’Oro, 85,4-86,9 Medaglia d’Ar-gento.

Nel complesso i 6.624 vini e 340 alcoli-ci in concorso, giudicati da 275 degustato-ri in rappresentanza di 40 Paesi, hanno re-

gistrato un sensibile aumento della qualità, con un incremento del punteggio medio del 1,2 p.c.. Questo ha reso indispensabile au-mentare il punteggio minimo per l’assegna-zione della medaglia d’argento che è stato sollevato fi no al 85,4 punti. Operazione ne-cessaria al fi ne di rispettare il regolamento del concorso che prevede che il totale dei vini medagliati non possa superare, in nes-sun caso, la quota del 30 p.c. dei vini in concorso. Meno dell’1 p.c. dei vini e alco-lici in gara hanno ottenuto la Gran Meda-glia d’Oro. Tra questi che hanno ricevuto la massima onorifi cenza sono state distinte le sei etichette che hanno ottenuto il punteg-gio più alto in assoluto nella loro categoria, realizzando la lista dei sei più prestigiosi ri-conoscimenti del concorso:

miglior spumante: Champagne Ba-ron-Fuenté Grand Cru Brut (Francia)miglior bianco: Viu Manent Char-donnay Reserva 2009 (Cile)miglior rosé: Casal da Coelheira Rosé 2009 (Portogallo)miglior rosso: Michel Torino Don David Tannat 2008 (Argentina)miglior vino dolce: Lustau Solera Reserva Pedro Ximénez San Emilio (Spagna)miglior superalcolico: Tequila Espolón Reposado (Messico)

Il Concours Mondial de Bruxelles ha sviluppato un sistema molto preciso per defi nire la precisione, la coerenza e la ri-petibilità del giudizio dei propri degusta-tori. Questo strumento di valutazione è stato messo a punto in collaborazione con l’Istituto di statistica dell’Università Cat-tolica di Louvain. Il “Concours Mondial de Bruxelles” è stato inoltre la prima gara internazionale ad avere attuato un valido e costante controllo, dopo le giornate del-la degustazione, dei campioni premiati al fi ne di garantire la legittimità dei risultati. Infatti, dopo il concorso, una certa quantità di campioni premiati vengono sottoposti ad analisi chimico fi siche e sensoriali allo sco-po di compararli al prodotto immesso sul mercato. Infi ne, l’organizzazione generale del Concours e tutti i campioni partecipan-ti sono stati soggetti al controllo annuale da parte del servizio pubblico federale belga dell’economia.

5Sabato, 29 maggio 2010

«Noma», è danese il miglior ristorante al mondo: qualcosa sta cambiando nella cucina internazionale

La nuova via della ristorazione moderna

4 Sabato, 29 maggio 2010

REPORTAGE

cucina

di Fabio Sfi ligoi

Campionato mondiale per vini e superalcolici

Francia, Spagna e Italia sul podio iridato di Palermo

René Redzepi, lo chef del “Noma”. La sua équipe al ristorante conta 25 persone

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SPUNTINISPUNTINI

Sabato, 29 maggio 20106 cucina

Farina, strutto, sale e acqua per fare il simbolo della Romagna

Piadina, il segreto è... la fantasiaTra i tanti spuntini che ci vengono proposti ce n’è uno

meno noto dalle nostre parti, ma non in Romagna, da dove proviene e dove è uno dei simboli di questa

bellissima regione italiana. Stiamo parlando della piadina, Giovanni Pascoli la defi nì il “pane rude di Roma”, una spe-cie di “palacinca” più spessa (per dirla alla nostrana) che si può farcire a piacimento. Sembra di poterci “infi lare” di tutto, o meglio, detto con più eleganza, di poterla farcire come la mente, lo stomaco e i gusti più sfrenati suggerisco-no. E in effetti è proprio così, non esistono ingredienti che

non sposano bene con la piadina ripiegata su se stessa, oppure tra due più piccole e quel che con-ta è semmai avere una piastra in cui schiacciar-la bene bene, perché nel forno si gonfi a in modo anomalo. La piadina non si presenta ovunque uni-forme: ad esempio, la piadina forlivese, cesenate e ravennate è più spessa (per alcuni sa più di pane, in-somma), mentre nel riminese (piada) tendono a sten-derla molto sottile; quella pesarese, chiamata anche cre-scia o crostolo nell’entroterra, è sfogliata e saporita.

PreparazioneLa preparazione della piadina è molto semplice.

Si basa su un’ impasto privo di lievito: farina, strut-to, sale, acqua. A seconda delle tradizioni le ricette possono essere diverse, gli ingredienti possono va-riare, può essere aggiunto del latte, dell’olio di oli-va o del bicarbonato, per rendere la pasta più friabi-le e soffi ce.

In una ciotola versate la farina unite lo strutto, il sale, e l’acqua tiepida necessaria ad ottenere un im-pasto consistente e sodo ma lavorabile. Manipola-te il tutto per una decina di minuti affi nchè tutti gli ingredienti si mescolino per bene, infarinate la cio-

tola e copritela con un panno umido e mettete a ri-posare l’impasto per mezz’ora. Dopodiché dividete l’impasto in palle da circa 180 grammi l’una, questa quantità di impasto vi servirà per ottenere 4 piadine del diametro di 25 centimetri circa. A questo punto stendete con il mattarello infarinato i dischi sottili (dovranno essere spessi circa 3 millimetri). Per riu-scire ad avere un bordo liscio, aiutatevi ritagliando la pasta con un piatto o con un altro oggetto di for-ma circolare. Fate scaldare una padella anti-aderen-te (ideale sarebbe la pietra refrattaria) e fate cuoce-re le vostre piadine da entrambi i lati. Una volta che saranno cotte, potete farcirla con tutti gli ingredienti che preferite e secondo i vostri gusti.

FarcituraLa piadina si imbottisce in mille modi:

con affettati come prosciutto, mortadella, sa-lame, lardo ecc., oppure con gorgonzola e rucola, con insalata di radicchio e cipolla fre-sca, oppure farcita con pomodori e melanzane alla griglia, con la verza nel periodo inverna-le, oppure con erbette di campo tutto l’anno. E ancora può diventare un dolce, oppure tra-sformarsi per essere addentata anche dai più convinti vegetariani sostituendo il tradizionale strutto con l’olio d’oliva o latte di soia. Ideali per tutte le occasioni, i rotolini di piadina fan-no sempre una buona riuscita, sono buoni da mangiare e belli da vedere, si possono prepa-rare in anticipo e sono personalizzabili al mas-simo, più di cosi....

OriginiLa storia della piadina romagnola ha origini antichissime e risale

niente di meno che al periodo degli Etruschi i quali usavano prepara-re una pastella con i cereali, che veniva poi cotta con una forma tonda e farcita con verdure o salse oppure utilizzata come una sorta di pane. Dopo la conquista romana dell’Etruria, molte ricette vennero ingloba-te nella tradizione romana e tra queste c’era anche la piadina che iniziò ad essere consumata anche nell’antica Roma negli ambienti più raffi -nati. Anche qui, l’antenata della piadina odierna, veniva consumata con un ripieno a piacere o come sostitutivo del pane anche se doveva essere consumata in fretta perché dopo poche ore, a causa della cottu-ra inadatta, diventava talmente dura da essere immangiabile. La pri-ma testimonianza scritta della piadina risale al 1371. Nella Descriptio Romandiolae, il cardinal Legato Anglico de Grimoard, ne fi ssa per la prima volta la ricetta: “Si fa con farina di grano intrisa d’acqua e con-dita con sale. Si può impastare anche con il latte e condire con un po’ di strutto”.

La piadina sopravvise fi no al medioevo quando, a causa delle tas-se sul pane e delle quote di grano da versare al signorotto di turno, il pane divenne sempre meno consumato a favore di queste focaccine che potevano essere preparate anche con farina di altri cereali. È in-vece nel Rinascimento che la piadina inizia a subire un declino molto pronunciato a causa delle nuove tendenze culinarie che si andavano a sviluppare nelle scuole di cucina del tempo. Per molti anni la piadi-na rimase quindi il semplice pasto dei contadini e della povera gente che non poteva permettersi qualcosa di più e doveva accontentarsi dei prodotti della terra.

LeggendaC’è una leggenda bizantina dove

oltre alla piadina sarebbero protago-nisti un generale dell’impero Romano d’Oriente, Belisario (metà VI sec.) e la sua sposa Antonina.

Si racconta che Belisario, durante l’assedio di Ravenna, capitale dei Goti, la notte prima della mossa decisiva sa-rebbe stato sentito sospirare dalla mo-glie, sollevando gli occhi dalle mappe di guerra: “Ah, se solo riuscissi a met-terci un piede!”. Fu così che Antonina, per stimolare le idee del marito, chia-mò le ancelle in cucina, fece accendere il fuoco, e comandò di impastare farina, sale, acqua e strutto. Quando il compo-sto fu pronto gli fece dare la forma del piede, e ordinò di cuocerlo sulla pietra. La focaccia, farcita con carne secca di maiale, olio e aromi d’oriente, rifocil-lò così bene Belisario da ispirarlo sul come conquistare Ravenna. In segui-to, quando il generale commentava la vittoria avrebbe ricordato: “Tutto me-rito di un certo piedino, anzi in onore della mia Antonina dovrei chiamarlo piedina”.

Oltre alla leggenda vorremmo cita-re studi ben più accreditati, secondo i quali la piadina verrebbe ricollegata al pane azzimo, ribattezzato in Romagna “plàdena”, per il nome dell’asse di le-gno sulla quale venivano impastati i prodotti da forno. La forma circolare sarebbe stata assunta fra il ‘500 e l’800, ma fu solo nel ‘900 che questo cibo po-vero si diffuse presso tutte le famiglie.

Ingredienti:

quattro piadine romagnoleuna melanzana piccolaun pomodoro maturomezza costa di sedanomezza cipolla30 grammi di olive nereun cucchiaino di capperidue cucchiai di olio d’olivasale

Tagliate a dadini la melan-zana, il pomodoro e il sedano dopo averli lavati. Sbucciate e tritate grossolanamente la cipol-la. Scaldate l’olio in una padel-

la, possibilmente anti-aderente, e fatevi rosolare velocemente le verdure insieme alla cipolla.

Togliete dal fuoco, unite le olive nere, intere oppure spez-zettate, e i capperi ben sgoccio-lati. Salate, rimettete la padella sul fuoco e continuate la cottu-ra per qualche minuto, mesco-lando spesso. Fate scaldare le piadine sull’apposito “testo” ar-roventato oppure in una padella anti-aderente, distribuite le ver-dure su ogni piadina, mettetele tutte su un piatto da portata e servitele subito ben calde.

Ingredienti:

quattro fettine di formaggio Briedodici foglie di insalata ricciadodici fette di prosciutto crudootto cucchiai di stracchinoquattro piadine quattro cucchiai di salsa cocktail

Fate scaldare le piadine un minuto per ogni lato. Poi togliete-le dal fuoco, ponetele su di un piatto e spalmatele con lo stracchi-no, adagiateci sopra l’insalata (tre foglie per piadina) ben lavata ed asciugata. Distribuite sulla superfi cie la salsa cocktail, le fette di prosciutto crudo e il formaggio Brie tagliato a pezzetti. Chiudete la piadina a metà e servitela.

Ingredienti:

quattro piadine quattro fette di prosciutto cottoquattro fette di formaggio emmenthalquattro piccole zucchineparmigianoolio, sale

Tagliate a rondelle sottili le zucchine e saltatele in pa-della con poco olio e sale. Scaldate la piadina sulla piastra su entrambi i lati e farcitela con il prosciutto cotto, il for-maggio affettato, le rondelle di zucchine e scaglie di par-migiano a piacere. Chiudete la piadina e servite.

Piadina veloce

Con radicchio e pancettaIngredienti:

quattro piadine romagnoleotto fettine di pancetta tesaquattro piccoli cespi di radicchio rossouno spicchio d’aglioun ciuffo di prezzemolotre cucchiai di olio extra-vergine d’olivasale e pepe

Sbucciate l’aglio e pas-satelo nel mixer con il prezzemolo, l’olio, il sale e il pepe fi no ad ottene-re una salsina morbida ed omogenea. Lavate e asciu-

gate il radicchio, affettate-lo e fatelo cuocere su una griglia ben calda appena unta d’olio, quindi toglie-telo dalla griglia e tenete-lo in caldo. Al suo posto mettete le fettine di pan-cetta e cuocetele fi no a che non saranno croccanti. Far scaldare le piadine sull’ap-posito “testo” arroventato oppure in una padella anti-aderente, distribuire su ognuna un cucchiaio del-la salsa all’aglio preparata, completate con pancetta e radicchio e servite.

Con dadolata di verdure

Con prosciutto crudo, formaggio Brie, insalata e salsa cocktail

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PIANTE & CUCINA

cucina 7

Ha moltissime proprietà benefi che, spesso sottovalutate

Sabato, 29 maggio 2010

Liquirizia, gioia di bambini e adultiCaratteristiche

La liquirizia conosciuta in Asia già 5000 anni fa, viene infatti menzionata in uno dei pri-mi erbari cinesi. Il suo nome deriva dal greco “glucos” (dolce) e “riza” (radice). Il fusto le-gnoso è alto fi no a 100-150 cm; i fi ori sono pic-coli e di colore azzurro-violaceo.

Le sue radici sono utilizzate prevalente-mente per l’estrazione del succo usato per vari scopi: l’aromatizzazione e colorazione della birra (per aumentarne il colore e il corpo), la preparazione di pasticche, usi farmaceutici, la concia di alcune varietà di tabacco (per miglio-rarne la qualità e l’aroma). Le radici più sottili vengono essiccate e le conosciamo per la loro forma a bastoncino che comunemente si ma-stica. Le altre vengono sottoposte a processi estrattivi. Il succo estratto dal sapore agrodol-ce, di colore nero è costituito per il 5-15 p.c. da glucidi e per il 10-20 p.c. da un glucoside: la glicirizzina. Questa sostanza è un edulcorante naturale, contenuta nelle radici. Ha un potere dolcifi cante circa 100 volte superiore a quel-la del saccarosio, le proprietà della liquirizia sono date in gran parte da questa sostanza.

Gli erboristi moderni usano la liquirizia an-che per le sue proprietà anti-artritiche e anti-in-fi ammatorie, e in particolare le sue qualità risa-nanti per le mucosi infi ammate del tratto respi-ratorio. La pianta fi orisce fra maggio e agosto. Nel tardo autunno si raccolgono ed essiccano le radici. Dopo il ginseng, la liquirizia è l’erba più spesso prescritta in Cina.

Uso in cucina Viene utilizzata come dolcifi cante ed esal-

tante del sapore nelle preparazioni di dolci e di alimenti dietetici. Nella liquoristica viene im-piegata come aromatizzante. È presente in tutti gli amari. Nell’alta cucina moderna viene abbi-nata a piatti come aromatizzante.

BellezzaLa liquirizia di solito è molto usata per fare

le caramelle, ma anche in cosmetica è molto apprezzata. Con le radici si fanno molti infu-si e decotti che applicati sulla pelle infi ammata o comunque irritata danno sollievo in quanto la liquirizia esercita un’azione lenitiva rinfre-scante e normalizzante.

Un antico rimedio per donarvi una pelle “ti-rata”: formate una pastella omogenea unendo un cucchiaio di liquirizia in polvere a due cuc-chiaini da caffè rasi di fi eno greco in polvere e poca acqua. Amalgamate bene gli ingredienti e usate questa pastella come maschera. Se la vo-stra pelle è molto rovinata, aggiungiete al po-sto dell’acqua un cucchiaino di olio di oliva. Se avete le gengive irritate, la radice di liquiri-zia vi aiuta a darvi un po’ di sollievo: fate bol-lire in poca acqua per dieci minuti alcuni pez-zetti di radice, fi ltrate il tutto e con l’acqua ot-tenuta fatevi degli sciacqui energici.

CuriositàNegli ospedali francesi veniva utilizzata in-

sieme a gramigna ed orzo per preparare una ti-sana chiamata “bonne-à-tout” (buono per tut-to). Le radici di liquirizia si raccolgono in au-tunno da piante che hanno almeno quattro anni di vita, si pelano e si mettono ad essiccare al sole. Le radici di liquirizia sono un ottimo pal-liativo per chi intende smettere di fumare e an-che nella gestualità riescono in qualche modo a sostituire la sigaretta. Fino dall’antichità l’uso della liquirizia è stato quello di preparare be-vande dissetanti, il più delle volte in unione ad altre sostanza, tipo il coriandolo.

ControindicazioniL’acido glicirizzico contenuto nella liquiri-

zia ha effetti collaterali sull’equilibrio dei sali minerali. Quindi un abuso di liquirizia può in-durre ritenzione idrica, aumento della pressio-ne, gonfi ore al viso e alle caviglie e mal di te-sta. È quindi vietata agli ipertesi, alle donne in gravidanza e in allattamento.

La liquirizia, nelle sue infi nite forme dei negozi di dol-ciumi, e sotto l’aspetto di “tronchetto”, è sempre sta-ta una gioia per bambini ed adulti. Delle varie forme

commerciali sicuramente le più invitanti sono la tipica ron-della e il grande cilindro, morbido, lungo 25 centimetri ed

oltre, con il diametro di ben due centimetri. Sotto forma di “tronchetto” non tutti i bambini sanno che stanno succhian-do e degustando un pezzettino della radice della pianta. Ma andiamo nel dettaglio perché ha moltissime proprietà, sot-tovolatutate notevolmente.

Ingredienti:

quattro fi letti di vitello di circa 100 grammi ciascuno due cipolle sette coste di sedano un bastoncino di liquirizia uno spicchio di aglio 50 grammi di burro olio extravergine di oliva sale e pepe

Lavate le coste di sedano, privatele dei fi lamenti che le rivestono e tagliate ognuna in tre pezzi, con tagli obliqui. Scaldate un fi lo di olio in un tegame e fatevi rosolare breve-mente il sedano. Bagnate con alcuni cucchiai di acqua, sala-te, mettete il coperchio e cuocete per qualche minuto man-tenendo il sedano al dente. Affettate le cipolle e fatele roso-lare leggermente in un tegame con 30 grammi di burro. In una padella, scaldate il burro rimasto con un fi lo di olio, lo spicchio di aglio intero e il bastoncino di liquirizia spacca-to in quattro parti. Fatevi rosolare i fi letti da entrambi i lati, cuoceteli per alcuni minuti, mantenendoli rosa all’interno e regolate di sale e pepe. Distribuite le cipolle stufate al centro dei piatti, sistematevi sopra i fi letti e ponete accanto i pezzi di sedano. Intanto, versate tre cucchiai di acqua nel fondo di cottura del fi letto e cuocete per alcuni istanti, facendo ruota-re la padella, in modo da raccogliere bene i succhi depositati dalla carne. Appena il fondo risulterà ben legato, versatelo sui fi letti, guarnite con i pezzi di liquirizia e servite.

Ingredienti:

400 grammi di cavolfi ore 200 grammi di ricotta un bicchiere di latte 15 grammi di farina otto datteri secchi due albumi radice di liquiriziasale

Dividete in cimette il cavolfi ore e lessatele in acqua con il latte e un pizzico di sale. Dopo dieci minuti scolate il cavolfi ore e frullatelo con la ricotta, gli albumi e la fari-na, dovete ottenere una spuma. Aggiustate, se necessario, il frullato di sale e cuocetelo a bagnomaria per mezz’ora mescolando spesso. Nel frattempo portate a bollore l’ac-qua, spegnete e mettetevi in infusione per cinque minuti un pezzetto di radice di liquirizia, poi eliminatela e ripor-tate sul fuoco. Unite infi ne i datteri tagliati a dadi dopo aver spento il fuoco. Dividete la spuma, tiepida, nei piatti e servitela con la salsa alla liquirizia.

Ingredienti:

280 grammi di farina80 grammi di caramelle di liquirizia sminuzzatedue cucchiaini di lievito in polveremezzo cucchiaino di bicarbonatoun uovo100 grammi di zucchero80 ml di olio tre decilitri di latte scremato 150 grammi di zucchero a veloquattro cucchiai di sciroppo di lamponicaramelle di liquirizia per guarnire

Accendete il forno a 180° e ungete di burro 12 stampi-ni, che metterete nel frigorifero fi no al momento di utiliz-zarli. Mescolate in una grossa ciotola, la farina, le caramel-le, il lievito e il bicarbonato. Sbattete leggermente l’uovo in un altro recipiente. Unite lo zucchero, l’olio e il latte e me-scolate bene. Incorporate il composto di farina e liquirizia e amalgamate con cura l’impasto. Versate il composto ne-gli stampini e infornate per 20-25 minuti. Sformate le tor-tine e aspettate 5 minuti prima di sformarle. Stemperate lo zucchero a velo nello sciroppo e preparate una glassa liscia e morbida da spennellare sulle tortina. Guarnite con le cara-melle di liquirizia.

Filetto di vitello alla liquirizia con cipolle

Spuma di cavolfi ore con salsa alla liquirizia

Tortine alla liquirizia

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C’è un fi lo (d’olio) con-duttore che ha unito la prima edizione di Me-

dOliva alla seconda. È l’eccel-lenza, un elemento che prescinde da discorsi economici e politici e che in qualche modo accomu-na tutti gli elementi e i momenti che hanno caratterizzato la Fiera dell’Olio Mediterraneo di Arez-zo. Non il classico salone cui si accede semplicemente pagando uno spazio ma un vero e proprio momento di incontro tra tutti i protagonisti della fi liera, scelti se-guendo un concetto di meritocra-

zia, selezionati sulla base di una storia fatta appunto di qualità. MedOliva ha accolto e cataloga-to circa 200 oli extravergine pro-venienti da 10 dei Paesi che si af-facciano sul Mediterraneo e che condividono l’amore e la passio-ne per questo prodotto che è nel contempo alimento ma anche patrimonio storico, economico e culturale. Praticamente il me-glio della produzione mondiale in fatto di extravergine. Sono circa 1.000 i cultivar che trovano il loro habitat nel bacino del Mediterra-neo. Ad Arezzo Croazia e Slove-

Anno VI / n. 54 del 29 maggio 2010

MedOliva: quando l’eccellenza diventa l’assoluta protagonista

8 cucina Sabato, 29 maggio 2010

La pubblicazione del presente supplemento, sostenuta dall’Unione Italiana di Fiume / Capodistria e dall’Università Popolare di Trieste, viene supportata dal Governo italiano all’interno del progetto EDITPIÙ in esecuzione della Convenzione MAE-UPT N° 1868 del 22 dicembre 8, Contratto 248a del 18/10/2006 con Novazione oggettiva del 7 luglio 2009

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: CUCINA

Redattore esecutivo: Fabio Sfi ligoi / Impaginazione: Tiziana Raspor

Collaboratori: Tanja Škopac e Lucio VidottoFoto: Tanja Škopac, Lucio Vidotto e archivioIl supplemento esce con il sostegno fi nanziario della Regione Istriana, Assessorato alla Comunità nazionale italiana e altri gruppi etnici.

Seconda edizione della Fiera dell’Olio Mediterraneo ad Arezzo

Per il terzo anno consecutivo il fi umano Klaudio Jurčić del ri-storante “Bevanda” di Abbazia, si è confermato miglior somme-lier a livello nazionale. “Confer-marsi è sempre diffi cile e questo mi rende felice. Infatti la con-correnza è sempre più agguer-rita e preparata”, ha commen-tato Jurčić. Sul podio sono saliti anche il polese Filip Savić e una donna, Alena Bročilović.

Sono stati 25 i sommelier che si sono presentati ai nastri di partenza della fase fi nale ospita-to dallo Spa & Golf Resort di Sveti Martin sulla Mura: mas-siccia la presenza dei rappresen-tanti istroquarnerini provenienti, oltre che da Fiume e Pola, anche da Umago, Albona, Arsia, Tor-re, Villanova, Parenzo e Lus-sinpiccolo, per un totale di 15, a conferma della grande passione per il vino in questo territorio.

La competizione si è svol-ta in più fasi. Il primo fi ltro ha prodotto una scrematura a otto semifi nalisti. Questi hanno do-vuto destreggiarsi nell’abbina-mento dei vini a dei piatti che non conoscevano, nella descri-zione orale dei vini a loro asse-gnati, nella scelta dei bicchieri e nel riconoscimento, tramite de-gustazione anonima, di quattro superalcolici. È stato il presi-dente dell’Associazione nazio-nale sommelier Veljko Ostojić, a proclamare i tre fi nalisti: Alena Bročilović, Filip Savić e Klau-dio Jurčić. Di fronte a un folto pubblico accorso nella Sala con-gressi del bellissimo complesso di Sveti Martin sulla Mura, si

sono cimentati in prove ancor più diffi cili: stappare una botti-glia di champagne, proporre dei vini in base a dei menù avuti al momento, decantare, riconosce-re vini e superalcolici, corregge-re liste dei vini, servizio a tavola di sigari, maneggiare una botti-glia magnum e soprattutto rap-portarsi con gli ospiti a tavo-la. Alla fi ne di questa specie di decathlon i punteggi sono stati sommati e Jurčić è risultato an-cora una volta il più bravo. I pre-mi ai tre migliori sono stati con-segnati da Ivan Sokolić, l’eno-logo croato più noto, Ninoslav Dusper, presidente onorario del-l’Associazione nazionale som-melier e Milivoj Kossi, fi ducia-rio dell’Associazione nazionale sommelier per la Croazia nord-occidentale. (fas)

Concorso nazionale sommelierKlaudio Jurčić («Bevanda») segna una prestigiosa tripletta

Klaudio Jurčić del ristorante

“Bevanda” di Abbazia

Presente a LondraBruno Trapan, altri successi

Dopo il successo a “Vinistra” con la sua Malvasia “Uroboros”, Bruno Trapan sta cogliendo altri risultati prestigiosi a livello inter-nazionale. Dal 18 al 20 maggio, assieme ad altre 20 etichette croa-te, i suoi vini sono stati esposti per la prima volta alla Fiera del vino di Londra. Inoltre il vinaio istriano ha avuto un riconoscimento an-che dalla rivista “Decanter”, la più autorevole nel campo dell’eno-logia. Ai suo “Shuluq 2008” (rosè) e “Uroboros 2008” (bianco) è andato il premio “Commended by Decanter”. (fas)

Olio extravergine d’oliva

Prodotti Chiavalon disponibili in ItaliaNon fi nisce di stupire Sandi Chiavalon, uno

dei produttori di olio istriani più rinomati. L’ex-travergine Ex Albis del dignanese è stato inse-rito tra i dieci migliori oli (gusto intenso) e tra i primi tre per prorietà chimico-nutritive alla quarta edizione del Concorso oleario Premio Ar-monia di Parma. Gli eccellenti risultati ottenuti in questa e in altre rassegne internazionali, ma

soprattutto la qualità del prodotto, hanno con-sentito a Chiavalon di essere presente sul merca-to italiano, uno dei più prestigiosi a livello mon-diale, essendo l’Italia al primo posto per import ed export di EVO e al secondo posto tra i produt-tori di olio extravergine d’oliva al mondo. Sarà la Velier S.p.A a distribuire in Italia di prodotti fi rmati Chiavalon. (fas)

nia hanno dimostrato di essere una realtà ormai affermata nel campo della produzione di olio extraver-gine. Nonostante una storia antica legata all’ulivo, si tratta di due Pae-si che solo negli ultimi anni si sono affacciati alla ribalta della produ-zione mondiale. Ma lo stanno fa-cendo con una tale cura e passio-ne che si sono meritati certamente

un occhio di riguardo. Ad Arezzo, la Croazia ha messo in campo una formazione di ben 19 aziende, rap-presentanti di una realtà produttiva di 30.000 ettari e 126 frantoi, con una produzione che si attesta sul-le 5.000 tonnellate annue. L’ottimo clima e la passione di produttori, e autorità, garantisce extravergine di altissimo profi lo ottenuti da culti-

var come la busa, la carbonera, la drobnica e l’oblica, punta di un iceberg che parla di oltre 40 varietà autoctone. La Slovenia invece ha schierato ad Arezzo tre produttori in grado di esporre in modo con-vincente una realtà fatta di circa 1.500 ettari con una produzione li-mitata, stiamo parlando di 600 ton-nellate, ma di notevole qualità.

Tiziana Raspor è uno dei dipendenti dell’EDIT con

sottopone a degustazione. Ma questa volta Tiziana si è superata in tutti i sensi: preparazione, bontà e presentazione. Nell’ambito di un matrimonio in famiglia si è prestata a preparare dei dolci, dei frutti in versione micro, un autentico capolavo-ro di pasticceria: fragole, ciliegie, mele, pere, co-comeri..., bellissimi da vedere e ancor più buoni da mangiare. Per la passione dimostrata e la pro-

volto (non poco) anche il marito Darko. (fas)

I frutti della... passione di Tiziana Raspor

Pasticceria