DDEL POPOLOEL POPOLO · confusione”, “La Voce del Popolo” propone ai lettori questo speciale...

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PROLOGO cultura DEL POPOLO DEL POPOLO Cultura e (è) identità Siamo gli Italiani di Croazia e Slovenia. E siamo privi di fabbri- che che producono, di aziende che vendono, di agenzie che piaz- zano. Siamo privi insomma, dei più importanti strumenti che nella realtà odierna connotano i gruppi sociali. Ci troviamo dunque a na- vigare senza vela né remi nelle acque mosse di questo mondo con- temporaneo che ha spostato le proprie fondamenta dal terreno or- mai sgretolato dei valori ideali per cementarle nelle gabbie del mer- cato. Eppure, pur non disponendo dei basilari elementi identificatori delle società attuali, pur non avendo le risorse per raccogliere ogget- ti destinati a raccogliere a loro volta la polvere, siamo ancora vivi, siamo ancora un gruppo umano ben connotabile: siamo gli Italiani di Croazia e Slovenia. E se come tali veniamo percepiti e riconosciu- ti, lo dobbiamo al fatto di aver solcato nonostante tutto la rotta giu- sta, al fatto cioè di aver fondato la nostra “immagine coordinata” sulla cultura. Per noi, cultura e identità non danno vita unicamen- te ad un rapporto di correlazione poiché il loro mettersi in relazione determina la loro coincidenza. Nel nostro caso cultura è identità, nel nostro caso, i valori estetici propri dei nostri artisti (e, come tali, pro- di Silvio Forza “La Voce” organizza sul tema una tavola rotonda Tra memoria e multiculturalismo P er parlare della situazione e delle prospettive di sviluppo della produzione culturale della nostra comunità, per poter analiz- zare le tendenze attuali, gli indirizzi e soprattutto ipotizzare le strategie di crescita culturale dobbiamo capire qual è lo stato di salute della cultura dei “rimasti” Scotti: Se consideriamo che la nostra “Piccola Italia” conta circa 30- 35 mila abitanti, è come se avessimo a che fare con una Monfalcone o un qualsiasi piccolo comune italiano che certamente non ha una televi- sione, stazioni radio, un giornale quotidiano come il nostro, riviste come 'la Battana ' o 'Panorama', una compagnia teatrale e un’attività editoria- le come la nostra. Siamo in pochi ma ci siamo moltiplicati in noi stessi; infatti una nostra poetessa fa la direttrice del Dramma, non c’è un mem- bro del coro che non fa anche l'insegnante, un giornalista il promotore culturale. Siamo cresciuti culturalmente perché ci troviamo da sempre in trincea e da questa condizione abbiamo tratto la nostra forza. Quindi una piccola Italia abbastanza combattiva. Dopo l'esodo abbiamo dovuto creare una cultura, un popolo, questa piccola Italia, quindi abbiamo una cultura prodotta ex novo più che riprodotta tanto che nei nostri manuali scolastici trovano spazio i nostri poeti ed i nostri scrittori. Credo che que- sto sia un fatto importantissimo per il nostro futuro. La nostra appare per molti versi una cultura che si alimenta con il recupero della memoria. Non si corre il rischio di essere provinciali, di riproporre sempre gli stessi temi, di accumulare ritardi? Marchig: Io ritengo che a partire degli anni Ottanta sia presente una costante voglia di cambiamento. Il distacco dalle tematiche della nostra tradizione classica per approdare nelle aree fino allora inesplorate dei moti interiori, delle crisi, del rapporto con la contemporaneità si deve in primo luogo ai poeti e agli artisti figurativi, mentre nella prosa non ab- biamo ancora superato completamente il ritardo. Con le debite eccezio- ni, ovviamente, perché secondo me dal punto di vista del valore lettera- rio (oltre che di quello della conservazione della memoria), autori come Scotti, Schiavato, Damiani, Nelida Milani hanno certamente prodotto delle opere che potrebbero stare in qualsiasi biblioteca del mondo. Libri Foiba in autunno di Ezio Mestrovich Mostre Collettiva degli artisti di Fiume Carnet cultura Agenda e classifiche w w w . e d it .h r/ l a v o c e A n n o I n . 1 S a b ato , 2 6 m a rz o 2 0 0 5 Pagina 2 Pagina 6 Pagina 8 Carlo Carrà, La musa metafisica, 1917 pri della nosta cultura) sono in realtà valori etici, i valori di una mo- rale della sopravvivenza e, perchè no, dello sviluppo. Proprio in ragione del fatto che la cultura, per parafrasare Nelida Milani Kruljac, consente di “ritrovare il fondamento nei momenti di confusione”, “La Voce del Popolo” propone ai lettori questo speciale “In Più Cultura” che vuole diventare sede di dibattito, luogo in cui potrà venire a galla la coscienza critica della cultura della CNI, “rea- gente” utile a catalizzare la complessa dialettica che dovrà sviluppar- si, oggi, subito, proprio in questo delicato momento in cui la vecchia ennesima sfida della conservazione si vede affiancata con prepotenza dalle stimolanti (e rischiose?) occasioni del multiculturalismo. Pensate per avanzare ed ospitare domande, volute per osa- re e per poter dar voce a possibili risposte, le pagine di “In più Cultura” sono aperte a chiunque senta proprio il bisogno di sposare questa “tensione”. Un omaggio Ricordando Antonio Pellizzer Pagina 3 Segue a pagine 4 e 5 Con il preciso scopo di sti- molare riflessioni e commenti sulla realtà culturale della no- stra Comunità, “La Voce” ha promosso un dibattito al qua- le sono intervenuti alcuni tra i più rappresentativi operatori culturali e intellettuali della CNI ai quali, per strappargli un “visti da vicino”, abbia- mo affiancato il Direttore del- l’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria Flavio Andreis. Erano presenti il Presidente dell’Assemblea dell’UI e poe- ta Maurizio Tremul, la diret- trice del Dramma Italiano, nonché poetessa Laura Mar- ghig, il letterato Giacomo Scotti e tre giornalisti di TV Capodistria: Franco Juri, in- tellettuale di spicco ed ex Am- basciatore sloveno a Madrid, Ezio Giuricin, già segretario dell’Unione, caporedattore de “La Battana” e coordina- tore dello storico “Panorama giovani” e la giovane Marti- na Gamboz, che a Capodi- stria guida il gruppo teatrale “Skysma”. IL DIBATTITO

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  • PROLOGO

    cultura

    DEL POPOLODEL POPOLO

    Cultura e (è) identità Siamo gli Italiani di Croazia e Slovenia. E siamo privi di fabbri-

    che che producono, di aziende che vendono, di agenzie che piaz-zano. Siamo privi insomma, dei più importanti strumenti che nella realtà odierna connotano i gruppi sociali. Ci troviamo dunque a na-vigare senza vela né remi nelle acque mosse di questo mondo con-temporaneo che ha spostato le proprie fondamenta dal terreno or-mai sgretolato dei valori ideali per cementarle nelle gabbie del mer-cato. Eppure, pur non disponendo dei basilari elementi identifi catori delle società attuali, pur non avendo le risorse per raccogliere ogget-ti destinati a raccogliere a loro volta la polvere, siamo ancora vivi, siamo ancora un gruppo umano ben connotabile: siamo gli Italiani di Croazia e Slovenia. E se come tali veniamo percepiti e riconosciu-ti, lo dobbiamo al fatto di aver solcato nonostante tutto la rotta giu-sta, al fatto cioè di aver fondato la nostra “immagine coordinata” sulla cultura. Per noi, cultura e identità non danno vita unicamen-te ad un rapporto di correlazione poiché il loro mettersi in relazione determina la loro coincidenza. Nel nostro caso cultura è identità, nel nostro caso, i valori estetici propri dei nostri artisti (e, come tali, pro-

    di Silvio Forza

    “La Voce” organizza sul tema una tavola rotonda

    Tra memoriae multiculturalismo

    Per parlare della situazione e delle prospettive di sviluppo della produzione culturale della nostra comunità, per poter analiz-zare le tendenze attuali, gli indirizzi e soprattutto ipotizzare le strategie di crescita culturale dobbiamo capire qual è lo stato di salute della cultura dei “rimasti”

    Scotti: Se consideriamo che la nostra “Piccola Italia” conta circa 30-35 mila abitanti, è come se avessimo a che fare con una Monfalcone o un qualsiasi piccolo comune italiano che certamente non ha una televi-sione, stazioni radio, un giornale quotidiano come il nostro, riviste come 'la Battana ' o 'Panorama', una compagnia teatrale e un’attività editoria-le come la nostra. Siamo in pochi ma ci siamo moltiplicati in noi stessi; infatti una nostra poetessa fa la direttrice del Dramma, non c’è un mem-bro del coro che non fa anche l'insegnante, un giornalista il promotore culturale. Siamo cresciuti culturalmente perché ci troviamo da sempre in trincea e da questa condizione abbiamo tratto la nostra forza. Quindi una piccola Italia abbastanza combattiva. Dopo l'esodo abbiamo dovuto creare una cultura, un popolo, questa piccola Italia, quindi abbiamo una cultura prodotta ex novo più che riprodotta tanto che nei nostri manuali scolastici trovano spazio i nostri poeti ed i nostri scrittori. Credo che que-sto sia un fatto importantissimo per il nostro futuro.

    La nostra appare per molti versi una cultura che si alimenta con il recupero della memoria. Non si corre il rischio di essere provinciali, di riproporre sempre gli stessi temi, di accumulare ritardi?

    Marchig: Io ritengo che a partire degli anni Ottanta sia presente una costante voglia di cambiamento. Il distacco dalle tematiche della nostra tradizione classica per approdare nelle aree fi no allora inesplorate dei moti interiori, delle crisi, del rapporto con la contemporaneità si deve in primo luogo ai poeti e agli artisti fi gurativi, mentre nella prosa non ab-biamo ancora superato completamente il ritardo. Con le debite eccezio-ni, ovviamente, perché secondo me dal punto di vista del valore lettera-rio (oltre che di quello della conservazione della memoria), autori come Scotti, Schiavato, Damiani, Nelida Milani hanno certamente prodotto delle opere che potrebbero stare in qualsiasi biblioteca del mondo.

    LibriFoiba in autunnodi Ezio Mestrovich

    MostreCollettiva degli artisti di Fiume

    Carnet culturaAgendae classifi che

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    it.hr/lavoce Anno I • n. 1 • Sabato, 26 marzo 2005

    Pagina 2

    Pagina 6 Pagina 8

    Carlo Carrà, La musa metafi sica, 1917

    pri della nosta cultura) sono in realtà valori etici, i valori di una mo-rale della sopravvivenza e, perchè no, dello sviluppo.

    Proprio in ragione del fatto che la cultura, per parafrasare Nelida Milani Kruljac, consente di “ritrovare il fondamento nei momenti di confusione”, “La Voce del Popolo” propone ai lettori questo speciale “In Più Cultura” che vuole diventare sede di dibattito, luogo in cui potrà venire a galla la coscienza critica della cultura della CNI, “rea-gente” utile a catalizzare la complessa dialettica che dovrà sviluppar-si, oggi, subito, proprio in questo delicato momento in cui la vecchia ennesima sfi da della conservazione si vede affi ancata con prepotenza dalle stimolanti (e rischiose?) occasioni del multiculturalismo.

    Pensate per avanzare ed ospitare domande, volute per osa-re e per poter dar voce a possibili risposte, le pagine di “In più Cultura” sono aperte a chiunque senta proprio il bisogno di sposare questa “tensione”.

    Un omaggioRicordandoAntonioPellizzer

    Pagina 3

    Segue a pagine 4 e 5

    Con il preciso scopo di sti-molare rifl essioni e commenti sulla realtà culturale della no-stra Comunità, “La Voce” ha promosso un dibattito al qua-le sono intervenuti alcuni tra i più rappresentativi operatori culturali e intellettuali della CNI ai quali, per strappargli un “visti da vicino”, abbia-mo affi ancato il Direttore del-l’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria Flavio Andreis. Erano presenti il Presidente dell’Assemblea dell’UI e poe-ta Maurizio Tremul, la diret-trice del Dramma Italiano, nonché poetessa Laura Mar-ghig, il letterato Giacomo Scotti e tre giornalisti di TV Capodistria: Franco Juri, in-tellettuale di spicco ed ex Am-basciatore sloveno a Madrid, Ezio Giuricin, già segretario dell’Unione, caporedattore de “La Battana” e coordina-tore dello storico “Panorama giovani” e la giovane Marti-na Gamboz, che a Capodi-stria guida il gruppo teatrale “Skysma”.

    IL DIBATTITO

  • 2 cultura

    Per la mitologia greco-romana il Lete è il fi ume dell’oblio, Mne-mosyne è la dea della memoria. Sono fi gure inseparabili e, ancor prima che antitetiche, quasi com-plementari. Noi tutti tendiamo a ricordare e insieme a dimentica-re. Ed è soprattutto auspicabile dimenticare infelicità, disgrazie, fallimenti, sconfi tte. L’oblio rap-presenta la condizione per risor-gere dal dolore ad una nuova vita. Quindi memoria e oblio paiono ambiti inscindibili, funzioni en-trambe necessarie sia al singolo che alla società. Se esiste perciò un’arte della memoria – e ogni cultura, ogni trasmissione di va-lori, tradizioni o saperi si fonda su di essa – c’è anche un’arte del-l’oblio, intesa a cancellare dalla mente inessenzialità, traumi, er-rori ed orrori.

    oblio sulle foibe come allegorico attentatoalla memoria storica

    Ci sono però casi in cui la di-menticanza non solo è dannosa, ma immorale. È un dovere etico, ad esempio, non scordare le foibe che allegoricamente possono es-sere viste come un attentato alla memoria stessa dell’umanità. Qui non si fanno sconti, la strada del-l’oblio è preclusa: la congiura del silenzio sarebbe allora da intende-re come un sanguinoso tratto di spugna inteso a cancellare le vit-time dalla storia e dal suolo istro-quarnerino.

    Tanto più che la rifl essione moderna, quella novecentesca, è molto intrigante sul binomio ricordo/dimenticanza. La psicoa-nalisi spiega che l’inconscio rap-presenta il rimosso, il dimenticato, ciò che non scompare dalla psiche ma permane latente, pronto però a riaffi orare e ripresentarsi come nevrosi. Nel libro di Ezio Mestro-vich Foiba in autunno (EDIT, Fiume 2005) la nevrosi assume la forma di lucida pazzia omicida.

    Può infatti succedere che dopo il cambiamento radicale di un si-stema, qualcosa si spezzi dentro gli uomini, quando si accorgono che, autoproclamatisi democrati-ci, i nuovi governi promettono di cambiare il mondo e poi non ne fanno nulla, soprattutto non fanno i conti con il passato e continuano a conservare gli scheletri nell’ar-madio. In genere i popoli dell’est sono omissivi sul passato e pro-vano grande disagio nel presente. Semplicemente non vogliono fare i conti con quello che hanno alle spalle. O non possono ancora far-lo? Non sono pronti, anche perché la verità ha tempi lunghi...

    Ma le aspettative deluse a cau-sa della cultura del silenzio pro-ducono insoddisfazione e vuoto rispetto ai quali gli individui si sentono frustrati, e allora succe-de che qualcuno si crei da solo gli strumenti necessari ad elimi-nare il proprio malessere ed ap-pagare la sete di giustizia pareg-giando i conti del passato. Le pa-tologie personali si sovrappongo-no ai confl itti politici, culturali, si sommano, si complicano, esplo-dono! Ed ecco che si fa strada un giustiziere della notte ad attirare l’attenzione del pubblico sul tabù della foiba, simbolo della memo-ria negata. La parola ‘foiba’ ap-pare anche nel titolo del romanzo.

    Un motivo pur ci sarà, no? C’è, perché il seme centrale del libro, è proprio quello: la foiba con la sua ombra lunga e profonda, con la sua storia sospesa tra gli orrori del passato e le ambiguità dei no-stri giorni, con tutti gli echi, riso-nanze e collegamenti che vanno dagli anni dopo la seconda guerra mondiale ai giorni nostri.

    un thriller storicoad alta tensione

    Il libro di Mestrovich si può leggere anche come un semplice giallo: tensione e interesse sono garantiti. Ma è una valigia a dop-pio fondo. Ed è il secondo fondo che regge l’impalcatura del thril-ler. Non l’avrebbe se no scritto Mestrovich, solo così, tanto per baloccarsi facendo l’investigato-re, quando sappiamo quale intel-ligenza vivida e seducente, quale testimone del suo e nostro tempo lui è stato. Ora, parlare del giallo, si rischia di far sparire d’un colpo l'alto voltaggio emotivo cui il letto-re viene sottoposto nel corso della lettura. Basti sapere, per adesso, poche cose, quelle indispensabili, e cercare piuttosto la chiave di let-tura del secondo livello.

    Il racconto è articolato attorno ad una famiglia di villeggianti, i signori Anna e Renato Dobrilla ed il loro fi glio Giorgio. Il signor Re-nato era fuggito da Fiume e ora, da pensionato, passa alcuni mesi all’anno in un albergo di Laura-na. I tre stanno godendosi le va-canze quando subentra la rottura dell’equilibrio. Un inspiegabile omicidio funesta le loro placide giornate, la serenità delle serate trascorse insieme ad alcuni amici

    del posto attorno a una tavola im-bandita alla “konoba”, i discorsi semplici ed i cibi “domaći”, le pa-role d'intesa. Il delitto, apparente-mente inspiegabile, è inspiegabil-mente feroce: una testa sepolta e dissotterrata dal cane Moro e se-parata dal corpo rinvenuto là vi-cino, sul ciglio di una foiba. Di fronte all’efferatezza dell’omici-dio il lettore è indotto a scivolare su varie piste, perché l’autore fa gravare l’ombra del sospetto su parecchi personaggi onde coglie-re le posizioni e le parzialità diffe-renti di chi – italiano e croato – è

    vissuto come noi in questo nostro intricato crocevia obbedendo a vi-sioni del mondo fra loro incompa-tibili. A breve distanza di tempo, un secondo omicidio: certi sub di Mestre, che fanno dei corsi di ad-destramento a Laurana, trovano in mare un cadavere legato con pesanti catene. Si tratta di coinci-denze o c'è sotto qualcosa di molto più pericoloso, qualcosa che col-lega i due cadaveri?

    ...e la giustizia me la faccio da solo... Tra giochi di complicità, di si-

    lenzi e opportunismi, il mistero ri-sulta del tutto impenetrabile a una razionalità logica.

    Ma è la logica dell’assassino-giustiziere. Non si vuol riparlare delle foibe? Non si vuol far giu-stizia? Vi costringo io a parlarne. E la giustizia me la faccio da solo. Con la legge del contrappasso, la legge del taglione, mi tolgo una bella soddisfazione ex post facto con due vittime sacrifi cali sostitu-tive. Ma sì, certo, come presso i popoli primitivi: identità del male e del rimedio, rapporto diretto tra colpevolezza e punizione. Gesto criminale e solitario.

    Soprattutto inutile, perché in-spiegabile. Perché non rapportabi-le al tabù delle foibe né a qualsiasi catarsi con conseguente perdono - cui si può arrivare in un ambiente sociale, in cui la giustizia fa sì che ci sia assunzione di responsabilità, pentimento, espiazione e richiesta di perdono da parte dei colpevoli, e che ci sia elaborazione della sof-ferenza e del lutto nella gratuità di un gesto d’amore da parte dei fa-miliari e dei discendenti delle vit-time. Gesto reso autentico dalla condivisone solidale della società, come risultato di un cammino fati-coso e doloroso di costruzione di una realtà umana più evoluta, cui contribuiscono le vittime e i col-pevoli. Elaborazioni diffi cili, mai avvenute sotto questi cieli dove si è piuttosto propensi a omissioni e selezioni. Utopia? Illusione? Un giorno, chissà...

    Per troppo tempo la foiba è sta-ta volta in diniego, rifi uto, vendet-ta, alibi, giustifi cazione, accusa, colpevolizzazione, decolpevolizza-zione, giustizia. Sempre in silenzio, sempre in sordina, sempre e solo per gli addetti ai lavori, i panni sporchi si nascondono sotto il tap-peto e si tabuizzano. Nel frattem-po l’oblio l’ha fatta da padrone, s’è instaurato socialmente ed è di-ventato parte integrante della tra-smissione uffi ciale...

    Foiba in autunno era un libro da pubblicare, perché aiuta a ra-gionare e a discutere, rompe i luo-ghi comuni di una storia ideologi-ca e propagandistica, costruita tut-ta di «buoni» e di «cattivi» e perciò secondo quegli schemi manichei utili sempre a tutte le caste di po-tere e a tutti gli equilibri di conser-vazione. E poi, un romanzo tinto di giallo non passa mai di moda. Se ne potrebbe benissimo ricavare la sceneggiatura di un fi lm.

    Sabato, 26 marzo 2005

    UN LIBROEZIO MESTROVICH, Foiba in autunno

    di Nelida Milani Kruljac

    Fuggire dall’idolatriae «uccidere Berlusconi»

    Nonostante le nuove tecnologie, i new media, internet e i volumi on-line, il libro scritto continua a mantenere un fascino - anche tattile - che lo ren-de un prodotto sempre richiesto. In Italia attualmen-te sta andando bene il libro di Mark Sanborn Il fattore Fred ovvero Come fare in modo speciale anche la cosa più semplice (editore Corbaccio). Il volume, di taglio psi-cologico self help, propone una ricetta sui semplici passi da fare per tra-sformare la vita quotidiana in un'esperienza straordinaria. Torna il lucido e sferzante Moni Ovadia con il titolo Contro l'idolatria (Einaudi tascabili - Stile libero big) in cui l'autore stesso si autodefi nisce "estremista assen-nato". Un libro gremito di incontri, di provocazioni, di storie umoristiche e no, di pensieri appunto estremi con la tesi fi nale che il monoteismo è la possibilità di essere tutti eguali e liberi di fronte a un unico Dio. Per gli amanti del giallo e del noir l'ultima fatica di Tom Clancy si intitola OP Center. Linea di controllo (Rizzoli. Scala stranieri) in cui, in una freneti-ca serie di colpi di scena, la mitica OP Center vuole evitare una guerra nu-cleare tra India e Pakistan.

    È dedicato specialmente ai ragazzi il titolo Cinquanta cose da fare per aiutare la terra. Manuale per proteggere il nostro pianeta e i suoi abi-tanti (Salani editore). Questa guida di Andreas Schumberger insegna che, le tante cose buone che si devono fare per salvare il nostro pianeta, possono essere anche divertenti. Controverso e criticato (anche al Parla-mento italiano) è Chi ha ucciso Silvio Berlusconi (Ponte alle Grazie), di Giuseppe Caruso: si tratta di un giallo "italiano" che è allo stesso tempo uno spaccato - con tanto di lettura critica - della realtà italiana.

    Tra le recenti novità in Croazia da segnalare senz'altro l'ultimo libro di saggistica di Dubravka Ugrešić Zabranjeno čitanje (Vietato leggere) edito da Dvadeset stupnjeva che comprende una trentina di testi in cui l'au-trice, con il vivido acume che le è solito, analizza il diffi cile rapporto tra gli scrittori e il mercato dell'editoria nell'Europa orientale. Viviana Car

    Poesia è nobile rallentamento,è recupero del gusto per la parola,è ritrovare i signifi cati del pensiero

    Ci sono molti modi per considerare una poesia,

    e uno di questi è di non considerarla

    affatto. E questo può sembrare innocenza,

    buon senso mescolato ad innocenza,

    l’acquiescenza dell’età avanzata, quando ci si guarda

    allo specchio e ci si vede invecchiati.

    Allora uno pensa che forse è troppo tardi

    per considerare, o volere,

    o giudicare, ma i confi ni non sono ben chiari;

    come quando il sole tramonta, e la gita

    sta per concludersi, e il ritorno dalla campagna in città,

    nel crepuscolo, diventa più facile,

    più lusinghiero nella penombra del crepuscolo.

    Ma è forse una giornata interrotta

    quella che più ci consola, la cena in famiglia,

    la lettura intorno al fuoco, nello

    schioppettio del fuoco l’avvampare della conversazione,

    prima di andare a dormire, nella stanza

    degli specchi. E a questo punto, a quest’età,

    considerare o non considerare rimane

    sempre un fatto personale, una scelta, o il desiderio

    di una scelta, o al massimo una lite tra

    marito e moglie insonni dentro al letto.

    Certo, è possibile anche dire queste cose

    molto diversamente, e allora

    la considerazione cambia, o si adegua,

    adegua la sua voce come le nostre voci

    si adeguano alle ore del giorno,

    alle persone, alle cose...

    E quando si tace, anche la considerazione tace,

    o a volte indaga, pettegola intorno

    al silenzio come una donna da mercato, e trova

    delle soluzioni, degli indizi

    salutari anche nel silenzio, ma non sono

    certo soluzioni adeguate.

    Un po’ più avanti, un po’ più a fondo,

    uno scopre sempre un disagio, che non è

    il solito disagio, ma come qualcosa

    del giorno innanzi, o qualcosa che non parla

    e non comunica, e non intralcia

    il passo come una pietra sul sentiero,

    così che non sembra il solito

    disagio, ma neanche sembra molto diverso.

    Quando il giorno muore e l’autunno scrolla

    dai rami le ultime foglie, e l’aria

    è pulita e fresca, poco prima di andare a dormire.

    Ugo Vesselizza

    NOVITÀ IN LIBRERIA

    VERSI

    Lo scrittore italiano di Fiume Ezio Mestrovich

    Un testamento moraleche va oltre i luoghi comuni

  • cultura 3

    "Antonio Pellizzer? L’ho conosciuto mol-to bene", ci dice Luciano Rossit, per lunghi anni dirigente di spicco e Presidente dell'Uni-versità Popolare di Trieste." Siamo stati dei grandi amici e ho provato un immenso dolore per la sua dipartita. La nostra amicizia risaliva sin dai tempi in cui l’Università Popolare di Trieste iniziava ad occuparsi, come mediatrice del MAE, di questa nostra minoranza italiana autoctona. Dunque, dai tempi di Antonio Bor-me, Corrrado Illiasich, Luigi Ferri, Giovanni Radossi. Pellizzer è stato un grande organiz-zatore, promotore di iniziative tese al mante-nimento della cultura istro-fi umana.

    fu lui ad «inventare»Istria Nobilissima

    Annio ha dato impulso ad iniziative indi-menticabili. Metto al primo posto uno dei fi ori all’occhiello della collaborazione UI-UPT, rife-rendomi in particolare al premio d’arte “Istria Nobilissima” che, uscito proprio dalla sua men-te, vive tutt’ora di vita intensa, anche nel suo ri-cordo. Non bisogna poi dimenticare che fu tra i promotori e sostenitori della magnifi ca ex tem-pore di Grisignana cui ha dato l’anima. È stato onnipresente in tutte le iniziative culturali della CNI. Non posso scordare il ruolo avuto da Anto-nio Pellizzer in occasione della visita del Presi-dente del consiglio, Andreotti e del Ministro agli Esteri, De Michelis, in occasione della visita a Buie e a Pirano per l’inaugurazione di casa Tar-tini nell’89: l'organizzazione si rivelò perfetta, il ricevimento impeccabile, gli onori di casa cura-ti nei minimi particolari. Era spinto dall’entusia-smo, metteva l’anima in tutto quello che faceva. Parte determinante della sua attività era tesa al progresso della scuola italiana ma si impegnava in tutte le direzioni al punto che non si può rac-contare la storia della CNI senza ricordare Anto-nio Pellizzer.”

    Anita Forlani, insegnante, già dirigente e at-tivista in seno all'Unione Italiana e alla Comuni-tà degli Italiani di Dignano, ricorda ”l’amicizia consolidata che ci legava tanto che si rivolgeva a me con il confi denziale, in quanto dialettale, ap-pellativo di “sorora”. Mi chiamò anche tre giorni prima di andarsene per chiedermi la ricetta delle olive in salamoia che gli piacevano tanto. Parla-vamo di tutto, ultimamente per lo più al telefono, ma quando ci si vedeva era una festa. Avevamo vissuto per decenni le stesse delusioni – molte

    e le medesime vittorie – nell’affrontare le bat-taglie per l’affermazione della nostra Comunità nazionale.

    un fi ne conoscitore della lingua e del dialetto, un grande uomo di scuola

    Annio era sempre pronto a prodigarsi per ri-solvere i problemi della cultura e della scuola, della lingua che conosceva e usava come pochi di noi e del dialetto romanzo che accomunava Rovigno a Dignano. Era un grande lavoratore, ricco di slanci organizzativi e di ardui proget-ti che portava a termine modestamente, senza mettersi in mostra. Una persona semplice e buo-na, dedita alla famiglia ed alla sua Rovigno per la quale nutriva un amore esasperato. Lo ricordo affettuosamente con molto rispetto.”

    Anche Ambretta Medelin, Presidente della Giunta esecutiva dell CI di Rovigno e operatrice scolastica, ricorda l'attività e l'attivismo prorom-pente di Pellizzer. "Sprizzava energie da tutti i pori, è stato una persona che trascinava con sé, nelle sue iniziative, giovani e meno giovani ed era capace di realizzare entro sera quanto di nuo-vo gli era venuto in mente la mattina stessa.

    pensato, detto e fattoPellizzer era fatto così Ho sempre stimato molto il professor Pel-

    lizzer perché riusciva a portare a termine le cose che si ideava, anche a costo di non chiudere oc-chio e di svegliare di notte mezza Rovigno… Non dimenticherò mai la messa in scena della “Fiaba di Rovigno” quando sollevò in piedi tutta la “mularia” di asili e scuole e convinse di perso-na ogni bottega d’artigiano a lavorare sodo pur di curare scene e costumi fi no alla perfezione… Ecco, Pellizzer era fatto così. Pensato, detto e

    fatto. In ogni campo, su tutti i fronti: scuola, Co-munità degli Italiani di Rovigno, Comunità Na-zionale Italiana. Per non dire delle qualità uma-ne, del saper capire le persone, di scherzare in-staurando rapporti di affettuoso rispetto.”

    Nelida Milani Kruljac non ha diffi coltà ad ammettere che “mi ci sono voluti decenni per superare il disagio che la sua vasta cultura mi creava. Non la sua persona, no. Ci sono gli asettici e gli affettivi. Annio appartenenva di pre-potente diritto agli affettivi. Doveva abbracciar-ti fraternamente, aveva questa voglia di gente con cui parlare, di idee da esternare, un vulcano in ebollizione. Capace di comunicare con paro-le veraci e di donarsi, capace di instaurare con le persone un dialogo che andava al di là dell’ef-fi mero, seminava pensieri ed emozioni che non cadevano in mare ma su un suolo che li accoglie-va e li faceva germinare.

    un fondamentalecompagno di strada

    Annio è stato un grande, fondamentale com-pagno di strada. E molto più di questo. Annio è un pezzo della storia e della coscienza critica del-la minoranza. Uno specchio e un traino della sua cultura. «Istria Nobilissima» è Annio Pellizzer, il «Circolo letterati poeti e artisti» è Annio Pel-lizzer, la CI di Rovigno è Annio Pellizzer. Con lui prematuramente scomparso riposa la nostra origine, il nostro principio, il nostro ricomincia-mento. Perché il cambiamento, prima che dalle leggi, viene dalla consapevolezza dei singoli che nelle ore della confusione sanno ritrovare il fon-damento. Dalla consapevolezza e dalla volontà di nuotare come i salmoni, controcorrente, oppo-nendosi a tutto ciò che degrada, umilia e offen-de. Lui è stato uno di quei singoli. Annio, oltre le dissipazioni, le catastrofi e le fratture del tem-po, ha saputo disegnare il Progetto. Ha saputo

    cogliere la sanguigna poesia della vita che già bisbigliava nell’oscurità e farla tornare al sapore dell’aria nostrana, al calore del sole nostrano, al colore del mare nostrano. Ha saputo restituire la parola ai sentimenti per far venire allo scoperto nuove curiosità e speranze collettive.

    un intellettuale che seminava pensieri

    Dalla distruttività è riuscito a far decollare il suo Progetto, in quel crocevia che tra scuola e cultura aveva radici profonde, conteneva in sé l’idea del percorso e dello sviluppo. Il Progetto era salvare il salvabile, arricchirlo di nuovo senso vitale, osare recuperare. Annio era un progettista: ha progettato la resurrezione. L’appuntamento con il destino ha interrotto la sua azione. Uomo di straordinaria umanità, intensità, profondità, generosità intellettuale, la CNI stenterà a colma-re il vuoto. E dove lo troviamo un altro Annio? Uomini così ci mancano. La memoria di Annio Pellizzer va tenuta sempre desta.”

    Elis Deghenghi Olujić, docente presso la Facoltà di lettere e fi losofi a di Pola vede in Pel-lizzer "l'ideatore e il promotore di molteplici at-tività e innumerevoli iniziative culturali. È sta-to anche l’autore di “Voci nostre”, fondamenta-le opera per la cultura italiana istro-quarnerina. L’antologia conferma la vocazione più vera di Pellizzer, quella di professore d’italiano. In que-sta veste è stato uno di quegli studiosi insegnanti che ha costituito per lunghi anni la spina dorsa-le della cultura italiana dell’Istro-quarnerino, un intellettuale di fi nissima preparazione umani-stica, storico-fi lologica e insieme robustamente concreto, una di quelle fi gure che fanno capire cosa signifi ca, cosa può e deve essere la scuola, quale sia il rapporto fra cultura e insegnamento e come la cultura sia passata, tante volte, attra-verso il liceo. L’Antologia di Pellizzer si avvale del sostegno di un ricco e indispensabile appa-rato storico-critico, biografi co e bibliografi co, di note e di rimandi che suggeriscono ragionamen-ti di maggiore respiro. Con la scelta personale e libera degli autori e delle opere, ha offerto un quadro completo della tradizione letteraria del-l’Istro-quarnerino, in cui ogni singola voce tro-va se stessa e la propria peculiarità ed ha confer-mato, nella concezione della letteratura, il senso ampio e forte della storia e della critica letteraria. Nonostante gli aggiornamenti che il tempo che passa rende necessari, “Voci nostre” di Antonio Pellizzer, la sua antologia, sarà anche in futuro un punto fermo cui riferirsi, resterà sempre la nostra antologia.”

    “Siamo cresciuti assieme a scuola e la nostra è rimasta un’amicizia anche dopo gli studi. Ci ha

    legato la comune attività portata avanti in seno alla CI rovignese e a livello di Unione". Questi i primi ricordi di Maria Velan, insegnante ed ex dirigente dell'UI e della CI di Rovigno. "Abbia-mo condiviso problemi, gioie, dolori sia perso-nali sia collettivi, di tutta la CI e la CNI. Molte volte non ci siamo trovati d’accordo, dando vita, come tanti ricorderanno, ad accese discussioni, che poi fi nivano bene, come quelle polemiche tipiche che contrassegnano i rapporti di amici-zia. Abbiamo investito energie assieme, pensan-do allo sviluppo della scuola, operando per il mantenimento della sua italianità, collaborato in campo artistico-culturale. Pellizzer era un vulca-no di idee, a volte talmente progressiste da risul-tare irrealizzabili perché troppo avanti rispetto al contesto in cui nascevano.

    GENTE NOSTRA, GENTE DI CULTURA

    Sabato, 26 marzo 2005

    Omaggio ad Antonio Pellizzer l'ideatoree il promotore dellacrescita culturale della CNI

    Metteva l’animaMetteva l’animain tutto ciò che facevain tutto ciò che faceva

    Ha fatto tesoro del tempo che gli è stato concesso. Ha creato il suo bagaglio di ricchezza intellettuale e lo ha messo al servizio della Comunità Nazionale Ita-liana. È verso il generoso lascito di Antonio Pellizzer, l’uomo, l’intellettuale, lo scrittore, il professore che la CNI rimarrà perennemente in debito. Non potrà estin-guerlo fi no a quando non cesserà ogni sua forma d’espressione. Pellizzer, scomparso il 17 novembre 2004, fu tra i fondatori e presidente del Circolo dei Poeti Letterati ed Artisti, esponente dell’UIIF poi UI, responsabile della cultura all’interno della Giunta esecutiva, presidente della CI di Rovigno, preside del ginnasio della stessa città, ani-matore di “Istria Nobilissima”, saggista, autore dell’antologia “Voci Nostre”… Quello che pubblichiamo è un modesto tentativo di raccontare e ricordare Annio Pellizzer at-traverso le testimonianze di persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, di lavo-rargli a fi anco e, in molti casi, di imparare attingendo dalla sua considerevole opera.

    di Arletta Fonio

    L’Antologia di Pellizzer è una pietra miliare per la letteratura della CNI

  • cultura4 Sabato, 26 marzo 2005 Sabato, 26 marzo 2005

    d’ora, dovremo ripensare il ruolo delle nostre istituzioni e rivedere il nostro modo di rapportarsi e di fare cultura perché altrimenti rischiamo di essere fuori di alcune dinamiche importanti.

    Giuricin: Sprovincializzare la nostra cultura, elevarla qualitativa-mente, signifi ca affrontare un per-corso che dal particolare condu-ce all’universale passando per lo scambio interculturale. In questo modo l’artista della minoranza di-venta anche artista del territorio, ap-partiene al mondo. La nostra realtà culturale, tra inevitabili alti e bassi, è sempre stata – date le nostre pro-porzioni – ragguardevole. Se doves-simo confrontarla con la produzione culturale complessiva di una Nazio-ne o di uno Stato, la nostra ha avuto

    sempre un “peso specifi co” ben su-periore a quello di qualsiasi “mag-gioranza”.

    ci vuole sinergiatra le istituzioni

    Il punto è un altro e consiste nel-la reale capacità, oggi, delle nostre istituzioni culturali di fare sistema, di costruire un’effi ciente rete in gra-do di realizzare degli obiettivi e del-le strategie culturali della minoranza. In un mondo sempre più complesso e globalizzato, in una realtà che si va via via confrontando con sfi de sem-pre più articolate, potranno soprav-vivere e riprodursi socialmente solo quei soggetti e quelle comunità che sapranno fare “sistema” meglio de-gli altri. E per fare sistema si intende

    la capacità di interazione e sinergia, di coordinamento e cooperazione tra le singole istituzioni, per disegnare ed attuare un comune percorso pro-gettuale.

    In questo campo purtroppo ac-cusiamo dei ritardi e delle lacune molto forti. Non tanto o non solo a causa della mancanza di risorse o di strumenti, che ci sono, quanto per la gracilità di quella che potremmo defi nire la nostra “classe pesante”, la nostra “classe dirigente cultura-le”. Siamo incapaci di riprodurre in modo suffi cientemente veloce e nella quantità necessaria dei quadri dirigenti di alto livello per le nostre istituzioni, un adeguato numero di manager, specialisti ed operatori cul-turali. Al nostro sviluppo culturale, che certamente sussiste, manca cioè

    Ad ogni modo non possiamo stare fermi e sviluppare unicamente la let-teratura della memoria, sviluppare in-somma la cultura dei morti.

    Personalmente, per tornare ai gior-ni nostri, quale caporedattrice de “La Battana”, credo di aver dato un con-tributo all’espansione tematica an-che con l’ultimo numero della rivista completamente incentrato sull’amore. A mio modo di vedere si tratta di una novità assoluta a livello culturale non solo nell’ambito della minoranza ma anche più in generale per quel che ri-guarda le attuali riviste culturali. Con un numero tematico dedicato intera-mente all’amore si voleva tra l’altro stimolare gli uomini di cultura della minoranza, obbligarli al confronto. Tuttavia si è registrata l’assenza pro-prio di quelli che avrebbero dovuto ac-cettare questa provocazione per darsi agli altri verso l’esterno, per superare questa solita chiusura, questa proble-matizzazione centripeta volta a guar-darsi sempre dentro.

    Stando alle dichiarazioni dell’ex direttore del Dramma Italiano San-dro Damiani, dichiarazioni consulta-bili su Internet, la scarsa presenza di pubblico agli spettacoli del Dramma Italiano e l’esiguo numero di lettori del quotidiano “La Voce del Popo-lo” sarebbero dei dati che consento-no di parlare di fallimento del pro-getto “Cultura italiana in Croazia e Slovenia”.

    Juri: Da un punto di vista così come focalizzato da Damiani, po-tremmo dargli pienamente ragione se fermiamo tutto su un’analisi stati-stica. D’altra parte, come diceva giu-stamente Scotti, una popolazione che è pari a quella di Monfalcone, ha una grossa concentrazione di attività cul-turale. Ma qui si deve dire che si trat-ta di un’attività culturale frenetica e in quanto tale piuttosto anomala. Ciò che cosa signifi ca? Innanzitutto può signi-fi care che siamo una comunità nazio-nale mal strutturata, cioè siamo tutti puntati al terziario avanzato, al terzia-rio più sublime cioè alla cultura.

    un’iperproduzioneannacquata

    e senza veicolazione Gli esponenti della minoranza

    sono per professione o insegnanti, o giornalisti, o attori e registi o funzio-nari e in virtù di questa strutturazione la CNI riesce in qualche modo a resi-stere culturalmente, linguisticamente ed anche fi nanziariamente perché que-sta struttura viene come tale fi nanzia-ta. Non esistono altre occasioni eco-nomico-sociali per questa minoranza, c’è soltanto la cultura. Una volta col-ta questa cornice, è chiaro che una va-lutazione sulla fortuna o meno di un prodotto culturale deve essere analiz-zata in questo contesto, in questa real-tà. Questa concentrazione di elementi di produttività artistica nella minoran-za produce naturalmente dei benefi ci, ma si presta anche a qualche rischio. Il rischio è quello della maxi produzio-ne, che poi viene sigillata, e suggellata dalle Istrie Nobilissime, dai vari spet-tacoli e così via. In realtà si corre il ri-schio di un annacquamento qualitati-vo nel discorso culturale. Mi sembra, e questo è un discorso che faccio da anni, che la minoranza non abbia an-cora colto quelle grandi occasioni che, in quanto minoranza presente in una realtà interculturale, si trova di fronte. A mio parere si è portato avanti il di-scorso della cultura del gruppo nazio-nale italiano a due livelli: uno è quello della culturale locale, e mi sembra che pensando a questo primo livello dei

    In un momento in cui la sfi da del multiculturale, dell’altro e del diver-so è decisamente trandy e dunque di forte seduzione, come fare per produrre una cultura attuale e valida di fronte alla necessità di conservare l’identità che fi nora si è fondata su opere che sostanzialmente propone-vano il recupero della memoria? Si può davvero essere glocal ovve-ro, si possono raggiungere traguar-di globali proponendo tematiche lo-cali?

    Gamboz: Ogni proposta cul-turale è originariamente locale. I sentimenti, le tensioni e moti d’ani-mo dell’uomo sono essenzialmen-te “locali”: si diventa globali quan-do ci si unisce in un panorama più ampio con altre sensibilità locali. Si può avere lo stesso sentire a Capodi-stria, come a Roma, come a Berlino. Io ho una doppia identità, italiana e slovena, il gruppo teatrale con il qua-le lavoro è un melting pot che anche in quanto tale diventa interessante al mercato. Anche chi non è bilingue è affascinato dalla diversità. Quindi personalmente, in quanto a ragioni familiari, appartengo alla minoran-za, ma gli argomenti che tratto sono quelli universali e quindi il teatro per me ha senso di esistere se diventa in-contro e confronto tra le culture che vivono su un territorio e come tale allarga il mercato. Non ci sono poi tante alternative, i ministeri non sono retti dalle minoranze ma operano pri-mariamente in funzione delle culture nazionali. Quindi possiamo sperare di tenere vivi i nostri prodotti cultu-rali se proponiamo un discorso che sia interessante non soltanto alla mi-noranza, bensì ad un pubblico e dun-que ad un mercato più vasto.

    Juri: Il nostro discorso cultura-le non si può ridurre unicamente alla cultura autoctona che vogliamo tra-mandare di generazione in genera-zione con il recupero e lo scavo nella memoria, con lo scavo nelle tradizio-ni che in qualche modo rappresenta-no la continuità di questa comunità. Andare oltre signifi ca affrontare il grande dilemma dei nostri operato-ri culturali: quale cultura mediare al proprio pubblico. Sempre che pub-blico ci sia. A mio modo di vedere dobbiamo e possiamo spingerci al di là della produzione culturale pro-pria nazionale e folcloristica per di-ventare mediatori di cultura. Penso che ciò rappresenti una grande op-portunità per gli italiani che vivono in Istria e nel Quarnero e forse anche

    in Dalmazia. I giovani non vogliono più sentirne di archeologia culturale, chiedono una cultura che sia capace di mediare i valori del presente. La crisi esistenziale che in questo mo-mento è presente in tutto il mondo, i dubbi e le incertezze di fronte alle guerre, alle domande sul bene e il male, sulla violenza, sono argomen-ti universali e che vanno incanalati anche attraverso le nostre istituzio-ni. L’Unione Italiana è certamente in grado di farlo, tenendo conto che non ci si può rivolgere unicamente alla minoranza perché questa mino-ranza non c’è più. In Slovenia siamo un club di tifosi di una squadra pro-vinciale”.

    Come fare affi nché le aperture multi e interculturali non vadano a diluire la dimensione culturale iden-titaria e a favorire l’assimilazione?

    Tremul: Dobbiamo operare su più livelli. Il primo è quello di soste-nere e sviluppare quella che è la pro-duzione legata alla nostra identità di minoranza. Un altro è sicuramente quello di cercare di essere veicolo della cultura italiana qui, di essere veicolo della cultura slovena e croa-ta verso l’Italia e verso noi stessi, un altro ancora può essere quello di di-ventare il luogo d’incontro e collabo-razione tra le componenti che vivono in questo territorio più vasto, dun-que l’Istroquarnerino, il Friuli Vene-zia Giulia ed il Veneto. Lo possiamo fare in primo luogo appoggiandoci ai

    progetti Europei che sono importan-ti perché ci costringono a pensare in maniera diversa. Detto in altri termi-ni, con le risorse dell’Italia sviluppia-mo progetti atti a mantenere l’identi-tà culturale della CNI, con l’Europa facciamo una cosa che non è riferita solo alla minoranza ma anche ad un pubblico più ampio in un cui la mi-noranza è un soggetto portatore di una ricaduta sul territorio nel quale gli utenti non sono soltanto gli ap-partenenti CNI. Credo inoltre che si debba impegnare di più per favorire la veicolazione della nostra produ-zione nei media culturali dei paesi domiciliari e in Italia. Dobbiamo far-lo anche perché la nostra produzione letteraria o artistica deve entrare nel-la storia della letteratura e nella storia di all’arte dell’Italia, della Croazia e Della Slovenia. Pur trattandosi di cultura italiana è parte di un patrimo-nio culturale di tre paesi.

    La nostra minoranza in campo culturale sta operando con la piena convinzione che ci si debba aprire, che ci si debba confrontare e colla-borare con gli altri. Tuttavia si deve ricordare che questo tipo di proiezio-ne verso lo scambio e l’osmosi inter-culturale non è propriamente diffusa nel panorama croato e sloveno che sono molto più chiusi e molto meno permeabili al multiculturale e al con-fronto di identità e di culture. Sono mondi spesso refrattari proprio verso la cultura italiana. Noi siamo dunque

    chiamati ad agire nella società affi n-ché questa capacità di interlocuzione e di dialogo culturale e di sana conta-minazione ci sia da tutte le parti per-ché altrimenti sì che si corre il rischio dell’estinzione della componente mi-noritaria.

    Gamboz: Non si tratta assolu-tamente di cedere la propria identi-tà culturale ad un altro. Qui si vuo-le spezzare una lancia in favore della capacità di confrontarsi. Noi siamo ciò che siamo unicamente se siamo forti dal punto di vista individuale, identitario e della qualità. Può ce-dere il passo alle paure dell’assimi-lazione soltanto chi è debole dentro. Io non ho timori di alcun genere. Di che cosa dovrei avere paura? Ho la certezza che aprirsi al confronto è spargere il seme di una nostra nuo-

    va crescita, è il fi orire della nostra ricchezza.

    Scotti: Non dobbiamo avere paura dell’assimilazione. Abbiamo un’identità culturale molto forte e la nostra forza deve spingerci ad uscire dal ghetto, come del resto abbiamo sempre fatto. Non dobbiamo cade-re nella falsa convinzione che chiu-dendoci ci si possa conservare me-glio. Noi l’incontro l’abbiamo favo-rito sempre, basti pensare alla nostra rivista letteraria La Battana nelle cui pagine si incontrano tanti mondi culturali, tante poetiche che fanno di essa una rivista diversa, stimolante, mediatrice.

    Giuricin: A mio modo di vede-re siamo nel mezzo di un equivoco per il quale il provincialismo viene scambiato per chiusura. Se la nostra

    minoranza da un punto di vista cultu-rale ha una pecca, non è quella della chiusura, perché la nostra minoranza è storicamente, sin dai tempi di Se-qui e di Turconi, una delle minoran-ze più aperte dal punto di vista socia-le, politico, culturale. Basti pensare alla composizione nazionale degli alunni delle nostre scuole, campo in cui certamente deteniamo un pri-mato d’apertura. Interscambiare non signifi ca annacquarci oppure assimi-larci perché nei modi e nella qualità dell’interscambio culturale rimania-mo consapevoli della nostra identi-tà. Casomai dobbiamo rafforzare ul-teriormente la nostra presenza. Dun-que il problema non sta nella chiusu-ra che assolutamente non c’è, ma nel provincialismo, nel fatto che per una serie di motivi anche storici, spesso

    non riusciamo, a parte lodevoli ecce-zioni, a produrre cultura di alta qua-lità. Se noi vogliamo andare a fare quel discorso di soggetto e fattore attivo nell’interscambio multicultu-rale dobbiamo portare delle propo-ste culturali alte. Come lo stiamo fa-cendo nel caso degli artisti fi gurativi che, tanto per fare un esempio, costi-tuiscono l’ossatura del panorama ar-tistico della città di Fiume.

    Juri Uno dei nostri compiti è quello di penetrare nel circuito cul-turale della maggioranza, specie di quella maggioranza presente sul no-stro territorio: si tratta di un pubblico che tramite la cultura della minoran-za ritrova anche un aspetto della pro-pria peculiarità rispetto al resto della società. La voglia di interferenza cul-turale c’é anche nel tessuto maggio-ritario, quindi bisogna cogliere que-sti momenti e approfi ttare per esse-re mediatori di questa nuova sintesi culturale.

    Tremul La CNI ha saputo esse-re in questi anni protagonista di de-terminati rinnovamenti e ha sapu-to fare da apripista non soltanto in campo culturale, ma anche in quel-lo sociale e politico. Basti pensare ai nostri sforzi pionieristici per ricom-porre il dialogo con gli esuli, oppu-re ricordare l’esperienza di Gruppo ’88 che è stato il luogo di rinnova-mento civile e democratico che ha investito non solo degli Italiani, ma gran parte della società. Ora dobbia-mo fare un nuovo salto di qualità. Dobbiamo elevare il nostro tasso di produzione culturale evitando i giri provinciali, semplicemente perché il mondo cambia. Dobbiamo metter-ci in discussione, capire dove e come dobbiamo andare, senza per questo rinnegare quello che abbiamo fatto e senza rinnegare la nostra cultura e la nostra identità.

    Gradito ospite del dibatti-to è stato anche il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultu-ra a Zagabria Favio Andreis al quale abbiamo chiesto un giudizio sulla nostra cultura. Siamo “vecchi” e provinciali oppure, seppur dalle “bran-chie”, respiriamo ancora?

    Andreis: Mi sembra che, considerando anche la sua grandezza numerica, la Co-munità italiana, nonostante le diffi cili vicende storiche at-traverso le quali è passata ne-gli ultimi decenni, sia riuscita notevolmente a consolidare il proprio tessuto culturale. Poi c’è tutta la struttura politica-amministrativa che mi sembra piuttosto ben congegnata. For-se questa sorta di collegamen-to e collaborazione, ma anche di dipendenza dall’Università Popolare di Trieste, questa cer-niera nei confronti del nostro Ministero degli Affari esteri a Roma, crea qualche inceppa-mento. Nell’insieme la mia è un’impressione positiva. Tutto sommato mi pare che è quasi soprendente come nonostan-te tutto e nonostante anche l’abbastanza recente spaccatu-ra derivata dalla divisione tra due Paesi la cultura della mi-noranza italiana dell’Istria e del Quarnero, della Dalmazia molto meno, sia riuscita a con-solidarsi ad un livello piuttosto notevole”.

    Nel momento in cui in Ita-lia, ma anche in Europa, i valori nazionali sono torna-ti alla ribalta, c’è o non c’è, da parte del Governo italiano, un preciso indirizzo culturale strategico nei confronti della nostra comunità?

    Andreis: La riscoperta del-l’identità, della bandiera, della Patria che si notano in questi tempi precede questo gover-no e si può far risalire all’epo-ca della nascita della Lega Nord. Alcune di quelle idee oggi hanno raggiunto anche la sinistra. Nella promozione culturale, la politica italiana è molto meno mirata rispetto a quella della Francia, della Gran Bretagna o della Spagna. Gli Istituti Italiani di Cultura hanno delle direttive abbastan-za generali che sono uniformi per tutti. Io devo dire che non ricevo delle direttive specifi -che organiche in riferimento alla CNI, solo qualche sugge-rimento, comunque niente che si possa tradurre in programmi operativi con priorità ben deli-neate né tantomeno in voci di bilancio.

    Dalla prima pagina

    IL TEMA

    La sfi da dell’interculturalità

    A cura di Silvio Forza, foto di Graziella Tatalović

    Alla minoranza serve una “regia” per sventare i pericoli di nazionalpopolarizzazione e i rischi di assimilazione

    Un «new deal» per ripensare la cultura CNI L’Italia e noisuccessi e dei passi avanti si siano fat-ti. Girando per l’Istria ho visto come mai prima una presenza culturale lo-cale dovuta anche a questo sviluppo delle Comunità degli Italiani, una pre-senza fi sica di vani, di spazi restaura-ti, che ha dato impulso anche nei posti più reconditi dell’Istria dove si pensa-va non ci fosse più anima viva.

    Il secondo livello è quello della cultura nazionale, quindi del mediare, o dell’essere appendice del discorso culturale della nazione madre e quindi di riproporre in questo ambito valori che si affi anchino a quello nazionale. Qui il problema non riguarda solo la minoranza ma anche l’Italia. C’è una crisi culturale in Italia, ma anche più universale, soprattutto laddove il mito nazionalpopolare sta diventando do-minante. In questa situazione, lo spa-zio per la cultura vera, che è sempre critica, si fa angusto, per cui abbiamo

    il paradosso per il quale la minoranza, seguendo la Nazione Madre, può in-correre nel pericolo di una nazionalpo-polarizzazione della propria cultura il che coinciderebbe con un suicidio per una minoranza come la nostra.

    l’arte qualemediatrice di valori

    etici ed esteticiIl terzo livello è quello della cul-

    tura con la “C” maiuscola, la cultura come mediatrice di elementi etici ed estetici. E qui insorge il problema. Riusciamo noi, come minoranza, a raccogliere le sfi de della vera cultu-ra? Una domanda a cui io non so ri-spondere anche perché entriamo in un ambito che esige meno sudditan-za sia dal mercato, sia dalle istitu-zioni che aiutano la cultura sempre in funzione dei propri interessi.

    Tremul: In realtà scontiamo una cultura della comunità nazio-nale che tutti quanti erroneamente defi niamo molto chiusa, autorefe-renziale, spesso poco aperta, mar-ginale. Noi ci troviamo ad essere gli eredi di una situazione in cui la presenza della nostra storia è fatta di una ghettizzazione che è durata per decenni. Per troppo tempo la comu-nità italiana, ciò che ne è rimasto, è stata ghettizzata da altri, compressa, costretta a fare le proprie rassegne, le proprie cose. Per strada abbiamo perso molte generazioni, per motivi anagrafi ci siamo rimasti senza mol-ti dei padri fondatori. Ora davan-ti a noi abbiamo un incarico molto diffi cile che è quello di innovare e ringiovanire il nostro modo di pen-sare, il nostro modo di essere. Con l’ingresso nell’Unione Europea (la Croazia), ma dovremmo farlo sin

    una “regia”, un quadro progettuale e strategico complessivo. E soprat-tutto, manca una politica dei quadri in grado di garantirci uno “staff in-tellettuale”. Uno staff che sia dotato delle competenze e, soprattutto, della consapevolezza e della tensione etica indispensabili a cogliere le sfi de del nostro futuro. Da anni stentiamo a ri-dare slancio e a far ripartire il Circo-lo dei poeti letterati ed artisti, avver-tiamo l’esigenza di un rinnovamento

    di “Istria Nobilissima”, che però non riusciamo a rilanciare in modo nuo-vo ed originale. Si parla da tempo della necessità di rendere fi nalmen-te autonomo il Dramma Italiano, e di affi dargli anche il ruolo di agente e di organizzatore delle migliori presenze teatrali italiane nei cartelloni ed i re-pertori teatrali in Slovenia e Croazia. Manchiamo anche di gallerie perma-nenti, di nostra proprietà, per valo-rizzare adeguatamente i nostri artisti, In defi nitiva dobbiamo essere capaci di offrire gli strumenti opportuni, al-trimenti chi produce cultura e crea-tività se ne andrà altrove. Dobbiamo fare politica culturale.

    Gamboz: Visto che noi abbia-mo queste istituzioni, questa presen-za storica, possiamo dare ai giovani l’opportunità di crescere e rimanere qui? Per questa mancanza di rispo-sta, ahimé, molti giovani se ne sono andati altrove. La mia generazione, fatta di persone estramemente va-lide, praticamente è scomparsa dal territorio.

    Marchig: Il problema sta in chi guida le istituzioni, in chi guida que-sto sistema, quali idee propone, quali sono le sue capacità di apertura ver-so i nuovi progetti. L’unica cosa che si riesce ad esportare realmente è il progetto. Il fatto di presentarci come minoranza, se non c’è il progetto, in Europa è insignifi cante.

    Tremul: Abbiamo fatto delle cose importanti e rilevanti. Siamo giunti ad un punto di criticità, e la crisi è il momento in cui si diventa qualcosa di diverso. Dobbiamo ridi-ventare propositivi, saper riproporci come ruolo e come funzione. Credo che noi abbiamo la forza di farlo e lo faremo meglio se sapremo confron-tarci anche con idee diverse.

    Quali dunque le prospettive di sviluppo della cultura della nostra minoranza?

    Giuricin: Esse non potranno che dipendere dalla vitalità, l’effi -cienza e la capacità progettuale com-plessiva del “sistema culturale” che la CNI riuscirà a mettere in campo. La nostra minoranza ha sempre avu-to e continuerà ad avere una cultura fatta da soggetti ed autori isolati. Sia-mo sempre stati – parafrasando – un piccolo popolo di artisti, poeti e let-terati. Ma questo non basta: questo “piccolo popolo”, se non farà siste-ma, rischia di scomparire. Sulla car-ta abbiamo milioni di euro messi a disposizione dallo Stato italiano per le nostre necessità sociali e cultura-li. Perché non concentrare gli sforzi e le risorse per sviluppare un nuo-vo, grande quadro di sviluppo del-la cultura della minoranza? Perché non mobilitare tutti i nostri miglio-ri intellettuali attorno al progetto di un “new deal” culturale della comu-nità nazionale? Si tratta di una gran-de sfi da da cui può dipendere il futu-ro stesso dei “rimasti”. Perché se sa-premo riprodurre cultura riusciremo anche a mantenere la nostra presenza sul territorio, a contare socialmente e politicamente e a fronteggiare ade-guatamente le ricorrenti insidie dei censimenti. Non dobbiamo avere paura di essere in pochi, ma di non essere all’altezza delle sfi de che ci aspettano.

    Giacomo Scotti Laura Marchig

    Maurizio Tremul Ezio Giuricin Franco Juri Martina Gamboz

    Flavio Andreis

    5

    Un momento del dibattito promosso dal nostro quotidiano

  • 6 cultura

    Eterogeneità formale e tematica unita a qualità. Temi che vanno da motivi di guerra a mondi racchiu-si in una scatoletta, da emotività a razionalità ed esperimento. La mostra "Ek-sistere" è una selezio-ne riuscita di opere di artisti riu-niti nell’HDLU fi umano (Società croata degli artisti fi gurativi) fi r-mata dallo storico d’arte Branko Cerovac, nella quale hanno trovato posto i temperamenti più disparati che insieme hanno dato vita ad una bella avventura artistica nella gal-leria fi umana “Kortil”. Ma, vedia-mo un po’ di che si tratta… La mo-stra si apre con due dipinti astrat-ti di Dražen Pilipović Pegla che sembrano esplorare, da una parte, l’assenza del colore e, dall’altra, l’effetto di un gioco di tratti cir-colari colorati. Da segnalare, a questo punto, la mancanza, al-quanto inspiegabile, di legende recanti i titoli delle opere espo-ste, il che rende in certi casi diffi cile la comprensione di un buon numero di lavori, ma allo stesso tempo offre allo spettatore la libertà d’inter-pretazione. Siamo così libe-ri di interpretare il quadro-scultura di Sanja Švrljuga Milić, realizzato in me-tallo, come una fi nestra inquietante attraverso la quale è pericoloso sporgersi. Lungo la su-perfi cie metallica del quadro si individua-no frammenti di teste umane che rendono ancora più sconcer-tante questo assem-blaggio suggesti-vo, quasi una “fi -nestra dell’orro-re”. Tomo Gerić si presenta con una “decompo-sizione” del-la sfera in toni

    di nero e grigio che sembra “aprirsi”

    in sezioni regolari, dando

    in questo modo un tocco di dina-mismo al dipinto di natura essen-zialmente razionale. Lo stesso non si può constatare per il trittico di stampo espressionista eseguito in

    tecnica mista di Boris Kačić, che ci invita ad entrare nel suo mon-do un po' malinconico. Spiccano nei suoi tre dipinti tre fi gure umane stilizzate e un po' infantili, immer-se in una ricca gamma di tonalità bluastre e verdastre con accenti di porpora brillante e circondati da fi ori e uccelli. È questo un mondo ricco di sfumature, ingenuità ed innocenza. mentre i suoi tre uomi-ni dalle grandi teste e dagli occhi tristi e sognanti sembrano parlar-ci dell'anima sensibile e dolce del-l'artista. E di libertà d'espressione. Molto simile, ma eseguito in una tecnica diversa, è il grande qua-dro di Marina Banić, diviso in se-zioni e realizzato con rose di carta colorate. Ne è venuta fuori un'ope-ra allegra e divertente che asso-miglia molto ai dipinti divisionisti dell'epoca impressionista. Infatti, appena allontanandoci dall'opera vediamo emergere dalla miriade di colori una lucertola rosa e un viso che sembra quello di una donna. Un mondo a sé è l'opera di Jasna Šikanja, che ci commuove con la sua delicatezza. Il fotografo Istog Žorž ha, invece, ideato un'intera costruzione di metallo per mostrar-ci una piccola foglia di vite che si rifl ette in uno specchietto, mentre Zdravko Milić crea una serie di variazioni sul tema della montagna realizzate in una tecnica particola-re e tutta sua. Ma quest'esposizione non si esaurisce in opere emotive e poetiche. Alcuni autori si presenta-no molto critici nei confronti della

    realtà in cui viviamo, esplorandone gli aspetti più problematici. Così, Izabela Stančić Peculić critica la cultura del consumismo sia nel-la società che nella chiesa e lo fa nel dipinto in cui è raffi gurata una scatola di cioccolatini "marchiati" con dei crocifi ssi di plastica. Nep-pure i simboli sacri hanno un va-lore ideale nella società in cui vi-viamo e, tristemente, ogni cosa ha un prezzo. Un messaggio simile lo recano anche i tre vasi “cine-si” di Lara Badurina, acquistati a buon prezzo. I tre vasi, identici tra di loro, sono stati rotti e ricom-posti in tre modi diversi e ciascuno è stato poi inserito in una custodia di vetro. È questa una trovata spi-ritosa che gioca con il “valore” dei vasi. Infatti, esposti in questo modo sembrano acquisire più im-portanza – la confezione li rende più preziosi. Il quadro di Bogumil Karlavaris, composto da simboli araldici combinati a riproduzioni di dipinti classici raffi guranti una battaglia, è una critica della guer-ra realizzata con un tocco d'ironia, mentre Zlatko Kutnjak si sbizzarri-sce giocando con simboli di diversi regimi che opprimevano milioni di persone nel corso della storia, in-cludendovi anche il simbolo della croce in tono polemico. La scultura è rappresentata da opere di Mirko Zrinšćak, che dimostra sensibilità nel lavoro con il legno, da Zvoni-mir Kamenar, il quale gioca con la scena politica attuale, da Goran Nemarnik Gus e Eugen Vodopivec Borkovsky, i quali si esprimono con il metallo. Alla mostra si pos-sono ammirare pure opere di Ma-rijan Blažina, il quale crea una rappresentazione piuttosto realista delle onde marine osservate dal-l'alto e Melita Sorola Staničić che gioca con i cerchi rossi. Un distac-co verso l'esperimento lo dimostra Bruno Paladin nel proprio trittico astratto, mentre Celestina Vičević crea delicati “disegni d'acqua” su vetro. Karlo Došen infi ne si pre-senta con un trittico di fotografi e inquietanti e misteriose realizzate in una chiesa e in un convento.

    Sabato, 26 marzo 2005

    MOSTRE LOCALI

    ARTE: GRANDI EVENTI

    Mondrian a passo di Boogie WoogieRoma, Vittoriano Munch 1863-1944Una personalità curiosa e tormentata,

    una vita vissuta con angoscia e tristezza. Un temperamento ardente nato tra la neve e il gelo della Norvegia. Stiamo parlando di Edvard Munch, uno dei più grandi ar-tisti di tutti i tempi, che con la sua opera pittorica ha infl uenzato le generazioni a venire ed ha lasciato capolavori indimen-ticabili. Tra questi è impossibile non no-

    minare il famosissimo “Grido” – un vero e proprio ritratto dell’angoscia che con la propria forza colpisce a fondo lo spettato-re. C'é una curiosità legata a Munch: tene-va i suoi dipinti all’aperto, esposte alle in-temperie e agli escrementi di insetti perché riteneva che dopo tale trattamento le com-binazioni dei colori risultassero migliori. La mostra di oltre 100 opere tra oli e gra-

    fi che, provenienti dalla "Galleria naziona-le" e dal "Museo Munch "di Oslo, è aper-ta fi no al 19 giugno presso il Complesso del Vittoriano a Roma. Tra i capolavori in mostra pure "Natale al bordello", "Model-la zingara", "Ragazze sul ponte", "Chiaro di luna"...

    Vienna, Galleria Albertina 90 Capo-lavori di Mondrian

    I suoi quadri, se ne vendeva alcuno, ve-nivano acquistati sempre a prezzi bassissi-mi. Ora valgono milioni e rappresentano le vette massime dell’astrazione nella pittura. Un'assurdità: la prima e unica mostra per-sonale l'ha avuta a settant'anni. Piet Mon-drian ha iniziato il suo percorso pittorico di-pingendo paesaggi e quadri carichi di sim-bolismo, avvicinandosi anche al cubismo e all’espressionismo. Con il tempo, i suoi paesaggi e alberi sono diventati sempre più stilizzati e geometrizzati. Mondrian ha abolito dai suoi dipinti, organizzati in modo asimmetrico e allo stesso tempo armoniosi ed equilibrati, la diagonale e il colore verde, che non sopportava. Sono nati così i suoi quadri più famosi, tra cui il “Broadway Boogie Woogie” nel quale l’artista ha volu-to rappresentare una notte sulle strade della mondana New York. Perché Boogie Woo-gie? Perché Mondrian era una ballerino ap-passionato. La mostra è aperta fi no al 19 giugno presso l’Albertina di Vienna.

    Roma, Scuderie del Quirinale Capo-lavori del Guggenheim – Il grande colle-zionismo da Renoir a Warhol

    All'eccezionale mostra allestita presso le Scuderie del Quirinale a Roma, sono state esposte 83 opere di una cinquanti-na di grandi nomi dell'arte di tutti i tempi, tra i quali Monet, Klee, Pollock, Picasso, Matisse, Chagall, Rauschenberg... È que-sta un'ottima occasione per conoscere la storia di un importante museo, nato dal-l'entusiasmo e amore per l'arte di Solomon e arricchito ulteriormente da Peggy Gug-genheim. I capolavori esposti a Roma pro-vengono dal museo Guggenheim di New York - il cui noto edifi cio circolare, proget-tato dal famoso Frank Lloyd Wright, è di per sé un'opera d'arte - da quello di Bilbao e dalla collezione di Peggy Guggenheim del palazzo Venier dei Leoni a Venezia. Un tesoro artistico inestimabile. (hl)

    3 marzo, Trieste: presentato il volume “TRIESTE-EUROPEAN POETRY”. La pubblicazione, cu-rata da Gerald Parks, Aleksij Pregarc, e Marina Moretti per l’Associazione Iniziativa Europea – InEuropa, raccoglie i lavori di POETI TRIESTI-NI DI DIVERSA MADRELINGUA (slovena e friulana) che mettono in risalto l’anima com-plessa di una città simbolo, oggi punto d’incon-tro di una nuova Europa.

    4 marzo, Fiume: promosso presso la Comunità degli Italiani il LIBRO “EL BALON FIUMAN QUANDO SU LA TORE ERA L’AQUILA” dello scrittore milanese Luca Dibenedetto. Il li-bro è dedicato al calcio fi umano nel trentennio che va dal 1918 al 1948.

    4 marzo, Lubiana: inaugurata all’Istituto Italiano di cultura una personale dell’ARTISTA LIGU-RE MARCO CASENTINI.

    9 marzo, Lago di Garda: la scrittrice, poetes-sa e traduttrice CROATA LJERKA CAR MATUTINOVIĆ è stata insignita del premio “CITTÀ DI SALÒ” al concorso Internazionale per la poesia e la prosa. Premiata pure ISABEL-LA FLEGO di Capodistria.

    11 marzo, Parenzo: presentata la raccolta di poe-sie di MILAN RAKOVAC dal titolo “CHA FOR KIDS” pubblicata da “Školska knjiga” di Zagabria.

    11 marzo, Capodistria: a Palazzo Manzioli pre-sentate le interessanti pubblicazioni i “COGNO-MI TRIESTINI” di Marino Bonifacio e “LE PERLE DEL NOSTRO DIALETTO” di Ondi-na Lusa.

    15 marzo, Pirano: la giunta municipale ripristina il PREMIO “SAN GIORGIO”.

    15 - 20 marzo: GITA CULTURALE per i soci del-le CI di Umago e S. Lorenzo-Babici che visita-no Napoli, il Vesuvio, Capri e Pompei.

    16 marzo, Lipsia: la scrittrice croata SLAVENKA DRAKULIĆ è stata premiata con il “CITTÀ DI LIPSIA (LEIPZIG) ”, premio per la promozio-ne delle integrazioni europee.

    16 marzo, Zagabria: all’Istituto Italiano di Cul-tura presentata LA “GRAMMATICA DELLA LINGUA CROATO-MOLISANA” di Antonio Sammartino.

    18 marzo, Pola: presentata presso la CI di Pola la MONOGRAFIA “I BOMBARDAMENTI AL-LEATI SU POLA” del ricercatore Raoul Maršetić del Centro di Ricerche storiche di Rovigno

    18 marzo, Castelnuovo (Rakalj): allestimento in via permanente del lascito etnografi co, lettera-rio e scientifi co del pubblicista ed economista istriano Mijo Mirković - MATE BALOTA pres-so la sua casa natale di Castelnuovo, recente-mente restaurata all’uopo

    20 marzo, Pola: alla Biblioteca cittadina di Pola il sindaco Luciano Delbianco inaugura la mostra “LIBRI, BIBLIOTECHE E BIBLIOTECARI NELLA LETTERATURA ITALIANA” che met-te in esposizione libri di Alvaro, Bassani, Eco, Pi-randello, Bevilacqua, Calvino ed altri.

    20 marzo, Zagabria: parte il festival internaziona-le del FILM AMATORIALE.

    21 marzo, Pirano: alla Comunità’ degli Italiani “Giu-seppe Tartini” presentata la raccolta di poesie “Una voce sommessa” di ADELIA BIASIOL. Il volume della scrittrice prematuramente scomparsa quattro anni fa, che ripercorrere il suo cammino letterario attraverso liriche legate al territorio istriano e alla sua gente, è stato curato da Anita Forlani.

    21 marzo, Zagabria: in collaborazione con il Ga-binetto della Grafi ca dell’Accademia Croata delle Scienze e delle Arti all’Istituto Italiano di Cultura è stata inaugurata la MOSTRA “GRA-FICA ITALIANA DEI VECCHI MAESTRI DAL XVI AL XIX SEC”.

    22 marzo, Lubiana: all’Istituto Italiano di Cultura incontro con EDOARDO ERBA. Lo scrittore, formatosi alla scuola del Piccolo Teatro di Mila-no, è autore di testi teatrali, tra i quali «Marato-na di New York» tradotta in otto lingue e rappre-sentata in 13 paesi. È stata messa in scena anche dal Dramma italiano di Fiume

    23 marzo, Pirano: alla Comunità degli Italiani è stato presentato il libro “Sindrome da frontie-ra – I ricordi di uno sconosciuto” di ALJOŠA CURAVIČ.

    Ondina Lusa di Pirano,

    autrice dell’interessante

    volume “Le perle del nostro

    dialetto”

    BRICIOLE DI CULTURA

    Sguardo a ritroso

    Piet Mondrian: Broadway Boogie Woogie

    Edvard Munch: La danza della vita

    «Ek-sistere» tra razionalità ed emozionidi Helena Labus

    Scultura di Mirko Zrinšćak

    I cioccolatini “anticonsumistici”di Izabela Stančić Peculić

    FOTO

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  • cultura 7

    Regia di R. Marshall Thurber. Con Vice Vaughn, Ben Stiller, Christine Taylor.

    Sabato, 26 marzo 2005

    IL FILM DEL MESE

    CINEMA VIDEO E DVD

    Film bellissimo, diretto e re-citato alla grande. Merita tutto quello che ha vinto. È la storia di Frankie Dunn, interpretato da un bravissimo Clint Eastwood, un al-lenatore di box di vecchio stampo. Il suo mondo è un “buco” di pale-stra, dove passa tutto il suo tempo ad allenare pugili e a polemizzare con l'amico nonché aiutante Scrap (Morgan Freeman, premiato con l'Oscar). La palestra viene fre-quentata da Maggie, una ragazza che ad ogni costo vuol essere alle-nata da Frankie per poter combat-tere. Il fi lm ci narra, dunque, del rapporto di Frankie, proprietario della palestra, e Maggie, che so-gna di fare il pugile. Tra i due na-scerà un rapporto che sfi ora il le-game padre-fi glia.

    La protagonista principale, Hi-lary Swank, grazie a questo fi lm, ha vinto il suo secondo Oscar come miglior attrice. La prima volta ha avuto la statuetta del-l'Academy per “Boys Don't Cry” (1998) in cu la Swank interpreta-va un ragazzo! Questo secondo Oscar dimostra due cose: primo, che si tratta di una straordinaria attrice e, secondo, che il primo

    Oscar non fu casuale, come soste-nevano molti critici e presunti tali.

    Grandissima prova di Clint Ea-stwood, il quale invecchiando mi-gliora. Esattamente come il buon vino. Il suo è un cinema già visto, ossia non propone grosse novità stilistiche o di linguaggio, tuttavia sa ancora regalarci emozioni for-ti. È un cinema classico, soprat-tutto nel raccontare le cose, os-sia la storia è tra le più classiche, vale a dire una ragazza rincorre il suo sogno, che riuscirà a realizza-re anche se poi questo sogno ver-rà comunque infranto. Eastwood, nella regia, ha messo parecchio di suo, in primo luogo usando con maestria le ombre. Sono molte le

    scene “all’oscuro”, tante inqua-drature poco o mal illuminate; si potrebbe defi nire la pellicola un “dark movie” (fi lm scuro) in senso propriamente letterale.

    Venticinquesima regia per Clint Eastwood (ed ennesima pro-va da protagonista). Dopo il gran-de successo di “Mystic River”, l'ex pupillo di Sergio Leone torna dietro alla macchina da presa per dirigere questo fi lm sul pugilato. Il fi lm non è la solita pellicola che ci racconta dello sport (e qui chi an-cora non ha visto il fi lm smetta la lettura), ma va oltre per arrivare

    ad un argomento ben più scottan-te. Clint parla della box solamen-te per poter parlare (negli ultimi quindici minuti del fi lm) dell’eu-tanasia. Una svolta clamorosa: Eastwood, senza peli sulla lingua, affronta il diffi cile problema del-la morte assistita (in questo pe-riodo, tristemente molto discussa per il caso di Terry Schiavo). E senza mezzi termini ci fa capire che approva l'atto estremo. Anche se, morso dal dubbio, si consiglia con il parroco della chiesa che fre-quenta ogni giorno. I dubbi, ovvia-mente, rimangono. (gm)

    Million Dollar Baby

    Oscar: per Scorsese è notte davvero I più gettonati del momento...Sembrava la volta buona per

    Martin Scorsese; era quasi sicu-ro di poter portare a casa l’ambi-ta statuetta dorata per la miglior regia. Invece, quasi per una male-dizione innata, il regista italoame-ricano è rimasto ancora una volta a mani vuote! Pochi s'immaginano che Scorsese nella sua lunga car-riera (45 anni a fare il regista) non è mai stato premiato dai signori del-l'Academy. Cosa molto strana se si pensa al curriculum di Scorsese. La rincorsa alla statuetta più ambita,

    quella per la regia, era iniziata con “Toro Scatenato” (1980), un ma-gistrale fi lm sull’ascesa, trionfo e declino del pugile italo-americano Jack La Motta. Il fi lm in realtà vin-se due Oscar: miglior attore prota-gonista (Robert De Niro) e montag-gio (Thelma Schoonmaker). Ma per la regia niente. Stessa identica sor-te per “L’ultima tentazione di Cri-sto” (1998), fi lm scandalo tratto dal omonimo romanzo di Nikos Kazant-zakis. Due anni dopo stesso fato con “Quei bravi ragazzi” (1990), anco-ra una volta (scandalosamente) niente per la regia, solamente due

    premi Oscar a Joe Pesci e Lorraine Bracco, rispettivamente come mi-glior attore e attrice non protagoni-sti. Il destino da perdente continua con “L’età dell’innocenza” (1993), che promosse all'Oscar unicamen-te Gabriella Pescucci per i miglio-ri costumi. Nel 1995 Scorsese vinse il Leone d’oro alla carriera ma già l’anno dopo, il suo fi lm “Casinò” (1995) venne inspiegabilmente di-menticato dagli Oscar e il pubblico confuse il fi lm come un remake o se-quel de “Quei bravi ragazzi”. Nuo-ve speranze di Oscar con il fi lm che è stato defi nito "la nascita della na-zione secondo Scorsese", vale a dire “Gangs of New York” (2002): ma in questo caso si può concordare con la scelta (di non premiare) dei giu-rati dell’Academy.

    Dunque, sei fi lm nominati al-l’Oscar per miglior regia, si sono rivelati sei delusioni per Scorsese! Quest'anno, alla 77esima edizione degli Oscar, nuovamente un fi lm di Scorsese, “The aviator” è tra i su-perfavoriti; sono undici le "nomina-tion", inclusa quella per la miglior regia e il miglior fi lm. L’altro fi lm superfavorito è “One million dol-lar baby” di Clint Eastwood, con sette nominations. Ancora una vol-ta niente di nuovo per Scorsese: a vincere sarà il fi lm sulla box (e an-che sull’eutanasia) di Eastwood; la pellicola ha vinto quattro statuette (pesanti), ossia miglior fi lm, miglior regia (Clint Eastwood), miglior at-trice protagonista (Hilary Swank) e miglior attore non protagonista (Morgan Freeman). A perdere, è il fi lm di Scorsese, anche se vince cinque statuette, ma sono tutti pre-mi di consolazione (o di tipo tecnico come montaggio, scenografi a, co-stumi e fotografi a), eccetto quello per miglior attrice non protagonista vinta da Cate Blanchett.

    by-passato anche di Caprio

    Dunque per la settima volta Scorsese mastica amaro dopo la notte degli Oscar. E pensare che

    questa volta aveva anche cambiato registro. La pellicola è infatti mol-to atipica rispetto alla poetica scor-sesiana. Atipica perché il prodotto confezionato fuoriesce dagli schemi che hanno caratterizzato le sue pre-cedenti pellicole; temi come l'inte-grazione degli italiani in America, la mafi a italo-americana e anche il tema dell'alienazione. Però il fi lm ha quella grandezza (che è venuta a mancare in “Gangs of New York”) che solo questo maestro del cinema sa comunicare, vale a dire maesto-sità nelle scene, grande senso per il particolare, regia ingegnosa.

    Ovviamente quello di Scorse non è l'unico caso di snobbamen-to da parte dei giurati dell'Aca-demy. La compagnia degli esclusi non è assolutamente da buttare: in-discutibili maestri come Alfred Hi-tchcock, Robert Altman, King Vi-dor, tutti e tre, cinque volte nomi-nati e mai vincenti, o ancora Brian De Palma, Ernst Lubitsch e Orson Welles, tutti incomprensibilmente mai premiati.

    Fortemente discutibile anche la scelta di premiare, con l'Oscar per il miglior attore, Jamie Foxx per la sua interpretazione in “Ray” a scapito di Leonardo di Caprio che ha incarnato magistralmen-te la megalomania, l'ipocondria, la germofobia e altre follie di Howard Hughes.

    1. Man Of Fire (Il fuoco della vendetta)

    di Gianfranco Miksa

    Un pugno che vale l’Oscar

    I due protagonisti principali, Clint Eastwood e Hilary Swank

    Scorsese e Di Caprio, due italoamericani mattatori a Hollywood.Tuttavia, quest’anno niente statuetta dell’Academy

    Oscar, stavolta toccava a me

    Regia di Tony Scott. Con Denzel Washington, Dakota Fanning, Marc Anthony.

    Ex agente della CIA, alcolizzato e con inclinazioni suicide, si mette a disposizione come guardia del corpo a una famiglia nel sud America. Passabile fi lm(ino), sicuramente vale il prezzo del noleggio. Il fi lm gioca molto sulla presenza “magnetica” di Denzel Washington. Per il resto già visto e stravisto.

    2. The Bourne Supremacy

    Regia di Paul Greengrass. Con Matt Damon, Franka Potente.

    Le disavventure dell’ex agente segreto Jason Bourne, rimasto senza memoria e senza passato. Il classico bidone. Non fatevi ingannare, il fi lm è da evitare. Tratto, malamente, da un romanzo del grande Robert Ludlum.

    3. The Village

    Regia di M. Night Shyamalan. Con Joaquin Phoenix, Bryce Dallas, William Hurt.

    Un piccola comunità vive isolata dal resto del mondo. Il loro villaggio è visitato da terribili mostri. Ecco qui un’interessante pellicola che vi procurerà la pelle d’oca. Agghiacciante.

    4. Hellboy

    Regia di Guillermo del Toro. Con Ron Perlma, Selma Blair, Jeffrey Tambor.

    I nazisti riescono ad evocare una creatura demoniaca, la quale poi combatterà dalla parte del bene. No comment!

    5. Dodgeball (Palle al balzo)

    Una commedia demenziale che viene salvata dal buon ritmo e dalla presenza di Ben Stiller.

  • 8 cultura

    “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina, progetto editoriale di Silvio Forzaedizione: CULTURARedattore esecutivo: Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat Collaboratori: Nelida Milani Kruljac, Arletta Fonio, Patrizia Venucci Merdžo,Viviana Car, Lara Drčič, Helena Labus, Gianfranco Miksa La redazione del presente inserto ha consultato i siti: www.knjiga.hr, www.kulturaplus.com, www.sveznazdor.comwww.svetknjige.si, www.emka.si, www.librerie.it, www.italialibri.net, e la rivista “Arte” (Giorgio Mondadori Editore)

    Foto: Graziella Tatalović

    Anno 1 / n. 1 26 marzo 2005

    CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI CULTURALICULTURA ITALIANA ISTRIA E QUARNERO GRANDI AVVENIMENTI

    Sabato, 26 marzo 2005

    LA CNI…Rupingrande (Repen), Casa carsica – Kraška hiša Il 12 apri-

    le Inaugurazione della mostra fotografi ca dell'artista conna-zionale Luciano Kleva (1954-2003) la cui opera creativa era stata ricordata in occasione del primo anniversario della sua tragica morte (23/12/2004) con la mostra nella Galleria Log-gia e presso la sede della CI di Capodistria.

    Pola, Chiesa della Madonna delle Grazie in Siana, il 28 mar-zo le corali delle CI di Parenzo (Mosaico), Gallesano e Di-gnano si esibiranno in un CONCERTO PASQUALE.

    Pirano, Casa Tartini fi no a giovedì 31 marzo, nella sala delle esposizioni rimarrà aperta al pubblico, tutti i giorni dalle 11 alle 12 e dalle 17 alle 18, la MOSTRA MITI E LEGGENDE del gruppo di ceramica guidato da Apolonija Krejačič.

    Fiume, Comunità degli Italiani il 7 aprile presentazione di FOIBA IN AUTUNNO di EZIO MESTROVICH, secondo volume della collana «Altre lettere italiane» dell'EDIT.

    … GLI ALTRIZagabria, Istituto Italiano di Cultura – mostre il 13

    aprile si inaugura la mostra COME IN UN GIOCO PA-ZIENTE E OSTINATO (DIPINTI 2004 – 1998) di D. Gambarin Vassallo

    Lubiana, Istituto Italiano di Cultura – mostre fi no al 1 aprile aperta la mostra FIGURE DI WALTER D’AVANZO men-tre il 4 aprile sarà inaugurata quella dell’artista italiano GIU-SEPPE MIGNECO, il maestro messinese che nel 1937 fu tra i primi promotori del movimento artistico di Corrente diven-tando nel dopoguerra uno dei maggiori rappresentanti del movimento neorealista. La mostra rimarrà aperta fi no alla fi ne di aprile. Appuntamento con l’arte anche mercoledì 13 aprile: a mezzogiorno PAOLA BRISTOL E IGOR PRAS-SEL PRESENTERANNO IL LAVORO "OSMOSI BREZ MEJA", ANTOLOGIA DI FUMETTI, coproduzione di Vi-vacomix di Pordenone e Stripburger di Lubiana. Le tavole originali saranno esposte fi no alla fi ne di aprile.

    Zagabria, Istituto Italiano di Cultura – cinema Cineforum didattico: “Viaggio nel nuovo cinema italiano – La stagio-ne 2003-2004”. Il 1.mo aprile proiezione di CANTANDO DIETRO I PARAVENTI di E. Olmi, l’ 8 aprile DOPO MEZZANOTTE di D. Ferrario, il 15 aprile IL FUGGIA-SCO di A. Manni

    Lubiana, Istituto Italiano di Cultura – cinema il 30 marzo alle ore 18 verrà proiettato "DOPO MEZZANOTTE (2004) di Davide Ferrario. Il 14 aprile sarà la volta di "FATE COME NOI" per la regia di Francesco Apolloni, fi lm del 2004 .

    Pola, MMC Galleria Luka dal 25 marzo al 1.mo aprile vie-ne allestita la mostra intitolata “H2O – 2005” del fotografo Duško Marušić – Čiči.

    Pola, Casa dei difensori croati il 13 e 14 aprile in programma la FIERA DEL FOLKLORE.

    Rovigno, Piccola Galleria dal 30 marzo al 30 aprile sarà in vi-sione la mostra personale della pittrice LADA LUKETIĆ

    Parenzo, Centro multimediale “Atelier I” mostra della pit-trice MIRANDA LEGOVIĆ dal titolo “Elegie marittime”.

    Cittanova, Galleria Rigo, dal 31 marzo 14.esima edizione della mostra dedicata a ANDY WARHOL

    Capodistria, Galleria Loggia In esposizione 8 tele del ciclo "Mare", di dimensioni monumentali, del pittore IGOR M. BRAVNIČAR

    Capodistria, Galleria Medusa fi no al 31 marzo in allestimen-to la mostra del gruppo BridA dal titolo "Do it yourself" - INSTALLAZIONE VIDEO E PITTURA MURALE.

    Capodistria, Galleria Zapor fi no all'8 aprile mostra della giovane pittrice ANJA JERČIČ

    Pinguente sarà sede, il 1.mo e il 2 aprile, del FESTIVAL DEI GRUPPI CANORI ISTRIANI.

    Albona, Teatro comunaleil 18 aprile in scena il TEATRO DEI BURATTINI DI FIUME con lo spettacolo per bam-bini “Plesna haljina žutog maslaćka” (IL VESTITO DA BALLO DEL SOFFIONE GIALLO).

    Fiume, Museo di arte moderna e contemporanea, fi no al 7 aprile si può visitare la mostra “Dinamica e funzionalità: Visioni di un architetto cosmopolita” dedicata ad ERICH MENDELSOHN.

    Fiume, Museo Civico, aperta fi no al 30 maggio la mostra “Adamićevo doba” (L’EPOCA DI ADAMIĆ).

    Fiume, Archivio storico, dal 19 marzo si può visitare la mo-stra dedicata al compositore e musicista L. DE MATAČIĆ.

    Madrid, Albrecht Dürer al Prado. Capolavori dell’ALBERTI-NA in visione fi no al 29 maggio.

    Pisa, “Cimabue – La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto” al MUSEO NAZIONALE DI SAN MATTEO. Fino al 25 giugno.

    Milano, “Annicinquanta – La nascita della creatività italiana” in visione fi no a 3 luglio presso il PALAZZO REALE.

    Gran Bretagna, Festival del cinema italiano con appun-tamenti a LONDRA, MANCHESTER, GLASGOW, EDINBURGO, ABERDEEN e DUNDEE dall’8 al 28 aprile.

    Amsterdam, Retrospettiva di EGON SCHIELE al VAN GOGH MUSEUM. In visione fi no al 19 giugno.

    Monaco di Baviera, Grafi che di HENRI TOULOUSE-LAUTREC alla KUNSTHALLE DER HYPO-KULTUR-STIFTUNG. Fino al 1.mo maggio.

    Torino, Rassegna “Il male, esercizi di pittura crudele” alla PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI. In contem-poranea anche fi lm, foto e fumetti sul tema fi no al 26 giu-gno.

    Napoli, Mostra di trenta dipinti “Omaggio a Velásquez” pres-so CAPODIMONTE. In visione fi no al 19 giugno.

    Parigi, Esposizione “Neoimpressionismo – da Seurat a Paul Klee” al MUSèE D'ORSAY fi no al 10 luglio.

    Rotterdam, In mostra quattrocento opere di SALVADOR DALì al MUSEUM BOIJMANS VAN BEUNINGEN. In visione fi no al 12 giugno.

    Londra, La pittrice messicana FRIDA KAHLO viene ricor-data in 50 ritratti di fotografi suoi contemporanei. Alla NA-TIONAL PORTRAIT GALLERY fi no al 26 giugno.

    Zagabria, "Il tesoro nascosto MUSEO DELL'ARTE E DEL-L'ARTIGIANATO” presso l'omonimo museo per celebra-re i 125 anni dalla fondazione.

    CARNET CULTURA rubriche a cura di Viviana Car, Lara Drčič, Helena Labus, Patrizia Venucci Merdžo

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