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cultura DEL POPOLO DEL POPOLO w w w . e d it .h r/ l a v o c e A n n o I V n . 4 0 S a b ato , 2 0 g i u g n o 2 0 0 9 I l 12 giugno scorso a Rovigno si è svolta la presentazione dei due volumi dell’opera “La Co- munità nazionale Italiana. Storia e istituzioni degli Italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia (1944-2006)” di Luciano ed Ezio Giuricin. Chi – e lo hanno fatto in molti – ha sot- tolineato l’importanza “capitale” di questo titolo non ha esagerato di certo, poiché si tratta del primo lavoro che con approccio analiti- co sintetizza la storia degli Italia- ni dell’Istria, Fiume e Dalmazia da quando, vale a dire dopo la fine del- la Seconda Guerra Mondiale, sono diventati minoranza nei luoghi del loro insediamento storico. Un’ope- ra che mancava, realizzata dal Cen- tro di Ricerche Storiche di Rovigno, che in questo modo ha coronato in modo simbolico – ma estremamen- te funzionale rispetto alle ragioni della sua esistenza, il quarantennio della propria fondazione. Di segui- to riproponiamo l’illuminante inter- vento pronunciato da Ezio Giuricin nel corso della presentazione. L’identità di un individuo trova spesso alimento nel ricordo della sua vita passata. Lo specchiarci in quanto è stato, il confronto - spes- so faticoso e pregno di inquietudini - con i fatti trascorsi, e l’impegno a tracciare un bilancio su quanto si è lasciato alle spalle portano i gruppi come gli individui a riflettere sulla propria identità, ad interrogarsi sul proprio essere e il proprio futuro. I due volumi sulla storia del- la Comunità Nazionale Italiana nascono proprio dall’esigenza di confrontarci con il nostro passato per tentare di comprendere il tor- tuoso percorso che ha contribuito a forgiare l’esperienza collettiva e la “coscienza di sé” del Gruppo Nazionale Italiano. Costituiscono il tentativo di offrire un ulteriore stru- mento per cercare di capire ciò che siamo, per cogliere meglio i conte- nuti, i valori, le debolezze e i punti di forza della nostra difficile identi- tà di minoranza. L’obiettivo che ci siamo posti con questi due volumi è di capire meglio le origini delle no- stre scelte, i perché delle nostre spe- ranze o delle nostre delusioni. i nostri «perché» Cos’è oggi la Comunità Nazio- nale in Istria, Fiume e Dalmazia? Perché siamo rimasti e quali sono gli elementi che continuano a farci sentire eredi di una secolare civil- tà? Perché in questi sessant’anni la nostra componente ha dovuto subi- re tante avversità, dall’esodo - che ha imposto una lacerazione ed uno sradicamento epocali - alle succes- sive, costanti spinte assimilatrici re- gistrate da quasi tutti i censimenti? Per quale motivo decine di mi- gliaia di connazionali si sono orgo- gliosamente battute, in oltre mezzo secolo, per affermare la continuità culturale e civile della componente italiana in questi territori? Quali le ragioni del nostro co- raggio, e quali - d’altro canto - i motivi delle nostre debolezze, delle nostre paure? Cos’è che ha portato migliaia di connazionali a perdersi, a rinuncia- re alla propria identità? Per quale motivo in questi sessant’anni, pur essendo depositari di un secolare rapporto con il territorio, spesso ci siamo sentiti - o ci hanno fatto sen- tire - “stranieri a casa propria”? Perché avvertiamo il disagio di un’identità difficile, e spesso non ci “sentiamo bene” nel luo- go in cui siamo nati (pur es- sendone orgogliosi e profonda- mente legati)? Perché in tutti que- sti anni la nostra dimensione è stata segnata dal peso del costante con- flitto tra identità e alterità, tra “ap- partenenza” e “spaesamento”, fra coscienza e sradicamento? Sono queste le domande alle quali abbiamo cercato di rispon- dere scrivendo quest’opera sul- la storia della Comunità Nazio- nale, convinti come siamo che dall’analisi del passato possa- no giungere degli utili riferimen- ti per la comprensione del nostro presente. L’obiettivo è certamente ambizioso e i risultati non sono né certi né garantiti. La storia - diceva Cicerone - è maestra di vita. Ma - lo sappiamo - la sua conoscenza non sempre ci impedisce di commettere gli stessi errori, né ci rende immuni da nuove sofferenze o delusioni. Il punto è che non possiamo sot- trarci al confronto con ciò che sia- mo stati. La storia è lo specchio im- placabile del tempo; ma è al con- tempo un libro aperto e in costan- te evoluzione che ci appassiona, ci consente di misurarci con la nostra esistenza, e che ci impone di porci costantemente degli interrogativi, di vigilare, con rigore, sui valori ed i principi in cui continuiamo a credere. L’auspicio è che quello che pre- sentiamo stasera possa essere, ap- punto, un “libro aperto”, una “fine- stra” sul nostro passato; un viaggio attorno all’“essere” della mino- ranza che possa aiutarci a riflettere meglio sui problemi attuali e il de- stino della Comunità. Viaggio attorno all’essere della minoranza italiana CULTURANDO Vlada Aquavita “Cari amici, ieri - domenica 24 maggio 2009 - alle 6,15 di mattina se ne è andata la poetessa Vlada Acquavita, dopo una lunga battaglia contro il grande male”. Questo doloroso annun- cio è stato “postato” da Gianfranco Franchi sulle pagine inter- net “Lankelot”, il sito di “letteratura e sogni” che aveva scoperto la nostra innovativa e originale poetessa. Questo riferimento per osservare che della vita e, purtroppo, della prematura scompar- sa di Vlada Acquavita, non si sono occupate soltanto le pubblica- zioni locali e quelle della nostra minoranza, ma anche testate che nei loro interessi vanno oltre alla nostra dimensione identitaria o istriana. Media che si occupano di letteratura e di letterati, prima che di territorio. Quest’attenzione interna alla “repubblica delle lettere” sa- rebbe certamente stata apprezzata da Vlada la quale, sia stili- sticamente, sia tematicamente, è stata sempre a curare la dimen- sione letteraria, estetica o magari documentaria delle sue poesie, preferendola al ripiego sulla rivendicazione lenitiva e sulla no- stalgia che caratterizzano invece tanta della nostra produzione minoritaria. Per quanto nobile possa essere sentirsi e reputarsi “letterato della CNI”, di certo è più gratificante essere “letterato e basta”. Vlada Acquavita era riuscita a superare lo steccato che separa il “sentire minoritario” dal sentire “minoritario e altro”, e lo ave- va fatto senza allontanarsi troppo nello spazio, con la cittadina di Grisignana che occupa uno spazio centrale nella sua lirica. Si era però allontanata nel tempo, avventurandosi in quel medioevo ignoto che non si svela perché te lo senti ogni giorno sulla pro- pria pelle, ma chiede invece di essere scoperto. E la scoperta ri- chiede studio, meticolosità, passione e dedizione, doti e virtù sulle quali Vlada aveva fondato il proprio operato, anche quello di bi- bliotecaria presso la scuola elementare e la Comunità degli Ita- liani di Buie. “Te ne sei andata in punta di piedi”, ha detto nel suo discorso di commiato la direttrice della scuola elementare italiana di Buie Giuseppina Rajko, “attenta, come sempre, a non creare situazioni incresciose. Il tuo notevole impegno professionale, la tua intelli- genza, la tua sensibilità, la tua presenza, la tua parola hanno con- tribuito alla crescita della nostra Istituzione e all’arricchimento di noi colleghi e dei nostri alunni”. E Vlada non mancherà soltan- to agli alunni e ai colleghi, ma anche agli amici della Comunità, mancherà al mondo letterario ed editoriale della CNI alla cui cre- scita aveva contribuito notevolmente, specie con la sua raccolta “Herbarium Mysticum”. “A Buie d’Istria”, ha scritto Luciano Dobrilovic per “Fuci- ne”, vive la poetessa mistica Lada Acquavita, che ha viaggiato nel tempo facendo esperienza dei misteri eleusini e poi ha esplo- rato l’anima del cristianesimo medievale nelle sue espressioni esoteriche e alchemiche fino a rivivere la mistica e la simbologia dei giardini minuscoli ricavati fra i muri interni delle costruzioni nobiliari, ospitanti erbe e fiori rari. Viaggi nell’anima testimonia- ti dalla sua poesia: “La rosa selvaggia e altri canti eleusini” ed “Herbarium mysticum”. Vlada: una delle poetesse più significa- tive di questi anni. In Italia, ancora sconosciuta ai più A Vlada Acquavita dedichiamo, con grande stima e affetto, le pagine centrali di questo inserto. La prima “storia dei rimasti” edita dal CRS di Ezio Giuricin La poetessa Vlada Acquavita

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cultura

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it.hr/lavoce Anno IV • n. 40 • Sabato, 20 giugno 2009

Il 12 giugno scorso a Rovigno si è svolta la presentazione dei due volumi dell’opera “La Co-

munità nazionale Italiana. Storia e istituzioni degli Italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia (1944-2006)” di Luciano ed Ezio Giuricin. Chi – e lo hanno fatto in molti – ha sot-tolineato l’importanza “capitale” di questo titolo non ha esagerato di certo, poiché si tratta del primo lavoro che con approccio analiti-co sintetizza la storia degli Italia-ni dell’Istria, Fiume e Dalmazia da quando, vale a dire dopo la fi ne del-la Seconda Guerra Mondiale, sono diventati minoranza nei luoghi del loro insediamento storico. Un’ope-ra che mancava, realizzata dal Cen-tro di Ricerche Storiche di Rovigno, che in questo modo ha coronato in modo simbolico – ma estremamen-te funzionale rispetto alle ragioni della sua esistenza, il quarantennio della propria fondazione. Di segui-to riproponiamo l’illuminante inter-vento pronunciato da Ezio Giuricin nel corso della presentazione.

L’identità di un individuo trova spesso alimento nel ricordo della sua vita passata. Lo specchiarci in quanto è stato, il confronto - spes-so faticoso e pregno di inquietudini - con i fatti trascorsi, e l’impegno a tracciare un bilancio su quanto si è lasciato alle spalle portano i gruppi come gli individui a rifl ettere sulla propria identità, ad interrogarsi sul proprio essere e il proprio futuro.

I due volumi sulla storia del-la Comunità Nazionale Italiana nascono proprio dall’esigenza di confrontarci con il nostro passato per tentare di comprendere il tor-tuoso percorso che ha contribuito a forgiare l’esperienza collettiva

e la “coscienza di sé” del Gruppo Nazionale Italiano. Costituiscono il tentativo di offrire un ulteriore stru-mento per cercare di capire ciò che siamo, per cogliere meglio i conte-nuti, i valori, le debolezze e i punti di forza della nostra diffi cile identi-tà di minoranza. L’obiettivo che ci siamo posti con questi due volumi è di capire meglio le origini delle no-stre scelte, i perché delle nostre spe-ranze o delle nostre delusioni.

i nostri «perché»Cos’è oggi la Comunità Nazio-

nale in Istria, Fiume e Dalmazia? Perché siamo rimasti e quali sono gli elementi che continuano a farci sentire eredi di una secolare civil-tà? Perché in questi sessant’anni la nostra componente ha dovuto subi-re tante avversità, dall’esodo - che ha imposto una lacerazione ed uno sradicamento epocali - alle succes-sive, costanti spinte assimilatrici re-gistrate da quasi tutti i censimenti?

Per quale motivo decine di mi-gliaia di connazionali si sono orgo-gliosamente battute, in oltre mezzo secolo, per affermare la continuità culturale e civile della componente italiana in questi territori?

Quali le ragioni del nostro co-raggio, e quali - d’altro canto - i motivi delle nostre debolezze, delle nostre paure?

Cos’è che ha portato migliaia di connazionali a perdersi, a rinuncia-re alla propria identità? Per quale motivo in questi sessant’anni, pur essendo depositari di un secolare rapporto con il territorio, spesso ci siamo sentiti - o ci hanno fatto sen-tire - “stranieri a casa propria”?

Perché avvertiamo il disagio di un’identità diffi cile, e spesso non ci

“sentiamo bene” nel luo-go in cui siamo nati (pur es-sendone orgogliosi e profonda-mente legati)? Perché in tutti que-sti anni la nostra dimensione è stata segnata dal peso del costante con-fl itto tra identità e alterità, tra “ap-partenenza” e “spaesamento”, fra coscienza e sradicamento?

Sono queste le domande alle quali abbiamo cercato di rispon-dere scrivendo quest’opera sul-la storia della Comunità Nazio-nale, convinti come siamo che dall’analisi del passato possa-no giungere degli utili riferimen-ti per la comprensione del nostro presente. L’obiettivo è certamente ambizioso e i risultati non sono né certi né garantiti.

La storia - diceva Cicerone - è maestra di vita. Ma - lo sappiamo - la sua conoscenza non sempre ci impedisce di commettere gli stessi errori, né ci rende immuni da nuove sofferenze o delusioni.

Il punto è che non possiamo sot-trarci al confronto con ciò che sia-mo stati. La storia è lo specchio im-placabile del tempo; ma è al con-tempo un libro aperto e in costan-te evoluzione che ci appassiona, ci consente di misurarci con la nostra esistenza, e che ci impone di porci costantemente degli interrogativi, di vigilare, con rigore, sui valori ed i principi in cui continuiamo a credere.

L’auspicio è che quello che pre-sentiamo stasera possa essere, ap-punto, un “libro aperto”, una “fi ne-stra” sul nostro passato; un viaggio attorno all’“essere” della mino-ranza che possa aiutarci a rifl ettere meglio sui problemi attuali e il de-stino della Comunità.

Viaggio attorno all’esseredella minoranza italiana

CULTURANDO

Vlada Aquavita“Cari amici, ieri - domenica 24 maggio 2009 - alle 6,15 di

mattina se ne è andata la poetessa Vlada Acquavita, dopo una lunga battaglia contro il grande male”. Questo doloroso annun-cio è stato “postato” da Gianfranco Franchi sulle pagine inter-net “Lankelot”, il sito di “letteratura e sogni” che aveva scoperto la nostra innovativa e originale poetessa. Questo riferimento per osservare che della vita e, purtroppo, della prematura scompar-sa di Vlada Acquavita, non si sono occupate soltanto le pubblica-zioni locali e quelle della nostra minoranza, ma anche testate che nei loro interessi vanno oltre alla nostra dimensione identitaria o istriana. Media che si occupano di letteratura e di letterati, prima che di territorio.

Quest’attenzione interna alla “repubblica delle lettere” sa-rebbe certamente stata apprezzata da Vlada la quale, sia stili-sticamente, sia tematicamente, è stata sempre a curare la dimen-sione letteraria, estetica o magari documentaria delle sue poesie, preferendola al ripiego sulla rivendicazione lenitiva e sulla no-stalgia che caratterizzano invece tanta della nostra produzione minoritaria.

Per quanto nobile possa essere sentirsi e reputarsi “letterato della CNI”, di certo è più gratifi cante essere “letterato e basta”. Vlada Acquavita era riuscita a superare lo steccato che separa il “sentire minoritario” dal sentire “minoritario e altro”, e lo ave-va fatto senza allontanarsi troppo nello spazio, con la cittadina di Grisignana che occupa uno spazio centrale nella sua lirica. Si era però allontanata nel tempo, avventurandosi in quel medioevo ignoto che non si svela perché te lo senti ogni giorno sulla pro-pria pelle, ma chiede invece di essere scoperto. E la scoperta ri-chiede studio, meticolosità, passione e dedizione, doti e virtù sulle quali Vlada aveva fondato il proprio operato, anche quello di bi-bliotecaria presso la scuola elementare e la Comunità degli Ita-liani di Buie.

“Te ne sei andata in punta di piedi”, ha detto nel suo discorso di commiato la direttrice della scuola elementare italiana di Buie Giuseppina Rajko, “attenta, come sempre, a non creare situazioni incresciose. Il tuo notevole impegno professionale, la tua intelli-genza, la tua sensibilità, la tua presenza, la tua parola hanno con-tribuito alla crescita della nostra Istituzione e all’arricchimento di noi colleghi e dei nostri alunni”. E Vlada non mancherà soltan-to agli alunni e ai colleghi, ma anche agli amici della Comunità, mancherà al mondo letterario ed editoriale della CNI alla cui cre-scita aveva contribuito notevolmente, specie con la sua raccolta “Herbarium Mysticum”.

“A Buie d’Istria”, ha scritto Luciano Dobrilovic per “Fuci-ne”, vive la poetessa mistica Lada Acquavita, che ha viaggiato nel tempo facendo esperienza dei misteri eleusini e poi ha esplo-rato l’anima del cristianesimo medievale nelle sue espressioni esoteriche e alchemiche fi no a rivivere la mistica e la simbologia dei giardini minuscoli ricavati fra i muri interni delle costruzioni nobiliari, ospitanti erbe e fi ori rari. Viaggi nell’anima testimonia-ti dalla sua poesia: “La rosa selvaggia e altri canti eleusini” ed “Herbarium mysticum”. Vlada: una delle poetesse più signifi ca-tive di questi anni. In Italia, ancora sconosciuta ai più

A Vlada Acquavita dedichiamo, con grande stima e affetto, le pagine centrali di questo inserto.

La prima “storia dei rimasti” edita dal CRS

di Ezio Giuricin

La poetessa Vlada Acquavita

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2 cultura Sabato, 20 giugno 20092 cultura

Riedito «El passeto» di Anita Pittoni

Artista, editore, scrittrice, triestina..

OMAGGI / Anita Pittoni nasce a Trieste il 6 maggio del 1901. Talento ar-tistico eccezionale accompagna-to a una manualità prodigiosa, il tutto guidato da un’intelligen-za viva e da folgoranti intuizio-ni anche sul piano pratico orga-nizzativo, si dedica con succes-so all’artigianato artistico con un proprio studio e laboratorio d’arte decorativa.

Nel gennaio del 1930 pre-senta la sua prima mostra per-sonale nella Galleria d’arte di Anton Giulio Bragaglia e per il suo Teatro degli Indipenden-ti, Anita disegna i costumi per L’Opera da tre soldi di Bertold Brecht.

Con le sue creazioni e le au-daci invenzioni tecniche - lavora come fi lati preziosi le fi bre di ca-napa, di juta, di ginestra intrec-ciandole a fi li di rame, d’argen-to e oro - si impone ben presto all’attenzione degli architetti; lavora per il Gruppo “Bbpr” (Banfi , Belgioioso, Peressutti e Rogers) e per i vari: Albini, Nordio, Palanti, Bega; colla-bora con Pulitzer Finali per gli arredi dei grandi transatlantici italiani ed è lo stesso architet-to triestino a segnalarla a Giò Ponti, che nel 1928 ha fondato Domus, e che nel ‘30 l’invita per una prima personale alla Triennale a Monza.

Nel ‘49, divenuta antiecono-mica la prosecuzione dell’atti-vità artigianale, nel particolare clima della città giuliana mar-toriata dagli eventi postbellici, Anita Pittoni, spinta da pas-sione morale s’inventa editore: lo scopo è quello di pubblicare autori poco conosciuti delle ter-re giulie ex austriache per “con-trapporre al disordine l’ordine della cultura, alle menzogne la verità dei documenti”. Nascono così le edizioni de Lo Zibaldone. In più di vent’anni usciranno una trentina di titoli, forse po-chi, ma suffi cienti a farli entra-re nel mito: in una delle librerie più esclusive di New York, agli inizi degli anni ’60, di libri ita-liani esposti in vetrina ci sono soltanto i titoli dello Zibaldone di Anita Pittoni..

Ha iniziato a scrivere segre-tamente fi n dall’adolescenza,

ma raccoglie i suoi scritti a par-tire dal 1930. Due suoi racconti appaiono per la prima volta su una rivista nel 1946. Da questa data inizia così un’intensa col-laborazione letteraria con rivi-ste prestigiose: «Il Ponte», «La Fiera Letteraria» e a giorna-li come «La Nazione», «Il Pic-colo», «Il Mattino» di Napoli). Dal 1952 al 1956 tiene a Radio Trieste una rubrica settimanale di conversazioni “Cose di casa nostra”; nel 1950 pubblica nel-lo Zibaldone Stagioni, un rac-conto lungo scritto a metà degli anni ‘40; nel 1962 è la volta del-la sua raccolta di versi in dia-letto triestino Fermite con mi; i tre libriccini A casa mia, La città di Bobi (1966) e Caro Saba (1977): gli ultimi due dedicati a Roberto Bazlen e a Umberto Saba. Da ricordare una lettu-ra di Trieste sviluppata come una corrispondenza con un im-maginario “professore”, edita da Vallecchi col titolo L’anima di Trieste (1968), Nell’attività editoriale, messa in piedi con il coraggio dei poveri, Anita Pit-toni getterà tutte le proprie ri-sorse economiche: risparmi, compensi di collaborazioni ed anche, se indispensabile, quan-to potrà ricavare dalla vendita dei manufatti che le rimango-no. Ma Trieste non la sostiene, così perdendo l’occasione uni-ca di dar corpo a un proget-to editoriale di grande respiro; alla fi ne degli anni ‘70 la Pittoni chiude l’attività cedendo l’uti-lizzazione del marchio a Mari-no Bolaffi o. Usciranno ancora due suoi libri: uno di raccon-ti Passeggiata armata (1971), l’altro El passeto (1963,1966, 1977), una prosa poetica strug-gente, sorta di lessico familiare triestino dove, come fantasmi, si muovono sul fi lo della memoria le fi gure di suo padre, della ma-dre e dei fratelli durante le pas-seggiate domenicali.

I mali di Cuba, dei Balcani e della...menopausaIn spiaggia con titoli su contraddizioni varieNOVITÀ IN LIBRERIA /

Nelle librerie italiane è uscito il libro della blogger cubana Yoani Sanchez Cuba libre. Vivere e scrivere all’Avana (Rizzoli) nel quale racconta cosa signifi ca vivere oggi nel regime comunista di Cuba, una vita se-gnata da tanti piccoli e grandi problemi qua-li la diffi coltà di fare la spesa e la fame cro-nica, l’arte di ripararsi gli elettrodomestici guasti, la lotta per leggere le vere notizie tra le righe del giornale di partito, la paura del ricovero in ospedale dove manca anche il necessario per sterilizzare, la convivenza forzata con la propaganda che si insinua nei media, nelle piazze e nelle scuole, il panico quando arrivano le convocazioni della poli-zia, la preoccupazione per gli amici in car-cere, la nostalgia per i tanti che sono fuggi-ti e la delusione per tutti quelli che hanno smesso di credere al futuro. Ma soprattutto sfata il falso mito dell’effi cienza castrista e descrive, tra tenerezza e rabbia, la frustra-zione per le potenzialità inespresse e i sogni perduti di chi, come lei, è nato nella Cuba degli anni Settanta e Ottanta e si ritrova rin-chiuso in un’utopia che non gli appartiene. Una generazione che in Yoani ha trovato la propria portavoce.

Molto richiesta l’opera Romanzo balca-nico. Il cinema, il teatro, la poesia, la Sto-ria (Aliberti) scritta da Abdulan Sidran, con tutte le sceneggiature cinematografi che e tutto il teatro del drammaturgo e sceneg-

giatore bosniaco che ha lavorato con Kustu-rica. Un libro che parla pure della nascita e della fi ne di una grande nazione europea, ma anche la saga dei Sidran dentro la Storia di Sarajevo e della Jugoslavia. Le pagine di quest’opera si aprono con la tetralogia, dove trova ampio spazio la vicenda drammatica dell’arresto del padre per “cominformismo” e la condanna prima ai lavori forzati a Goli Otok, poi al confi no (a Zvornik), del suo ri-torno ed infi ne della sua morte. Il libro si chiude con un ampio dibattito a quattro sul-la situazione attuale di Sarajevo e dello spa-zio ex-jugoslavo.

Parlo con un uomo o con una macchi-na? Lo stupidario dei call center (Aliberti) di Ale & Franci è la prima raccolta delle più incredibili, fantasmagoriche e irresisti-bili situazioni realmente capitate ai lavora-tori dei call center. Fra strafalcioni verbali degni di Totò ed equivoci surreali alla Io-nesco, è nata un’antologia di comicità in-volontaria che ha davvero pochi rivali nel panorama odierno. Inutile dire che è tutto vero, tutto registrato, tutto vissuto e ascol-tato. L’Italia al telefono è ancora una volta capace di dare il meglio o il peggio di sé, di esaltarsi di fronte alla possibilità di dialoga-re con uno sconosciuto al di là del fi lo. A di-mostrazione che gli operatori dei call center sono ormai diventati una categoria sociale. Una specie di assorbente per di tutte le bas-

sezze che un individuo può produrre parlan-do al telefono con un suo simile.

Le librerie croate offrono l’opera di Christiane Northrup Tajni užici zrelosti (Planetopia) nel quale l’autrice, attraverso la sua storia personale e quella di altre don-ne, mostra come la menopausa produca dei cambiamenti nel cervello, che chiamano al risveglio corpo, mente ed emozioni; come si possa garantire la salute di seno, ossa e cuo-re; come il corpo si adatti naturalmente al cambiamento ormonale; come sia bene fare molta attenzione ai farmaci; come si deb-bano affrontare cambiamenti nel metaboli-smo, aumento di peso, problemi sessuali e questioni estetiche e del matrimonio nella mezza età.

L’opera di Carlos Ruiz Zafón Anđelova igra (Fraktura) si conferma ancora una vol-ta il risultato, affascinante, di una commi-stione di generi, in cui si tenta di conciliare la narrativa introspettiva e psicologica, tipi-ca della tradizione letteraria della vecchia Europa, con le trame avvincenti del thriller contemporaneo. Il risultato è un romanzo epico, in cui gli eroi e le eroine si muovo-no in uno spazio interstiziale, senza tempo. A sorreggere il progetto dello scrittore spa-gnolo è sicuramente l’ambientazione: una Barcellona chiaroscura, una città fatta di vi-coli bui e baracche sul porto, di affascinanti ville imperiali e giardini battuti dal vento. In

questa Barcellona gotica, David Martín, fi -glio di un reduce della guerra delle Filippi-ne, cresciuto nei bassifondi della città, pub-blica il suo romanzo a puntate su un giornale locale. Come fosse un giovane Edgar Allan Poe, David racconta le torbide storie degli abitanti di una città maledetta, anime danna-te e assetate di sangue.

Nel suo audace debutto narrativo Gem-ma Malley con Deklaracija (Algoritam) ci costringe a riconsiderare alcuni miti domi-nanti nella nostra società, come quelli del-la bellezza e della giovinezza, e getta una luce inquietante su grandi temi ecologici e politici, quali la sovrappopolazione e la limitatezza delle risorse del nostro piane-ta, creando un potente dramma futuristico. Ma la “Dichiarazione” è anche qualcosa in più: il manifesto che l’esistenza ha già in sé e per sé la propria giustifi cazione e che l’essere utile non ha un valore consumisti-co ma si colloca invece all’interno della lo-gica dell’amore.

Viviana Car

All’inizio degli anni Ses-santa, la preziosa e par-ticolare attività editoriale

di Anita Pittoni incontra le pri-me diffi coltà. Virgilio Giotti e Giani Stuparich, i suoi cari ami-ci di un tempo e numi tutelari delle Edizioni dello Zibaldone, sono già scomparsi: nel 1957 e nel 1961 e Anita ora è sempre più sola.

Ad ogni modo, nel 1962 escono le sue poesie in dialetto triestino Fermite con mi, scrit-te tra il 1936 e il 1959. La rac-colta comprende una trentina di poesie. “un mondo poetico di piccole cose espresse con sem-plicità e di grandi cose sottaciu-te”, come scrisse Giani Stupari-ch nel novembre del 1955 su “Il Belli”, che troveranno il plauso di critici severi quali Angelo Barile, Mario Fubini, Alberto Spaini, Fabio Todeschini e altri.

L’edizione, tirata originaria-mente in 400 copie non verrà più ristampata. Anita ritorne-rà sull’argomento alcuni anni dopo professando l’intenzione prima a Renato Guttuso e poi all’editore Vanni Scheiwiller di ristampare il libretto insieme a El Passeto e il racconto in dia-letto l’Ocio de Dio con il titolo di Fermite con mi e altre storie nove, 1936 - 1972. Ancora una volta la buona intenzione, che si protrarrà negli anni succes-sivi, rimarrà tale. L’anno 1963, di settembre, è anche l’anno in cui Anita, in una lettera al poeta ligure Angelo Barile, scrive di questo suo nuovo racconto, lo svolgersi di una vicenda fami-gliare vista dagli occhi di una bambina, “buttato giù di pri-ma mano”. La prima tiratura dell’opera è di dieci esemplari manoscritti con il testo dattilo-scritto a fronte che viene spedita ad alcuni amici dell’autrice. Un

esemplare è indirizzato allo scrit-tore e giornalista novarese Enrico Emanuelli che da Milano il 23 ot-tobre del 1964 scrive ad Anita una lettera piena di ammirazione sul-l’opera ricevuta e per come è stata confezionata: “Gentilissima mula pianzota (si riferisce alla lirica in-serita dalla Pittoni in Fermite con mi (1962) dal titolo Mi che reci-ta: I me ciamava pianzota anca de picia,/ pianzevo sempre/ frignavo ore/ volevo i cocolezi/ e no ma-gnavo./ Me se strenzeva el cuor,/ Infelice iero,/ pòvera mi,/ tormen-tada, comediante, assassina/ anca de picia, / e per gnente.// E per ca-stigo/ pìcola/ son restada, ridico-la e pianzota.), non le ho ancora detto grazie per quel che mi è ar-rivato. Una rarità bibliografi ca, un pezzo quasi unico, ad ogni modo “limitato” e fatto a mano, come non succede più di vedere per nessuna cosa di nessun genere. [...] Tutto questo in 24 paginette, piccole - piccole, a macchina, con testo a fronte e anche questo è un simbolo: industria culturale? Ro-manzetti a 100.000 copie? Case editrici oramai ministeriali? Bene, lei è il contrario di tutto questo. E pensi che la salvezza di molte cose verrà da qui: da chi resisterà a fare da solo, per pochi, con semplicità e verità.”

Nel 1966, la Pittoni accoglie favorevolmente l’invito di Luigi Sobrero, docente di Meccanica presso l’Ateneo triestino, di leg-gere agli studenti della Facoltà di ingegneria la sua opera in dia-letto triestino El Passeto. Anita è entusiasta di questa esperienza per lei inusuale, è commossa da-gli applausi fi nali che gli studenti le dedicano. Per l’occasione Luigi Sobrero dona all’autrice 75 esem-plari de El Passeto che riproduce la prima edizione del 1963. Anche questa edizione, come la prece-dente, è raccolta in un cofanetto

color marroncino che ricorda le copertine dello Zbe, mentre al-l’interno sono custoditi i foglietti piegati a metà con una parte il te-sto dattiloscritto e dall’altra quello manoscritto. Quest’opera troverà ancora una stampa, completamen-te diversa, dal punto di vista gra-fi co e in parte nel contenuto, nel 1977 per i tipi di Marino Bolaffi o Editore.

Quello che seguirà negli anni a venire è solo l’inizio di una lunga e travagliata agonia fatta di soli-tudine e rabbia per una vita e un ruolo che non le appartengono più e che lascerà in silenzio, tra le len-zuola di un letto d’ospedale, l’11 maggio 1982.

El Passeto, un testo di memoria di una donna che, nel 1964, si defi niva una superstite in una città che sentiva straniera. Un testo quasi dimenticato che si è voluto riportare alla sua at-

tualità restituendone la visibili-tà. Ora ristampato da “Il Ramo

d’Oro editore” di Trieste.

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cultura 3Sabato, 20 giugno 2009

«L’Altra parte del cielo», l’ultima prova in prosa di Marco Apollonio

Racconti gialli, neri e innovativi tra conservazione e sperimentazione

LIBRI /

di Elis Deghenghi OlujićQuest’anno è uscito il libro “L’altra

parte del cielo” di Marco Apollonio, quar-to titolo della collana “Lo scampo gigan-te” che l’EDIT dedica alla nuova lettera-tura italiana dell’Istria e del Quarnero.

Con in copertina una foto del con-nazionale polese Guido Stocco (premio “Istria Nobilissima”, il volume comprende 4 racconti preceduti dalla brillante Prefa-zione di Elis Deghenghi Olujuić della qua-le di seguito pubblichiamo ampi stralci.

La narrativa di Marco Apollonio, nato a Capodistria (Slovenia) nel 1964, rientra nell’ambito della letteratura istro-quarneri-na contemporanea. L’autore capodistriano fa parte della generazione maturata nella se-conda metà degli anni Ottanta dello scorso secolo, in anni che rappresentano uno stac-co rispetto al passato e sono più esplicita-mente disponibili ad orientare il passaggio della cultura e della letteratura istro-quar-nerina verso una stagione completamente rinnovata. Come altri autori apparsi nel pa-norama istro-quarnerino negli ultimi anni, Apollonio affronta coraggiosamente la ten-denza verso l’indagine personale e allarga-ta del mondo, nonché l’eterna dialettica tra tradizione ed innovazione, tra conservazio-ne e sperimentazione, perpetuamente alla ricerca di un’identità linguistica e scrittoria da iscrivere in un orizzonte letterario gravi-do di proposte originali. In una situazione di radicali mutamenti, di transizione piut-tosto che di consumazione, la narrativa di Apollonio è testimonianza di come gli auto-ri istro-quarnerini si adeguino all’esigenza di aggiornare gli epistemi culturali, per ri-spondere alla sempre più frequente doman-da sul senso di produrre letteratura in una società che offre nuovi e più persuasivi stru-menti di comunicazione rispetto al libro.

un’esplorazionenarrativa ed esistenziale

Nelle prove narrative fi nora prodotte da Apollonio, formate da membrature brevi, le trasformazioni psicologiche e quelle cultu-rali, le nuove percezioni sensoriali che se-gnano il nostro presente convivono con una scrittura che è insieme esplorazione narra-tiva ed esistenziale, una scrittura che cerca e trova ancora un suo senso ed un suo ter-ritorio coniugando la tradizione e l’infl usso delle più recenti esperienze letterarie. Apol-lonio è alle prese con il problema primario di ogni scrittore, rappresentato dall’urgen-za di trovare nella scrittura lo spazio della propria ragione, originale e preciso, il luo-go del proprio linguaggio e dell’esperienza del mondo, nel fermo convincimento che ci siano cose che solo la letteratura può rac-contare con i suoi “mezzi specifi ci”, come ci rammenta Italo Calvino nella prefazione delle sue Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio.

emarginazionee inettitudine

L’aumentato interesse verso il sociale in una realtà costituita sempre più da emigra-ti, extracomunitari, profughi, da emarginati, da antieroi segnati da un malessere profon-do, porta anche Apollonio, fi nora poco at-tento a queste tematiche, a confrontarsi con argomenti di scottante attualità. Il protago-nista del microracconto Notte, all’inizio è un extracomunitario, destinato già solo per questo a subire le conseguenze di un’esi-stenza vissuta ai margini di una società che non è disposta né preparata ad accogliere ed accettare la diversità fi sica, linguistica e culturale. Karìm è un emarginato, vittima designata da una situazione sociale e umana senz’uscita. Un perdente, “un extra, fuori, non incluso, perso”. Ma “extra”, come sug-gerisce l’autore, signifi ca anche “di qualità superiore”, o “qualcosa di meglio”. L’esse-

re indubbiamente “di qualità superiore” non rappresenta però un vantaggio per il prota-gonista della storia.

Il destino drammatico di Karìm, segnato da un tragico equivoco, si compie nel giro di una notte, ed è determinato dalla sua in-capacità di farsi intendere da una donna troppo spaventata per capire il signifi cato del gesto dell’uomo, che le porge il nastro rosso smarrito nella corsa. Quello di Karìm voleva essere un semplice atto di cortesia, non un pretesto per insidiare l’integrità fi si-ca di quella sconosciuta incontrata per caso. Il loro incontro fi nisce nel modo peggiore. La dimensione breve in questo caso esalta la tensione narrativa, mentre l’esito della storia scuote la sensibilità del lettore, che a lettura ultimata resta perplesso, costretto a rifl ettere sul fatto che viviamo in una socie-tà dominata dall’assenza di fi ducia nell’al-tro, specialmente se l’altro ha la pelle scura e si avvicina a noi apparentemente senza un motivo plausibile, nel bel mezzo di una not-te buia, in una strada deserta.

L’ultimo viaggio è un’ennesima storia di rapporti affettivi e familiari fallimentari causati dall’incapacità di comunicare, dal-l’indifferenza emotiva, da un’inettitudine sveviana alla vita. Il protagonista, Riccar-do, un perdente “dal carattere eccentrico e insofferente nei confronti di convenzio-ni e regole sociali”, vive svogliatamente e squallidamente la dolce vita romana, vana-

mente impegnato a costruire il senso della propria esistenza vissuta in una dimensione costante di sfacelo, di falsità e inconsisten-za morale e affettiva. La città eterna è un “rifugio a misura della sua natura indolen-te”. Il fastidio per i discorsi vacui e privi di senso e l’insofferenza verso il prossimo, ali-mentano nel protagonista il desiderio di al-lontanarsi dal consorzio umano e la volontà di recidere i legami con il mondo, che sono l’anticamera di un inevitabilmente isola-mento. La telefonata di Erica, una delle sue tante amanti, gli annuncia in modo brutale e impietoso la morte del padre. Riccardo par-te in treno per partecipare al funerale. È dif-fi cile per lui tornare in quell’odiata città di provincia, verso la quale nutre “una innata insofferenza”. Il rientro nella casa di fami-glia e l’incontro con la sorella avvengono in una condizione di tensione esasperan-te e dolorosamente non liberatoria. Anco-ra un esempio, questa prova narrativa, del modo dello scrittore di esercitare un’inda-gine fredda e vigorosa di soggetti intristiti, tormentati e insidiosi, sottoposti con spie-tato realismo ad un crudele studio mentale. Come in fi ligrana, si avverte il disgusto del-

l’autore per le cose narrate, e l’ossessione di non riuscire a vederle differentemente. La lingua e lo stile, privi di orpelli, si accorda-no alla storia e alla natura del protagonista. Si tratta di una lingua sintetica che riprodu-ce il parlato con le sue enfasi e le sue stortu-re, con l’alternarsi di frasi graffi anti, espres-sive ed espressionistiche.

Un “tempo” inquietanteTempo è un racconto inquieto e in-

quietante. Si tratta della continuazione/integrazione de L’ascensore dello scritto-re e autore di radiodrammi Dimitrij Kralj, nato a Isola (Slovenia) nel 1948. Nell’opera Kralj immagina che in un ascensore, bloc-cato a causa di un guasto tecnico, riman-gano chiuse due persone. L’unico collega-mento con l’esterno è rappresentato da un telefono interno. Chiamando un numero, si viene messi in collegamento con la pagina del libro il cui numero è stato fatto al tele-fono. I personaggi, dunque, dialogano con se stessi simultaneamente in tempi diversi o, meglio, allo stesso tempo da una pagina all’altra del libro, indietro e in avanti, in un passato futuro lineare, sempre presente. In un primo momento lo fanno inconsciamen-te, per rendersi conto solo in un secondo tempo dell’assurdità della situazione. Per di più, una delle due persone rimaste chiuse nell’ascensore è l’autore di un dramma mai concluso, intitolato per l’appunto L’ascen-

sore. L’autore non ricorda il motivo per il quale non ha fi nito l’opera. Presume, però, dato che l’orologio si è fermato, che anche il tempo si sia arrestato. Il tempo si è fer-mato per davvero, in quanto l’opera è stata già scritta e quindi fi ssata, e loro due, come personaggi, vivono, si muovono e parlano soltanto grazie al fatto che c’è un lettore che sta leggendo la loro storia. Un lettore al quale i due personaggi a pagina 31 si appel-lano, affi nché in quella successiva li faccia uscire da quella situazione assurda, scriven-do un fi nale su quel foglio lasciato apposi-tamente vuoto. Tempo rappresenta dunque la conclusione che l’autore de L’ascensore richiede ad un ipotetico lettore. Apollonio risponde all’invito scrivendo un giallo nel quale l’assassino è lo stesso lettore.

rifl essioni sul malee l’angoscia di vivere

Prendendo come spunto la condizione di terrore che sperimentano due persone rima-ste rinchiuse senza via d’uscita in quell’or-ribile macchina che è l’ascensore, sospese nel vuoto e nell’indeterminatezza, isolate

dal resto del mondo, in Tempo Apollonio ci accompagna in un suggestivo quanto allu-cinante viaggio “nel labirinto vorticoso del tempo e delle sue estreme e ambigue pos-sibilità”, con incursioni nella scienza, nella fi losofi a, nella storia, nella religione. L’idea suggerita è che “non esistono cure al preci-pizio della mente, come non ci sono cure al-l’esuberante e assurdo arabesco della crea-zione. Alla fi ne della storia esiste solo il panico del tempo, la scalata dell’abnorme verso altra abnormità ingigantita dalle sim-bologie e da precisi riferimenti ad opere ed autori. L’abilità di Apollonio sta nella capa-cità d’incanalare la lettura verso le proprie rifl essioni, che diventano digressioni scon-volgenti e al contempo epifaniche, dove egli respira il male e l’angoscia di vivere.

un giallo capodistrianoRispetto a Tempo, giallo problematico

e “intellettuale”, il romanzo breve L’altra parte del cielo, ambientato a Capodistria e dintorni, è un giallo canonico, con morti, persone scomparse, persone sospettate e in-terrogate, depistaggi, ritrovamento di mate-riali e prove compromettenti che spariscono al momento opportuno, con il colpevole che sembrava il meno colpevole di tutti. Nella storia non mancano il coinvolgimento dei servizi segreti, russi e svedesi, e un losco affare di traffi co d’armi, alimentato dalla recente guerra nei Balcani, nel quale sono coinvolte le più alte cariche governative. La sordida vicenda inizia con il ritrovamento di una Renault abbandonata nel bel mezzo del Carso, in seguito alla segnalazione fatta da una telefonata anonima. All’interno del-l’automobile viene trovata una scatola con un contenuto macabro, due occhi di colore verde, che sono “l’espressione di qualcosa che viene dall’ombra e termina sotto que-sto cielo grigio”. L’ispettore Peter de Pau-la inizia la sua investigazione che solo alla fi ne avrà un esito, che naturalmente è ina-spettato. De Paula è un “uomo che cerca”, inserito in un contesto sfuggente, nelle ve-lenose e pericolose miscele del territorio a ridosso del confi ne. È una sorta di antieroe che sentiamo più vicino ed effi cace nel gui-darci dentro la storia piuttosto che un eroe dotato di poteri e gratifi cazioni professiona-li e morali. Il racconto propone problemi, suggerisce dubbi, offre chiavi di lettura per il nostro conturbante presente, nel quale sa-rebbe a volte saggio concedersi soste e pau-se di rifl essione. Il nostro è il tempo della complessità. Le cose avvengono fuori dal-la nostra volontà, senza che si possa sapere chi le vuole e chi le mette in atto: ciascuno di noi sa di non poter infl uire sull’evolversi di queste vicende, e nello stesso tempo sa di non potersi sottrarre allo sforzo di capire.

Dalla consultazione dell’elenco delle opere pubblicate sinora da Marco Apollo-nio, tra le quali ricordiamo anche il testo di saggistica “Breve antologia dello hu-mor nero nella letteratura triestina del Novecento” (1993), si evince che nella pro-duzione di questo autore capodistriano il racconto copre un arco temporale lungo, e si manifesta in una variazione ampia di modulazioni, a conferma che per lui la forma narrativa breve è uno strumento espressivo tutt’altro che giovanile od occa-sionale. Molti suoi racconti sono stati pubblicati sulle pagine della rivista di cultu-ra e letteratura “La Battana” e nelle pagine delle Antologie delle opere premiate al Concorso d’arte e cultura “Istria Nobilissima”, cui ha partecipato in diverse occa-sioni, meritando sempre l’attenzione delle commissioni giudicatrici. Una raccolta organica di otto racconti intitolata “Corpi/Tjela”, pubblicata in edizione bilingue italo/croata, è stata pubblicata nel 1996 grazie alla collaborazione tra le case edi-trici Edit di Fiume e Durieux di Zagabria e il contributo della Regione Veneto in applicazione della Legge regionale del 1994 per gli “Interventi di recupero, con-servazione e valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e nella Dalmazia”. In otto brevi racconti, con al centro soggetti alquanto complessi e dissociati che hanno seri problemi nel relazionarsi con il mondo circostante, l’au-tore ci pone di fronte ad altrettanti spaccati di vita. Gli otto protagonisti sono fi gure decentrate rispetto allo scenario della vita, come altrettante versioni dei personaggi kafkiani, individui ora sballottati qua e là dalle onde di un oceano ostile e implaca-bile, ora invece padroni e custodi della propria estraneità e diversità. Incompresi, insoddisfatti, incapaci di comunicare la loro marginalità ed il disagio e di risolverli, essi sono privi di qualsiasi conforto in una realtàche si rivela tetra, frustrante, nella quale la solitudine ontologica dell’uomo impedisce di misurarsi in termini sociali con altri uomini.

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4 cultura 5Sabato, 20 giugno 2009 Sabato, 20 giugno 2009

Dedicato a Vlada AcquavitaPoetessa raffi nata, intellettuale acuta...

Giuseppina Rajko: direttrice della Scuola elementare italia-na di Buie

Vlada Acquavita se n’é anda-ta in punta di piedi, attenta, come sempre, a non creare situazioni incresciose. Il suo notevole im-pegno professionale, la sua in-telligenza, la sua sensibilità, la sua presenza, la sua parola han-no contribuito alla crescita della nostra Istituzione e all’arricchi-mento di noi colleghi e dei nostri alunni. Con Vlada se n’è andata un’altra intellettuale della Comu-nità Nazionale Italiana; con la sua attività di persona colta e di raffi -nata poetessa, con il suo impegno professionale in seno alla Scuola e alle istituzioni minoritarie ha tenuto alta la coscienza nazio-nale, ha portato avanti un’azione costante per il grande obiettivo dell’affermazione dei valori della cultura italiana e per la diffusione della nostra lingua.

Di Vlada ricordiamo la calma, il rapporto cordiale con tutti, l’at-taccamento eccezionale al lavoro, la costante voglia di crescere cul-turalmente e di conoscere; ricor-diamo le giornate felici e anche quelle infelici del nostro comune cammino, con poche rose e mol-te spine. Vlada Acquavita è stata sempre attenta e diligente, pun-tuale e meticolosa nell’espleta-mento dei suoi non pochi compi-ti a scuola e nella Comunità degli Italiani di Buie: è stata infatti una delle colonne portanti della nostra scuola e della Comunità. I suoi i colleghi, gli alunni e gli ex alun-ni, gli amici, gli estimatori la ri-cordano come una persona che si distingueva per la sua umani-tà, per la sua fi nezza nel sentire, come un’amica e una collega sin-cera, una donna buona ed onesta, un’intellettuale acuta, una vera italiana, leale verso lo Stato in cui è vissuta ed ha operato.

Lionella Pausin Acquavita, Presidente della CI di Buie

Vlada se n’è andata con quel-la riservatezza che ha contraddi-stinto la sua esistenza. Me la ri-cordo giovane neo-laureata ad insegnarci la lingua francese nel-le immense aule scolastiche del-la vecchia scuola che le stufe a legna non riuscivano a scaldare. E lei, infreddolita, e forse anche un po’ intimorita dal suo nuovo ruolo, tentava di catturare la no-stra attenzione ed i nostri interes-si raccontandoci della sua Fran-cia. “’Sur le pont D’ Avignon on y danse on y danse…’’ cantava-mo in classe – con Vlada intenta a correggere la nostra pronuncia e noi a sognare la Francia, i suoi ca-stelli, i re e le regine, i ponti, Pari-gi, Marsiglia….

Vlada non era timida; era una persona che non voleva imporsi ma che si sapeva far rispettare. Era precisa, attenta e gentile. Ma era anche pedante nella realizza-zione degli impegni. Solo pochi mesi fa, nonostante la malattia, era venuta in Comunità per deci-dere la selezione e la disposizione dei libri nella nuova biblioteca in-terna, biblioteca da lei guidata da

una ventina di anni. Naturalmente abbiamo rispettato i suoi consigli ed i suoi desideri. Forse, pensan-doci, Vlada non ha avuto la visi-bilità degli altri letterati e poeti della nostra area. Ma anche que-sto è stato un suo desiderio, restia com’era ad apparire, a comparire, a doversi raccontare e spiegare. Ma poi si lasciava andare - ed il suo mondo di emozioni ti intrap-polava, ti invadeva come per la presentazione dell’Herbaryum misticum nella sua Buie dove si commosse per l’attenzione dimo-stratale dal folto pubblico e per un bel mazzo di fi ori di campo che un gruppo di ragazzini le mise tra le mani. Io mi commossi invece più tardi, leggendo la poesia del me-lograno.

Gianna Dallemulle Ausenak: narratrice, poetessa, saggista

Lettrice appassionata e poetes-sa raffi nata, valente saggista di te-matiche scolastiche, Vlada Acqua-viat è stata una persona di grande apertura mentale suffragata da una vasta cultura umanistica.

Il nucleo della poesia di Vla-da Acquavita, come ebbe a dire lei stessa in un’intervista a “La Battana”, è il duplice paesaggio: quello dell’anima e quello ester-no, cioè l’ambiente naturale che ci circonda. Portata alla rifl essione e ad una contemplazione della na-tura e dello spazio che stabilisco-no equilibrio e dialogo annullando ogni disimmetria, e privilegiando autori e letture che si interrogano ed esaltano l’interiorità e la spiri-tualità, la poetessa si è legata con un fi lo aureo al mondo del mito e della fi aba, al mondo dei simboli e del mistico, dell’indicibile, del-l’ineffabile, cellula germinale, ma anche fi ltro interpretativo di situa-zioni che rispondono alle esigenze estetiche e in defi nitiva alle fi nalità comunicative della sua Psiche

Vittorio Vettori, poetaPosso soltanto osservare che,

a differenza del Medioevo di Um-berto Eco, tutto visto e rivisto, tut-to platealmente visitato e rivisita-to, il Medioevo di Vlada Acquavi-ta è un Medioevo invisibile e cioè rinnovato e reinventato nel senso della ‘renovatio’, vale a dire nel senso di un eterno “rinascimento del cuore”.

Liliana Venucci Stefan, re-sponsabile del settore editoriale dell’EDIT

Con Vlada abbiamo lavorato a “Herbarium mysticum” due anni fa. Trasudava gentilezza e ansia da subito, preoccupata di non la-sciarsi sfuggire qualche refuso, ad argomentare il perché quella vir-gola dovesse stare proprio là...

A ogni incontro ti accoglie-va generosa, conteneva a stento la ricchezza interiore, ti inebria-va di precise parole pronunciate senza interruzione, con quel suo modo di parlare tra il soffi ato e l’inspirato, poi si interrompeva, timorosa e imbarazzata, convinta di aver stancato chi aveva di fron-te e diceva “ma poi facè voi come volè, sapè...”

Le testimonianze

Una poesia meditata, di stupore e metafora vivaIl nucleo fondante della poesia di Vlada Ac-

quavita poggia su un processo assorto e meditato di letture approfondite. Compagni di viaggio, una nutrita schiera di autori che privilegiano ed esal-tano l’interiorità e la spiritualità: Dodds, Girard, Vernant, Hölderlin, Rilke, Jung, Nietzsche, Vetto-ri, Mallarmé, Valéry, Gide, Borges, Luzi, Zanzot-to, Saffo, Emily Dickinson, Simone Weil, Cristina Campo, ecc. Alla luce delle loro opere, è facile comprendere la propensione della poetessa buie-se a spaziare, a ripulire le “porte della percezione” che portano alla conoscenza delle cose, come ve-ramente sono, cioè infi nite.

La poesia di Vlada Acquavita viaggia su un duplice binario: lo stupore e la metafora viva, gra-zie ai quali è resa possibile la verticalizzazione del tempo e l’inosservanza delle regole prestabilite, ciò che comporta lo sconvolgimento del mecca-nismo mentale inconscio mediante il quale i con-tenuti di pensiero, gli atteggiamenti, i motivi e si-mili, estranei in quanto appartenenti ad altre per-sone, vengono accolti nel proprio io a “interpreta-re il mondo ibridando il linguaggio di codice nelle sue relazioni con la realtà”. È grazie alla media-zione del mito e della natura, che Vlada Acquavi-ta stabilisce gradatamente un legame più intimo e più profondo con la propria interiorità, istituendo con essa un rapporto colloquiale che la conduce a (ri)conoscere la parte più segreta del proprio Sì. Risacralizzando il mito, passa così dall’impres-sione all’espressione, dal trasporto del cuore alla parola/tensione poetica, che la portano ad abita-re una dimensione armonica nella quale scopre e coglie l’elevazione, la bellezza, la luce, che lei fa convergere nella scrittura.

L’esordio di Vlada poetica è del 1997, con la pubblicazione della silloge La Rosa selvaggia e altri canti eleusini.

La Rosa selvaggia e altri canti eleusini

Il pensiero, che pone al massimo livello l’esperienza della psiche, vive già nella prima opera della poetessa buiese, La Rosa selvaggia e altri canti eleusini, e rivela una sensibilità pre-ziosa, fuori del comune. Non c’è dunque da me-ravigliarsi se la silloge incontra da subito i con-sensi di un pubblico scelto, capace di riconosce-re ed apprezzare una concezione poetica che ris-pecchi la proiezione metafi sica dello spirito che si ricongiunge al divino, ma in primo luogo, se l’accortezza di un grande umanista italiano, poe-ta lui stesso, Vittorio Vettori, non lesina elogi nel-l’ispirata Introduzione e, ancor prima della pub-blicazione, ne sceglie alcuni versi per il saluto di Capodanno (1996) all’Accademia Casentinese.

La Rosa selvaggia è un sogno poetico, è l’im-maginazione che accede a una realtà invisibile e irrazionale, è il magico spartiacque del logos in-teriore ed esteriore, là dove fonde la diade Vla-da-Lada. La scaturigine del viaggio poggia sul-l’esperienza di una emozione alta, di una esal-tazione della mente (interiore, non discorsiva), che incontra l’altamente signifi cativo e muove dall’incontro con una “pienezza” provocata da uno stato conoscitivo, pertanto da una profonda osservazione delle cose e della vita. L’esperien-za metafi sica è data da ciò che la psiche percepi-sce e di cui s’impregna fi no alla radice del cuore, nel raccoglimento profondo dell’io che annulla il mondo esterno per proiettarsi in uno spazio “di-verso”, nel sogno, o meglio, nel trasognamento.

La Rosa selvaggia è suddivisa in sette capi-toletti (Misteri, Invisibili presenze, Limiti, Amori, Labirinti, Póiesis, Verso il nuovo Dio, Disincanto, compreso nella Postilla). Nelle liriche che chiudo-no i Misteri, Vlada, ormai Lada (l’etimo etrusco di Lada signifi ca “donna”), nello stadio visiona-rio supremo dei misteri eleusini si muove in uno spazio e in un tempo divini, dove musica e poesia vengono esaltati alla luce dell’estetica ellenica. Il capitolo termina con La quercia, una delle liriche più belle e ariose, quasi sospesa nel trasognamen-to, in cui il razionale e l’irrazionale si fondono nel-la radiosità delle cose e delle creature:

Sono la fanciulla dai sandali screziati./Porto il chitone frangiato / (lungo fi no al gi-

nocchio) - / come ornamento una rosa selvaggia. / Di canto la mia natura è colma. / Per celebrare il rito mattutino / ho scelto l’umile tempio di Zeus - / una quercia in cima alla collina.

(...)Oltrepassata la linea misteriosa / i venti alisei

ripuliscono i miei piedi / ma - capriccio divino - /

screziature leggere / - quasi a palesare il segreto - / permangono sui sandali di cuoio./

Gli Olimpi mi chiamano / la fanciulla dai san-dali screziati. / Io esisto.

Poesia e Natura sono le predilette di Lada, che ne diventa la vestale. Ritrovato il luogo dell’es-sere, sul cuore l’umile Rosa selvaggia - pensiero arcano che apre alla sapienza -, la poetessa vive “estasiata” ai piedi d’una quercia il contatto con la propria felicità e con la solitudine perfetta che le permette di comunicare con l’invisibile. In vir-tù del divino accolto e dell’identità ritrovata, Lada ora “esiste”, ciò che le concederà di muoversi li-beramente nella dimensione del mito, del sacro e della propria interiorità

Ed ecco, in conclusione di silloge, la liturgici-tà della Poesia: il suo inebriante furore è decan-tato e glorifi cato nell’intero capitolo Póiesis. Ma a chiudere la La rosa selvaggia è la Postilla, che improvvisamente ribalta la quasi esagitata esalta-zione del potere curativo e sacro dei Canti Eleusi-ni per riportare la poetessa alla realtà. La Postilla, infatti, rappresenta il Disincanto che mette in luce la caducità del pensiero arcaico e fa “defl agrare” la stessa Rosa selvaggia. Ecco la rappresentazione che ne dà la poetessa:

Il tempo scorre lieve e passa. / L’ho scoperto stamattina. / Affacciandomi alla fi nestra

ho visto la rosa (ieri ancora bella)già sfi orita. / oppure / Sono solo verdi quei

rami / che mi parvero immortali. / Si fa albero la quercia divina. / oppure / È dunque terragno il sentiero di luce / lungo il quale (di sereno sgomen-to piena?) / amavo inseguire le orme di Pan. / Con lo sparire del sole / sui sandali di cuoio la polvere dorata / diventa fango.

L’Herbarium mysticumA quasi dieci anni di distanza dalla pubblica-

zione de La Rosa selvaggia, esce l’Herbarium mysticum. Frequentatrice di biblioteche e musei in Francia, in Italia, in Vaticano e altrove, di mo-stre di erbari, bestiari, tappezzerie e arazzi me-dievali, visitatrice di borghi e castelli antichi, la Acquavita ha tradotto l’ispirazione che scaturiva da quelle fonti in creatività poetica. E non basta: se il celebre arazzo della Dame à la Licorne o il Bestiaire d’amour di Richart de Fournival o al-tre pagine d’erbario preziosamente miniate han-no inciso fortemente sulla fantasia della Nostra (e tutte queste cose meravigliose hanno osserva-to lei, nominandola Eletta), non meno infl uenti sono stati l’ambiente dell’Istria interna (terra di antichi castellieri, castelli in rovina, chiese e mo-nasteri fatiscenti, terra di annose querce, olmi, castagni e carpini, robinie e biancospino con cui l’autrice ha sviluppato una straordinaria empatia) e “il contrasto aspro tra la selvaggia fecondità della natura e le mute rovine di un antico castel-lo”. Così si è, in merito, espressa la poetessa: “Vi-sitando questi luoghi, divenuti ormai puri ricet-tacoli d’ombra, si è risvegliato in me il desiderio

di avventurarmi verso la “sorgente di lacrime”, verso quel luogo ineffabile dove la parola affoga nel silenzio, giacché, come scrive Valéry, “le no-stre lacrime sono l’espressione della nostra im-potenza a esprimere”(...) Lungo i percorsi slab-brati di questi paesaggi muti di echi, alternando meditazione e rêverie, ho cercato le tracce del sacro, di quel sacro logorato dalla quotidiana esistenzialità che è evidente per chi lo sa ricono-scere e assente per gli altri. E proprio la parola - nel suo aprirsi alla verticalità della poesia - mi ha consentito di far affi orare dal buio uno spazio di luce in cui godere le epifanie di quelle elusive e sfuggenti tracce.”

L’Herbarium mysticum aderisce all’interpre-tazione spirituale e fi losofi ca del mondo e della vita dell’uomo medievale, perennemente impe-gnato nell’interpretazione dei simboli. Il lavoro si presenta in versi e prosa, poiché il componimento “misto”, il prosimetrum, ebbe grande successo in epoca medievale. Questa combinazione può an-che rimandare all’alternatim, cioè all’alternanza di voce e organo nel canto dei salmi.

Con raffi nato estetismo poetico Vlada Acqua-vita aderisce al pensiero medievale, ne utilizza lo schema della visione, dell’interpretazione dei segni e dei simboli, elabora il concetto dell’amor cortese, usa il lirismo del linguaggio provenzale trobadorico. Sono temi che rappresentano certa-mente la cornice più adatta per quella sua dispo-sizione psicologico-introspettiva e per quell’esi-genza di bellezza, che tanto l’attraggono. Sono corrispondenze, anche possibili fughe, che tal-volta possono sfuggire al criterio dell’argomen-tazione, ma chi ha la fortuna di viverle è un elet-to che intraprende la strada dell’incontaminato e della purezza poetica. E sono, naturalmente, me-tafore, traslati, parabole, allegorie, moduli poe-tici mimetici, che servono a determinare certe situazioni vissute dalla poetessa in momenti di grazia. Grazia intesa anche come elemento non religioso, che viene non si sa da dove, una grande musica scesa ad impollinare e imbeverare l’ani-mo cortese, che sviluppa il topos dell’amore per tutto ciò che di bello e di grato ci circonda. Av-vertibile, appunto, solo dagli eletti.

La maggior parte delle opere di Vlada Acqua-vita reca palese l’impronta del mito e del sacro quali forze eternamente presenti. Per questo mo-tivo l’autrice ha sapientemente riproposto nelle sue liriche e nelle sue prose la riscrittura in chia-ve moderna dei valori mitici e sacri come impul-so vitale che ridona all’uomo tutto ciò che l’ari-dità della vita odierna sembra avere essiccato in forza del dilagante nichilismo, al quale si rischia di consegnare il nostro destino senza neppure combattere. Così operando, facendo “anima”, la poetessa sollecita un viaggio di rinascita, una ri-monta dal buio della sterilità verso lo splendore stellare di signifi cati positivi. Viaggio non uto-pistico, ma saldamente ancorato nella realtà da fronteggiare con l’indispensabile energia spiri-tuale onde promuovere la ripresa dei valori uma-ni di base, simili a quelli suggeriti dal mito fi n dai tempi più antichi.

Canto soave e lirico che giunge d’oltremare sulle tracce del sacro nei paessaggi istriani...

Medioevo, futuro. Da lì Vlada Acquavita nomina, interpola e interiorizza Valery, Dino Campana, Francesco d’Assisi, Cielo d’Alcamo, il Cantico dei Cantici, Arnaut Daniel, Bernar-do di Chiaravalle, avanzando sulle tracce del sacro nei paesaggi istriani, per misteriose rovine e selvatica natura. Castelli, chiese e case del passato sono spettri, “immagini infrante”, nessun restauro e nessun rinnovo. Vlada cerca quel luogo ineffabile dove la parola “affoga nel silen-zio”, in cerca delle tracce del sacro logorato dalla quotidianità. L’allegoria mi sembra chiara. Vlada è tornata nel medioevo e sa che almeno le piante – come certi libri – non si sradicano mai del tutto. Ecco l’erbario mistico d’una poetessa di lingua italiana – ahi lingua solo lette-raria, patrimonio vero di noi pochi e di nessun altro – nuovo Deus e(s)t Amor, nuova discen-denza petrarchesca e trobadorica, nuova testimonianza di vitalità di un popolo che qualcuno preferisce credere perduto. Non cercate in questi versi modernità o contemporaneità: troverete soltanto passato remoto e futuro anteriore, come in ogni visione mistica.

C’è una rosa avvizzita nella vigna, dimentica delle radici; e c’è chi maledice il suo esilio. C’è un bestiario che s’addentra in casa come demone meridiano, disarmato con la nuda voce e la protezione della Madonna. C’è quell’antica luce preziosa e casta, e un passaggio improv-viso per traduzione d’Abelardo e Eloisa, dell’amore riunito in Cristo e per Cristo. Ci sono canti soavi che giungono da oltremare, e da lontano veleggia un sogno d’amore: rosa bianca sprofonda nel sogno. Ci sono le prime attestazioni del volgare nel territorio di Umago, ci sono leggende apocrife e rivisitazioni. Commentario e note per chi vuole approfondire. Capire è un po’ più complesso, mi rammarica ammettere che soltanto chi ha sangue giuliano, istriano, fi umano potrà capire. In Italia – in questa stupenda cartina geografi ca disegnata, in centoqua-rant’anni, da mani europee, russe e americane, con poca fantasia e qualche errore di troppo – c’è qualche confusione che dubito possa essere risolta dai partiti, dai media o dalla letteratura. Per quanto mi riguarda questo è canto soave e lirico che giunge da oltremare.

Gianfranco Franchi

di Gianna Dallemulle Ausenak

Vlada Acquavita amava i libri, amava viaggiare – non da tu-rista, ma per scoprire i luoghi

in cui alcuni libri erano nati – amava svelare i misteri del passato e quelli dell’anima. E amava scrivere.

Vlada Acquavita amava le così nobili, ma le amava di un amore fortemente sentito senza essere gri-dato, come chi sa che uno dei tratti più preziosi della nobiltà è l’umiltà. Vlada oggi non c’è più, si è spenta il 24 maggio scorso, lasciandoci in eredità uno stile da imitare e tante pagine di poesia ancora da visitare, da assaporare, da riconsiderare, da rileggere con gusto e attenzione. Vi troveremo il medioevo, l’Istria(una Toscana selvaggia, come ebbe a commentare un suo amico), la sa-cralità, la natura e capiremo quan-to siano attuali questi temi quando permettiamo loro di avvicinarsi alla nostra anima.

Vlada Acquavita era nata a Capodistria e aveva lavorato a Buiecome bibliotecaria pres-so la locale scuola elemen-tare italiana. La sua lau-rea in lingua e letteratura francese, conseguita a Zagabria, non è sta-ta soltanto un tito-lo di studio ben-sì un viatico per coltivare e coglie-re meglio un inte-resse che in lei era autentico: quello per il Medioevo, per la Francia, per la letteratura trobadorica. Ha frequentato la Scuola superiore di lingue m o d e r -

ne per interpreti e traduttori pres-so l’Ateneo di Trieste, aggiornando poi costantemente la sua formazio-ne professionale. È stata Borsista Bogliasco (Genova) in Letteratura nel 2001, ed aveva apprezzato quel soggiorno ligure in modo particola-re: “Gli splendidi ambienti del Cen-tro Studi ed i suoi giardini mi han-no offerto gli spazi per far maturare lo stato d’animo ideale, quell’asso-luta libertà in cui la cognizione del tempo sembra annullarsi, quell’ar-monia interiore così necessaria al-l’artista.”

Vlada Acquavita amava il suo mestiere di bibliotecaria, il mon-do della scuola, il contatto con gli alunni, scrivendo alcuni saggi pre-miati al Concorso “Scuola Nostra”. Vlada aveva capito che la scuola ha la necessità e il dovere di adeguarsi ai cambiamenti, sostituendo al ruo-lo tradizionale uno nuovo, di mag-

giore qualità e soprattutto corrispondente alla

realtà dei ragaz-zi di oggi. In

tale contesto, l’autrice ha

considera-to analiti-c a m e n t e la riorga-nizzazio-ne della s t ru t tu -ra della b i b l i o -teca sco-l a s t i ca , spiegan-

do che “deve essere valo-

r i z za ta

come luogo che suscita interessi, of-fre gratifi cazioni, soddisfa curiosità, permette autentiche scoperte, quindi non può non qualifi carsi come spa-zio della libertà di pensare e di co-noscere”. Vlada Acquavita amava sottolineare il signifi cato della let-tura: “leggere un libro”, scriveva, “è un mettersi in contatto con quello che sta oltre la parola, un viaggio in paesi e in tempi diversi, un dialogo con interlocutori di ogni epoca e di ogni luogo, ma tuttavia con la possi-bilità di rifl ettere o di sviluppare la rifl essione in periodi successivi.”

Nei suoi lavori di saggistica de-dicati alla scuola l’autrice ha affron-tato temi quali gli itinerari di lettura nella scuola e nel tempo libero, “il mistero della poesia e il bambino”, la fi aba come forma educativa an-cora attuale, invocando sempre “il coraggio e l’ambizione di pensare in grande, affi nché, individuati i giusti percorsi, diventi possibile ed opportuno sperimentare nuo-ve metodologie ed ipotesi riso-lutive”.

Vlada Acquavita è stata an-che prosatrice: il suo trittico narrativo “Virtualità”, pubbli-cato nell’Antologia di “Istria Nobilissima”(2001) sta a mezza strada tra realtà e rifl essione fi -losofi ca sul mito e il sacro. I tre racconti sono ambientati a Buie in epoche diverse: il primo rac-conto nel 1769, il secondo nel 1995 e il terzo nel XXI seco-lo. Nel terzo è protagonista

l’autrice stessa, intenta a sve-lare qualcosa in più del suo es-sere, nel caso specifi co del suo sentire religioso d’ispirazio-ne cattolica. È l’alba del terzo

millennio e Vlada vede ovunque le tracce di una nobile civiltà che si

dissolve o è già in gran parte dis-solta. L’impressione che ne riceve è molto forte: desidererebbe es-sere altrove. Ad un certo punto, però, si accorge che l’”altrove” è a pochi passi da lei, lì dove fra le macerie di una casa è spuntata la passifl ora, il fi ore della passione di Cristo, che santifi ca il luogo con la pro-pria presenza.

Oltre che valente sag-gistica e narratrice, Vlada Acquavita è stata soprattut-to poetessa colta e raffi nata che privilegiava lo studio, la rifl essione, l’esperienza dell’inconsueto, la frequen-tazione del mondo dell’An-tichità e del Medioevo, del mito, del sacro e del misti-co. I numerosi e continui viaggi in Italia e partico-

larmente in Francia (terra predilet-ta in cui maggiormente si accentra la pluralità delle fonti di ispirazione) e le occasioni di visitare prestigiosi musei e rinomate biblioteche, hanno lasciato segni nell’universo emozio-nale della poetessa.

Nel 1997 ha pubblicato ad Arez-zo la silloge La rosa selvaggia e al-tri canti eleusini, viaggio interio-re basato sul mito e inteso come espressione di cose e verità ”altre”. Nel 2007 esce Herbarium mysti-cum. Clausole medievali, Si tratta di una silloge poetica particolaris-sima in cui si compie un viaggio a ritroso nel medioevo istriano. In questa raccolta Vlada Acquavita si è ispirata anche all’erbario medie-vale nel quale alla raffi gurazione della pianta si mescolavano valen-ze simboliche, mistiche, magiche, terapeutiche, mentre l’aspetto na-turalistico spesso veniva trascurato. Ogni pianta di questo erbario misti-co (La rosa di Sant’Eliseo, Il giglio, La viola, Hedera Nigra, Primule e pervinche, Il melograno, ecc.) è le-gata ad una o più poesie connesse a un personaggio femminile di fanta-sia (Veronica di Ortoneglo, Grimal-da, Rubina). Alle poesie fa seguito un testo in prosa (clausola) nel qua-le si contestualizza il personaggio in una vicenda inventata. Nel “com-mentario”, che costituisce la terza parte del libro, l’autrice spiega le circostanze reali che l’hanno indotta o ispirata a scrivere le singole poe-sie-clausole: un viaggio in una cer-ta zona dell’Istria, in un villaggetto francese, la lettura di una certa lapi-de, le vetrate di una chiesa, la lettu-ra di un certo documento o codice medievale antico. Da rilevare che la seconda parte dell’Herbarium mysticum, intitolata Scriptorium, è collocata nelle Terre Bianche e a Grisignana, La seconda parte del-l’Herbarium mysticum, intitolata Scriptorium, è collocata nelle Terre Bianche e a Grisignana, mentre ne Il convolvolo la Acquavita rifl ette sul-la fi gura di Monaldo di Giustinopo-li , francescano capodistriano che ha condotto una vita contrassegnata da un profondo studio delle scienze sa-cre e da una vita ascetica

Vlada Acquavita è presente nel-l’antologia di poesia Ragioni e ca-noni del corpo, in Oltre la soglia... per Giusy Miano, nell’antologia Versi diversi/Drugačni verzi. Poe-ti di due minoranze/Pesniki dveh manjšin, in numerose antologie di “Istria Nobilissima” e pubblicazioni de «La Battana», in riviste e giorna-li. Di particolare rilievo il suo sag-gio sulle poetesse autrici di poesia trobadorica.

Il Lai della Rosa bianca narra di una fanciulla istriana “più bel-la delle rose e dei gigli a primavera”, che i fratelli, per timore di perdere con la sua dote parte del patrimonio, segregano nella torre del Castiel Sancuan di Corneti e legano ad una catena gettandone la chiave in mare. Nonostante la prigionia, la fanciulla vive serena, cantando dolcemente. Un giorno il suo canto melodioso arriva al-l’orecchio del nobile signore del castello di La Napoule, nella lon-tana Provenza: tanto è soave quella melodia, che egli si addormen-ta sulla spiaggia e al risveglio trova accanto a sé una chiave d’oro. Quando un uccello meraviglioso si posa sulla sua mano, il cavalie-re si accorge che esso porta al collo un anello e allo stesso tempo risente la dolce melodia e, inseguendola, arriva al porto dove lo at-tende una nave dalle vele rosse. Quasi sollevata dal vento, la nave arriva al castello della bellissima prigioniera, che viene liberata. Subito accesi d’amore, ormai promessi sposi, i due giovani parto-no alla volta del castello in Provenza. Quando sono lontani, la tor-re del Castel di Sancuan di Corneti crolla abbattuta da un fulmi-ne: è così che la trovano i fratelli cattivi al ritorno dalla caccia. Allo scoccare del solstizio d’estate, a mezzanotte in punto, sulle terre che la fanciulla avrebbe dovuto portare in dote al marito, sboccia-no delle rose a cinque petali.

Il lai della Rosa bianca

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6 cultura Sabato, 20 giugno 2009

CATEGORIA LETTERATURAPREMIO OSVALDO RAMOUSPoesia in lingua italianaPRIMO PREMIO Autore: Laura Marchig, FiumeTitolo: ColoursMotivazione: La raccolta si presenta come una sorta di canzoniere caratterizzato dal sapiente collegamento dei singoli compo-nimenti. Il linguaggio appare maturo, ori-ginale, contrassegnato da uno spessore ma-teriale delle immagini, giochi cromatici in-telligenti, musicalità mai scontata e qualità ironiche.SECONDO PREMIO Autore: Giacomo Scotti, FiumeTitolo: Viaggiando, vagabondandoMotivazione: Poesia della natura, sul mon-do, sull’energia cosmica, ricca di valenze metaforiche e risonanze esistenziali con aperture alle tragedie della storia.MENZIONI ONOREVOLI1.Autore: Claudio Geissa, CapodistriaTitolo: Acqua su Marte2. Autore: Šandor Slacki, Pola Titolo: Raccolta senza titoloPoesia in uno dei dialetti della CNIPRIMO PREMIO Autore: Libero Benussi, RovignoTitolo: Per quanto ancùraMotivazione: L’espressività del linguaggio (il dialetto rovignese), l’evidenza semanti-ca della parola, ispirata dallo splendore del mare, del cielo e di altri elementi naturali, ri-fl ettono le memorie, le nostalgie e l’armonia perduta di un piccolo mondo in estinzione intrecciato e confrontato alla realtà di oggi. SECONDO PREMIO Autore: Lidia Delton, DignanoTitolo: FaleischeMotivazione: Ampia raccolta di versi in dia-letto dignanese. Immagini del mondo di ieri si intrecciano a prospezioni della moderni-tà, considerazioni etiche e incisivi scorci di paesaggio.MENZIONI ONOREVOLI1. Autore: Romina Floris, ValleTitolo: ’L limedo oltra i nui – Il sentiero oltre le nuvole2. Autore: Ester Barlessi, PolaTitolo: Raccolta senza titoloProsa in lingua italianaPRIMO PREMIOAutore: Nelida Milani Kruljac, PolaTitolo: Senza titolo Motivazione: Pagine narrative a tratti anali-tiche, a tratti con grandi qualità di suspense. In esse l’autore rappresenta con sottile intro-spezione psicologica l’humus scabroso dei rapporti tra “diversi” negli incontri-scontri tra ragazzi che maturano il passaggio dal-l’infanzia all’adolescenza e all’età matura a fronte dei traumi del secondo dopoguer-ra istriano.SECONDO PREMIOAutore: Silvio Forza, Pola Titolo: Storia di istriana isteria Motivazione: è il racconto giocato sul paral-lelismo tra le convenzioni di una vita matri-moniale stanca e la spregiudicatezza di un mondo orientato verso il consumismo e i valori materiali.MENZIONI ONOREVOLI1. Autore: Roberta Dubac, CastelvenereTitolo: Gabbiani sulle gru2. Autore: Mario Schiavato, Fiume Titolo: Ritorno a Midian CATEGORIA CITTADINI RESIDENTI NELLA REPUBBLICA ITALIANA, DI ORIGINE ISTRIANA, ISTRO-QUAR-NERINA E DALMATA Prosa narrativa su tematiche che interessano il mondo comune istriano, istro- quarnerino e dalmata, nella sua più ampia accezione culturale, umana e storicaPRIMO PREMIO - NON ASSEGNATOSECONDO PREMIOAutore: Nicolò Giraldi, TriesteTitolo: Lontano da casaMotivazione: Un racconto “epistolare” che prospetta i destini di persone diverse nella guerra 1914 – 1918. Una guerra dolorosa e complessa dove gente della stessa nazio-nalità combatteva in differenti eserciti. Un dramma vissuto su diversi fronti, nei campi di deportazione e in prigionia.MENZIONI ONOREVOLI - NON ASSEGNATE

2. Poesia, anche in dialetto, su tematiche che interessano il mondo comune istriano, istro-quarnerino e dalmata, nella sua più ampia accezione culturale, umana e storicaPRIMO PREMIO - NON ASSEGNATOSECONDO PREMIO - NON ASSEGNATOMENZIONI ONOREVOLI Autore: Doriana Segnan, Trieste Titolo: Latomie invisibili CATEGORIA ARTI VISIVE PREMIO ROMOLO VENUCCIPittura, scultura e grafi caPRIMO PREMIOAutore: Bruno Paladin, FiumeTitolo: Segnisimboli babilonesiMotivazione: Per la costante professionalità nell’esecuzione e l’accurata raffi nata scelta cromatica.SECONDO PREMIOAutore: Luka StojnićTitolo: Scultura bidimensionaleMotivazione: Per la corrente e fl uida propo-sta pittorica.MENZIONI ONOREVOLI1. Autore: Lucilla Micheli MarušićTitolo: Teorema2. Autore: Tea Paškov VukojevićTitolo: Il gioco dei soli Design, arti applicate, illustrazionePRIMO PREMIOAutore: Daria Vlahov HorvatTitolo: Materiali per il “moretto fi u-mano”Motivazione: Per la sapiente professionalità espressa nella produzione dell’opera.SECONDO PREMIOAutore: Miriam MonicaTitolo: Carnevale a FiumeMotivazione: Per la felice libertà espressiva dell’impianto illustrativo.MENZIONI ONOREVOLI1. Autore: Edda TravenTitolo: Vaso 3 2. Autore: Irene MestrovichTitolo: Armonie lunariFotografi aPRIMO PREMIOAutore: Egon HreljanovićTitolo: Fiume, la nuova dimora (tutta la serie)Motivazione: Per la raffi nata tecnica e per l’originalità dell’equilibrio compositivoSECONDO PREMIOAutore: Ivor HreljanovićTitolo: Attrazione cromatica (tutta la se-rie)Motivazione: Per il sapiente uso del mez-zo tecnicoMENZIONI ONOREVOLI1. Autore: Luca DessardoTitolo: Per un uso accorto del maket up (fotogramma)2. Autore: Sergio GobboTitolo: Pilota (fotogramma)CATEGORIA PREMIO GIOVANI PREMIO ADELIA BIASIOL (GIOVANI DAI 15 FINO AI 18 ANNI)Poesia o prosa in lingua italianaPRIMO PREMIO Autore: Vita Valenti, IsolaTitolo: Doppia sedutaMotivazione: Il lavoro si pone come una fa-bula realisticamente connotata con disposi-zione a rivelare sfuggenti e molteplici im-magini di noi stessi. Si presta alla trasposi-zione scenica.SECONDO PREMIOAutore: Mia Dellore, IsolaTitolo: Sottovoce (Frammenti in prosa)Motivazione: Il lavoro è connotato da uno stile sincopato ed ellittico originale che na-sce dal bisogno di raccontarsi superando il limite tra prosa e poesia.MENZIONI ONOREVOLIAutrice: Francesca Frlić, PiranoTitolo: Raccolta senza titoloPittura, scultura, grafi ca e fotografi a PRIMO PREMIO Autore: Dorian MataijaTitolo: Il faroMotivazione: Per la semplice e spontanea esecuzioneSECONDO PREMIOAutore: Cristal Roberta Titolo: La mia Rovigno (foto 3)Motivazione: Per la gradevole scelta com-positiva MENZIONI ONOREVOLI - NON ASSEGNATE

Pubblichiamo a lato i nominativi dei pre-miati per le categorie del concorso che fan-no riferimento al no-stro inserto e precisa-mente “Letteratura” e “Arti visive” (com-presi esuli e giovani). L’elenco completo dei vincitori è stato pub-blicato nell’edizione del 9 giugno della Voce del Popolo.

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cultura 7Sabato, 20 giugno 2009

Una ricercata collana ispirata da Bouvard e Pècuchet

La poetica dell’Arbor librorum All’Isola dei Frati (Fratarski Otok), a

pochi minuti di barca dalla splendida Punta Verudella di Pola, incontro per

la prima volta Monsieurs Jacques Bouvard e Jean Pécuchet Leuwen.

I due cugini, mecenati e collezionisti di origine alsaziana, passano ogni anno le va-canze in Istria. Abitualmente vivono con le loro famiglie nel borgo di Fontaine-de-Vau-cluse. Li avevo già intravisti alla Fiera del li-bro di Torino (coccolati dai maggiori editori italiani) di due anni fa e di sfuggita il 9 di-cembre 2006 al Salon International de la Bi-bliophilie di Bruxelles. Da allora non li ho più rivisti, sebbene abbia saputo delle loro iniziative editoriali leggendo i giornali fran-cesi. Rare le loro interviste, spesso svolte con domande già prestabilite, poche le apparizio-ni televisive e mondane; in breve, sembrano personaggi di certi romanzi d’ambiente otto-centeschi.

Non poco mi sorprese il fatto che ai pri-mi di giugno di quest’anno fosse recapitata al mio indirizzo una lettera contenente un pic-colo manifesto, concernente alcune iniziati-ve editoriali (lo riproduco) e il perentorio in-vito a presentarmi nella tarda mattinata (ore 10.15) del 9 giugno presso l’imbarco del-l’Isola dei Frati. Pensai immediatamente ad uno scherzo di qualche buontempone o alla trappola di qualche malfi do personaggio, ma decisi lo stesso a stare a questo gioco e a re-carmi all’appuntamento.

Solo verso le 10.30, davanti al chiosco dell’unico ristoro isolano, due signori, en-trambi con un elegante abito chiaro, si pre-sentano come Monsieurs Jacques Bouvard ed Jean Pécuchet Leuwen, e senza tanti con-venevoli mi accompagnano dentro una casa malferma - “L’abbiamo comprata da quattro anni ed è ancora in eistrutturazione” –. Qui mi vengono incontro, come ad un novello Ulisse, il loro cane Kortis, le loro signore Madame Eugènie nata Grandet e Madame Emma nata de Chevreuse e i loro tre bambini Ferdinand, Désirée e Louis.

Mi siedo all’ombra di un pino marittimo e con estremo candore apro il taccuino ed ini-ziamo la conversazione..

Partiamo dal manifesto. Leggo che vo-lete creare una collana intitolandola Ar-bor librorum. Come sono nati l’idea e il simbolo?

BOUVARD: Tutto è partito dalla sugge-stione di tre libri che abbiamo cercato con ansia. Si tratta dell’Arbor scientiae di Rai-mondo Lullo (1505), della Quinta essentia di Leonhart Thurneisser zum Thurn (1574) e dell’Alchymiae complementum et per-fectio di Samuel Norton: in entrambi sono presenti xilografi e con alberi fi losofi ci. E nel momento che pensavamo ad un marchio per la nostra collana abbiamo ritenuto che fosse proprio l’albero con dei libri aperti a rappresentare nel modo più convincente la nostra concezione di editoria indipendente: svolgere una funzione culturale associata a quella civile e portare avanti lo scopo di non rassegnarsi al profi tto del mercato che vuole immediatamente (e costruisce) be-stseller spesso scritti in modo penoso.

PÉCUCHET: Concordo con mio cugino in tutto anche se penso che spesso la fortuna di un testo non la facciano né l’autore, né il lettore, ma quella fi gura che riesce a captare, lusingare e pertanto a dirigere i gusti del let-tore. Vi è sempre meno destino attorno ad un libro e sempre più fabbricazione. Poi inter-viene la casualità (forse un po’ manovrata) ed abbiamo le sorprese.

Nel mondo dell’editoria e del collezio-nismo voi siete conosciuti come persone un po’ “antiquate”, siete entrambi sulla cinquantina, avete alle spalle studi fi loso-fi ci e giuridici, e soprattutto avete molte infl uenze. E quindi, scusate la schiettezza, perché giocare così per lanciare una colla-na editoriale?

PÉCUCHET:Mettiamola così. Sarebbe stato molto semplice convocare per una cena pantagruelica i nostri amici giornalisti (che ci frequentano per amicizia, ribadisco) e far-li interessare a questo evento. Chiamare un

buon uffi cio stampa, o un autore di successo e farlo parlare in qualche trasmissione tele-visiva più o meno seria. Insomma basterebbe usare quegli strumenti che si sono tramutati oggi nella più raffi nata involuzione di quanto scoprì Gutenberg.

BOUVARD: L’idea del foglio volante come avviso pubblicitario riprende l’esem-pio di Heinrich Eggstein di Strasburgo e poi a seguire di Peter Schöffer, di Berthold Rup-pel, di Sweynheym e Pannartz fi no ai vostri futuristi: un ritorno alle origini, alla carta povera, al carattere tipografi co da speri-mentare, all’inchiostratura da defi nire nel-le sue componenti chimiche. Sì, abbiamo voluto sentirci come dei semplici artigiani che possono essere considerati dei presun-tuosi. Tuttavia c’interessa proporre mate-rialmente dei libri che possiedano i carat-teri della sobria eleganza (ha mai visto di persona la prima edizione dei Canti orfi ci di Dino Campana oppure della Une saison en enfer di Arthur Rimbaud? Sono esempla-ri di assoluta povertà materiale che hanno avuto però un impatto quasi mitico sulla let-teratura).

Veniamo ai contenuti. Nel manifesto voi dite che stamperete testi di autori che parleranno della propria biblioteca per-sonale, dei libri della propria vita e del-la propria professione, di quali roman-zi avrebbero voluto essere gli autori o i protagonisti e che potranno descrivere e far fotografare la loro libreria, gli scaf-fali, la scrivania, il semplice tavolo di la-voro.

BOUVARD: Le cito tre libri che pos-siamo pubblicizzare perché sono intelli-genti, sobri nel contenuto e raffi nati nel-l’impaginazione. Sono in ordine, e li con-siglio ai lettori, Une bibliothèque excen-trique di Jean-Baptiste Baronian, D’une biblioteque l’autre di Enis Batur ed infi -ne lo splendido catalogo Description rai-sonnée d’une jolie collection de livres. Le Promeneur vingt ans d’édition nella quale sono presentati dei racconti sulla bibliote-ca ideale scritti da Alberto Arbasino, Marc Augé, Yves Bonnefoy, Erri De Luca, Hans Magnus Enzensberger ed altri.

PÉCUCHET: Per me fu deliziosa la let-tura de La febbre dei libri. Memorie di un libraio bibliofi lo di Alberto Vigevani e quel raccontino La mappa offuscata della mia Parigi. Quindi siamo, come vede, partiti da letture precedenti, da suggestioni e abbia-mo pensato di creare questa collana aper-ta a chiunque abbia intessuto la propria esi-stenza con i libri. Ci piace poi l’idea che lo scrittore come il cuoco, il giornalista come il banchiere, l’operaio come lo psichiatra (sono casuali questi accostamenti) descri-vano al lettore, e forse anche a sé stessi, quali personaggi d’invenzione o della real-tà avrebbero voluto essere. Non le nascondo che a me sarebbe piaciuto essere il pittore Chardin mentre mio cugino avrebbe voluto essere l’incarnarzione nel connubio Kafka-Svevo (sarebbe uscito un tipo lombrosiano assai divertente). Ah, mi dimenticavo di una cosa che non si può perdonare a chi frequen-ta questo piccolo mondo dell’editoria. Vede questo libro di Umberto Eco: si chiama La misteriosa fi amma della regina Loana. Il protagonista, un librario antiquario di Mila-no, si risveglia dal coma e mantiene intatta la memoria su letture, sul contenuto dei libri mentre non sa quale sia il suo nome, la sua biografi a. Pensandosi Bodoni e Arthur Gor-don Pym trascorrerà gran parte della sua degenza a ricostruire la sua memoria bio-grafi ca attraverso le copertine dei libri che ha letto e che ancora possiede. Mi affascina molto questo strumento psicologico e difatti ritengo con mio cugino che nel momento in cui lo scrittore parlerà della sua biblioteca percorrerà il proprio intimissimo tempo pas-sato e scoprirà e penserà inevitabilmente a certi episodi, a determinate fi gure, a precise ombre, a scolorite sensazioni. In breve par-lando della sua biblioteca riscriverà la sua vita e aiuterà il lettore a percorrere la pro-pria esistenza o il personale passato.

l’arte di fare libri“Ma lei resterà fi no a stasera?” mi do-

manda Ferdinand, uno dei fi gli. “Ovvia-mente”, risponde per me Jacques Bouvard. Mi chiedono della vita culturale a Trieste, si interessano della Libreria Antiquaria Umberto Saba, mi fanno vedere dei libri di Tomizza e di Virgilio Giotti, poi mi parlano delle traduzioni francesi dei loro scrittori italiani preferiti come Erri De Luca, Anto-nio Tabucchi, Claudio Magris, Boris Pahor, Paolo Rumiz, Valerio Magrelli. Sono cal-mi e posati nei giudizi sebbene traspaia dalle loro parole, dal colore e dal tono del loro linguaggio, la nobiltà della letteratu-ra; ci piacciono moltissimo Marc Fumaroli ed Umberto Eco ma i nostri padri, i nostri classici sono sempre Flaubert e Stendhal.

Nel manifesto create un po’ di attesa in-vitando lettori, scrittori ed editori a parla-re della collana (che ancora non è presente se non nella vostra mente) e a sollecitar-ne l’uscita. Ma effettivamente come volete strutturare tali libri e per quale motivo do-vrei pubblicizzarli?

BOUVARD: Qualche tempo fa, penso cinque-sei mesi addietro, mi sono rimesso a rileggere dei libri che avevo già conosciuto e frequentato con un piacevole diletto per gli occhi. Osservando questi libri ho pensa-to, assieme a mio cugino, a quale modello fare riferimento. Ora non vogliamo essere presuntuosi e pensare che noi creeremo un nuovo formato, una nuova impaginazione: non siamo grafi ci come Albe Steiner, Robert Massin o Germano Facetti, legatori come Georges Leroux e nemmeno degli artisti come Sonia Delanauy, Laure Albin-Guillot o Matisse. Con questo però voglio rassicu-rare i nostri possibili lettori dicendo a loro che volendo possiamo affi darci ai migliori grafi ci ed artisti (e forse più in là nel tem-po lo faremo). Lo stesso manifesto è stato creato da un grafi co italiano di primo livel-lo che vuole mantenere la sua riservatezza.

PÉCUCHET: I nostri libri prenderanno a modello alcune edizioni. “Vede alcuni mo-delli…” [A questo punto mi mette sul tavolo ben sei libretti di quel formato e vi trovo la collana “nugae” de il melangolo, “Quader-ni del tempo” delle Edizioni San Marco dei Giustiniani, i “Testi inediti e rari del nove-cento” di Via del vento, “La memoria” di Sellerio, lo “Zibaldone” di Anita Pittoni ed infi ne gli “Archivi della memoria” de Il Ramo d’Oro Editore. Ai miei occhi si crea una geografi a editoriale che parte da Trie-ste e va a Genova passa a Pistoia e termina a Palermo, ndr]. Libretti così, agili e ben le-gati con carta di pregio raffi nata e con un carattere tipografi co leggibile che riposa agli occhi .

BOUVARD: Sono d’accordo con mio cugino, l’editore serio - caro amico - è come un direttore d’orchestra che ha il dono dell’orecchio e che deve armonizzare i componenti che ne fanno parte. E si deve iniziare proprio dall’ebbrezza che la vista di un oggetto può suscitare. L’editore offre il via alla musica e poi tocca allo scrittore, al grafi co, al tipografo, al lettore, ai critici creare le variabili interpretative.

Li saluto e allontanandomi dalla loro di-mora penso alla magia del luogo e alla so-spensione del tempo. Sarà stato anche il pae-saggio vissuto non come un turista della do-menica ma come un viaggiatore senza orolo-gio. Ma il risveglio alla realtà è immediato: l’improvviso suono del cellulare che avevo lasciato in macchina mi ricorda gli appunta-menti e le scadenze. Per l’appunto il deci-mo anno di “Residenze Estive” a Duino dal 25 al 29 giugno dove forse verranno anche i due editori-collezionisti con famiglia e il cane Kortis. Lo ammetto: non pensavo che esistessero persone nell’editoria (mi ricordo Vanni Scheiwiller) che riuscissero ancora a trasformare il loro lavoro in un atto poeti-co. A trasformare dei libri in un «Arbor li-brorum»!

INIZIATIVE EDITORIALI /

di Francesco Cenetiempo

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CALENDARIO: GLI APPUNTAMENTI CULTURALI IN ISTRIA, QUARNERO E DINTORNI

CARNET CULTURA rubriche a cura di Viviana Car, Lara Drčič, Helena Labus

IN ITALIA IN CROAZIA IN SLOVENIAI LIBRI PIÙ VENDUTI

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Stephenie MeyerBreaking dawnFazi

Alicia Giménes BartlettIl silenzio dei chiostriSellerio Editore Palermo

Giorgio FalettiIo sono DioBaldini Castoldi Dalai

Roberto SavianoLa bellezza dell’infer-no. Scritti 2004 -2009Mondadori

Erri de LucaIl giorno prima della felicitàFeltrinelli

Allen CarrÈ facile smettere di fumare se sai come farlo (per le donne)

EWI

Corrado Augias e Vito Mancuso

Disputa su Dio e dintorniMondadori

Rita Levi MontalciniCronologia

di una scopertaBaldini Castoldi Dalai

Gianluigi NuzziVaticano SpaChiarelettere

Alfonso SignoriniChanel. Una vita da

favolaMondadori

Stephenie MeyerPraskozorjeAlgoritam

Cormac McCarthyCestaProfi l International

Katharina HagenaOkus jabučnih košticaNovela Medija

Minette WaltersKameleonova sjenaMozaik knjiga

Maryline DesbiollesSipaNovela Medija

Dunja UjevićZlatko Sudac -

RazgovoriJoshua

Eckhart Tolle

Govor tišineVBZ

Eric J. HobsawnZanimljiva vremena

Disput

Mirjana KrizmanićTkanje života

Profi l International

Sanja MihaljinacNdrangheta – Tko

stoji iza majmoćnije mafi je svijeta?

AGM

Stephenie MeyerSomrakUčila international

Roberto SavianoGomoraMladinska knjiga

Charles BukowskiPoštaPrimus Distribucija

Stephenie MeyerMlada lunaUčila international

Julie GarwoodPorokaMladinska knjiga

Franjo ŠtiblarSvetovna kriza in Slo-

venci: kako jo preživjetiZnanstvenoraziskovalni

center-SAZU

Rado PezdirSlovenska tranzicija: od

Kardelja do tajkunovČasnik Finance

Roger WillemsenTu Guanatanamo

Ciceron

Harald HavasTreniranje

inteligenceMettis Bukvarna

Danilo TürkNa poti preobrazbe

GV založba

Sabato, 20 giugno 2009

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURARedattore esecutivo: Silvio Forza Impaginazione: Željka Kovačić Collaboratori: Gianna Dallemulle Ausenak, Ezio Giuricin, Francesco Cenetiempo, Elis Deghenghi Olujić, Tiziana Dabović e Viviana Car

Anno IV / n. 40 del 20 giugno 2009

La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004

ISTRIA E QUARNEROPirano, Galleria civica, l’opus artistico comprendente

quadri, disegni e vasi dell’artista ZORAN MUŠIČ viene presentato fi no al 21 giungo.

Fiume, Archivio di Stato, l’esposizione HORTUS SAN-CTI VITI – I MOTIVI FLOREALI E VEGETALI DEL FONDO D’ARTE SACRA DELLA CATTE-DRALE DI SAN VITO DAL 17.ESIMO AL 20.ESO-MO SECOLO rimane in visione fi no al 21 giugno.

Pisino, Castello la manifestazione LE GIORNATE DI GIULIO VERNE si svolgeranno il 25 e 26 giugno.

Pola, CMM Luka, triplice esposizione alla Galleria Anex. Fino al 26 giugno si possono ammirare la serie di installazioni di Bojan Šumonja MY HOMELAND/CROATIAN FLAG PROJECT, l’esposizione fotogra-fi ca di Jadranka Letinić CON LA MANO E IL TEM-PO e la mappa artistico-letteraria di di Renato Percan e Dragan Orlić STREGHE, CAPRONI E VERGINI.

Grisignana, Galleria Fonticus, il progetto tematico FUOCO, opera di un gruppo di artisti, si può visitare fi no al 29 giugno.

Cittanova, Galleria Rigo, si intitola DISCORDIA la mostra di Tomislav Čeranić in visione fi no al 30 giu-gno.

Umago, Galleria Marin fi no al 30 giugno LJUBO DE KARINA si presenta con le sue sculture.

Parenzo, Museo civico, si intitola LE FONTI DELLA VITA: L’ACQUA DEL PARENZANO NEI SECO-LI PASSATI, la mostra storica in visione fi no al 30 giugno.

Fiume, Piccolo salone, la giovane artista Lada Sega si presenta fi no al 5 luglio con il suo progetto goGLO-BAL.

Pirano, Galleria Herman Petrič, la duplice esposizione di opere video e di tele INTRECCIO presenta fi no all’ 8 luglio l’artista Vesna Čadež.

Rovigno, Museo civico, la per-sonale di ZDRAVKO MILIĆ ispirata sulle teorie di David Icke e Zecharia Sirchin rima-ne in visione fi no al 9 luglio.

Pola, Arena, Castello e Cinema Valli, la 56.esima edizione del FESTIVAL DELLA CINE-MATOGRAFIA si svolgerà dal 18 al 25 luglio.

Montona il MOTOVUN FILM FESTIVAL è in pro-gramma dal 27 al 31 luglio.

Capodistria, Galleria Medusa, Orna Lutski, artista israelita, offre al pubblico fi no al 30 luglio la sua vi-sione delle BANDIERE NEL MAR MEDITERRA-NEO.

Umago, Galleria Marino Cettina, l’artista LORENA MATIĆ si presenta con il suo ultimo ciclo di tele. Da visitare fi no al 31 luglio.

Visinada, Centro astronomico fi no al 20 agosto gli in-teressati possono frequentare i laboratori della SCUO-LA DI ASTROLOGIA E DELLA SCIENZA.

Pisino, Museo etnografi co dell’Istria, si intitola VALI-GIE E DESTINI – L’ISTRIA FUORI DALL’ISTRIA la mostra storica che rimarrà a disposizione del pub-blico fi no al 30 settebre.

Pola, Ninfei, la manifestazione LO SPLENDORE ANTI-CO DELL ARENA si protrarrà fi no al 30 settembre.

CULTURA ITALIANA

LA CNIIsola, Galleria Krajcar, resterà in visione fi no a l 24

giugno la mostra fotografi ca RIFLESSI DELL’ANI-MA del Laboratorio del fotoamatore della CI “Dante Alighieri”.

Pola, Forum la SAC “LINO MARIANI” presenta il suo ricco repertorio il 3 luglio.

Rovigno, Chiesa di San Tommaso, la personale di EGIDIO BUDICIN che si presenta con quadri ispi-rati al Verbo, rimane aperta al pubblico fi no al 4 lu-glio.

Isola, Palazzo Manzioli, la decima edizione della mo-stra ARS FOROIULANA rimarrà in visione fi no al 7 luglio. Partecipano con le loro opere Mario Alime-de, Paolo Berlasso, Bruna de Fabris, Ugo Gangheri, Maura Israel, Roberto Milan, Claudia Raza, Shoichi Takahashi.

GLI ALTRI Zagabria, Galleria di Belle arti, in collaborazione con

il IIC fi no al 28 giugno rimarrà in visione la mostra fotografi ca di Neda Miranda Blažević-Krietzman VENEZIA IN LAS VEGAS.

Lubiana, Museo etnografi co sloveno, in collabora-zione con il IIC e l’Ambasciata d’Italia l’esposizio-ne fotografi ca SGUARDI – LA FOTOGRAFIA NEL FRIULI VENEZIA GIULIA DEL XX SECOLO ri-mane in visione fi no al 15 settembre.

Venezia, Galleria A + A, nell’ambito della Biennale la Slovenia viene rappresentata dal progetto di Miha Štrukelj INTERFERENZA IN CORSO da visitare fi no al 22 novembre.