Il Fronte popolare in SpagnaImmagine e significato
di Antonio Elorza
La vittoria del Fronte popolare nelle elezioni del febbraio 1936 costituisce uno dei pochi avvenimenti della storia spagnola che presenti un rilievo europeo, almeno per il suo carattere di antecedente della guerra civile che tra il 1936 e il 1939 funge a sua volta da prologo del conflitto mondiale. E tuttavia, forse per questo stesso collegamento, che è a un tempo subordinazione, il Fronte popolare spagnolo rimane in ombra nelle ricostruzioni storiche del periodo, eclissato dai bagliori della guerra all’interno della Spagna e dalla risonanza del Fronte popolare francese sul piano politico europeo. Tanto nelle storie del movimento comunista quanto in quelle dei sistemi politici, l’avvento del Fronte popolare in Spagna, nonostante l’importanza del suo esito elettorale, viene ridotto a semplice appendice delle vicende molto più note della gestazione e dello sviluppo del corrispondente fenomeno francese.
A ciò hanno contribuito limitazioni di natura assai diversa. In primo luogo, materiali: le lacune nella documentazione archivistica. Gli archivi dell’Internazionale comunista sono rimasti preclusi ai ricercatori spagnoli più di quanto non sia avvenuto nel caso della Francia o dell’Italia. Ed anche a voler prescindere dalle distruzioni causate dalla guerra e dal regime franchista, i fondi documen
tari dei principali partiti operai sono stati trasmessi ai rispettivi centri di documentazione — e tutt’altro che completi — solo agli inizi di questo decennio. In secondo luogo, la storia del Fronte popolare in Spagna presenta uno svolgimento molto meno articolato e con punti confusi che viceversa non si riscontrano nell’esempio francese. Per cominciare, non del tutto accertata risulta la sua stessa cronologia.
Così, se prendiamo il ragguardevole studio degli storici sovietici Lejbzon e Sirinja1, constatiamo che, nonostante il ricorso alle fonti della le, il ruolo assegnato alla formazione e allo sviluppo del Fronte popolare in Spagna appare secondario e, come se non bastasse, l’informazione offerta risulta alquanto carente. Se infatti suona corretto sostenere, come fanno i due autori sopra richiamati, che la linea di fronte popolare fu “una politica nata nella lotta antifascista” , basata sulla ricerca di un’alternativa alla nuova situazione creatasi nell’Europa centrale, assai meno convincente è la tesi secondo cui il Partito comunista di Spagna (Pce) avrebbe avviato già nel marzo del 1933 un “nuovo corso” fondato sull’antifascismo, che sarebbe stato bloccato dalla delegazione del Comintern (nella persona del bulgaro “Chavaro- che’VMiniev). Questa bella storia che fa risa-
1 V. M. Lejbzon e K.K. Sirinja, Povorot v politike Kominterna. Moskva, Mise, 1965 (trad. it., Il VII Congresso dell ’Internazionale comunista, Roma, Editori Riuniti, 1975).
“Italia contemporanea”, marzo 1987, n. 166
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lire al 1933 la gestazione “non solo dell’unità delle forze proletarie, bensì di tutte le forze democratiche” , ha ben poco a che vedere con l’atteggiamento effettivo del Pce, che proprio in quei giorni giocava fino in fondo la carta del “socialfascismo”. Su tutta la vicenda che sfocia nell’insurrezione operaia dell’ottobre 1934, sulla politica del fronte unico, i rapporti con i socialisti, ecc. non c’è quasi affermazione nel libro che non risulti discutibile alla luce della documentazione microfilmata oggi offerta agli studiosi dall’archivio del Pce di Madrid, i cui originali si trovano per l’appunto a Mosca. Brutto segno se l’intento era quello di dimostrare l’autonomia dei diversi partiti comunisti nell’elaborazione della politica di fronte antifascista. C’è nel testo, per quanto riguarda la Spagna, una confusione ricorrente tra fronte unico operaio e antifascismo, la qual cosa impedisce di comprendere appieno quanto succede a partire dall’ottobre, con il cambiamento della politica delle alleanze del Pce. Il discorso sulla Spagna si perde quindi nel mare delle generalizzazioni, proprio quando prende corpo, e prima del VII Congresso, la politica che quest’ultimo dovrà sancire. Il tema spagnolo è sicuramente un punto debole nel pur apprezzabile lavoro degli storici sovietici.
Non molti più lumi offre, per l’argomento che ci interessa, un altro studio classico, La crisis del movimiento comunista di Fernando Claudin2. Ex dirigente del Pce, Claudin si trovava nella posizione ideale per poter inquadrare la questione, tra l’altro per la sua stessa partecipazione alle vicende degli anni 1934-1936, in veste di dirigente giovanile comunista; in lui prevale invece la passione di dimostrare che tutto si ridusse a un gioco
nelle mani di Stalin, mosso da esigenze proprie della politica estera russa. Nella visione di Claudin, l’antifascismo non rientrerebbe nemmeno fra le tre cause principali della politica di fronte popolare. Queste sarebbero la crisi economica mondiale, l’impotenza del proletariato occidentale sul piano rivoluzionario e l’acutizzarsi delle contraddizioni interimperialistiche. Con un’ottica del genere, e a dispetto delle sue lucide osservazioni sulla crisi della seconda repubblica spagnola, non è affatto strano che egli fornisca scarsi elementi sulla genesi della politica comunista di fronte popolare in Spagna. Quel che assai più preoccupa Claudin è il confronto tra le date significative riguardanti da un lato le relazioni franco-sovietiche e dall’altro le prese di posizione del Pc francese nel corso del 1934. “Era evidente — scrive
f
Claudin — che il protrarsi durante questo periodo della linea ultrasettaria della le avrebbe gravemente pregiudicato l’unità operaia. Con l’aggravante che, nella situazione creatasi in Europa con l’ascesa di Hitler al potere, il fattore tempo, nella mobilitazione antifascista per prepararsi ai combattimenti che si avvicinavano, rivestiva un’importanza vitale. Nella misura in cui le necessità della politica estera sovietica esercitarono un ruolo determinante nella svolta dell’Internazionale comunista, si può dire che, in questo caso, Vincondizionata subordinazione del Comintern al Cremlino, fatto che risale per lo meno al VI Congresso, giocò a favore del movimento operaio e antifascista” . Questo primato degli interessi russi, secondo Claudin, avrebbe invece operato negativamente sulla Spagna, facendo apparire nel 1936 la rivoluzione spagnola come una “rivoluzione inopportuna”: durante la
2 Fernando Claudin, La crisis del movimiento comunista. Paris, Ruedo iberico, 1970 (trad, it., La crisi dei movimento comunista, Milano, Feltrinelli, 1974), al quale andrebbe aggiunto, sempre dello stesso autore, La politica di fronte popolare nell’Internazionale comunista, in Problemi di storia dell’Internazionale comunista, 1919-1939, a cura di Aldo Agosti, Torino, Einaudi, 1974.
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guerra civile i comunisti, su mandato di Stalin, avrebbero frenato la spinta rivoluzionaria dei lavoratori. Critica di impronta estremista, peraltro contraddetta dalla difesa fatta dallo stesso Claudin della politica seguita allora dal Pce per organizzare le retrovie al fine di vincere la guerra.
Questa vocazione polemica gli impedisce parimenti di trarre profitto dalle sue stesse critiche alle storie ufficiali del Pce, redatte in due occasioni da commissioni capeggiate da Dolores Ibarruri, che è tuttora presidente del partito. Ci riferiamo alla Historia delpartido comunista de Esporta e al primo volume di Guerra y revolución en Espana3. La storia ufficiale del Pce era a quel tempo dominata dall’esigenza di retrodatare la svolta agli anni 1932-1933, proprio quando José Diaz assume la segreteria generale del partito e Dolores Ibarruri entra a far parte del suo gruppo dirigente, allo stesso modo come nella presentazione del Fronte popolare si tende a raffigurarlo come un tipo di processo democratico e rivoluzionario, quasi una sorta di possibile anticipazione di processi futuri. Grazie tuttavia al lavoro svolto negli archivi di Mosca, non mancano in entrambi i libri apporti documentali per il periodo 1934-1935 che risultano sostanzialmente trascurati sia dagli autori che da Claudin.
Sono i pericoli di scrivere la storia ad pro- bandum, un difetto che pesa sulla maggior parte della bibliografia relativa al Fronte popolare spagnolo. C’è sempre da dimostrare qualcos’altro: l’autonomia dei partiti, il potere assoluto di Stalin, le doti di lungimiranza di un gruppo dirigente. Certo, in questo panorama non fa eccezione, semmai tutto il contrario, la bibliografia franchista interes
sata a presentare il Fronte popolare come prova della subordinazione dei “rossi” spagnoli a Mosca e, di conseguenza, come puro e semplice riflesso del VII Congresso. Fin dalla Historia de la Cruzada espanola (1940) questa diventava la versione ufficiale, dando adeguato risalto all’“autorità dispotica del Comintern”4. “Dal Congresso partirà il segnale perché da quel momento i comunisti si dedichino a tessere le alleanze che si denomineranno Fronte popolare” . Molti anni dopo, lo scrittore-poliziotto Comm Colomer, nella sua Historia del Partido Comunista de Esporta5, escogita una formula di compromesso per recepire quanto gli dicono i documenti senza cercare ulteriori spiegazioni: “La svolta del Partito veniva attuata con discreto anticipo sul Congresso del Comintern, ma osservando la più rigorosa disciplina, a tal punto che nemmeno una volta il dirigente spagnolo [si riferisce al segretario del Pce José Diaz, nel suo discorso di presentazione della nuova politica, il 2 giugno 1935] parlò di Fronte popolare, bensì di Fronte unico e di Concentrazione popolare, perché la denominazione definitiva doveva essere inaugurata a Mosca” . In realtà, una volta fissato questo schema, l’attività di ricerca della storiografia franchista sarebbe stata nulla. Il Fronte popolare, secondo la raffigurazione proposta dalla citata Historia de la Cruzada espanola, era l’idra dalle sette teste forgiata a Mosca per portare la Spagna alla rovina. Nemmeno la morte del dittatore è valsa a introdurre novità su questo terreno. Nella sua recente e vastissima biografia di Franco, lo storico medievalista Luis Suarez Fernandez si limita ad aggiungere che nella formazione del Fronte popolare ebbe una sua parte l’odio verso la Chiesa spagnola6.
3 Historia del partido comunista de Esporta, [a cura di una commissione presieduta da Dolores Ibarruri], Paris, Editions Sociales, 1960 e Guerra y revolución en Esporta, Moscü, Editorial Progreso, 1966, 2 voli.4 Historia de la Cruzada espanola, diretta da Joaquin Arrarâs e Carlos Saenz de Tejada, Madrid, Ediciones Espaiio- las, 1939-1943, 35 voli.5 Eduardo Comm Colomer, Historia de!Partido Comunista de Esporta, Madrid, Editora Nacional, 1965, 3 voli.6 Luis Suarez Fernandez, Francisco Franco y su tiempo, Madrid, Fundación F. Franco, 1984, t. II.
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Un’altra visione semplicistica è quella diffusa dall’abbondante bibliografia d’estrema sinistra, sovente di orientamento trotskista, tesa a combattere il Fronte popolare in quanto freno all’inclinazione rivoluzionaria del proletariato spagnolo. Anche qui la condanna tende a prendere il posto dell’analisi. Ne La révolution espagnole 1931-1939, Pierre Broué non si cura nemmeno di vedere come prenda forma quel Fronte popolare che definisce come “via parlamentare senza sbocco”7. Lo storico della sinistra comunista spagnola e biografo del suo leader Nin, Pelai Pagés, elude anch’egli l’argomento, il che peraltro non gli impedisce di sostenere che solo dalla parte dei suoi si ebbe una concezione “corretta” dello sviluppo globale della repubblica spagnola. In Spagna il Fronte popolare non sarebbe stato altro che la proiezione del VII Congresso8. Al limite estremo, si finisce per presentare il tutto come una manovra comunista9.
La sensazione a cui perviene il lettore, verso la metà degli anni settanta, è di un’evidente stanchezza. Non ci sono contributi nuovi, almeno per quanto riguarda l’ala comunista del movimento operaio, e l’immagine corrente è quella di una serie di cambiamenti quasi automatici, dove l’origine delle cose trova una surrettizia spiegazione nella stessa prospettiva preventivamente adottata. Un esempio di questa stagnazione storiografica potrebbe essere la Historia del Pce (1920-1939) di Juan Estruch, corretta illustrazione delle tesi di Claudin in cui la cro
naca del 1935 si traduce in una visione della politica frontista del Pce come affossatrice delle conquiste rivoluzionarie durante la guerra (visione per di più discussa dallo stesso Claudin nella prefazione all’opera)10.
Un’anchilosi del genere si ripercuoteva, logicamente, sui lavori di sintesi. Il tema del Fronte popolare era appena accennato nella sintesi di Manuel Tunon de Lara, El movi- miento obrero en la historia de Esporta'1, forse per ragioni di censura, sebbene lo stesso storico, militante giovanile negli anni trenta, ci offra poi una buona cronaca, per quel tempo storiograficamente aggiornata, ne La Segunda Repüblica'2. In ogni caso, questi limiti della storiografia spagnola incidevano anche su quanto si andava scrivendo all’estero intorno al movimento comunista. Non esistendo di fatto un dibattito sul Fronte popolare spagnolo, difficilmente i suoi dati potevano influenzare la ricostruzione delle vicende dell’internazionalismo comunista e delle sue principali figure. Così, nei lavori di Ragionieri e Spriano, nonostante il peso che assume la Spagna nella riflessione di Togliatti tra il 1934 e il 1939, solo con l’arrivo della guerra, allorché le interazioni si fanno più chiare, la vicenda spagnola diventa del pari significativa per la valutazione della traiettoria di “Ercoli”13. Gli articoli sulla Spagna del 1934-1935 sono oggetto di minore attenzione. Analoghi limiti si riscontrano in altri lavori italiani, quelli di Aldo Agosti sulla Terza internazionale nel suo complesso, e quelli di Marta Dassù e Gior-
Pierre Broué, La révolution espagnole 1931-1939, Paris, Société d’Editions, Librairie Informations Ouvrières, 1973.8 Pelai Pagés, El movimiento trotskista en Esporta (1930-1935), Barcelona, Ei. Edicions, 1977 e Andreu Nin: su evoluciónpolitica (1911-1937), Madrid, Zero, 1975.9 Victor Alba, El Frente Popular, Barcelona, Editorial Pianeta, 1976.10 Joan Estruch, Historia del P. C.E. (I) (1920-1939), Barcelona, Iniciativas, 1978.11 Manuel Tunon de Lara, El movimiento obrero en la historia de Espaha, Madrid, Taurus, 1972.12 Manuel Tunon de Lara, La Segunda Repüblica, Madrid, Siglo XXI, 1976.13 Si vedano Ernesto Ragionieri, Paimiro Togliatti, Roma, Editori Riuniti, 1976 e Paolo Spriano, Il compagno Ercoli, Roma, Editori Riuniti, 1980.
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gio Rovida nel quadro della Storia del Marxismo edita da Einaudi14. Per non parlare del libro postumo di E.H. Carr dedicato a questo periodo15.
Per prima cosa, dunque, c’era da colmare il ritardo storiografico all’interno della Spagna, e per questo bisognava intraprendere studi più particolareggiati, più originali quanto a integrazione dei dati nella sequenza complessiva, più documentati infine. Quest’ultima esigenza avrebbe trovato risposta solo in data più recente, ma almeno gli altri due aspetti sopra citati — ricostruire con precisione la dinamica politica e inscriverla nella storia sociale del periodo — si sono potuti affrontare con una serie di lavori che oggi ci permettono di parlare di una nuova immagine, a un tempo più chiara e più complessa, del Fronte popolare di Spagna, quanto meno per ciò che concerne la fase precedente la guerra. Sul Fronte popolare tra il 1936 e il 1939, diciamolo subito, possediamo solo dati indiretti ricavabili da studi monografici, quasi sempre di ambito regionale; in quanto argomento di studio specifico, si può dire che non sia esistito.
All’inizio di questo rinnovamento riscontriamo un rinnovato interesse sia per i dati empirici che per la visione di assieme. Gli storici spagnoli hanno tardato ad apprendere che, senza fare i conti con il complesso delle correnti della sinistra operaia, non si poteva scrivere la storia di una sola di esse, né a maggior ragione quella del Fronte popolare, per lo meno per un periodo così ricco di intrecci come il biennio 1934-1936. Con una deliberata mancanza di pretese, lo storico del comuniSmo catalano Josep Lluis
Martin ha saputo dare una dimostrazione diretta di tale assunto nel suo Els orìgens del Partit Socialista Unificat de Catalunya (1930-1936)16 17: il quadro della disfatta operaia dell’ottobre 1934 e le tendenze alla ripresa delle distinte organizzazioni socialiste e comuniste introducono, con la loro stessa presenza nella trama narrativa, un elemento di complessità grazie al quale la storia delle organizzazioni non risulta più disgiunta da quanto realmente succede in termini di mentalità sociale e politica durante quei mesi di repressione, frustrazione e speranza. Non è casuale che questa seconda problematica incominci ad attirare anche gli storici e che abbia prodotto il suo primo frutto storiografi- co in Catalogna, dove le componenti fonda- mentali del processo risultavano meglio conosciute. Ci riferiamo al lavoro di Ricard Vinyes, La Catalunya internacional. El frontpopulismo en l’exemple catalâ11, inteso essenzialmente a mostrare come la repressione dopo l’ottobre del 1934 venga suscitando nei diversi ambienti sociali il sentimento unitario sul quale si basa la linea frontista. Tutto ciò senza dimenticare di rileggere in questa luce la strategia operaia. “La componente fortemente nazionalista del frontismo in Catalogna — scrive Vinyes — si spiega fondamentalmente con la repressione istituzionale che investì il paese e con le tensioni sociali urbane che spinsero conseguentemente all’attività politica settori lavorativi e sociali che se n’erano tenuti ai margini. Ed è un fatto che, dichiarato lo stato di guerra in tutto il territorio autonomo, le prime disposizioni del governo repubblicano, oltre alla occupazione militare del parlamento, colpirono tut-
14 Marta Dassù, Fronte unico e fronte popolare: il VII Congresso deI Comintern, in Storia del marxismo, III, 2, Torino, Einaudi, 1981, pp. 591-626 e Giorgio Rovida, La rivoluzione e la guerra di Spagna, ivi, pp. 629-660.15 Edward H. Carr, The Comintern and the Spanish Civil War, London, MacMillan, 1984.16 Josep Lluis Martin, Els orìgens del Partit Socialista Unificat de Catalunya (1930-1936), Barcelona, Curial Edi- cions Catalanes, 1977.17 Ricard Vinyes, La Catalunya internacional. El frontpopulismo en l ’exemple catalâ, Barcelona, Curial Edicións Nacionals, 1983.
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ti gli organismi che davano vita effettiva all’autonomia del paese. Non si trascurò il minimo dettaglio: i funzionari furono sospesi, puniti o destituiti; congelati i concorsi con riserva di posti; l’uso della lingua catalana fu proibito in tutti gli uffici pubblici...”. Il tema della repressione quale motore della formazione della coscienza frontista è stato del pari analizzato, per il resto della Spagna, da Manuel Tunon de Lara, prima nel convegno sui Fronti popolari tenutosi a Madrid nell’aprile del 1980 e poi in diverse pubblicazioni e interventi pubblici, fino al recente libro Très claves de la Repüblica espahola18. Si tratterebbe, secondo Tunon de Lara, di una questione di “sentimentalità collettiva” , derivante non solo dal timore dell’esecuzione delle condanne capitali e dai trentamila prigionieri, ma altresì dalle “decine di migliaia di licenziati, con il pretesto di punire una partecipazione, presunta o comprovata, agli scioperi di ottobre, più che all’insurrezione” . Il desiderio di liberarsi di “tutto ciò”, vale a dire del complesso dei fattori repressivi del governo di centro-destra, sarebbe stata una delle forze motrici del Fronte popolare. Questa discesa nel sociale, inoltre, non si limita al periodo 1934-1936, ma va prendendo una piega retrospettiva. La ricerca della mentalità frontista nella conflittualità sociale della capitale ispira l’analisi di Santos Julia nel suo libro Madrid 1931-1934'9.
Questo stesso storico si è assunto, sullo scorcio del passato decennio, il non facile compito di tentare un bilancio delle conoscenze acquisite sul tema del frontismo, prima che fossero aperti al pubblico gli archivi del Pce, del Psoe e dell’Ugt. Valendosi principalmente di fonti emerografiche, S. Julia di
segna nel suo Origines del Frente Popular en Esporta (1934-1936J20 uno schema ben preciso della convergenza delle diverse forze politiche di sinistra dopo l’ottobre 1934 — con particolare attenzione ai conflitti interni al socialismo — e della svolta comunista verificatasi a partire al VII Congresso dellTnternazionale comunista. Spicca nel libro il capitolo sulla concentrazione popolare antifascista dei primi mesi del 1935, un preludio alla politica di fronte popolare in senso stretto, la cui importanza sarà confermata dalla documentazione d’archivio venuta alla luce. Nelle stesse coordinate si colloca il convegno sui Fronti popolari svoltosi a Madrid nell’aprile del 1980, che ha riunito storici di vari paesi (A. Agosti, S. Wolikow, W. Neugebauer, P. Spriano) oltre che naturalmente spagnoli (F. Claudin, S. Julia, R. Vinyes e altri). Tra questi ultimi, Marta Bizcarrondo {De lasAlianzas Ob reras al Frente popular) e Manuel Tunon de Lara (El Bloque Popular Antifascista) hanno rilevato l’importanza che andava riconosciuta ai nuovi documenti in via di consultazione. Le relazioni sono state pubblicate sul numero 16-17 della rivista “Estudios de historia social”21. Da questo punto di partenza, una volta entrati in ballo gli archivi del Psoe, si è resa possibile una ricostruzione molto più precisa. Dall’angolo visuale socialista, Marta Bizcarrondo l’ha affrontata nel suo studio Democracia y revolución en la estrategia socialista de la Segando Repüblica22 23, seguendo l’analisi particolareggiata del cammino del Fronte popolare nel Pce fornitaci da Rafael Cruz nel suo saggio Los comunistas y la insurreción de octu- bre23. Datare all’ottobre del 1934 l’avvio della politica di concentrazione popolare, l’anello mancante della nostra catena evolutiva, costi-
18 Manuel Tunon de Lara, Très claves de la Repüblica espahola, Madrid, Alianza Editorial, 1986.19 Santos Juliâ, Madrid 1931-34. De la fiesta popular a la lucha de closes, Madrid, Siglo XXI, 1984.20 Santos Juliâ, Origines del Frente Popular en Esporta (1934-1936), Madrid, Siglo XXI, 1979.21 “Estudios de historia social”, Madrid, 1981, nn. 16-17.22 Cfr. “Estudios de historia social”, 1981, nn. 16-17.23 Cfr. “Estudios de historia social”, 1984, n. 31.
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tuisce un buon punto di partenza per esaminare non solo la politica delle alleanze del Pce, ma anche la questione degli indirizzi strategici dell’Internazionale comunista. Su questa linea, che potremmo chiamare di ricostruzione filologica, si collocano i più recenti lavori di Tunon de Lara sull’argomento, pur senza aggiungere nulla di importante a quanto già conosciuto: il capitolo sui fronti popolari nel già citato Très claves e l’articolo La Espaha del Frente Popular24.
Duplice è stata dunque la direzione dell’approfondimento in questi ultimi cinque anni. Da un lato conosciamo molto meglio la trama di relazioni esistente prima della formazione del fronte, per quanto riguarda almeno i partiti operai. Il comportamento dei partiti repubblicani resta ancorato a fonti memorialistiche e periodiche (ancorché oggi vi sia un nuovo punto di riferimento bibliografico, il recente studio di Juan Avilés25). Dall’altro lato, rimane impostato, fondamentalmente a opera di Vinyes e Tunon, il tema dei mutamenti di mentalità, circoscritto per ora alla Catalogna e a Madrid, un campo d’indagine che in futuro ci dovrebbe permettere di conoscere molto meglio il tessuto sociale frontista a partire da analisi regionali e locali.
Come avviene nel caso francese, anche nel caso spagnolo la storia del Fronte popolare presenta una doppia sequenza: la formazione dell’alleanza dei partiti operai e democratici per arginare il fascismo, da un lato, e dall’altro l’adozione della linea di fronte popolare da parte del partito comunista, che rientra nel precedente ambito ma con aspetti specifici nella misura in cui si inserisce il fattore esterno rappresentato dal Comintern.
Il ruolo esercitato in Francia dagli avvenimenti del febbraio del 1934 trova in Spagna
riscontro nell’insurrezione operaia dell’ottobre dello stesso anno. La svolta è addirittura più drammatica. Fino a quel momento tuttavia gli avvenimenti seguono un altro cammino, ben distinto da quello francese e avendo semmai l’Austria come termine di riferimento. Nel corso del 1934, un governo repubblicano di centro-destra si regge precariamente al potere con il sostegno parlamentare di una destra cattolica nel cui leader, José Maria Gii Robles, molti vedono “il Dollfuss spagnolo” . L’entrata dei rappresentanti della Ceda (il partito cattolico) nel governo è vista come il segnale per una sollevazione operaia che si viene preparando a opera di un comitato congiunto delle organizzazioni socialiste (il partito, Psoe, il sindacato, Ugt, e le forze giovanili), presieduto da Francisco Largo Caballero. Quest’impostazione di rivoluzione difensiva permette, a partire dal dicembre del 1933, di compensare i punti deboli dello schieramento socialista mediante organi di fronte unico creati dall’alto, le Alleanze operaie, particolarmente diffuse nelle Asturie, dove a livello regionale comprendono socialisti e anarcosindacalisti, e in Catalogna, con l’inconveniente di non essere accettate dalla Cnt, la forza anarchica preminente. I piccoli partiti comunisti non ufficiali aderiscono alle Alleanze, non però il Pce che viceversa le osteggia finché, tra l’agosto e il settembre 1934, ormai alla vigilia della prevista rivoluzione, compie una virata di centottanta gradi e adotta la politica del fronte unico seguendo la direttiva del Comintern. Fino all’ottobre del 1934 non c’è dunque ombra di fronte popolare in Spagna. Per gli uni si tratta di tradurre in pratica la parola d’ordine “tutto il potere al Partito socialista” . Per i loro alleati, invece, di generalizzare il fronte unico fino a configurare l’Alleanza operaia nazionale. Ma solo nei circoli della sinistra repub-
24 M. Tunon de Lara, Très claves ecc., cit. e La Espaha del Frente Popular, in “Historia 16”, 1986, li, La guerra civil.2" Juan Avilés Faré, La izQuierda burguesa en la Segando Repüblica, Madrid, Espasa-Calpe, 1985.
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blicana si avanza, senza risultato, la proposta che permetterebbe di superare il dilemma fascismo o socialismo.
La disfatta dell’insurrezione operaia, nell’ottobre del 1934, cambia decisamente i dati della situazione e crea le condizioni nelle quali andrà affermandosi la prospettiva di fronte popolare. Non si tratta di un’unità alla base contrapposta alle organizzazioni, né di un’unità nei comitati antifascisti come in Francia, ma dell’unità delle vittime della repressione. O delle vittime della disfatta. La storia delle organizzazioni di classe nei mesi che seguono l’ottobre è fatta di tutta una serie di riaccorpamenti. I partiti comunisti non ufficiali, Blocco operaio e contadino (Boc) e Sinistra comunista, si fonderanno nel Partito operaio di unificazione marxista (Poum). Le gioventù socialista e comunista rafforzano i loro legami nel carcere e gettano le basi del processo che culminerà nell’aprile del 1936 con la formazione della Gioventù socialista unificata (Jsu). I sindacati comunisti accettano il principio dell’unità sindacale in seno all’Ugt socialista. Appena chiuso il capitolo rivoluzionario, Psoe e Pce creano un Comitato di collegamento e ben presto il soccorso ai detenuti e alle altre vittime della repressione impone l’unità a livello di base. I sindacalisti moderati, da parte loro, finiscono anch’essi per rientrare nella Cnt anarchica. Dopo lunghe trattative, quattro piccoli partiti socialisti e comunisti in Catalogna riescono a fondare un partito marxista unificato, il Psuc, in linea con l’Internazionale comunista. Si fa strada addirittura il miraggio di una convergenza tra la sinistra socialista e il Pce. Tutto ciò non è che il prodotto di una constatazione: il peso avuto dalla frammentazione organizzativa del proletariato nella disfatta di ottobre. Nonché l’espressione di un processo di fondo: l’avvicinamento tra tutti i settori popolari, e segnatamente operaia, uniti nel rifiuto del governo di centro-destra e della sua politica repressiva.
La classe operaia segue così nel corso del 1935 un cammino unitario. Ma ciò non si
gnifica che contemporaneamente la prospettiva del Fronte popolare sorga senza problemi. La stessa linea del governo, repressiva ma senza assumere profili totalitari, favoriva il continuismo rivoluzionario, vale a dire l’idea, rafforzata dal desiderio di imitare il 1917 russo, secondo cui lo scontro dell’ottobre sarebbe stato solo una prima battaglia e si dovesse andare “verso la seconda rivoluzione” . Giova rammentare che nella radica- lizzazione dei lavoratori spagnoli tra il 1931 e il 1934 aveva svolto un ruolo di prim’ordine l’immagine della Russia sovietica e della sua rivoluzione. I portavoce dei partiti comunisti non ufficiali saranno i più fermi difensori di questa tesi, e sulla stessa linea si schierano in un primo momento i giovani socialisti guidati da Santiago Carrillo, e in fondo — tutto lo lascia pensare — lo stesso presidente del Psoe Francisco Largo Caballero. La necessità di ottenere un’amnistia imporrà in seguito una rettifica di questo schema di comportamento di imitazione bolscevica, delineato dalla Gioventù socialista nell’opuscolo Octu- bre: segunda etapa, che sarà redatto nel carcere modello di Madrid e darà origine a una dura polemica con i dirigenti socialisti più moderati (i “centristi”). Tra costoro, fatto significativo, si trovano i capi della rivoluzione delle Asturie, presumibilmente delusi dal pessimo funzionamento del dispositivo rivoluzionario su scala nazionale. L’alternativa ideologica del “centro” socialista, recuperare la coalizione repubblicano-socialista del 1931, escludendo sia un’eventuale ripetizione del tentativo rivoluzionario sia l’applicabilità alla Spagna del modello sovietico, è difesa dal dirigente veterano Indalecio Prieto in una serie di articoli, iniziata simbolicamente il 14 aprile, anniversario della Repubblica, e raccolta in un opuscolo dal titolo Posiciones so- cialistas, che verrà subito denunciata dalla sinistra del Psoe per mano di un collaboratore di Largo Caballero, Carlos de Baraibar, ne Las falsas “posiciones socia listas” de Indalecio Prieto. Prieto proponeva un’intesa orga
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nica tra socialisti e repubblicani, rifiutando per principio la presenza comunista nell’alleanza, e innanzitutto l’idea di un “blocco operaio” . In suo aiuto verranno le prime voci di nuove elezioni, nel marzo del 1935, che permettono un’iniziativa della direzione socialista non incarcerata, consenziente dal carcere Largo Caballero, al fine di consultare i raggruppamenti socialisti su di una eventuale alleanza; ne scaturirà un orientamento largamente favorevole a riannodare rapporti con il repubblicanesimo26 27.
Le carceri sono il luogo simbolico che fa da culla al Fronte popolare. Sono i “trentamila prigionieri” tra cui figurano i principali dirigenti dell’Ugt, del Psoe e delle Juventu- des socialistas. È lì che si redigono manifesti, si celebrano le sedute degli organismi dirigenti e si intavolano negoziati. Il carcere sollecita un sentimento unitario, ma non è un buon osservatorio per intendere quel che va succedendo nella società spagnola. Lo scotto sarà pagato dal settore politico più colpito, la sinistra socialista.
In compenso, la direzione del Pce uscì praticamente indenne dalla disfatta e ricca di un crescente prestigio tra i lavoratori e di mezzi più abbondanti grazie all’aiuto sovietico. L’ammirazione generale per l’Urss trovava infine un punto di riferimento complementare in un partito liberato, per lo meno quanto a strategia, dal suo settarismo. Inoltre, in coincidenza con l’insurrezione, il Comintern dà un nuovo colpo di timone. Se in settembre il Pce compie il salto dal “classe contro classe” all’accettazione del fronte unico dall’alto, le Alleanze operaie, ora risulterà che la sua lotta con le altre organizzazioni operaie, servendo sempre come prova della validità del modello sovietico, è una lotta per le libertà democratiche, una lotta popolare e antifascista.
Le date contano. L’8 ottobre 1935 le “Izve- stia” così qualificano la lotta delle Asturie. Tre giorni dopo il discorso di Thorez a Nantes, il 27 ottobre, il Pce pubblica un manifesto sugli eventi rivoluzionari inserendo nella chiusa la parola d’ordine di “un solo blocco antifascista” . L’idea della lotta per la libertà compare anche nel discorso, per il resto tradizionale, di Togliatti ne La guerre civile en Espagne et les taches du prolétariat internationa l. A partire da allora si introduce, non senza oscillazioni e coesistenza di discorsi eterogenei, come ad esempio la difesa dei soviet, la proposta di una “concentrazione popolare antifascista” , presente nell’opuscolo ufficiale Los combates de Octubre e anticipazione della presa di posizione definitiva, del maggio 1935, enunciata da José Diaz nel suo discorso al Cine Monumentai di Madrid il 2 giugno. Due constatazioni: l’atto di nascita del Fronte popolare spagnolo segue a tamburo battente quello del Fronte francese, il che riporta la questione all’ambito del Comintern. Secondo, il Pce si trova così provvisto della strategia unitaria adatta alle circostanze, con un vantaggio decisivo nei confronti della sinistra socialista, paralizzata dal compromesso tra continuismo e rassegnazione di fronte all’alleanza elettorale. La disfatta della sinistra socialista nella direzione del Psoe nel dicembre del 1935 farà ormai del Pce l’unico referente possibile del bolscevismo.
Come avviene nel campo socialista, anche i primi movimenti repubblicani tendono a garantire la riaggregazione delle forze repubblicane in senso stretto, senza contatti con quelli che si sono compromessi nell’ottobre. Ben presto, tuttavia, si stabilisce un rapporto tra Manuel Azana, ex primo ministro, e In- dalecio Prieto, con l’intento di recuperare la
26 Si veda Juan S. Vidarte, Et Bienio Negro y la insurrección de Asturias, Barcellona, Grijalbo, 1978.27 “La Correspondance Internationale”, a. XIV, n. 100-101, 10 novembre 1934, ora in Paimiro Togliatti, Opere, III, 2, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 489-497.
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coalizione repubblicano-socialista che era esistita come forza di governo tra il 1931 e il 1933. Nel corso del 1935, Azaria pronuncia una serie di discorsi, in raduni di massa, con degli scopi ben precisi: esaltare lo spirito re- pubblicano, mostrare l’esigenza di porre fine al governo di centro-destra con un’alleanza delle sinistre. In questi Discursos en campo abierto2i c’è già la base sociologica del Fronte popolare. L’appoggio repubblicano al fronte si incarna in tre figure di dirigenti: Manuel Azana, della sinistra repubblicana, Diego Martinez Barrio e Felipe Sanchez Roman, entrambi repubblicani centristi, appartenenti rispettivamente all’Unione repubblicana e al Partito nazionale repubblicano. I tre avevano stabilito il 13 aprile 1935 alcune “regole” per un ipotetico governo di coalizione, incentrato sull’esigenza di arginare la repressione e sventare la minaccia di revisione costituzionale proveniente da destra.
L’estate del 1935 è tempo di preparativi. Nel governo, all’ombra del ministro della guerra Gil Robles, lavorano i futuri generali ribelli con Francisco Franco come capo dello Stato maggiore generale. L’esercito è la speranza della destra e il gruppo fascista della Falange espanola non trova di meglio che incoraggiare il golpe militare. Dal suo esilio a Ostenda, Prieto intrattiene rapporti di corrispondenza con i “tre” repubblicani e già in ottobre stende le sue osservazioni critiche alla loro bozza di programma elettorale. I delegati comunisti spagnoli partecipano tra luglio e agosto al VII Congresso del Comintern, che consolida la tattica dei fronti popolari. E a settembre scoppia improvvisamente lo scandalo dt\Y estraperlo, un affare di roulette truccate in cui il sospetto di corruzione investiva lo stesso primo ministro, Alejandro Lerroux. Incominciava il conto alla rovescia in vista delle elezioni.
È la scadenza elettorale ciò che mette in moto la coalizione. Il punto d’avvìo consiste in una lettera scritta il 14 novembre 1935 da Azana a Enrique de Francisco, segretario della Commissione elettorale del Psoe, in cui si sottolinea che “l’opinione pubblica, quasi unanime, reclama e spera in una coalizione elettorale dei partiti di sinistra” . La risposta fu subito affermativa, a condizione però che fossero ammessi al tavolo delle trattative il Pce e la Ugt, il sindacato comunista e la Gioventù socialista. Alla fine, quando le trattative avranno inizio, i repubblicani accetteranno solo la presenza dei socialisti, che per parte loro si incaricheranno dei rapporti con le altre organizzazioni operaie. Il patto venne siglato il 15 gennaio 1936, con la diserzione del Partito nazionale repubblicano (di fronte alla presenza comunista) e l’adesione del Partito sindacalista e, inopinatamente, del grande avversario del frontismo, il Poum. Il contenuto del programma rifletteva le istanze repubblicane, escludendo esplicitamente le riforme di struttura (nazionalizzazione delle banche e della terra, controllo operaio e sussidio di disoccupazione). E repubblicano doveva essere il governo incaricato di attuarlo dopo la vittoria nelle elezioni del 16 febbraio del 1936 (278 deputati al Fronte popolare contro 131 alla destra, per effetto di un meccanismo elettorale che esaltava la ristretta maggioranza dei voti). Anche in Catalogna trionfava il Front d ’Esquerres, variante regionale di diversa composizione con alla testa la Esquerra republicana de Catalunya, una formazione dotata di un dinamismo senza confronti nel resto della Spagna.
In realtà, il Fronte popolare non fu un rassemblement, bensì una coalizione elettorale imperniata sulla richiesta di un’amnistia. Non arrivò mai a darsi una forza veramente comune e ciò si rifletté persino sul vocabolario. Per i repubblicani di centro si trattava di
28 Manuel Azana, Discursos en campo abierto, Madrid, Espasa-Calpe, [1936].
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un “cartello elettorale” (sulla falsariga del cartel des gauches francese degli anni venti) e persino in Azaria prevale l’interpretazione della “coalizione elettorale” . Prieto parla di “fronte elettorale di sinistra” . Il Pce preferisce bandire il “blocco popolare antifascista” e l’organizzazione delle Juventudes sociali- stas, difficile a contenere nel suo radicalismo, lo dipinge come “fronte popolare delle sinistre” . Infine, per non contaminarsi con le formule esecrate del VII Congresso, il Poum annuncia il suo ingresso in un “fronte operaio-repubblicano”. Era il segno di una eterogeneità effettiva che esploderà già nella primavera del 1936, quando i repubblicani e Prieto si opporranno a che, come pretendevano i comunisti, sorga una trama di Comitati di Fronte popolare nella società e addirittura un comitato di vigilanza sull’attuazione del programma. Si rimarrà così nell’ambito di una collaborazione parlamentare repubblicano-social-comunista sulla quale si regge il governo Azana (e a partire da maggio il governo Casares, divenuto Azana presidente della Repubblica). Come ha scritto Claudin, la Spagna vive in una situazione di triplo potere; quello dei cospiratori, che trova un crescente sostegno nella destra politica; quello del governo repubblicano, sempre meno all’altezza degli avvenimenti e, staccate da quest’ultimo, le masse popolari in uno stato di crescente tensione ma senz’altro strumento di unificazione che i propri partiti e sindacati. Di qui verrà la risposta al sollevamento militare del 18 luglio.
Questa debolezza organica perdurerà nel corso della guerra civile, benché il Fronte popolare rimanga formalmente in vita e anzi allarghi le sue basi nel novembre del 1936 con l’entrata nell’area di governo della Cnt, che partecipa con quattro ministri anarcosinda- calisti al governo presieduto dal socialista Largo Caballero. In effetti è questo il primo governo frontista pienamente rappresentativo della convergenza di piccola borghesia democratica e classe operaia nella lotta con
tro il fascismo. Ma la partecipazione congiunta ad organismi di governo durante la guerra non significa la fine delle divergenze. Queste anzi si accentuano man mano che l’andamento della guerra volge al peggio. Nel 1938 si registra una chiara frattura tra il governo del socialista Negrin, sostenuto dal centro socialista e soprattutto dai comunisti, e un diffuso magma di oppositori, fautori di una cessazione della guerra a qualsiasi prezzo. Il presidente Azana simpatizza per la seconda fazione, ma senza compromettersi. Nel frattempo, il Fronte popolare continua a condurre un’esistenza di facciata fino al golpe militare che permette al colonnello Casa- do di deporre il governo Negrin ai primi di marzo del 1939. Lo spalleggiano nel golpe settori socialisti e anarchici, con i comunisti come bersaglio. Il 30 marzo Franco entra a Madrid.
In conclusione, lungi dall’essere un episodio secondario sotto il profilo politico, che acquisterebbe rilievo solo a seguito della guerra civile, il Fronte popolare spagnolo getta una luce considerevole sulla storia del movimento comunista internazionale e della sinistra europea, sollevando problemi tutt’altro che marginali.
In primo luogo, non è irrilevante questa comparsa della parola d’ordine del fronte popolare in Spagna già nell’ottobre del 1934, quando si è appena conclusa l’insurrezione operaia delle Asturie, suppergiù in coincidenza con il discorso di Thorez a Nantes. Quest’ultimo è del 24 ottobre e il manifesto del Pce del 27, il che pone sotto altra luce la questione dell’apparente opposizione del Comintern alla svolta frontista del Pce. Nel caso spagnolo, insistiamo, non ci possono essere dubbi di sorta: la virata strategica del Pce non poteva che uscire dalla “casa”, vale a dire dal Comintern. Quantunque la sua portata fosse più modesta di quella francese, il passo rappresentato dalla “concentrazione popolare antifascista” costituisce l’anello
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mancante della catena evolutiva che salda i blocchi antifascisti del 1933-1934, strumenti di reclutamento sopra la testa delle organizzazioni e pertanto compatibili con la rigidità del “socialfascismo”, alla individuazione del Fronte popolare quale asse strategico comunista, che prende forma nella primavera del 1935. Il famoso aneddoto raccontato da Cerreti, di un Togliatti emissario dell’Interna- zionale che il 24 ottobre ufficialmente sconsiglia e in privato approva Thorez, acquisterebbe così pieno significato. Si tratta dell’introduzione graduale, quasi sotterranea, di un’innovazione, cosa nient’affatto insolita nella storia del comuniSmo.
D’altra parte, l’immediata qualifica di antifascista, di difesa delle libertà democratiche, attribuita alla rivoluzione delle Asturie dagli organi ufficiali sovietici fin dagli inizi di ottobre, è un elemento a favore della tesi di Claudin sul peso determinante della politica estera sovietica. È chiaro che tale valutazione, prontamente ripresa dall’ambasciata britannica, risponde all’idea di non suscitare una rivoluzione proletaria alle spalle delle democrazie dell’Europa occidentale. Tenendo- presenti questi dati, si potrebbe ritenere prioritario tale fattore di politica estera rispetto al potere d’attrazione del caso francese, che in ogni modo acquista nei mesi successivi valore di esempio non solo per la Spagna, ma per l’intero Comintern.
Gli interessi internazionali dell’Unione sovietica rendono possibile, per quanto riguarda la Spagna, la conversione frontista del Pce, ma i diversi discorsi portati avanti fino al maggio del 1935 dimostrano non solo il peso di fattori inerziali, ma altresì una indeterminatezza che verosimilmente dipende da quel carattere di centro di elaborazione politica che è proprio del Comintern, dove le posizioni sono ben lontane dall’essere unanimi (ricordiamo quanto riferisce in proposito la
storia del Comintern redatta sotto la direzione di Sobolev e Sirinja29). L’adozione della nuova strategia è tutt’altro che automatica, come invece sarebbe avvenuto nel caso di un diktat: insomma, gli interessi di politica estera delI’Urss come sfondo sì, indubbiamente, ma in nessun modo una sorta di riflesso condizionato che permetta la traduzione immediata della ricerca di alleanze in fronte popolare. Tutti gli elementi di giudizio, e in particolare il gioco di controlli incrociati consentitoci dagli scritti di Togliatti e dai documenti del Pce tra l’ottobre del 1934 e il giugno del 1935, lasciano intravvedere una travagliata imposizione della svolta ai dirigenti dell’Internazionale comunista sulla scia di Dimitrov. Ci sono in ogni caso ancora troppi fili staccati, che si potranno forse ricollegare convenientemente solo dopo la consultazione degli archivi del Comintern, tenendo conto della vicenda spagnola, di cui sino a oggi nessuno parlava. Con tutti i rischi delle profezie, vorremmo azzardare un’immagine meno dipendente dell’evoluzione del Pcf nel 1934.
Non tutto però è storia segreta. Con il suo stesso svolgimento, la storia della gestazione del Fronte popolare in Spagna prova a suo modo come nell’affermarsi della nuova strategia delle sinistre agisca un movimento sociale di fondo, di rifiuto della controrivoluzione fascista, che per la Francia troviamo già molto ben ricostruito a partire dal movimento Amsterdam-Pleyel e dalla risposta popolare ai fatti del 6 febbraio. Il Fronte popolare suscitò e potè far leva su di una marea unitaria, su di un autentico cambiamento di mentalità connesso a un moto di speranza che raggiunse il culmine dopo la vittoria elettorale, nel giugno del 1936. In Spagna si verifica un analogo movimento di fondo della società, ma secondo coordinate assai differenti. In Spagna tutto risulta condizionato dagli esiti dell’ottobre del 1934. Il fallimento
29 Storia dell’Internazionale comunista, diretta da A. Sobolev, Mosca, Edizioni Progresso, 1974.
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dell’insurrezione ha effetti decisivi sull’affer- marsi del Fronte popolare, almeno per ciò che riguarda le formazioni operaie e repubblicane più restìe ad accettarlo, perché l’ampiezza della repressione — i “trentamila prigionieri” — e la difesa della democrazia impongono delle posizioni unitarie, per quanto diverso sia poi il significato che ciascuno attribuisce all’alleanza. Da parte sua, la politica seguita dai governi di centro-destra crea le condizioni ottimali per far trionfare tale orientamento nella sinistra, alimentando la repressione — arresti, stato di emergenza, censura sulla stampa, stillicidio di minacce di esecuzioni — senza però liquidare il quadro istituzionale democratico e in particolare taluni margini dei diritti di riunione, di associazione e di espressione. Così, l’organo del Psoe “El Socialista” non potrà uscire per tutto il 1935 ma la sinistra socialista riuscirà a pubblicare “Claridad”; privato di “Mundo Obrero” il Pce darà briglia sciolta alla stampa clandestina, a settimanali cripto-comunisti come “Pueblo” e pubblicherà persino, con qualche leggero ritocco nei titoli, la stampa del Comintern. Il pericolo di più pesanti repressioni era incombente e perciò più che puntare alle conquiste sociali come in Francia, il Fronte popolare sarà anzitutto un’occasione di ripresa per una sinistra uscita assai malconcia dall’ottobre del 1934. Il paese resterà diviso in due nella campagna elettorale del 1936 e i generali destrorsi come Franco terranno già per decisa la loro “operazione chirurgica” — come la definisce il futuro dittatore in una conversazione con l’ambasciatore francese Jean Herbette — fin dagli ultimi mesi del 1935. Non si tratta del cammino verso l’emancipazione che sfocia nel grand tournant francese, bensì di un gioco pendolare tra aspettative popolari, in larga misura rivoluzionarie, e un golpe controrivoluzionario che si fa incombente sin dalla prima notte in cui si conosce la vittoria dei candidati del Fronte popolare.
In siffatte condizioni, nulla di strano che il
ruolo principale sia svolto dalle organizzazioni tradizionali, fondamentalmente i partiti e i sindacati operai, sia pur soggetti a un impulso di riaggregazione, conseguenza logica del sentimento unitario condiviso dalle loro basi. Ancora nulla di strano, tuttavia, che per converso la struttura unitaria del Fronte popolare sia per se stessa alquanto debole. Esisteranno certamente dei comitati di Fronte popolare, con un notevole sviluppo dopo la sollevazione militare, senza però dar vita a quella trama veramente coesa che avrebbe permesso di superare le barriere organiche, ideologiche e di classe. Ricordiamo le osservazioni di Togliatti in piena guerra: il dissolvimento dei comitati di Fronte popolare è uno dei motivi chiave della penuria di istituzioni democratiche che affligge la Spagna repubblicana, nell’assenza di legami effettivi tra istituzioni e masse operaie e popolari.
Infine, non va dimenticato l’influsso esercitato dall’esperienza frontista durante la guerra sulla formazione di quelle che più tardi saranno le democrazie popolari, e in realtà, sul concetto stesso di “democrazia di tipo nuovo”, che Togliatti applica alla Spagna del Fronte popolare (questo sì, nella seconda metà del 1936, da un punto di osservazione troppo distante per poter percepire tutta la negatività della situazione reale) in quanto regime che mantiene la democrazia per le forze progressiste, distrugge le basi materiali del fascismo e favorisce l’avanzata del proletariato verso la sua emancipazione in un quadro pluralista. Si tratterebbe di un regime intermedio, di una fase di transizione che apre una nuova via, diversa da quella sovietica, per far trionfare la causa della rivoluzione, pur restando il punto d’arrivo il medesimo. La nota lettera di Stalin a Largo Caballero, presidente del Consiglio spagnolo, sancisce quest’apparente eterodossia: “La rivoluzione spagnola si apre strade che, per molti aspetti, differiscono dalla strada percorsa dalla Russia. Ciò è determinato dalle differenze di ordine sociale, storico e geografico,
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dalle esigenze della situazione internazionale, diverse da quelle che si posero dinanzi alla rivoluzione in Russia. È possibile che la ‘via parlamentare’ risulti un processo di sviluppo rivoluzionario più efficace in Spagna di quanto non lo fu in Russia”30.
Ma ciò che conta non è soltanto quest’insistenza nel difendere la democrazia. Sotto molti aspetti, positivi e negativi, la politica comunista durante la guerra civile anticipa nel segno del Fronte popolare degli elementi che più tardi faranno parte dell’esperienza delle democrazie popolari. Uno di questi sarà la spinta stalinista a esportare i “grandi processi”, che in Spagna trova un campo di applicazione privilegiato nell’eliminazione del trotskismo nel giugno del 1937, e culmina con l’assassinio di Andrés Nin. E non molto diversa è la logica unitaria, con i suoi aspetti positivi connessi all’organizzazione dello sforzo bellico e negativi quanto a effettiva capacità di comprendere le specificità degli alleati. Di nuovo Togliatti serve da testimone
dell’isolamento totale in cui si viene a trovare il Pce nell’aprile del 1938, nonostante la validità della sua politica di resistenza, che in talune occasioni arriva ad accettare la conversione del Fronte popolare in un vero e proprio fronte nazionale. La pratica di allettamento e distruzione degli alleati aveva questo prezzo, che continuerà ad essere pagato dai comunisti spagnoli nel prolungato periodo di solitudine che seguirà la disfatta. È evidente che non tutto fu negativo poiché, come sottolinea Spriano, proprio sulla scorta di queste contraddizioni dell’esperienza del Fronte popolare in Spagna Togliatti svilupperà le sue nuove concezioni sulla democrazia e il partito negli anni tra il 1944 e il 1947. Una volta di più, la sconfitta interna si accompagna, nel caso del Fronte popolare spagnolo, alla ricchezza di insegnamenti per il movimento comunista e per l’insieme della sinistra europea.
Antonio Elorza(traduzione dallo spagnolo di Vittorio De Tassis)
30 Cfr. Guerra y revolución en Espaha, cit., v. II, pp. 101-103. (Il passo è citato anche in P. Spriano, Il compagno Ercoli, cit., p. 126).
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