Concorso pubblico, per titoli ed esami, per il conferimento di n. 30 posti di Assistente Sociale – Categoria D (posizione
economica D1)
CORSO DI FORMAZIONE
Evoluzione normativa ed EE.LL.
di Roberto TOPPOLIEvoluzione Normativa
EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA ED EE.LL.
II legislatore ha nell'ultimo decennio radicalmente mutato il comune spingendo in
particolare l'acceleratore in direzione della introduzione di logiche e culture di tipo
aziendale. Altro grande filone ispiratore delle iniziative legislative è costituito dall'ampio
processo di decentramento di funzioni e competenze e dallo sviluppo di un processo di
riforma dello Stato che valorizza il ruolo e le competenze delle regioni e degli enti locali.
LA RIFORMA DI MODELLI ORGANIZZATIVI
Tale processo ha investito direttamente una assai ampia gamma di settori, dalla struttura
dell'attività, alle regole di diritto amministrativo, ai modelli organizzativi. Ma in modo molto
netto il legislatore nazionale ha agito sul terreno del ruolo dei dirigenti, del loro rapporto
con gli organi politici e ne ha definito un nuovo profilo. Da sottolineare che tali scelte
costituiscono un punto di grande rilievo all'interno della scelta di privatizzazione del
rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Tali cambiamenti, è
utile evidenziarlo, possono essere ritenuti irreversibili. Varie ne sono le ragioni, a partire
dal lungo arco di tempo in cui i relativi provvedimenti sono stati emanati e dall'essere
parte integrante di un più vasto processo di riforma della intera pubblica amministrazione
italiana. Processo di riforma sempre più obbligato a seguito della pesantezza dei costi
sostenuti dal "sistema paese", costi non sopportabili in una processo di integrazione
europea.
UN QUADRO ORGANICO DI RIFORMA
I cambiamenti organizzativi sono direttamente collegati, inoltre, alle nuove regole sulla
rappresentanza politica (tra tutte si ricorda l'elezione diretta del sindaco e del presidente
della provincia) ed al radicale mutamento di compiti (un processo aperto dal DPR n.
616/77 e che è in piena fase di concretizzazione sulla base delle regole poste dalla legge
n. 59/97 e dal DLgs. n. 112/98). La elezione diretta del sindaco ha determinato il formarsi
di un legame più diretto e stretto con i vertici dell'apparato burocratico. I nuovi compiti già
attribuiti agli enti locali o in corso di attribuzione, hanno fatto dei comuni i più grandi
soggetti erogatori di servizi alla persona, determinando quindi la necessità di una sua
trasformazione in senso aziendale. Le tendenze in corso di ulteriore maturazione
spingono sempre più per la "trasformazione genetica" dei comuni sulla base di scelte e di
culture aziendali. Basta pensare alla introduzione dei principi della sussidiarietà, sia in
senso orizzontale che verticale, ed alla crescente spinta alla privatizzazione ed
esternalizzazione della gestione dei servizi. Ed alla conseguente necessità, accanto
Evoluzione Normativa
all'alleggerimento del peso delle strutture burocratiche, al rafforzamento delle strutture di
più alto livello, cioè in grado di ideare, programmare e controllare.
UN CAMBIAMENTO RADICALE E COMPLESSIVO
Siamo dinanzi ad una scelta di rilevanza storica, visto che viene ad essere mutato un
modello che si ispirava sostanzialmente alle scelte contenute nella legge c.d. Zanardelli,
cioè alla Italia immediatamente post unitaria. Un modello che, con modificazioni di
stampo centralistico introdotte dal Testo Unico nell'epoca fascista, è sostanzialmente
proseguito fino al 1990. Con la legge n. 265/99 si è segnato un momento per molti versi
conclusivo del processo di radicale riforma delle autonomie locali, visto che oggi manca
solo un tassello di rilievo, e cioè la nuova legge sui servizi pubblici locali. Il testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, DLgs. n. 267/2000, ha completato questo
processo anche sul terreno emblematico, vista la sostanziale abrogazione finale che ha
disposto di tutte le normative precedenti. Il processo di riforma è stato avviato dalla legge
n. 142/90 e si è articolato nel corso del decennio in modo sostanzialmente coerente,
elemento che si può considerare inedito nel panorama della nostra legislazione, visto che
essa è molto spesso segnata da elementi di discontinuità e confusione. La importanza di
tale elemento è sottolineata dalla considerazione che nello stesso arco di tempo è stato
modificato in termini radicali il quadro di riferimento politico e, per molti versi, anche il
quadro di riferimento istituzionale. E' così mutato in profondità lo stesso modello di
comune e, conseguentemente, risultano radicalmente cambiati i compiti attribuiti a
sindaci, giunte e consigli nonché a segretari, dirigenti e responsabili, con l'ulteriore
considerazione che per queste figure è mutato lo stesso profilo professionale: di ciò
devono essere pienamente consapevoli le amministrazioni comunali. Vediamo quanto
radicale è tale mutamento, elemento che troppo spesso sembra non essere colto appieno
dagli operatori e che invece dobbiamo assumere come tratto distintivo di fondo a cui
ispirarci nella definizione dei nuovi ruoli e nella stessa interpretazione delle novità
legislative. Ad un modello tendenzialmente uniforme per tutti i comuni italiani si è oggi
sostituita una ampia valorizzazione dell'autonomia statutaria, organizzativa, finanziaria e
tributaria. Una scelta molto netta che supera il tradizionale concetto di "autarchia" e che
pone in capo alla legge nazionale un compito di individuazione di principi e di regolazione
solo per gli elementi di fondo.
Ad un modello che assumeva come elemento centrale il singolo atto e che considerava
come essenziale il requisito della verifica della sua legittimità formale si è oggi sostituito il
Evoluzione Normativa
giudizio di centralità del procedimento e del risultato che esso si propone di raggiungere.
Da qui la drastica riduzione dei controlli preventivi obbligatori. Il comune svolgeva compiti
soprattutto di regolazione e di autorità, quelli oggi svolti dal sindaco quale ufficiale di
governo, per il cui esercizio l'ente aveva una sorta di primato nei confronti dei cittadini ed
il rispetto delle forme ne costituiva la garanzia. Oggi, ed ancora di più con l'attuazione del
decentramento di funzioni e compiti amministrativi sancito dalla legge n. 59/97, il comune
è essenzialmente un erogatore di servizi. Per una loro efficace gestione si richiede
l'introduzione di una cultura e di metodi di tipo aziendale.
Metodi la cui introduzione si impone ancora di più nel momento in cui si creano le
premesse perché la gestione dei servizi da parte dei comuni non avvenga attraverso la
gestione diretta, ma prevalentemente attraverso l'esercizio di compiti di indirizzo,
programmazione e controllo. Ed ancora, per tutta la P.A. abbiamo il principio della
distinzione dei compiti tra la sfera politica e quella burocratica; distinzione che acquista
una particolare pregnanza negli enti locali. Possiamo perciò assumere che l'autonomia, il
procedimento, i metodi aziendali, la articolazione tra compiti politici e compiti burocratici e
la cultura del risultato costituiscono i nuovi cardini del modello gestionale dei comuni di
oggi. Si deve in particolare sottolineare come il buon funzionamento del nuovo modello
richieda un ampio ricorso da parte dei singoli enti al metodo della programmazione come
elemento di fondo che caratterizza il nuovo sistema. L'attribuzione di un ruolo centrale
agli organi elettivi nel momento della scelta dei programmi, con un intervento di supporto
come dovere/potere di proposta dei dirigenti e/o responsabili costituisce la premessa
indispensabile indicata dal legislatore. Ricordiamo che il legislatore ha posto al riguardo
una serie molto marcata di obblighi (dai bilanci alla nuova relazione previsionale e
programmatica, dai programmi delle assunzioni e delle opere pubbliche al PEG ed al
PDO, ad esempio); per cui esiste tutta la adeguata strumentazione normativa ed
operativa. Ed ancora il successivo momento della attribuzione, tendenzialmente esclusiva
a dirigenti e responsabili della competenza gestionale, con l'intervento "residuale" degli
organi di governo attraverso l'esercizio della direttiva, si rende di facile attuazione se
l'ente si è dotato di una buona programmazione. Ed il tutto si può, solo una volta che
siano state poste tali premesse, con l'esercizio effettivo dei poteri di controllo e di
valutazione attribuiti agli organi politici. Un ulteriore elemento deve essere marcato: il
disegno di riforma tocca tutta la pubblica amministrazione, o meglio i ed rami bassi, cioè
non incide sulla forma di governo. Ma per gli enti locali le linee di riforma sono ben più
incisive ed innovative, sia per l'intervenuto radicale cambiamento di forma di governo che
Evoluzione Normativa
per l'altrettanto decisa innovazione sul versante delle competenze esercitate. Per
evidenziare la radicalità dei cambiamenti basta analizzare le conseguenze determinate
da ogni elemento di novità. Ad esempio, riflettiamo un attimo sulle conseguenze
determinate dalle nuove regole che attenuano in modo assai marcato i controlli preventivi
obbligatori di legittimità. Essi inibivano l'efficacia dei singoli atti, il che determinava, per
riprendere la formula utilizzata da Chiara Bersani, magistrato della Corte dei Conti, una
"estrema rigidità della azione amministrativa, legata alla necessità del rispetto di norme
anche procedurali e formali pena l'impossibilità dell'atto di esplicare immediatamente i
suoi effetti". Con il passaggio da tale tipo di controlli a quelli ed interni (e cioè di gestione,
valutazione, strategico etc.) abbiamo la sottolineatura, riprendiamo nuovamente da
Chiara Bersani, di una "larga discrezionalità dei centri di autonomia nel procedere alla
gestione sulla base del principio di autoresponsabilità". Quindi la autonomia gestionale
degli enti viene ulteriormente valorizzata anche su questo terreno. Il percorso del
cambiamento di modello del comune ha proceduto con una ed omogeneità di fondo del
disegno che merita di essere sottolineata e che amministratori, dirigenti e responsabili
devono assumere come un dato unificante. E che costituisce la base di riferimento per la
soluzione di tutti i problemi applicativi.
LE PRINCIPALI TAPPE
Tutti i principi di fondo del disegno di riforma legislativa sono parte della legge n. 142/90
di riforma dell'ordinamento locale; solo per citarne alcuni ricordiamo: l'introduzione della
autonomia statutaria e normativa, la spinta all'associazionismo gestionale, la introduzione
delle aree metropolitane, l'avvio della attribuzione dei poteri gestionali ai dirigenti, la
riduzione dei controlli di legittimità. Quasi contestualmente la legge n. 241/90 ha
radicalmente modificato le regole di funzionamento delle P.A.: da un lato si è sancito il
principio dell'accesso dei cittadini e degli interessati; dall'altro si è posta la centralità del
procedimento rispetto al singolo atto. Sul versante dell'ampliamento degli spazi di
autonomia tributaria i DLgs. n. 504/92 e n. 507/93 hanno consentito il forte aumento del
peso delle entrate proprie sul totale delle entrate dei comuni. La privatizzazione del
rapporto di pubblico impiego e la distinzione delle competenze tra organi politici e
dirigenti sono i tratti caratterizzanti il DLgs. n. 29/93. Nello stesso anno viene approvata la
legge n. 81/93 che ha introdotto l'elezione diretta di sindaci e presidenti delle province,
mutando radicalmente la forma di governo dei comuni e delle province, e prevedendo
contestualmente una serie di adeguamenti organizzativi. Non bisogna sottovalutare i
riflessi istituzionali del DLgs. n. 77/95, in particolare laddove si prevede la introduzione
Evoluzione Normativa
della contabilità economica, laddove si pongono le basi per la strutturazione del metodo
della programmazione e laddove si attribuisce ai responsabili di uffici e servizi una ampia
autonomia gestionale nella utilizzazione delle risorse finanziarie. E' questa una norma
che ricordiamo esistere in termini così chiari e complessivi solo per gli enti locali.
Arriviamo così alla stagione delle leggi c.d. Bassanini.
Con la legge n. 59/97 si sono poste le basi di tre grandi cambiamenti. Si sono innanzitutto
determinate premesse e criteri per un ampio decentramento di competenze
amministrative dal centro alla periferia. La più consistente attuazione di tali principi è
contenuta nel DLgs. n. 112/98. Ed ancora si sono posti i principi per il completamento del
processo di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e per la introduzione di una
cultura ed una pratica di tipo aziendale nelle P.A.. Tra i numerosi provvedimenti attuativi
ricordiamo i seguenti DLgs.: n. 396/97 (nuove regole per la rappresentatività delle
organizzazioni sindacali e per la contrattazione collettiva); n. 80/98 (ed seconda
privatizzazione del rapporto dì lavoro con le pubbliche amministrazioni) e n. 286/99
(articolazione del controllo interno in controllo di legittimità, di gestione, strategico e
valutazione). E si sono posti infine gli elementi portanti della riforma della PA centrale e
periferica e degli enti nazionali ad essa collegati. Tra i provvedimenti attuativi ricordiamo il
DLgs. n. 300/99 di riforma dei ministeri e il DLgs. n. 303/99 di riforma della Presidenza
del Consiglio dei Ministri. Con la legge n. 127/97 si sono introdotte decise riforme sui
versanti della semplificazione e delle regole di funzionamento delle pubbliche
amministrazioni locali. Ricordiamo: il forte impulso dato alla autocertificazione (vedi il
DPR n. 403/98 sulla certificazione amministrativa); la delegificazione di numerosi
procedimenti (tra gli altri il DPR n. 447/98 istitutivo dello sportello unico per le
autorizzazioni agli insediamenti produttivi); la più incisiva separazione di compiti tra
amministratori e dirigenti; la drastica attenuazione dei controlli di legittimità; la radicale
riforma dello status e delle competenze dei segretari (vedi il DPR n. 465/97). Con la legge
n. 191/98 si è riaffermato il principio della separazione dei compiti tra politici e dirigenti nei
piccoli comuni e si sono poste le basi per l'aumento del ricorso al telelavoro. Si deve
sottolineare che tali norme, oltre a porre il centro di riferimento nazionale nel Dipartimento
della Funzione Pubblica, hanno un tratto di marcata diversità costituita dal rappresentare
una normativa che interviene in dosi massicce in via diretta e non attraverso una
mediazione dei singoli enti, elemento che è presente in modo marcato solo negli aspetti
organizzativi.
Evoluzione Normativa
Un ritocco alle regole elettorali, sulla base delle esperienze maturate in fase di prima
applicazione, è contenuto nella legge n. 120/99. Un deciso impulso alla autonomia
tributaria costituisce il risultato di numerosi decreti legislativi, tra cui ricordiamo in
particolare il DLgs. n. 446/97, in particolare esso rileva per la valorizzazione
dell'autonomia regolamentare.
Non di minore rilevanza sono state le disposizioni contenute nelle varie leggi finanziarie di
questi anni, soprattutto sul profilo delle regole di assunzione e di vincoli di riferimento per
la spesa; nei contratti collettivi, tanto in quelli a valenza quadriennale siglati nel 1995 e
nel 1998 che nel nuovo ordinamento professionale e nella numerosa legislazione di
settore. Un contributo di rilievo è stato dato anche dai contratti dei dirigenti. Non minori
sono le conseguenze in termini ordinamentali, e stavolta non sempre coerenti con il
disegno di fondo, della numerosa legislazione di settore che è intervenuta nell'arco di
questo decennio, dagli appalti, all'edilizia, all'assistenza, alla sanità, al commercio etc.
Con l'approvazione della legge n. 265/99 il cammino legislativo di riforma
dell'ordinamento locale si può dire quasi completato.
L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA ORGANIZZATIVO DEGLI ENTI LOCALI
II modello organizzativo dei comuni è radicalmente mutato negli ultimi anni o,
meglio, sono state poste le premesse legislative per il cambiamento ed esso è stato
concretamente avviato. Ovviamente le novità si diffondono "a macchia di leopardo"; dal
che se ne ricava la considerazione che siamo dinanzi a velocità diverse nella
applicazione delle nuove regole. Ma dobbiamo subito rilevare quanti passi in avanti siano
stati compiuti negli ultimissimi anni e quanto la realtà degli enti locali sia in radicale
evoluzione. Occorre subito rilevare che il cambiamento "epocale" che i comuni stanno
vivendo si rileva dalla sostituzione dei principi di fondo che ispiravano il modello
legislativo ed organizzativo. Dallo schema che segue si evince con chiarezza quanto
radicalmente nuovi siano i principi che presiedono alla organizzazione degli enti locali
oggi e quanta strada si sia fatta rispetto a pochi anni orsono. Se gli operatori non
assumono come nuova premessa logica la adozione delle nuove regole essi rischiano di
trovarsi in crescente difficoltà nella interpretazione ed applicazione delle nuove regole.
Fino al 1990 il modello di governo e di organizzazione degli enti locali era ispirato alle
seguenti regole di fondo:
uniformità;
centralità dell'atto;
Evoluzione Normativa
rappresentanza esterna attribuita agli organi politici.
Oggi il legislatore ha adottato i seguenti principi ispiratori:
autonomia;
centralità del procedimento;
orientamento al risultato;
separazione delle competenze tra organi politici e burocratici;
privatizzazione del rapporto di lavoro.
I NUOVI PRINCIPI ISPIRATORI
Dalla legge n. 142/90 in poi i comuni e le province hanno visto enormemente valorizzata
la loro autonomia. Il legislatore sempre più si limita ad indicare alcune regole e/o vincoli di
fondo e per il resto si rimette alla libertà di scelta. L'autonomia attribuita agli enti locali ha
una notevole ampiezza. Essa è infatti:
autonomia normativa (cioè statutaria e regolamentare);
autonomia organizzativa;
autonomia finanziaria;
autonomia tributaria.
La attribuzione ai comuni ed alle province di autonomia normativa segna la più netta e
radicale rottura rispetto al modello precedente la legge n. 142/90. Siamo dinanzi ad una
autonomia che si svolge su due livelli. Lo statuto diventa per l'ente locale una fonte
essenziale di riferimento normativo. I regolamenti, nell'ambito dei principi fissati dalla
legge e dello statuto, dettano le regole operative. Da sottolineare subito che l'autonomia
regolamentare ha carattere generale, quindi non è subordinata ad una norma di legge
che la ammetta. Essa è dopo la entrata in vigore delle legge n. 265/99 vincolata
unicamente ai principi della legislazione. Gli operatori sono quindi chiamati a distinguere
nell'ambito delle leggi le norme di principio da quelle di dettaglio, compito che non è
certamente sempre agevole, anche se talvolta è lo stesso legislatore che aiuta l'operatore
comunale, vedi le chiare indicazioni contenute ad esempio nel DLgs. n. 29/93 (norme
sulla dirigenza e sulle selezioni), nel DLgs. n. 77/95 (indicazione minuta delle
norme di principio inderogabili), nel DLgs. n. 286/99 (carattere esclusivamente di
principio delle indicazioni sulla articolazione e strutturazione del controllo interno. Assai
rilevanti, soprattutto sul terreno teorico, sono le forme di valorizzazione introdotte dalla
Evoluzione Normativa
legge n. 265/99 in tema di autonomia statutaria. Essa è subordinata ai soli principi delle
leggi, come già indicato dalla legge n. 142/90. Ma oggi essa è vincolata unicamente ai
principi ricavabili dalla legislazione di principio in tema di ordinamento delle autonomie
locali. Quindi, il legislatore rafforza lo statuto, facendone una fonte in grado di resistere
alla legislazione di dettaglio.
Non meno rilevante è l'ampio spazio riconosciuto alla autonomia finanziaria, cosicché
ogni ente può costruire un modello di gestione delle risorse che, rispettando alcuni vincoli
di fondo tesi a garantire essenzialmente una omogeneità nella lettura dei bilanci,
consente il dispiegarsi di un ampio grado di auto-organizzazione. Con la attribuzione ai
comuni ed alle province di un consistente grado di autonomia finanziaria si stanno dando
gambe concrete alle nuove regole. Oggi, sul terreno nazionale, oltre la metà delle entrate
dei comuni non derivano più da trasferimenti nazionali o regionali, ma da entrate proprie,
sia di carattere tributario che extratributario. Negli anni 80 il dato medio nazionale di
entrate proprie oscillava intorno al 20%. Da sottolineare che, con la normativa tributaria
intervenuta a partire dal DLgs. n. 446/97, la autonomia tributaria è stata ulteriormente
ampliata sul terreno dello spazio di auto-organizzazione attribuito agli enti locali, vedi ad
esempio i due capitoli delle sanzioni e della riscossione.
L'AUTONOMIA ORGANIZZATIVA
E' questa un'altra delle scelte di fondo compiute dalla legislazione negli ultimi anni. Scelta
che per gli enti locali è stata rafforzata in modo consistente tanto dalla legge n. 127/97
che dal DLgs. n. 80/98 che, da ultimo, dalla legge n. 265/99. Tale norma, inserendo il
comma 0.1 all'articolo 51 della legge n. 142/90, sancisce la piena autonomia
organizzativa degli enti locali. Essa è vincolata unicamente alla capacità di dare risposta
adeguata alle esigenze gestionali ed ai vincoli di bilancio. Da qui la abrogazione delle
"gabbie" tipologiche degli enti contenute nel DPR n. 347/83, cosicché oggi tutti i comuni
possono, ad esempio, istituire ed attivare il ruolo dirigenziale nella propria dotazione
organica. Ricordiamo, comunque, che in linea generale (vedi DLgs. n. 29/93) tutti i
soggetti pubblici devono dare risposta alle esigenze di valorizzazione delle professionalità
del personale e (vedi le disposizioni delle leggi finanziarie n. 448^8 e n. 488/99) si
assume per tutte le pubbliche amministrazioni il vincolo generale della riduzione delle
spese per il personale. Vincolo che è peraltro ripreso come indicazione di carattere
generale dalle norme istitutive del patto di stabilità (da ultimo legge n. 488/99). La
legislazione pone specifici e vincolanti limiti per gli enti strutturalmente deficitari o
Evoluzione Normativa
dissestati. Richiamiamo la formulazione legislativa che prevede l'adeguamento dei
regolamenti degli enti locali ai soli "principi" della separazione delle funzioni tra
politica e burocrazia e della dirigenza. Il principio è doppiamente importante, sia per le
conseguenze concrete che per le valutazioni sistematiche. Esso consente ad ogni ente di
darsi un modello gestionale specifico e le regole concrete di funzionamento giudicate più
adatte alla propria realtà. Il che appare una scelta pressoché obbligata nel caso dei
comuni, stante la estrema differenza tra gli 8.104 municipi. La scelta appare assai
rispettosa dell'autonomia costituzionalmente garantita per i comuni e le province. Siamo
quindi dinanzi ad un elemento da cogliere appieno in tutte le implicazioni. A partire dal
fatto che esso impone un salto culturale in termini di autonomia concreta di elaborazione.
In altri termini dobbiamo metterci in condizione di volere, sapere e potere bene esercitare
il potere attribuito.
UN QUADRO UNITARIO DI RIFERIMENTO PER L'ESERCIZIO DELLA AUTONOMIA
ORGANIZZATIVA
Occorre tenere presente che l'esercizio dell'autonomia organizzativa richiede un
approccio unitario e sistematico. In primo luogo tra i numerosi strumenti posti a
disposizione del singolo ente. Ed in particolare, oltre che del regolamento/i
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, anche dello statuto. Esso, in particolare, deve
essere adeguato alle nuove regole e deve dettare indicazioni di fondo chiare. Il
regolamento di organizzazione deve essere inoltre strettamente correlato con la
dotazione organica, cioè con la descrizione della base strutturale dell'ente; anzi si
suggerisce che la dotazione organica sia un allegato al regolamento di organizzazione.
Esso deve inoltre essere raccordato con il regolamento di contabilità, che assolve per
molti versi ad una analoga funzione. Raccomandiamo inoltre l'unitarietà di approccio con
il regolamento sulla individuazione dei responsabili dei procedimenti amministrativi,
regolamento previsto dalla legge n. 241/90. Il legislatore della legge n. 127/97 ha
voluto assicurare il massimo di flessibilità alle scelte organizzative dell'ente. Si è
conferita alla giunta la competenza all'approvazione dei regolamenti di organizzazione e
delle dotazioni organiche. In tal modo il legislatore ha voluto rimarcare in modo esplicito
la scelta di collegare questi strumenti non solo alla specifica situazione dell'ente, da
qui il conferimento di autonomia organizzativa, ma anche alle concrete scelte
programmatiche, da qui l'attribuzione alle giunte della competenza decisionale in materia
di modelli organizzativi. Scelta di flessibilità che può essere legittimamente usata non
solo nel caso di mutare di giunte e di programmi, ma anche della necessità di effettuare
Evoluzione Normativa
adattamenti ripetuti. Da evidenziare inoltre la necessità di uno stretto raccordo tra
regolamento di organizzazione ed esiti della contrattazione decentrata, indicazione
peraltro posta in modo esplicito sìa nel DLgs. n. 29/93 che, in particolare, nella legge n.
265/99. Ricordiamo che le scelte regolamentari non sono oggetto di contrattazione ma al
più di informazione preventiva e, su taluni punti, di concertazione; cioè non siamo in
presenza di un modello di cogestione. I regolamenti devono però assumere gli esiti della
contrattazione in specifiche materie, vedi ad esempio la ripartizione del fondo per la
incentivazione della progettazione interna, e devono raccordarsi alle indicazioni che
emergono dalla concreta applicazione del contratto, vedi ad esempio la istituzione delle
posizioni organizzative.
Siamo dinanzi ad una grande ed importante occasione concreta per bene utilizzare i
nuovi poteri attribuiti agli enti locali. Non siamo dinanzi ad adempimenti obbligati o rituali.
Ricordiamoci di come è stata sostanzialmente sprecata all'inizio degli anni 90 dalla gran
parte degli enti locali la stagione dell'autonomia statutaria, che pure avrebbe consentito di
dare buone prove concrete di innovazione sperimentata. Gli operatori degli enti locali
debbono avere piena consapevolezza dell'importanza dell'appuntamento. Non occorrono
regolamenti minuti e dettagliati, occorre la scelta di modelli di riferimento e di criteri di
fondo. Sapendo che il buon esercizio di tale potere non costituisce un affare tra i pochi
addetti ai lavori, ma che si pongono le basi di un miglioramento di attività amministrativa
e, in taluni casi, che tali risultati si possono concretamente raggiungere già attraverso
l'esercizio intelligente della nuova competenza. Quindi, ogni ente locale non è più
necessariamente legato ad un modello organizzativo di tipo assessorile o ministeriale.
Non è vincolato ad assumere strutture gerarchiche e rigide, non è vincolato a darsi
strutture più o meno rigide. Ogni ente farà le scelte che ritiene più adeguate e queste
scelte le potrà facilmente modificare. La attribuzione alla giunta della competenza alla
adozione del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, unitamente alla
possibilità di concepirlo in modo unitario o per singole parti, risponde infatti ad una logica
di tale tipo.
LE LINEE DIRETTIVE
Vediamo adesso di riassumere, sotto forma di criteri direttivi che devono essere dati dal
consiglio, le linee di fondo su cui costruire il regolamento ed il modello organizzativo per
un comune di dimensione media o piccola. Il consiglio comunale, sulla base delle
previsioni contenute nell'articolo 5 della legge n. 127/97 e delle indicazioni contenute
Evoluzione Normativa
nello statuto, detta alla giunta i seguenti criteri direttivi per l'adozione del regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi e per le modifiche da introdurre. Tali criteri sono
validi fino alla loro modifica.
Si ritiene opportuno che le previsioni regolamentari adottate dalla giunta in tema di
organizzazione ed ordinamento degli uffici e dei servizi siano contenute in un unico
regolamento. Esso conterrà, come allegato, la dotazione organica dell'ente. Il
regolamento detterà i criteri per l'esercizio delle funzioni di gestione da parte dei
dirigenti/responsabili apicali in modo da assicurare la autonomia gestionale ed il raccordo
con le indicazioni espresse dagli organi politici. A tal fine, in particolare, il regolamento
prevedrà le forme di informazione preventiva e successiva che i dirigenti/responsabili
apicali dovranno garantire alla giunta e disciplinerà l'istituto della "direttiva" che il sindaco,
la giunta e l'assessore di riferimento, nonché il presidente del consiglio rispetto al
dirigente competente in tema di funzionamento degli organi collegiali, possono impartire.
Il regolamento detterà i criteri di organizzazione dell'ente, prevedendo in
particolare che il comune è ripartito in aree ed in uffici. I responsabili delle aree sono
nominati dal sindaco e coordinano l'attività degli uffici dell'area; possono essere loro
attribuite anche responsabilità di uffici. I responsabili degli uffici, individuati dai
responsabili delle aree, rispondono a questi della propria attività. Essi possono assumere
determinazioni a rilevanza esterna nei casi previsti dal regolamento. I responsabili degli
uffici dovranno, di regola, coincidere con i titolari dei centri di spesa. Per esigenze
specifiche possono essere istituiti uffici con una finalità specifica ed una durata a tempo
determinato. Il responsabile sarà un dirigente/responsabile apicale nominato dal sindaco.
Il regolamento potrà prevedere la istituzione di uffici di staff del sindaco, della giunta,
degli assessori e del consiglio. I responsabili sono nominati dal sindaco, previa intesa con
il presidente del consiglio per l'ufficio di staff del consiglio. Il regolamento prevedrà inoltre
la costituzione dell'ufficio per il controllo di gestione come ufficio di staff del direttore
generale: tale ufficio è chiamato inoltre ad assistere il direttore generale nella attività di
controllo sulla attuazione del programma. Al direttore generale viene attribuita anche la
presidenza del nucleo di valutazione.
Gli incarichi dirigenziali o di responsabilità apicale sono conferiti dal sindaco ed hanno
durata massima pari al mandato amministrativo. Il regolamento detterà i criteri per il
conferimento degli incarichi, in modo da garantire la competenza professionale in
relazione agli obiettivi programmatici e la necessaria flessibilità. Gli altri incarichi sono
attribuiti dai dirigenti sulla base dei criteri previsti dal regolamento ed hanno la stessa
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durata massima fissata per gli incarichi dirigenziali. I dirigenti attribuiranno gli incarichi
dopo avere acquisito il parere del direttore generale o del segretario.
Al regolamento dovranno essere raccordate le scelte contenute nelle intese contrattuali,
in particolare per assicurare il massimo di coerenza con la attribuzione delle posizioni
organizzative, il conferimento di incarichi di responsabilità ed i criteri per la
progressione verticale. La giunta è impegnata a dare informazione preventiva alle
rappresentanze sindacali sulle principali scelte regolamentari. Il regolamento, in
coerenza con la previsione statutaria, prevedrà la possibilità che gli incarichi
dirigenziali siano conferiti a persone esterne alla dotazione organica con un contratto di
lavoro subordinato a tempo determinato. Tale possibilità deve potere essere utilizzata per
posti vuoti nella dotazione organica e, entro i limiti posti dall'articolo 51 della legge n.
142/90, per posti al di fuori della dotazione organica. Il regolamento ne detterà le forme di
scelta in modo da garantire la massima competenza professionale in rapporto agli
obiettivi programmatici.
Il regolamento prevedrà la possibilità di dar vita a rapporti di collaborazione esterna nei
casi di professionalità non presenti, non adeguate o non utilizzabili, nella dotazione
organica e ne detterà i criteri di individuazione. Il regolamento prevedrà la istituzione del
direttore generale o la attribuzione di tali compiti al segretario e disciplinerà le funzioni di
coordinamento e sovrintendenza dei dirigenti ad esso attribuiti, con particolare riferimento
alla programmazione delle attività ed al controllo di gestione. Esso detterà le regole di
rapporto con il segretario. Il regolamento prevedrà la costituzione di una conferenza dei
dirigenti/responsabili apicali, convocata e presieduta dal direttore generale o dal
segretario cui siano stati attribuiti tali compiti, con funzioni di coordinamento, indirizzo e
verifica dell'attività dell'ente.
Il regolamento detterà le regole per la selezione del personale, riferite ai concorsi
pubblici, anche con riserva, ed alle selezioni interne. Specifiche regole saranno dettate
per le assunzioni a tempo determinato e per le forme flessibili di rapporto di lavoro. Dovrà
in ogni caso essere assicurata omogeneità nella valutazione delle competenze
professionali per tutte le forme di selezione. Si detteranno inoltre le regole di disciplina dei
concorsi interni. Il regolamento prevedrà i criteri di formazione delle commissioni, in
particolare al fine di utilizzare al massimo le risorse professionali interne. Il regolamento
detterà le limitazioni alla abolizione del limite di età per: vigili urbani, maestre di scuola
materna, assistenti di asilo nido. Sono previste forme più snelle per la selezione del
Evoluzione Normativa
personale da assumere con contratto a tempo determinato (nota II regolamento di un
comune turistico può prevedere forme di assunzione ripetitiva per tali figure). Nelle regole
per la incentivazione della progettazione di opere pubbliche e di strumenti urbanistici
effettuata direttamente dagli uffici si assumeranno gli esiti della contrattazione. Il
regolamento prevedrà la partecipazione alla incentivazione degli uffici che hanno
presieduto alle gare e si dovrà privilegiare il progettista.
Il regolamento detterà i criteri per la utilizzazione delle risorse destinate alla
formazione ed all'aggiornamento del personale e dei dirigenti, prevedendo uno stretto
collegamento con il percorso di progressione e privilegiando la gestione in forma
associata. Il regolamento detterà i criteri e le procedure per la concessione delle
autorizzazioni ai dipendenti e dirigenti all'esercizio di altre attività e per la disciplina
delle incompatibilità con i doveri di ufficio. Tali criteri saranno ispirati alla esigenza di
conciliare la valorizzazione del patrimonio professionale e di esperienza dei
dipendenti e dei dirigenti con il migliore svolgimento dei doveri di ufficio. Il regolamento
detterà le regole per la gestione in forma associata di servizi e funzioni, in
particolare di nuova istituzione, tra cui l'ufficio per la gestione del contenzioso con il
personale, l'ufficio legale, lo sportello unico per le attività produttive, l'ufficio per
l'amministrazione del personale, l'ufficio acquisti etc. Saranno previsti, entro gli ambiti
consentiti dalle norme e dal contratto, specifiche forme di incentivazione per i dirigenti ed
il personale coinvolto.
LA SEPARAZIONE TRA SFERA POLITICA E SFERA BUROCRATICA
Con il DLgs. n. 80/98 il processo di separazione tra compiti della sfera politica e compiti
della burocrazia è giunto ad un livello di chiarimento molto netto e preciso. In questo
senso l'articolo 3, nuovo testo, del DLgs. n. 29/93 diventa una norma di principio a
valenza generale, oltre che ad immediata efficacia. Agli organi politici sono attribuite le
"funzioni di indirizzo politico amministrativo" ed essi "verificano la rispondenza dei risultati
dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti". "Ai dirigenti spetta
l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi". Dunque, gli organi politici
assumono deliberazioni aventi carattere regolamentare e/o normativo, di
programmazione, di definizione di criteri, di indicazione di obiettivi e di risorse. Essi
possono adottare deliberazioni aventi contenuto direttamente gestionale solo nei casi in
cui ciò è espressamente previsto da una norma, vedi ad esempio i casi di assunzione
diretta da parte della giunta e, perfino, del consiglio di impegni di spesa: casi comunque
Evoluzione Normativa
del tutto residuali ed eccezionali e che devono essere previsti in una norma di legge
specifica. Al riguardo, ogni diversa norma statutaria o regolamentare è da considerarsi
"travolta" dal nuovo principio generale posto dalla legge. Altro punto da mettere subito in
evidenza è costituito dalla immediata applicabilità delle nuove regole: esse non hanno
bisogno di essere tradotte in indicazioni statutarie o regolamentari per essere
operative. Anzi, ricordiamo che questa indicazione vale per gli enti locali già dal mese di
maggio dello scorso anno, cioè dalla data di entrata in vigore della legge 127/97: le nuove
regole, infatti, riprendono il dettato legislativo di tale norma. Occorre, al riguardo,
sottolineare che i provvedimenti gestionali assunti da organi politici sono censurabili per
vizio di legittimità, in particolare per difetto assoluto di competenza. Con la legge
finanziaria per l'anno 2002, legge n. 448/2001, il processo di separazione dei ruoli e delle
competenze tra organi politici ed organi burocratici conosce un momento di ripensamento
per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, introducendo una sorta di "doppio
regime". In tali realtà le giunte possono disporre il conferimento di uno o più incarichi di
responsabilità, oltre che al segretario, anche ad un componente l'organo di governo. Si
deve evidenziare che tale scelta non è più subordinata a motivazioni di inesistenza di
figure professionali idonee.
LA DISTINZIONE DEI RUOLI
Con la significativa possibile eccezione dei comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, siamo
quindi dinanzi ad un confine che si può oggi dire essere segnato con assoluta chiarezza,
il che costituisce un chiaro punto di discrimine. Ma i rapporti tra politica e burocrazia non
possono essere ricostruiti solo in questi termini, quasi che si trattasse di due sfere non
comunicanti tra loro. Infatti, alla netta separazione delle competenze gestionali e
programmatorie, corrispondono momenti di stretta interrelazione nella attività
amministrativa, rapporti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi programmatici ed,
ovviamente, al rispetto dei principi costituzionali di buona andamento, imparzialità,
efficienza etc. Per questa ragione appare preferibile sostituire alla espressione
"separazione", che pure è usata dal legislatore, la espressione "distinzione" (cfr Carmine
Russo, Giappichelli editore 1996). In tal modo si mette meglio in evidenza la differenza di
funzioni esercitate, ma si coglie anche il loro nesso. Non dimentichiamo, per scendere nel
concreto, che tra dirigenti ed organi politici esiste un nesso molto stretto in termini di
dovere di collaborazione, dovere di proposta (cfr. "Linee interpretative ANCI sull'articolo 6
della legge 127/97), potere di direttiva e programmazione. Nesso che viene sottolineato
dalla legge 127/97 per gli stessi aspetti della attribuzione, durata e revoca degli incarichi
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dirigenziali. Il dirigente ha un compito specifico di soddisfazione degli utenti del proprio
servizio o, meglio, di raggiungimento dei migliori risultati per l'ambito delle cose di
cui si occupa istituzionalmente. L'amministratore si pone, invece, fini ed obiettivi di
carattere più generale, in termini di valutazione dell'interesse collettivo. Fini ed obiettivi
che egli deve coniugare, nell'attività concreta, con il raggiungimento del consenso, che si
pone doverosamente come uno dei punti cardine di riferimento.
LA COLLABORAZIONE
II dirigente ha un dovere istituzionale di collaborazione con gli organi politici, con un
mandato specifico rispetto agli obiettivi programmatici da questi indicati e tradotti in
precisi atti deliberativi, ad esempio le relazioni previsionali e programmatiche e tutti i
documenti a valenza pluriennale, i bilanci annuali, i PEG etc. Tale dovere è sancito dal
legislatore della 127/97 nel nesso di "competenza professionale, in relazione agli obiettivi
indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia" come
elemento di fondo su cui basarsi per il conferimento degli incarichi dirigenziali.
LA DIRETTIVA
E' questo lo strumento attraverso cui gli organi politici esercitano in modo specifico il
proprio potere di indicare alla dirigenza obiettivi concreti e specifici da raggiungere.
Siamo sempre nell'ambito dei compiti di indirizzo politico amministrativo e non dobbiamo
debordare nell'ambito dei compiti gestionali. Il nuovo testo dell'articolo 3 del DLgs. 29/93
parla di "direttive generali", mentre ricordiamo che la legge 127/97, articolo 6, comma 7,
parla come motivo di revoca dall'incarico dirigenziale della "inosservanza di direttive del
sindaco, del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento".
Quindi, la direttiva costituisce una manifestazione ulteriore, nella forma di una
specificazione ed attualizzazione, degli orientamenti, dei criteri, degli obiettivi etc
contenuti in deliberazioni a valenza "generale" adottate dall'ente. Siamo dinanzi ad un
punto di snodo essenziale: l'ordinamento prevede in questa sede un percorso tipico di
definizione dei rapporti, percorso che ogni singolo ente adotta in modo originale ed
autonomo, articolando nel concreto il rapporto tra pregnanza della deliberazione a
carattere generale e direttiva dell'organo politico da un lato e concreti provvedimenti
gestionali adottati dal dirigente, dall'altro.
LA PROGRAMMAZIONE
Le scelte di programmazione, cioè l'indicazione degli obiettivi, l'allocazione delle risorse,
la definizione dei metodi, costituiscono l'altro metro concreto posto a disposizione del
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dirigente per esercitare i propri poteri gestionali. La programmazione si pone, in altri
termini, come criterio fondamentale per l'esercizio del potere di discrezionalità
amministrativa, chiamiamo le cose con il loro vecchio e sempre valido nome, oggi
attribuito ai dirigenti. Essa si pone inoltre come presupposto della stessa responsabilità,
da intendere nel senso di responsabilità di risultato che può essere sanzionata dalla
revoca dall'incarico, come previsto dal DLgs. Il regolamento prevedere la possibilità di
dar vita a rapporti di collaborazione esterna nei casi di professionalità non presenti, non
adeguate o non utilizzabili, nella dotazione organica e ne detterà i criteri di individuazione.
Il regolamento prevedrà la istituzione del direttore generale o la attribuzione di tali
compiti al segretario e disciplinerà le funzioni di coordinamento e sovrintendenza dei
dirigenti ad esso attribuiti, con particolare riferimento alla programmazione delle attività
ed al controllo di gestione. Esso detterà le regole di rapporto con il segretario. Il
regolamento prevedrà la costituzione di una conferenza dei dirigenti/responsabili
apicali, convocata e presieduta dal direttore generale o dal segretario cui siano stati
attribuiti tali compiti, con funzioni di coordinamento, indirizzo e verifica dell'attività
dell'ente. Il regolamento detterà le regole per la selezione del personale,
riferite ai concorsi pubblici, anche con riserva, ed alle selezioni interne. Specifiche
regole saranno dettate per le assunzioni a tempo determinato e per le forme flessibili di
rapporto di lavoro. Dovrà in ogni caso essere assicurata omogeneità nella valutazione
delle competenze professionali per tutte le forme di selezione. Si detteranno inoltre le
regole di disciplina dei concorsi interni. Il regolamento prevedrà i criteri di formazione
delle commissioni, in particolare al fine di utilizzare al massimo le risorse professionali
interne. Il regolamento detterà le limitazioni alla abolizione del limite di età per: vigili
urbani, maestre di scuola materna, assistenti di asilo nido. Sono previste forme più snelle
per la selezione del personale da assumere con contratto a tempo determinato (nota II
regolamento di un comune turistico può prevedere forme di assunzione ripetitiva per tali
figure). Nelle regole per la incentivazione della progettazione di opere pubbliche e di
strumenti urbanistici effettuata direttamente dagli uffici si assumeranno gli esiti della
contrattazione. Il regolamento prevedrà la partecipazione alla incentivazione degli uffici
che hanno presieduto alle gare e si dovrà privilegiare il progettista.
Il regolamento detterà i criteri per la utilizzazione delle risorse destinate alla
formazione ed all'aggiornamento del personale e dei dirigenti, prevedendo uno stretto
collegamento con il percorso di progressione e privilegiando la gestione in forma
associata. Il regolamento detterà i criteri e le procedure per la concessione delle
Evoluzione Normativa
autorizzazioni ai dipendenti e dirigenti all'esercizio di altre attività e per la disciplina
delle incompatibilità con i doveri di ufficio. Tali criteri saranno ispirati alla esigenza di
conciliare la valorizzazione del patrimonio professionale e di esperienza dei
dipendenti e dei dirigenti con il migliore svolgimento dei doveri di ufficio. Il regolamento
detterà le regole per la gestione in forma associata di servizi e funzioni, in
particolare di nuova istituzione, tra cui l'ufficio per la gestione del contenzioso con il
personale, l'ufficio legale, Io sportello unico per le attività produttive, l'ufficio per
l'amministrazione del personale, l'ufficio acquisti etc. Saranno previsti, entro gli ambiti
consentiti dalle norme e dal contratto, specifiche forme di incentivazione per i dirigenti ed
il personale coinvolto.
LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
Assume uno straordinario rilievo la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, entrata in
vigore lo scorso 8 novembre 2001, che ha apportato Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione. La concreta applicazione dei principi fissati in questa
disposizione si sta dimostrando come assai difficile, evidenziando che il suo rilievo
concreto appare ben maggiore di quanto preventivato inizialmente. Un importante primo
elemento di novità è costituito dalla attribuzione ai comuni di nuove competenze
amministrative.
Il DLgs. 31 marzo 1998, n. 112 ha introdotto norme di carattere generale sulle
attribuzioni e funzioni degli enti territoriali, soppresso taluni organismi e procedimenti e
delineato un decentramento plurisettoriale e, tendenzialmente, completo. Tuttavia, la
concreta operatività dell'esercizio delle funzioni conferite è stata differita al momento del
trasferimento "dei beni e delle risorse finanziarie, umane strumentali ed organizzative" -
art. 7, L. 59/1997. Esso riprende ed amplia un processo di decentramento avviato con i
decreti delegati del 1972 e con il DPR 616/1977. Una delle novità più importanti del
decentramento consiste nella attribuzione agli enti locali di tutte le funzioni che non
richiedono l'unitario esercizio a livello regionale (art. 4, L. 59/1997). Di per sé questo non
è un principio nuovo, anzi, già l'art. 118 della Costituzione lo anticipava. Con la Lg.
59/1997 e il decreto 112 è stato dato nuovo vigore alla linea di demarcazione regioni-enti
locali: le prime, quali enti di programmazione territoriale, i secondi, direttamente operativi,
aventi funzioni amministrative concrete, ciascuno nel proprio ambito territoriale.
L'attuazione di tali finalità è stata scadenzata in modo piuttosto severo, per evitare
l'ennesima affermazione dì buone intenzioni senza alcuna efficacia applicativa. Ogni
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regione, entro 6 mesi dall'emanazione del decreto 112, ha dovuto determinare le funzioni
amministrative da riservare alla propria sfera di competenza, conferendo tutte le altre agli
enti locali (art. 3 del decreto 112). In generale il bilancio può definirsi positivo; in ogni
caso, l'inadempienza delle regioni è sanzionata dai poteri sostitutivi esercitati dal
Governo, con lo strumento del decreto legislativo (L. 59/1997, art. 4, comma 5). Le
prescrizioni d osservare per il conferimento di funzioni, identici per il passaggio Stato-
regioni e per quello regioni-enti locali, sono riassunti nei dieci principi fondamentali
definiti nell'ari:. 4, comma 3, della L. 59/1997, consistenti in regole di efficienza
dell'organizzazione e dell'attività amministrativa. Sostanzialmente, le indicazioni della
legge delega disegnano un quadro di una P.A. nel quale i protagonisti, titolari della
generalità dei compiti, sono comuni, province e comunità montane, ciascuno in quanto
autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati (principio di
sussidiarietà, art. 4, comma 3, lett. a) della Lg. 59/1997). Alle regioni spettano
invece, oltre alle funzioni residuali incompatibili con le dimensioni territoriali degli enti
locali, compiti di programmazione (principio di completezza, comma da ultimo citato, lett.
b).
Questo principio di sussidiarietà era già contenuto nella legge 30 dicembre 1989, n. 439 -
Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta europea
dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985. In particolare, l'art. 4
costituiva il manifesto dei poteri delle autonomie locali. La legislazione successiva, anche
posteriore alla legge Bassanini ha confermato e rafforzato le dichiarazioni di principio
contenute nell'ari 4 appena citato, anticipando, in un certo senso, il forte
cambiamento istituzionale prodotto dalla riforma del titolo V della Costituzione.
Tornando ai principi espressi dalla legge Bassanini, tra le regole dell'efficienza, o per
meglio dire dell'eccellenza, vanno segnalati i principi di adeguatezza e differenziazione
(lett. g ed h del comma 3 dell'art. 4); i conferimenti di funzione andrebbero tarati in
relazione all'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente e in considerazione
delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli
enti riceventi. L'obbiettivo è molto ambizioso ed è coerente con il tentativo di
miglioramento radicale dell'azione amministrativa, ma appare difficilmente attuabile
differenziare la distribuzione dei compiti, sul presupposto dell'accertamento, in concreto,
delle specifiche capacità gestionali di ciascun ente locale. Comunque anche questi
principi di adeguatezza e differenziazione possono considerarsi anche corollari del
principio fondamentale di sussidiarietà, in quanto esprimono la necessità della
Evoluzione Normativa
corrispondenza tra consistenza qualitativa e quantitativa della funzione pubblica e
capacità concrete ed ambito d'intervento delle amministrazioni competenti a svolgerle. La
rilevanza dell'affermazione di questi principi consiste nella loro incidenza sulle scelte
politico amministrative degli stessi Comuni: in particolare, i parametri di adeguatezza
appena indicati costituiscono punti di riferimento indispensabili per le eventuali scelte di
convenzionamento fra diversi enti locali. Se le leggi Bassanini rappresentano il massimo
decentramento a costituzione invariata, secondo una formula spesso usata nel corso
dell'iter di approvazione dei citati provvedimenti, la sostanziale e basilare riforma
istituzionale può ascriversi alle modifiche del Titolo V della Costituzione.
Sono stati così introdotti principi e meccanismi presenti nelle leggi Bassanini, quali la
sussidiarietà e la competenza tassativa dello Stato e residuale degli altri enti territoriali.
La costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà comporta un irreversibile
spostamento delle competenze generali a favore dei Comuni; il nuovo articolo 114 pone
emblematicamente in primo piano i Comuni quali Enti costitutivi della Repubblica. Allo
Stato sono attribuite competenze legislative esclusive in specifiche materie (art. 117).
L'articolo 118, coerentemente con il nuovo disegno istituzionale, stabilisce che le funzioni
amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario,
siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città
metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con
legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Non c'è dubbio che la riforma costituzionale ha comportato un superamento delle leggi
Bassanini in senso spiccatamente autonomistico. Ma, il legislatore costituzionale ha
«dimenticato» le norme transitorie, lasciando alla fantasia dei primi commentatori
l'elaborazione delle modalità applicative della nuova disciplina. Quel che è certo è che in
qualsiasi momento le Regioni potrebbero legiferare nelle materie non assegnate alla
competenza esclusiva dello Stato e rendere inapplicabile nel proprio territorio la
normativa statale attualmente vigente.
Le novità costituzionali hanno un impatto rilevante sulle competenze amministrative degli
enti territoriali. Al momento, in assenza della prevista legislazione regionale, si deve
interpretare la normativa ordinaria vigente - quindi anche il decreto legislativo 112 - alla
luce dei nuovi principi costituzionali che vedono il Comune protagonista quasi esclusivo
dell'esercizio delle funzioni pubbliche. Si deve inoltre chiarire, ed in questo senso è
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particolarmente impegnata l'ANCI, come le nuove disposizioni costituzionali prevedano
una salvaguardia ed ampliamento della potestà normativa attribuita dalla
legislazione più recente agli enti locali.
La riforma del titolo V della Costituzione ha inoltre uno straordinario rilievo per ciò che
riguarda la valorizzazione del ruolo e delle competenze delle regioni. Essa propone così
in termini completamente diversi dal passato il tema dei rapporti tra tale livello di governo
e gli enti locali. Un rapporto che si pone tanto in termini di esercizio della potestà
legislativa quanto di esercizio delle competenze amministrative. Sono assai rilevanti i
punti che devono essere oggetto di uno specifico chiarimento, in particolare adesso che è
stato chiarito come i controlli preventivi obbligatori di legittimità siano da considerare
abrogati.
Tra i temi da chiarire ricordiamo in particolare:
1) esatta definizione degli ambiti riservati alla legislazione nazionale ed a quella
regionale, in particolare per ciò che riguarda le materie a competenza concorrente;
2) contenuti della fase transitoria legata alla vigenza delle norme esistenti;
3) definizione dei rapporti tra regioni ed enti locali sul terreno dell'esercizio delle
funzioni amministrative.
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