VOTATE PER IL PMLI E IL SOCIALISMO ASTENENDOVI · 2 il bolscevico / intervento imperialista in...

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXX - N. 7 - 18 febbraio 2016 PAG. 2 L’Italia di Renzi pronta a inviare altri soldati in Iraq e a guidare l’intervento armato in Libia VERTICE IMPERIALISTA A ROMA PER “DISTRUGGERE” L’IS Kerry: “L’Italia è stata grandiosa. Il suo impegno nella coalizione anti-Isis è sostanziale, uno dei più grandi” AUMENTANO I RISCHI DELLE RITORSIONI TERRORISTICHE IN ITALIA Visita in Nigeria, Senegal e Ghana RENZI ALLA CONQUISTA DELL’AFRICA Il nuovo duce invoca un “più forte ruolo nello scacchiere mondiale” per l’imperialismo italiano UN CRIMINE DEL REGIME FASCISTA DI AL-SISI, GRANDE AMICO DI RENZI Assassinato al Cairo il giovane ricercatore Regeni Ucciso con un colpo alla testa dopo 7 giorni di sevizie ROMPERE LE RELAZIONI DIPLOMATICHE CON L’EGITTO VOTATE PER IL PMLI E IL SOCIALISMO ASTENENDOVI di Giovanni Scuderi L’alternativa non è “Chiara” ma il socialismo LA PENTASTELLATA APPENDINO CANDIDATA DALL’ALTO ALLA CARICA DI SINDACO DI TORINO I 5 stelle puntano a tranquillizzare la borghesia torinese Movimenti a destra e a “sinistra” in vista delle elezioni comunali a Bologna SEL spaccata. Nella “Coalizione Civica” anche chi vuole “buttare via le bandiere rosse” Milano SALA, VOTATO DALLA DESTRA, VINCE LE PRIMARIE PD Majorino, Balzani e Iannetta lo sosterranno rivendicando un posto in giunta. Pisapia sottoscrive l’appello a unirsi attorno al beniamino della borghesia BENEDETTA DA RENZI CHE NOMINA SOTTOSEGRETARIO L’ALFANIANO TONINO GENTILE PD e NCD verso l’alleanza elettorale a Cosenza Mentre Alfano, De Luca e De Magistris sono univoci circa “sicurezza”, repressione e militarizzazione del territorio ANCORA SANGUE A NAPOLI NELLA GUERRA DI CAMORRA L’EX PM CANTONE: “NON BASTANO GLI ARRESTI, SERVE UN PIANO STRAORDINARIO DI RIQUALIFICAZIONE DEL TERRITORIO” PAG. 3 PAG. 14 PAG. 7 PAG. 8 PAG. 9 PAG. 11 PAG. 8 PAG. 9

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXX - N. 7 - 18 febbraio 2016

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L’Italia di Renzi pronta a inviare altri soldati in Iraq e a guidare l’intervento armato in Libia

Vertice imperialista a roma per “distruggere” l’is

Kerry: “L’Italia è stata grandiosa. Il suo impegno nella coalizione anti-Isis è sostanziale, uno dei più grandi”AumentAno I rIschI deLLe rItorsIonI terrorIstIche In ItALIA

Visita in Nigeria, Senegal e Ghana

ReNzI ALLA coNquIStA deLL’AfRIcA

Il nuovo duce invoca un “più forte ruolo nello scacchiere mondiale” per l’imperialismo italiano

uN cRImINe deL ReGIme fAScIStA dI AL-SISI, GRANde AmIco dI ReNzI

Assassinato al cairo il giovane ricercatore Regeni

ucciso con un colpo alla testa dopo 7 giorni di sevizie rompere Le reLAzIonI dIpLomAtIche con L’egItto

VOTATE PER IL PMLI E IL SOCIALISMOASTENENDOVI

di Giovanni Scuderi

L’alternativa non è “chiara” ma il socialismo

LA PeNtASteLLAtA APPeNdINo

cANdIdAtA dALL’ALto ALLA cARIcA dI

SINdAco dI toRINoI 5 stelle puntano a tranquillizzare

la borghesia torinese

movimenti a destra e a “sinistra” in vista delle elezioni comunali a Bologna

seL spaccata. nella “coalizione civica” anche chi vuole “buttare via le bandiere rosse”

milano

sala, Votato dalla destra, Vince le primarie pd

majorino, Balzani e Iannetta lo sosterranno rivendicando un posto in giunta. pisapia sottoscrive l’appello a unirsi attorno al beniamino della borghesia

BeNedettA dA ReNzI che NomINA SottoSeGRetARIo L’ALfANIANo toNINo GeNtILe

Pd e Ncd verso l’alleanza elettorale a cosenza

Mentre Alfano, De Luca e De Magistris sono univoci circa “sicurezza”, repressione e militarizzazione del territorio

ancora sangue a napoli nella guerra di camorraL’eX pm cAntone: “non BAstAno gLI ArrestI, serVe un pIAno strAordInArIo

dI rIQuALIFIcAzIone deL terrItorIo”

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2 il bolscevico / intervento imperialista in libia N. 7 - 18 febbraio 2016

L’Italia di Renzi pronta a inviare altri soldati in Iraq e a guidare l’intervento armato in Libia

VeRtIce ImpeRIaLIsta a Roma peR “dIstRuggeRe” L’Is

Kerry: “L’Italia è stata grandiosa. Il suo impegno nella coalizione anti-Isis è sostanziale, uno dei più grandi”AumentAno I rIschI deLLe rItorsIonI terrorIstIche In ItALIA

L’Italia imperialista di Renzi è sempre più coinvolta nella guerra allo Stato islamico (IS), esponendo sempre di più il nostro popolo alle ritorsioni terroristiche. Lo dimostra il recente vertice dei ministri degli Esteri della coalizione internazio-nale anti-Daesh tenutosi a Roma, il terzo dopo quelli di Londra del gennaio 2015 e di Parigi del giu-gno 2015: in questo momento, cioè, l’Italia è da molti punti di vi-sta la base più avanzata in Euro-pa per la guerra all’IS, vuoi per la sua vicinanza ai teatri in cui questa guerra si svolge, vuoi per le dimen-sioni del suo impegno militare (con circa 1.000 uomini è il più alto in Iraq dopo gli Usa), e vuoi per le sue sempre più scoperte ambizioni espansionistiche nel Mediterraneo e in Nord Africa, e in particolare verso la Libia, dove punta a guida-re l’imminente intervento militare internazionale contro l’espansione dello Stato islamico.

È in segno di riconoscimento di questo ruolo di punta dell’Italia, che il vertice del cosiddetto “Small Group” (piccolo gruppo), la Coa-lizione globale anti-Daesh di Stati impegnati nella guerra all’IS, si è svolto alla Farnesina, co-presiedu-to dal ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, e dal segretario di stato Usa, John Kerry. Vi hanno preso parte i rappresentanti di 23 paesi: Australia, Bahrain, Belgio, Canada, Danimarca, Egitto, Fran-cia, Germania, Iraq, Italia, Giorda-nia, Kuwait, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Norvegia, Qatar, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, Turchia, Emirati Arabi, Regno Unito e Sta-ti Uniti, più l’alto rappresentante Esteri della UE, Federica Mogheri-ni e un rappresentante delle Nazio-ni Unite come osservatore.

guerra totale all’IsAl termine dei lavori il vertice

dei ministri degli Esteri ha emesso una dichiarazione in cui sono stati vantati grandi progressi nella guer-ra all’IS, grazie al “grande impeto, con un forte impatto” delle azioni militari della coalizione, che avreb-bero respinto Daesh dal 40% del territorio iracheno e ottenuto “risul-tati tangibili” in Siria, “anche con bombardamenti aerei”. La guerra e i bombardamenti quindi “funziona-no”, secondo loro, e non c’è moti-vo di cercare altre vie, come even-tuali trattative, per riportare la pace nella regione. I ministri ribadiscono anzi l’impegno “a combattere que-sta barbara organizzazione fino alla sua definitiva sconfitta”, esclu-dendo cioè qualsiasi altra soluzio-ne che non sia la guerra totale e a qualsiasi prezzo allo Stato islamico fino alla sua distruzione completa. A chi toccherà poi pagare questo prezzo – le popolazioni civili arabe e (per ritorsione) europee – non è una questione che li riguardi.

I ministri si dicono infatti “con-sapevoli che Daesh rappresenta una minaccia terroristica nei nostri confronti, come dimostrato dagli attacchi terroristici barbari ed ef-ferati in Turchia, Francia e in altri paesi”, ma rassicurano le popola-zioni dei rispettivi paesi che “Da-esh sta perdendo sia territori che credibilità in Iraq e Siria”, e che tali minacce saranno sventate grazie al contrasto alle fonti di finanzia-mento dell’IS, alla riduzione del flusso di combattenti stranieri, alla “cooperazione tra i nostri servizi di intelligence” (di cui elencano una sfilza di organismi internazionali creati ad hoc) e alle agenzie di pro-

paganda, basate in particolare ne-gli Emirati e in Gran Bretagna, per “mettere a nudo la falsa ideologia e la narrativa di Daesh”.

I ministri ribadiscono altresì il sostegno incondizionato al go-verno fantoccio e corrotto di Hai-der al-Abadi in Iraq, accolgono “con soddisfazione” la decisione dell’Afghanistan di unirsi alla coali-zione e, infine, dichiarano di segui-re “con preoccupazione l’influenza crescente di Daesh in Libia”, pre-figurando così che questo sarà il prossimo obiettivo da colpire per la coalizione imperialista anti-IS.

“Il mondo si aspetta sicurez-za da noi e noi distruggeremo Daesh”, ha detto bellicosamente Kerry, aggiungendo senza mezzi termini che il tema da discutere a Roma era quello di come “aumen-tare gli sforzi per vincere questa guerra”. Una dichiarazione in linea con la notizia contemporanea che il ministero della Difesa Usa ha au-mentato del 50% il budget per la guerra all’IS, salendo a 7,5 miliardi di dollari. Come dire in pratica che siamo un’altra volta alla “guerra infinita” di Bush, tant’è che Kerry ha avvertito che “cercheremo di schiacciare l’IS in ogni angolo, ma questa guerra sarà lunga, ci vorrà del tempo, abbiamo già provato a farlo per smantellare Al Qaeda, è un impegno più lungo per tutti”.

Nessuna “ritrosia” a bombardare

Più diplomatico nella forma, ma concorde nella sostanza, è stato Gentiloni, che nell’aprire il vertice ha detto che nella lotta al Daesh sono stati fatti “importanti progressi, ma di fronte abbiamo un’organizzazione molto resisten-te e quindi non dobbiamo sotto-valutarla”. In ogni caso l’Italia sta facendo la sua parte, come ha ribadito il ministro alla vigilia del vertice in un’intervista a “Il Mes-saggero”, in cui alla domanda se vi fosse della ritrosia nel governo italiano a rispondere alle sollecita-zioni fatte dal capo del Pentago-no Carter alla sua collega Pinotti lo scorso dicembre a partecipare attivamente ai bombardamenti in Iraq, come rivelato recentemente dal “New York Times”, il titolare della Farnesina ha risposto: “Nes-suna ritrosia. L’Italia è uno dei 5 o 6 paesi al mondo più impegnati nel contrasto a Daesh... siamo leader nella formazione delle forze di poli-zia irachene che devono riprendere il controllo delle aree liberate. Cer-chiamo di farlo coordinando anche lo sforzo di altri Paesi. Abbiamo addestrato oltre 2mila peshmerga curdi, e continuiamo a farlo”.

Gentiloni ha confermato anche l’imminente invio in Iraq, proba-bilmente a primavera, di altri 450 uomini per la protezione dei lavori di riparazione della diga di Mosul, il cui appalto è stato affidato a una ditta italiana, la Trevi. Inoltre il Con-siglio dei ministri ha disposto l’in-vio di altri 130 soldati specializzati in ricerca e soccorso elitrasporta-to, con piloti, meccanici, medici e una squadra di protezione: a che scopo, se non nel quadro dell’im-minente partecipazione dei Tor-nado italiani di stanza in Kuwait ai bombardamenti in Iraq, e/o allo scontro diretto delle truppe inviate a Mosul con i guerriglieri dell’IS?

Non a caso, durante il vertice di Roma, Kerry ha rivolto un elo-gio sperticato all’Italia, in omag-gio al suo eccezionale impegno militare nella “guerra al terrori-

smo”, e anche in riconoscimento delle sue ambizioni egemoniche regionali nel Mediterraneo e in Nord Africa, a cominciare dalla Libia: “L’Italia è stata grandiosa, il suo impegno nella coalizione è sostanziale, uno dei più grandi in termini di persone, di contributi finanziari e militari in Iraq e, in particolare, per il suo ruolo di le-adership in Libia”, ha detto infatti il segretario di Stato Usa.

Via libera all’intervento in Libia

Le parole di Kerry suonano come un eloquente via libera degli

Usa al comando italiano dell’inter-vento militare in Libia, che i governi imperialisti occidentali stanno pre-parando e che scatterà non appena il governo di coalizione libico, che però fatica a trovare un accordo, ne farà formalmente richiesta. Inter-vento che comunque è già in fase avanzata e che avverrà presto, in un modo o nell’altro, come ha lasciato intendere la guerrafondaia Pinot-ti in un’intervista al “Corriere della Sera”, in cui ha detto: “Non pos-siamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo. Nell’ultimo mese abbiamo lavorato più assiduamen-te con americani, inglesi e francesi. Non parlerei di accelerazioni, tanto

meno unilaterali: siamo tutti d’ac-cordo che occorre evitare azioni non coordinate, che in passato non hanno prodotto buoni risultati. Ma c’è un lavoro più concreto di raccol-ta di informazioni e stesura di piani possibili di intervento sulla base dei rischi prevedibili”.

Fermo restando che l’intervento potrebbe scattare in qualsiasi mo-mento “nel caso di un’emergenza”, quale potrebbe essere un’improv-visa avanzata dello Stato islamico in Libia: “La stessa missione Mare Sicuro - ha aggiunto a questo proposito la ministra della Difesa - nata come operazione anti-sca-fisti (sic), prevedeva sin dall’inizio l’eventualità della lotta al terrori-

smo: ci dà infatti una capacità di intervento nel caso di rischi per le nostre piattaforme o di altro gene-re. Per lo stesso motivo abbiamo già spostato degli aerei a Trapani e costantemente aggiornato la rac-colta di informazioni sul terreno”.

L’Italia, insomma, aumenta la sua presenza militare e il grado di intervento bellico in Iraq, e nello stesso tempo intensifica i prepa-rativi per guidare una missione di guerra in Libia: un’escalation im-perialista, giustificata con la guer-ra santa all’IS, alla quale occorre opporsi risolutamente e senza ambiguità, anche perché espone il nostro Paese e il nostro popolo a sanguinose ritorsioni terroristiche.

Renzi concede pantelleria ai militari usa come base aerea per la guerra in Libia

Dal nostro corrispondente �della Sicilia

La Sicilia, a causa della sua posizione strategica nel mezzo del Mediterraneo, è la regione italiana che subisce la presenza del più alto numero di basi militari sul ter-ritorio. In previsione dell’imminen-te intervento militare in Libia, Renzi ha concesso ai militari statunitensi l’uso della base aerea dell’isola di Pantelleria, in provincia di Trapani, a 110 km a sud ovest della Sicilia e 70 a est nord est della Tunisia.

L’isola siciliana viene usata indi-rettamente dai militari, come base di un nuovo sistema di spionaggio aereo statunitense, progettato per operare con scopi top secret di “intelligence e sorveglianza”, cioè spionaggio di guerra, nelle regioni del Nord Africa, dalla Libia, alla Tu-nisia, all’Egitto, all’Algeria.

La presenza militare statuniten-se a Pantelleria è malamente oc-

cultata dietro i voli di ricognizione di una società privata, la Aircraft Logistics Group LLC, interamente controllata dal gruppo finanziario statunitense Acorn Growth Com-panies (AGC), presente nel settore militare aeronautico, che riceve grossi finanziamenti da parte del governo americano. Ne usufrui-scono i signori della guerra, inte-ressati a tenere alta la tensione nel Mediterraneo, tra cui anche espo-nenti dell’esercito. Presidente del comparto difesa e aerospazio dell’AGC è l’ex generale dell’US Air Force, Darryl Wilkerson. Vi-cepresidente il generale Peter J. Hennessey, che ha diretto tutte le attività logistiche dell’US Air Force durante l’aggressione imperialista all’Afghanistan. L’aereo usato per le operazioni di spionaggio sulla Libia è il Beech King air 300, lungo 15 metri con un’apertura alare di 17 e che può trasportare fino a 15 spie.

Ormai i voli, come denuncia la

popolazione locale, sono quasi quotidiani. Su disposizione del governo, la compagnia priva-ta di spionaggio ha l’assistenza logistica dell’Aeronautica milita-re italiana, ne usa le piste e gli strumenti di supporto. Prima di ogni decollo gli statunitensi con-segnano il loro piano di volo ai militari italiani che cooperano alle attività di preparazione della guerra che gli USA conducono nei confronti della Libia e le sup-portano attivamente.

Mentre freme di avere il coman-do dell’intervento imperialista in Libia, l’Italia di Renzi sta assumen-do giorno dopo giorno un ruolo di punta nella santa alleanza contro lo Stato islamico. È questa l’en-nesima conferma che ci troviamo ormai in guerra, anche se Renzi lo nega per tranquillizzare le masse, sapendo che esse sono in mag-gioranza nettamente contrarie, e per non suscitare troppo allarme di fronte all’escalation interventista e

bellicista che sta imprimendo alla sua politica estera e militare.

Occorre che le masse siciliane comprendano che Renzi, col silen-zio complice del governatore PD Crocetta, sta trascinando la Sicilia nell’occhio del ciclone di un inter-vento imperialista contro lo Stato islamico e la espone a un’ulteriore militarizzazione del territorio e alle inevitabili ritorsioni da parte dell’IS. Bisogna dire no a questa strategia e comprendere che l’imperialismo è il vero nemico dei popoli, la vera causa di tutte le guerre, la barbarie che genera ogni barbarie. Bisogna combatterlo, e le masse popolari siciliane devono fare la loro par-te, incentivando la battaglia per lo smantellamento del MUOS e la chiusura della base di Sigonella, ri-fiutandosi di ospitare le operazioni militari degli USA e di avallare la politica interventista e guerrafon-daia del governo imperialista del nuovo duce Renzi, che va manda-to a casa.

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N. 7 - 18 febbraio 2016 imperialismo italiano / il bolscevico 3Visita in Nigeria, Senegal e Ghana

ReNzi alla coNquiSta dell’afRica Il nuovo duce invoca un “più forte ruolo nello scacchiere mondiale” per l’imperialismo italiano

“Usciamo da questa due gior-ni in Africa con la consapevolez-za che l’Italia è un grande paese e che in questo essere grande pa-ese abbiamo bisogno di essere più forti nello scacchiere mondiale, più forti in particolar modo nel-la relazione con l’Africa”. Questa dichiarazione di Renzi al termine della visita di Stato effettuata dal 1° al 3 febbraio in Nigeria, Ghana e Senegal, al di là dei pur cospi-cui accordi economici firmati, ri-vela l’ambizioso disegno politico celato nella sua politica estera, che mira a guadagnare nuovi spazi di espansione all’imperialismo ita-liano ispirandosi alla politica co-lonialista ed espansionista di Mus-solini verso l’Africa.

Una politica che il nuovo duce persegue da quando è alla guida del Paese, e non a caso ha messo l’accento sul fatto che è già la ter-za volta che si reca in Africa, dopo la visita in Mozambico, Congo e Angola nel 2014 e quella in Etio-pia e Kenya dell’anno scorso, al termine della quale ebbe a dichia-rare che “una strategia di politica estera degna di questo nome non può che mettere al centro dell’in-teresse italiano l’Africa, le sue po-tenzialità, le sue contraddizioni, le sue ricchezze. Dopo anni di im-mobilismo finalmente si riparte”.

Dopo l’Africa centrale e quella orientale è ora la volta dell’Africa occidentale, e non appare casuale la scelta di questi tre paesi, Nige-ria Ghana e Senegal, come ex co-lonie ancora nella sfera di influen-za di Gran Bretagna e Francia, per farsi largo tra le potenze che con-tano, contendere loro il terreno di conquista acquisito, e permettere anche all’Italia di sfruttare le enor-mi ricchezze di petrolio, gas e ma-terie prime, ma anche di potenzia-lità agricole e commerciali, che possiede questa immensa regione.

A questo scopo Renzi si è fatto accompagnare da uno stuolo di di-rigenti delle più importanti aziende pubbliche, dall’Eni del suo amico Descalzi, un gruppo che è col 7% il primo produttore di idrocarburi del continente tra tutte le compa-gnie internazionali, presente da 60 anni in Africa e da 40 in Nigeria, a Enel Green Power, da Italferr del gruppo FS a Cassa depositi e pre-stiti, di manager di aziende private come Ice, Sace, Simest, Anas In-ternational, Cnh Industrial, Trevi, Ge Nuovo Pignone, Maire Tech-nimont e Telecom, nonché da una nutrita delegazione di Confindu-stria e di imprenditori e uomini d’affari con interessi nell’Africa subsahariana.

“l’africa è la priorità e l’italia ci deve essere”

Questa visita l’ha spiegata così lo stesso Renzi, sul suo sito di news alla vigilia della parten-za: “Per la terza volta in meno di due anni una delegazione di Pa-lazzo Chigi scende sotto il Saha-ra (non era mai accaduto nei 70 anni precedenti), allo scopo di raf-forzare il ruolo, l’amicizia, gli in-teressi, i valori dell’Italia”. Roma, ha aggiunto, “può giocare un ruo-lo se ha il coraggio di avere una strategia politica di ampio respiro. Non due battute buone per fare un po’ di demagogia in tv. Noi inve-stiamo sull’Africa perché pensia-mo che sia doveroso per il nostro posizionamento geografico e geo-politico. Se vogliamo combattere

la povertà, sradicare il terrorismo, affermare valori condivisi l’Africa oggi è la priorità. E dopo anni di assenza, l’Italia ci deve essere”.

Ma oltre ai lucrosi affari econo-mici in questa visita c’erano in bal-lo importanti questioni politiche, come gli accordi con questi paesi sulla lotta comune al “terrorismo islamico” e il rimpatrio dei mi-granti respinti dall’Italia, tanto che a questo scopo Renzi si era portato dietro il capo della polizia Pansa, e ha firmato un primo memoran-dum d’intesa con il primo ministro nigeriano: “Il nostro sostegno va a voi nella lotta contro Boko Haram e in particolare nella lotta contro terrorismo”, ha detto a questo pro-posito Renzi al presidente nigeria-no. “Io credo sia priorità per la co-munità internazionale considerare l’Africa come una priorità. Abbia-mo molti attacchi che avvengono nel mondo, abbiamo toccato con mano questi tragici attacchi com-piuti dai terroristi, ma io conside-ro personalmente una priorità dare molta attenzione a questa regione del pianeta”.

E soprattutto in ballo c’era la questione della candidatura dell’Italia a un seggio non per-manente al Consiglio di sicurez-za dell’Onu per il 2017-2018, una partita che sarà giocata al Palazzo di vetro il prossimo giugno e per il successo della quale l’appoggio dei paesi africani potrebbe essere decisivo. Il nuovo duce considera questa partita come prioritaria nel quadro di far entrare l’imperiali-smo italiano nel club ristretto delle nazioni che determinano la politi-ca globale. Lo aveva detto chiaro e tondo anche nel luglio scorso alla conferenza degli ambasciatori ita-liani. “Vorrei che tutti voi sentiste questa (la battaglia per il seggio al Cds dell’Onu, ndr) come una prio-rità assoluta. Questa non è la bat-taglia di un singolo governo, ma di un intero Paese”, li aveva arrin-gati Renzi, proclamando poi con enfasi nazionalista mussoliniana che “comunque vada la discussio-

ne politica, penso che l’Italia ab-bia un futuro straordinario: tra 20 o 30 anni saremo leader in Europa e nel mondo”.

tribuna africana per sfidare Bruxelles

La sua terza visita in Africa è avvenuta subito dopo l’incontro

con la Merkel e in contempora-nea con le polemiche ingaggiate con la Commissione europea sul-la questione della “flessibilità” dei conti dell’Italia, polemiche che sono continuate anche a distan-za e anzi si sono intensificate nel corso delle varie tappe africane di Renzi. Il nuovo duce, che alla stregua di Craxi a Sigonella nei

confronti degli americani, ha or-mai indossato con la Germania e la Commissione europea la casac-ca del nazionalismo mussoliniano per rivendicare un maggior peso dell’imperialismo italiano nella UE e nel mondo, ha approfittato della tribuna mediatica africana per alzare la posta e lanciare sfide sempre più sfrontate ai “burocrati” di Bruxelles che richiamano l’Ita-lia al rispetto dei rigidi limiti di bi-lancio imposti dai trattati europei.

Prendendo spunto dalla preci-sazione piccata di Bruxelles, se-guita alla decisione di Roma di sbloccare i contributi italiani alla Turchia per tenersi i rifugiati si-riani, che quei soldi non sarebbe-ro stati conteggiati nel deficit, ma che per le spese relative al salva-taggio dei migranti nel Tirreno, per le quali l’Italia rivendica ana-logo trattamento, ogni decisione era rimandata alla prossima sessio-ne di bilancio di primavera, Renzi ha commentato con sarcasmo che “se non fosse una cosa seria scap-perebbe da ridere a pensare che si vuole operare una distinzione tra i morti nel mare Egeo e i morti nel mar Tirreno”. E dicendo no a “po-lemicucce da quattro soldi” ha ag-giunto in tono sferzante: “Non vo-glio fare polemiche che lasciano il tempo che trovano. Noi siamo l’Italia e l’Italia è un grande paese che ogni anno dà a Bruxelles mol-ti più soldi di quelli che riceve”. Lo facciamo, ha proseguito Ren-zi, perché crediamo in essa. “Ma proprio per questo non prendiamo lezioncine da nessuno dei nostri amici europei. Siamo pronti a im-parare da tutti ma il tempo in cui da Bruxelles ci dicevano cosa fare e cosa no è finito”.

dottrina neocolonialista mussoliniana

Quello di Renzi non è sempli-ce bullismo parolaio, o una tattica elettoralistica consistente nel fare la voce grossa con l’Europa per nascondere le difficoltà e alzare i sondaggi in casa propria, come è stato detto da molti, o almeno non è solo questo. La sua è invece una vera e propria rivendicazione mus-soliniana del riconoscimento di un maggior ruolo dell’imperialismo italiano nel mondo, del ricono-scimento delle sue storiche sfere di interesse e di espansione. A co-minciare dall’Africa, e in partico-lare dalla Libia, dove ha ottenuto di guidare l’imminente missione militare internazionale contro lo Stato islamico. Un riconoscimento che il nuovo duce conta di esser-si ormai guadagnato e che preten-de di far valere anche per merito della massiccia presenza militare dell’Italia in Afghanistan, Iraq e in altri teatri della guerra al “terrori-smo”, come ha riconosciuto Ker-ry al vertice anti-Daesh di Roma e come ha confermato subito dopo Obama a Mattarella.

Non per nulla, parlando ad una conferenza stampa durante la vi-sita in Ghana, il nuovo duce ha svelato la sua dottrina neocolo-nialista mussoliniana verso l’Afri-ca con queste parole: “Noi come Italia dobbiamo ricordarci chi sia-mo. Ovunque siamo considerati un punto di riferimento importan-te. Per anni siamo stati assoluta-mente decisivi nella vita di alcuni di questi paesi, e possiamo esserlo ancora”.

iN polemica coN ReNzi che decide di maNteNeRe la NoRma xeNofoBa iNtRodotta da maRoNi col GoVeRNo BeRluScoNi

aNm: “il reato di clandestinità inutile e dannoso”

“Il reato di clandestinità è una nor-ma inutile e dannosa”! Lo ha detto il presidente dell’Associazione na-zionale magistrati Rodolfo Sabelli il 9 gennaio e lo ha ribadito anche il primo presidente della Cassazio-ne Giovanni Canzio il 27 gennaio nella sua relazione per l’apertura dell’anno giudiziario.

In risposta al nuovo duce Ren-zi e al gerarca del Viminale Alfano che hanno deciso di mantenere la norma xenofoba e razzista conte-nuta nell’articolo 10 bis del Testo unico sull’immigrazione, intro-dotto nel 2009 dal quarto gover-no Berlusconi e dal fascio-leghi-sta Maroni, Sabelli, nel rilanciare l’opinione quasi unanime della stragrande maggioranza di giudici e pubblici ministeri, ha fra l’altro

sottolineato che: “Capisco che la politica si faccia carico dei timo-ri della gente, ma quando le paure sono populiste e infondate vanno combattute, spiegando come stan-no realmente le cose... Bisogna in-nanzitutto chiarire che depenaliz-zare il reato non significa volere un’immigrazione incontrollata e illimitata, ma eliminare una nor-ma inutile e dannosa; e occorre spiegare che la clandestinità è una contravvenzione punita con l’am-menda: e mai nessun straniero ri-nuncerà ad entrare illegalmente davanti a una sanzione pecuniaria che non è in grado di pagare e che lo Stato non è in grado di riscuote-re”. Non solo. Sabelli ha aggiunto che, oltretutto: si tratta di un reato inutile che ingolfa i tribunali con

migliaia di cause e costi enormi per lo Stato; e che ostacola le in-dagini contro gli scafisti, visto che il clandestino, in quanto indagato, non può essere sentito come testi-mone”. Dunque ha concluso Sa-belli: “Gli ingressi illegali non si combattono con la minaccia ridi-cola di un’ammenda, ma con una seria gestione del fenomeno mi-gratorio nel quadro europeo e con provvedimenti amministrativi di controllo dei migranti e, se del caso, di espulsione”.

Grottesca la posizione assun-ta da Palazzo Chigi e dal Vimi-nale che, pur considerando “logi-ca” l’abolizione del reato, hanno comunque deciso di mantenere la norma con grande soddisfazione di Alfano che fra l’altro era guar-

dasigilli all’epoca in cui il reato di clandestinità fu introdotto.

“Evitiamo di trasmettere all’opinione pubblica dei messag-gi negativi per la percezione di si-curezza in un momento particola-rissimo per l’Italia e l’Europa” ha tuonato Alfano.

Mentre per Renzi il problema è soprattutto di comunicazione. Per-ché se è vero che “la logica vorreb-be la scelta della depenalizzazio-ne”, è altrettanto vero che “nella componente sicurezza l’elemento psicologico è molto importante”.

Da sempre il PMLI sostiene l’apertura delle frontiere italiane ed europee ai rifugiati e ai migran-ti e permettere il loro ingresso li-bero e sicuro in Italia e in Europa. Per il PMLI sono necessarie e ur-genti però altre misure, a comin-ciare dall’abolizione definitiva e completa del reato di immigrazio-ne clandestina, la sanatoria gene-ralizzata per tutti i migranti senza permesso di soggiorno, la parità di diritti sociali, civili e politici per tutti i migranti e il diritto di citta-dinanza ai figli di immigrati nati nel nostro Paese.

Numero di telefono e fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”

Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il se-guente 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiun-que è interessato al PMLI e al suo Organo.

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4 il bolscevico / interni N. 7 - 18 febbraio 2016

Rapporto Adepp sulla previdenza privata

PRofessionisti semPRe Piu’ PoveRiL’Adepp, l’associazione del-

le casse di previdenza private che tutelano gli iscritti agli albi professionali, nel suo V rappor-to pubblicato lo scorso 15 dicem-bre ha certificato quanto la cri-si del sistema capitalista iniziata nel 2008 abbia colpito duramen-te non soltanto le masse popola-ri, ma anche un settore che fino a dieci o venti anni fa era ritenuto dai più estremamente redditizio e al riparo da qualsiasi crisi: quello delle libere professioni.

Il reddito medio dei pro-fessionisti, secondo le analisi dell’Adepp, è diminuito in ter-mini reali - ossia considerando il valore al netto dell’inflazio-ne - del 18,35% tra 2007, pri-ma del deflagrare della crisi, e il 2014, anno per cui è disponibile l’ultimo aggiornamento, e si at-testa attualmente in media, sem-pre in termini reali, a 28.960,02 euro annui. La flessione, si spiega nel rapporto, è dovuta soprattut-to agli effetti erosivi della crescita

dei prezzi, perché i guadagni (nel 2014 il reddito nominale si ferma 34.549,30 euro annui) non hanno fatto fronte all’avanzata dei prez-zi, minando la capacità di spesa della categoria.

È ciò che di fatto è avvenu-to anche nella stragrande mag-gioranza dei comparti produttivi, dove il mancato rinnovo dei con-tratti collettivi ha determinato la perdita del potere effettivo dei sa-lari.

Il numero dei professionisti, iscritti alle casse di previdenza che l’Adepp rappresenta, è co-stantemente salito negli anni, fino ad arrivare nel 2014 a 1.469.637 professionisti, aumentati del 20% nel decennio che va dal 2005 al 2014, ossia oltre 50mila iscritti in più ogni anno, per cui si tratta di una presenza ormai numerica-mente importante a livello sociale. In tale numero poi sono compresi sia coloro che svolgono esclusi-vamente una attività professiona-le in modo totalmente autonomo

(ad esempio notai, avvocati, com-mercialisti, la maggior parte de-gli architetti e degli ingegneri) sia coloro che, pur iscritti al relativo albo professionale, svolgono atti-vità dipendente (ad esempio gior-nalisti, medici e infermieri), e lo studio dell’Adepp non manca di sottolineare come le maggiori dif-ficoltà economiche le incontrino coloro che fanno parte del primo gruppo menzionato, ossia i pro-fessionisti che esercitano in regi-me di piena autonomia.

È la tendenza graduale, per una notevolissima percentuale di professionisti, di scivolare in uno stato di vera e propria povertà, che si manifesta sotto la forma di guadagni sempre minori e incerti, l’assenza di qualsiasi ammortiz-zatore sociale, l’obbligo di versa-mento di contributi pensionistici minimi non legati al reddito (che, solo per fare un esempio, per gli avvocati sono di quasi 3.700 euro l’anno) e le incognite pensionisti-che comuni a tutti gli altri lavo-

ratori. Sono sufficienti a tal proposito

due dati relativi a professioni un tempo ritenute estremamente red-ditizie e che ora presentano aspet-ti di estrema contraddittorietà: i notai e gli avvocati.

I primi, nonostante in Italia sia-no circa solo 5.000, hanno visto scendere dal 2007 al 2014 i loro redditi di circa il 45%, ma con profonde contraddizioni all’inter-no della categoria, in quanto i più penalizzati sono i professionisti che esercitano nelle piccole cit-tà dove il crollo del mercato im-mobiliare ha tolto loro la maggior parte dei loro redditi, derivanti dai rogiti degli atti immobiliari.

Gli avvocati, dal canto loro, hanno visto un calo dei loro red-diti nello stesso periodo di circa il 18%, tanto che ormai alcuni ordi-ni forensi, come quelli di Roma, Milano e Bari, hanno creato Onlus per sostenere gli avvocati travolti dalla crisi, finanziate con il cin-que per mille della dichiarazione

dei redditi. Il calo dei redditi de-gli avvocati, pur se di gran lunga più contenuto rispetto a quello dei notai, ha inciso però su una platea di gran lunga più vasta, perché in Italia ci sono circa 230mila avvo-cati, e la crisi ha semmai creato un divario insanabile tra la mag-gioranza dei professionisti - so-prattutto trentenni e quarantenni e anche donne, che fanno fatica a sopravvivere a causa degli alti costi degli affitti degli studi, degli oneri previdenziali e della sem-pre maggiore difficoltà a riscuo-tere i loro onorari dai loro clienti - e una minoranza di avvocati le-gati a studi professionali di punta che supportano la media e grande imprenditoria, i quali al contrario non hanno conosciuto crisi. Tut-to questo spiega perché negli ulti-mi due anni oltre seimila giovani avvocati si sono cancellati dagli albi professionali in Italia, e alcu-ne stime prudenti ritengono che a breve si raggiungerà la soglia del-le diecimila cancellazioni.

Attualmente - a conferma del-le drammatiche contraddizioni interne alla categoria, contraddi-zioni che la crisi ha ampliato - ol-tre il 50% del reddito complessi-vo prodotto dall’avvocatura va ad appena l’8,6% per cento della ca-tegoria mentre il restante 91,4% degli avvocati deve dividersi l’al-tra metà del fatturato.

È chiaro che le contraddizioni ormai insanabili del sistema capi-talista, dopo aver generato all’in-terno della classe operaia una situazione di crescente disoccu-pazione di massa e - contempora-neamente - di perdita di tutele e di diritti per i lavoratori, dopo aver spazzato via centinaia di migliaia di piccole aziende e avvantaggia-to al contempo i grandi operato-ri economici, si sta ripercuotendo anche nel mondo delle libere pro-fessioni creando miseria e preca-rietà crescenti tra questi lavora-tori.

La posizione del sindacato è un’altra cosa sulla Carta della CgilPubblichiamo di seguito la

posizione di Sindacato è un’al-tra cosa sulla Carta dei diritti della Cgil. Quantunque risulti critica nei confronti del Nuo-vo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori tale posizione si rivela opportunistica laddove evita di indicare esplicitamen-te di bocciare le proposte del Nuovo Statuto dei lavoratori invitando le lavoratrici e i la-voratori a votare due No ai due quesiti, un’indicazione che il PMLI ha propagandato fin da subito (vedi “Il Bolscevico” n. 5/2016 pag. 6).

Il direttivo nazionale Cgil che ha varato la proposta di legge sul nuovo statuto dei diritti del lavoro e sulla consultazione straordinaria degli iscritti lo ha fatto con il no-stro voto contrario.

La ragione è semplice ma va articolata bene.

In primo luogo abbiamo rite-nuto drammaticamente sbaglia-to che tutta l’iniziativa di contra-sto al Jobs Act ed alle profonde modifiche della legislazione For-nero-Renzi sulle tutele dal licen-ziamento si risolvesse con una semplice raccolta firme su una proposta di legge da consegnare al parlamento. Il primo compito del sindacato è dare gambe e for-za alla propria iniziativa su tutti i terreni su cui è impegnata: socia-le, contrattuale, politico.

Una proposta di legge di ini-ziativa popolare che affida al par-lamento, a questo parlamento o, peggio ancora, a quello che avre-mo dopo la riforma istituzionale Renzi-Boschi, la ricostruzione di diritti perduti è chiaramente desti-nata ad essere sconfitta se non è parte di una straordinaria mobili-

tazione di resistenza e riconquista. Dalla contrattazione aziendale ai contratti nazionali si deve riaprire nel paese la partita della condizio-ne del lavoro per imporre un cam-bio radicale dell’agenda alla po-litica ed alle imprese. Solo cosi è possibile riconquistare diritti.

La Cgil chiede davvero di ri-conquistare i diritti perduti?

No, ed è la seconda ragione che ci ha portato a votare contro questa scelta. Purtroppo la propo-sta della Cgil su un nuovo statuto dei diritti del lavoro rappresenta l’adeguamento del sindacato alla situazione esistente. Si accetta e si legittima l’esistenza di tipologie contrattuali precarie nate per con-sentire ai padroni di non applicare i contratti nazionali di lavoro e si accetta il mare di flessibilità che in questi decenni si è rovesciato sulla condizione dei lavoratori e delle lavoratrici. Si certifica così

la fine della lotta alla precarie-tà per l’applicazione dei contratti collettivi.

Persino sulle tutele dal licen-ziamento la Cgil non si propone più il ritorno alla formula origi-naria dell’art.18 della legge 300 (statuto dei diritti dei lavoratori) la più tutelante in assoluto, prima delle manomissioni della Fornero e del Jobs Act di Renzi. In sostan-za siamo davanti ad una propo-sta che si pone il tema di estende-re alcuni diritti generali al mondo del lavoro subordinato e autono-mo ma dentro il nuovo regime di ricattabilità e precarietà. Infine la proposta di legge è fondata sul Te-sto Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 cioè sulla nega-zione della democrazia e delle li-bertà sindacali e sul modello della contrattazione di restituzione.

Rispetto all’ipotesi referenda-ria

La Cgil, con la consultazione straordinaria, chiede agli iscritti cosa pensano di un eventuale refe-rendum per l’abrogazione del Jobs Act ma senza che il risultato del voto sia davvero vincolante per le sue scelte. Come può un’organiz-zazione di 6 milioni di iscritti non riuscire ad avere una propria po-sizione su un tema così importan-te? Crediamo che la Cgil avrebbe dovuto assumersi la responsabili-tà di decidere insieme alle lavora-trici ed ai lavoratori la costruzione di quella necessaria battaglia ge-nerale contro la legislazione del governo Renzi che va dalla con-trattazione al referendum. Questa consultazione appare invece come un sondaggio ad uso tutto interno a gruppi dirigenti che non sono d’accordo tra loro.

Per queste ragioni la campa-gna referendaria è molto rischio-sa

Non abbiamo contrarietà di principio sullo strumento referen-dum. La campagna referendaria per abrogare le leggi del gover-no Renzi contro il lavoro potreb-be essere un’occasione importan-te per riaprire la battaglia generale nel paese. Tuttavia ha bisogno di una nuova politica contrattuale della Cgil, ha bisogno di coeren-za e radicalità, di un cambiamento profondo della linea che in questi mesi ha abbandonato il conflitto e fatto accordi al ribasso sui contrat-ti nazionali. I referendum, come ci insegna la storia, non possono so-stituire l’iniziativa sociale.

Ogni lavoratore deciderà come esprimersi su questa consultazio-ne. noi intendiamo denunciare i rischi di una campagna referen-daria avviata senza convinzione e senza una coerente battaglia so-ciale!

il tribunale di ferrara: “Atto ritorsivo, preordinato per far cessare la sua presenza al negoziato”

ReintegRAto iL deLegAto CgiL LiCenziAto dALLA LyondeLLBAseLL

Il 30 gennaio 2016 è arrivata la sentenza del tribunale di Ferra-ra del giudice Alessandro D’An-cona che reintegra Luca Fiorini, sindacalista della Filctem Cgil e delegato Rsu, nel posto di lavo-ro alla multinazionale della chi-mica LyondellBasell di Ferrara, che lo aveva licenziato lunedì 4 gennaio con la motivazione di “violenza sul posto di lavoro”. Un’importante vittoria sindacale contro il tentativo della Lyondell di estromettere con un atto fasci-sta il sindacalista dalla trattativa e dall’azienda. A portarla a com-pimento è certamente contata

anche la larga solidarietà, mani-festata con scioperi, e mobilita-zioni dei lavoratori e dei sinda-cati che da settimane imperversa nelle piazze e su internet.

La sentenza del giudice D’Ancona ha evidenziato l’in-consistenza della motivazione dell’accusa mossa dalla Lyon-dell, l’aggressione che di fatto non c’è stata, dall’altro ha sma-scherato chiaramente il tentativo della multinazionale di attivare un’azione antisindacale che “ri-vela l’uso abusivo e strumentale del potere disciplinare, con chia-ra finalità ritorsiva” nei confronti

del sindacalista, per allontanarlo dalla trattativa e avere mano li-bera nei licenziamenti.

La sentenza stabilisce il rein-tegro di Fiorini nel posto di la-voro, l’obbligo da parte di Basell di riprenderlo in azienda e di ri-fondere la spese processuali so-stenute da CGIL e la pubblica-zione del decreto nelle bacheche aziendali e su alcuni dei princi-pali quotidiani italiani

I dirigenti del gruppo Basell hanno detto di fare riferimento al codice interno di “etica” azien-dale, molto in voga in Usa, dove è noto non esistono tutele sinda-

cali come in Italia. Ma di fatto il loro atteggiamento antisindacale e antioperaio è in perfetta linea con l’arroganza padronale italia-na e con le controriforme come il Jobs Act imposto da Renzi. Anche se la sentenza ha bloc-cato questo tentativo quello che si profila all’orizzonte, con l’ar-rendevolezza dei vertici dei tre maggiori sindacati confederali, è un nuovo modello di relazioni industriali basato sul collabora-zionismo e la flessibilità funzio-nale al capitalismo che di fatto cancella ogni diritto sindacale e normativo.

Accade nulla attorno a te?

RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’

Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nel-la città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.

Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dia-logo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a:

Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 FirenzeFax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]

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N. 7 - 18 febbraio 2016 interni / il bolscevico 5L’eurodeputato Caputo (pd)

indagato per voto di sCambio Arrestato per corruzione il senatore De Siano (FI)

Redazione di Napoli �L’ennesimo scandalo che coin-

volge la destra e la “sinistra” del regime neofascista travolge il PD e FI per i gravissimi reati di voto di scambio e corruzione.

Nel primo caso trattasi dell’eu-rodeputato Nicola Caputo (PD) promosso da Villa di Briano, in provincia di Caserta, a Strasbur-go con 85.897 voti dopo quasi due legislature nel consiglio re-gionale campano. In questo paese dell’hinterland casertano Caputo ha uno dei suoi principali serbatoi di preferenze, raccolte in passato anche grazie a sfarzose feste elet-torali tra cui un banchetto di ben 1.800 invitati, risalente al 2010 e raccontato dall’intercettazione di un imprenditore vicino ai clan, fi-nita dritta nelle carte dell’inchie-sta della Dda di Napoli, condotta dal procuratore aggiunto Giusep-pe Borrelli, e dai pubblici ministe-ri Cesare Sirignano e Catello Ma-resca, che hanno iscritto, a metà gennaio, l’europarlamentare nel registro degli indagati in uno stral-cio dell’indagine madre sul Co-mune di Villa di Briano.

Secondo gli inquirenti le atti-vità dell’amministrazione PD era-no di fatto nelle mani della fazione del clan dei Casalesi guidata dal boss Antonio Iovine ’o Ninno, at-tualmente in carcere. L’accusa è di voto di scambio elettorale: infatti è stato accertato che il 18 febbra-io 2010, un mese e mezzo prima del voto amministrativo a Villa di Briano, un dirigente della Regione Campania aveva firmato il decreto di approvazione della graduatoria dei progetti ammissibili a finan-ziamento, e tra questi c’era anche lo svincolo sulla Nola-Villa Liter-no, importo di quasi due milioni di euro.

All’epoca Caputo era vice ca-pogruppo del PD in consiglio regionale e componente della commissione Bilancio: alcune in-tercettazioni ambientali mettereb-bero nei guai l’europarlamenta-re, atteso che il 21 maggio 2010 una cimice piazzata in una Peuge-ot 307 registra una conversazione tra alcuni esponenti del PD dove si accenna al patto politico e di affa-ri tutto interno ai neoliberali. I fra-telli Magliulo che avevano retto le

sorti dell’amministrazione corrot-ta di Villa di Briano tramite il sin-daco Daniele, avrebbero sostenu-to con 100mila euro la campagna elettorale di Caputo alle regionali del 28 e 29 marzo 2010 e Caputo in cambio sarebbe intervenuto in Regione Campania per assicura-re i fondi per la realizzazione del-lo svincolo sulla statale Nola-Villa Literno.

Verrà arrestato perché ha an-nunciato di rinunciare alla propria immunità di parlamentare il sena-tore di Forza fascisti Domenico De Siano, già coordinatore regio-nale di Forza Italia, nell’ambito di un’inchiesta su presunte irregola-rità negli appalti per la nettezza urbana. Nello stesso procedimen-to è indagato l’altro parlamentare Luigi Cesaro, ex presidente della Provincia. La richiesta di arresto è stata inviata in Parlamento dal-la Procura di Napoli e in particola-re dal procuratore aggiunto Alfon-so D’Avino e dai sostituti Maria Sepe e Graziella Arlomede che contestano al parlamentare i reati di associazione a delinquere, cor-ruzione e turbativa d’asta.

L’ordinanza con la quale ver-ranno disposti gli arresti domici-liari è stata emessa dal gip Claudia Picciotti: un’azienda per la raccol-ta dei rifiuti sarebbe stata sistema-ticamente agevolata per fargli ag-giudicare appalti in vari comuni del napoletano, tra cui Ischia nel periodo 2010-2014. Le misure cau-telari sono in tutto nove: tre arresti domiciliari e sei obblighi di pre-sentazione alla polizia giudiziaria. Luigi Cesaro è indagato a piede li-bero. I destinatari sono, oltre a De Siano, Oscar Rumolo, responsabi-le finanziario del Comune di Lac-co Ameno; Vittorio Ciummo, tito-lare della società Ego Eco, che si è aggiudicata vari appalti nel settore dei rifiuti; Salvatore Antifono, già consigliere comunale di Torre del Greco; Vincenzo Rando, respon-sabile della Ragioneria di Forio d’Ischia; Giulia Di Matteo, segre-tario generale di Monte di Procida; Francesco Iannuzzi, ex sindaco di Monte di Procida ed ex parlamen-tare; Carmine Gallo, legale rappre-sentante della società Cite, pure aggiudicataria di appalti, e Carlo Savoia, dipendente della Cite.

il governatore pd della basilicata

pittella indagato per corruzione elettoraleCoinvolto anche l’ex sindaco

PD di Potenza SantarsieroC’è anche il nome di Marcel-

lo Pittella, presidente piddino della regione Basilicata, tra i 35 indagati dell’inchiesta avviata dalla procura della Repubblica di Potenza in seguito al dissesto finanziario dichiarato dal consi-glio comunale del capoluogo lu-cano nel novembre del 2014.

Il boss del PD lucano, fra-tello minore dell’eurodeputato Gianni, eletto alla guida della Basilicata nella primavera del 2014, è accusato di corruzione elettorale in riferimento al pat-to di sangue sancito alla vigilia delle scorse elezioni regionali tra il PD e il Centro democra-tico di Bruno Tabacci. I termini dell’accordo prevedevano che Pittella (e con lui Vito De Fi-lippo, allora presidente uscente e oggi sottosegretario alla Sa-lute, e Roberto Speranza, depu-tato bersaniano e boss politico

del PD) garantivano a Tabacci che avrebbe ottenuto un posto in giunta e il diritto di indica-re anche il nome del suo futu-ro assessore, come contropartita del ritiro dall’agone elettorale di Nicola Benedetto, un imprendi-tore di Ferrandina.

Oltre a Pittella, tra gli indagati figurano anche l’ex sindaco di Po-tenza e attuale consigliere regio-nale, Vito Santarsiero, anch’egli esponente del PD, l’ex assessore al bilancio Federico Pace e una trentina fra amministratori, fun-zionari e imprenditori.

L’inchiesta è articolata in di-versi filoni e riguarda tutto il si-stema corruttivo messo in atto dalle giunte di “centro-sinistra”: dalla scandalosa gestione del trasporto pubblico, al servizio di pulizia fino alle modalità con cui si è giunti alla dichiarazione di dissesto finanziario.

referendum: ordalia o democrazia? accettiamo la sfida!di paolo Farinella, prete

Speravamo che la fine del ber-lusconismo al governo diretto del Paese dovesse portare un mini-mo di regole democratiche, eli-minando lo scempio alla dignità della legalità e curando le ferite inflitte a ogni istituzione civile e organizzazione dello Stato. Circa metà degli Italiani ha cosciente-mente tenuto al governo dell’Ita-lia un evasore fiscale, un alleato di mafia, attraverso il suo diretto braccio destro Dell’Utri (ora in carcere). Ora abbiamo anche il conforto di Sandro Bondi, testi-mone qualificato indiscusso che gli fu vate, “servo volontario” ed ex PCI, il quale quatto quatto, cacchio cacchio, viene a dirci con lirica innocenza che a Berlu-sconi nulla importava dell’Italia, perseguendo il fedifrago un solo interesse: il suo e quello delle sue aziende. Quando lo dicevamo noi in epoca non sospetta, erava-mo tacciati di antiberlusconismo ideologico; ora che tutti sanno, fanno finta. Speravamo che il PD volesse riparare lo sfascio, come è sempre accaduto nella storia d’Italia: la destra dilapida e la sinistra aggiusta. Speravamo da impenitenti illusi perché non vole-vamo rassegnarci alla disfatta dei “principia” per cui abbiamo vis-suto e spesso anche dato la vita.

L’arrivo al governo del PD, nel frattempo mutato geneticamen-te in “cosa renziana-boschiana”, costringe a prendere atto che il partito “che fu” delle lotte operaie e della difesa a oltranza della Co-stituzione, ha fretta di dismettere il vocabolario “di sinistra” per-ché se ne vergogna, rincorrendo la destra fino all’incesto contro natura, battezzato - ironia della sorte! - “Nazareno”, col nome di uno che si è fatto crocifiggere pur di restare fedele a sé, senza perseguire interesse personale di alcun genere. Per la terza volta consecutiva, dopo Monti e Letta, il PD smania per andare al gover-no con uno che non è mai stato

eletto (se non per fare il sindaco di una media città come Firen-ze) e da qual momento perde la bussola e si ammala di labirintite. Nei primi tre anni di malgoverno, l’allegra brigata ha fatto una scel-ta di classe: stare dalla parte di Confindustria, precarizzare il la-voro e punire i Sindacati. I numeri mirabolanti di giovani al lavoro sono stati ridimensionati dall’Istat, la furia iniziale (“una riforma alla settimana”) si è acquetata nelle braccia del marpione Marchionne nel proscenio della Borsa del Ca-vallino Rosso (l’unico rosso che questo governo riconosce). Nella finanziaria vi sono più normative a favore delle mafie, degli evasori e dei suoi parenti e del babbo della Boschi Maria Etruria che a tutela dei piccoli risparmiatori. Con la controriforma costituzionale e la legge elettorale, il governo si è posto espressamente contro la democrazia e l’ordine costituzio-nale.

Renzi, infatti, contraddicendo tutto quello che aveva dichiarato e promesso prima di prendere il partito e il governo, ha sopraf-fatto il Parlamento, la Giustizia, addirittura la Corte Costituziona-

le e la TV di Stato, dandosi ruoli e compiti che non gli spettava-no, allargando la propria azione anche dove non gli è lecito. È riuscito così dove Berlusconi ha tentato senza risultato completo perché aveva le piazze piene de-gli iscritti del PD, della sedicen-te sinistra e degli uomini e delle donne di buona volontà demo-cratica.

La riforma costituzionale, in-fatti, non è materia di governo, ma esclusiva prerogativa del Par-lamento, dove non vige il vincolo di partito, ma la libera convinzio-ne e la libertà di coscienza al mo-mento del voto, che comunque, è sempre superiore alla disciplina di partito. Ora sappiamo bene che la riforma costituzionale, anzi la distruzione della Costituzione repubblicana - unita alla legge elettorale che prevede di fatto la trasformazione del Senato del-la Repubblica in dopolavoro per servitori fedeli e proni, è un obiet-tivo che riguarda la perpetuità di Renzi - lo statista di Rignano sull’Arno! - come prosecuzione ideale e storica del berlusconi-smo (senza cene eleganti o alme-no evidenti).

Se qualcuno aveva ancora un dubbio, ha provveduto lui stes-so a toglierlo nel discorso di fine anno 2015, in cui, parlando del referendum confermativo sulla “sua” riforma (in)costituzionale approvata dal succube parla-mento, ha detto: “Se perderò considero fallita la mia espe-rienza politica”. Parole gravi e pericolose, perché un capo di governo, per definizione “prov-visorio”, lega la sorte del suo governo al voto più importan-te per un Paese Democratico e di Diritto, in quanto sancisce le regole “istituzionali” che per loro natura sono “sovrane”, cioè libere da condizionamenti di sorta e di governi. Dicendo queste parole, Renzi ha lanciato un’ordalìa di stampo medieva-le: o con me o il diluvio; se non

mi votate, accettando le “mie” riforme, succederà il finimon-do, perché dopo di me non vi è futuro e l’Italia può sprofondare nell’abisso dell’anarchia.

Ne prendiamo atto e non ci lasciamo sconvolgere. Accettia-mo la sfida. Vogliamo mobilitarci per battere la controriforma (in)costituzionale a firma “Renzi/Boschi”, decisi a prendere due piccioni con una fava sola: scon-figgere lo stravolgimento della Carta del ’48, nata dalla Resi-stenza, e mandare a casa Renzi e la sua ghenga che, insieme, sono spuri alla vita democratica e al Diritto della Decenza. Se è guerra, guerra sia!

Con una differenza - questa sì abissale! - Renzi lotta per il po-tere per sé, per la sua famiglio-la, il babbo della Boschi e i suoi

amici, noi lotteremo senza alcun interesse solo per amore della dignità della Carta Suprema, ga-ranzia di Democrazia, baluardo della dignità del lavoro utile e orizzonte del futuro della nostra Italia. Renzi, che è stato sindaco di Firenze, non dimentichi Carlo VIII e Pier Capponi del 1494 per-ché come allora, se Renzi suo-nerà le sue trombe e trombette, anche noi oggi suoneremo le campane delle nostre coscien-ze e della nostra libertà votando “NO” al referendum confermati-vo. A quel punto, dovrà essere lui a prendere atto che esiste un popolo d’irriducibili e dovrà tor-narsene a Rignano a giocare con i figli sulle rive dell’Arno, magari accompagnato da Boschi Maria Elena Etruria in veste di Baby Sitter a tempo pieno.

L’anpi per iL reFerendum popoLare: “no” aLLa riForma

deL senato ed aLLa Legge eLettoraLe

Riportiamo estratti del co-municato del Comitato naziona-le dell’ANPI sulla riunione del 21 gennaio scorso, nella quale ha deciso con larghissima mag-gioranza (solo tre astenuti) di sostenere il No nel referendum popolare sulla controriforma del Senato.

L’ANPI si schiera per il refe-rendum popolare, per dire “no” alla legge di riforma del Senato ed alla legge elettorale.

La decisione è stata presa nel-

la riunione del Comitato nazio-nale del 21 gennaio dove si è am-piamente ed approfonditamente discusso circa la riforma del Sena-to e la legge elettorale e sulla pro-posta di aderire ai Comitati refe-rendari già costituiti.

In una associazione pluralista come la nostra ci saranno certa-mente opinioni anche diverse da quella prevalsa nel Comitato na-zionale; e del resto, alcune per-plessità e preoccupazioni sono emerse anche in quella sede. Eb-bene, la parola chiave è: “rispetto” di tutte le opinioni, pur nel conte-sto dell’attuazione delle decisio-

ni assunte. Ognuno sarà libero di votare come crede, quando verrà il momento; ma oggi sono da evita-re azioni ed iniziative che contra-stino con la linea assunta dal mas-simo organo dirigente, così come devono essere - da parte di chi è convinto della bontà e della giu-stezza della decisione adottata – evitati toni e comportamenti che in qualche modo possano appari-re prevaricatori. L’ANPI è perfet-tamente in grado di mantenere la sua preziosa unità se tutti rispetta-no le regole, le decisioni adottate e - al tempo stesso - le opinioni di-verse.

Vignetta che circola in internet

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6 il bolscevico / carta dei diritti cgil N. 7 - 18 febbraio 2016

Inciucio tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil per favorire il governo e gli imprenditori

L’aCCordo sULLa rappresentanza e’ Un freno aLLa Lotta sIndaCaLe

e aL dIrItto dI sCIoperoLa Cgil a rimorchio di Cisl e Uil. Emarginati i sindacati minori. Attuato di fatto l’articolo 39

della Costituzione. Napolitano e Letta si spellano le mani per il risultatoL’ACCordo vA rigEttAto

In questi giorni gli iscritti alla Cgil sono chiamati nei loro posti di lavoro a esprimersi con voto palese sulla “Carta dei di-ritti universali del lavoro”. Per comprendere meglio le radici dell’indicazione del PMLI a vo-tare No ai due quesiti referen-dari della Cgil in questa pagina ripubblichiamo l’articolo sulla rappresentanza sindacale, ca-vallo di battaglia appunto del Nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori proposto dalla Cgil, apparso su “Il Bolscevi-co” n. 25/13.

Il 31 maggio è stato firma-to l’accordo sulla rappresentan-za sindacale tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria. Camusso, Bonan-ni e Angeletti per i confederali e Squinzi per gli industriali han-no siglato ufficialmente un’intesa che di fatto era già stata raggiun-ta e che stravolge completamen-te da destra le relazioni industriali nel nostro Paese. Nella sostanza si tratta dell’applicazione, in materia di rappresentanza, dell’accordo del 28 giugno 2011 che a sua vol-ta riprendeva quello separato del 2009 che tra le altre cose prevede-va i “patti in deroga”, ossia la pos-sibilità di modificare a favore del-le esigenze aziendali quasi tutta la materia contenuta nel Contrat-to Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) che veniva disarticolato e ridimensionato fino a diventare una “scatola vuota”.

sindacato delle larghe inteseL’intesa sulla rappresentanza

non ha niente a che vedere con la democrazia sindacale, anzi ne è la sua negazione, è bene chiarir-lo subito. Questo accordo nasce con il chiaro intento di eliminare o quantomeno limitare e preveni-re le lotte dei lavoratori delle fab-briche più combattive che non si piegano di fronte ai padroni e di quei sindacati che non accettano le logiche collaborazioniste e co-gestionarie di Cgil, Cisl e Uil. Il tutto per assicurare agli industria-li un clima di pace sociale quando invece le conseguenze della crisi capitalistica spingono i lavoratori alla ribellione e permettono ai pa-droni di affrontare la competizio-ne con i capitalisti delle altre na-zioni senza avere i conflitti nelle proprie fabbriche.

È questo l’indirizzo di fon-do che sta alla base del patto che non a caso è stato raggiunto in questo preciso momento, duran-te il governo delle larghe intese, che vede le maggiori fazioni del-la borghesia, rappresentate da PD e PDL, assieme al governo. Come abbiamo detto la sostanza di que-sto accordo era già scritta in quel-li del 2009, non firmato dalla Cgil nel suo insieme, e del 2011 osteg-

giato dalla Fiom. Ma la presenza di Berlusconi e del PDL alla gui-da dell’esecutivo non aiutavano certo l’unità dei sindacati confe-derali; la politica del neoduce è sempre stata improntata all’emar-ginazione della Cgil privilegiando accordi con Cisl, Uil e Ugl.

L’avvento del Governo Letta-Berlusconi, con i suoi richiami al “patto tra i produttori”, ovvero l’alleanza innaturale tra padroni e lavoratori, le esternazioni e i dik-tat del nuovo Vittorio Emanuele III, vero promotore, regista e ga-rante di questo governo, Giorgio Napolitano, all’unità nazionale e al “bene comune” hanno cambia-to le carte in tavola e creato un cli-ma favorevole a una nuova unità tra i confederali e in special modo al riavvicinamento della Cgil a Cisl e Uil, puntualmente avvenu-to. Fermo restando la politica go-vernativa fatta di lacrime e sangue per i lavoratori e la linea collabo-razionista di Cisl e Uil che non sono certo cambiate, piuttosto è avvenuta la capitolazione della Cgil, Fiom compresa. Le defini-zione “sindacato delle larghe in-tese”, usata da alcuni osservatori per definire la ritrovata unità ap-pare quindi perfettamente appro-priata.

Uno stop al conflitto socialeQuesto accordo sancisce il mo-

nopolio sindacale di Cgil, Cisl e Uil ed è fatto per allineare cate-gorie che si ribellano come ad esempio i metalmeccanici della Fiom che con queste nuove rego-le a Pomigliano avrebbero dovu-to ubbidire a Marchionne e non avrebbero potuto nemmeno scio-perare contro la Fiat. Se ci adden-triamo nel protocollo d’intesa lo possiamo capire bene. Anzitutto ai sindacati viene misurata la rap-presentatività, da calcolare per il 50% con le deleghe delle quote versate dai lavoratori e per l’altro 50% con i voti ottenuti nelle ele-zioni delle Rappresentanze Sin-dacali Unitarie (RSU). E già qui c’è una discriminazione perché i “sindacati di base” non possono contare sulle trattenute sindacali in busta paga. Poi, fatta la media si dovrà raggiungere almeno il 5% per essere ammessi al tavolo dove si decidono i contratti nazionali.

Ma questo 5% è solo fittizio perché occorre prima dare il pro-prio assenso a queste regole. Di-fatti nel documento si ricorda con-tinuamente che sono ammesse al tavolo delle trattative solo le “or-ganizzazioni sindacali firmatarie della presente intesa”. Quindi pri-ma bisogna sottostare alle regole scritte da Cgil, Cisl, Uil e Confin-dustria, dopodiché, se si raggiun-gono i requisiti, si potrà sedere al tavolo, ovviamente in posizione minoritaria e da semplice spetta-tore. La stessa regola della firma

preventiva vale per la misurazio-ne dei voti nelle elezioni delle Rsu quindi, rimanendo ancora al caso Pomigliano, la Fiom non avrebbe il diritto ad essere rappresentata in Fiat. Ai sindacati che vogliono presentare liste alle elezioni del-le Rsu si chiede una sottomissio-ne, un’abiura preventiva della di-fesa degli interessi dei lavoratori, un’accettazione a priori e comun-que degli accordi svendita. Que-sta è la certificazione della dottri-na mussoliniana di Marchionne.

Di sicuro non è la “consulta-zione certificata dei lavoratori”, come ha affermato Landini che con il suo assenso all’intesa si è rimangiato tutte le lotte che pro-prio sul tema della democrazia sindacale hanno visto la Fiom in prima fila. Il segretario dei metal-meccanici si ripara dietro il para-vento della consultazione dei la-voratori necessaria per approvare a maggioranza i contratti naziona-li le cui modalità “saranno stabili-te dalle categorie per ogni singolo contratto”. Quindi non è nemme-no vero che ad ogni firma seguirà un referendum. Insomma, il con-senso finale dei lavoratori è solo una foglia di fico.

Esistono invece altre clauso-le come quella che prevede che potranno presentare la piattafor-ma contrattuale solo le organizza-zione che da sole o unitariamente supereranno il 50% e solo queste potranno trattare con la contro-parte. Ma la parte forse peggiore è quella che riguarda la limitazio-ne del diritto di sciopero. Difat-ti, dopo tutte queste clausole an-tidemocratiche, quando l’accordo viene firmato ha “piena esigibili-tà”, cioè tutti devono rispettarlo e s’impegnano a “non promuovere iniziative di contrasto agli accor-di così definiti”, cioè non devono scioperare e tutti devono stare zit-ti. Ma addirittura i contratti firma-ti con questa modalità “dovranno stabilire clausole e/o procedure di raffreddamento”: tradotto dal lin-

guaggio burocratico vuol dire che ci saranno penali per i sindacati (e anche per i singoli lavoratori?) che si azzardano a metterlo in di-scussione.

Capitolazione della Cgil

Basterebbero le dichiarazioni che ci sono state a seguito della firma per capire bene a chi giova e a chi nuoce l’accordo sulla rap-presentanza. Quella del capo del governo, il PD di area democri-stiana Enrico Letta: “bravi, bravi, veramente bravi”, oppure quelle di Napolitano che continuamen-te bacchetta e incita i partiti alle controriforme presidenzialiste stavolta è soddisfatto perché per lui l’accordo susciterà “l’apprez-zamento anche delle istituzioni europee” e si augura “che lo spiri-to e il contenuto dell’accordo tro-vino la più larga adesione in tutti gli ambienti imprenditoriali e sin-dacali”. Più espliciti e diretti gli industriali come il capo di Con-findustria Giorgio Squinzi: “dopo 60 anni definiamo le regole per la rappresentanza, che ci permette di avere contratti nazionali piena-mente esigibili” o il suo vice Ste-fano Dolcetta: “l’accordo è una riforma strutturale del sistema di contrattazione per rendere più so-lida anche l’impresa”, un “sistema vicino al modello dell’articolo 39 della Costituzione”.

Questo richiamo alla Costitu-zione apre anche un altro capito-lo, quello della trasformazione del nostro Paese da repubblica unita-ria parlamentare e, almeno sulla carta, antifascista, a regime pre-sidenzialista, neofascista e fede-ralista. Non si può prescindere dall’inquadrare l’accordo in que-stione dal processo di fascistiz-zazione in atto nel Paese, sanci-to anche dall’apposito disegno di legge di questo governo, pressa-to da Napolitano, per arrivare in

tempi rapidi alla controriforma presidenzialista della Costituzio-ne del 1948. In questo caso non si tratta di riscrivere un articolo ma d’interpretarlo da destra; l’ar-ticolo 39 della Costituzione rife-rendosi ai sindacati dice: “....pos-sono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, sti-pulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

Una norma che stabilisce un diritto ma non le regole. Anzi, fi-nora questo articolo veniva im-pugnato per pretendere che tutti i lavoratori beneficiassero dei mi-glioramenti contrattuali, invece in questo accordo se ne dà una let-tura punitiva, e cioè che la mag-gioranza dei sindacati (non dei lavoratori, ndr) decide per tut-ti e chi non è d’accordo si deve per forza adeguare. C’è la prete-sa di cancellare il conflitto socia-le, di prevenire gli accordi sepa-rati che lasciano come strascico gli scioperi e la mobilitazione dei lavoratori, si vuole un sindacato che non sia rivendicativo ma col-laborativo e succube dei padroni. Sono eloquenti le parole del cru-miro Bonanni che dalla tribuna del congresso nazionale della Cisl, svoltosi in questi giorni a Roma, ha detto: “un accordo che valoriz-za tutte le scelte di fondo compiu-te con coerenza dalla Cisl in questi anni, contribuendo al superamento delle cultura antagonistica”

Non c’è stato nessun smacco alla Fiat, come ha detto la Camus-so nè tanto meno la Cgil è riuscita a far cambiare idea a Cisl e Uil, come ha detto Landini. Queste sono di-chiarazioni fatte per buttare fumo negli occhi ai lavoratori; semmai c’è stata la completa omologazio-ne della Cgil, Fiom compresa, al governo Letta-Berlusconi, a Napo-litano, Squinzi e Confindustria, ai sindacati cogestionari e collabora-zionisti Cisl e Uil e l’emarginazio-ne dei sindacati minori, a sinistra

dei tre principali. Nello stesso tem-po, la Cgil di Camusso e la Fiom di Landini con questo vogliono ri-entrare in pieno nelle grazie del pa-dronato, da cui hanno rischiato di essere emarginati.

Un accordo da rigettare

Nonostante quasi tutti i mass-media abbiano santificato l’accor-do come un toccasana per uscire dalla crisi, ovviamente sulle spal-le dei lavoratori, si allarga e si manifesta il dissenso. L’area del-la Cgil che si riconosce nella Rete 28 Aprile ha fin da subito condan-nato l’accordo. Cremaschi ha di-chiarato: “È un accordo ‘storico’, ma in senso negativo. Questo ac-cordo infatti risolve alla radice il problema per i padroni di sceglie-re con chi trattare, perché, con le regole firmate, Cgil Cisl e Uil ac-cettano la limitazione e l’attacco al diritto di sciopero, in pratica il modello Fiat viene esteso a tut-ti i lavoratori”. L’altro esponente dalla Rete 28 Aprile Bellavita ha dichiarato che tale accordo com-porta: “l’affermazione delle poli-tiche d’austerità sul terreno con-trattuale” che cancella “il diritto dei lavoratori alla libera rappre-sentanza, colpiscono il diritto di sciopero e il potere dei lavoratori di migliorare la loro condizione”. Per l’Unione Sindacale di Base (USB) questo è l’accordo della vergogna “utile solo a garantire pace sociale di fronte ai sempre più avanzati processi di riorganiz-zazione produttiva”. Per i Cobas ( Confederazione dei Comitati di Base) “è la logica conseguenza dell’insulso inciucio che ha co-struito il governo Letta, finaliz-zato alla logica corporativa della pace sociale”

La Camusso è stata contesta-ta da una parte della platea a un convegno a Milano al grido di “lo sciopero non si tocca” mentre si alzano grida di protesta da diver-se fabbriche, specialmente metal-meccaniche. Segnaliamo le voci contrarie delle RSU-Fiom della Piaggio di Pontedera (Pisa), Same di Treviglio (Bergamo), Oerlikon Graziano di Rivoli (Torino), In-siel di Trieste. La parte più avan-zata della classe operaia con le sue lotte dovrà far capire a tutti i lavoratori che in buona parte ne sono ancora all’oscuro, la neces-sità di rigettare questo accordo, che non a caso, per la sua gravità e la sua portata, aggiungiamo noi, capo del governo, presidente della Repubblica e rappresentante degli industriali hanno definito “stori-co”. Dal loro punto di vista non hanno torto, poiché si tratta della consacrazione delle relazioni in-dustriali mussoliniane introdot-te da Marchionne alla FIAT, che vanno ostacolate in ogni modo, usando qualsiasi metodo di lotta di massa ritenuto necessario.

Milano, 14 novembre 2014. Sciopero generale dei metalmeccanici. Il PMLI tiene alta la propria bandiera insieme a quella della Fiom

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(…) Siamo qui per chiedervi di votare per il PMLI e il socialismo attraverso l’astensionismo, ossia disertare le urne, votare nullo o bianco. Ciascuno scelga la forma di astensionismo che ritiene tatticamente più opportuna al suo caso. L’astensionismo, così inteso e praticato, è l’unico voto anticapitalista, antimperialista, antifascista, antipresidenzialista, antifederalista e antirazzista. Votare diversamente equivale esattamente al contrario, ossia dare il consenso, di fatto, agli oppressori e agli sfruttatori, ai nemici e agli imbroglioni del popolo. Sul piano elettorale solo con l’astensionismo marxista-leninista si fa chiarezza tra il campo del proletariato e del socialismo e il campo della borghesia e del capitalismo, si eleva la coscienza politica e la combattività delle masse, si educano le nuove generazioni alla lotta rivoluzionaria, antistituzionale e antiparlamentare, si indeboliscono, si disgregano e si delegittimano le istituzioni rappresentative borghesi e i partiti che le appoggiano. L’astensionismo marxista-leninista è quindi un voto che esprime una ben precisa volontà politica, una dichiarazione aperta di guerra al capitalismo e ai suoi partiti, e di schieramento con il PMLI e il socialismo. L’unico voto coerente che possano esprimere un’elettrice e un elettore di sinistra. Un voto che nel passato poteva essere espresso votando gli eventuali candidati e le liste del PMLI. Oggi però non più, dal momento che le masse a milioni disertano le urne ... e dal momento che l’esperienza dell’utilizzazione del parlamento dimostra che sono più gli svantaggi che i vantaggi che possiamo ricavarne ai fini della lotta di classe per la conquista del potere politico da parte del proletariato. I marxisti-leninisti di tutto il mondo fin dai tempi di Marx ed Engels, e grazie ai loro insegnamenti, pur coscienti del pericolo del “cretinismo parlamentare”, che consiste nel credere di poter arrivare al socialismo conquistando la maggioranza elettorale e per via parlamentare, hanno in passato utilizzato quando hanno potuto e per motivi tattici anche la tribuna elettorale per combattere la borghesia e il capitalismo, ma mai nel corso di una rivoluzione e sempre in subordine alla lotta di classe e facendo bene attenzione a non creare illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e pacifiste nelle masse. Ben diverso è stato l’atteggiamento dei revisionisti, falsi comunisti. Le masse allora erano attratte dalle istituzioni rappresentative borghesi e dalle novità apportate dal parlamento rispetto alle assemblee delle monarchie, le consideravano degli organismi democratici e non era facile convincerle a non utilizzarle. Oggi, visto che tali istituzioni hanno sempre meno presa sulle masse e sono avvertite come estranee, se non nemiche, e dopo aver verificato che prendendovi parte si finisce col rafforzarle mentre si indebolisce la coscienza rivoluzionaria e antiparlamentare delle masse, noi abbiamo ritenuto necessario abbandonarle e scegliere l’astensionismo

come la posizione tattica elettorale migliore e più funzionale alla nostra strategia rivoluzionaria. L’astensionismo ci aiuta a staccare ancor più le masse dal parlamento e dalle altre istituzioni rappresentative borghesi (consigli comunali, provinciali e regionali), ci aiuta a rendere le masse più fiduciose nelle proprie possibilità e a coinvolgerle nella lotta di classe. Per questo noi invitiamo le masse anticapitaliste, astensioniste e fautrici del socialismo, comprese le ragazze e i ragazzi fin dai 14 anni che hanno questo stesso orientamento politico ed elettorale, a creare ovunque in Italia delle proprie istituzioni rappresentative costituite dalle Assemblee popolari e dai Comitati popolari. Le invitiamo cioè a unirsi periodicamente in Assemblea popolare, indipendentemente dai partiti di appartenenza, nel quartiere, frazione di comune o zona rurale in cui risiedono, sotto la direzione del proprio Comitato popolare per stabilire la propria piattaforma politica e rivendicativa, le proprie lotte, attività e iniziative sociali aperte a tutta la popolazione del proprio territorio. Ogni Assemblea popolare deve dotarsi di un regolamento interno in grado di assicurare la propria vita democratica e la propria operatività e deve avere un proprio governo denominato Comitato popolare i cui membri devono essere eletti con voto palese e con mandato revocabile in qualsiasi momento. Esso deve essere composto da un numero paritario di donne e uomini, eleggibili fin dall’età di 16 anni indipendentemente dalla razza, dalla confessione religiosa o dal loro ateismo e dall’orientamento sessuale. Dai Comitati popolari di quartiere, a catena e per elezioni sempre sulla base della democrazia diretta, si passerà ai Comitati popolari cittadini, provinciali, regionali, fino ad arrivare al Comitato popolare nazionale, che rappresenta il governo centrale delle masse anticapitaliste, astensioniste e fautrici del socialismo. Si tratta cioè di creare un’organizzazione politica e istituzionale anticapitalistica delle masse che si contrapponga a tutti i livelli a quella dello Stato borghese. Delle istituzioni rappresentative permanenti delle masse, in cui le masse siano sovrane e attraverso cui possano contrapporre idee, scelte, soluzioni, indirizzi a quelli dei governi ufficiali locali, provinciali, regionali e nazionale. Così da produrre un costante confronto, un braccio di ferro e uno scontro tra istituzioni e linee politiche contrapposte per strappare alle amministrazioni borghesi il massimo possibile di benefici per le masse, specie per quanto riguarda il lavoro, la casa, i servizi sociali, le tasse, le imposte e le tariffe

(Dal discorso pronunciato a Napoli il 5 maggio 2001)

VOTATE PER IL PMLI E IL SOCIALISMOASTENENDOVIdi Giovanni Scuderi

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8 il bolscevico / elezioni comunali N. 7 - 18 febbraio 2016

Milano

Sala, votato dalla deStra, vincele priMarie pd

Redazione di Milano �Domenica 7 febbraio si è con-

clusa come da copione la sce-neggiata delle votazioni primarie del PD che ha ufficializzato la candidatura a neopodestà di Mi-lano dell’amministratore delegato di EXPO spa, Giuseppe Sala, già designata dal nuovo duce Renzi e fortemente voluta dalla grande borghesia cittadina e nazionale.

Hanno partecipato al voto 60mila residenti, 7mila in meno rispetto a cinque anni fa. Quasi 25mila hanno votato per Sala, primo col 42% dei consensi; seguono la piddina attuale vice-sindaco e assessore al Bilancio Francesca Balzani (34%), l’as-sessore PD alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino (23%) e il presidente dell’associazione sportiva Uisp Milano Antonio Ian-netta (0,73%).

Majorino, Balzani e Iannetta, a caccia di voti per rivendicare un posto nella futura giunta a guida PD, hanno assolto bene al loro ruolo di copertura a sinistra della candidatura predesignata dall’al-to di Sala. Con un sapiente gioco delle parti hanno attratto a sé (con programmi “di sinistra” farciti con fantasmagoriche promesse) la maggioranza della base e degli elettori del PD - che certo non simpatizza per il prescelto di Ren-zi – finendo col garantire la vittoria del loro falso avversario con una maggioranza relativa. A giochi fatti, tutti insieme allegramente,

hanno lanciato l’appello: “e ades-so tutti uniti per Beppe Sala!”; appello, ovviamente, sottoscritto anche dal neopodestà uscente, l’arancione Giuliano Pisapia.

Dal canto loro i potenti soste-nitori di Sala hanno comunque dovuto garantirgli una maggio-ranza di voti alle primarie, seppur relativa. Per fare questo è stato necessario muovere “pacchetti di voti” sicuri, più probabilmente legati a clientelari voti di scambio che mossi da sincere convinzioni politiche. Oltre ai fedelissimi ren-ziani (per scelta o per “obbligo”) tra gli iscritti e i simpatizzanti PD, a votare Sala ci sono contingenti di elettori provenienti da destra: gli ex berlusconiani che fanno capo al plurinquisito e intrallaz-zatore della cosiddetta P3 Denis Verdini (il quale ha dichiarato uffi-cialmente il suo “endorsement”); gli affiliati e i clienti della potente lobby politico-affaristica cattolica di Comunione e Liberazione (della quale è socio fondatore Fiorenzo Tagliabue che con la sua società di comunicazione guida le strate-gie elettorali di Sala); elettori de-mocristiani del Centro Democra-tico dell’ex assessore al Bilancio Bruno Tabacci dietro il quale si cela la clerico-fascista Opus Dei tramite Giuseppe Garofano (già condannato a 3 anni di reclusio-ne, ai tempi di tangentopoli nel processo Enimont, per finanzia-mento illecito ai partiti quand’era presidente di Montedison, ed oggi

presidente della holding di parte-cipazioni industriali “Alerion”) ed Ettore Gotti Tedeschi (già coinvol-to - insieme agli altri vertici dello IOR che presiedeva - in un’inda-gine della Procura di Roma per supposta violazione delle norme antiriciclaggio), ambedue dichia-rati sostenitori di Sala.

Ha destato forti sospetti di voto di scambio, inoltre, l’anoma-la alta affluenza di cittadini cinesi residenti nella zona di Via Paolo Sarpi guidati in gruppo e istruiti a dovere da attivisti connazionali. L’indicazione di voto campeg-

giava da giorni sul sito in lingua cinese “huarenjie.com”: “i cinesi di Milano devono tirar fuori la loro forza” in sostegno di Sala, invito corredato da una foto in posa del candidato prescelto e dalla car-tina della città con i seggi dove andare a votarlo. Il fatto che molti di loro non avessero nemmeno una basilare consapevolezza per motivare il voto è stato anche ri-levato da vari servizi giornalistici come quello del 7 febbraio, edi-zione delle 13.30 del tg “La7”, che ha persino sorpreso un vo-tante cinese mentre fotografava

col cellulare la carta d’identità e il talloncino della scheda che, assieme alla foto (fatta in cabi-na, ovviamente) della scheda col voto espresso, può fungergli da prova documentale per riscuote-re il “premio” pattuito.

Sala ha provato a carpire an-che i voti dell’elettorato di sini-stra, strizzando l’occhio a quello giovanile anzitutto, quando, alla festa di chiusura della sua cam-pagna per le primarie, ha esibito una maglietta con l’effige di “Che” Guevara (icona mai scomoda per la borghesia) promettendo di “ti-

rarla fuori quando, a giugno, sarò sindaco della città”. Riteniamo però che sarà difficile che i giova-ni cedano ai suoi ammiccamenti dato il trattamento che Sala ha riservato a molti di loro durante l’EXPO sfruttandoli a gratis o per quattro soldi, senza diritti, per brevi periodi e senza alcuna pro-spettiva lavorativa futura.

Ai fatti le primarie si sono dimo-strate una sceneggiata per dare visibilità al principale partito della “sinistra” borghese e legittimità al suo candidato neopodestà. In esse non sono entrati i bisogni e gli interessi degli operai, dei lavo-ratori, dei disoccupati, degli stu-denti, delle donne e dei pensionati milanesi, bensì quelli della grande borghesia nazionale e cittadina.

Per noi marxisti-leninisti c’è una sola scelta di classe per bloccare questa pericolosissima convergenza politica interbor-ghese pro-Sala e per delegitti-mare i vomitevoli intrallazzi per sostenerlo (destinati a estender-si con l’avvicinarsi delle elezioni comunali), negare il voto a tutti i partiti in lizza per Palazzo Marino e quindi delegittimare le corrotte e antipopolari istituzioni borghesi e chi le sostiene.

Affinché Milano sia governata dal popolo e al servizio del popo-lo ci vuole il socialismo e il primo passo in tale direzione è quello di astenersi, disertando le urne, an-nullando la scheda o lasciandola in bianco.

Benedetta da renzi che noMina SottoSegretario l’alfaniano tonino gentile

pd e ncd verso l’alleanza elettorale a cosenzaIn vista delle amministrative

della prossima primavera prove tecniche del partito della nazione fascista anche a Cosenza.

PD e NCD si presenteranno insieme alle elezioni per accapar-rarsi la carica di sindaco. Gli ef-fetti di questa alleanza non hanno tardato a emergere: nella notte tra il 6 e il 7 febbraio scorso Mario Occhiuto (FI) sindaco uscente, è stato sfiduciato da 17 consiglieri comunali, tra cui il suo ex fede-lissimo presidente del Consiglio comunale Luca Morrone, che hanno presentato le dimissioni alleandosi con Gentile. Occhiuto è anche il presidente della pro-vincia di Cosenza, nominato con i voti dei consiglieri dei comuni della provincia come previsto dalla sciagurata “riforma” Delrio che ha ristretto gli spazi di demo-crazia borghese.

E mentre Cosenza si prepara al commissariamento non è stato individuato ancora il candidato per effetto della lotta fra le varie fazioni interne al PD, per questo motivo si terranno le primarie il 6 di marzo.

L’alleanza PD-NCD a Cosen-za viene da lontano. Fortemente voluta dal nuovo duce Renzi, che ha da poche settimane nominato il senatore Antonio Gentile detto ‘U Cinghiale’ sottosegretario alle attività produttive, uomo forte in-sieme al fratello Pino e agli altri suoi familiari dell’NCD di Alfano in Calabria.

L’avvicinamento fra la “dinastia politica” dei Gentile (che nasce nel PSI degli anni ’70 a Cosenza all’ombra dell’allora segretario nazionale Giacomo Mancini) e il PD inizia con la condanna per il caso Fallara dell’ex governatore, il fascista mal-ripulito Giuseppe

Scopelliti, nella cui giunta Pino Gentile fu assessore ai lavori pubblici.

Si consolida poi con la nomina del “cinghiale” a sottosegretario ai trasporti nel neonato governo Renzi nel 2014, anche se in que-sto caso fu costretto a dimetter-si per il vergognoso caso della censura al quotidiano “L’ora della Calabria”.

Prosegue quindi con la scel-ta, alle regionali anticipate del novembre 2014, di NCD e UDC di presentarsi da soli, fuori dal “centro-destra”, col malcelato obiettivo di favorire l’elezione a governatore di Mario Oliverio del PD, con la candidatura a presi-dente della regione del senatore Nico D’Ascola (eletto, in realtà nominato, in Calabria con il PDL come Gentile e la neosottosegre-taria al turismo, oggi NCD, Dorina Bianchi) il quale è stato eletto da poche settimane presidente della commissione giustizia del Senato con i voti del PD.

Per quanto riguarda in partico-lare Cosenza, i Gentile, va ricor-dato, furono fra i massimi artefici dell’elezione di Occhiuto a sinda-co, tanto da riuscire ad imporre Katya Gentile (figlia di Pino) come vicesindaco della città.

Occhiuto (nel frattempo pas-sato dall’UDC a FI) la estromet-terà però dopo pochi mesi sca-tenando una guerra con gli ex alleati con tanto di strascichi giu-diziari e accuse di “mafiosità” da parte di Occhiuto ai Gentile spe-cie durante la lotta per l’elezione a presidente della provincia vinta per pochi voti contro il sindaco di Rende Marcello Manna, sostenu-to anche dai Gentile.

L’alleanza anche sul piano am-ministrativo per la città dei Bruzi,

consolidata e benedetta da Ren-zi e da Oliverio, sembra dunque cosa fatta.

Non è stato trovato ancora il candidato a sindaco, per effetto della lotta di potere interna al PD cosentino, tra vari esponenti del partito:

Nicola Adamo (ex uomo forte del PD regionale, marito di Enza Bruno Bossio, deputata naziona-le) il quale, travolto da “Rimbor-sopoli” torna in Calabria dopo ben 7 mesi di divieto di dimora nella regione.

Carlo Guccione, ex assesso-re regionale al lavoro nella prima mini-giunta borghese neofascista e filomafiosa di Oliverio defene-strata dalla “Rimborsopoli” cala-brese, che punta sulla candida-tura alle primarie di Enzo Paolini, consigliere comunale di FI e “re delle cliniche private”, gradito ai Gentile.

Lucio Presta, detto il “signor Rai” (fu indagato per concussio-ne nei confronti di alcuni dirigenti della Rai, è impresario fra gli altri del giullare del regime neofasci-sta, il clericopiddino Roberto Be-nigni), il quale ha già presentato la sua lista “Amo Cosenza” ed ha dato la sua disponibilità a Renzi per la candidatura a sindaco, ma non ha intenzione di partecipare alle primarie.

Giacomo Mancini jr. (nipote dell’omonimo defunto ex segre-tario del PSI) che ritorna a “si-nistra” attraverso Denis Verdini dopo essere stato vicepresiden-te della nera giunta regionale di Scopelliti e vari altri arnesi rimasti a bocca asciutta sia alla regione che a Palazzo Chigi, cosa do-vuta per alcuni di loro al fatto di essere troppo poco “renziani” e troppo vicini ad Oliverio, che vin-

se le primarie regionali nel 2014 come espressione della “sinistra” PD contro il renziano segreta-rio regionale Ernesto Magorno e il vendoliano Gianluca Callipo. Questa è una delle ragioni per le quali Renzi dalla Calabria ha por-tato al governo uomini di Alfano e non del PD, per colpire i “non allineati” a lui e manovrare meglio Oliverio ridimensionandolo.

Considerando lo sfascio deter-minato da Occhiuto e dalla destra tanto a livello comunale quanto

provinciale, il qualunquismo di destra del M5S che ha individua-to il suo candidato sindaco in Gu-stavo Coscarelli con metodi che, al di là delle chiacchiere, con la “democrazia diretta” non hanno nulla a che spartire, è del tutto evidente che per il popolo cosen-tino alle prossime comunali l’uni-ca alternativa di classe è quella votare per il PMLI e il socialismo impugnando l’arma dell’astensio-nismo tattico marxista-leninista (disertare le urne, annullare la

scheda o lasciarla in bianco) per delegittimare le istituzioni rap-presentative borghesi e i partiti e i candidati al servizio del ca-pitalismo, innescando la lotta di classe fuori dalle marce istituzioni locali del regime neofascista, con l’obiettivo strategico di creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo ba-sate sulla democrazia diretta: le Assemblee popolari e i Comitati popolari.

ASTENSIONISTI DI SINISTRA, FAUTORI DEL SOCIALISMO,SOTTOSCRIVETE PER IL PMLI

Il PMLI sta impegnandosi al massimo per sostenere la campagna elettorale astensionista. Si sta svenando economicamente per far giungere la sua voce antica-

pitalista, contro il regime neofascista e il governo Renzi, per l’Italia unita, rossa e socialista a un maggior numero possibile di elettrici e di elettori. I militanti e i simpatizzanti attivi del Partito stanno dando il massimo sul piano economico. Di più non possono dare.

Il PMLI fa quindi appello a tutte le astensioniste e agli astensionisti di sinistra e ai sinceri fautori del socialismo, indipendentemente se voteranno i loro attuali partiti, per aiutarlo economicamente, anche con piccoli contributi da uno a 5 euro. Nel supremo in-teresse del proletariato e della causa del socialismo.

Compagne e compagni astensionisti di sinistra e fautori del socialismo, aiutateci anche economicamente per combattere le illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e governative e per creare una coscienza, una mentalità, una mobilitazione e una lotta rivoluzionarie di massa capaci di abbattere il capitalismo e il potere della borghesia e di istituire il socialismo e il potere del proletariato.

Consegnate i contributi nelle nostre Sedi o ai nostri militanti oppure inviate i contributi al conto corrente postale n. 85842383, specificando la causale, intestato a: PMLI - Via A. Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE

Ogni euro dato per la campagna elettorale astensionista del PMLI è un euro dato per la vittoria del proletariato sulla borghesia e sulle sue istituzioni, del socialismo sul capi-talismo, del marxismo-leninismo-pensiero di Mao sul riformismo e sul revisionismo, del PMLI sui falsi partiti comunisti.

Grazie di cuore per tutto quello che potrete fare.

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Perché i comuni siano governati

dal popolo e al servizio del popolo

ci vuole il socialismo

ASTIENITICREIAMO LE ISTITUZIONI

RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE

FAUTRICI DEL SOCIALISMO

NON VOTAREI PARTITI

BORGHESI AL

SERVIZIO DEL

CAPITALISMO

Delegittimiamo

le istituzioni

rappresentative

borghesi

NON VOTAREI PARTITI

BORGHESI AL

SERVIZIO DEL

CAPITALISMO

ASTIENITIDelegittimiamo

le istituzioni

rappresentative

borghesi

Majorino, Balzani e Iannetta lo sosterranno rivendicando un posto in giunta. Pisapia sottoscrive l’appello a unirsi

attorno al beniamino della borghesia

I quattro candidati delle primarie PD uniti nel sostegno al renziano Sala. Nella foto da sinistra: Giuseppe Sala, Antonio Iannetta, Francesca Balzani, Pierfrancesco Majorino

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N. 7 - 18 febbraio 2016 elezioni comunali / il bolscevico 9L’alternativa non è “Chiara” ma il socialismo

La pentasteLLata appendino Candidata daLL’aLto aLLa CariCa di sindaCo di torino

I 5 stelle puntano a tranquillizzare la borghesia torinese �Dal nostro corrispondente del PiemonteChiara Appendino, borghese

doc dal volto pulito, è la candida-ta dei 5 stelle per la carica di sin-daco della città di Torino. Tren-tunenne, bocconiana e da poco diventata mamma, la giovane Appendino è sposata con un in-dustriale torinese e ha un inca-rico dirigenziale nella sua azien-da.

La sua candidatura, una del-le prime a essere ufficializzate lo scorso novembre, è stata e vie-ne tuttora presentata dai media di regime come la vera “novità” nella corsa per Palazzo Civico. Appendino si trova in effetti a sfi-dare arcinoti caporioni della poli-tica borghese come Piero Fassi-no, sindaco PD uscente in cerca della rielezione, l’arcirevisioni-sta ed imbroglione Marco Rizzo, che intende usare la campagna elettorale per lanciare il suo fal-so partitino “comunista” e Gior-gio Airaudo, parlamentare di Sel e già sindacalista riformista della Fiom. In mezzo a questi rottami della politica borghese la penta-stellata Appendino sta avendo in effetti gioco facile ad autoincen-sarsi come il “nuovo che avanza” e come moralizzatrice (in un ac-ceso dibattito nella sala consilia-re Fassino la ebbe a definire con scherno la “Giovanna d’Arco del-la pubblica morale”) del corrotto mondo della politica borghese.

Una candidatura della borghesia

torinese Quella della pentastella-

ta Chiara Appendino è a tutti gli effetti, al pari di tutti gli altri ca-porioni in corsa per la carica di neopodestà di Torino, una can-didatura espressione della bor-ghesia cittadina. Il suo pedigree “doc” è consono al ruolo che, in caso di vittoria, si troverà a rico-

prire. Il padre della Appendino, vicepresidente di Prima Industrie e braccio destro di Gianfranco Carbonato che guida Confindu-stria Piemonte, è di casa nei sa-lotti della borghesia bene di To-rino. Degna figlia di tale padre, Chiara, come detto, è dirigente - lautamente stipendiata - nell’a-zienda del marito ed è conside-rata un astro nascente nel mon-do delle piccole e medie imprese che, a suo dire, rappresentano la vera spina dorsale dell’econo-mia torinese. Non le lavoratrici ed i lavoratori sfruttati bensì i loro sfruttatori borghesi. Ecco chi, se-condo la Appendino, deve rice-vere il pieno supporto delle istitu-zioni politiche comunali! Nel suo libro “La città solidale, per una comunità urbana” - considera-to dai più come il suo manifesto elettorale - esprime come pro-pria la cultura borghese impre-gnata di liberalismo e, sul ver-sante economico, esalta il libero mercato e l’“impresa” come valo-re da difendere ad ogni costo. I suoi punti di riferimento sono l’e-conomista borghese di “sinistra” Keynes ed il nostrano Adriano Olivetti. Soprattutto quest’ultimo - nel migliore stile dell’ipocrita “si-nistra” borghese - viene incensa-to come imprenditore illuminato e filantropo sostenitore dell’inter-classista “Movimento Comuni-tà” da prendere come esempio. Inutile dire che la Appendino non fa riferimento alcuno ai crimini di Olivetti che nelle sue azien-de, nel corso degli anni ’50 e ’60, esponeva senza precauzione al-cuna (nonostante ne fossero già noti i gravissimi rischi) i propri la-voratori all’amianto.

Nei trascorsi cinque anni in cui è stata seduta nella Sala ros-sa come consigliera comunale Chiara Appendino non ha certo brillato né per iniziativa né per risultati. A dispetto delle sue in-fuocate quanto del tutto sterili di-scussioni con il neopodestà Fas-

sino - le solite polemiche in cui i pentastellati si presentano come i moralizzatori della politica - la Appendino non ha ottenuto nep-pure il minimo miglioramento delle condizioni di vita delle mas-se popolari torinesi e neppure è stata capace di denunciare le condizioni di degrado del prole-tariato cittadino. Nessuna reale contestazione al corrotto siste-ma politico cittadino al soldo del-la borghesia torinese - corrotto sistema di cui del resto la Appen-dino è stata ed è parte integrante - ma soltanto critiche e denunce da quattro soldi per l’affidamento “poco trasparente” di incarichi e consulenze.

Anche se il suo programma elettorale non è ancora stato reso noto, Appendino ha subito messo in chiaro che intende met-tere al centro della propria agen-da elettorale le piccole e medie imprese (anche quella di pro-prietà di famiglia?) che dovran-no ricevere i dovuti supporti dalla politica locale. “Vogliamo valoriz-zare il commercio e sostenere il tessuto delle piccole e medie imprese presenti sul nostro ter-ritorio” questo il punto fermo del programma elettorale della can-didata pentastellata. Preveden-do massicci tagli alla spesa per la politica (tagli che, se necessa-rio, investiranno anche la spesa sociale della città?) la Appendino intende ricavare almeno cinque milioni di euro da destinare alle imprese come finanziamenti. In-somma: pieno supporto all’eco-nomia borghese cittadina!

ipocrisia grillina all’ombra della Mole

Non appena eletta consiglie-re comunale nel 2011 la Appen-dino nel corso di una conferenza stampa ha orgogliosamente di-chiarato di rinunciare all’indenni-tà mensile di carica - circa duemi-la euro mensili - dimenticandosi

però di aggiungere che l’azienda del marito avrebbe continuato a corrisponderle il suo stipendio di dirigente a titolo di “permesso re-tribuito”. A fronte di un taglio fit-tizio dell’indennità la Appendino ha quindi continuato a percepire il suo lauto stipendio da dirigen-te, pagato dai sacrifici delle lavo-ratrici e dei lavoratori dell’azien-da di famiglia. Che dire poi della sua attuale “candidatura”? Alla faccia della democrazia on-line tanto cara ai grillini la Appendino non si è dovuta sottoporre alle “primarie” del Movimento. Senza alcuna consultazione della base (non era forse questa la forza dei 5 stelle, la “democrazia dal bas-so”?) è stata scelta all’unanimi-tà dai 250 grandi elettori penta-stellati del Piemonte. Forte del suo mandato ricevuto “dall’alto” ha subito messo in chiaro la li-nea della propria campagna elet-torale e, alla pari di ogni borioso borghese che si rispetti, ha di-chiarato che avrebbe deciso per-sonalmente la squadra da met-tere in lista solo dopo la messa a punto del proprio programma elettorale.

Quale la primissima preoc-cupazione della Appendino? Le masse popolari torinesi e le loro sempre peggiori condizioni di vita? Nulla di tutto ciò! Al pari di ogni politicante borghese ha im-mediatamente provveduto a si-lurare il suo concorrente di par-tito - già candidato sindaco alle scorse elezioni amministrative - Vittorio Bertola. Questi, non ap-pena ricevuta la laconica comu-nicazione che non sarebbe stato messo in lista come vicesindaco, ha dichiarato: “Non mi è piaciuto che la scelta sia arrivata da una riunione di partito chiusa, inve-ce che da un’assemblea aperta per lo meno agli iscritti al portale nazionale: i sostenitori di Appen-dino hanno scritto un messag-gio precotto, con lo stampino, na-scondendosi dietro a un dito, a un

muro di gomma. L’apparato - lo so è che è una brutta parola - si è ap-piattito su Appendino”. A fronte di una lista di candidati scelta di per-sona (forse anche e soprattutto come contrappeso a questo spic-cato decisionismo) la pentastel-lata Appendino ha annunciato di volere introdurre una sorta di ban-do di concorso pubblico per sele-zionare gli assessori della sua (in caso di vittoria) giunta. “L’obiettivo è mettere in campo le persone mi-gliori, con le competenze miglio-ri”, ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa.

Staremo a vedere chi verrà “selezionato” come assessore della sua potenziale giunta ma possiamo fin da ora scommette-re che la modalità di scelta saprà decantare, in modo più o meno pilotato, la “crema” della borghe-sia cittadina forte dei suoi robo-anti titoli accademici borghesi e delle sue prestigiose esperienza professionali in Italia e all’estero. Un bando di concorso pubblico per selezionare gli amministra-tori? Il criterio scelto è partico-larmente grave in quanto riduce ancora di più i già limitati spazi offerti dalla democrazia e dall’e-lettoralismo borghesi alle mas-se popolari. Queste saranno del tutto escluse dagli organi di go-verno borghesi ancora prima delle elezioni farsa, sulla base di criteri meritocratici finalizza-ti a realizzare un governo locale di tecnocrati ligi agli ordini della borghesia cittadina.

L’alternativa per le masse torinesi è il

socialismoPer noi marxisti-leninisti non

ci sono dubbi, nessun candidato alla carica di neopodestà di To-rino potrà offrire il benché mini-mo miglioramento alle condizioni di vita delle masse popolari tori-nesi. Il proletariato non deve far-

si ingannare. Nessun candida-to dei partiti borghesi, men che meno la pentastellata Chiara Appendino, potrà offrire alcuna vera alternativa alla schiavitù sa-lariata a cui la classe dominan-te costringe. Alla parola d’ordine lanciata dal Movimento 5 stelle per le elezioni comunali: “l’alter-nativa è Chiara”, le masse popo-lari torinesi devono rispondere a gran voce che l’unica vera alter-nativa è il socialismo.

Appendino cerca di presen-tarsi come candidata di “sini-stra” e, soprattutto negli ultimi giorni, non ha perso occasio-ni per rilanciare la propria im-magine di “ragazza del popolo” con partecipazioni e comizi im-provvisati nei quartieri popolari della città e schierandosi in fa-vore di un “sì” compatto del Mo-vimento 5 stelle al Ddl Cirinnà sulle unioni civili. Chiara Appen-dino una candidata di “sinistra” per Torino? Certo, se eletta sin-daco del capoluogo piemonte-se sarebbe un’ottima galoppina della corrente di “sinistra” del-la classe dominante borghese nelle corrotte istituzioni politi-che cittadine! No, il proletaria-to e le masse popolari torinesi non devono dare alcuna fiducia a questa imbrogliona patentata e devono respingere al mittente le sue menzogne imbracciando l’arma dell’astensionismo. Solo delegittimando le corrotte isti-tuzioni rappresentative borghe-si negando loro il voto e solo abbracciando la proposta del PMLI di creare le istituzioni rap-presentative delle masse fautri-ci del socialismo - le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla democrazia diret-ta - le masse popolari torinesi potranno contrastare il dominio della borghesia cittadina, pri-mo e fondamentale passo ver-so il socialismo con cui potran-no avere Torino governata dal popolo e al servizio del popolo.

MoviMenti a destra e a “sinistra” in vista delle elezioni coMunali a Bologna

11121519

Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltrasporti-Uil - Pulizie e multiservizi – Cns, Ciclat, Manital, Manutencoop, Dussmann service,Team

Service, Maca e Smeraldo – Sciopero lavoratori servizi di pulizia,ex Lsu, Appalti storici Istituzioni scolastiche

Usb-Lavoro Privato – Sciopero personale Trasporto Aereo, Gruppo Meridiana Fly - Esclusione personale Meridiana

MaintenanceOrsa-Settore Ferrovie - Trasporto Merci - Compagnia

Ferroviaria Italiana – Sciopero di tutto il personale mobile di C.F.I.

Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil - Energia e Petrolio – Sciopero lavoratori Eni SpA, Saipem SpA

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI

9 Cobas pt-Cub-Usb – Poste-Comunicazioni – Sciopero lavoratori Poste Italiane SpA

FEBBRAIO

SEL spaccata. Nella “Coalizione Civica” anche chi vuole “buttare via le bandiere rosse”

�Dal nostro corrispondente dell’Emilia-RomagnaA 5 mesi dalle elezioni co-

munali che decideranno la prossima giunta e il prossimo sindaco di Bologna, di sicuro c’è solo la candidatura per il secondo mandato dell’attua-le sindaco PD Valerio Mero-la e quella del raccomandato (da Grillo) consigliere comu-nale del M5S Massimo Buga-ni. Alla loro destra e “sinistra” invece ancora nulla di deciso.

In Forza Italia vi sono al-cuni pretendenti ma Berlu-sconi giorni fa ha avanzato la candidatura di Vittorio Sgarbi che però sta pensando anche alle comunali di Milano, l’im-portante è andare a caccia di poltrone. La Lega Nord ha po-sto subito l’altolà in quanto ha già lanciato la consigliera co-

munale in camicia nero-ver-de Lucia Bergonzoni e il patto FI-Lega prevede che vi siano candidati condivisi in tutte le città.

Anche a “sinistra” c’è gran-de divisione.

Prima è stato Mauro Zani, ex dirigente PCI/PDS che nel 2009 non ha aderito al PD, ad annunciare la nascita di “Coa-lizione Civica”, alla quale ade-riscono “Possibile” di Civati, una parte di SEL con i con-siglieri comunali Mirco Piera-lisi e Cathy Latorre, ex PRC, ex M5S, sindacalisti e alcu-ni centri sociali con il leader Gianmarco De Pieri che ha dichiarato: “E’ ora di buttare via le bandiere rosse”. Zani lo ha rassicurato: “nel nostro ap-pello iniziale come Coalizione Civica la parola ‘sinistra’ nem-meno c’era”; eppure ha l’o-

biettivo di unire tutto ciò che si trova a “sinistra” del PD, fun-gendo da precursore a livello nazionale.

A scompaginare i piani è arrivato Roberto Morganti-ni, ex responsabile dell’uffi-cio stranieri della Cgil di Bo-logna, figura ben conosciuta nel campo sociale, che ha an-nunciato l’intenzione di crea-re una lista civica in appoggio al sindaco Merola, che racco-glie un’altra parte di SEL con i consiglieri comunali Loren-zo Cipriani e Lorenzo Sazzini, e punta a prendere consensi nel mondo dell’associazioni-smo.

Come candidato di “Coa-lizione Civica” inizialmente si parlava di Paola Ziccone, ex direttrice del carcere minori-le del Pratello, poi è spuntato Federico Martelloni, professo-

re associato a giurisprudenza dell’Alma Mater, ma soprat-tutto componente della presi-denza nazionale di SEL, ma probabilmente sarà l’assem-blea di metà febbraio a deci-dere, o ratificare, la nomina a candidato sindaco.

Per Morgantini invece an-cora non è stato deciso, o meglio non è ancora stata co-municata l’intenzione di can-didarsi evidentemente per non “bruciarsi”, ma di certo vi è l’ingresso nel comitato elet-torale di Merola, progetto dal quale dovrebbe poi nascere la lista civica.

Frattanto SEL, il partito personalistico di Nichi Ven-dola, si sta sfaldando come neve al sole, con i suoi eletti e amministratori che si divido-no, chi con l’uno chi con l’al-tro, alla caccia di poltrone.

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10 il bolscevico / cronache locali N. 7 - 18 febbraio 2016

In provincia di Forlì-Cesena

Congresso dell’AnpI dI BertInoroBranzanti: “Renzi in 2 anni ha fatto quello che Berlusconi non è riuscito a fare in 20 anni”. Un consigliere

comunale del PD appoggia l’aggressione all’IS e la “riforma” del SenatoIl ReSPonSaBIle Dell’anPI: “è noRmale che nella noStRa

aSSocIazIone vI SIano PoSIzIonI DIveRSe”Dal corrispondente della �Cellula “Stalin” di Forlì

Venerdì 5 febbraio si è svol-to presso il circolo Arci di Berti-noro il Congresso della locale se-zione dell’Anpi in vista del 16° Congresso nazionale che si ter-rà a Rimini dal 12 al 15 maggio. L’introduzione è stata svolta dal responsabile dell’Anpi di Cesena Furio Kobau che ha illustrato il regolamento e il documento con-gressuale.

Al termine vi sono stati vari in-terventi, tra i quali quello del com-pagno Denis Branzanti in qualità di iscritto all’Anpi della sezio-ne. Il compagno ha detto di con-dividere tutta la parte riguardante l’antifascismo, il dovere dell’Anpi di tramandare la memoria storica,

l’opposizione al proliferare di or-ganizzazioni neofasciste, quando invece il documento spazia su altri temi ne viene fuori l’impostazio-ne filo-PD, ad esempio per quan-to riguarda le illusioni sull’Unio-ne europea, oppure addirittura la richiesta di un intervento contro l’IS quando in quello scenario è proprio lo Stato islamico che sta facendo resistenza all’aggressio-ne delle potenze occidentali, è in-vece da apprezzare il sostegno al “No” al referendum confermati-vo sulla controriforma costituzio-nale anche se la posizione espres-sa a riguardo non va abbastanza a fondo nella denuncia della perico-losità che queste modifiche com-porteranno, tenendo conto poi che il governo Renzi ha fatto in 2 anni quello che Berlusconi non è riu-

scito a fare in 20 anni (Jobs Act, “Buona scuola”, “Sblocca Italia”, ecc.) con le norme attuali, è faci-le immaginare cosa farà, lui e chi verrà dopo di lui, senza i limiti che la legislazione vigente pone al governo di turno.

Un consigliere comunale del PD, al governo della città e iscrit-to all’Anpi è intervenuto inve-ce per giustificare l’aggressione all’IS e per sostenere la contro-riforma costituzionale in quan-to nella società già vi sarebbero i necessari “contrappesi”, citando ad esempio quella Cgil che oggi non muove un dito contro la can-cellazione dei diritti dei lavorato-ri, a partire dall’articolo 18, e del-la quale il nuovo Mussolini Renzi ha comunque dichiarato di non in-teressarsi minimamente.

E’ poi intervenuto Walter Pe-droni, l’apprezzato responsabile dell’Anpi di Bertinoro che ha ri-assunto l’attività dell’associazio-ne, limitata anche dal particolare territorio comunale che è molto dispersivo e comprende sia zone di pianura che di collina, dove si trova il centro ma che si sta spo-polando.

Kobau ha concluso sottoline-ando come sia normale che in una associazione come l’Anpi vi sia-no posizioni diverse e quindi an-che dibattito, l’importante è che una volta presa una decisione a maggioranza si vada poi tutti nel-la stessa direzione.

Infine sono stati eletti i delega-ti al Congresso provinciale di For-lì-Cesena.

Piazza Lenin, Cavri-ago (Reggio Emilia),

24 gennaio 2016. Il compagno Denis

Branzanti, Respon-sabile del PMLI per l’Emilia-Romagna,

mentre tiene il discor-so ufficiale durante la

commemorazione di Lenin organizzata da

PMLI e PDCI (foto Il Bolscevico)

slogAn Contro Il sIndACo BIAnCo (pd) e l’InFIltrAzIone dellA mAFIA nel ConsIglIo ComunAle

manifestazione contro la mafia a CataniaProvocazione anticomunista del m5S nei confronti del PmlI

le “foRze Dell’oRDIne” Bloccano l’acceSSo a Palazzo DeglI elefantI Dal corrispondente della �Cellula “Stalin” della provincia di CataniaSabato 30 gennaio un miglia-

io di manifestanti ha affollato via Etnea per dire no alla mafia e, di riflesso, all’interno della giun-ta del neopodestà Enzo Bianco (PD). La manifestazione è partita dall’ingresso di Villa Bellini, in via Etnea, e si è conclusa a piazza Università, nei pressi della sede del Comune. Lì, un cordone di “forze dell’ordine” ha bloccato l’accesso ai manifestanti alla li-mitrofa piazza Duomo e dunque l’ingresso principale di Palazzo degli elefanti.

Il corteo, indetto dal coordi-namento “Catania libera dalle mafie”, promosso da movimenti, comitati, associazioni – in primo luogo da Gapa (Giovani Asso-lutamente per Agire) e I Siciliani giovani – ed organizzazioni e par-titi politici – tra cui Catania Bene Comune (Prc) e Movimento 5 Stelle, ha iniziato a prendere for-ma durante l’assemblea svoltasi lo scorso 5 gennaio, in occasione del 32º anniversario dell’assas-sinio da parte di Cosa nostra di Giuseppe Fava. Il coordinamen-to, che all’interno della convoca-zione all’evento, tra l’altro, com-prendeva slogan come: “Fuori la mafia dai Palazzi”, “Fuori la mafia dai quartieri”, “Fuori la mafia dalla città”, ha, in verità, dato – volu-tamente o indirettamente – una declinazione prettamente “anti-Bianco” alla manifestazione. A verifica di ciò lo striscione che apriva il corteo e che recitava “Fuori la mafia dal Comune” e quello in mano al M5S: “Bianco dimettiti”.

Scelta legittimata dall’ultimo scandalo che ha colpito il Consi-glio comunale etneo, il quale – a detta della commissione regiona-le antimafia che il 29 dicembre ha inviato una relazione al riguardo alla Commissione nazionale anti-mafia – sarebbe infettato da Cosa nostra. Otto consiglieri comunali, cinque dei quali facenti parte del-la maggioranza, “in campagna elettorale, da candidati, avrebbe-

ro ottenuto il sostegno di ambien-ti malavitosi. Alcuni addirittura parenti e familiari di pregiudicati”. Si tratta di Riccardo Pellegrino (Pdl-opposizione); Erika Marco (Il Megafono-maggioranza); Loren-zo Leone (Articolo 4-maggioran-za); Salvatore Giuffrida (Tutti per Catania-opposizione); Salvatore Spataro (Primavera per Catania-maggioranza); Alessandro Porto (Patto per Catania-maggioranza); Maurizio Mirenda (Grande Ca-tania-opposizione); Francesco Petrina (Primavera per Catania-maggioranza).

Il Consiglio comunale, ad oggi, non ha preso una posizione netta sulla questione. Inoltre, tra i motivi degli attacchi nei confronti del democristiano PD Bianco e della sua giunta, vi sono i silenzi e le mezze verità sussurrate, a denti stretti, dal neopodestà ca-tanese in occasione dell’udienza tenutasi davanti alla Commis-sione nazionale antimafia il 14 gennaio scorso a Roma. Il tema principale dell’incontro è stato l’intercettazione telefonica del 2013 con l’editore Mario Ciancio Sanfilippo, ai tempi indagato per concorso esterno in associazione mafiosa (dal 2009 e ufficialmente, ma l’ex senatore afferma che, no-nostante fossero risaputo ai più, egli non ne era a conoscenza), durante la quale Bianco faceva più di un passo verso l’ex diretto-re del quotidiano “La Sicilia”.

Si trattava del 18 aprile 2013, un giorno dopo l’approvazione del Pua (Piano urbanistico at-tuativo - Catania sud, ideato da Bianco nel 1999), un progetto da 300 milioni di euro da realizzare alla Playa, su cui aleggia l’om-bra della mafia e della specula-zione edilizia e che comprende terreni di proprietà di Ciancio (il 30% del territorio interessato dal Piano). Bianco si sarebbe “impe-gnato” nei confronti di Ciancio e quest’ultimo gli avrebbe garantito il proprio influente appoggio in campagna elettorale, che si sa-rebbe ufficialmente aperta due giorni dopo?

I manifestanti hanno pure fatto

riferimento all’inchiesta sulla co-struzione della nuova darsena del porto di Catania e l’organizzazio-ne di iniziative culturali all’Empire, discoteca sequestrata alla mafia.

Tra i manifestanti si parla dello stato di abbandono e degrado in cui versano le periferie della cit-tà, si fanno i nomi dei “padroni” di Catania, si parla, si urla contro il già citato Ciancio, contro Co-stanzo, contro Virlinzi. Imprendi-tori legati da un filo nero all’am-ministrazione comunale di turno e a famiglie mafiose come quella dei Santapaola, dei Pillera, degli Ercolano, dei Puntina, dei Maz-zei, dei Cursoti, dei Cappello. Tre componenti imprescindibili dello stesso sistema.

Diversi, tra i partecipanti e i passanti in un affollato sabato pomeriggio in cui si respira l’im-minente festività cittadina della “santa patrona”, non sono con-vinti dai toni – a dir la verità non particolarmente battaglieri – della manifestazione. Alcuni di questi fanno riferimento ad un sistema malato che vede i mafiosi più importanti a Roma (in parlamen-to), altri parlano apertamente di rivoluzione, di violenza contro chi opprime le masse popolari: la classe dominante borghese.

Il capogruppo del PD al Con-siglio comunale Giovanni D’Avola parlerà di 300 manifestanti e di

un corteo che strumentalizza la lotta alla mafia per fini elettorali. Sebbene D’Avola sbagli a gene-ralizzare, non si può affermare il contrario in riferimento ad alcune organizzazioni politiche presen-ti in piazza come Catania Bene Comune, M5S e Sel. Per questi

gruppi la campagna elettorale non finisce mai. Per altri, vedi I Sicilia-ni giovani e il suo direttore, le pre-sunte infiltrazioni mafiose all’in-terno della giunta e la seguente formazione del Coordinamento, rappresentano un’occasione im-perdibile per farsi pubblicità.

Importante la partecipazione degli studenti delle scuole medie superiori Spedalieri e Principe Umberto.

Il PMLI era in piazza con i com-pagni della Cellula “Stalin” della provincia di Catania. I marxisti-leninisti hanno subìto una provo-cazione da parte di un’esponente del M5S la quale, appellandosi ad un fantomatico accordo preso in assemblea dalle organizzazioni promotrici e da quelle aderenti, secondo il quale non si doveva-no esporre “simboli di partito” durante la manifestazione, ha – con atteggiamento schizofrenico – chiesto, in un primo momento con garbo, di poter fotografare la bandiera del Partito (come spes-so capita ai militanti del PMLI che

partecipano alle manifestazioni), dopodiché, forte della “prova”, ha vomitato la sua bile anticomu-nista contro i compagni, “rei” di non aver rispettato i patti. La pro-vocatrice ha continuato la pro-pria opera di censura di caratte-re squadrista su Facebook. Qui, all’interno dell’“evento” collegato alla manifestazione, ha postato la foto che ritrae i nostri compagni, diffamandoli. Al di là di qualsiasi ipotetico accordo preso in as-semblea, che ne è dell’articolo 21 della Costituzione italiana bor-ghese a cui tanto inneggiano?

Per i marxisti-leninisti catane-si, provocazioni di questo tipo, come il recente attacco fascista alla Sede del PMLI in via Padova, rappresentano uno stimolo a far meglio il lavoro politico. Non si può, altresì, non denunciare che certi elementi affermano di lottare contro la criminalità organizzata ma si rendono protagonisti di at-teggiamenti tipicamente mafiosi e reazionari.

Catania, 30 gennaio 2016. Lo striscione di apertura del corteo che chiede l’espulsione dei mafiosi dal comune

In occasione dell’Anniversario della Battaglia di Cantalupo

Convegno sul ContrIButo deI pArtIgIAnI sovIetICI AllA resIstenzA

A Genova il 4 febbraio scor-so, in occasione dell’anniversa-rio della Battaglia di Cantalupo del 2 febbraio 1945, si è tenuto un convegno organizzato dal Collettivo Genova City Strike e Rete Noi saremo tutto.

Si è così voluto ricordare uno degli eposodi più importante della Resistenza in Val Borbera dove perse la vita il partigiano sovietico Fiodor Poletaev e il contributo dei partigiani sovieti-ci nella Resistenza della VI zona operativa.

Infatti, furono ben 5 mila i partigiani sovietici che combat-terono in Italia al fianco dei parti-giani e ben 400 di loro morirono in combattimento.

Catturati dall’esercito nazista durante l’Operazione Barbaros-sa con cui le truppe di Hitler, Mussolini e i loro alleati invasero l’Unione Sovietica nel 1941 - si legge nel volantino che annun-cia l’iniziativa -, dopo varie pe-ripezie legate alla loro prigionia giunsero in Italia dove fuggirono dai luoghi destinati loro dall’oc-cupante nazista, nei campi di prigionia, come ausiliari od ope-rai ‘forzati’ nelle fabbriche e si unirono ai partigiani.

Oltre trecento combattero-no coi partigiani della VI zona operativa in Liguria, formando gruppi anche interamente so-vietici, che grazie alla loro pre-cedente preparazione militare

e il loro spirito indomito rivesti-rono compiti delicati: la Brigata italo-russa di sabotaggio, dive-nuta poi 79ª Brigata d’assalto Garibaldi e di cui il sovietico “Grisha” fu vicecomandante; il distaccamento mortaisti della divisione “Cichero”, che operò al comando del capitano Gri-gori Acopian, caduto; i distac-camenti Franchi e Peter della divisione “Pinin Cichero”, com-posti per metà da sovetici, tra cui Fiodor Poletaev.

Furono per così dire la punta avanzata dell’Armata Rossa in Europa occidentale combatten-do fianco a fianco di chi decise di imbracciare le armi per com-battere il nazifascismo.

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N. 7 - 18 febbraio 2016 cronache locali / il bolscevico 11Mentre Alfano, De Luca e De Magistris sono univoci circa “sicurezza”, repressione e militarizzazione del territorio

AncorA sAngue A nApoLi neLLA guerrA Di cAMorrA

L’EX PM CANTONE: “NON BASTANO GLI ARRESTI, SERVE UN PIANO STRAORDINARIO DI RIQUALIFICAZIONE DEL TERRITORIO”

Redazione di Napoli �Continua la mattanza di camor-

ra che ha visto un gennaio insan-guinato e un inizio di febbraio nero con tre omicidi tra Napoli e pro-vincia nella guerra tra i clan per la conquista delle piazze di spaccio di droghe più ambite in città.

Da Ponticelli, Forcella e Sani-tà, il conflitto tra i clan si è sposta-to e aperto nelle zone di Scampia

(considerata la piazza di spaccio più grande d’Europa) e Bagnoli. Si spartiscono il territorio Ben 110 cartelli camorristici che possono contare su 5mila affiliati ma so-prattutto su decine e decine di gio-vani, soprattutto minorenni sotto-proletari, cui vengono inculcate l’arroganza e la prepotenza ma-fiosa. La furia criminale delle vec-chie e nuove fazioni che ha già fat-

to 7 omicidi - ben 30 dal gennaio 2015 - e decine di feriti dall’inizio di quest’anno, in numerosi agguati perpetrati senza scrupoli, al punto da far ammazzare anche il giovane innocente Maikol Russo nella not-te di Capodanno, scambiato per un affiliato ad un clan di Forcella.

Una polveriera cui le istituzio-ni nazionali e locali in camicia nera non hanno saputo porre un ri-

medio serio con un piano straor-dinario che spezzi l’egemonia ca-morristica in città e che dia lavoro, risanamento delle periferie urba-ne, riqualificazione dei quartieri popolari. Anzi!

Il ministro dell’Interno Al-fano convocava una conferenza stampa urgente giovedì 4 febbra-io nella quale cianciava di raffor-zare il presidio territoriale con la

solita formula tipica del regime neofascista: aumento delle “for-ze dell’ordine” e militarizzazione di Napoli con posti di blocco, de-cine di videocamere e più facili-tà nell’effettuare arresti (“ci sono 440 uomini in più a Napoli, pos-siamo controllare 60mila citta-dini”); inoltre avanzava una pro-posta di riforma del codice con abbassamento dell’età punibile a 16 anni per fermare i minori cri-minali (“rifuggiamo dall’ipocri-sia: un ragazzo di 16 anni sa esat-tamente la gravità del reato che compie, quindi l’età per la puni-bilità deve essere abbassata”), in-vece di compulsare il governo del nuovo duce Renzi a porre un argi-ne alla dilagante descolarizzazio-ne a Napoli e provincia. Sul pro-getto videocamere, inoltre, Alfano promette che “entro l’estate sare-mo al 100% coprendo anche zone come i decumani e il centro sto-rico”, confermando la piena di-sponibilità della giunta regiona-le dell’ex neopodestà di Salerno, Vincenzo De Luca, a mettere i sol-di per realizzare il tutto.

In linea con la ricetta di sicu-rezza e repressione di Alfano è stato il neopodestà De Magistris: “sono molto soddisfatto del me-todo con cui si sta lavorando a Napoli, della sinergia con tutte le istituzioni, dalla magistratura alle forze dell’ordine, al prefetto e na-turalmente al governo Renzi con il ministro Alfano. A Napoli vo-gliamo più presenza delle forze dell’ordine perché c’è bisogno di un rafforzamento che dia serenità a tutti i cittadini”.

Degne di sottolineatura le af-fermazioni del presidente dell’Au-torità anticorruzione, l’ex pm an-

ticamorra Raffaele Cantone, che a “Il Mattino” di domenica 7 febbra-io ha parlato di “piano sociale stra-ordinario” per Napoli e Campania: “nell’hinterland napoletano il red-dito dichiarato, ufficiale, è tale per cui dovremmo essere alla tragedia o alla guerra civile. Invece il tenore di vita è accettabile, spesso decisa-mente alto. Un miracolo? No, il ri-sultato della persistenza di un wel-fare parallelo, un anti-Stato che si insinua nel disagio sociale, tra i ra-gazzini che lasciano la scuola, nel-le famiglie dove gli adulti hanno perso il lavoro e i giovani non lo trovano”. E continua: “nella chia-ve dello sviluppo, della crescita è importante che si voglia sblocca-re Bagnoli, è importante che arri-vino grandi nomi come la Apple, ma non basta: io dico che serve un vero, grande piano straordina-rio: servono infrastrutture, serve favorire una crescita armonica del territorio, perché il problema non riguarda solo Napoli ma la sua im-mensa area metropolitana”.

Parole che sono diametral-mente opposte a quelle del nuovo triumvirato Alfano-De Luca-De Magistris che sulla questione dei quartieri popolari e periferici ben si guardano anche solo dal trattare argomenti come risanamento o ri-qualificazione.

Per Napoli, invece, soprattutto da quando da un anno è diventata città metropolitana, servono lavo-ro, sviluppo, industrializzazione con salari uguali al Nord ma an-che servizi e trasporti pubblici, ri-sanare l’ambiente cominciando da Bagnoli, cancellare il precariato, il lavoro nero, lo schiavismo degli immigrati e sradicare la camorra e le nuove emergenti baby-gang.

DA pArte DegLi squADristi Di cAsApounD

ennesima aggressione neofascista a napoli

La solidarietà di De Magistris non basta: chiudere immediatamente i covi neofascisti in città

Redazione di Napoli �

Ennesima aggressione dei ne-ofascisti di CasaPound a Napo-li. Questa volta le vittime sono alcuni studenti e studentesse del Liceo scientifico “Elio Vittorini” sito nella zona del Rione Alto. Già a novembre una ragazza era stata aggredita con un coltello da alcu-ni fascisti al Vomero; questa vol-ta invece gli squadristi hanno teso un vero e proprio agguato ai dan-ni degli studenti dello storico li-ceo napoletano. Nella mattinata di venerdì 29 gennaio una decina di militanti di Casapound hanno pro-vocato alcuni antifascisti fuori la scuola prima picchiando uno stu-dente di 15 anni che, dopo essere stato accerchiato, veniva colpito violentemente da un pugno sfer-ratogli dietro la testa e perdeva i sensi.

Successivamente altre intimi-dazioni e aggressioni, coi neofa-scisti che iniziavano a distribuire volantini di Blocco Studentesco, organizzazione legata a Casa-Pound, minacciando gli studenti che li avrebbero menati all’usci-ta da scuola se avessero reagito. Nonostante la vile intimidazione, studenti e studentesse si sono or-ganizzati e hanno esposto uno stri-scione che recava la scritta: “Vit-torini Antifascista”; all’uscita di scuola la teppaglia fascista si di-leguava con la coda fra le gambe per poi riapparire nei pressi del-

la stazione di Rione Alto dove tre fascisti, probabilmente gli stessi aggressori del “Vittorini”, aggre-divano, armati di manganelli con-trassegnati dalla scritta “decima mas” e martelli, alcuni studenti dell’istituto, prima lanciando bot-tiglie di vetro e poi colpendoli ri-petutamente al volto e alla testa con mazze e martelli, recuperan-do addirittura oggetti contundenti dalla vetrina di un negozio.

Molti passanti difendevano gli studenti antifascisti mettevano in fuga gli aggressori. Il bilancio è di due ragazzi portati in ospeda-le con referti medici che parlano chiaro: due traumi cranico faccia-li, ferite e contusioni al volto e sul-

la testa per un totale di quasi 20 punti di sutura, e sospette frattu-re in attesa dei risultati della Tac a cui sono stati sottoposti.

Il giorno dopo, in solidarie-tà con i ragazzi aggrediti, diver-si centri sociali napoletani hanno dato vita a un corteo che è sfilato per le vie della città chiedendo la chiusura delle sedi fasciste a Na-poli.

Mentre la destra e la “sinistra” del regime neofascista tacciono sul grave episodio registriamo la dichiarazione di De Magistris che ha condannato l’aggressione agli studenti e delle studentesse del

“Vittorini” rimarcando che “Na-poli è la città della Resistenza per cui sono inaccettabili queste ag-gressioni squadriste, i nostri stu-denti devono essere difesi: non c’è spazio per questo tipo di atteggia-menti, comportamenti e azioni”. Ma ora non bastano più solo le pa-role, occorre passare ai fatti: l’im-pegno del sindaco e della giunta arancione deve essere teso a chiu-dere tutti i covi neofascisti a Na-poli, cominciando da quelli colle-gati alla teppaglia di Casapound e dei suoi protettori.

Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

ISSN: 0392-3886chiuso il 10/2/2016

ore 16,00

comunicato del Forum toscano dei movimenti per l’acqua

i sinDAci insistono A regALAre Ai privAti LA gestione DeLL’AcquA e continuAno A cALpestAre i reFerenDuM DeL 2011

Riceviamo e volentieri pub-blichiamo.

È’ notizia di pochi giorni fa: alla riunione del CDA di Publiacqua spa è stato presentato e approvato, con il solo voto contrario del Co-mune di Pistoia, un piano di poten-ziamento gestionale e organizzati-vo dell’azienda: il sistema ACEA 2.0. In altri termini, un rinnovo della piattaforma tecnologica, da realizzare entro l’anno 2016, su cui sono state convogliate ingen-ti risorse già nel corso del 2015. Quella che appare come una noti-zia interessante solo dal punto di vista tecnico-gestionale o tutt’al più inerente la sfera economico-finanziaria, ha in realtà dei risvolti politici di notevole portata: si re-galano ad ACEA dati e know-how, elementi fondamentali per la sua scalata dell’azienda idrica.

Ci troviamo quindi ancora una volta a registrare nell’atteggia-mento dei Comuni, l’indifferen-za, l’ignavia, il vero e proprio fa-vore al “privato”, ai suoi interessi speculativi e di mero profitto. Per-ché il rischio reale è quello di ri-trovarsi a constatare, nel 2021, a fine concessione, che Publiacqua è divenuta un guscio vuoto, a cui il socio privato ha sottratto stru-menti e professionalità, pregiu-dicando quindi in modo grave, il dovere di ripubblicizzare il servi-zio, come richiesto nel 2011 da 27 milioni di italiani/e.

Quando, agli inizi degli anni 2000, i Comuni presero la scia-gurata decisione di affidare la ge-stione del servizio idrico alla spa Publiacqua, la società aveva una propria unità organizzativa e ge-stionale, con tutte le competenze necessarie e un organico di qua-si 800 dipendenti, come sotto-

linea l’USB dell’azienda. Oggi, settori del lavoro vengono ap-paltati a ditte esterne, si disper-dono le competenze, si riduce il numero degli addetti. E cambia-menti analoghi stanno investen-do anche le altre aziende idriche toscane che vedono ACEA nella propria compagine sociale: Ac-que spa e Acquedotto del Fiora spa. La fusione delle tre società, paventata ormai da tempo, non si è ancora realizzata nella for-ma ma è già in atto nella sostanza. Allora, sindaci, soci di Publiacqua spa e membri dell’Autorità Idrica Toscana, dove siete? La gestione privatistica e speculativa del ser-vizio idrico, portata avanti negli ultimi 15 anni, fa registrare eso-si aumenti delle tariffe, a fronte di una qualità dell’acqua sempre più scadente, di una depurazione mancante, insufficiente o addirit-tura dannosa, di perdite esorbi-

tanti delle reti. Ancora dobbiamo richiamarvi alla vostra responsa-bilità e al dovere di rispettare la volontà popolare? E questo ben prima della scadenza del 2021.

Voi non solo state rimandando qualsiasi presa di posizione a quel termine ma supinamente accet-tate nel frattempo qualsiasi col-po di mano del vostro socio pri-vato, a danno di un bene comune. Ultimo atto: dare il vostro assen-so alla dispersione del patrimonio umano, professionale, gestiona-le di Publiacqua. Tacete nei CDA dell’azienda, farete altrettanto in AIT? L’Autorità lascerà che im-punemente questo ulteriore scem-pio si consumi?

Forum Toscanodei Movimenti per l’Acqua

8 febbraio 2016

Le mazze degli squadristi di Ca-saPound

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12 il bolscevico / contributi, lettere e corrispondenze N. 7 - 18 febbraio 2016

All’attivo della FLC CGIL di Firenze

MessA In dIsCussIone LA propostA deL nuovo stAtuto deI LAvorAtorI Che rIsChIA dI AppIAttIrsI suLLA preCArIzzAzIone deL LAvoro

Quasi all’unanimità è stato chiesto di votare NO al referendum sulla “riforma” del SenatoVenerdì 5 febbraio la FLC

CGIL di Firenze ha convoca-to un attivo presso la propria sede per le R.S.U., le T.A.S. e gli iscritti.

L’argomento della convoca-zione era la presentazione del nuovo Statuto dei diritti dei la-voratori che il direttivo naziona-le della CGIL vuol varare come proposta di legge e sulla relati-va consultazione straordinaria degli iscritti. Ha aperto il dibatti-to la segretaria provinciale del-l’FLC poi un dirigente dello SPI ha presentato la proposta di Sta-tuto come la ricostruzione dei di-ritti perduti e l’allargamento degli stessi anche a nuove tipologie di lavoratori. Lo Statuto insom-ma, dopo l’avvento del Jobs Act, è ritenuto l’unica e più moderna forma di tutela, sarebbe ormai impossibile ritornare alla forma originaria dell’articolo 18 della legge 300, in considerazione del fatto che “i tempi sono cambiati”.

Finita la presentazione ho de-ciso di intervenire subito cercan-do di aprire il dibattito sulle mol-te contraddizioni che contiene questa proposta chiedendo se non fosse quantomeno pericolo-so e controverso affidare questa

proposta di legge al parlamen-to italiano, fautore per l’appunto del Jobs Act. Ho fatto presente anche che nel nuovo Statuto si definisce la tipologia del contrat-to a tempo indeterminato quale “forma principale del rapporto di lavoro” e che anche il Jobs Act definisce il contratto a tutele cre-scenti come tale; quindi perché nello Statuto non se ne chiede l’abolizione, visto che di fatto ha sancito la fine del lavoro stabile?

Ho fatto presente inoltre che le nuove forme di lavoro sono nate per consentire ai padroni e allo Stato di non applicare i con-tratti nazionali e che normando forme di lavoro precario, quale il tempo determinato o, peggio, il contratto di somministrazione,

non si finisca per legittimarle, accettando il mare di flessibili-tà che in questi decenni si è ri-versato sulle lavoratrici e sui la-voratori. Ho fatto presente infine come nell’interesse di tutti ci sia il bisogno di buoni contratti di la-voro e di uniformità di trattamen-to per tutti i lavoratori della stes-sa categoria e che proponendo maggiore contrattazione di se-condo livello, anche se subor-dinandone i contenuti al CCNL, si finisce per depotenziare quest’ultimo. Quindi ho chiesto perché nello Statuto non si pre-tenda e si rivendichi che il senso e la funzione del diritto al lavoro non possano essere altro che il lavoro stabile, a salario pieno e sindacalmente tutelato per tutti.

E come mai nello Statuto non si propone più il ritorno alla forma originaria dell’art. 18 della legge 300, la più tutelante in assoluto, prima della manomissione della Fornero e, appunto, del Jobs Act di Renzi.

Ho domandato alla platea, in considerazione delle sistemati-che estromissioni dai tavoli con-trattuali di tutti i sindacati da par-te del governo, se non fosse il caso di cambiare interlocutore, che per il sindacato è sempre il lavoratore e non lo Stato e i pa-droni che sono sempre stati sua controparte. Infine, ho chiesto perché nel nuovo Statuto si ab-bia come conseguenza l’abban-dono definitivo della mobilitazio-ne dei lavoratori che in passato ha portato a tutte le conquiste sindacali, in primis allo Statuto originario del 1970. Ho chiuso ri-cordando che nell’autunno 2014 i lavoratori si erano presentati a Roma in più di un milione; la CGIL sarebbe meglio che ripen-sasse a mobilitarci con vere ed efficaci forme di lotta.

Dalla sala ho ricevuto molti applausi mentre dalla dirigenza CGIL solo silenzio.

La discussione è continuata e altri interventi hanno appoggiato il mio estendendo il dibattito alla “riforma” costituzionale voluta dal nuovo duce Renzi che pre-vede di minare la democrazia nel nostro paese, come da pia-no della P2 di Gelli. Su questo argomento, i lavoratori hanno chiesto quasi all’unanimità che anche la CGIL faccia fronte co-mune al referendum per blocca-re le riforme di stampo fascista.

Mi auguro che questo mio in-tervento sia stato di stimolo per i lavoratori della scuola pubblica presenti.

Con i Maestri e il PMLI vince-remo!

Massimo - Pontassieve (Firenze)

CoMunICAto deLL’unIone per L’AteIsMo AntIreLIGIoso e IL CoMunIsMo sovIetICo

Il 27 gennaio ricordiamo l’immane lotta del popolo sovietico per la liberazione

dell’umanità dal nazifascismoRiceviamo e volentieri pub-

blichiamo in ampi estratti.

Il 27 gennaio, l’Armata Rossa, e precisamente la 60ª Armata del Primo Fronte Ucraino, arriva nel-la cittadina polacca di Oswieçim (in tedesco Auschwitz). Le avan-guardie più veloci, al comando del maresciallo Koniev, raggiun-gono il complesso di Auschwitz-Birkenau-Monowitz. Verso le 15 i soldati sovietici abbattono i cancelli del campo di sterminio e liberano circa 7.650 prigionieri.

In seguito ad una risoluzione del 2005, l’ONU ha stabilito il 27 gennaio come giorno in cui ricor-dare lo sterminio, da parte dei nazifascisti, di circa 6 milioni di ebrei (ovvero il cosiddetto Olo-causto o Shoah), in Italia deno-minato “Giorno della memoria”. Ma che proprio in questa data l’Armata Rossa liberò il cam-po di sterminio di Auschwitz, la maggior parte dei media si guar-dano bene dal ricordarlo.

Il cosiddetto “Olocausto” vie-ne cinicamente usato da 60 anni dagli Stati Uniti, dall’Europa, da Israele, da Hollywood e da po-tentissime lobby economiche e politiche, per coprire le complici-tà delle potenze occidentali nei confronti di Hitler (in chiave an-tisovietica) e per nascondere lo spaventoso sterminio perpetra-to dai nazifascisti nei confronti dell’URSS: 27 milioni di morti e un immenso territorio devastato, con 70 mila città e paesi distrutti, 30 mila fabbriche rase al suolo, 25 milioni di persone senza più una casa.

Noi, in questa data vogliamo

ricordare l’immane lotta del po-polo sovietico per la liberazione dell’umanità dal nazifascismo, mentre rifiutiamo le celebrazio-ni ufficiali, un micidiale strumen-to di mistificazione storica e di propaganda politico-religiosa al fine di perpetuare la tirannia cri-stiano-capitalistico-borghese sul mondo.

Quello che non ci viene mai detto: Auschwitz I–Stammlager (lager principale), fu per lo più ri-servato all’eliminazione di intel-lettuali polacchi e prigionieri di guerra sovietici; Auschwitz II Bir-kenau–Vernichtungslager (cam-po di sterminio), anch’esso ini-zialmente usato per il genocidio dei prigionieri di guerra sovietici, venne poi utilizzato soprattutto per lo sterminio degli ebrei.

All’Eterno disonore dei geno-cidi nazisti che con disumana fe-rocia realizzarono lo sterminio di intere nazioni. All’Eterna gloria dell’Armata Sovietica, che il 27 Gennaio 1945 liberò Auschwitz. All’Eterno ammonimento contro i seguaci del fascismo e del na-zifascismo. (Dall’atto di erezione del Monumento Internazionale delle Vittime del Nazifascismo costruito nei pressi del campo di concentramento di Auschwitz)

Nel corso della seconda guerra mondiale, secondo le ul-time stime, morirono tra i 27 e i 30 milioni di sovietici. Per fare un esempio è come se venisse cancellata, in un sol colpo, quasi metà della popolazione italiana. Solo tra il 1941 e il 1942, nel giro di otto mesi, l’esercito tedesco invasore uccise deliberatamen-te per fame, freddo ed esecuzio-

ni sommarie, da 2,5 a 3,3 milioni di prigionieri di guerra e cittadi-ni sovietici. Questo autentico ge-nocidio, volutamente nascosto e ignorato dai paesi occidentali, rappresenta il più grande stermi-nio di massa della storia umana, concentrato nello spazio di poco tempo. L’Operazione Barbaros-sa di Hitler puntava al rovescia-mento del primo stato operaio e contadino nella storia dell’uma-nità, per imporre un sistema bru-tale di schiavitù e sfruttamento coloniale delle popolazioni so-vietiche.

Le condizioni nei campi di pri-gionia erano atroci. Non c’erano baracche o protezioni, i campi erano solo recinti da filo spina-to. I prigionieri giacevano sotto il sole, nel fango autunnale o con temperature che raggiungevano i 30 gradi sotto zero. A centinaia morivano tutti i giorni e veniva-no buttati in immense fosse co-muni.

Lo sterminio di massa per fame era stato programmato in anticipo dai comandi dell’eserci-to nazista. Si ricorse anche allo sterminio di massa tramite i la-vori forzati, che provocò la mor-te di centinaia di migliaia di don-ne sovietiche. Molti prigionieri vennero fucilati o impiccati, mol-ti morirono nei campi di concen-tramento ed usati come cavie per esperimenti scientifici.

Tutto questo è stato delibe-ratamente tenuto nascosto da-gli americani in funzione antiso-vietica.

UAACS - Unione per l’Ateismo Antireligioso ed il

Comunismo Sovietico

Con i Maestri riusciamo sempre a

capire le coseI testi, nuovi ma anche scritti

vari anni fa, del compagno Se-gretario generale, Giovanni Scu-deri, come tutto quanto pubbli-ca “Il Bolscevico”, sono sempre ricchi di considerazioni impor-tantissime quanto attuali, veri insegnamenti come quelli dei Maestri. Mi riferisco naturalmen-te anche al testo del 1985 (di-cembre, terzo Congresso na-zionale del PMLI, riportato ne “Il Bolscevico” n. 6/2016 con il si-gnificativo titolo “Abbiamo il do-vere di appoggiare il movimento antimperialista anche se alla sua testa ci fossero degli anti marxi-sti-leninisti”.

Il compagno Segretario ci ri-corda che “Nel sostegno e nell’a-iuto ai popoli in lotta non dobbia-mo guardare tanto a chi guida il movimento ma la direzione in cui si muove tale movimento. Se esso va nella direzione giusta se cioè indebolisce e toglie spazio a una delle due superpotenze o a tutte e due (allora la situazione storica era diversa, come ricorda opportunamente la nota apposta tra parentesi, oggi forse direm-mo alle superpotenze in gene-re, includendo gli USA, la Rus-sia e la Cina socialimperialista) e all’imperialismo in generale, se porta alla liberazione nazionale e all’indipendenza dei paesi, noi abbiamo il dovere di appoggiar-lo risolutamente e senza riser-ve”. Cita poi alcuni esempi tratti da Stalin, nel 1924, (in “Principi del leninismo-Questioni del le-ninismo”, edito nel 1997 a cura dell’Ufficio politico del PMLI, libro da “divorare” e poi da rileggere continuamente e approfondire sempre), attualissimi anch’essi, riferiti all’Afghanistan e all’Egit-to, allora in una condizione ap-

punto antimperialista, segnata-mente anti-colonialista. Che tali movimenti, di ispirazione monar-chica quello afghano e borghese quello egiziano, fossero per così dire “ne fait rien à l’affaire”, os-sia non importa nulla, visto ap-punto il fine antimperialista da raggiungere. Ciò vale “sorpren-dentemente” bene anche oggi, considerando l’antimperialismo dell’IS, che sarà anche intriso di integralismo islamico, ma certa-mente mette in crisi gli imperiali-smi: quello USA, quello europeo e quello russo e disturba quel-lo di una Cina che di comunista non ha più nulla da decenni.

Con i Maestri (tra cui includo in pieno anche il compagno Scu-deri) riusciamo sempre a capire meglio le cose, a “ritrovare terra” rispetto alle fate morgane dell’u-topia. Suonano particolarmente attuali anche le parole di Scude-ri nella chiusura del testo: “Il pic-colo borghese ultrasinistro non può certo capire tali indicazioni ideologiche, politiche e tattiche di Stalin, perché egli sogna un movimento di liberazione ‘puro’, ‘tutto proletario’ che non esiste e non potrebbe esistere” (testo ci-tato).

Affermazioni validissime e verificabili oggi come più di trent’anni fa. L’ultrasinistro pic-colo borghese (che spesso ten-de al radical-chic) non capisce la realtà perché rimane nelle neb-bie e nelle secche dell’utopia, non avendo contezza della con-traddizione fondamentale, ossia della dialettica tra le classi.

Eugen Galasso - Firenze

viva solidarietà al pMLI di Catania

Esprimo viva solidarietà e for-te condanna del vile atto di pro-vocazione fascista a Catania contro il PMLI.

Domenico - Catania

Comunicato del “Coordinamento nazionale Autoferrotranvieri 27 marzo 2015”

LottIAMo unItI A FIAnCo deI LAvorAtorI deLL’ILvA

Riceviamo e volentieri pub-blichiamo in ampi estratti

I lavoratori del settore traspor-ti, Autoferrotranvieri, Ferrovieri, Marittimi, Aereoportuali, organiz-zati dai sindacati autonomi che partecipano al Coordinamento Nazionale Autoferrotranvieri 27 marzo 2015, sono al fianco dei lavoratori metalmeccanici dell’Il-va che in questi giorni di conci-tata lotta sono impegnati nella difesa dei livelli occupazionali nello stabilimento di Genova.

La vicenda Ilva segna l’em-blema della arroganza padrona-le e la sudditanza delle istituzio-ni ai grandi poteri economici e finanziari di un Paese in cui gli imprenditori ricevono ogni sor-ta di agevolazione e aiuti, men-tre per contro sfruttano i lavora-tori per poi disfarsene a proprio piacimento quando la congiun-

tura economica non è proficua o quando le regole non sono as-servite al loro tornaconto.

Il governo invece di richiama-re l’azienda alle proprie respon-sabilità verso i lavoratori e verso il territorio, asseconda prepo-tenze e soprusi, alleggerendo le responsabilità di disastro am-bientale come a Taranto, oppu-re come a Genova agevolando i ricatti sulla testa dei lavoratori, un teatro vergognoso a cui an-che molte sigle sindacali si sono prestate e inchinate.

In questo quadro di ingordigia e spregiudicatezza, l’accordo di programma firmato da governo, parti sociali e azienda, in veri-tà già sufficientemente umilian-te per i diritti e per le aspettative dei lavoratori, diventa nuova-mente oggetto di contrattazione e speculazione.

Con lo stesso cinismo oggi si sta smantellando anche il servi-

zio di trasporto pubblico, sven-dendo ferrovie, trasporto aereo e aziende di trasporto pubbli-co locale, sempre al miglior of-ferente, facendo cassa sui diritti dei lavoratori e dei cittadini. È il momento di dire con forza che fabbriche e servizi sono dei la-voratori e dei cittadini!

Lottiamo fianco a fianco per riprenderceli, contro una pro-spettiva di umiliazione e sfrut-tamento che altrimenti ci travol-gerà tutti, mobilitandoci in lotte trasversali a tutti i settori.

Sosteniamo i lavoratori dell’Il-va! Noi ci siamo!

SLAI COBAS TPL, CUB Trasporti, COBAS lavoro

privato, ORSA TPL Genova, USB TPL Genova, CAMBIA-MENTI M410, ADL COBAS trasporti, SLS Padova, Coordinamento

Nazionale Autoferrotranvieri 27 marzo 2015

Roma, 25-10-14. Un milione di lavoratori in piazza per la manifestazione nazionale della CGIL (foto ll Bolscevico)

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2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI N. 3 - 22 gennaio 2015

www.pmli.itSede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]

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14 il bolscevico / esteri N. 7 - 18 febbraio 2016

Un crimine del regime fascista di al-Sisi, grande amico di Renzi

AssAssinAto Al CAiro il giovAne riCerCAtore regeni

Ucciso con un colpo alla testa dopo 7 giorni di sevizie RompeRe le Relazioni diplomatiche con l’egitto

Il ministro degli Interni egizia-no Magdi Abdel Ghaffar il 9 feb-braio in una conferenza stampa al Cairo respingeva qualsiasi accusa contro le sue forze di polizia per la morte di Giulio Regeni, il giova-ne ricercatore italiano assassinato nella capitale e il cui corpo era sta-to ritrovato il 3 febbraio sul ciglio della strada verso Alessandria. Re-geni “non è mai stato arrestato. Vi sono troppe voci riprese sulle pa-gine dei giornali che insinuano il coinvolgimento delle forze di si-curezza nell’incidente”, dichiara-va Ghaffar “non accettiamo che si facciano false insinuazioni, questi non sono i metodi degli apparati di sicurezza dello Stato”. Che in-vece sono noti per sequestrare, in-carcerare, torturare, uccidere e far sparire i cadaveri degli opposito-ri, senza procedere nemmeno a un formale arresto. Come sono sta-ti palesi i tentativi della polizia di fornire false informazioni e depi-staggi sulle cause della morte del giovane, dall’incidente stradale al delitto a sfondo sessuale.

Dall’inizio del 2014, secondo la Commissione Egiziana per i Di-ritti e le Libertà, sono state alme-no 120 le morti in carcere ricondu-cibili a maltrattamenti e violenze da parte degli agenti penitenziari mentre in un rapporto diffuso nel luglio 2015, Human rights watch segnalava centinaia di sparizioni, soprattutto di oppositori politici, attivisti e giornalisti scomodi per

mano delle autorità egiziane. Nel corso del 2015, l’Egyptian Com-mission for Rights and Freedom, organizzazione indipendente egi-ziana ideatrice della campagna Stop Enforced Disappearance, ha registrato oltre 1.700 scomparsi, una media che supera i quattro al giorno. Molti “spariscono” nella rete di centri di detenzione segreti, detenuti senza che nessuno sappia dove sono, senza la formalizza-zione delle accuse e senza il dirit-to all’assistenza di un avvocato, dove vengono interrogati e spes-so torturati. Un numero cresciu-to tra l’altro dopo che il generale Magdi Abdel Ghaffar, un veterano dei servizi di sicurezza egiziani, è diventato ministro dell’Interno lo scorso marzo.

In questa rete potrebbe es-sere finito Regani “scomparso” nel centro del Cairo il 25 genna-io, il quinto anniversario dell’ini-zio della rivolta di piazza Tahrir che riuscì a porre fine al regime di Mubarak, oggi sostituito a tutti gli effetti da quello di al Sisi.

Nei giorni dell’anniversario della rivolta ci sono state nella ca-pitale egiziane oltre 6.000 perqui-sizioni, retate e qualche migliaio di arresti fra i membri dell’oppo-sizione, denunciava Human Ri-gets Watch, di 490 dei quali non ci sono ancora notizie. Probabilmen-te Regani è finito in una di queste retate, certamente torturato e uc-ciso come risulta dalle brutali le-

sioni rilevate nella prima autopsia condotta in un ospedale italiano al Cairo. Non finirà tra i desapareci-dos e il suo cadavere sarà abban-donato sulla strada tra il Cairo e Alessandria probabilmente in se-guito alle proteste per la sua spa-rizione.

In una intervista dell’8 febbraio il ministro degli Esteri italiano Pa-olo Gentiloni affermava che “non ci accontenteremo di verità pre-sunte, vogliamo che si individuino i reali responsabili e che siano pu-niti in base alla legge”. “L’Egitto

è un nostro partner strategico - ri-badiva il ministro - e ha un ruolo fondamentale per la stabilizzazio-ne della regione. Questo non ci ha mai impedito di promuovere la no-stra visione del pluralismo e dei di-ritti umani. Qui però ci troviamo di fronte a un problema diverso, cioè il dovere dell’Italia di difendere i suoi cittadini e pretendere che, quando essi sono vittima di crimi-ni, i colpevoli vengano assicurati alla giustizia. Questo dovere vale tanto più nei rapporti con un Pae-se alleato come l’Egitto”, guidato

dal generale golpista al Sisi, gran-de amico del presidente del consi-glio italiano Matteo Renzi.

Renzi è stato da subito tra i più forti sostenitori di al Sisi; dopo il golpe del 3 luglio 2013 che depo-se il presidente islamista Moham-med Morsi e l’investitura del ge-nerale a presidente con le elezioni del 26 maggio 2014, Renzi è stato il primo leader occidentale a vola-re al Cairo il 2 agosto successivo a stringergli la mano.

In una intervista dell’8 luglio 2014 a al Jazeera Renzi afferma-va che “in questo momento l’Egit-to può essere salvato soltanto dal-la leadership di al Sisi, questa è la mia opinione personale. Sono or-goglioso della nostra amicizia e lo aiuterò a proseguire nella direzio-ne della pace perché il Mediterra-neo senza Egitto sarà senza dubbio un posto senza pace”. Il 2 agosto era al Cairo, in qualità di presiden-te di turno dell’Unione Europea, e ripeteva che “abbiamo non solo il piacere e l’amicizia di una stori-ca collaborazione fra i nostri due paesi, ma un destino comune e la mia presenza qui riconosce alla le-adership egiziana un ruolo crucia-le per la stabilità dell’area e il fu-turo delle nuove generazioni”.

Non era quindi un caso che al Sisi per la sua prima visita uffi-ciale nella Ue sia passato prima di tutto da Roma il 24 novembre 2014 e che il successivo 13 mar-zo 2015 Renzi sia stato l’unico

premier del G7 presente al forum economico di Sharm el Sheikh, dove affermava che “sosteniamo la sua visione, la sua lotta alla cor-ruzione e il suo lavoro per la sta-bilità. L’Egitto può andare avanti in un processo di consolidamento istituzionale. L’Egitto affronta le crescenti minacce del terrorismo, rimanendo attaccati al rispetto del-la libertà. La stabilità dell’Egitto è la nostra stabilità, non soltanto per questa area del mondo. Apprezzia-mo la leadership e la sagezza di al-Sisi, soprattutto per quanto riguar-da la Libia. Rinnovo l’impegno dell’Italia a lavorare con lei per portare avanti una soluzione alla crisi siriana e alla crisi libica”.

Il legame tra l’Italia imperiali-sta di Renzi e il regime fascista di al Sisi è sempre più stretto, viag-gia anche sul rafforzamento de-gli scambi economici tanto che fra non molti giorni l’Italia attra-verso l’Eni firmerà con l’Egitto un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediter-raneo, un contratto che vale 7 mi-liardi di dollari solo per i primi 3 anni. È uno dei legami necessari a sostenere tra l’altro le ambizio-ni interventiste italiane in Libia. La vicenda dell’assassinio del gio-vane ricercatore italiano ha se non altro messo in primo piano questo sporco legame e indicato che oc-corre al contrario rompere le re-lazioni diplomatiche con l’Egitto.

I due amiconi Matteo Renzi e Abdel Fattah al-Sisi nell’incontro bilaterale di Sharm el-Sheikh del 13 marzo 2015

InvIato dI obama vISIta Kobane più stretta la collaborazione militare tra l’imperialismo americano e i curdi nel nord della Siria contro l’iSPer la prima volta, quanto-

meno in maniera ufficiale, una delegazione della santa allean-

za contro lo Stato islamico (Is), quella della coalizione guidata dagli Stati Uniti è entrata in ter-

ritorio siriano e il 31 gennaio ha incontrato a Kobane i rappresen-tanti dei curdi siriani. Lo ha reso

noto l’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) che ha documentato l’incontro della delegazione guidata dall’inviato speciale del presidente Obama per la lotta all’Is, Brett McGurk, e da due rappresentanti francese e britannico, con rappresentan-ti delle Forze democratiche siria-ne, uno dei gruppi che ricevono il sostegno diretto dagli Usa.

Stando a altre fonti l’inviato di Obama ha incontrato anche rapresentanti delle Ypg, le Uni-

tà di difesa popolare del Partito dell’Unione Democratica (Pyd) che, supportate dai bombarda-menti aerei Usa, sono state pro-tagoniste della difesa della città dall’attacco delle forze dell’Is. I rappresentanti curdi non sono tra gli invitati dei meeting imperia-listi sulla Siria, tenuti fuori dalla Turchia. Il che comunque non ha impedito ai rappresentanti del-la coalizione imperialista la vi-sita a Kobane, una visita che in-tanto simbolicamente riconosce

l’importanza delle formazioni dei curdi siriani contro l’Is e va verso una più stretta collabora-zione militare tra l’imperialismo americano e i curdi nel nord del-la Siria. Collaborazione che in-sieme a quella di recente offer-ta anche dall’imperialismo russo non vanno certo a vantaggio del-la legittima richiesta dei curdi siriani di avere uno Stato autono-mo e il diritto di autodetermina-zione del popolo curdo, che noi sosteniamo

Secondo l’oSSeRvatoRIo SIRIano peR I dIRIttI UmanI (ondUS)

più di mille i civili morti nei raid russi in Siria e 238 bambini

In un rapporto pubblicato il mese scorso, aveva denunciato che “centinaia di civili” erano stati uc-cisi dagli attacchi aerei russi com-piuti contro aree residenziali. Sia Amnesty International che Human Rights Watch avevano denunciato l’uso nei raid russi anche di bom-be a grappolo e avevano accusato Mosca di avere compiuto “crimini di guerra”.

Il bilancio delle vittime civi-li cadute sotto le bombe di Putin dall’inizio dell’intervento russo in Siria il 30 settembre scorso era calcolato dall’Osservatorio nazio-nale per i diritti umani (Ondus), un organismo che ha sede in Gran Bretagna e conta su una rete di in-formatori in Siria, secondo il quale sono 1.015 i civili uccisi, dei quali 238 bambini e ragazzi minorenni.

Il papa appoggIa l’IRan dI RoUhanI nella lotta

contRo l’ISIl presidente della Repubblica

islamica d’Iran, Hassan Rouha-ni, il 26 gennaio scorso, nella se-conda giornata del suo viaggio in Italia si è recato in Vaticano dove si è intrattenuto con il segretario di Stato, il cardinale Pietro Paro-lin, accompagnato dal segretario per i Rapporti con gli Stati, mon-signor Paul Gallagher e succes-sivamente ha avuto un’udienza privata con papa Francesco.

In un bollettino diffuso al ter-mine dei colloqui la Santa Sede

spiegava che durante l’udienza si era affrontato il tema dell’ap-plicazione dell’accordo sul nu-cleare e “si è rilevato l’impor-tante ruolo che l’Iran è chiamato a svolgere, insieme ad altri Pae-si della Regione, per promuove-re adeguate soluzioni politiche alle problematiche che affliggo-no il Medio Oriente, contrastan-do la diffusione del terrorismo e il traffico di armi. Al riguar-do, è stata ricordata l’importan-za del dialogo interreligioso e la

responsabilità delle comunità re-ligiose nella promozione della ri-conciliazione, della tolleranza e della pace”.

Al netto delle questioni stret-tamente religiose la nota del Vaticano metteva in eviden-za l’appoggio del papa all’Iran di Rouhani nella lotta contro la “diffusione del terrorismo”, leg-gi lo Stato islamico, il nemico comune della Santa alleanza im-perialista benedetta da France-sco.

Una recente immagine di Aleppo (Siria) sotto i bombardamenti

russi

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N. 7 - 18 febbraio 2016 unione europea / il bolscevico 15Abolito di fAtto lo spAzio schengen

europa blindata contro i migranti Frontiere ripristinate dalla Macedonia alla Scandinavia. La Svezia annuncia espulsioni di massa. La Danimarca

confisca i beni ai profughi. Minacciata di espulsione la Grecia perché non respinge i barconi in EgeoIl vertice europeo in program-

ma il prossimo 18 febbraio ha tra i principali punti all’ordine del giorno l’esito del negoziato per la permanenza nell’Unione euro-pea della Gran Bretagna e il pun-to sull’attuazione delle decisioni in merito alla crisi migratoria e dei ri-fugiati. Un appuntamento al qua-le i 28 paesi della Ue arriveranno con una serie di soluzioni adottate ciascuno per conto proprio che di fatto aboliscono lo spazio Shen-gen, la libera circolazione delle persone, e presentano un Europa blindata contro profughi e soprat-tutto migranti.

Il 25 gennaio a Amsterdam il vertice dei ministri degli Inter-ni dell’Ue ha discusso della pro-posta della Commissione di cre-are un corpo europeo di guardie di frontiera con cui controllare i flussi migratori, un controllo alle frontiere esterne. La soluzione sarebbe quella di blindare, o me-glio cercare di blindare le frontiere esterne col contributo di tutti i pa-esi membri e non solo di quelli po-sizionati sul confine, Italia, Grecia e Spagna in primis. Se si chiudo-no le frontiere interne tutto il peso dell’accoglienza di profughi e rifu-giati tra l’altro cadrebbe su di loro e ovviamente questi paesi sono contrari anche alla sola sospen-sione di Shengen.

Chi sta geograficamente die-tro propone altre soluzioni come alcuni dei sei paesi dell’area Schengen che hanno attualmen-te in corso i controlli alle frontie-re interne, dalla Francia che le ha chiuse in seguito agli attacchi di novembre a Danimarca, Germa-nia, Austria, Norvegia e Svezia che hanno chiesto alla Commis-sione europea di avviare la pro-

cedura per il prolungamento di questi controlli. Lo rendeva noto il segretario di stato olandese Klaas Dijkhoff al termine del vertice che annunciava la richiesta di attiva-zione “dell’articolo 26 del codice Schengen”, quello che prevede la concessione di proroghe di sei mesi ciascuna fino a un massimo di due anni. Tra l’altro a maggio scade il blocco alle frontiere atti-vato da Austria e Germania. Se non tengono le frontiere esterne si ripristinano quelle interne, o si cacciano dall’area Shengen i pa-esi di frontiera che non tengono i profughi in attesa dello svolgi-mento delle pratiche di identifica-zione e smistamento. Nel frat-tempo tornano le frontiere dalla Macedonia alla Scandinavia e la Grecia è minacciata di espulsio-ne perché non respinge i barco-ni in Egeo.

Toccava al Commissario Ue per le Migrazioni, il greco Dimi-tris Avramopoulos, smentire la di-scussione sull’ipotesi della Gre-cia fuori da Schengen mentre il ministro spagnolo Fernandez-Diaz affermava che non c’è la vo-lontà di isolare la Grecia, sarebbe oltre che “politicamente inaccet-tabile” anche “inapplicabile” dato che sarebbe di fatto irrealizza-bile controllare le frontiere sulle oltre 400 isole della Grecia. “La sospensione di Schengen o l’e-sclusione di un Paese da Schen-gen sono due possibilità che non esistono”, sosteneva la porta-voce dell’esecutivo comunitario, Natasha Bertaud, che provava a chiudere la questione, almeno per il momento, in attesa del rap-porto della Commissione sul fun-zionamento di Schengen nei di-versi paesi dell’Unione. Secondo

indiscrezioni sul documento sem-bra che la Grecia sarà bocciata e riceverà una serie di raccoman-dazioni con le misure da prende-re per ripristinare il controllo delle frontiere; se la misura funzionerà entro tre mesi, l’allarme sarà ces-sato altrimenti diventa molto pro-babile la chiusura delle frontiere interne per due anni.

La Svezia non solo è tra i pae-si che hanno ripristinato i control-li ma ha annunciato espulsioni di massa tra i profughi che hanno raggiunto il paese. Il ministro de-gli Interni svedese, Ygeman An-ders, rendeva noto che il governo ha deciso di respingere 80 mila delle 163 mila domande di asilo ricevute e di voler avviare il pro-gramma di espulsioni tramite voli charter che potrebbe durare motli anni. Senza tenere di conto che in mancanza di accordi specifici con i paesi di provenienza dei profu-ghi il rimpatrio è impossibile. La

decisione del governo di Stoccol-ma ringalluzziva i gruppi nazisti e xenofobi che il 29 gennaio orga-nizzavano la spedizione punitiva di oltre un centinaio di persone, vestite di nero e con un cappuccio sulla testa, nella stazione centrale della capitale picchiando gli immi-grati e distribuendo volantini con minacce di “punizione” ai “bambi-ni nordafricani“. Sotto lo sguardo complice della polizia.

In Danimarca, che nel 2015 ha ricevuto 21 mila richieden-ti asilo, il governo di destra dopo aver chiuso le frontiere decide-va di confiscare i beni ai profu-ghi. Come facevano i nazisti con gli ebrei. Il Parlamento danese ha approvato il 26 gennaio con 81 voti favorevoli, 27 contrari e un astenuto tutte le proposte del governo, fra le quali quella del-la confisca di denaro e ogget-ti di valore oltre 1.300 euro “per contribuire alle spese di mante-

nimento e alloggio” e dell’esten-sione a tre anni del periodo ne-cessario per poter procedere alla richiesta di riunificazioni familiari. Il via libera ai provvedimenti, che annunciati nel novembre scorso avevano sollevato diverse prote-ste anche nel paese, era venu-to il 12 gennaio con l’intesa tra il Venstre, il partito liberale del pri-mo ministro Lars Løkke Rasmus-sen, e i suoi partner di destra, il Partito popolare danese (df), l’Al-leanza liberale e il Partito popola-re conservatore, cui si erano ver-gognosamente accordati anche i socialdemocratici all’opposizione.

La pratica delle confische ai profughi è già impiegata in Sviz-zera e nei Laender tedeschi di Ba-viera e Baden-Württenberg, tanto che all’annuncio del governo da-nese la Commissione affermava che la confisca dei beni ai richie-denti asilo “è compatibile” con la normativa internazionale “solo se

è proporzionata e necessaria”.Il leader dei laburisti olande-

si Diederik Samsom, il cui parti-to è il principale della coalizione di governo, affermava che in fu-turo si può pensare a rimpatria-re i richiedenti asilo non accol-ti con i traghetti e non nei paesi d’origine, mancando quasi sem-pre gli accordi bilaterali per i rim-patri, ma in Turchia, “non appena la situazione dell’accoglienza ai rifugiati sia migliorata in quel pa-ese”. Certo al momento, secon-do Human Rights Watch la situa-zioni dei profughi in Turchia non è assolutamente accettabile sotto il profilo igienico e dell’accesso a servizi fondamentali quali la sani-tà e l’istruzione di bambini e ado-lescenti e l’Europa “ha solo deci-so di esternalizzare il problema in cambio di denaro”, i tre miliardi di euro che arriveranno a Ankara.

Il regime di Erdogan potrà con-tare sui finanziamenti aggiunti-vi della Ue ma nel frattempo non sta con le mani in mano; secon-do un rapporto dell’organizzazio-ne no profit Business and Human Rights Resource Centre (Bhrrc) le fabbriche turche di alcuni grandi marchi della moda internaziona-le sfruttano i bambini e i rifugia-ti siriani. Secondo l’organizzazio-ne sarebbero centinaia di migliaia i rifugiati siriani che lavorano con stipendi inferiori al salario minimo consentito, soprattutto in fattorie e aziende agricole nelle aree più re-mote del paese. Esperti del Cen-tre for Middle Eastern Strategic Studies (ORSAM) parlano di al-meno 250 mila rifugiati siriani che stanno lavorando illegalmente in Turchia, ben il 10% circa dei 2,5 milioni di profughi censiti ufficial-mente.

Un favore ai responsabili del dieselgate e alle grandi case automobilistiche

La UE raddoppia iL LimitE minimo di inqUinamEnto da poLvEri sottiLi

Il parlamento europeo approva la modifica del regolamento sugli ossidi di azoto infischiandosene degli impegni di Parigi Che le emissioni di NOx dei

veicoli diesel fossero ben diver-se da quelle dichiarate lo si sape-va bene anche prima, tuttavia è stato il caso Volkswagen che ha reso la pantomima visibile a livello globale. Adesso dalla pantomima si passa alla legalizzazione di un vero e proprio abuso. Nonostan-te il Dieselgate quindi, vincono le auto e perdono i nostri polmoni e l’ambiente.

Ormai senza più remore, il par-lamento europeo ha sancito la sua fedeltà alla lobby manipolatri-ce e ricattatoria dell’industria au-tomobilistica e non ha trovato la forza necessaria per respingere una proposta della Commissione europea volta a diluire e a rinvia-re di molti anni l’obbligo di rispet-tare i limiti sulle emissioni dei mo-tori diesel. I parametri, definiti in un regolamento del lontano 2007, sarebbero dovuti entrare in vigo-re per tutti i nuovi modelli nel set-tembre del 2015 fissando lo stan-dard delle emissioni dei veicoli Euro 5/6 a un limite massimo di 80 mg / km per le emissioni di os-sidi di azoto (NOx) da veicoli die-sel, rilevati su strada. Il 19 maggio scorso, il Comitato tecnico Euro-peo dei veicoli a motore (Tcmv) ha approvato il regolamento attuati-vo (Rde) che prevedeva l’introdu-zione dal gennaio 2016 di test di

sperimentazione su veicoli in stra-da, con dispositivi portatili di misu-ra delle emissioni (Pems); lo stes-so Comitato però, composto da rappresentanti dei governi e del-la stessa Commissione Europea, ha adottato anche un ulteriore re-golamento che prevede l’introdu-zione di un “fattore di conformità” per determinare i limiti da non su-perare.

In sostanza è questo il ”cavallo di troia” che vanifica per molti anni a venire e forse irrimediabilmente i già ampi limiti di legge previsti, consentendo a tutti i veicoli diesel venduti sul mercato Ue e fino al 2021, di superare del 110 per cen-to il limite di NOx – (sostituendo il valore limite di 80 mg / km con 168mg / km) – e del 50 per cento dopo il 2021 – (cambiando il limite da 80mg a 120 mg / km).

La Commissione Ambiente dell’Europarlamento ha contesta-to la decisione del Comitato ma per bloccare il tutto ci sarebbe stato bisogno di un voto a maggio-ranza qualificata della plenaria del Parlamento europeo (375 voti). Presidente di tale Commissione è il forzista LaVia che, a dispetto della decisione della maggioranza dei deputati della sua Commissio-ne, ha dichiarato come molti altri esponenti del suo partito e della destra europea che la Commis-

sione stessa vuole mettere ”i tap-pi ai tubi di scappamento e fare chiudere le fabbriche”. In pratica, impunemente, si continua a legi-ferare con lo stesso vergognoso, opportunista e purtroppo comu-ne ricatto che fu anche dell’ILVA di Taranto quando all’esplodere dello scandalo, gli addetti ai lavo-ri quasi si giustificavano dicendo che c’era spazio “o per il lavoro, o per la salute”. Stavolta, grazie anche al solerte lavoro di mol-ti governi, incluso il nostro schie-rato a spada tratta con i costrut-tori, nella sessione di Strasburgo del 3 febbraio, non si sono trova-ti i 375 voti necessari ad adotta-re la contestazione e la norma è passata. Insomma, non è sem-brato un argomento convincente per 323 deputati il fatto assodato secondo il quale l’inquinamento al diossido di azoto, dovuto prin-cipalmente alle emissioni di ossi-do di azoto (NOx) dei veicoli die-sel, sia l’esclusivo responsabile di 75.000 morti premature in Europa ogni anno; in questo ambito, pro-prio l’Italia detiene il triste primato internazionale.

Tra gli artefici dell’ennesimo regalo alle multinazionali figura-no 21 europarlamentari italiani, fra i quali il già citato Presidente della commissione ambiente La-Via, la coordinatrice alla Commis-

sione Ambiente Elisabetta Gardi-ni, entrambi di Forza Italia, gli altri forzisti Lorenzo Cesa, Alessandra Mussolini ed Antonio Tajani (PPE), Raffaele Fitto (ECR), il nazista Borghezio ed il razzista e fascista Salvini del gruppo capeggiato dal-la fascista Marie Le Pen, Enf (Eu-ropa delle azioni e delle libertà). Fra gli altri 61 membri che si sono astenuti appoggiando di fatto la misura, spicca il nome di Simona Bonafè, relatrice Pd della direttiva sull’economia circolare, e dei PD Caterina Chinnici, Silvia Costa, Luigi Morgano e Michela Giuffrida a testimoniare l’assoluta unità d’intenti, seppur con strategie sta-volta differenti, fra PD e Forza Ita-lia. Di fatto in aula i popolari hanno guidato compatti la battaglia per alzare i limiti, mentre è significati-vo che il sedicente fronte compo-sto da verdi, socialisti, sinistra uni-taria, liberali e cinque stelle, non abbia trovato unanimità neanche nell’opposizione. Astenuti anche tutti i britannici dell’Ukip che insie-me con i grillini formano il gruppo Efdd.

Il messaggio dunque è chia-ro. Dopo lo scandalo Volkswagen, nonostante le nostre città siano assediate dallo smog, nonostante il mezzo milione di morti prematu-re e i 940 miliardi di costi all’an-no, per il parlamento europeo è

meglio alzare i limiti invece che ri-spettare le norme e la salute pub-blica e l’ambiente; limiti che essi stessi sono tuttora il compromes-so fra i profitti delle case produttri-ci e salute e ambiente pubbliche che tende da sempre a favorire gli interessi delle prime a spese dei secondi. Una “scelta assurda e insensata che va contro la salute dei cittadini e l’ambiente. Un vero e proprio condono che premia i furbi e non l’innovazione e la qua-lità, solo a favore delle lobby auto-mobilistiche”: così ha commentato il direttore generale di Legambien-te, Stefano Ciafani. Molti quotidia-ni si interrogano sul perché ciò è potuto accadere proprio a poche settimane dalla conclusione del-la Cop21 di Parigi e da uno scan-dalo planetario come il Dieselgate Volkswagen, e con le città asse-diate dallo smog; la denuncia del-la stampa di regime trasuda però di retorica poiché com’è possibile chiedersi senza dare una risposta che appare fin troppo chiara sul perché le massime istituzioni eu-ropee sono così vilmente sotto il ricatto delle case automobilistiche e delle lobbies di settore?

La verità è che c’è incompa-tibilità fra gli interessi del capi-talismo ed il reale rispetto del-la natura, dell’ambiente e della salute pubblica, così come per

il soddisfacimento dei reali biso-gni e interessi delle popolazioni. A distanza di due mesi siamo di fronte all’ennesimo fallimento del-le direttive e degli impegni di Pa-rigi registrando l’ennesima truffa politica sulle tematiche ambienta-li, a conferma che a poco servono i proclami in coro conditi di belle parole e dagli scarsi contenuti, di cui fanno vanto le massime istitu-zioni europee e i politicanti di re-gime; nello stesso tempo, anco-ra una volta, dobbiamo prendere atto di un altro regalo alle multi-nazionali, gentilmente conces-so dai rappresentanti di governi compiacenti e disposti a tutto pur di rimanere saldamente lacchè al soldo di esse. Quell’ Europa “vici-na alle persone” che paiono inse-guire anche i rappresentanti delle più grandi associazioni ambien-taliste, non potrà mai realizzarsi nel capitalismo perché è il capita-lismo stesso che crea e forma isti-tuzioni e governi a esso funzionali e quindi amici della speculazione e del profitto e nemici dei bisogni delle popolazioni, incluso quello di vivere in un ambiente sano e ri-spettato, che possa aiutare il pro-gresso umano con le sue risorse e nello stesso tempo rigenerarsi completamente svolgendo quel ruolo che la natura stessa gli ha attribuito.

Profughi ammassati all’addiaccio in Austria

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ASTIENITICREIAMO LE ISTITUZIONI

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NON VOTAREI PARTITI

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Delegittimiamole istituzionirappresentativeborghesi

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