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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Dottorato di Ricerca in Storia Ciclo XXXII Curriculum Società, Politica e Istituzioni in Età Moderna e Contemporanea Tesi di Dottorato in Storia Contemporanea I GIOVANI DI DESTRA IN ITALIA E IL FRONTE DELLA GIOVENTÙ (1971-1978) Tutor: Prof. Bruno Ziglioli Tesi di Dottorato del Dott. Luca Bellia Anno accademico 2018 - 2019

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Dottorato di Ricerca in Storia – Ciclo XXXII

Curriculum Società, Politica e Istituzioni in Età Moderna e Contemporanea

Tesi di Dottorato in Storia Contemporanea

I GIOVANI DI DESTRA IN ITALIA E IL FRONTE DELLA GIOVENTÙ

(1971-1978)

Tutor: Prof. Bruno Ziglioli

Tesi di Dottorato del

Dott. Luca Bellia

Anno accademico 2018 - 2019

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Indice

Indice delle abbreviazioni p. 5

Introduzione p. 8

Una storia difficile da raccontare: ricerche e lacune documentali p. 8

Per una definizione dei confini della ricerca p. 15

Capitolo I: La formazione del Fronte della Gioventù p. 19

1.1 Fascisti, neofascisti o postfascisti? Una questione terminologica p. 19

1.2 Le prime organizzazioni giovanili e la formazione delle correnti p. 22

1.3 Il MSI ha un problema: i giovani. Sessantotto, scelte di campo e radicalizzazione dello

scontro politico p. 30

1.4 La fondazione del Fronte della Gioventù p. 41

Capitolo II: La destra e la logica politica, tra violenza e ridefinizione del perimetro p. 52

2.1 Il nuovo corso della destra giovanile e lo scontro con la realtà (1971-1972) p. 52

2.2 Il neofascismo, i giovani di destra e la violenza: un tentativo di spiegazione p. 64

2.3 Indietro non si torna: la morte dell’agente Antonio Marino e il caso studio

di San Babila p. 82

Capitolo III: Gli anni difficili della destra giovanile italiana p. 97

3.1 I giovani e il partito: un tentativo di differenziazione p. 97

3.2 Il lungo 1975 della destra italiana: crisi economica e ridefinizione della strategia p. 107

3.3 Omicidi e violenza politica: il neofascismo giovanile al bivio p. 120

Capitolo IV: Verso un altro neofascismo p. 131

4.1. La scissione di Democrazia Nazionale e le crepe nella “comunità umana”

della destra p. 131

4.2 I giovani di destra non sono più gli stessi: il tentativo di uscire dal “ghetto” e il primo

Campo Hobbit p. 144

4.3 Acca Larentia e la riemersione della violenza nera p. 155

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Conclusione p. 162

Una storia ancora aperta p. 162

Fonti e bibliografia p. 165

Archivi p. 165

Testimonianze orali p. 165

Fonti a stampa p. 166

Bibliografia a carattere generale p. 166

Bibliografia a carattere specifico p. 167

Sitografia p. 173

Ringraziamenti p. 175

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Indice delle abbreviazioni

ACLI: Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani;

ACS: Archivio Centrale dello Stato;

ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6: Direttiva Renzi del 22 aprile 2014, versamento Presidenza

del Consiglio dei Ministri, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, AISE, Serie 2-

50-6: Attività di natura eversiva e violenta da parte di partiti e movimenti politici estremisti (1972-

1986);

ACS, Ministero dell’Interno: ACS, Ministero dell’Interno, 1814-1986; Gabinetto 1814-1985;

Archivio Generale 1848-1985; Fascicoli permanenti 1944-1985, P. Partiti Politici 1971-1975;

Afus: Archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice;

AN: Avanguardia Nazionale;

ANPI: Associazione Nazionale Partigiani d’Italia;

ASAN: Associazione Studentesca di Azione Nazionale;

BR: Brigate Rosse;

Centro C.S.: Centro Comando Stazione

CGIL: Confederazione Generale Italiana del Lavoro;

CISL: Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori;

CISNAL: Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei Lavoratori;

DC: Democrazia Cristiana;

FAR: Fasci di Azione Rivoluzionaria;

FdG: Fronte della Gioventù;

FMG: Fronte Monarchico Giovanile;

FNCRSI: Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana;

FUAN: Fronte Universitario di Azione Nazionale;

GI: Giovane Italia;

LC: Lotta Continua;

MPON: Movimento Politico Ordine Nuovo;

MSI: Movimento Sociale Italiano;

MSI-DN: Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale;

OLP: Organizzazione per la Liberazione della Palestina;

ON: Ordine Nuovo;

PCI: Partito Comunista Italiano;

PDIUM: Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica;

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PLI: Partito Liberale Italiano;

PO: Potere Operaio;

PSDI: Partito Socialista Democratico Italiano;

PR: Partito Radicale;

Reparto D: Ufficio di Controterrorismo e Controspionaggio del Servizio Informazioni Difesa

(operante dal 1971 al 1978);

RGSL: Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori;

SID: Servizio Informazioni Difesa;

UIL: Unione Italiana del Lavoro;

VN: Volontari Nazionali.

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I GIOVANI DI DESTRA IN ITALIA E IL FRONTE DELLA GIOVENTÙ

(1971-1978)

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Introduzione

Una storia difficile da raccontare: ricerche e lacune documentali

Questa tesi di dottorato intende studiare una galassia umana eterogena e complessa, eppure unita

entro il perimetro politico della destra, costituita dai giovani neofascisti negli anni Settanta. «A scuola

la scelta della destra era contro l’omologazione, per un giovane che voleva fare politica, come me,

c’erano solo la sinistra oppure l’emarginazione; se eri emarginato venivi etichettato subito come

fascista»1. Le parole di Marco Zacchera, responsabile del Fronte della Gioventù verbanese, offrono

uno spunto rilevante per definire il quesito che ha dato inizio al lavoro. In altre parole, che cosa

spingeva ragazze e ragazzi a fare politica da destra? E in che modo si faceva politica a destra?

L’analisi delle ragioni che portarono i giovani a entrare nella “riserva indiana”2 della destra e,

contestualmente, delle forme dell’attività di questi gruppi si intreccia con lo studio del rapporto che

le giovani generazioni ebbero con il MSI.

Sono elementi profondamente interrelati, le motivazioni che causarono la scelta, le declinazioni

dell’azione politica e i contatti con il partito, tanto da tenere insieme anime molto differenti e approcci

ideologici decisamente distanti3. Roberto Chiarini ha scritto che, negli anni Settanta, la destra

affascinava i giovani sia per la sua forte carica antisistemica e minoritaria, sia per lo spiccato carattere

militante proposto, e non certamente per un’ideologia condivisa4. La frattura generazionale,

provocata dal Sessantotto, dispiegò i suoi effetti in termini di elevata conflittualità tra giovani e adulti

e contribuì a ridefinire alcuni tratti dell’identità neofascista.

L’identità e la memoria sono concetti primari per la comprensione di questa area: il riconoscimento

e l’accettazione in un gruppo, unito al richiamo nostalgico a momenti del passato (un passato spesso

troppo lontano dai giovani per essere vissuto), generato in prima battuta dalla non accettazione del

regime politico in cui i giovani degli anni Settanta vivevano, sono campi di studio rilevanti,

soprattutto per quella parte politica nata dalle ceneri del fascismo e legata più al sentimento

d’appartenenza che all’ideologia5.

1 Testimonianza all’autore di Marco Zacchera, raccolta Verbania il 28 novembre 2016. 2 L’espressione è ripresa da: Luciano Lanna e Filippo Rossi, Fascisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla

destra, Vallecchi Editore, Firenze 2003, p. 29. 3 Si confrontino: Giovanni Tassani, Le culture della destra italiana tra dopoguerra e centrosinistra. Gentilianesimo,

cattolicesimo ed evolismo a confronto, in “Nuova Storia Contemporanea”, n. 2 anno 2003, pp. 135-148; Corrado

Fumagalli e Spartaco Puttini (a cura di), Destra, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2018, pp. 14 e ss. 4 Roberto Chiarini, I giovani di destra in Italia negli anni Settanta, in “Nuova Storia Contemporanea”, n. 2 anno 2009,

pp. 131-132. 5 Giuseppe Parlato, Introduzione, in AA. VV., “Nostalgia dell’avvenire. Il Movimento Sociale Italiano a 70 anni dalla

nascita”, Fondazione Alleanza Nazionale, Roma 2016, pp. 9-18.

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Questa tesi tratterà dei giovani non rivolti programmaticamente a scopi eversivi, o perlomeno di

quelli che non avessero scelto la violenza come via preminente del loro agire nel confronto con gli

avversari politici; nello specifico, verrà analizzata la relazione tra le giovani generazioni e le strutture

deputate ad inquadrarli nel MSI, il partito di riferimento di tutta l’area e quello generalmente

riconosciuto come tale anche dai giovani militanti. L’arco temporale di riferimento è denso di episodi

terroristici, omicidi, attentati e resta dunque necessario affrontare il rapporto problematico di questi

con la violenza. In quegli anni il processo di politicizzazione raggiunse il culmine e le generazioni

più giovani si definirono in tale contesto, nella temperie della radicalizzazione dello scontro politico,

in risposta alle scelte dei loro coetanei, per mezzo di ideologie e atteggiamenti peculiari. Il continente

europeo visse, nella seconda metà del XX secolo un periodo di politicizzazione di massa dei giovani,

che mai come allora parteciparono alla vita politica dei loro Paesi6.

È da sottolineare che il Movimento Sociale Italiano divenne il baluardo istituzionale delle

formazioni di destra, dai nostalgici neofascisti fino ai tradizionalisti cattolici, passando per i

sostenitori della monarchia, non solamente per via dell’accordo con i monarchici, i quali di fatto

entrarono nel MSI nel 1972, ma anche per il ruolo egemone svolto in quell’area politica a partire dalla

prima metà degli anni Sessanta. Inoltre, il politologo Tarchi ha argomentato che “l’ambito sociale a

cui il Msi ha rivolto gli sforzi di penetrazione più continui e diretti è [stato, nda] quello delle giovani

generazioni”7.

La storiografia si è spesso confrontata con la destra italiana, sebbene le analisi sistematiche sulla

storia del MSI siano esigue e quelle maggiormente citate pertengano a due studiosi di formazione

politologica, Piero Ignazi e Marco Tarchi8. Sono da considerarsi utilissime le opere di Nicola Rao,

ricche di interviste a personaggi poco raggiungibili, e Adalberto Baldoni, uno degli intellettuali

moderati di destra che ha contribuito a scriverne la storia9. In generale, i numerosi contributi degli

studiosi guardano con angolazioni tematiche e cronologiche differenti al fenomeno, a cominciare dai

6 Marco De Nicolò (a cura di), Dalla trincea alla piazza. L’irruzione dei giovani nel Novecento, Viella, Roma 2011;

Ludivine Bantigny, Arnaud Baubérot, Hériter en politique. Filiations, générations et transmissions politiques

(Allemagne, France et Italie, XIXe-XXIe siècle), Presses universitaires de France, Paris 2011. 7 Marco Tarchi, Dal Msi ad An. Organizzazione e strategie, Il Mulino, Bologna 1997, p. 321. 8 Tra le opere più importanti, di Piero Ignazi: Il polo escluso. Profilo storico del Movimento Sociale Italiano, Il Mulino,

Bologna 1989; Postfascisti? La trasformazione del Movimento sociale in Alleanza nazionale, Il Mulino, Bologna 1994;

di Marco Tarchi: (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo,

Rizzoli, Milano 1995; Dal Msi…, cit.; (a cura di), La rivoluzione impossibile. Dai Campi Hobbit alla Nuova Destra,

Vallecchi, Firenze 2010. 9 Nicola Rao, Trilogia della celtica. La vera storia del neofascismo italiano, Sperling & Kupfer, Milano 2014;

Neofascisti. La destra italiana da Salò a Fiuggi, Settimo Sigillo, Roma 1999; Adalberto Baldoni, Destra senza veli

1946-2017. Storia e retroscena dalla nascita del Msi ad oggi, Fergen, Roma 2017.

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lavori di Giuseppe Parlato, notevoli per le riflessioni proposte, per la varietà dei temi trattati e per le

fonti primarie utilizzate10.

Gli anni Settanta stimolano l’attenzione degli storici oramai da decenni e gli approfondimenti di

storia politica, sociale e culturale aiutano a tratteggiare i contorni di anni difficili da afferrare, spesso

per il coinvolgimento emozionale degli autori, così determinanti per le scelte dei singoli e dei gruppi

politici11. L’area della destra nel decennio della strategia della tensione e degli anni di piombo è stata

trattata in saggi, articoli e libri, i quali, principalmente, hanno esaminato nel dettaglio i legami tra

l’eversione nera e il partito, oppure il tema della violenza a scopo politico e terroristico. Eppure,

manca un’analisi organica delle formazioni giovanili che si intende mettere al centro del presente

progetto. Questo lavoro affronterà il legame con la violenza, ma non si esaurirà sul punto: infatti, le

forme dell’attività politica sono molte e numerosi spunti, al fine di leggere il neofascismo di quegli

anni, vengono da altre direzioni.

Nel 1996 Pasquale Serra pubblicò un’analisi rilevante della storiografia sulla destra, nella quale

individuava due orientamenti prevalenti presso gli storici. Il primo era l’identificazione della storia

missina con quella del vertice del partito: alla comunità di nostalgici veniva assegnato un ruolo

passivo nella definizione dell’identità e nell’attività politica, poiché tutto dipendeva da pochi uomini

al comando del partito. Nel medesimo frangente, si procedeva a sovrapporre i concetti di destra e

fascismo. In tal modo, per Serra, gli storici avrebbero confuso il richiamo simbolico al Ventennio, in

capo alla definizione dell’identità della comunità umana neofascista, al riferimento a tutto l’impianto

ideologico del regime.

Il secondo filone interpretativo si caratterizzava per la spiegazione variabile del rapporto della

destra con il fascismo: il “processo storico” influenzava costantemente questa relazione e precisava i

confini della stessa categoria della destra12. L’etichetta, dunque, andrebbe specificata a seconda dei

contesti, o meglio: dell’oggetto della ricerca. Destra, neofascismo, fascismo e altri concetti d’area

vanno tratteggiati e applicati con cautela ad un universo politico che ha sempre mostrato un’immagine

di inscalfibile fissità all’esterno, e invece è stato in costante mutamento all’interno.

Ora, per quanto attiene a questa ricerca alcuni rilievi di Serra sono condivisi e costituiscono il

sostrato di partenza del lavoro: in gran parte della letteratura vi è stata una tendenza, per dirla con

Parlato, a raffigurare il partito «a tutti i costi antisistemico e antiparlamentare», connesso alle frange

10 Giuseppe Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia 1943-1948, Il Mulino, Bologna 2006;

La Fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale, Luni Editrice, Milano 2017. 11 Barbara Armani, Italia anni settanta. Movimenti, violenza politica e lotta armata tra memoria e rappresentazione

storiografica, in “Storica”, f. 32 vol. 11 anno 2005, pp. 41-82. Nello specifico, pp. 43 e 61. 12 Pasquale Serra, Storiografia sulla destra e teoria della storia contemporanea, in “Democrazia e Diritto”, f. 2-3 vol.

XXXVI anno 1996, pp. 317-353.

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più radicali13. In realtà, esso seguì la linea della fermezza per guadagnare il maggior consenso

possibile: tra le mosse della segreteria ci fu la gestione fortemente controllata del settore giovanile,

come dimostrano una regolamentazione pervasiva e, in molte fasi, sofferta dai militanti, talvolta

pubblicamente in contrasto con il vertice, e l’apertura ai non iscritti che avessero voluto contribuire

all’edificazione della Destra Nazionale14.

Pertanto, nel presente lavoro si propone di introdurre una distinzione tra gruppi che facevano

politica a destra e formazioni votate a fini eversivi oppure all’uso indiscriminato della violenza quale

metodo principale di azione politica -in esplicito rifiuto del sistema democratico. Non si tratta

semplicemente una separazione dettata dalle norme statutarie del Fronte della Gioventù o del Fronte

Monarchico Giovanile o, ancora, del FUAN: è altresì frutto delle risultanze emerse dal vaglio della

documentazione disponibile, proveniente in particolar modo dall’Archivio Centrale dello Stato.

Resta da problematizzare il rapporto con il fascismo, giacché allo stacco generazionale degli anni

Settanta, avvenuto tramite l’ingresso in politica dei giovani anagraficamente distanti dal Ventennio,

si sommò quella rottura formale e sostanziale che condusse agli sperimentali Campi Hobbit15, ovvero

all’ingresso di una nuova destra nello scenario italiano. Dino Cofrancesco pubblicò nel 1983 un

saggio in cui offriva una definizione di destra complessa e, a tutt’oggi, poco usata: la destra sarebbe

quella parte politica che avversa il regime politico democratico. La democrazia non è accettata dalla

destra per la sua struttura del potere e non a causa del processo di potere (il quale prende corpo entro

la struttura e consiste in libere elezioni, meccanismi di rappresentanza, ecc.); tuttavia, sia il

neofascismo sia l’estrema destra non avrebbero come comune denominatore la violenza politica

finalizzata ad ostacolare la struttura democratica. In questi termini, le associazioni dell’area della

destra avrebbero accettato il funzionamento della democrazia, il processo di potere, pur

contestandone la cornice normativa in cui si sviluppava16. Questo nodo, l’accettazione o il rifiuto

della democrazia, è presente anche nel dibattito interno giovanile e verrà affrontato nei capitoli

successivi, attraverso l’ausilio di documentazione recentemente scoperta che ha permesso alcuni passi

in avanti significativi.

In ogni caso, il grande ostacolo alle ricerche degli studiosi della destra rimane la carenza di fonti

primarie e, nello specifico, di documenti ufficiali. Per lo storico, questa mancanza risulta decisamente

13 Giuseppe Parlato, Per una definizione storica della destra italiana, in “Nova Historica”, anno XIV volume 54 (2015),

p. 15. 14 Lia Scarpa, L’organizzazione del M.S.I. e degli altri movimenti di destra (1959-1984), in Carlo Vallauri, “I partiti

politici italiani tra declino e riforma. Saggi e documenti”, Bulzoni, Roma 1986, pp. 552-557. 15 I Campi Hobbit furono dei raduni a scopo ricreativo e culturale, pensati per i giovani neofascisti che tentavano di

superare i tradizionali confini politici attraverso la musica, il teatro e altre attività genericamente considerate territorio

della sinistra. Oltre al libro di Marco Tarchi, citato a pagina 3, è decisamente interessante il materiale presente presso:

https://www.campohobbit40.it. 16 Dino Cofrancesco, La nuova destra dinnanzi al fascismo, in “Notiziario d’Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e

provincia”, vol. 23 anno 1983, pp. 75-113. La citazione è a pagina 76.

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invalidante dal momento che il partito non si dotò nemmeno di una fondazione culturale con il

compito di raccoglierne e gestirne la storia e la memoria. Tale situazione suggerisce alcune riflessioni

storiografiche sulla destra, valide anche per gli anni Settanta.

Sul punto, lo storico Parlato ritiene che vi siano alcune cause: in primo luogo, la speranza di un

ritorno al potere e la «tradizionale diffidenza verso la forma partitica», mostrata fin dall’origine,

spinsero i missini a non dotarsi di un apparato deputato a registrare il passato, poiché il ritorno al

potere doveva essere imminente; in secondo luogo, la relazione conflittuale con le correnti e culturali

e intellettuali, frequentemente avversate dal vertice negli anni Settanta, determinò lo scarso dibattito

interno e la “mancata storicizzazione” del fascismo, che rimase da un lato un riferimento costante,

dall’altro un tabù17. Secondo Angelo Ventrone, “non era […] possibile rielaborare il lutto perché la

perdita non era riconosciuta”18.

Un’altra spiegazione potrebbe risiedere nella compattezza verso l’esterno di questa galassia,

minacciata non soltanto dall’autorità giudiziaria (Almirante venne messo sotto processo per

ricostituzione del partito fascista nel 1972 e negli anni Settanta le forze dell’ordine controllarono da

vicino le attività di piazza e di sezione, per via dei numerosi episodi di violenza politica), ma anche

dagli scontri con gli avversari e dalla scarsa area di agibilità politica in Parlamento e fuori. L’unità

non permise mai di recidere con forza i legami umani, quelli nati in sezione e nelle manifestazioni,

tra coloro i quali scelsero la strada dell’eversione o della clandestinità, o meglio: della violenza, e gli

altri.

Le fonti trovate nei tre anni di dottorato hanno un andamento irregolare: sono decisamente più

numerose per il periodo che va dalla fine degli anni Sessanta ed arriva al 1974, per diminuire

drasticamente negli anni ’75 e’76 e via fino alla chiusura del decennio. È una tendenza generale che

si riscontra specialmente nella documentazione ufficiale proveniente dal FdG, mentre presso l’ACS,

dunque per tutto ciò che attiene ai versamenti del Ministero dell’Interno e della Presidenza del

Consiglio dei Ministri, il materiale è presente. Tuttavia, la destra sembra non essere più oggetto di

minuziosi report o di una particolare cura degli informatori; vi sono meno dettagli disponibili e le

analisi si fanno rarefatte. Allo stato attuale è difficile esprimere una valutazione sull’irregolarità,

sebbene l’impressione sia che, dopo il 1974, il neofascismo dovette seriamente ripensare alla strategia

politica, visse un periodo di flessione di iscritti e simpatizzanti, le attività si contrassero e così i

finanziamenti a disposizione, e il terrorismo di estrema destra cessò la propria azione. In altre parole,

17 Giuseppe Parlato, La complessa ricerca delle carte del M.S.I., in Renata Yedid Levi e Siriana Suprana (a cura di),

“Partiti di massa nella prima Repubblica: le fonti degli archivi locali”, Patron Editore, Bologna 2004, pp. 193-198. I

virgolettati si trovano alle pagine 194 e 195. 18 Angelo Ventrone, Il fascismo non è una causa perduta. Ricordi e rimozioni nei vinti della Repubblica sociale

italiana, in “Meridiana”, n. 88 anno 2017, p. 136.

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l’asse politico si spostò, la destra rimase ancora al margine e cominciarono ad affacciarsi sulla scena

i gruppi terroristici di sinistra.

Verso la seconda metà degli anni Settanta la diffidenza genetica all’apertura verso l’esterno si

ridusse sensibilmente, grazie ai tentativi di dialogo portati avanti con alcuni esponenti del mondo

cattolico e della sinistra e, non va dimenticato, a causa dell’ibridazione culturale per mezzo della

musica, della letteratura e della discussione dei valori che coinvolsero i giovani neofascisti ben più di

quanto gli adulti avessero voluto.

La confusione nei ricordi dei giovani militanti degli anni Settanta sulla carenza di un archivio,

testimoniata dall’ampia gamma di risposte discordanti fornite a chi scrive, contribuisce alla

definizione di un’identità che non affrontò compiutamente, almeno fino alla seconda metà del

decennio, il rapporto con la memoria. Non si tratta esclusivamente del legame con il regime fascista

e con la Repubblica Sociale Italiana, perché un certo ricambio al vertice vi fu, perdipiù tra i giovani:

bensì di una comunità che si percepiva sotto attacco da parte delle forze antifasciste e che viveva

l’attività politica in un eterno presente. La stessa vivacità culturale, ben testimoniata dalle riviste

d’area, si fermò sempre nell’alveo dei militanti e dei simpatizzanti di destra, senza mai uscire dal

“ghetto”. Da ricerche recenti è emersa la “vitalità festosa”19 che contraddistinse questa area politica,

ma che fino agli anni Ottanta rimase a uso e consumo dei soli militanti e tesserati.

Negli ultimi anni, però, la quantità di fonti primarie a disposizione è decisamente aumentata. La

Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice ha reso disponibili una serie di fondi archivistici, personali

o di sezioni locali del partito della Fiamma: sono materiali interessanti, essenziali per ogni studio

sulla destra benché rimangano necessariamente spuri. In aggiunta, l’Archivio Centrale dello Stato

conserva documenti, provenienti specialmente dal Ministero dell’Interno e dalla Presidenza del

Consiglio, utili a tratteggiare le attività svolte sul territorio nazionale: il controllo delle autorità fu

stretto, nello specifico la prima metà degli anni Settanta è quasi quotidianamente “coperta” da rapporti

di prefetture e questure. Inoltre, la direttiva Renzi ha reso da poco disponibili una serie di documenti

sugli incidenti violenti nelle città italiane che servono a distinguere fenomeni complessi, troppe volte

ricondotti alla semplice eversione.

La disponibilità degli ex neofascisti a rilasciare testimonianze, e a permettere la consultazione di

carte personali, ancorché non conservate con criteri archivistici, indica un rapporto tranquillo con il

proprio passato anche in relazione ai temi caldi e, insieme, un desiderio di raccontare le esperienze

vissute. Allo storico spetta il compito di utilizzare queste fonti primarie con cautela; tra le fonti

19 Simonetta Bartolini, Dal “cupo tramonto” alla festa. La cultura attraverso le riviste, in AA. VV., “Nostalgia

dell’avvenire. Il Movimento Sociale Italiano a 70 anni dalla nascita”, Fondazione Alleanza Nazionale, Roma 2016, pp.

169-174. L’espressione citata si trova a pagina 184.

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secondarie vi sono alcuni libri-intervista già editi, i quali spesso rappresentano l’unico modo di

ascoltare le voci dei protagonisti. Il valore intrinseco di questi testi è innegabile, perché fino a pochi

anni fa gli ex militanti erano piuttosto restii a parlare. Sono incontrovertibili i meccanismi di

autorappresentazione, ad esempio il diffuso vittimismo e di autoassoluzione, che sopraggiungono

nella trattazione di un periodo ancora oggi lacerante sia per i protagonisti sia per l’opinione pubblica.

Nel percorso di questi tre anni di ricerca, la difficoltà più grande è stata la fase di verifica delle

informazioni: perciò sono state sacrificate alcune interviste per l’impossibilità di valutarle

criticamente; altre avrebbero aggiunto ben poco a quanto già acquisito. La scoperta di nuovi fondi

completamente inediti, ricchi di circolari e disposizioni ufficiali, ha contribuito a spostare l’attenzione

sull’esame di questi ultimi.

I romanzi d’area e le storie militanti affrescano dall’interno un ambiente altrimenti faticosamente

ricostruibile20. Il clima teso, l’inevitabile scontro, le pulsioni giovanili sono tutti dati dedotti da questa

tipologia di pubblicistica che permette di supplire, in qualche modo, alla cronica mancanza di

documentazione interna. In questi testi, la passione politica emerge in ogni pagina e si possono

facilmente evidenziare le “strategie di sopravvivenza simbolica che producono una cultura dei vinti

e, in maniera più o meno efficace, identità collettive centrate su questo trauma fondante”21. Nella

narrazione degli anni Settanta risulta generalmente problematico ricostruire gli eventi, dal momento

che il sentimento vittimistico permea la maggioranza dei ricordi. Coloro i quali facevano politica a

destra si dipingevano come vittime della sinistra, e lo stesso valeva al contrario: vi era sempre la

giustificazione che gli altri avevano emarginato, colpito, perseguitato e, quindi, il dovere imponeva

di reagire e difendersi. I sentimenti esperiti fanno parte della narrazione del periodo e, in virtù del

loro ruolo ricoperto nel mobilitare le giovani generazioni, diventano essi stessi elementi con funzione

esplicativa.

In ogni caso, la lacuna documentale non deve diventare un ostacolo insormontabile a un’opera

storiografica. Chi scrive è convinto in primo luogo di dover considerare una pluralità di fonti, dalle

evidenze documentarie alle testimonianze orali fino alle canzoni dei gruppi d’area e alle riviste, senza

dimenticare le notizie provenienti da sinistra. In secondo luogo, è innegabile la necessità di intersecare

diversi approcci metodologici al fine di pervenire a una trattazione storiografica più completa. Già le

indicazioni dell’antropologia sulle testimonianze orali hanno suggerito alcuni spunti di riflessione per

gli studiosi; in aggiunta, i politologi hanno trattato l’oggetto della ricerca in modo profondo ed

originale. Il politologo Giorgio Galli ha scritto sulla destra in Italia un volume autorevole, nel quale

20 Fabrizio Crivellari, Colle Oppio vigila, Eclettica, Massa 2013; Ferdinando Manconi, Anni di porfido, Sassoscritto,

Firenze 2007. 21 Eduardo González Calleja e Carmine Pinto, Cause perdute. Memorie, rappresentazioni e miti dei vinti, in

“Meridiana”, n. 88 anno 2017, p. 12.

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sono avanzate tesi innovative e presentate categorizzazioni nuove; ad esempio, vi si suggerisce che i

servizi segreti e militari pescarono manovalanza a destra, servendosi di suggestioni culturali e

politiche come la paura di una presa al potere del Partito Comunista Italiano o, ancora, promettendo

a quei gruppi un ruolo di primo piano nel nuovo Stato22.

Per una definizione dei confini della ricerca

Resta ineludibile precisare i contorni dell’oggetto della ricerca, il cui spazio geografico si estende

a tutta la penisola, sebbene le caratteristiche dei movimenti giovanili, e la loro composizione

ideologica di base, variassero in accordo con l’ambiente nel quale erano inseriti. Milano era una

piazza differente da Roma, allo stesso modo il neofascismo veneto e friulano subì influssi

decisamente divergenti rispetto a quelli presenti nel Meridione. Si diceva in apertura della “galassia”,

da intendersi come insieme di gruppi divergenti ma uniti attorno allo stesso centro di gravità: la

“comunità dei vinti”. Per questa ragione, si ritiene opportuno procedere entro i limiti nazionali; in

più, la documentazione conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato può fornire notevoli

riscontri specialmente attraverso una lettura comparata tra le diverse province23. Non è stato possibile,

nell’economia di questo lavoro, affrontare l’analisi di un caso studio al fine di mostrare come

operassero i giovani su un territorio lontano da Roma e Milano. L’unico accenno ad un ambiente

particolare è la digressione su San Babila, nel secondo capitolo. Il contesto peculiare, per certi versi,

e analogo alle altre sedi del FdG in grandi città per altri, è stato utilizzato in funzione interpretativa

in capo al tema della violenza e della zona grigia tra violenti e non.

Si è scritto di anni Settanta in generale, ma i confini cronologici sono in realtà più stretti. Infatti,

l’intervallo studiato va dal 1971 al 1978, per le seguenti ragioni. L’ondata di protesta sessantottina

ebbe conseguenze dirette sulla strategia del partito missino, forte di una pregiudiziale anticomunista

da giocare in sede elettorale, finalizzata a dipingere il PCI come colpevole occulto dei disordini

sessantotteschi; invero, il MSI puntava a recuperare voti presso fasce della popolazione moderate e

conservatrici. Per questo motivo, il MSI ruppe immantinente con i tesserati che erano scesi in piazza

al fianco dei coetanei di sinistra; dopo la morte di Arturo Michelini, la segreteria passò ad Almirante:

considerato da sempre vicino alla linea movimentista del partito, egli proseguì sulla strada tracciata

22 Giorgio Galli, La Destra in Italia. Teoria e prassi del radicalismo di destra in Italia e nel contesto europeo e

internazionale dal secondo dopoguerra a oggi, Gammalibri, Milano 1983, pp. 191-214. 23 Come si evince in particolare dalle seguenti buste: ACS, Fondo Ministero dell’Interno. Gabinetto. Archivio generale.

Fascicoli permanenti. Partiti politici/ Movimento Sociale Italiano, bb. 16-19.

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dal precedente segretario, tentando di recuperare lo spazio perso dopo l’esperimento del governo

Tambroni del 1960.

Si tenga conto che la nascita del Fronte della Gioventù, datata aprile 1971, segnò un’importante

svolta: esso avrebbe dovuto avvicinare i giovani ai dettami del partito, in virtù di un controllo più

rigido e raccogliere differenti anime sotto l’egida missina in capo al progetto della “grande destra”24.

La decisione della segreteria almirantiana produsse una netta cesura con il passato; ha dichiarato il

primo segretario del FdG, Massimo Anderson:

“L’unificazione giovanile, oltre tutto, nella stessa misura in cui ci consentiva di governare

tutte le nuove leve del partito, permetteva anche a lui [Almirante, nda] di tenerle più

agevolmente sotto controllo in riferimento alla pericolosità della situazione politica che

si era determinata negli anni ’68-’75. […] Detto in parole povere: se il Fronte della

Gioventù costituì, per noi, un formidabile strumento di lotta proteso verso l’esterno,

rappresentò, per Almirante, forse anche la possibilità di tenerci confinati in una sorta di

riserva indiana dalla quale non potevamo, e non dovevamo, uscire”25.

Gli anni a cavallo tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta videro dispiegarsi la cosiddetta

strategia della tensione, le attività terroristiche sconvolsero il Paese e i giovani inquadrati negli

organismi ufficiali di partito o nei gruppi afferenti all’area si trovarono in seria difficoltà; non solo

per la presa di coscienza della pericolosa vicinanza di taluni personaggi, lo si accennava sopra, ma in

particolare modo per la “vita in trincea” cui si trovarono costretti: seguiti dalle autorità, in perenne

battaglia con i rivali.

Infine, la seconda metà del decennio portò con sé una nuova ondata di elaborazioni teoriche e

contaminazioni con le pratiche e i discorsi dei vecchi avversari politici, che sfociò nell’esperimento

dei Campi Hobbit, a partire dal 1977, e successivamente nell’allontanamento di molti dall’alveo del

partito. Furono anni di transizione, in cui la logica politica venne sostituita dalla logica di piazza,

dello scontro frontale, eppure molti militanti neofascisti cercarono di superare la tradizionale

dicotomia culturale e sociale tra antifascisti e fascisti.

I giovani si trovarono effettivamente in un vicolo cieco negli anni Settanta, a causa di episodi di

varia natura, qui solo accennati, di cui si cercherà di dare conto nei capitoli che seguono. Il politologo

francese Bertrand De Jouvenel elaborò la teoria dell’esclusione conservatrice, in base alla quale si

postula che l’esclusione di uno o più gruppi dal sistema politico divenga una condizione necessaria

24 Si confrontino: Marco De Troia, Fronte della Gioventù. Una militanza difficile tra partito e società civile, Settimo

Sigillo, Roma 2001, p. 30 e ss.; Antonio Pannullo, Attivisti. Nelle sezioni del Msi quando uccidere un fascista non era

reato, Settimo Sigillo, Roma 2014, p. 81 (Tomo 1). 25 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggero), I percorsi della destra, Controcorrente, Napoli 2003, pp. 84-85.

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per la sopravvivenza dello stesso26; alla luce di questi tre anni di ricerca, sembra che la teoria sia stata

confermata: qualunque attività dei giovani di destra veniva letta dai coetanei di altre fedi alla stregua

di una provocazione, anzi di una minaccia per la sopravvivenza stessa della Repubblica democratica.

Per citare Marco Tarchi:

“È un periodo molto difficile per i ragazzi del Fronte della Gioventù, esclusi dalle sedi

naturali del dibattito nelle scuole e nelle università. La loro stessa esistenza è vista come

un intollerabile affronto alla natura antifascista della democrazia italiana. E non solo

dall’estrema sinistra, ma da tutte le altre forze politiche, che impongono a livello

giovanile, in maniera ancor più rigida, la logica dell’arco costituzionale”27.

Si badi, l’esclusione avvenne ugualmente a causa di quei meccanismi di autorappresentazione e di

riconoscimento identitario nella comunità dei vinti che tanta parte ebbero nell’agglutinare le giovani

generazioni attorno all’ambiente di destra; gli stessi slanci verso l’esterno erano comunque viziati da

una buona dose di settarismo e di vena polemica.

In conclusione, l’oggetto della ricerca viene ulteriormente circoscritto, come anticipato sopra, alle

formazioni non essenzialmente votate all’eversione o alla violenza indiscriminata. L’offesa fisica era

senza dubbio parte integrante dell’attività politica dell’epoca, o perlomeno accettata alla stregua di

una variabile insuperabile (un aspetto sociale degli anni Settanta28), e lo sfondo teorico sul quale si

muovevano i giovani favoriva la circolazione del mito dell’uomo forte, prestante e pronto alla

battaglia fisica29. Detto questo, la generalizzazione che si riscontra in diversi approfondimenti non

aiuta lo studio del fenomeno: bisogna distinguere tra quella che veniva definita, da tutte le anime per

la verità, “autodifesa”, la quale “divenne presto attacco e contrattacco” e la violenza metodica e

strategica. La suddivisione ha il mero scopo analitico e non si propone certamente di eliminare le

responsabilità dei singoli; lo scopo è seguire la linea tracciata da Vittorio Vidotto:

“di fronte a questo orizzonte mitico, largamente condiviso e propagandato, dove le

diverse esperienze si accumulano e l’indistinto prevale, ci si domanda se nella

ricostruzione di quegli anni riusciranno a prevalere l’analisi differenziale degli storici o i

processi della memoria da tempo avviati e consolidati”30.

Seguendo i documenti e le fonti raccolti, il FdG diventa immediatamente l’organizzazione con cui

tutti i neofascisti, e in generale tutti gli appartenenti alle formazioni della destra italiana, entrano in

contatto e vengono coinvolti in essa. Lo stesso FMG finì per essere inglobato e, purtroppo, del FUAN

26 Bertrand de Jouvenel, La teoria pura della politica, Giuffrè Editore, Milano 1997, pp. 135-146. 27 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., p. 116. 28 Marco Scavino, Una ricerca difficile, in “Contemporanea”, f.4 anno 2013, p. 626. 29 A questo proposito si rimanda alla complessa opera: Francesco Germinario, Tradizione, mito, storia. La cultura

politica della destra radicale e i suoi teorici, Carocci, Roma 2014. 30 Vittorio Vidotto, Interrogativi aperti, in “Contemporanea”, f.4 anno 2013, pp. 618-619.

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non sono stati trovati abbastanza documenti per scriverne diffusamente, sebbene anch’esso abbia

subito un pesante ridimensionamento a favore del FdG; basti pensare che la carica di segretario

nazionale giovanile era assegnata al segretario del FdG e non a quello del FUAN. Il rapporto tra i

giovani e il FdG e, di riflesso, quello tra le strutture giovanili e il MSI è al centro di questa ricerca di

dottorato.

La tesi segue un’articolazione cronologica, poiché la successione degli eventi contribuì in maniera

determinante alla storia dei gruppi in oggetto e una trattazione tematica avrebbe confuso lo

svolgimento. Il primo capitolo tenta di fare chiarezza sulla definizione della galassia neofascista, delle

sue componenti e arriva a trattare la nascita del FdG. La seconda parte si occupa del periodo

caldissimo che la destra giovanile visse tra il ’71 e il’73, l’anno in cui perse la vita l’agente Antonio

Marino. Questo punto è fondamentale nella storia della destra, perché rappresenta una cesura nella

forma della militanza giovanile e nella modalità di gestione del fenomeno della violenza. In seguito,

nel terzo capitolo, verrà trattato il biennio ’75-’76, nel quale la recrudescenza dello scontro politico

portò alla morte di due giovani, divenuti oramai volti iconici per il neofascismo: Mikis Mantakas e

Sergio Ramelli. La parte finale descrive il traumatico periodo interno al MSI che condusse alla svolta

del 1977, l’inizio di un processo di revisione teorica e pratica nella temperie del nuovo movimento

che imperversava nella società.

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Capitolo I: La formazione del Fronte della Gioventù

1.1 Fascisti, neofascisti o postfascisti? Una questione terminologica

Una ricerca sulla destra italiana, quali che siano i confini geografici e cronologici, obbliga ad un

chiarimento terminologico. Nella maggior parte della storiografia e, allargando lo sguardo, delle

opere che a vario titolo si sono occupate della questione, si impiegano le espressioni fascisti,

neofascisti, postfascisti, estremisti di destra senza una spiegazione sul contenuto. La confusione

linguistica continua ad alimentare un’opacità in campo ermeneutico che, nel caso dello studio della

destra italiana in età repubblicana, conduce a sovrapporre formazioni, etichettare in maniera erronea

gruppi o correnti e, in ultimo, ad attuare eccessive semplificazioni.

Il termine neofascismo suggerisce continuità con un fenomeno storicamente determinato,

conclusosi nel 1945, che è rimasto al nucleo dell’area politica in esame; infatti, ogni partito o

formazione compreso sotto questo appellativo ha in comune una valutazione positiva del fascismo e

di Benito Mussolini, a cui si deve sommare la coscienza di essere dalla parte degli sconfitti della

Seconda guerra mondiale31. Il sostantivo neofascismo, o l’aggettivo neofascista, individua una

galassia che perdura per quasi cinquant’anni nella Repubblica nata dalla Resistenza, mostrando una

straordinaria capacità di sopravvivenza e una non comune compattezza nei momenti difficili; tuttavia

anche un punto di partenza per elaborazioni teoriche diverse, se non antitetiche in certi casi32.

In prossimità del Congresso di Fiuggi del gennaio 1995, in cui il MSI si trasformò in Alleanza

Nazionale iniziando una rivoluzione copernicana, il politologo Piero Ignazi pubblicò un’opera

intitolata Postfascisti?: la domanda di ricerca principale riguardava il cambiamento culturale inerente

la valutazione del fascismo, che per l’autore avrebbe potuto essere l’unico turning point per la destra

missina da troppo tempo rimandato. Ora, a chi scrive pare che questa parola acquisti valore nel libro,

ma non sia spendibile in contesti differenti, a causa della sua natura provocatoria e quasi retorica.

Allo stesso modo, definire fascisti gli iscritti al MSI e, indistintamente, tutti i sostenitori delle

formazioni gravitanti attorno all’area è un errore. Da una parte, l’appellativo si riferisce senza

equivoco ad un periodo di tempo limitato della storia italiana, che si concluse bruscamente alla metà

degli anni Quaranta; ci può essere continuità, culturale e sentimentale, ma le analogie tra il Ventennio

31 Willibald Holzer, La destra estrema. Profili, caratteristiche, interpretazioni, Asterios Editore, Trieste 1999, p. 27. 32 Si pensi al confronto tra l’evolismo e la strategia d’inserimento di Michelini, che nasceva sì dalle contingenze

politiche, però era figlia di quel conservatorismo di vecchia data di molti esponenti missini.

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o la RSI non superano le differenze con il sistema politico repubblicano e democratico. Dall’altra, per

dirla con Giorgio Galli:

“La cultura della Destra e le sue proposte politiche non sono un’escrescenza anomala sul

corpo socio-culturale dell’Occidente. Ne sono una componente da tre secoli minoritaria,

che ciclicamente riaffiora come alternativa all’illuminismo riformista (compresa la sua

componente cristiana), ogni volta che questa forma culturale basilare all’Ovest dal XVII

secolo a oggi incontra difficoltà di riflessione o di progetto”33.

La riduzione al fascismo riassume in via troppo semplicistica una “forma culturale” complessa,

eterogenea e molto più longeva di un paio di decenni. Perciò, nel caso italiano, sarebbe meglio usare

neofascismo per classificare quella galassia che fa della nostalgia del regime mussoliniano un tratto

identitario dal grande potere simbolico, ma vive in un differente periodo storico e possiede un diverso

sostrato ideologico34.

L’altra distinzione essenziale da proporre pertiene al neofascismo e all’estremismo di destra35. Gli

studi sul tema contengono spesso la coincidenza dell’estremismo con il neofascismo tutto. Va detto

che la chiusura ermetica dell’ambiente, insieme con la scarsità di fonti, ha certamente favorito

un’identificazione non solamente nella storiografia, ma anche nella realtà; nei prossimi capitoli

verranno a fondo discussi i fenomeni della contiguità, tra il MSI e le formazioni extra parlamentari,

e della doppia militanza, attraverso nuove fonti archivistiche emerse negli ultimi mesi. Un’altra

complicazione è data dal doppio binario fra comunicazione, soprattutto rivolta all’interno, e

comportamento effettivo nelle sedi istituzionali: è pertanto indispensabile avere chiari i riferimenti

temporali della ricerca, poiché nel partito il registro della narrazione mutò notevolmente negli anni.

Resta la necessità di distinguere l’insieme dei neofascisti dal sottoinsieme degli estremisti di

destra, a sua volta diviso al suo interno36, che è un lavoro diverso dal posizionamento della destra

33 Giorgio Galli, op.cit., p. 15. 34 Anthony James Gregor, The Search for Neofascism. The Use and Abuse of Social Science, Cambridge University

Press, New York 2006, pp. 59-64. Secondo il politologo Gregor: “In that sense, the MSI was neofascistic. Its animating

sentiment was Fascist. Its ardour was nationalistic. Its concern was for the sovereign independence of the state. And its

dispositions were anticommunistic. All of that found expression in a general sense of pride in the Fascist history of

Italy, in an abiding passion for Italians, as an ideal community, and in the advocacy of a strong executive for the nation.

Other than displaying pictures of Mussolini in their homes, or carrying Fascist talisman on their persons, or taking

personal pride in the history of their parents or relatives who had served Il Duce, there was very little, by that time, that

distinguished the neofascists of the MSI from other Italians. That had become eminently clear to Almirante, who

proceeded to lead the way” (p. 62). 35 Alcuni autori utilizzano il termine radicalismo in luogo di estremismo, tra gli altri vi sono Dino Cofrancesco, storico

delle dottrine politiche, e Giorgio Galli. Entrambi individuano sfumature non da poco all’interno del radicalismo di

destra, che vanno dalle letture più pragmatiche della realtà fino alle tendenze spiritualiste che non ammettono

compromessi, simboleggiate dalle teorie di Julius Evola (Si confrontino: Dino Cofrancesco, op. cit., e Giorgio Galli, op.

cit., pp. 9-31). 36 Cofrancesco propose una suddivisione in sei “gruppi significativi” all’interno della destra estrema, che ricevette

ampio risalto a partire dagli anni Ottanta, ma ad oggi risulta superata; egli inseriva all’interno del radicalismo i

nostalgici, i neofascisti “tout court”, i tradizionalisti evoliani, i tradizionalisti cattolici, i liberalconservatori che

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italiana su una scala graduata dello spettro politico. Non si tratta, infatti, di giudicare sul piano

politologico quanto di destra fosse il neofascismo italiano, bensì di applicare un criterio di distinzione

chiaro per tentare di spiegare alcuni fenomeni. Un confine potrebbe essere fruttuoso anche per coloro

i quali sostengono la tesi della contiguità tra missini e stragisti, tra militanza a destra e violenza,

perché fornisce una base teorica di partenza che andrà successivamente verificata, al netto dei

documenti disponibili, e che meglio potrebbe illustrare le aree di intersezione tra un ambito e l’altro,

o almeno evidenzierebbe la permeabilità dei confini tra partito e area extra-parlamentare37.

Lo storico Willibald Holzer ha suggerito di porre la linea di demarcazione nella “forte

consapevolezza soggettiva [da parte degli estremisti, nda] di possedere la verità assoluta, della

certezza di salvazione che gliene deriva”, l’estremista è “sempre disponibile a ricorrere, per imporsi,

a metodi violenti e a manipolazioni demagogiche. In questi processi dinamici coloro che predicano e

coloro che praticano la violenza sono contigui uno all’altro”38.

In un partito i cui confini sono stati a lungo porosi, per ragioni di appartenenza che saranno

discusse nel prossimo paragrafo, e i cui ex militanti percepiscono ancora la propria avventura negli

anni Sessanta e Settanta in modo attuale, dando origine a meccanismi di autorappresentazione difficili

da verificare, il criterio di Holzer potrebbe aiutare a districare questi nodi. Per citare un esempio, la

famosa intervista televisiva in cui Giorgio Almirante esplicitò una spiccata attenzione per una

soluzione golpista, al verificarsi di alcune condizioni nella Penisola39, venne sconfessata sia dal

mantenimento di una tattica legalista del MSI nelle sedi istituzionali, sia dall’irrigidimento delle

frontiere del partito a cominciare dai mesi successivi, con l’aumento del controllo della segreteria che

tutto disponeva per le sezioni locali fuorché una soluzione golpista o estremista.

Ha sintetizzato lo storico austriaco:

“L’abito mentale dogmatico e soggettivistico, elitario e autoritario, a volte esasperato in

modo dispoticamente pedagogistico, e comunque rigoristico, che caratterizza in modo

non dissimile gli estremisti sia di destra che di sinistra, li porta nelle singole situazioni a

non vedere i limiti concreti dell’agire politico per modificare la società, e a mettere mano

con un massimalismo tanto sbagliato quanto inumano alla realizzazione dei propri

obiettivi, posti come assoluti e in genere enfatizzati in senso escatologico”40.

Chi scrive ritiene azzeccato il paradigma di Holzer, il quale non perde di vista, tra gli altri elementi,

“i limiti concreti dell’agire politico per modificare la società”. È fondamentale tenere in

guardavano al fascismo “con attitudine realistica”, gli esponenti della Nuova Destra (Dino Cofrancesco, op. cit., pp. 76-

78). Nel paragrafo successivo verranno discusse classificazioni più recenti e trasversali. 37 Sul punto anche: Angelo Ventura, Per una storia del terrorismo italiano, Donzelli, Roma 2010, pp. 117-118. 38 Willibald Holzer, op. cit., p. 38. 39 Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=NvAYGIt_Vvg. Visualizzato per l’ultima volta il: 30/09/2019. 40 Willibald Holzer, op. cit., p. 38.

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considerazione il contesto, delimitato dai limiti di spazio e tempo decisi dallo storico, nel lavoro su

questa galassia così chiusa ed impermeabile, almeno ad un primo sguardo. Si noterà in seguito quanta

parte ebbero le condizioni ambientali nel modificare le scelte dei neofascisti, mentre gli estremisti

continuarono la loro azione intransigente. È impossibile accertare le ragioni della militanza, o del

tesseramento, di tutti i protagonisti di questa storia; però, attraverso i documenti si percepisce il peso

del contesto nelle forme dell’attività politica dei giovani di destra negli anni Settanta.

1.2 Le prime organizzazioni giovanili e la formazione delle correnti

La nascita del MSI si caratterizzò fin da subito per lo sforzo di costruire un moderno partito di

massa, diffuso sul territorio nazionale, con la presenza di organizzazioni collaterali a occupare diversi

ambiti della vita sociale dei cittadini. L’interesse per i giovani ricoprì un posto di rilievo nelle prime

segreterie, guidate da Almirante e De Marsanich; come ha scritto la storica Loredana Guerrieri:

“Fin dai primi anni di vita il Movimento Sociale Italiano (MSI) aveva attirato molti

giovani che, entrando nel partito, erano riusciti a fornire un rilevante contributo ad esso

sia sul piano organizzativo e attivistico che su quello culturale”41.

Nei mesi iniziali del 1947 vennero fondati due raggruppamenti, il Fronte Giovanile e i Nuclei

Universitari, per inquadrare i tesserati missini nelle scuole e nelle università; questi organi embrionali

ricalcavano la distribuzione delle sedi locali e non era sistematica la divisione delle funzioni. Sotto la

prima segreteria Almirante nacquero il RGSL nel 1949 e l’anno successivo il FUAN. Il RGSL si

occupava della militanza e del tesseramento nelle scuole superiori e nel mondo del lavoro, mentre al

FUAN spettava il compito di coagulare consenso nelle sedi accademiche.

Le due organizzazioni segnarono una tappa fondamentale nel percorso dei giovani di destra

nell’Italia repubblicana: essi cominciarono a fare politica nelle strutture collaterali del MSI, dotate di

statuto, in qualità di militanti o tesserati. Non si hanno molti documenti sulle attività degli albori,

perché alle difficoltà di avviamento delle strutture, aggravate dalla condizione dell’Italia post-bellica

che ingrandiva i problemi economici del partito, si sommava un sentimento di precarietà sul futuro

missino, causato sia dal processo ai FAR, sia dalla promulgazione della Legge Scelba del 1952. Uno

dei più influenti intellettuali organici al MSI e memoria storica dei giovani missini, Primo Siena,

iscrittosi nella sezione di Verona, descrive così questa galassia a partire dalla fine degli anni Quaranta:

“Fin dai suoi albori la gioventù soprattutto - a mio avviso - si caratterizzò per la denuncia

di falsi unanimismi all’interno del MSI, per il superamento di un nostalgismo formalista

41 Loredana Guerrieri, La nascita di “Ordine Nuovo”, in “Nova Historica”, vol. 54 anno XIV (2015), p. 38.

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e sterile, per una azione politica fondata su solide analisi delle realtà circostanziali,

mirando ad un progetto di civiltà orientata da una nuova visione della società”42.

Le parole trovano un riscontro nelle ricerche effettuate sulle riviste di area, che segnalano una

spiccata vena polemica e un’ampia differenza di vedute; con la sostanziale pacificazione, seguita

all’amnistia Togliatti e al maturare del clima del secondo dopoguerra, i giovani cominciarono la

ricerca di una collocazione altra rispetto agli avversari e ai reduci del regime mussoliniano, al netto

di profonde differenze di vedute che andavano dagli evoliani ai cattolici tradizionalisti, passando per

i socializzatori vicini alla RSI43. In merito alla situazione interna di fine anni Quaranta e inizio anni

Cinquanta, un esponente della sinistra missina, Bruno Spampanato, scrisse che all’interno del MSI

esistevano talmente tanti orientamenti da poter fondare quasi venti partiti differenti44.

Al di là della parcellizzazione delle idee, Siena rileva che erano due le correnti giovanili principali:

i Figli del Sole, con una considerazione etica dello Stato e organica della società ispirata alle teorie

di Julius Evola; i Visi Pallidi, il gruppo fedele alla RSI, alla forma di stato repubblicana e sostenitore

della politica d’inserimento, con una volontà di apertura alle forze anticomuniste45. Queste due

famiglie contenevano elaborazioni teoriche e fermenti culturali differenti, i quali maturarono nel

corso degli anni attraverso una dialettica continua, a tratti spietata, risolta solo dalla fedeltà al partito

missino, sebbene non sia da dimenticare quanto porosi fossero i confini del MSI46.

Gli anni Cinquanta furono teatro di decisivi mutamenti, tanto da sfociare in una vera e propria

ridefinizione dell’organigramma del partito. Nel Congresso di Viareggio del 1954 venne eletto alla

carica di segretario Arturo Michelini, il quale decise, d’accordo con la maggioranza che l’aveva

sostenuto, di diminuire l’autonomia del RGSL, abolendo l’elezione dal basso dei suoi organi direttivi

e centrali; nei mesi successivi prese servizio il gruppo dei VN, giovani destinati a svolgere mansioni

di servizio d’ordine nelle manifestazioni pubbliche e nei comizi47. La misura si inseriva in una

strategia di lungo periodo che investì tutto il territorio missino.

42 Primo Siena, Gli albori difficili del Movimento Sociale Italiano. Testimonianza e riflessioni di un “Figlio del Sole”

dell’Alta Italia, relazione scritta di un intervento del 14 ottobre 2016, tenuto alla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De

Felice. La copia è stata gentilmente concessa dal prof. Giuseppe Parlato. 43 Un osservatorio privilegiato per studiare le numerose correnti interne al MSI è la pubblicistica; in proposito si veda

Mario Bozzi Sentieri, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Nuove Idee, Roma 2007. Bozzi Sentieri

ha curato la principale raccolta delle riviste dell’area della destra dalla caduta del fascismo fino agli anni Novanta. 44 Loredana Guerrieri, op. cit., p. 50. Bruno Spampanato fu un personaggio importante del fascismo prima e del MSI

dopo in Campania e ricoprì per primo la carica di direttore del Secolo d’Italia nel 1952. 45 Primo Siena, op. cit., pp. 16 e ss. 46 Furono molte le uscite, gli ingressi e i ritorni nel partito durante tutta la sua storia, basti pensare alla vicenda di ON

oppure alla scissione di Democrazia Nazionale avvenuta nel 1976 e, ancora, alla fuoriuscita della sinistra di Massi e

Palamenghi Crispi. 47 Vi confluirono gli esponenti della Guardia al Labaro ed inizialmente si schierarono vicino al gruppo romano Azione,

capeggiato da Giulio Caradonna, figura di spicco del MSI romano. In: Marco De Troia, op.cit., p. 9.

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Il nuovo corso micheliniano prevedeva la trasformazione del MSI da partito dei reduci sconfitti in

una formazione di destra conservatrice, che ambiva a ricevere le preferenze di monarchici e cattolici.

L’obiettivo del segretario, appoggiato dall’ala sinistra dominata da Almirante, era l’ingresso nell’area

della legittimità a tappe graduali, per mezzo di tentativi, con l’intento di rompere l’isolamento nel

quale il partito era confinato48. Occorreva depotenziare la carica ideologica dell’ambiente e,

contestualmente, escludere le frange più radicali; i nuovi destinatari del messaggio missino, i settori

dell’opinione pubblica decisamente conservatori, non si sentivano ancora rassicurati dal MSI: infatti,

la vena antipartitica e antisistemica, di cui i Figli del Sole erano i promotori, non passava certo

inosservata. Ha rilevato Guerrieri:

“Michelini intendeva […] assicurarsi il pieno controllo del partito e dei suoi strumenti. I

punti di partenza di questa strategia avrebbero dovuto essere il rafforzamento del

controllo sulle singole componenti dell’apparato organizzativo e, nello stesso tempo, la

riduzione del grado di autonomia rispetto ai vertici del partito”49.

Per la verità, il partito dei nostalgici cominciò solo in questi anni ad abbandonare la forte critica

alla Repubblica e al sistema partitico, mentre i Figli del Sole esacerbarono ancora di più la retorica

antisistemica, in aperta opposizione al nuovo vertice50. Nel novembre del 1954, un mese dopo il

Congresso, venne istituita la Giovane Italia, che raccolse “giovani adolescenti su basi

accentuatamente cattolicizzanti”51: era cominciato quel processo di “drastico ridimensionamento

delle iniziative del RGSL”52. La nuova segreteria si proponeva di controllare da vicino le

organizzazioni collaterali, per fornire un’immagine esterna di partito solido e con una struttura

compatta ed affidabile. Il ruolo nell’area di destra assunto dai missini costringeva all’avvicinamento

verso il centro, dal momento che il vero sfidante sul terreno elettorale divenne ben presto la DC, non

tanto per la mole di consensi, quanto per la capacità di attrarre a sé gli elettori di destra ben lontani

dalle posizioni nostalgiche o fasciste

La discussione di convinzioni politiche, linee interpretative e il rapporto con il passato fascista,

insieme con la scelta neosquadrista di molti militanti (specialmente a Roma, Milano e nella zona del

Triveneto) contribuirono a cancellare le vecchie correnti e a crearne di nuove. A partire dal Congresso

di Milano del dicembre 1956 l’uscita di Pino Rauti, che andò a fondare il Centro Studi Ordine Nuovo,

diede inizio ad un mutamento profondo della galassia giovanile.

48 Giuseppe Parlato, Per una definizione…, cit., pp. 15 e ss. 49 Loredana Guerrieri, op. cit., p. 53. 50 Giovanni Tassani, op.cit., p. 139. 51 Ivi, p. 141. 52 Marco De Troia, op. cit., p. 10.

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Con Michelini si delinearono tre orientamenti culturali, poco evidenti nella caotica fase iniziale,

che rimasero i muri portanti delle elaborazioni teoriche dei missini fino alla svolta di Fiuggi: il

gentilianesimo, con la sua forte carica patriottica e unitaria; il cattolicesimo, presente fin dall’inizio

del Novecento nei fenomeni di destra apparsi sul continente europeo; l’evolismo, impianto teorico

della totale distanza dal sistema, anticlericale, profondamente ostile al gentilianesimo e basato sulle

opere del filosofo Evola, le quali conobbero una diffusione capillare nelle sezioni missine di tutta

Italia53.

I giovani subirono l’influsso di queste radici culturali, che finirono per condizionare le originarie

correnti descritte da Primo Siena. È da precisare che la fortuna di Evola non venne intaccata dalla

fuoriuscita dei rautiani, che erano i divulgatori più convinti del suo pensiero; il filosofo della

distruzione del sistema rimase la lettura preferita e quasi un punto di orgoglio per moltissimi. Come

ha spiegato la studiosa Simonetta Bartolini:

“Evola insomma fu, in qualche modo, la sintesi filosofica a sostegno delle spinte ideali di

coloro che si sentivano vinti, e al tempo stesso l’autorità intellettuale che motivava la

necessità di una reazione”54.

Gli stessi giovani, poi, furono le antenne sul mondo del MSI: i temi della decolonizzazione, il

conflitto arabo-israeliano, la divisione globale in sfere di influenza, le guerre di rivoluzione in

Sudamerica occuparono molto spazio nelle discussioni di sezione, contribuendo alla crescita politica

dei nuovi arrivati55. Secondo lo storico Francesco Germinario, lo sguardo sul mondo della destra

neofascista ricopriva una funzione di preservazione di “un’area di autosufficienza e autoisolamento

da ogni contaminazione con una cultura impregnata di antifascismo”56; in altre parole, i giovani erano

alla ricerca di un terreno politicamente e culturalmente vergine cui volgere lo sguardo.

Il clima di tensione del 1960, causato dall’appoggio esterno fornito dal MSI al governo Tambroni,

sfociò in violento dissenso contro l’esecutivo sostenuto dai missini. All’inizio di luglio era previsto

lo svolgimento del VI Congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza: le manifestazioni

di protesta costrinsero le autorità ad annullarlo, decretando la sostanziale fine del governo e le

dimissioni di Tambroni dalla carica di Presidente del Consiglio.

Secondo lo storico Giovanni Tassani, questi eventi suscitarono una “neo-fascistizzazione”

dell’area. L’espressione sottolinea la riduzione della complessità dialettica interna e un arroccamento

su posizioni identitarie e prettamente difensive, sempre più chiuse verso l’esterno:

53 Giovanni Tassani, op. cit., pp. 141 e ss. 54 Simonetta Bartolini, op. cit., p. 175. 55 Nicola Rao, Trilogia…, cit., pp. 82 e ss. 56 Francesco Germinario, Da Salò al governo. Immaginario e cultura politica della destra italiana, Bollati Boringhieri,

Torino 2005, p. 33.

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“Gli anni Sessanta rivelano invece ancora la potenza fissista dello schema neo-fascista in

quel mondo, intendendo per schema neo-fascista la non volontà di consegnare alla storia

il fenomeno, considerato viceversa ancora attuale, “nostalgia di futuro”: finendo per

consegnarlo con ciò al mito”57.

In altre parole, il fallimento della strategia micheliniana ebbe una conseguenza duplice: da un lato,

la marginalizzazione del partito e la chiusura dello spazio politico concesso al MSI aumentarono

drasticamente; dall’altro, i militanti si ritrassero in posizione difensiva all’interno del proprio ghetto,

esasperando il connotato della militanza attiva, a causa del virulento ritorno del “richiamo

antifascista”58. La mancata trasformazione del MSI in un partito accettato nell’area della legittimità,

in qualità di esponente degli sconfitti della Seconda guerra mondiale, accentuò i tratti presenti già

all’indomani della sconfitta della RSI e che si pensava potessero essere superati nella seconda metà

degli anni Cinquanta. Piero Ignazi scrisse:

“Il mondo giovanile di destra è quindi sottoposto, nei primi anni sessanta, ad una duplice

tensione, attratto com’è, da un lato, da movimenti (AN) che soddisfano la vis barricadera

e combattente (che nel Movimento Sociale è comunque sempre presente) e, dall’altro, da

quelli (ON) che danno «più senso» ad un impegno politico antisistemico”59.

Dalla data della fondazione, il MSI coagulò attorno a sé i reduci del regime e dell’esperienza

salotina, ponendo l’accento sulla “comunità umana e politica” della destra: la volontà di creazione di

un partito moderno non poteva prescindere dall’edificazione di una base coesa; perciò si preferì

insistere nella ricerca di un elemento che unisse sensibilità differenti, ma legate dall’esperienza

negativa di una sconfitta: non più sul piano militare, bensì ideologico. L’elaborazione di una dottrina

non venne mai considerata una strada, lo stesso fascismo mantenne al suo interno numerosi correnti

di pensiero. La nostalgia, intesa come “il ricordo del tempo felice nella miseria”60, divenne il collante

più forte per la base missina e lo strumento che garantì al partito la sopravvivenza nei momenti più

difficili, in cui tutte le scelte politiche sarebbero fallite.

L’assenza di una storicizzazione del fascismo deriva dall’utilizzo che il MSI fece della vena

nostalgica; le esperienze delle fasi del Ventennio non potevano essere valutate criticamente poiché

rientravano nella sfera affettiva di tutti i militanti e tesserati. Il patrimonio comune più che di idee era

composto dai sentimenti, fra i quali il principale era la nostalgia. Ecco perché fra i giovani serpeggiava

il ricordo di un passato non esperito, ma mitizzato e guardato con ammirazione; tanto che nelle scuole

di partito di fine anni Sessanta, Almirante arringava:

57 Giovanni Tassani, op. cit., pp. 147-148. 58 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., pp. 67-68. 59 Piero Ignazi, Il polo…, cit., p. 123. 60 Giuseppe Parlato, Introduzione…, cit., p. 10.

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“Non calpestiamo le nostalgie perché in questo senso esse sono una fonte, un vivaio

perenne di energie e di proponimenti, tanto è vero che si rileva a torto essere quasi assurdo

che i nostalgici, o i più nostalgici siano i giovani. Non è assurdo, è fondamentalmente

vitale […] si tratta del principio della vita che rifiuta di estinguersi al contatto di un

ambiente che lo vorrebbe estinguere”61.

Il luglio 1960 fu uno di quei momenti in cui la base serrò i ranghi attorno alla pur criticata

segreteria, dimostrando fedeltà non tanto alla causa micheliniana, bensì alla “comunità umana e

politica” alla quale apparteneva. È un dato inequivocabile, difficile da afferrare: il senso di lealtà,

espresso “in chiave di militanza, il cui venire meno costituisce il peggior tradimento possibile; non

esiste discussione ideologica o culturale che possa giustificare il venir meno della fedeltà”62. Pertanto,

il fallimento della strategia d’inserimento generò il ritorno alle radici, declinato intorno alla nostalgia;

la comunicazione interna si innestò sui binari del sentimentalismo e del reducismo63, dell’alterità al

sistema partitocratico, dal momento che senza una tattica alternativa era necessario tenere la base

ancorata. È sufficiente ricordare l’esito elettorale del 1963, in cui il MSI guadagnò tre deputati e sei

senatori rispetto alle precedenti votazioni.

Il richiamo nostalgico servì nel breve periodo a serrare le fila, tuttavia non eliminò la carica

polemica dei giovani, anche in virtù di un doppio gioco della segreteria: venne infatti consigliato di

abbandonare, nei comizi pubblici, i rimandi ai fasti del passato, per continuare a mostrare la natura

legalitaria e conservatrice dell’universo missino. La perdita di consensi subita nel corso del decennio,

fino al minimo storico delle elezioni del 1968 (il MSI toccò la più bassa percentuale della sua storia,

esclusa la tornata elettorale del 1948), si accompagnò ad una profonda crisi di reclutamento nelle

scuole e nelle università, fino ad una flessione nel tesseramento.

Potrebbe apparire paradossale sostenere che il vertice missino riuscì nell’intento di tenere unita la

base e, contestualmente, cominciò a perdere terreno in uno dei suoi settori forti, il mondo giovanile.

Nelle considerazioni che si possono trarre, oltre alla constatazione di un sempiterno doppio binario

nella comunicazione esogena ed endogena che i giovani non gradirono mai, è necessario ricordare

che negli anni Sessanta si dispiegarono condizioni peculiari, le quali colpirono moltissime persone di

ogni colore politico. Non si fa riferimento solo agli effetti del boom economico sulla crisi

generazionale e sui costumi del popolo italiano, ma anche all’apertura verso il mondo, lo si accennava

61 La citazione di Almirante è di una relazione tenuta alla Direzione nazionale del partito nel 1967, riportata in: Ivi, p.

14. 62 Ivi, pp. 10-12. 63 Con il termine reducismo s’intende: “un collante composto di sentimento e interesse: trasposizione in tempo di pace

di quelle tendenze affettive positive che ‘cementano fra loro i combattenti dello stesso esercito, provocano in misura

fortissima fenomeni di identificazione affettiva, determinano manifestazioni di solidarietà e colleganza del tutto ignote

nella vita civile’”; in: Agostino Bistarelli, Reducismo e associazionismo nel dopoguerra, in “Studi e ricerche di storia

contemporanea”, f. 51 anno 1999, pp. 221-222.

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poco sopra, che causò una contaminazione d’idee e speranze. Non è un caso che nel 1965, a Firenze,

un gruppo di giovani missini portò in Italia le teorie del movimento Jeune Europe, europeista,

avversario del blocco occidentale e schierato per un terzaforzismo che guardava con favore

all’esperienza egiziana64.

Lo storico Roberto Chiarini, concorde con molti colleghi nell’individuare nel 1960 un punto di

non ritorno per la destra italiana, ha sintetizzato la posizione dei giovani con l’immagine di una

galassia alla ricerca di un’alternativa durante gli anni Sessanta, allorché, all’epilogo dell’esecutivo

Tambroni, il “variopinto e sempre inquieto cosmo neofascista entra in fibrillazione”65. Dopo il ’60:

“Mentre il partito si attarda ad animare in Parlamento un’opposizione tanto guidata

quanto sterile, annovera sempre più proseliti il richiamo a quella cultura antisistemica,

mai giunta a una formulazione politica organica ma ricca di promesse palingenetiche, che

chiama all’azione e alla rivolta aperta contro il mondo moderno”66.

La stessa dinamica interna al partito non era nemmeno lontanamente rispondente alle istanze

provenienti dalla base giovanile. Impostata attorno allo scontro aperto tra micheliniani, i conservatori

moderati di destra, e almirantiani, i nostalgici movimentisti riuniti nella corrente Rinnovamento, la

dialettica missina si arenò sullo scontro del decennio precedente, finendo per sintetizzarsi negli

accordi congressuali; invero, fu Pino Romualdi la prima vera alternativa a Michelini. Presentatosi con

una lista al Congresso di Pescara del 1965, Romualdi ottenne cinquanta seggi al Comitato Centrale,

toccando quasi il 30% dei voti congressuali. Michelini ed Almirante, ancora una volta, si presentarono

divisi e al momento della votazione unirono le correnti nello stesso blocco; le trattative per il

Congresso erano state lunghe e Almirante venne più volte contestato, vittima anche di un lancio di

monetine67. Da questo Congresso la figura di Romualdi acquisì peso maggiore presso i giovani, per

la sua netta opposizione al cartello formato dagli altri due leader, cui si sommava la figura di uomo

intransigente, intellettuale e aperto avversario dei valori nati dalla Rivoluzione francese.

L’appiattimento, notato da Tassani, si riverberò nelle divisioni della galassia giovanile, giacché i

militanti finirono per seguire le personalità forti del partito, su tutti Almirante e Romualdi, oppure

guardarono con favore alle esperienze radicali di Avanguardia Nazionale e ON. Piero Ignazi ha

elaborato uno schema a doppia variabile, in cui si incrociano il rapporto dei missini con il fascismo

(vicini al fascismo-regime; vicini al fascismo-movimento) e la valutazione del sistema politico

64 Loredana Guerrieri, Il paradosso della destra di sinistra. La destra italiana fra contestazione, rivoluzione e nazional-

europeismo, in “Ventunesimo Secolo”, n. 34 anno 2014, pp. 130 e ss. 65 Roberto Chiarini, op.cit., p. 133 66 Ibidem. 67 Piero Ignazi, Il polo…, cit., pp. 123-129. Il Congresso di Pescara doveva essere quello della ritrovata pacificazione tra

le correnti, invece si trasformò in un aspro conflitto, risolto, scrive Ignazi, perché Almirante riportò all’ordine il suo

gruppo a causa di un accordo sottoscritto con Michelini nei mesi precedenti il Congresso.

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repubblicano (accettazione delle regole del gioco democratico; rifiuto del sistema politico

repubblicano), allo scopo di individuare le anime del MSI, compresa la galassia giovanile. Secondo

questo schema solo i micheliniani evitarono la deriva rivoluzionaria e antisistemica auspicata dall’ala

movimentista e antidemocratica, rappresentata sia dagli almirantiani che dai romualdiani68.

Se lo schema di Ignazi può avere una certa importanza per identificare le divisioni del magmatico

cosmo missino degli anni Quaranta, risulta macchinoso inquadrare migliaia di militanti in blocchi

apertamente antisistema, pur sapendo che RGSL, GI e FUAN non erano certo sostenitori di Michelini

in maggioranza. Ciò non significò, però, uno spostamento di queste organizzazioni verso esperienze

radicali, un po’ per l’azione di contingentamento di metà anni Cinquanta, un po’ per la sostanziale

accettazione dello status quo dell’ambiente. Lo storico Giuseppe Parlato ha proposto una

classificazione in tre anime del neofascismo, che è possibile verificare empiricamente nel mondo

giovanile e permette di superare le oscillazioni teoriche di molti membri del partito. Partendo dal dato

comune a tutti, la valutazione positiva e nostalgica del fascismo, lo storico spiega:

“[…] si può pensare che la valutazione parta non tanto da quello che fanno i missini nei

vari congressi o da quello che scrivono sui vari giornali […]. A ben vedere, infatti,

nonostante le tante differenze, il neofascismo ritrova in un punto il vero comune

denominatore: il fascismo, variamente inteso, e il mito del suo fondatore. Appunto è su

quel ‘variamente inteso’ che occorre fissare le vere e reali differenze che qualificano le

varie componenti del neofascismo”69.

Queste tre componenti sono: i nostalgici, connotati sia dal ritualismo delle forme e dei messaggi,

sia dal “patriottismo di partito”, che trovano in Almirante il loro principale riferimento; i politici,

pragmatici e convinti della fine del fascismo, divisi tra i convinti sostenitori dell’uscita

dall’isolamento e i fautori del legame con il cattolicesimo; i fascisti come scelta di vita, la cui visione

antropologica supera le contraddizioni culturali e procede oltre la nostalgia, tra gli altri i seguaci di

Evola70.

La tripartizione, imperniata sul giudizio positivo del fascismo e sulla mitizzazione a scopo

identitario di quell’esperienza, ritrae il panorama delle sezioni missine e delle correnti giovanili alla

metà degli anni Sessanta. Questo schema verrà richiamato nei capitoli successivi, poiché permette di

inquadrare e, a tratti, decifrare fenomeni enigmatici, ad esempio i sanbabilini71, oppure tentare di

tracciare una linea di demarcazione tra neofascisti ed estremisti.

68 Piero Ignazi, La cultura politica del MSI-DN, in “Rivista Italiana di Scienza Politica”, n. 3 anno XIX (1989), pp. 431-

465. 69 Giuseppe Parlato, Per una definizione…, cit., p. 26. 70 Ivi, pp. 26-35. 71 Non a caso, Mimmo Franzinelli ha utilizzato l’espressione “neofascismo esistenziale” per descrivere quel modo di

fare politica “aggressivo e totalizzante, alternativo al modello missino”, pur restando comunque nell’alveo del partito.

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1.3 Il MSI ha un problema: i giovani. Sessantotto, scelte di campo e radicalizzazione dello

scontro politico

In seguito al Congresso di Pescara, il MSI non si mosse dalla “routine della vita di sezione e delle

manifestazioni puramente nostalgiche e celebrative”, accentuando la paura della presa del potere dei

comunisti72. Il partito avviò le scuole per dirigenti giovanili da svolgersi una volta all’anno: questi

appuntamenti favorivano il confronto delle idee e l’emersione delle questioni locali, insomma

svolgevano la funzione di palestra politica per la futura dirigenza. Nondimeno, per mezzo delle scuole

si allungava il controllo della segreteria sui segmenti giovanili, sulle richieste e anche sulle critiche

che dalla base erano indirizzate al vertice73.

Un argomento forte, quello della paura rossa, propagandato per due motivi: in primis, garantiva

un rendimento non trascurabile sul piano elettorale; in secundis, aveva una notevole presa fra la

componente giovanile, soprattutto in seguito allo scollamento con la Fiamma avvenuto a partire dai

fatti di Genova, che imponeva al partito la ricerca di un codice comunicativo per saldare il legame

con i giovani militanti. In un sistema partitico che il politologo Giovanni Sartori sintetizzò nella

formula del “pluralismo polarizzato”74, al MSI non restava che l’equipaggiamento della retorica

anticomunista per competere a destra della DC, dal momento che l’avvicinamento al centro dell’asse

politico si era concluso con una sconfitta.

Nella galassia giovanile, la neo-fascistizzazione mostrò qualche crepa intorno alla metà del

decennio. Il ripiegamento in un passato dal potente valore simbolico, ma senza alcuna spinta

propulsiva, non ridusse a lungo la vitalità di tale settore; la stagione riformistica dei governi del

centro-sinistra danneggiava la chiusura nel ghetto perché le riforme varate inducevano l’impressione

in molti dei giovani neofascisti di un’occasione persa nella vita politica del Paese75. Alcuni eventi

indicativi e anticipatori del terremoto della fine degli anni Settanta, oggetto del capitolo finale, si

verificarono in risposta, o meglio: in reazione alla neo-fascistizzazione dei primi anni Sessanta. Si

badi, quelli che seguono non furono orientamenti adottati dalla maggioranza dei giovani missini, ma

In: Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera. Neofascismo e servizi segreti da piazza Fontana a piazza della Loggia,

Rizzoli, Milano 2008, p. 82. 72 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., p. 70. 73 Marco De Troia, op. cit., p. 11. 74 “La radiografia, per così dire, dei sistemi di pluralismo polarizzato rivela le seguenti caratteristiche: 1) l’assenza di

«centralità» derivante dalla occupazione dello spazio di centro, e quindi la probabile prevalenza di spinte centrifughe; 2)

la carenza di governi alternativi, ai quali si sostituisce un meccanismo di rotazione periferica limitato alle mezze ali; 3)

lo sviluppo di una opposizione irresponsabile in ragione della minore o nessuna «chiamata a rispondere» dei partiti

esterni; 4) il correlativo affermarsi di una politica di scavalcamento, o di una corsa al rialzo, e per essa di una

concorrenza sleale che rende inoperanti le regole della politica competitiva; 5) un alto grado di rigidità ideologica, o

comunque un basso grado di flessibilità e aderenza pragmatica”. In: Giovanni Sartori, Teoria dei partiti e caso italiano,

SugarCo, Milano 1982, pp. 35 e ss. La citazione è a pagina 35 75 Giovanni Tassani, op. cit., p. 138-139.

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contaminarono in modo irreversibile l’ambiente, finendo per essere trattati alla stregua di un serio

problema dal vertice.

Nel ’63 nacque la rivista L’Orologio da un’iniziativa di iscritti al FUAN, i quali non si

riconoscevano più nella linea del partito76; sulle pagine di questo foglio vennero proposti argomenti

scottanti per l’epoca, dall’abbandono di una prospettiva mitizzante il fascismo, passando per la

revisione del concetto di nazione e l’abbattimento dell’ordine borghese, fino all’elogio della guerra

intrapresa dai vietcong contro l’invasore statunitense.

A ben vedere, non fu solamente L’Orologio a increspare l’ambiente. Numerosi militanti

premevano per il superamento della dicotomia fascismo-antifascismo, vero tentativo di uscita dal

ghetto con le proprie forze, insistendo non tanto sul tema della storicizzazione del fascismo, quanto

sul superamento di un nostalgismo simbolico, ingessato e politicamente sterile. Non che la

democrazia fosse il modello di regime politico di riferimento; invero, la critica alla Repubblica

dominata dagli altri partiti rimaneva un cavallo di battaglia dei missini. La vicinanza agli autoritarismi

come l’Argentina peronista, l’Egitto di Nasser e la stima nei confronti di Ernesto Guevara, venivano

esibite con orgoglio e come esempi di regimi a cui ispirarsi. Molta parte in questa spinta a guardare

fuori la ebbe il movimento Giovane Europa, epigono del francese Jeune Europe, che si diffuse in

varie parti d’Italia, perfino nell’estremo Sud. L’idea utopica di una fratellanza dei popoli europei, il

sogno di un “impero di 400 milioni di uomini” alternativo alle due superpotenze mondiali, entrò a

fare parte del bagaglio ispiratore di molti giovani neofascisti italiani77.

Infine, la concorrenza esercitata dalle formazioni di estrema destra offriva un ventaglio di strade

precluse ad un partito che aveva imboccato una via più moderata e legalitaria: teorie radicali,

antisistemiche, campi paramilitari di addestramento finalizzati ad un attivismo in cui un modello di

vita completamente votato alla causa dell’abbattimento del sistema, si sostituiva alla nostalgia. Il

fascismo come stile di vita, un fascismo senza compromessi e limiti, diventava il paradigma per

canalizzare istanze giovanili di partecipazione78.

Gli oramai vecchi slogan della segreteria non sembravano efficaci con i giovani: la destra rimaneva

“seppellita sotto un cumulo di qualunquismo borghese e patriottardo” secondo Adriano Romualdi79.

Le crepe si fecero rotture quando non v’era oramai dubbio che la protesta giovanile avesse

oltrepassato i confini partitici; la mobilitazione aveva assunto dimensioni impreviste e il

76 Scrive Mario Bozzi Sentieri: “L’Orologio cresce intorno alla consapevolezza -ben chiara, già dai primi numeri- che se

prima si era convinti che la presenza politica e la forza di penetrazione riposassero soprattutto nello stare insieme sulla

base di poche formule accettate da tutti, ora, invece, sarebbe stata necessaria una fase di approfondimento e di confronto

[all’esterno, nda]”. In: Mario Bozzi Sentieri, op. cit., p.107. 77 Loredana Guerrieri, Il paradosso della…, cit., pp. 131 e ss. 78 Marco Tarchi, (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., pp. 75-76. 79 Loredana Guerrieri, Il paradosso della…, cit., p. 124.

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coinvolgimento della gioventù di destra in cortei o manifestazioni non organizzati dai missini

provocava agitazione nel partito. Il 10 luglio 1967 apparve sulla rivista Totalità un articolo di Julius

Evola intitolato “Contro i giovani”, nel quale il filosofo scriveva:

“Uno dei segni dell’attuale sfaldamento dell’attuale società italiana è costituito dal mito

dei giovani, dall’importanza accordata al problema della gioventù unitamente ad una

specie di tacita svalutazione di chi «non è giovane». […] Ma che qualche spunto positivo

possa venire dalla gran maggioranza dei «giovani» dell’Italia di oggi, si può senz’altro

escludere. Quando costoro affermano di non essere capiti, l’unica risposta da dar loro è

che non vi è nulla da capire e, se esistesse un ordine normale, si tratterebbe di metterli a

posto per le vie brevi […]”80.

Nelle sue opere precedenti Evola non risultò mai così aspro nei riguardi dei giovani; egli era ben

conscio che la maggioranza dei suoi ammiratori non fosse in età adulta. Tuttavia, la messa in

discussione del principio di gerarchia e la ribellione generale produssero un conflitto di grande entità

interno al neofascismo; le parole di Evola riassumevano il pensiero dominante della classe politica

missina e dei vertici delle organizzazioni extraparlamentari di destra.

Proprio nel 1967 il FUAN di Perugia scese in piazza con professori e assistenti dell’Ateneo; di lì

a poco il Sessantotto sarebbe esploso sul resto della Penisola. Gli universitari missini occuparono a

Camerino, Genova, Modena, Messina, Torino e Roma; ha raccontato l’allora presidente nazionale del

FUAN, Cesare Mantovani:

“Noi inizialmente nella contestazione ci andavamo a nozze, cercando di non assumere

una posizione d’ordine, ma di prendere parte direttamente al «movimento» […]. Con la

sinistra c’è ancora la possibilità di dialogare e confrontarsi su questo versante. Del resto

sul superamento del sistema attuale siamo d’accordo, per non parlare della critica agli

imperialismi e di quella al consumismo. Siamo persino favorevoli a discutere, anche se

io ho le mie riserve, di tematiche anticapitalistiche, che pure nel nostro ambiente sono

presenti”81.

Anche l’estremismo di destra venne coinvolto in scissioni giovanili e prese di posizioni contro i

capi delle strutture. È significativo il caso di Ordine Nuovo, ricostruito dall’ex militante di destra

Paolo Zanetov:

80 Julius Evola, Contro i giovani, in Roberto Melchionda (a cura di), “Julius Evola. I testi di Totalità, Il Borghese, la

Destra”, Edizioni Ar, Padova 2003, p. 52. Occorre specificare che il maggior esperto di Julius Evola contemporaneo,

Gianfranco De Turris, ha segnalato che durante il Sessantotto il filosofo della disintegrazione del sistema era

considerato un “maestro segreto di quel moto ribellistico giovanile, almeno di quella parte che non si era fatta

influenzare da completamente dalla trimurti Marx, Marcuse, Mao” (citato in: Luciano Lanna e Filippo Rossi, op.cit., p.

482). 81 Nicola Rao, Trilogia…, cit., p. 101.

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“ON entra in grave crisi dal punto di vista giovanile, non solo a Roma, ma anche in altre

sedi. Nasce così il Fronte di Azione Studentesca nella Capitale, a Messina, a Perugia, a

Lucca dove c’era un bel nucleo: era un fronte di azione ‘menareccia’, ci eravamo stancati

delle teorie e dei paroloni vuoti. Ci sembrava di non andare da nessuna parte e,

contemporaneamente, di perdere il treno del momento. Poi vedevamo un sacco di nostri

camerati picchiati da quelli di sinistra e nessuno diceva niente, ci sentivamo di fare

qualcosa di diverso. A diciotto o venti anni non ti interessano i giochi politici alti, puoi

parlare di massimi sistemi fino a un certo punto”82.

Pertanto, il virus della contestazione e lo sfaldamento dei rapporti gerarchici investì

indiscriminatamente tutto l’arco neofascista; il vertice del partito accolse l’ondata di proteste in modo

confuso, durante i primi giorni del 1968, giacché si trovò impreparato ad affrontare una simile

emergenza. Gli argini della “comunità umana e politica” parvero sul punto di rompersi mentre ogni

richiamo all’ordine e alla disciplina non pareva sortire effetti, almeno fino all’episodio di Valle

Giulia.

Il 1˚ marzo del 1968, davanti alla Facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza di Roma,

esplose una tra le manifestazioni più iconiche del Sessantotto romano: studenti di ogni colore politico

fronteggiarono la polizia, impegnata a sgombrare l’area dall’occupazione, con la partecipazione attiva

e consentita (dai vertici del movimento di protesta) di giovani di destra. Le sigle neofasciste, dal

FUAN fino alle ali estreme, presero parte ai cortei in contrasto con le direttive dei vertici, esclusa

forse AN che interpretava quei momenti come occasioni per ritagliarsi maggiore spazio politico83.

L’eco di Valle Giulia si estese in fretta, minando alle fondamenta la credibilità del MSI giacché

l’immagine del partito difensore dell’ordine e anticomunista non combaciava certamente con i

giovani in piazza a protestare, al fianco dei coetanei di sinistra; in aggiunta, la presenza di forze

extraparlamentari di destra preoccupava per la concorrenza sul bacino di militanti e tesserati. La

natura antigerarchica dei primi fermenti del ’68 agì da collante tra le numerose sensibilità politiche

scese in piazza; a destra, i giovani reagirono, alla prima occasione, all’immobilismo del partito.

Perseguendo per anni una strategia fallimentare che portava ad un rendimento elettorale stabile, il

MSI aveva perso il controllo della base giovanile poiché, al di là dei comizi o delle manifestazioni,

non era stato in grado di mobilitare i giovani su temi da loro sentiti; anzi: la difesa di simboli e miti

del passato non garantiva affatto un’identificazione completa con la galassia neofascista.

82 T.a.a. di Paolo Zanetov, raccolta il giorno 11 luglio 2018 a Roma. Il Fronte di Azione Studentesca rimase attivo tra il

1968 e il 1969, la maggior parte dei militanti si divise successivamente tra la militanza in Lotta di Popolo o nel MPON,

altri rientrarono nel MSI. La versione di Zanetov è peraltro confermata dalla testimonianza resa da Paolo Signorelli a

Nicola Rao. Si veda: Nicola Rao, Trilogia…, cit., p. 130. 83 Luciano Lanna e Filippo Rossi, op. cit., pp. 479-485.

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Serviva una svolta e il MSI reagì “con il prevalere […] della ‘garanzia’ di destra

sull’‘avventurismo’ di sinistra”84; in altre parole, il vertice del partito decise compatto di superare

ogni equivoco e stroncare le velleità movimentiste di coloro i quali erano scesi in piazza, peraltro

contraddicendo l’elemento antisistemico, utilizzato fino al ’68 sapientemente nei confronti della

componente giovanile85. Il 16 marzo 1968 si verificò l’“Assalto a Lettere”, un’azione coordinata da

alcuni deputati missini (tra i quali spiccava Almirante, fino ad allora leader dell’ala sinistra e

movimentista del partito) grazie all’ausilio dei VN e dell’Associazione Pugilistica Romana, con

l’obiettivo di interrompere la partecipazione dei giovani missini ad un raduno nazionale studentesco.

Scoppiarono disordini all’Università La Sapienza, dove i manifestanti erano riuniti, e l’esito fu di

circa 60 feriti, 150 arresti, due edifici distrutti. Inoltre, il MSI sciolse il direttivo del FUAN, cambiò

le serrature della sezione romana delle sedi dello stesso e licenziò Giano Accame dalla direzione de

Il Borghese, perché troppo vicino ai manifestanti86.

Il caso della Capitale esplicitò tutta la tensione tra un partito attestato su posizioni conservatrici e

attendiste, al netto della mancanza di una via alternativa e praticabile a quella micheliniana, e la

galassia giovanile, decisa a rompere con il passato e pronta a crearsi nuovi spazi nell’arena politica

senza l’avallo dei “grandi”87. Inizialmente, i manifestanti neofascisti pensarono che l’iniziativa del

16 marzo fosse opera del Governo italiano: una sorta di trappola della DC in cui Almirante e gli altri

erano caduti senza riflettere. La notizia degli scontri provocò un forte “disagio generazionale” in tutte

le sedi missine della Penisola, perché se il fronte studentesco non poteva dirsi compatto come a Roma,

era certamente tollerata la presenza di gruppi di destra in piazza e negli atenei al fianco di quelli di

sinistra nelle altre città d’Italia. Ha notato Loredana Guerrieri:

“Comunque, quell’esperimento, appena abbozzato, di partecipazione alla contestazione

giovanile, provocò nelle fila neofasciste un reale cortocircuito dal punto di vista culturale,

oltre che organizzativo. Il ’68 rappresentò una sorta di trauma poiché spinse in qualche

modo i giovani neofascisti a «ripensare» se stessi e a «rispondere» sullo stesso piano e

con gli stessi mezzi dei propri coetanei di sinistra a quella che essi, per primi, percepivano

come una rivolta generazionale”88.

84 Gianni Scipione Rossi, Alternativa e doppiopetto: il Msi dalla contestazione alla destra nazionale (1968-73), Istituto

di Studi Corporativi, Roma 1990, p. 28. 85 Roberto Chiarini, op. cit., pp. 134 e ss. 86 Marco De Troia, op. cit., p. 25. 87 Andrea Mammone, Transnational Reactions to 1968: Neo-Fascist Fronts and Political Cultures in France and Italy,

in “Contemporary European History”, vol. 17 n. 2 anno 2008, pp. 217-218. L’autore spiega che la tendenza del “right-

wing voters”, nei momenti di crisi nazionale, fu quella di rifugiarsi su posizioni conservatrici sia in Italia, che in

Francia, anziché puntare sull’opposizione senza compromessi al sistema. 88 Loredana Guerrieri, La giovane destra neofascista italiana e il ’68. Il gruppo de «L’Orologio», in “Storicamente”,

vol. 5 anno 2009, http://storicamente.org/Sessantotto_guerrieri. Consultato per l’ultima volta il 30/09/2019.

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L’azione della segreteria venne interpretata alla stregua di un aut aut, o dentro o fuori dal partito,

con effetti decisivi. Molti giovani abbandonarono il MSI, altri fondarono un nuovo gruppo politico,

la “Nuova Caravella”, sorto sulle macerie del FUAN Caravella (la mitica sede degli universitari

neofascisti romani), cercando l’appoggio di monarchici e repubblicani. Sempre da Roma, alcuni

studenti già iscritti al FUAN si unirono nell’organizzazione OLP, la portabandiera del pensiero

nazimaoista89. Il FUAN e, sebbene in misura minore, la GI subirono una sconfitta pesante in termini

di adesioni e agibilità politica90.

A ben vedere, la conseguenza più seria fu quella di lungo periodo: dal punto di osservazione

missino, la facciata conservatrice e di tutore dell’ordine non poteva sgretolarsi di fronte agli errori

giovanili; la frattura che si era creata andava curata con decisioni indiscutibili, ad esempio il

ridimensionamento del peso del FUAN tra gli organismi collaterali del partito per i decenni a venire

e l’ultimatum imposto in maniera muscolare il 16 marzo, al prezzo di numerose perdite tra gli

iscritti91. Le elezioni del maggio ’68 videro un lieve calo percentuale del MSI, restituendo l’immagine

di un partito che giocava oramai in difesa, soggetto ad una erosione di voti da parte della DC92;

l’isolamento missino spinse la segreteria al tentativo di legare i partiti affini in un’alleanza di stampo

anticomunista, cui peraltro soltanto i monarchici aderirono. Ignazi ha osservato che la situazione del

MSI nel biennio ’68 -’69 chiamava alla memoria le origini: “un magma fluido e ribollente in cerca,

o in attesa, di un centro aggregatore/«solidificatore»”93.

Un aiuto involontario giunse dalla continuazione dei fermenti sessantottini in molte piazze, che a

partire dall’autunno dello stesso anno si sommarono alle rivendicazioni dei lavoratori, le quali, a loro

volta, raggiunsero l’apice della mobilitazione tra l’autunno e l’inverno del 1969. L’alto livello di

conflittualità sociale e il netto schieramento a sinistra del movimento, o meglio: dei movimenti,

favorirono l’apertura di nuovi spazi per i missini non primariamente in campo politico; in brevissimo

tempo, difatti, l’egemonia di sinistra favorì l’ingresso nelle sezioni di un numero consistente di

giovani, che poco o nulla avevano mai avuto in comune con il ventennio fascista (per via familiare,

s’intende) o con la galassia neofascista. Tutto ciò regalava forze fresche e apriva scenari insperati per

il MSI; senza aggiustamenti tattici, il partito neofascista si avvantaggiò del repentino mutamento

ambientale in brevissimo tempo.

Alcuni fattori concorrevano a restaurare l’immagine esterna del partito, rendendolo presentabile e

credibile, non soltanto come difensore dell’ordine, ma anche come l’unica forza anticomunista

89 Loredana Guerrieri, Il paradosso della…, cit., pp. 130 e ss. 90 Adalberto Baldoni, La Destra in Italia 1945-1969, Editoriale Pantheon, Roma 2000, p. 602. 91 Gianni Scipione Rossi, La destra e gli anni di piombo nella prospettiva della storicizzazione, in “Annali della

Fondazione Ugo Spirito”, n. XVI-XVII anno 2004-5, p. 390. 92 Piero Ignazi, Il polo…, cit., p. 135. 93 Ivi, p. 134.

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presente nel sistema. In altre parole, il clima della fine degli anni Sessanta trasformò la percezione

dell’elettorato conservatore nei confronti del MSI, che mai aveva votato prima. Lo stesso accadde

con i giovani. L’esclusione dei non allineati al movimento, specialmente fra le giovani generazioni,

divenne un tratto comune in tutta la Penisola, quando la chiusura ideologica dell’ambiente serrò i

ranghi delle manifestazioni, delle riunioni, delle assemblee. Ogni gesto, anche di vita quotidiana,

assumeva connotati politici, che in breve significava abbandono delle linee guida dei primi mesi del

’68 e legame con la logica dell’inclusione/esclusione, secondo il criterio della conformità

all’ortodossia. Le strutture giovanili del MSI diventarono una valida alternativa alle sigle di sinistra:

il desiderio di partecipazione politica, esploso a livello di massa con il ’68, confluiva, per gli esclusi

dal movimento, nel partito che più di ogni altro aveva insistito sull’anticomunismo. I giovani, in tal

modo, tornarono a farsi affascinare dalla destra e dalla fiera estraneità al sistema che esibiva.

L’ex Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini ha accettato di rilasciare un’intervista

a chi scrive su quegli anni. Fini entrò nella GI nel 1969 e divenne Segretario del FdG nel 1977. Ha

raccontato diffusamente i mesi tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo:

“In quegli anni si diceva e si pensava: ‘tu sei inferiore perché non sei di sinistra’,

figuriamoci se stavi a destra. Per altri certamente il retaggio familiare contava più di tutto,

i genitori votavano Movimento Sociale e si finiva a fare politica lì; vi era poi una

componente minoritaria di quelli trascinati dal leader, se chi guidava quel gruppo era del

MSI allora anche gli altri lo erano. Penso che queste tre fossero le componenti della

militanza. Non credo che valesse l’equazione ‘non sei di sinistra, allora sei fascista’, non

era così la realtà fattuale. Vi erano tanti che non votavano a sinistra, ma era una

maggioranza silente. C’era una minoranza che era anticomunista che ostentava

l’anticomunismo per ragioni ideologiche, ma era di gran lunga una minoranza.

Interessante in quegli anni è il rapporto con il neofascismo: noi ci sentivamo tutti

neofascisti, non eravamo certo offesi se qualcuno ci chiamava tali. Io mi sono chiesto il

perché, la risposta che do è questa: da un lato, nel Movimento Sociale c’era chi fascista

era stato davvero e ovviamente il regime era presentato in modo positivo. […] L’altra

ragione è connessa al fatto che Almirante e altri grandi uomini mostravano

l’anticomunismo senza alcuna timidezza; ricordo un discorso di Almirante a Firenze in

cui egli disse che eravamo pronti allo scontro fisico. Questo motivava i giovani, era un

modo fisico di esprimere opposizione nei confronti del comunismo. Era una trincea il

neofascismo, un’opposizione non ideologica se non per pochissimi, era un’opposizione a

quella che noi definivamo sovversione. Il MSI era poi l’unico partito a proclamarsi

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orgogliosamente italiano, soltanto se vinceva la nazionale si sentiva l’amor di patria,

neanche se giocava”94.

Un’altra testimonianza importante è stata fornita da Marco Zacchera, una delle figure di spicco del

FdG piemontese:

“Io provengo da una zona tradizionalmente bianca e da una famiglia che non si è mai

schierata. Mio padre era monarchico e finì nei campi di concentramento dopo l’8

settembre, avevo uno zio nella RSI e un altro a fare il partigiano, una nonna dirigeva la

colonia di bambini di Verbania. Per me il 1969 segnò il punto di non ritorno: a scuola

promossero uno sciopero per le pensioni, io mi schierai contro le ragioni dello sciopero

all’assemblea scolastica. Presi la parola per dire la mia e da quel momento fui il fascista

per tutti. Entrai nella sezione del MSI solo per stampare un volantino personale dopo

quell’assemblea, non sapevo neanche dove si trovasse fino a quel giorno, ma un amico

della scuola mi disse che potevo stampare lì; i missini non mi sembrarono dei diavoli

come li dipingevano gli altri; nessuno mi fece pressioni o mi costrinse a comprare una

tessera. Quello fu il mio battesimo politico”95.

Per un partito al margine del sistema, con un settore giovanile in grave crisi, la trasformazione

dell’ambiente garantiva una formidabile possibilità di riformulazione della tattica, se non della

strategia; le stesse ali estreme, che, come ha raccontato Zanetov, trovarono nuova linfa nel difficile

clima di fine decennio. Il MSI assisteva all’allargamento del bacino dei possibili militanti senza

essersi mosso.

La morte di Arturo Michelini, avvenuta il 15 giugno 1969, aprì una breve fase d’incertezza interna

che si concluse due settimane più tardi con la nomina di Almirante alla carica di segretario. Secondo

Parlato, la successione alla segreteria fu tutt’altro che un processo semplice, benché l’unanimità delle

correnti a sostegno di Almirante abbia condotto gli studiosi ad analisi differenti; la frase di Pino

Romualdi sulla scelta del nuovo segretario, “fu voluta da tutti, anche da ambienti esterni”96, e le

riflessioni di Marco Tarchi sul multiforme “governo invisibile”97 che volle il leader emiliano, al di là

delle speculazioni storiografiche, permettono una considerazione.

94 T.a.a. di Gianfranco Fini, raccolta il giorno 11 dicembre 2016 a Roma. 95 T.a.a. di Marco Zacchera, raccolta il giorno 28 novembre 2016 a Verbania. 96 Giuseppe Parlato, La seconda segreteria Almirante e il successo del Msi nel 1972, in “Nova Historica”, vol. 51 anno

2014, pp. 12-16. 97 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni, cit., p. 74. Nella definizione di “governo invisibile”

Tarchi cita i lavori di Giorgio Galli che individuano un centro di potere occulto, composto da attori istituzionali misti

(dai servizi segreti, passando per le gerarchie militari, fino a cariche politiche di alto livello), che avrebbe condizionato

la vita politica del Paese almeno fino alla fine degli anni Settanta, intervenendo persino nelle decisioni interne di partiti

minori. Lo storico Parlato ha documentato il “cordiale rapporto” tra Almirante e Federico Umberto D’Amato alla fine

della seconda guerra mondiale, non è da escludere che il leader missino avesse realmente sostenitori di lunga data al di

fuori del partito. In: Giuseppe Parlato, Fascisti senza Mussolini…, cit., p. 280.

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Almirante guidava una minoranza consistente, attestata su posizioni diverse da quelle micheliniane

e di natura intransigente, e non godeva dell’appoggio incondizionato di tutte le componenti missine;

nondimeno, sembrava essere l’uomo giusto al momento giusto per via della sua capacità dialettica e,

è il caso di sottolinearlo, di un carisma senza eguali nel partito. In primo luogo, i missini contavano

nella sua oratoria per risollevare i consensi, tenuto conto della flessione subita nel ’68; il patto stilato

tra gli almirantiani e le altre correnti prevedeva un sostegno incondizionato al leader che, a sua volta,

s’impegnava a restare nel solco di Michelini, continuando il lavoro di tessitura di relazioni con le altre

componenti di destra moderata98. In secondo luogo, è verosimile che la DC e gli altri partiti

scommettessero sul già Capo di Gabinetto del MinCulPop, personalità divisiva e difficilmente

arginabile: un MSI meno moderato e non impegnato a presentarsi come forza legalitaria,

conservatrice, era certamente meno preoccupante di un MSI ancora micheliniano nella strategia,

potenzialmente attraente per l’elettorato allarmato dalla conflittualità sociale del ’68 -’69 e proiettato

all’accordo con monarchici e cattolici tradizionalisti99.

Il nuovo segretario avviò fin da subito una comunicazione più aggressiva rispetto al registro

precedente, senza lasciare emergere una progettualità politica diversa, ma con l’obiettivo di scrollarsi

dal torpore del decennio che stava per concludersi. Ha scritto Parlato, descrivendo l’impronta lasciata

sul partito dalla seconda segreteria Almirante:

“Il Msi, esattamente come il fascismo, poteva presentarsi di sinistra, se necessario, in

campo sociale, con la socializzazione e la rappresentanza corporativa; conservatore e

istituzionale per rassicurare i moderati e per portare avanti la destra nazionale con

monarchici, cattolici ed eventualmente frange liberali; rivoluzionario per galvanizzare i

giovani, agitando un’alternativa al sistema che prefigurava confusi nuovi scenari di

società; in ogni caso il Msi poteva dichiarare di avere superato il dilemma fascismo-

antifascismo e nello stesso tempo presentarsi come il continuatore di un’eredità

complessa e pesante come quella fascista”100.

Almirante si impegnò a ricostruire la comunità umana e politica prima di scegliere una linea

precisa da seguire, esasperando questa doppiezza tra anima movimentista e sensibilità legalitaria,

sintetizzata in letteratura sotto molte espressioni (su tutte: “manganello e doppiopetto”101). A parere

98 Sulla continuità tra la linea micheliniana e quella almirantiana concordano: Aldo Giannuli ed Elia Rosati, Storia di

Ordine Nuovo, Mimesis, Milano - Udine 2017, p. 102 e Giuseppe Parlato, La seconda segreteria …, cit., p. 24. 99 Nel dicembre del 1970, Almirante dichiarò a Giampaolo Pansa che il MSI era un partito cattolico, “senza il lusso

delle correnti”; molti tradizionalisti cattolici approdarono nel partito proprio nei primi anni Settanta per via della

campagna elettorale del Segretario e dell’abilmente sfruttato avvicinamento tra DC e PCI. In: Giampaolo Pansa, Il

revisionista, Rizzoli, Milano 2009, p. 406. 100Giuseppe Parlato, La seconda segreteria…, cit., p. 25. 101 Non è ben chiara l’origine dell’espressione, è presumibile che sia nata durante il Sessantotto e divenne l’etichetta per

definire la lunga, seconda segreteria di Almirante.

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di chi scrive, è possibile tentare di spiegare tale orientamento, caratterizzante il personaggio non certo

a partire dal 1969102, concentrandosi sul fine dell’azione almirantiana.

Il segretario dichiarò il 10 luglio del ’69, pochi giorni dopo la nomina, l’intenzione di accogliere

tutti i camerati fuoriusciti dal partito, aprendo le porte alle formazioni a destra del MSI103;

contestualmente, la robusta corrente micheliniana, che aveva introiettato l’accettazione del sistema

democratico, non poteva essere scavalcata facilmente. Almirante rappresentò a suo modo il collante

di una galassia che stava per disperdersi, accentuando le note originarie del partito dei reduci

all’interno, per agguantare anche i consensi dei gruppi estremisti, e sfruttando la congiuntura

favorevole data dall’instabilità sociale all’esterno. In merito a quest’ultimo punto, ha scritto lo storico

Aldo Giannuli:

“[…] il MSI offriva la propria disponibilità, in Parlamento e nelle piazze, per

un’alternativa al centro-sinistra. A ben vedere, si trattava della ripresa della strategia

micheliniana del condizionamento esterno della DC e del progressivo inserimento del

MSI quale forza di governo, così come l’ostentata ortodossia atlantista (volta a

conquistare il riconoscimento degli USA come referente privilegiato in Italia) era la

prosecuzione di quanto già l’ultimo Michelini aveva cercato di fare. Infatti, il nuovo corso

almirantiano non si contrapponeva alla precedente linea dell’inserimento, ma, in qualche

modo, la inglobava in un’azione politica più spregiudicata e ‘movimentista’ […]”104.

La recrudescenza dello scontro politico, che andava esasperandosi in quei mesi, degenerò in una

estremizzazione delle forme dell’attività politica, fino all’accettazione dell’utilizzo della violenza

come metodo di difesa e offesa dell’avversario. Ebbene, occorreva presentarsi come baluardo

dell’ordine al fine di intercettare le domande di sicurezza della borghesia urbana, degli industriali e

della parte di elettorato a destra della DC, ma non convinto ancora del MSI; allo stesso tempo,

l’occasione di mobilitare la base attraverso manifestazioni, proteste, servizi d’ordine non rimase

lettera morta.

Il piano di Michelini non prevedeva il contributo della destra estrema per traghettare i fascisti in

democrazia e trasformare il MSI in partito di destra moderata; al contrario il segretario, consapevole

dell’egemonia del partito nell’area al netto della flessione della tornata elettorale del 1968, era deciso

a costruire una grande destra che svolgesse il ruolo di polo alternativo al centro e alla sinistra105;

inoltre, sfruttando i buoni rapporti con i leader dell’estrema destra e favorendo il reinserimento nei

102 La corrente “Rinnovamento” del nuovo Segretario aveva sempre dispiegato un’aspra opposizione alla corrente

moderata di Michelini, per finire a stringere accordi prima delle votazioni ai Congressi come accadde a Roma nel 1963

e a Pescara nel 1965. I dati sono presenti in: Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., p. 36. 103 Adalberto Baldoni, La destra in Italia…, cit., pp. 642-643. 104 Aldo Giannuli ed Elia Rosati, op. cit., pp. 100 e ss. 105 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., p. 75.

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ranghi del partito, Almirante poteva consolidare un blocco di sostegno alla segreteria che faceva da

contrappeso ai micheliniani.

Le scuole e le università erano i campi di battaglia maggiormente soggetti dall’ondata di agitazione

che stava colpendo il Paese; per di più, l’azione delle formazioni di sinistra, specialmente

extraparlamentare, si concentrò sulla riduzione degli spazi di manovra politica degli avversari di

destra. Ogni tentativo di mobilitazione veniva considerato provocazione e, lo si vedrà nei capitoli

successivi, la risposta non esitava a dispiegarsi anche in maniera violenta; le opinioni non conformi

si trasformavano spesso in rischi di essere etichettati come “di destra”. Il PCI accentuò la prerogativa

antifascista della Repubblica nella retorica delle manifestazioni, specialmente in quella diretta ai

giovani, sia per incanalare lontano da sé il ribellismo generazionale, sia per spostare i timori

dell’opinione pubblica su un preciso nemico. In questo modo, la stanca dicotomia fascismo-

antifascismo si ritrovava al centro della scena politica giovanile come mai prima di allora106.

Il MSI di Almirante riuscì subito ad attrarre consensi, o perlomeno a raccogliere sotto lo stesso

ombrello gli esclusi della protesta giovanile che andavano dagli estremisti fino ai moderati senza

tessera; il clima dei mesi successivi agli eventi del Sessantotto italiano favorì l’espansione

almirantiana nell’“ambito sociale a cui il MSI ha rivolto gli sforzi di penetrazione più continui e

diretti”107 nella sua storia. In un ambiente percepito ostile, il partito garantiva protezione istituzionale,

sicurezza tramite i servizi d’ordine e una robusta retorica nostalgica e multiforme. L’accentuazione

dei caratteri militanti in funzione anticomunista, la presentazione di una matrice difensiva o di

reazione per le azioni compiute dai neofascisti, l’autorappresentazione strumentale dei fascisti

perseguitati dalla dittatura dei partiti democratici erano dati contraddittori, ma funzionanti108.

La stagione delle rivendicazioni sindacali, l’intensificazione della strategia della tensione, che

culminò negli attentati del 12 dicembre, e l’apertura della lunga campagna elettorale per le prime

elezioni regionali inaugurarono una fase pericolosa per il partito. Se infatti la comunicazione toccò

nuovi picchi di aggressività verso l’esterno - Almirante parlò di guerra civile in corso negli ultimi

mesi del 1969 e ventilò senza mezzi termini la possibilità di una deriva autoritaria per stabilizzare il

sistema -, all’interno i dirigenti delle organizzazioni giovanili mostravano evidenti segni di

preoccupazione per la recrudescenza dello scontro, che stava spingendo i militanti verso posizioni

106 Gianni Scipione Rossi, La destra …, cit., p. 391. 107 Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., p. 321. 108 Gianni Scipione Rossi, La destra …, cit., pp. 390 e ss.

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estreme109. Contemporaneamente, Rauti e il suo gruppo rientravano nel partito, conquistando seggi

al Comitato Centrale e un potere di condizionamento rilevante nei confronti del segretario110.

Ad avviso di chi scrive, il problema della doppia militanza di molti giovani missini si delineò in

questi mesi turbolenti. La fedeltà al MSI almirantiano, per alcuni e non per tutti, faceva il paio con il

desiderio di attuare piani eversivi o azioni violente, indiscriminate con il parafulmine della militanza

legale: tra il 1968 e il 1970 la spregiudicata tattica almirantiana di acquisizione dei consensi,

soprattutto tra i giovani, spalancò le porte al fenomeno che viene definito della continuità. Con questo

termine si individua un aspetto della militanza e del tesseramento giovanile missino, cominciato nel

periodo in discussione e protrattosi almeno fino alla metà degli anni Settanta, il quale consistette nella

sovrapposizione della fedeltà al partito e, ad un tempo, a gruppi estremisti che facevano della violenza

la forma preminente del loro agire politico. La continuità è la chiave ermeneutica di largo impiego

presso gli studiosi della destra italiana; eppure è possibile tentare di fornire una prospettiva differente

che consenta di leggere anche le discontinuità tra la galassia giovanile neofascista e quella estremista

di destra111.

1.4 La fondazione del Fronte della Gioventù

Non erano soltanto i giovani più agitati ed estremisti a mirare all’azione concreta. Tra la fine del

1969 ed i primi mesi del 1970 il partito dovette affrontare la proposta di dimissioni, spedita tramite

raccomandata, di numerosi dirigenti giovanili provinciali. Secondo il Ministero dell’Interno italiano

l’episodio aveva un significato chiaro: scuotere il MSI verso posizioni maggiormente attivistiche con

la minaccia della fondazione di una nuova realtà giovanile112. Gli scontri di piazza con gli avversari

assumevano proporzioni inquietanti; a Genova morì Ugo Venturini colpito alla testa da un oggetto

109 I leader delle organizzazioni giovanili erano stati tutti nominati dalla Segreteria Michelini prima dell’esplosione del

Sessantotto, essi erano: Pietro Cerullo per la GI, Massimo Anderson per il RGSL, Cesare Mantovani per il FUAN e

Alberto Rossi per i VN. In Marco De Troia, op. cit., p. 13. 110 Giuseppe Parlato, La seconda segreteria …, cit., p. 20. Si legge nel saggio a pagina 20: “[…] l’ex capo di Ordine

Nuovo fu molto vicino al segretario, svolgendo il ruolo di consigliere di Almirante. È poi da tenere presente che Rauti

non si limitò ad avere un peso, ancorché significativo, dal punto di vista meramente personale: egli volle conferire al

proprio ritorno nel Msi un valore di rilievo, anche per smentire quanti non avevano affatto gradito tale ritorno,

interpretandolo come una sorta di tradimento del progetto rivoluzionario […]”. 111 Nella quasi totalità delle opere sul MSI, la tesi della continuità è l’unica ad essere presa in considerazione,

confutando a priori la tesi opposta. Anche nell’ultimo lavoro sulla storia missina di Davide Conti, vi è una ingente mole

di documenti che potrebbero quantomeno validare l’idea della discontinuità (si veda: Davide Conti, L’anima nera della

Repubblica. Storia del Msi, Laterza, Roma-Bari 2013, capitolo IV). 112 Si confrontino: Aldo Giannuli ed Elia Rosati, op. cit., pp. 120 e ss. e Davide Conti, op. cit., pp. 81-82.

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contundente113. Della scissione non se ne fece nulla, ma Almirante si mise al lavoro per controllare

meglio le organizzazioni giovanili, cominciando dal depotenziamento dei VN, vietando la

costituzione di altri “campi autogestiti”114 e impegnandosi nella ristrutturazione totale del settore. I

“campi autogestiti” inquietavano la segreteria e i vertici giovanili per la loro natura paramilitare e

semiclandestina; le notizie della partecipazione di iscritti al MSI denotavano una debolezza

allarmante delle istituzioni giovanili neofasciste115.

La distanza tra base giovanile e vertice continuava a farsi sentire: l’esigenza di accorciare lo

strappo divenne urgente. Difatti, il progetto almirantiano della grande destra non poteva prescindere

dalla solida e, soprattutto, controllata presenza giovanile sia nelle attività del partito che nel processo

di coinvolgimento di altre sensibilità politiche da aggregare nella “piazza di destra”116. Già nel marzo

del 1970, Adalberto Baldoni relazionava al partito sull’importanza della componente giovanile nella

battaglia per i consensi:

“Dobbiamo togliere al partito comunista l’arma della suggestione, culturale, informativa

e dialettica, nei confronti della gioventù. Il vertice del Partito è convinto che possiamo

battere gli avversari. Anche noi ne siamo convinti, ma soltanto se sapremo indicare ai

giovani precisi obiettivi, senza incertezze di scelta e senza immobilismi”117.

La lunga sommossa di Reggio Calabria del 1970 è un altro caso studio rivelatore, in capo ad alcuni

aspetti della continuità e della debolezza istituzionale. La base estremamente mobilitata e la

concorrenza delle organizzazioni di estrema destra nella partecipazione ai moti per lo spostamento

del capoluogo regionale determinarono una tensione non trascurabile tra giovani e vertice. Almirante,

sostenuto dalla maggioranza dei quadri del partito, si mostrò inizialmente contrario ad ogni forma di

intervento a difesa delle rivendicazioni dei reggini; tuttavia, la pressione esercitata da AN e altre sigle

attraverso il controllo della piazza e le continue richieste del mondo giovanile portarono il segretario

su posizioni differenti118. In merito alla scuola di partito dei dirigenti giovanili di tutta Italia, che si

svolse a Cascia nel settembre del 1970119, Massimo Anderson ha detto:

113 Ugo Venturini era il responsabile dei VN di Genova e morì il 1˚ maggio 1970 durante un comizio di Almirante per

mano di militanti della sinistra extraparlamentare che stavano ostacolando la manifestazione del MSI. In: Davide Conti,

op. cit., p. 103. 114 Ivi, p. 83. 115 Ivi, p. 101. 116 Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., p. 329. 117 Afus, Archivio Adalberto Baldoni, b. VIII M.S.I. FdG/Azione Giovane/ FUAN, Soggetti, La società e i giovani oggi,

p. 10. 118 Lo storico Conti ha notato che nella rivolta di Reggio Calabria “a consentire una solida presenza missina […]

concorsero senz’altro anche altri aspetti come lo specifico contesto locale e la «mancanza di una caratteristica di

classe»” (p. 121). In: Davide Conti, op. cit., pp. 119-123. 119 Sull’importanza delle scuole di partito per i giovani missini se ne discuterà nel prossimo capitolo attraverso l’utilizzo

delle fonti orali.

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“Ricordo che a Cascia, durante i lavori di un corso di aggiornamento giovanile, Almirante

fu sollecitato ad assumere una posizione di solidarietà politica con i manifestanti. La sua

risposta fu cauta: solo più tardi, quando le cronache della protesta furono sulle prime

pagine di tutti i giornali, valutò l’importanza del fenomeno, se non altro perché in prima

file sulle piazze c’erano i giovani del Msi, definiti i “boia chi molla” […]”120.

Il corso di aggiornamento politico di Cascia fu attentamente monitorato dalla Prefettura di Perugia

che inviò una riservata urgente al Ministero dell’Interno. Secondo il documento, Anderson chiese di

“mettere nella giusta luce la gioventù missina per il fattivo apporto che essa può e deve dare alla causa

del partito compendiata nella lotta al comunismo”, sottolineando nemmeno troppo timidamente la

dipendenza delle iniziative missine dalla componente giovanile. Almirante rispose con una promessa:

“dalla fase del consenso che porta al compromesso” si sarebbe passati alla “fase di attacco”. Nella

relazione del prefetto emerge l’insistenza del leader sui concetti di disciplina e concentrazione delle

sigle per il raggiungimento degli obiettivi futuri. Risulta chiara la doppiezza comunicativa del

segretario121. Si legge nel telegramma della Prefettura al Ministero, successivo di una settimana al

report citato, che, sempre a Cascia, Almirante aveva parlato di rivoluzione, “intesa come sapiente

penetrazione fra studenti operai giovani italiani et europei per richiamarli al senso dei doveri ideali di

libertà et ordine”122. L’anticomunismo andava declinato in maniera differente rispetto al passato e la

galassia giovanile chiedeva di non essere più soltanto la sponda delle manifestazioni di piazza del

partito. Insomma occorreva un cambiamento.

Il cambiamento decisivo arrivò al Congresso missino che si svolse alla fine di novembre del 1970

a Roma. Dopo circa due decenni di congressi combattuti aspramente dalle correnti, l’appuntamento

capitolino si svolse in modo unitario. La regia almirantiana decise di abbandonare i richiami nostalgici

per scommettere sull’immagine di un partito moderno, vicino alle richieste d’ordine dell’Italia centro-

settentrionale e sostenitore delle Regioni del meridione (insistendo sul messaggio dello sfruttamento

del Nord nei confronti del Sud)123. Inoltre, al Congresso venne ribadita con forza l’apertura al dialogo

con tutte le forze anticomuniste dello spettro politico, tratteggiando così una precisa strategia

comunicativa d’attacco. Le tre organizzazioni giovanili furono unite nominalmente sotto la sigla

“Fronte Nazionale della Gioventù”; si legge all’art.68 dello Statuto missino approvato al Congresso:

120 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggero), op. cit., pp. 81-82. 121 ACS, Ministero dell’Interno, Movimento Sociale Italiano Raggruppamento Giovanile, f. 195 P/98, Prefettura di

Perugia, 13 settembre 1970, pp. 1-2. 122 Ivi, p. 2. 123 Le elezioni amministrative del giugno 1971 confermarono la bontà della tattica missina, vi fu un incremento

sostanziale di voti per la Fiamma non soltanto nelle zone tradizionalmente favorevoli (a Roma, sia per la Provincia che

per il Comune, il MSI superò il 15%).

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“L’espressione della politica giovanile del M.S.I. è il Fronte Nazionale della Gioventù,

formato dal Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori, dalle organizzazioni

studenti medi e universitari, con i rispettivi Statuti e Regolamenti. Il Fronte ha il compito

di formare la coscienza politica dei giovani diffondendo fra di essi gli ideali e i programmi

del M.S.I. Il Fronte inquadra i giovani fino al 21 anno di età. Il limite di età è di 26 anni

per gli studenti universitari, per i laureati, per i diplomati e per i dirigenti centrali e

periferici”124.

In sintesi, ha scritto Ignazi:

“La strategia missina all’inizio degli anni Settanta è oramai chiaramente delineata: fare

del MSI l’interprete di quei settori della società colpiti dalla mobilitazione sociale e

dall’ondata contestativa e scendere sullo stesso terreno di scontro degli avversari per

contenderne e conquistare la piazza. E tutto questo senza rivendicare troppo

manifestamente le proprie radici. In altri termini, si tratta del passaggio da un partito

nostalgico, alla rincorsa di un oramai irraggiungibile passato, ad un partito d’ordine

[…]”125.

La paura dello slittamento a sinistra dell’Italia, sbandierato dal MSI in tutte le sedi possibili,

permetteva di proseguire nelle piazze con la retorica antisistemica e avanzare nel recupero dei

consensi. La riorganizzazione delle strutture giovanili s’imponeva come tema essenziale nell’agenda

della segreteria, giacché il MSI fin dalla fondazione contava molto sui giovani al fine di, per dirla con

le parole di Anderson, “utilizzarli come ‘materiale umano’ indispensabile per vivacizzare le

campagne elettorali”126. In più, dalla componente moderata dei giovani era giunta al segretario la

richiesta di unificare le sigle giovanili per far fronte alla scarsa armonia che stava dilaniando le

strutture127 e per meglio gestire il problema dell’estremismo che si allargava a macchia d’olio128.

Non si rintracciano documenti sulla fase preparatoria alla nascita del FdG, si può presumere che

Almirante avesse sentito i suoi consiglieri e certamente ascoltato Anderson, Cerullo e Mantovani che

spingevano per l’unificazione delle sigle. Questa strada assicurava al segretario un vantaggio rispetto

al passato: cedendo alcuni spazi di rilievo nella Direzione nazionale del partito, ai Congressi e nei

coordinamenti regionali, Almirante blindava la fedeltà dei vertici e allungava in maniera capillare il

controllo sulle attività giovanili. Inoltre, il leader decise di affidare il comando della nuova struttura

124 Afus, Fondo Eveno Arani, Statuto Approvato dal IX Congresso Nazionale 1970, p. 38. 125 Piero Ignazi, Il polo…, cit., p. 145. 126 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggero), op. cit., p. 83. 127 Ibidem. 128 Aldo Giannuli ed Elia Rosati, op. cit., pp. 120-121. Gli autori riportano una circolare che Massimo Anderson spedì

nel novembre del 1970 a tutte le sezioni del RGSL per intimare di non organizzare manifestazione o iniziativa alcuna

senza il permesso della Direzione nazionale.

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agli stessi Anderson e Cerullo, che vennero nominati rispettivamente segretario nazionale giovanile

e vice-segretario, esponenti fidati di Michelini e con una certa esperienza di gestione dei giovani. Essi

rappresentavano la parte moderata e vicina al partito, che già aveva segnalato le criticità dovute alla

concorrenza degli estremisti e alla scelta conservatrice durante il Sessantotto.

Gli unici appunti in materia di unificazione delle sigle si rintracciano nei discorsi tenuti dai tre

responsabili giovanili al IX Congresso. Anderson riconosceva il “rinnovamento del linguaggio e del

costume, portentosamente conseguito nel giro di pochi mesi da Giorgio Almirante”, ma la richiesta

nemmeno troppo velata era la sostituzione degli uomini di vertice, poiché ritenuti “anziani, inerti

come organi esecutivi e politici” che sarebbero serviti più “come mediatori ed anelli di congiunzione

con gli organi professionali, con i corpi statali”, mentre al partito occorrevano uomini d’azione. Il

cambio di passo poteva essere solamente attraverso un vertice più aperto alle sfide del mondo

giovanile, ossia le battaglie contro gli avversari, e declinando finalmente l’unificazione delle sigle

giovanili; anche Cerullo ribadiva la stessa linea129.

Mantovani, l’allora responsabile del FUAN, nel suo lungo intervento, scrisse invece che le

organizzazioni giovanili erano state per anni logorate dall’immobilismo del partito e solo per la

solidità della classe dirigente non erano degenerate in formazioni del tutto autonome all’interno dello

stesso MSI. Mantovani segnalava anche il pericolo di alcune sezioni periferiche in cui “vi sono ancora

taluni che fanno una battaglia di retroguardia, nell’illusione furbesca di essere destinati ad essere

domani la avanguardia di un’altra guerra di logoramento interno”; inoltre, delle tre organizzazioni

giovanili, il FUAN era quella maggiormente impegnata a chiedere un nuovo linguaggio, senza troppi

retaggi del passato130. Negli orientamenti giovanili proclamati alla fine del Congresso, si fa

riferimento genericamente a quattro elementi: partecipazione corporativa, lotta per la patria europea,

lotta per la vera libertà, comunismo vero nemico131.

Al margine dei lavori del Comitato Centrale dell’aprile del 1971, il 24 aprile il Secolo d’Italia

pubblicò la notizia della votazione unanime alle modifiche statutarie “per la costituzione del Fronte

della Gioventù Italiana”132, sebbene l’aggettivo venne immediatamente abbandonato133. La nuova

struttura ambiva a coinvolgere il FMG, in vista della stretta collaborazione tra il MSI e il PDIUM134,

129 Afus, Archivio Nino Tripodi, serie 2 sottoserie 2.2, b. 16, f. 38, pp. 51-58 e pp. 59-62. 130 Ivi, pp. 63-75. 131 Ivi, pp. 94-96. 132 Il Secolo d’Italia, sabato 24 aprile 1971, anno XX numero 96, p. 1. 133 Il politologo Tarchi ha sostenuto che il nome Fronte della Gioventù Italiana era stato elaborato per coinvolgere tutti i

gruppi “di ispirazione anticomunista”, ma lo scioglimento del FMG, e soprattutto il rifiuto di alcuni membri di aderire

al FdG, avrebbe inibito l’uso dell’aggettivo perché il progetto non avrebbe incontrato l’approvazione che ci si

attendeva; in: Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., p. 330. 134 Marco De Troia, op. cit., p. 96. Il PDIUM si fuse con il MSI nel 1972, ma De Troia riporta che l’organizzazione dei

Giovani Monarchici Italiani confluì nel FdG alla fine del 1971; ora, non è chiaro se ci fosse un’altra organizzazione

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e ad inglobare altre formazioni estremiste, principalmente AN la quale era presente in poche zone

d’Italia, ma restava un concorrente forte per il partito a livello locale135. Il FMG si sciolse di lì a poco,

generando la diaspora dei suoi tesserati: alcuni finirono nella DC, mentre la maggior parte confluì nel

nascente FdG. Ha spiegato il professor Fabio Torriero, uno dei leader nazionali della corrente

monarchica negli anni Settanta:

“Il FMG si presentava sulla carta come movimento interpartitico, ma in realtà eravamo

extrapartitici. A destra c’era una buona scelta in quegli anni, ma è fondamentale capire il

clima, l’ambiente in cui ci muovevamo. I giovani di destra erano etichettati con il nome

di ‘fascisti’, indiscriminatamente. Finimmo per stringere amicizie durature con i missini,

per scendere in piazza insieme, frequentavamo gli stessi posti. Una parte consistente di

noi si trovò naturalmente a fare politica con la GI prima e con il FdG poi”136.

Il 25 aprile il Secolo titolava: “Siamo il coraggio e non la violenza, siamo l’antidoto e non il

veleno”; veniva riportato integralmente il testo della relazione conclusiva di Almirante al Comitato

Centrale in cui il leader missino discuteva della situazione politica del Paese con toni aspri e senza

mezze misure. In molti passaggi del testo, il segretario sottolineava lo spostamento a destra

dell’elettorato, accusando la DC di non avere ascoltato le richieste del popolo e, al contrario, di avere

contribuito all’entrata del PCI nell’“area di potere”. Ciò che maggiormente rileva del discorso è

l’insistenza sulla “persecuzione” ai danni dei militanti di destra da parte della sinistra, che apre la

strada alla narrazione politica degli anni Settanta: la destra missina si presentò lungo tutto il decennio

quale la parte perseguitata dalla partitocrazia.

“Noi ci presentiamo oggi agli italiani come garanti della libertà di pensiero e di parola,

perché abbiamo duramente dimostrato, e stiamo dimostrando, di saper difendere la nostra

libertà di pensiero e di parola e di onesta coscienza civile; contro le discriminazioni

persecutorie di una democrazia che non ha il coraggio di essere giusta e severa contro i

veri nemici, contro i soli nemici della libertà”137.

Questo estratto riassume efficacemente la strategia comunicativa adottata dal MSI, che si

trasformò in linea politica della segreteria almirantiana. La ricerca del consenso presso tutte le

sensibilità anticomuniste, da legare insieme attraverso le parole chiave di libertà, onestà, difesa da

pericoli esterni e persecuzione guidava l’azione del MSI già dal ’69, ma fu solo nel Comitato Centrale

giovanile riconosciuta, è plausibile che esistessero sigle differenti perché il partito monarchico in quei mesi visse una

fase estremamente turbolenta. 135 Aldo Giannuli ed Elia Rosati, op. cit., pp. 129-131. Sulla concorrenza di AN si veda la t.a.a. di Fabio Torriero nel

capitolo successivo. 136 T.a.a. di Fabio Torriero, raccolta il giorno 7 dicembre 2016 a Roma. 137 Afus, Archivio Adalberto Baldoni b. VIII M.S.I. FdG/Azione Giovane/ FUAN, Soggetti, f. 308/c, Il Secolo d’Italia,

25 aprile 1971, p. 5.

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dell’aprile del ’71 che persino le strutture del partito vennero adeguate a tale orientamento138. Quella

di Almirante fu una strategia di sopravvivenza della “comunità umana e politica” nella democrazia

italiana, decisamente simile in alcuni aspetti a quella della sua prima esperienza alla testa del partito.

Il settore giovanile subiva la contestazione di ogni forma di attività politica senza sconti e, dunque, la

presenza delle strutture giovanili si rendeva indispensabile al fine di attuare il piano di acquisizione

di tesserati, elettori e simpatizzanti. Nessuno più dei giovani di destra sopportava la “persecuzione”

dei coetanei di sinistra, della “piazza di sinistra”. Erano la prova concreta, e soprattutto l’esempio

elettoralmente visibile e spendibile, delle parole dei missini. La componente giovanile andava dunque

sfruttata in maniera sistematica e le andava sottratto il grado di autonomia di cui aveva goduto fino a

quel momento per scansare il pericolo della radicalizzazione.

La ristrutturazione del comparto giovanile intendeva fronteggiare l’emergenza delle formazioni

estremiste. Non si trattava più di concorrenza sui militanti o di tentativo fallito di inglobare nel partito

tali gruppi, bensì la preoccupazione era “evitare pericolose derive «avventuriste»”, favorite dalla

“connessione ambientale” tra le formazioni nelle sezioni del MSI139. I giovani di destra, di qualunque

estrazione e di qualsiasi orientamento essi fossero, vissero una peculiare comunanza, un idem sentire

che sfociò in una militanza confusa che frequentemente sfuggiva alla verifica del partito.

L’aggressività comunicativa di Almirante fomentava l’attivismo giovanile, agendo quasi da

comburente con il clima tesissimo di quegli anni: si rese pertanto necessario un intervento dal vertice.

Le conseguenze di un ampio coinvolgimento dei militanti del partito in episodi violenti recava danno

alla destra legalitaria e, contestualmente, rendeva concreta l’ipotesi di un’azione repressiva nei

confronti del MSI140.

Nel fondo Adalberto Baldoni versato alla Fondazione Ugo Spirito è presente un documento

intitolato “Regolamento interno del Fronte della Gioventù”, di sette pagine, in cui vengono normate

la struttura, l’organizzazione e la disciplina interna della nuova formazione giovanile; è suddiviso in

cinque titoli, corrispondenti a diverse aree tematiche, così denominati: Caratteristiche generali (artt.

1-8), Organizzazione centrale (artt. 9-21), Organizzazione territoriale (artt. 22-38), Organizzazione

d’ambiente (artt. 39-58), Disciplina e varie (artt. 59-64). Lo stesso documento, in versione sintetizzata

e modificata, è presente nello Statuto del MSI degli anni successivi: lo dimostra lo Statuto approvato

138 Il tentativo di unificare la galassia neofascista in via istituzionale fallì in prossimità del golpe Borghese e della virata

estremistica di AN, che chiusero le possibilità di rientro nel MSI per gli stessi militanti di AN e del FN. Si veda: Davide

Conti, op. cit., p. 127. 139 Ivi, p. 130. Le parti tra virgolette provengono entrambe da pagina 130. 140 Ivi, p. 143.

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nel 1980141; in aggiunta, anche Tarchi cita la stessa fonte, edita nel 1973 dalla casa editrice Ge.Gra.Ro,

che non è stato possibile recuperare in alcun modo142.

Si tratta con verosimiglianza dello Statuto del FdG approvato alla fine di aprile del 1971 e diffuso

capillarmente nell’autunno di quell’anno solo a livello interno143. Infatti, lo scioglimento del RGSL

e della GI giunse a partire da ottobre per mezzo di una disposizione urgente firmata dal segretario

della GI stessa e inviata a tutte le sezioni sul territorio; in essa si dichiaravano decadute tutte le cariche

precedentemente occupate, si trasferivano i beni della vecchia associazione a quella nuova, si

inglobavano nel FdG i vecchi tesserati e si intimava di mantenere la denominazione Giovane Italia

solo per uso interno144. Il FUAN conservava il suo Statuto ed entrava a fare parte del FdG, con la

cooptazione di alcuni dirigenti negli organi direttivi di quest’ultimo145.

Il FdG era “l’organizzazione unitaria degli studenti e dei giovani lavoratori” (art. 1) nell’alveo del

partito, tant’è che veniva definita “organizzazione settoriale” del MSI (art. 2), avente come simbolo

“una fiaccola tricolore sorretta da un braccio virile” (art. 5). Un elemento di grande novità consisteva

nella distinzione tra militanti, ossia gli iscritti sia al FdG sia al MSI, e aderenti, coloro i quali

possedevano soltanto la tessera del Fronte: in tale maniera si allentavano i rigidi confini di quella

galassia, con l’idea di coinvolgere tutto lo spettro dei giovani anticomunisti nelle attività neofasciste.

Chiunque poteva appartenere al FdG, “italiani e stranieri di ambo i sessi”, pur nel rispetto dell’unico

vincolo anagrafico dell’età compresa tra i 14 ed i 26 anni (art. 7). L’organizzazione si suddivideva in

tre livelli: centrale, territoriale e d’ambiente (art. 8)146.

Il principale organo “esecutivo e politico” (art. 10) del FdG era il segretario nazionale, nominato

dal segretario del partito, il quale entrava a fare parte di diritto dell’Esecutivo Nazionale del MSI in

qualità di segretario nazionale giovanile, di fatto assoggettando anche il presidente del FUAN al suo

potere di controllo politico, amministrativo e disciplinare; in aggiunta, il segretario del FdG otteneva

il controllo del livello ambientale, in altre parole delle sezioni locali, configurando un’impostazione

verticistica della nuova struttura147. Il segretario nazionale impartiva le direttive politiche ed esecutive

141 Lia Scarpa, op. cit., pp. 623-625. 142 Marco Tarchi, Dal Msi …, cit., p. 331. 143 Le carte del fondo Baldoni seguono generalmente un criterio cronologico e il fascicolo in cui è contenuto il

documento non sfugge a questo criterio: i fogli al suo interno vanno dal 1970 al 1980 in rigida progressione temporale.

(Si veda: Afus, Archivio Adalberto Baldoni, b. VIII M.S.I. FdG/Azione Giovane/ FUAN, Soggetti). Inoltre, è presente

un riferimento diretto al Regolamento interno nel “Foglio disposizioni n.1” del 10 settembre 1971, che verrà discusso

nelle righe successive, presente in: Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, b. Atti FdG ’72-’92, f.

’72. 144 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, b. Atti FdG ’72-’92, f.’72. 145 Marco Tarchi, Dal Msi …, cit., pp. 329-330. 146 Il regolamento pubblicato è quello approvato nel 1973, anno in cui lo Statuto subì delle modifiche di non scarso

rilievo in seguito alla morte dell’agente Antonio Marino. Se ne discuterà nel prossimo capitolo. 147 Il rapporto tra FdG e FUAN non è ancora del tutto chiaro, risulta evidente che il Regolamento interno del FdG e

l’attenzione del vertice dimostrano se non una subalternità, quantomeno una strana relazione gerarchica. Difatti, il

Presidente del FUAN, ed i segretari provinciali a livello locale, partecipavano delle decisioni del FdG, ma era il

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all’Esecutivo Nazionale, composto da membri nominati dallo stesso segretario, sentito il segretario

del partito; facevano parte dell’Esecutivo undici membri, cui era affidato una diversa funzione: il

vicesegretario nazionale, “addetto al controllo dell’organizzazione territoriale” (art. 14), la segretaria

nazionale giovanile, i Fiduciari Nazionali degli organismi d’ambiente, il Dirigente Nazionale del

Settore Attivisti e il Presidente Nazionale del FUAN, l’unico eletto autonomamente secondo lo

Statuto dell’organizzazione degli universitari neofascisti (art. 15).

Un altro organo di nomina con funzioni disciplinari era la Giunta Nazionale; essa aveva anche

incarichi consultivi ed i componenti erano non più di venticinque. Il Consiglio Nazionale

rappresentava una sorta di assemblea consultiva, pur sempre di nomina del segretario, articolata in

commissioni e i membri, “militanti che abbiano esercitato funzioni politiche e organizzative in campo

giovanile e che ancora si occupano di problemi concernenti i giovani” (art. 19), potevano essere

investiti di incarichi esecutivi e ispettivi. In merito a quest’ultimo punto, il Regolamento interno

istituiva gli Ispettori Regionali, nominati sempre dal segretario ma con parere vincolante del

segretario del MSI, che svolgevano periodiche ispezioni alle sedi provinciali, coordinavano le attività

a livello regionale e tenevano costantemente informato il segretario sulle attività locali (art. 20). Il

“controllo disciplinare” veniva trattato nella parte finale del documento (artt. 59-64); è interessante

notare che ogni sanzione comminata dal segretario o dalla Giunta Nazionale doveva essere ratificata

dagli organi competenti del MSI per essere valida148.

Gli ultimi tre articoli illustravano l’Assemblea Nazionale del FdG, convocata ogni due anni, “per

esprimere gli orientamenti fondamentali del Fronte” (art. 62); vi prendevano parte i membri

dell’Esecutivo Nazionale, della Direzione Nazionale, i segretari provinciali, gli Ispettori Regionali ed

altri delegati eletti149. Non si capisce perché l’istituto congressuale sia finito così in fondo al

Regolamento, tuttavia è possibile azzardare le ipotesi seguenti: potrebbe essersi verificata una svista

nella compilazione del documento, giacché fu redatto in tempi molto ristretti (le sigle GI e RGSL

continuarono ad operare almeno fino all’ottobre del ’71); oppure, l’idea di un’arena di discussione in

cui potessero emergere opinioni e tendenze distanti dall’orientamento missino non risultava gradita

al partito. La stessa conformazione originaria del FdG, estremamente verticale, nella quale i membri

degli organi rilevanti venivano tutti cooptati dall’alto, suggerisce una tendenza all’esclusione della

discussione in favore della decisione di vertice.

segretario del FdG ad assumere il titolo di segretario nazionale giovanile e la carica dotata di maggiore potere

decisionale. 148 Erano previsti tre tipi di sanzioni: la censura, la sospensione a tempo o indeterminata e l’espulsione (art. 60). 149 Nel Regolamento è citato un documento, chiamato “Regolamento delle Assemblee del Fronte della Gioventù”, che

chi scrive non è riuscito a rintracciare in nessun fondo archivistico.

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L’organizzazione territoriale formava il secondo livello del FdG e si suddivideva in Centri

Provinciali e Centri periferici di zona, rionali o comunali (art. 22). Sul piano locale le cariche

ricalcavano lo schema centrale e per la provincia venivano attivati un segretario, una Giunta e degli

ispettori; questi ultimi non figuravano tra le funzioni dei Centri periferici (artt. 23-38). Infine, il

Regolamento disciplinava l’organizzazione d’ambiente, costruita con il “compito di effettuare un

capillare lavoro di penetrazione e di conquista nell’ambito dei diversi ‘ambienti’ che caratterizzano

il mondo delle nuove generazioni” (art. 39). Venivano distinte due strutture d’ambiente: la

Corporazione studentesca e la Corporazione Giovani Lavoratori150, che avevano la facoltà di

diversificare la propaganda pur restando fedeli ai dettami del FdG; erano entrambe ordinate attorno a

tre figure: i Fiduciari nazionali, i Fiduciari provinciali e i Nuclei d’istituto o di azienda151. Da una

parte, secondo Marco Tarchi, le cariche si moltiplicarono e si differenziarono con un effetto negativo

in termini di efficienza; dall’altro, la mossa di Almirante evitava una sostituzione in blocco delle

vecchie formazioni e, al contrario, le sfruttava come tentacoli propagandistici in contesti in cui erano

già affermate152.

La prima riunione della Giunta Nazionale si svolse il 5 settembre 1971 a Roma quando davanti ad

Almirante si presentarono “i nuovi dirigenti” del FdG, scelti dal partito nei mesi estivi tra i quadri

giovanili delle preesistenti organizzazioni153. Anderson parlò della necessità di una svolta nella

galassia giovanile, ribadendo il superamento delle vecchie forme della politica e il rifiuto dei giovani,

di qualsiasi colore, “degli istituti e della struttura del regime e della società attuale”. Ancora una volta,

si trova l’accenno alla funzione di “ponte verso sempre più larghi schieramenti giovanili” del FdG154.

Più rilevante è il Foglio Disposizioni n.1 del 10 settembre 1971, firmato dal segretario giovanile

Massimo Anderson e inviato a tutti i segretari provinciali del FdG e ai segretari federali del MSI, in

cui viene presentata la nuova creatura giovanile agli iscritti al partito. La lettura delle parole di

Anderson aiuta a comprendere in quale modo venne trasmessa la novità dal centro alla periferia, e

quali cautele adottò il vertice per smorzare i possibili malumori della base. Infatti, il FdG cancellava

in un solo colpo ben due ventennali organizzazioni giovanili, accorpava cariche, sintetizzava ruoli e

funzioni, sottraeva autonomia e potere alle sezioni locali; ciò avveniva in una congiuntura storica

150 Nel documento, accanto alla dicitura “Corporazione studentesca vi è scritto a fianco “Giovane Italia”, a penna sono

state successivamente aggiunte due parentesi ed un punto interrogativo, a significare probabilmente che all’atto della

nascita del FdG si pensava di inglobare la GI nell’organizzazione, senza eliminarla. Successivamente, si decise di

affrontare apertamente la cancellazione delle vecchie sigle attraverso un’intensa opera di comunicazione tra l’ottobre e

il novembre dello stesso anno. 151 Afus, Archivio Adalberto Baldoni, b. VIII M.S.I. FdG/Azione Giovane/ FUAN, Soggetti. 152 Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., p. 330. 153 Ivi, pp. 330-331. 154 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, b. Atti FdG ’72-’92, f. ’72, Foglio disposizioni n. 2, p. 1.

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delicata, senza precedenti per il partito. Questo documento è intitolato “Premessa al regolamento

interno del ‘Fronte della Gioventù’” e si apre con la spiegazione del Regolamento interno del FdG:

“elaborato tenendo conto soprattutto dei seguenti fattori: a) necessità di creare una

formazione giovanile che, pur essendo strettamente vincolata al MSI, sia in grado di

proporsi come centro catalizzatore di tutte le più vive energie delle nuove generazioni

italiane; b) necessità di assicurare a tale strumento un tipo di organizzazione

inequivocabilmente unitario, ma anche opportunamente agile ed articolato”155

Anderson argomentava che il nome aveva l’obiettivo di includere quanti più giovani possibile, in

virtù delle “ampie possibilità di proselitismo”, e contestualmente s’intendeva eliminare la

“proliferazione delle sigle” che aveva afflitto la galassia giovanile per troppo tempo. Il “grosso

richiamo” per le giovani generazioni era la contrapposizione alle sinistre, che andava affrontata

attraverso una nuova organizzazione, agile e lontana dai vecchi “puerili ‘conflitti di competenza’”156.

Dopo aver presentato schematicamente gli organi più importanti del FdG, il segretario giovanile

scriveva della centralità non del lavoro delle sezioni, poiché ci si sarebbe appoggiati su quelle del

MSI, bensì sulla capillarità che il FdG doveva perseguire in ogni luogo. Così, da un lato si tenevano

in vita la Corporazione studentesca e la Corporazione giovani lavoratori che altro non erano se non i

lasciti di relazioni, strutture e meccanismi di GI e RGSL; dall’altro, però, il partito allontanava dalle

sue sezioni i giovani al fine di attuare un’azione di penetrazione di non scarsa rilevanza:

“L’‘espansione territoriale’ non ha più, in senso politico, l’importanza decisiva di alcuni

anni or sono […] Occorre allora seguire l’iscritto o simpatizzante nel luogo dove vive:

nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, nelle facoltà o istituti universitari. Non c’è

partito, ormai, che non l’abbia capito, e non c’è organismo politico, sindacale o culturale

che non preveda di penetrare in qualche modo nei cosiddetti ‘ambienti di base’”157.

Il nuovo corso della galassia giovanile missina era cominciato, le linee guida erano state

tratteggiate; mancava soltanto l’aggiornamento politico dei quadri e la sistemazione delle vecchie

sigle. Toccò al primo corso di aggiornamento politico del FdG risolvere tali questioni.

155 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, b. Atti FdG ’72-’92, f. ’72, Foglio disposizioni n. 1, p. 1. 156 Ivi, pp. 1-2. 157 Ivi, pp. 2-3. La citazione è di pagina 2.

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Capitolo II: La destra e la logica politica, tra violenza e ridefinizione del perimetro

2.1 Il nuovo corso della destra giovanile e lo scontro con la realtà (1971-1972)

Nel 1971 il partito tentava di sfruttare una serie di condizioni positive: la difficile congiuntura

economica, su cui pesava il divario tra settentrione e meridione; lo stallo del centro-sinistra, incapace

di proseguire nell’azione riformistica; l’avvicinamento tra DC e PCI, che il MSI seppe sfruttare

propagandando uno slittamento a sinistra dell’arco costituzionale158. A tutto ciò si sommava l’abilità

di Almirante di giocare su più tavoli; se è vero che l’ambiguità fu sempre una caratteristica

dell’oratoria e della gestione almirantiana, fin dalla sua prima segreteria, nella delicata fase dei primi

anni Settanta il segretario costruì una formazione politica a geometrie variabili non soltanto

all’interno. Difatti, la capacità di mantenere in vita narrazioni e modalità d’azione differenti e a tratti

contraddittorie, come ad esempio in occasione del quasi contestuale sostegno alla protesta di Reggio

Calabria e alla Maggioranza silenziosa a Milano, aumentava esponenzialmente l’audience per il MSI;

i risultati delle amministrative del 1971 confermarono “un risultato che aveva ben poco di locale”159.

La nuova strategia diede i primi frutti anche nell’ambito economico e finanziario:

“Il Msi riuscì ad acquisire nella fase ’71-’72 una nuova e dinamica funzione rispetto al

rapporto con gli ambienti economici italiani, inserendosi nel progetto di quel blocco

finanziario, facente capo all’asse Cefis-Fanfani, interessato a una modifica strutturale

degli equilibri del paese basati sul riposizionamento strategico e preminente del capitale

privato in seno al modello italiano dell’economia mista. […] Almirante puntò

decisamente sulla maturazione di una svolta politica a destra facendo leva su ragioni di

carattere internazionale e nazionale, ovvero la fine della convertibilità del dollaro e del

sistema di cambi fissi di Bretton Woods e la prospettiva in Italia di un calo

dell’occupazione, della contrazione del potere d’acquisto e della recessione

produttiva”160.

In altre parole, le condizioni ambientali insieme con la rivoluzione comunicativa di Almirante,

improntata all’aggressività nei toni e all’anticomunismo nel contenuto161, consentirono di rafforzare

la posizione di preminenza nell’area di destra e di ottenere consensi anche dal “corpo sociale

158 Davide Conti, op. cit., p. 122. 159 Giuseppe Parlato, La seconda segreteria…, cit., pp. 38-39. 160 Davide Conti, op. cit., pp. 157-158. 161 Ibidem.

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moderato” ricollocatosi “fuori dai consueti soggetti di rappresentanza della Dc o del Pli”162. I dati

delle amministrative restituivano un buon risultato su scala nazionale, con picchi del 14% dei consensi

in alcune zone; ciò fornì al leader missino un controllo ampio della galassia neofascista ed una fiducia,

anche dall’ambiente giovanile, mai così elevata. Secondo Tarchi:

“Almirante è stato il più abile interprete della politica di doppio linguaggio. […] Voleva

da un lato conservare al partito le energie tipiche di una forza ad alta intensità ideologica,

dall’altro evitare di essere ostacolato da un’eccessiva rigidità dottrinaria nella ricerca delle

alleanze possibili. Intendeva quindi radicare il Msi in un’identità da fascismo-regime,

sostanzialmente nazionalconservatrice e filo-occidentale, evitando ogni rottura brusca

con il passato”163.

Le stesse frange estreme rientrate nell’alveo missino intorno al ’69 si trovarono imbrigliate in un

partito che divenne presto, per gli estremisti, un covo di traditori. La base moderata non aveva accolto

ovunque di buon occhio i gruppi radicali, desiderosi di imporre la loro linea politica, e le frizioni

proseguirono in silenzio fino al momento in cui il segretario non decise di tentare una scalata di

consensi al centro. La Prefettura di Trieste segnalava al Ministero dell’Interno nel 1971:

“A proposito dei rapporti fra il M.S.I. e i gruppi di estrema destra, rammento che già per

l’addietro fu motivo di violenta divergenza fra i responsabili del Movimento triestino la

disposta integrazione nelle file [sic] del partito degli elementi di ‘Ordine Nuovo’.

In quella circostanza, gli esponenti facenti capo alla vecchia segreteria si opposero

tenacemente allo inserimento, presentando gli inconvenienti che ne sarebbero conseguiti

[…]”164.

La componente movimentista, quella estremista e la base giovanile venivano tollerati in senso

utilitaristico dal vertice, ossia solo nella misura in cui potevano giovare all’interesse del partito, che

per buona parte aveva sposato la linea micheliniana della destra conservatrice; non era difatti

possibile, per un soggetto che provava a legittimarsi agli occhi dell’opinione pubblica moderata,

consentire la nascita di frange d’opposizione interne o di correnti eterodosse, le quali propendevano

per l’estremismo. Erano però tutti indispensabili per Almirante, almeno finché non avessero rovinato

l’aura di rispettabilità e di senso della legalità che il MSI propagava a tutta forza, giacché mostravano

efficacemente la forza del partito nelle piazze, nelle scuole e nelle industrie quando serviva. La

funzione che svolgevano i VN era stata assegnata alle formazioni radicali e, in aggiunta, l’ala

movimentista garantiva un sicuro blocco numerico da spendere alle manifestazioni pubbliche.

162 Davide Conti, op. cit., p. 150. 163 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., p. 86. 164 ACS, Ministero dell’Interno, Movimento Sociale Italiano Raggruppamento Giovanile, f. 195 P/98, Prefettura di

Trieste, 25 aprile 1971, p. 1.

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Al fine di comprendere la peculiare situazione in cui versava il MSI, è utile, a questo punto, un

passo indietro al golpe Borghese. Il vertice missino si mostrò assolutamente contrario al tentativo di

colpo di Stato guidato dal principe Borghese, sebbene lo stesso comandante fosse una delle figure di

spicco maggiormente ascoltate proprio dai giovani militanti di destra. I timori erano due: in primo

luogo, qualsiasi azione di forza contro gli apparati statali avrebbe arrecato un danno enorme in termini

di credibilità presso il settore conservatore; in secondo luogo, un tentato golpe avrebbe spalancato le

porte della repressione per la galassia neofascista165. Né Almirante né altri quadri avevano dunque

interesse a compromettere la posizione del partito e, naturalmente, l’episodio e le inchieste successive

segnarono una frattura tra una parte dell’estrema destra e il MSI. D’altra parte, il ricambio della

componente giovanile, cominciato con il massiccio tesseramento del FdG grazie all’apertura

all’esterno del neofascismo, nonché l’elevato entusiasmo verso il segretario vincente (perlomeno

dopo le elezioni amministrative), notato al primo corso di aggiornamento politico giovanile di

Montesilvano, contribuivano a cementare la presa del vertice e il centralismo decisionale.

Il MSI intanto era bersaglio di attacchi dalla sinistra a mezzo stampa, i quali finirono per

preoccupare, non poco, i missini. Almirante, sotto accusa per un articolo de l’Unità riportante un

bando da lui firmato nel 1944 che minacciava la fucilazione per i renitenti di leva (cui seguì un lungo

strascico massmediatico), venne iscritto nel registro degli indagati per ricostituzione del partito

fascista. Per tutto il 1971 circolò di sezione in sezione un volantino, stilato dalla GI di Palermo nel

marzo di quell’anno, il quale, riprendendo il discorso di chiusura dell’anno 1970 del Ministro

dell’Interno Restivo, evidenziava un controllo strettissimo delle autorità sui giovani di destra (solo

nel 1970 i denunciati per la Legge Scelba furono 390, molti di essi giovani; le perquisizioni presso

abitazioni private furono invece 77). Lo stesso ministro Restivo parlò della legge in termini di

“strumento di prevenzione e di repressione”, scatenando i neofascisti sul tema della persecuzione nei

loro confronti166.

Il primo incontro della neonata organizzazione giovanile missina si svolse alla fine di settembre

del 1971 in provincia di Pescara, a Montesilvano, con la presenza dei vertici di FdG, FUAN e del

MSI. Il corso di aggiornamento politico divenne un appuntamento annuale decisamente sentito,

modellato da Almirante in senso seminariale guardando alle scuole politiche degli altri partiti. Ha

raccontato Marco Zacchera:

“Nelle scuole i giovani si trovavano a dibattere e dialogare sulle questioni politiche

nazionali ed internazionali, vi erano docenti d’eccezione che spiegavano i vari temi e

165 Davide Conti, op. cit., pp. 142-143. 166 ACS, Ministero dell’Interno, b. Giovane Italia, f. 195 /97, Prefettura di Palermo alla Direzione Generale della P.S.,

20 marzo 1971.

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tenevano delle vere lezioni a cui seguiva un dibattito. Era una vera scuola di formazione

politica, si parlava davanti ad una platea, si sviluppava la capacità dialettica; avevamo

l’impressione di essere all’interno di un grande partito, serio, a volte utopistico, ma

equilibrato per la politica interna e quella estera. In questi corsi, poi, tutte le anime

entravano in contatto e si confrontavano”167.

Nel rapporto stilato dai presenti sono contenute le sintesi delle relazioni, da cui emergono alcuni

dati interessanti, primo fra tutti che la ritornante presenza di riferimenti e paragoni con il comunismo.

Infatti, il vero nemico dell’epoca veniva individuato nella dottrina marxista in generale, non tanto nel

PCI e nelle sue strutture, quanto in tutte le sigle genericamente ascritte alla sinistra; nel periodo in

questione, la parcellizzazione del movimento sessantottino aveva portato con sé una proliferazione di

gruppi, che concorrevano con quelli neofascisti e di destra a scuola e nel mondo del lavoro.

La configurazione dell’avversario, cominciata ben prima degli anni Settanta, trovava piena

legittimazione all’interno di quel preciso frangente storico e, oltre al rendimento elettorale e i termini

identitari che sono stati discussi nel precedente capitolo, contribuiva a tratteggiare per differenza le

idee della galassia neofascista. La distanza numerica di militanti e simpatizzanti si faceva sentire nelle

manifestazioni, nei cortei e così pure nell’elaborazione teorica. L’esigenza di presentarsi come polo

alternativo alla sinistra, baluardo dell’ordine e del ritorno alla tranquillità sociale, era oramai

permeata, o meglio: introiettata, anche a livello giovanile; tuttavia, non poteva cancellare l’influenza

che esercitavano i rivali. Occorre considerare un’altra variabile che allargava la forbice tra destra e

sinistra: l’ideologia. La mancanza di una sistematica trattazione della realtà, da tutti condivisa alla

stregua di una base solida da cui partire, condusse i giovani a pescare molte idee a sinistra, al fine di

rielaborarle e presentarle al pubblico.

Tra le proposte del corso spiccavano, sorprendentemente per il MSI del ’71, la partecipazione agli

utili “a livello nazionale e non soltanto a livello aziendale”, un sentimento europeista sincero (Europa

unita come “costituzione di un nuovo complesso nazionale adeguato all’epoca del gigantismo

continentale”) che in seguito caratterizzò la destra italiana, fino all’attenzione alle disparità sociali

provocate dal sistema capitalistico. Le idee potrebbero apparire stravaganti per un partito “difensore

degli interessi borghesi”168, al netto della stessa anima “sociale” propugnata da più di una corrente,

eppure testimoniano da un lato il condizionamento della sinistra sul piano sociale, dall’altro l’anima

movimentista di sincera alternativa del neofascismo, soprattutto per il discorso sull’Europa presente

tra i missini, che dilagava fra i giovani. Una certa idea di unione dei Paesi del vecchio continente

cominciò a circolare insistentemente come proposta di superamento della divisione del mondo in due

167 T.a.a. di Marco Zacchera raccolta il giorno 28 novembre 2016 a Verbania. 168 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., p. 80.

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blocchi: buona parte dei giovani neofascisti aggiungeva, alla naturale opposizione al blocco sovietico,

una critica forte al modello statunitense, sia per l’aspetto consumistico sia per gli indirizzi di politica

estera.

Le necessità di recuperare terreno nella scuola e di sfruttare una fase di incertezza della

rappresentanza nel mondo del lavoro costituivano l’obiettivo dell’azione neofascista ed erano chiare

ai quadri del FdG e del FUAN, sebbene questi ultimi rimanessero legati maggiormente al mondo

accademico e meno alla politica sindacale. Al contrario, l’attenzione dei dirigenti più alti si concentrò

sulla situazione politica italiana e sul consolidamento della galassia missina in qualità di baluardo

anticomunista nel Paese.

Il segretario nazionale Anderson parlò senza mezzi termini, indicando che “la nostra parte politica

ha un ruolo di difesa di fronte alla infiltrazione marxista. Oggi il Fronte della Gioventù è il più sicuro

strumento per tutti quelli che intendono combattere contro il demomarxismo”169. E Almirante,

chiudendo i lavori, sottolineò la pericolosa vicinanza tra la DC e il PCI che quasi implicitamente

assegnava il compito di alternativa di sistema al polo neofascista; infine lasciò la giovane platea

dicendo che, per la destra, era “una battaglia di ordine, che non è conservazione”. Il report concludeva

segnalando una compattezza dei vertici e un “morale dei giovani […] molto alto, se non altissimo”170.

Per queste ragioni occorreva controllare e orientare le idee dei militanti attraverso i corsi.

Nella relazione di Adalberto Baldoni, già allora figura di rilievo del FdG, sono sintetizzate le

fondamenta su cui si ergeva la nuova struttura giovanile:

“Una organizzazione è il contrario dell’improvvisazione e la strutturazione di un gruppo

e della intera società si compongono di due elementi: 1˚ una volontà consapevole, 2˚ una

comunità attiva. […] Una organizzazione si regge sulla disciplina e sulla competenza:

essa deve essere un ‘insieme’ sottomesso ad un determinato ordine e ad una precisa

coazione sociale che obbliga i suoi componenti ad osservare una certa condotta, pur con

le sue regole e i suoi contenimenti, mai scevra da una ‘disposizione psichica unitaria’”171.

E proseguiva sul ruolo del segretario del partito:

“Il segretario del MSI Almirante non gradisce l’incensatura: non possiamo però esimerci

dal ricordare a voi tutti che l’impostazione di oggi del Fronte della Gioventù, il suo

regolamento, il suo programma, hanno a monte la grande linea indicativa del Segretario

Nazionale, linea che, nella realistica visione dei tempi, nel programmato allargamento del

169 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, Rapporto sul I corso di aggiornamento politico di

Montesilvano, p. 2. 170 Ibidem. 171 ACS, Ministero dell’Interno, Movimento Sociale Italiano Raggruppamento Giovanile, f. 195 P/98, Relazione

Adalberto Baldoni, pp. 1-2.

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campo politico, nella cornice di una nuova, contemporanea, fresca metodologia, non potrà

che portare consensi alla nostra organizzazione [nel testo vi è una serie di punti,

presumibilmente poiché chi scrisse il rapporto si lasciò scappare la fine della frase, nda]

la nostra lotta viene condotta per una scelta di libertà”172.

Questo discorso lanciò una serie di messaggi precisi a tutti i partecipanti, in modo da non lasciare

margine di errore sul cambiamento di passo del FdG, rispetto alle precedenti organizzazioni. Le

parole d’ordine erano obbedienza, attivismo, unitarietà e gerarchia, mentre la vera novità consisteva

nella declinazione di questi ultimi termini. Non bastava più militare a destra per fare parte di quella

galassia, diventava altresì obbligatorio attenersi ad una rigida disciplina e accettare il “programmato

allargamento del campo politico”.

L’importanza di questo corso non era legata solamente a dinamiche di breve periodo; al contrario,

divenne un punto fermo nella frenetica vita politica neofascista. Se è vero che le settimane di scuola

politica non erano una novità nel MSI, cambiò senza dubbio il modus operandi interno. Veniva

lasciato spazio per la discussione dei più disparati argomenti, attraverso la guida di adulti esperti in

materia; infine i segretari, o i membri degli organi centrali, sintetizzavano i risultati. Contestualmente,

si fornivano le linee guida strategiche per l’anno successivo, depotenziando il pericolo del

correntismo e cementando i legami tra esponenti locali e nazionali, tra base e vertice. Ha spiegato

Anderson:

“Le nostre tesi, i nostri spunti di riflessione e perfino i nostri slogan venivano poi

ampiamente dibattuti nei corsi di aggiornamento, uno ogni anno, in media […]. Si

discuteva, ci si confrontava, si esaminavano tutte le situazioni in riferimento alle esigenze

‘settoriali’ e alle esigenze locali e, sulla base dei documenti che scaturivano dai lavori

delle diverse commissioni, eravamo in grado, poi, di articolare un intenso programma di

attività a breve, a medio e a lungo termine. Avevamo una conoscenza approfondita di

tutte le difficoltà: sia quelle di ordine esterno, con particolare riferimento alla consistenza

e alla combattività delle formazioni di sinistra, e sia quelle di ordine interno, con

particolare riferimento alle “resistenze” che incontravamo nell’ambito del partito”173.

Il segretario giovanile, attraverso queste parole, ammise implicitamente la concentrazione nei

confronti degli avversari di sinistra e i problemi dei giovani all’interno del MSI: cosa intendesse

davvero con il termine “resistenze” lo si vedrà meglio nelle pagine successive. In attuazione delle

linee guida tracciate a Montesilvano, si attivarono tutte le sezioni locali; uno dei rari documenti

172 Ibidem. 173 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggero), op. cit., p. 88.

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disponibili a riguardo è una lettera della sezione Parioli-Pinciano di Roma, una delle storiche sedi

neofasciste nate già nel primissimo dopoguerra. La lettera recita:

“Caro camerata,

l’attuale momento politico caratterizzato dall’accentuata pressione nei nostri confronti di

tutto il marciume antifascista italico, ci impone un maggiore impegno e costanza nello

svolgimento dell’attività sezionale. […] Il lavoro da svolgere è complesso e ampio;

bisogna attivizzare numerosi ambienti a noi vicini, organizzare i giovani nelle scuole e

fuori, creare centri di cultura e divulgazione, strutturare l’attività sezionale nella realtà

ambientale e di quartiere […]. Infine renderemo tangibile all’esterno come nella stessa

sezione la nostra non indifferente forza e potenzialità di impiego”174.

Il tono e gli inviti sembrano in contrasto: si scrive di “marciume antifascista”, di “forza” da rendere

tangibile all’esterno, eppure l’obbedienza ai nuovi obiettivi missini veniva rispettata. Gli effetti dei

toni battaglieri di Almirante davano questi frutti a livello di base. Al partito serviva una mobilitazione

ad ampio raggio, indirizzata agli ambienti vicini ma esterni al MSI; la necessità era di far fruttare le

giovani leve, non soltanto dentro le sezioni, attraverso una maggiore presenza nelle scuole, negli

ambienti lavorativi e nei quartieri. Rendersi riconoscibili e appetibili, insomma, era la nuova via e per

poterla percorrere conveniva mobilitare i giovani nella giusta direzione.

Il 24 dicembre del 1971 il MSI fornì il sostegno decisivo all’elezione del Presidente della

Repubblica, Giovanni Leone, in conclusione di un sofferto periodo di accordi tra le forze politiche

(erano stati bruciati alcuni grandi nomi, primo fra tutti Fanfani). “Almirante sfruttò il successo in vista

delle successive elezioni politiche”, un effimero successo secondo Tarchi. Difatti, il molto probabile

aiuto concesso alla DC e alla candidatura di Moro, da parte dei comunisti, aveva escluso la possibilità

di impostare la campagna elettorale sull’inaffidabilità dei democristiani. Il MSI scelse di non attaccare

la DC, forse temendo sia un rafforzamento del legame tra centro e sinistra, sia un allontanamento

dell’elettorato moderato che tanto contava di conquistare175. Come che fosse, in quel frangente i voti

del polo escluso erano stati decisivi.

Nel pieno della campagna elettorale, la prefettura di Foggia acquisì una lettera di Almirante inviata

a tutte le sezioni italiane nel marzo del ’72, in cui si richiamava uno sforzo in capo all’imminente

campagna elettorale per portare voti al MSI. Nel testo emergono con chiarezza le “enormi

responsabilità” in capo al partito, tenuta in considerazione la grave situazione politica e l’accordo tra

DC e PCI: ai missini spettava di ridurre “lo scarto fra simpatia e voti” e “allargare le […] fila” e non

174 Afus, Fondo Eveno Arani, b. Federazione dell’Urbe Sezione Parioli-Pinciano, lettera del 25 ottobre 1971. 175 Si confrontino: Giuseppe Parlato La seconda segreteria …, cit., pp. 44-49; Davide Conti, op. cit., pp. 160-164;

Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., pp. 84-87. La citazione di Parlato è a pagina 45.

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mancava il richiamo alla responsabilità di classe dirigente e iscritti in virtù di un clima molto teso e

delicato176. Il partito neofascista si giocava una buona fetta di credibilità agli occhi di quella parte di

elettorato che stava corteggiando dalla primavera del ’68, ossia i ceti medi conservatori. Gli USA

guardavano con favore alle iniziative missine, specialmente in quel frangente in cui l’anticomunismo

non apparteneva più all’armamentario elettorale democristiano, perlomeno non come prima; prova

ne fu la conduzione della campagna elettorale democristiana decisamente aggressiva nei confronti

della destra177. Per la prima volta, comparve la dicitura Destra Nazionale accanto al simbolo della

fiamma, in attuazione del piano almirantiano di occupazione della sezione di spettro politico a destra

della DC.

Le elezioni del maggio ’72 segnarono il picco storico per il MSI, che ottenne l’8,6% alla Camera,

portando ben 56 deputati in Aula, e il 9,2% al Senato, tradotto in 26 senatori. Naturalmente, a destra,

l’entusiasmo era febbrile; eppure, come rilevò Franco Servello, “i voti missini erano troppi e

contemporaneamente troppo pochi”178. L’esito delle urne, a dire il vero, fu addirittura inferiore alle

attese: al sud il partito era arretrato rispetto alle amministrative del 1971 e rimase al di sotto di tutte

le previsioni demoscopiche, mentre i democristiani resistettero senza perdere troppo179. Si configurò

la fattispecie più temuta dai quadri missini, poiché un centro solido produceva gli stessi effetti di un

centro debole, ma con il sostegno delle sinistre. Le conseguenze furono due. In primo luogo, la

marginalizzazione in Parlamento, attraverso la chiusura di ogni spiraglio d’ingresso nell’area della

legittimità. L’esecutivo Andreotti si impose un’equidistanza tra le ali estreme del Parlamento,

insistendo tanto sulla variabile antifascista, quanto su quella anticomunista; Almirante reagì

duramente all’impostazione andreottiana, acutizzando la posizione isolata del suo partito e chiudendo

ogni nuovo tentativo di accettazione tramite appoggio esterno una tantum alla maggioranza180.

176 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/32, Prefettura di Foggia, 28 marzo 1972. Si confronti: Davide Conti, op. cit.,

pp. 165-168. Conti prende le mosse dall’inchiesta di Milano del procuratore Luigi Bianchi D’Espinosa per la

ricostituzione del partito fascista, “a seguito dei reiterati episodi di violenza squadrista e di attentati che videro coinvolti

esponenti del Msi” (p. 165). 177 Davide Conti, op. cit., p. 150 e ss. Secondo Conti, il MSI ricevette finanziamenti cospicui dagli Stati Uniti

d’America all’inizio degli anni Settanta. Ora, non è da escludere che gli USA aiutassero i neofascisti così come molti

industriali del settentrione, tuttavia non si hanno notizie certe in merito; senza dubbio, il partito visse una felice, e al

contempo breve, fase economica (Si veda sul punto: Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., pp. 374 e ss. A pagina 374, Tarchi

scrive: “[…] va detto innanzitutto che per quasi trent’anni il Msi ha dovuto far conto, le sue necessità, su finanziamenti

privati. Non è noto se gli siano mai stati messi a disposizione fondi di provenienza estera; ma anche qualora ciò fosse

avvenuto, è lecito supporre che si sia trattato di somme del tutto trascurabili a paragone di quelle elargite ad altre

formazioni politiche italiane”), ciononostante nelle pagine successive verranno riportati alcuni documenti che

testimoniano la scarsità di risorse in cui versava il partito. Tirando le somme, è verosimile che il MSI ricevette

finanziamenti, ma non in quantità rilevanti, da Oltreoceano; rimaneva comunque un partito che non raggiunse mai la

doppia cifra percentuale. 178 Giuseppe Parlato, La seconda segreteria…, cit., p.49. 179 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., p. 87. 180 Gianni Roberti, L’opposizione di destra in Italia. 1946-1979, Gallina, Napoli 1988, pp. 262-263.

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In secondo luogo, la radicalizzazione dello scontro politico aumentò vertiginosamente, giacché a

destra erano convogliati quasi tre milioni di voti. Quest’ultimo è l’aspetto che si riverberò

maggiormente sulle giovani generazioni, rappresentanti di un partito ancora una volta delegittimato

dalle altre forze politiche, coinvolte nello scontro aspro con gli avversari. Tarchi ha osservato che in

quel momento iniziò una battaglia con i gruppi della sinistra extraparlamentare, i quali si fecero

paladini dell’antifascismo militante nelle piazze.

Il secondo corso di aggiornamento politico del FdG si svolse a settembre del 1972. Non è presente

una ricca documentazione sulle attività e sulle discussioni, però le decisioni prese ebbero

un’applicazione immediata. Difatti, Anderson inviò il 4 ottobre 1972 una serie di disposizioni urgenti

in vista della ripresa dell’anno scolastico; ogni iscritto veniva sollecitato a segnalare “tutti gli aspetti

deficitari dell’organizzazione scolastica”, con la doppia finalità:

“di porci alla testa delle rivendicazioni di ‘una nuova scuola per una nuova società’ ed

evitare che il PCI, tramite i rimasugli del movimento studentesco utilizzi le obiettive

insufficienze della scuola per conquistare il consenso e l’appoggio dell’ambiente

studentesco”;

e quella di “mobilitare le maggioranze di cittadini e studenti ed influenzarle quindi con le nostre

tesi ideali e politiche”181. Il documento si concludeva con l’esortazione “per ordine del Segretario del

Partito, a concentrare mezzi ed energie in campo giovanile e studentesco”182. Era una guerra di

posizione da combattere nella trincea scolastica; tuttavia, l’ermetico richiamo alla concentrazione di

“mezzi ed energie” dice molto dell’interazione tra base e vertice. In primis, l’obiettivo d’azione

veniva fissato dal partito senza obiezioni e, a quest’ultimo, toccava conformarsi; in secundis, pare di

leggere l’invito sotteso a rimanere nell’alveo missino attraverso volantini, documenti, azioni e

manifestazioni per ridurre al minimo le eresie, o peggio: le intersezioni con altre organizzazioni

concorrenti a destra. La “comunità umana e politica” stava tornando a serrare i ranghi intorno al

vertice.

Le norme sul tesseramento, tema sul quale il partito puntava molto, prevedevano un questionario

da compilare per gli aspiranti; le tessere erano da considerarsi valide solo con la firma del Segretario

provinciale del FdG e occorreva rispettare il criterio di “idoneità politica”, stabilito a livello

provinciale. Con il FdG venne introdotta la divisione tra tesserati e militanti, ovvero coloro i quali

possedevano anche la tessera del MSI: per questi ultimi, il segretario aveva disposto l’azzeramento

della quota d’iscrizione per il partito maggiore, se già in possesso della tessera del FdG183.

181 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1972, 4 ottobre 1972, p. 1-2. 182 Ibidem, p. 2. 183 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1972, 14 ottobre 1972.

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Il foglio disposizioni numero 12, datato ottobre 1972, si occupava di fissare le linee guida e

disciplinare le attività nel mondo studentesco.

“Tutto questo lavoro sarà utile per imporre la nostra presenza. Ma noi dobbiamo andare

al di là della pura e semplice presenza e, contrariamente a quanto si è verificato in altre

occasioni, abbiamo il dovere di precedere gli avversari nel proporre al mondo studentesco

un originale discorso rivendicativo. In altri termini non dobbiamo attendere che i gruppi

di sinistra agiscano e propongano per deciderci a reagire con delle ‘controproposte’

troppo spesso suggerite dalle necessità di non essere emarginati”184.

Mancava ai militanti l’elaborazione di proposte concrete, senza la quale l’emarginazione negli

istituti scolastici e nelle attività dei giovani avrebbe continuato a gravare sul FdG. Il rigido controllo

centrale si rifletteva in ogni campo: nelle stesse disposizioni si richiedevano, per ciascun centro

provinciale, gli elenchi dei fiduciari d’istituto, dei rispettivi vice e “un esemplare di ogni manifesto,

volantino o giornale diffuso”185. E ancora alle comunicazioni del 1972, il FdG provvide ad allegare

sei brogliacci intitolati “Testo orientativo n.1” e via di seguito, sul mondo della scuola e del lavoro,

sulla partecipazione studentesca, sulla gestione delle assemblee scolastiche186. Non veniva permessa

una libera iniziativa delle propaggini territoriali del FdG; una declinazione delle tattiche politiche sì,

ma pur sempre all’interno del paradigma rigidamente fissato dalle strutture centrali.

L’insistenza sulla costruzione di proposte politiche slegate dalla contrapposizione alle sinistre,

dunque originali, e un controllo pressante sulle diramazioni territoriali rispondevano ad una più vasta

campagna del partito, volta a separare le anime estremiste da quelle moderate. Sembra paradossale,

ma per la Fiamma questa dicotomia risaliva al momento della sua fondazione. L’irrisolta

contraddizione tra neofascismo ed estremismo, sotto lo stesso tetto, si acuì nei primi anni del decennio

non soltanto per il clima politico di cui si diceva; vi erano ragioni interne, legate alla gestione della

base la quale veniva fomentata da un lato dalla dura oratoria del segretario, fatta di richiami alla

reazione e alla strenua difesa dagli attacchi avversari, dall’altro dal bisogno di difendersi non

foss’altro per l’enorme differenza numerica degli schieramenti in gioco. Per tali ragioni, la vicinanza

all’estremismo rischiava di deflagrare e far crollare il partito.

Una riservata del comando dei Carabinieri di Padova, luogo caldo dell’estremismo nero insieme

con tutto il nord-est, riferiva sul punto che:

“Il M.S.I. nel quadro di un’azione di cauto disimpegno dalle manifestazioni più

appariscenti dei vari movimenti che traggono origine e s’ispirano ad esso cerca di

184 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1972, ottobre 1972. Le sottolineature sono presenti

nell’originale. 185 Ibidem. 186 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1972, ottobre 1972.

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enucleare gli esponenti più compromessi con le varie situazioni eversive, privandoli di

responsabilità effettive e ponendoli ai margini delle rispettive organizzazioni.

A Padova, che risente degli echi del caso FREDA -VENTURA, il M.S.I. si preoccupa di

far uscire dalla scena politica cittadina quei personaggi che nei molteplici risvolti della

vicenda hanno avuto qualche parte”187.

Contestualmente, veniva mantenuto un profilo innocentista in pubblico e di “cauto disimpegno”

all’interno. Senza proclami particolari, avvalendosi sempre di una narrazione ambigua, il MSI

puntava a recidere le pericolose intersezioni, locali, con l’estremismo nero: l’obiettivo era rendere le

strutture del partito competitive nelle proposte politiche e nella vita quotidiana. In un’interessante

riservata che la prefettura di Massa - Carrara inviò al Ministero dell’Interno, all’indomani del

Congresso della Federazione provinciale del MSI svoltosi nel dicembre ’72, si legge nel lungo report,

basato sulla testimonianza di una “qualificata fonte fiduciaria” del Prefetto:

“Almirante […], accantonando ‘alcune eredità formali e ingombranti’, ha saputo trovare

‘nell’esperimento della destra nazionale’ la via del successo. Al riguardo ha richiamato

al senso della realtà quella minoranza che non sa rassegnarsi alla ‘sconfitta ideologica del

fascismo’, e che crede ‘con un tribunismo facile e gratuito’ di esercitare una

inconcludente opposizione attraverso una critica distruttiva ‘della linea democratica del

M.S.I.-Destra Nazionale’, non rendendosi conto che è ‘da ingenui creare quei fantasmi di

piste nere che fanno il giuoco delle forze politiche di centro e di sinistra’. […]

Il gen. Giordano [segretario uscente della sezione di Massa-Carrara, nda] ha, poi, messo

in particolare risalto come la ‘linea moderata’ seguita dal M.S.I. in questa Provincia, con

‘la ferma riprovazione di ogni forma di violenza’, non ha mancato di premiare il

movimento con i consensi […]. ‘In una provincia così critica, dominata da cosche clericali

e sovversive’, è riuscito con l’azione responsabile della segreteria - che ha

sistematicamente rifiutato di prendere iniziative che avrebbero potuto essere interpretate

come provocatorie – ad ‘imporre il rispetto agli avversari e la considerazione per gli

uomini che vi militano’”188.

L’area di Massa - Carrara era un contesto problematico per il neofascismo, poiché stava all’interno

di una delle zone in cui il PCI godeva di largo consenso; tuttavia, la sopravvivenza delle sezioni e dei

voti missini venivano salvaguardate da una linea moderata molto attenta ad evitare di provocare gli

avversari. In altre parole, un MSI conservatore riusciva a navigare nelle tormentate acque della

provincia toscana. Sulla situazione giovanile, il segretario uscente della federazione:

187 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/54, Prefettura di Padova, 16 novembre 1972. 188 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/46, Prefettura di Massa - Carrara, 12 dicembre 1972, p. 1.

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“Ha lamentato l’insufficienza dei mezzi finanziari che non avrebbe consentito lo sviluppo

degli interventi nel settore assistenziale e le difficoltà ambientali che avevano ‘impedito

il sorgere del Fronte della Gioventù’ che, con l’inizio dell’anno scolastico, avrebbe

dovuto cominciare una certa azione di inserimento tra gli studenti”189.

Verosimilmente le “resistenze”, cui faceva cenno Anderson, non erano soltanto effetto del

maggiore conservatorismo degli adulti, ma anche della scarsità di fondi delle sezioni locali del FdG,

su cui gravavano ad esempio le trasferte dei dirigenti giovanili per Congressi, riunioni, convegni190.

In conclusione, veniva riportato un vivace dibattito sorto tra alcuni sostenitori della linea aggressiva,

che avrebbero voluto un uomo forte alla guida del partito per rispondere alle violenze rosse, e la

maggioranza (44 voti per Giordano, 13 per Pelù, 4 bianche) la quale per bocca dell’onorevole Beppe

Niccolai argomentò che:

“sono finiti i tempi delle squadre d’azione e che per conseguire il successo bisogna saper

interpretare le istanze dell’opinione pubblica, che oggi è stanca delle violenze ed aspira

all’ordine sociale, concedendo fiducia a chi sa offrire precise garanzie tale direzione”191.

Un appuntamento sentito nella galassia missina era il Convegno del FdG sui problemi del

Mezzogiorno, che si svolse a Reggio Calabria il 2 e 3 dicembre 1972. Dalla morte di Michelini, questo

incontro politico risultò cardinale nel calendario delle strutture organizzative. Nella bozza orientativa,

ossia la sintesi finale del convegno che fungeva da menabò per le politiche giovanili dell’anno a

venire nelle regioni del sud, si trova scritto che i giovani avrebbero dovuto condurre una

“martellante denuncia delle deficienze dei partiti del cosiddetto arco costituzionale, che

da un lato reclami una organica sistemazione delle opere intraprese e dall’altro propugni

originali soluzioni di fondo che si pongano in contrasto ed in antitesi al sistema”192.

Di nuovo, la destra provava a rompere l’isolamento tramite proposte originali, stando accanto alle

rivendicazioni senza risposta degli strati della popolazione insoddisfatti degli altri partiti. La carta

dell’anticomunismo vedeva calare il suo rendimento marginale, quindi occorreva spendersi in altro

modo e presentarsi come diversi rispetto agli altri.

189 Ivi, p. 3. 190 In occasione dei corsi di aggiornamento politico, le spese di vitto e alloggio erano a carico della Direzione nazionale;

a tutte le altre spese dovevano contribuire le sezioni di provenienza (in: Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio

Fare Verde, f. 1972, 30 giugno 1972); altre volte, il Convegno sui problemi del Mezzogiorno fu una di queste, i

Dirigenti nazionali viaggiavano a proprie spese, mentre quelli provinciali venivano finanziati dalle Federazioni (in:

Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1972, 16 novembre 1972). Sul punto, Marco Zacchera ha

raccontato a chi scrive: “I responsabili locali o provinciali non erano certo contenti, di soldi non ne avevano molti per le

loro attività, figurarsi per darli ai giovani. Le nostre trasferte sono sempre stare abbastanza spartane, altrimenti chi lo

sentiva il Segretario” (T.a.a. di Marco Zacchera raccolta il giorno 28 novembre 2016 a Verbania). 191 Ivi, pp. 5-6. 192 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, 13 dicembre 1972, p. 2.

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2.2 Il neofascismo, i giovani di destra e la violenza: un tentativo di spiegazione

Il decimo Congresso missino si tenne a Roma nel gennaio del 1973, “in un clima trionfalistico”193

dopo il grande successo elettorale, e si svolse in maniera unitaria. La coesione del vertice, che lesse

positivamente l’ingresso della componente monarchica nel partito, e il consenso attorno alla figura

del segretario consentirono di esplicitare il tentativo di sistemare il MSI su binari moderati e meno

nostalgici rispetto al passato, con l’obiettivo di raggiungere anche gli scontenti o gli indecisi della DC

e del PLI. Almirante parlò di una destra favorevole alla pacificazione nazionale e al condizionamento

politico, di una destra alternativa al sistema, da attuarsi sia nelle aule parlamentari sia nelle piazze194.

In quest’ultimo passaggio, si nota l’arma retorica con la quale la destra poteva dirsi vicina alle proteste

del sud e, contestualmente, paladina dell’ordine sociale al nord; in aggiunta, il quadro tratteggiato dal

discorso di Almirante, che divenne poi mozione finale del Congresso, si prestava ad accomunare i

conservatori moderati e le frange più radicali, legate ancora in qualche modo al partito. La “comunità

umana e politica” si serviva spesso dell’estremismo per i servizi d’ordine e, più in generale, per le

questioni di sicurezza delle sezioni; inoltre, andava ad ingrossare le fila della piazza di destra nelle

uscite pubbliche.

Il ruolo imprescindibile dei giovani fu sottolineato più volte durante l’appuntamento capitolino;

pochi giorni dopo, il FdG informò tutti gli iscritti sullo svolgimento del Congresso e sulle modifiche

statutarie approvate, che furono rilevanti. Era il momento di pensare ai giovani:

“Il ‘Fronte della Gioventù’, sebbene abbia effettuato alcune grandi manifestazioni in

numerose città (si ricordano quelle di Milano, Reggio Calabria, Catania, ecc.), è stato

impegnato, fin dalla fondazione, soprattutto in attività utili al partito (specialmente nei

periodi ‘elettorali’) ed ha dovuto forzatamente trascurare le attività propagandistiche a

carattere schiettamente giovanile. Si impone, pertanto, l’esigenza di riprendere il discorso

dell’azione genuinamente giovanilistica […]”195.

La normazione delle strutture giovanili entrò a fare parte dello Statuto del partito; nei sei articoli

dedicati (Capo XIX dello Statuto, artt. 75-80) venivano meglio specificati alcuni aspetti, poco chiari

nel “Regolamento interno” dei mesi precedenti. Il limite di età per entrare nel FdG era fissato a 21

anni, mentre a 26 per il FUAN. I Segretari Nazionali, i Vice-Segretari e i Presidenti Nazionali delle

Associazioni aderenti al FdG non dovevano sottostare ad alcun limite di età: la vera novità fu

l’apertura alle associazioni, termine piuttosto generico nel contesto, sanzionata persino nello Statuto

193 Piero Ignazi, Il polo…, cit., p. 161. 194 Ivi, pp. 162 e ss. 195 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 8 febbraio 1973.

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(art. 75). Il sottinteso continuava ad essere la ricerca di legami più ampi possibili con l’elettorato di

destra non neofascista, con un occhio attento anche alle “eresie” dei circoli che nascevano all’interno

delle stesse sezioni missine e avevano vita breve. Dopo aver riconosciuto il simbolo, la fiaccola

tricolore “impugnata da una mano rivolta verso l’alto” (art. 76)196, si legge che formalmente il FUAN

aderiva “con il proprio statuto” al FdG, in ogni caso in posizione di alterità nei riguardi delle strutture

centrali frontiste; nel medesimo articolo si ribadiva che potevano “inoltre aderire al Fronte della

Gioventù giovani, studenti e lavoratori, gruppi e organizzazioni che perseguono analoghe finalità”

(art. 77). È verosimile che le finalità di cui parla l’articolo fossero riassumibili nel sentimento

anticomunista, l’arma di aggregazione maggiormente utilizzata dai missini in quegli anni.

L’organigramma rimaneva identico nelle fondamenta, ma venivano disciplinati diversamente alcuni

importanti meccanismi e cariche. Il segretario nazionale giovanile riceveva ancora la nomina dal

segretario del partito, ma fra i membri del Comitato centrale del MSI (art. 78). Il segretario acquistava

la facoltà di suddividere in “Settori di attività” il FdG; Anderson costituì immediatamente quattro

settori: Tesseramento, Corporazione Studentesca, Corporazione Giovani Lavoratori e

Mezzogiorno197. La composizione e le funzioni di Esecutivo Nazionale, Direzione Nazionale,

Consiglio Nazionale e tutti gli altri organi rimanevano in sostanza analoghe a quelle fissate nel ’71198.

Gli iscritti furono avvisati di altre modifiche con un foglio disposizioni di inizio febbraio: ai

Congressi, i giovani partecipanti guadagnavano il diritto all’elettorato attivo e passivo dai diciotto

anni; i membri della Direzione Nazionale passavano da 25 a 35 ed entravano di diritto ai Congressi

missini; ai segretari provinciali del FdG veniva garantita la partecipazione ai Congressi nazionali; le

Giunte provinciali, composte da 10 membri, entravano a fare parte dei Congressi provinciali del

partito;

“l’organica partecipazione dei Dirigenti del ‘Fronte’ ai massimi organi decisionali del

Partito (conferma del Segretario Nazionale del ‘Fronte’ nell’Esecutivo Nazionale del

M.S.I.-D.N. ed inserimento, su designazione del Segretario Nazionale del ‘Fronte’, di tre

esponenti del mondo giovanile nella Direzione Nazionale del M.S.I.-D.N.)”199.

La cooptazione dei vertici giovanili all’interno degli organi consultivi e decisionali missini

favoriva sia il controllo sulla galassia, attraverso una vicinanza formale e un meccanismo di

riconoscimento carrieristico (sempre rinfacciato dalla base del FdG), sia un’organicità di intenti e

vedute, altrimenti difficile da raggiungere con i vecchi meccanismi. In altre parole, le posizioni apicali

196 Spariva il riferimento al “braccio virile” contenuto nel Regolamento interno, si veda il Capitolo I. 197 Afus, Fondo Movimento Sociale Italiano, b. 5, f. 13. 198 Afus, Archivio Sezione di Latina, Archivio Fare Verde, f. 1973. Altri vennero aggiunti nel ’75 e nel ’77, con il

passaggio di consegne tra Anderson e Gianfranco Fini vi fu un riordino dei settori. 199 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 8 febbraio 1973.

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del MSI puntavano tutte verso la stessa direzione. È un dato spesso dimenticato dalla storiografia,

che spesso tratta di cesarismo almirantiano dimenticando l’ampiezza dello spettro di tale concetto. La

lunga mano della segreteria si allungava fino a toccare tutte le strutture, i meccanismi e le decisioni;

la stessa nascita del FdG fu accompagnata da una sostanziale riduzione dell’autonomia dei giovani

nei confronti del partito maggiore.

Ad integrare questi articoli, i quali non sembravano sostituire il Regolamento interno per via della

loro brevità, giunse un documento del 21 febbraio 1973 che disciplinava la struttura delle Giunte

provinciali del FdG; la composizione di queste ultime vedeva la presenza del segretario, del

Presidente provinciale del FUAN, e rappresentavano l’organo fiduciario del segretario del FdG. Le

Giunte decidevano sui tesseramenti e svolgevano il compito di cinghia di trasmissione tra vertice e

base200.

Il partito tentò di ingrossare le sue fila sull’onda dei successi elettorali e della nuova

denominazione, la quale doveva servire anche ad attirare il maggior numero di forze fresche

anticomuniste, aggregandole ad un sistema attento ai bisogni giovanili e sempre meno legato al

portato fascista. L’“offensiva di primavera”, ossia la campagna condotta su scala nazionale per il

tesseramento del 1973, doveva essere declinata in modo differente in conformità con i problemi del

territorio e andava rigorosamente controllata dagli ispettori di zona e dai dirigenti nazionali “residenti

nella Provincia”. I temi da sviluppare erano sei, nell’ordine: l’alternativa al sistema, la costituzione

di una Europa dei popoli, la rinascita del Mezzogiorno, la riforma scolastica con particolare attenzione

alla partecipazione studentesca, la “denuncia della violenza rossa e della complicità del regime”, il

futuro dei giovani201. Alla fine di marzo giunse un nuovo foglio disposizioni che argomentava nel

dettaglio la campagna per il “rilancio politico e organizzativo” del FdG, oltre “all’intensificazione del

tesseramento e della campagna di proselitismo”, da attuarsi nei mesi di aprile e maggio con precise

indicazioni202.

“La Direzione Nazionale del ‘Fronte della Gioventù’ valuterà lo spirito di sacrificio, le

capacità d’iniziativa, la serietà e l’impegno di tutti i Dirigenti in base ai risultati che

scaturiranno localmente e globalmente dall’‘offensiva di primavera’”203.

A partire dal periodo immediatamente successivo alle elezioni, il momento di insicurezza e il

livello di violenza toccarono picchi altissimi. I giovani di destra si sentirono sotto attacco, una

percezione che andava ben oltre quella esperita fino ad allora negli scontri di piazza. Il neofascismo

era costretto a confrontarsi con un ambiente non facile.

200 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 21 febbraio 1973, p. 1. 201 Ivi, pp. 1-2. 202 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 26 marzo 1973, p. 1. 203 Ivi, pp. 2-5.

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Si dispone di una immensa quantità di fonti, le quali restituiscono un quadro confuso e spesso

contraddittorio e a questo punto del lavoro, è utile tentare di ricostruire attraverso nuovi documenti il

già accennato tema della violenza e, in generale, della zona grigia tra estremismo e militanza regolare.

Giovanni De Luna, nella sua opera tra storia e memoria dedicata agli anni Settanta, ha spiegato che,

tramontati gli anni Sessanta, per i gruppi sinistra si trattò di:

“[…] una brusca accelerazione nel passaggio dall’iniziale interpretazione difensiva della

violenza a quella offensiva. Nel dibattito degli esordi, a stata messa in discussione

l’intangibilità della vita umana. Non erano mai stati neanche messi in conto eventuali

morti negli scontri di piazza o nelle zuffe con i fascisti. Proprio nei mesi immediatamente

successivi a piazza Fontana, nelle discussioni interne ai gruppi della sinistra

extraparlamentare (di movimento studentesco non si poteva più parlare) cominciò invece

a farsi strada un rovesciamento di posizioni. Non bastava protestare contro gli eccidi di

Stato, bisognava prevenirli: se lo Stato ‘uccideva’ Pinelli, bisognava impedire che questo

si ripetesse conquistando l’iniziativa proprio sul terreno strategicamente decisivo per lo

Stato del ‘monopolio della violenza’”204.

Lo storico Franco Ferraresi, nel libro Minacce alla democrazia, ha precisato la definizione di

“opposti estremismi”, la quale si collega a quanto diceva De Luna:

“Contro una destra così schierata [a difesa dell’ordine borghese, nda] i militanti della

sinistra si mobilitarono a migliaia, per negarle ogni accesso allo spazio politico. Quelli di

destra, per parte loro, erano altrettanto fortemente decisi ad affermare la propria presenza

militante. Tutto ciò diede origine alla stagione degli ‘opposti estremismi’, un periodo di

scontri quotidiani fra fazioni contrapposte e di violenza nelle strade, che segnarono in

modo turbolento e spesso sanguinoso gli anni successivi”205.

Il cambio di passo si riverberò in prima battuta contro la destra, i “fascisti”, e fin dall’inizio del

’72 giunsero allarmanti richiami dal settore scolastico del sindacato nero, la CISNAL:

“A ridosso delle «scadenze costituzionali» e, quindi, dei problemi di rimescolamento

politico conseguenti a tali scadenze, il regime ha inteso e sente imperiosa - su iniziativa

delle sue componenti di sinistra - il richiamo della foresta dell’antifascismo. La caccia al

«fascista», la caccia, cioè, a qualcosa che il regime ci aveva garantito morto e sepolto da

parecchi lustri, è tornata improvvisamente di moda. Iniziative giudiziarie a largo raggio,

204 Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Feltrinelli,

Milano 2009, pp. 90-91. Il corsivo è nel testo. 205 Franco Ferraresi, Minacce alla democrazia. La Destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra,

Feltrinelli, Milano 1995, p. 286.

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campagne di stampa ben orchestrate e, a scuola, la individuazione e la messa alla gogna

del professore ‘fascista’.

Perché tutto questo?”206.

La situazione si esacerbò a tal punto che nemmeno le sezioni potevano dirsi un luogo sicuro207.

Difatti, uno spartiacque importante, spesso sottovalutato e perso nei meandri della memoria di quegli

anni, è l’assalto ad una sezione, quella del circolo Nuova Europa collegato al FdG208, in via Noto a

Roma. Vennero gettate alcune bottiglie incendiarie all’interno della sede e gli attentatori si misero a

sbarrare la porta: solo per un caso fortuito si evitò la strage. Antonio Pannullo, già militante del FdG,

ha ricordato:

“6 giugno [1972, nda] - Gravissimo assalto a via Noto, al circolo Nuova Europa. Si tratta

del gesto che fece alzare la tensione politica a Roma, probabilmente per sempre, perché

era evidente la volontà di uccidere. Nel circolo vi sono ragazzi per la maggior parte

minorenni. Un commando comunista ben organizzato e mascherato arriva davanti ai

locali, apre la porta e lancia dentro alcune bottiglie incendiarie, richiudendo

fulmineamente e bloccando dall’esterno l’apertura. L’incendio si propaga rapidamente e

i ragazzi sembrano non avere scampo”209.

Il clima non accennava a raffreddarsi e il 31 maggio avvenne l’attentato contro i Carabinieri a

Peteano di Sagrado, in cui morirono tre militari e ne vennero feriti altri due. Benché l’eccidio avesse

rivelato presto il colore politico degli esecutori, la quasi totalità della base neofascista credette

convintamente alla matrice rossa. Il prefetto di Pordenone scrisse al Ministro dell’Interno in seguito

alla distribuzione di un manifesto ed un volantino missini che recitava, prendendo le mosse da un

celebre discorso di Almirante a Firenze (del 4 giugno), in cui il segretario invitava ad essere pronti a

reagire all’attacco degli avversari:

206 Giuseppe Ciammaruconi, A cavallo della tigre. Violenza democratica, in “La Scuola Nazionale”, n. 6/7 anno VII, 15

gennaio 1972, pp. 19-20; in: Afus, Archivio Sindacato. La Scuola Nazionale era il periodico ufficiale della CISNAL -

Scuola, il settore del sindacato di destra che si occupava delle questioni scolastiche. La raccolta completa della rivista si

trova presso l’Afus. 207 Si vedano: Giuseppe Parlato, La seconda segreteria …, cit., p. 50; Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti),

Cinquant’anni…, p. 87. 208 Il fenomeno dei circoli culturali o politici, connessi alle strutture partitiche, era diffuso negli anni Settanta, quando le

stesse sedi di partito ospitavano saltuariamente le riunioni di questi gruppi. Talvolta nascevano con lo scopo di

influenzare il partito di riferimento su un preciso tema, altri sorgevano con l’intento di approfondire aspetti culturali

peculiari. La particolarità risiede nella volontà di slegarsi dal partito e discutere questioni o dare vita ad iniziative, ad

esempio manifestazioni, mostre, giornate di studio, liberamente. Il Ministero dell’Interno osservava da vicino

l’emersione delle attività collaterali al partito, che spesso duravano ben poco oltre la nascita. Si veda: ACS, Ministero

dell’Interno, Associazioni Politiche, b. 308, ff. 289 e ss. 209 Antonio Pannullo, op. cit., pp. 100-101.

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“Cittadini, se questa fermezza fosse anche del Governo, Calabresi ed i Carabinieri di

Gorizia sarebbero ancora vivi: non si ha il diritto di piangerli, quando manca il coraggio

di prevenire la violenza dei rossi”210.

Il prefetto osservava con allarme che:

“La impostazione tipografica di indubbia suggestione allarmistica, il contenuto della

prima parte (che esplicitamente proclama l’intendimento di sostituirsi agli Organi dello

Stato reagendo direttamente agli attacchi dello Stato stesso ed alle famiglie) e della

seconda parte (che addebita alla mancanza di fermezza del Governo nei confronti

dell’estremismo di sinistra le vittime di Milano e di Gorizia) sembrando conferire al

manifesto aspetti penalmente rilevanti hanno indotto la locale Questura a riferire subito

all’Autorità giudiziaria.

Il Procuratore della Repubblica del Tribunale locale ha però dichiarato di non ravvisare

nei reperti sottoposti al suo esame estremi di reato né elementi di pericolosità tali da

giustificare interventi preventivi.

Il manifesto non è ancora stato affisso ed il volantino non risulta ancora diffuso.

Tanto ritengo doveroso sottoporre alla valutazione di codesto Onorevole Ministero”211.

Il mese successivo, a Salerno, fu la volta dell’omicidio del vice-presidente del FUAN locale, Carlo

Falvella, il quale cadde accoltellato dopo un diverbio con alcuni avversari politici. A tutte le sezioni

giunse il comunicato dell’Esecutivo Nazionale del FdG che denunciava l’intensificazione delle

violenze ai danni dei propri militanti in tutta Italia, in seguito alla morte del giovane salernitano:

“L’esempio di Carlo Falvella, come quello di Ugo Venturini, caduto a Genova, e quello

dei giovani del ‘Fronte’ di Roma, gravemente ustionati dalle bottiglie incendiarie di marca

comunista, sono l’incontestabile dimostrazione del disegno sovversivo e criminoso messo

in atto dalle sinistre di ogni specie, nel disperato e vano tentativo di fermare l’onda di

consensi e di adesioni che registra l’azione per la pacificazione, la libertà e l’ordine,

portata avanti dal ‘Fronte della Gioventù’.

Azione che non sarà compromessa, né deviata, ma inquadrata in una serie di misure

politiche ed organizzative atte a garantire la virile difesa dell’organizzazione e dei suoi

associati, stante l’inerzia dei pubblici poteri, che assume ogni giorno di più il carattere di

una indiretta complicità con i fautori e gli autori della violenza criminale”212.

210 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/64, Prefettura di Pordenone, 12 giugno 1972, documento allegato. 211 Ivi, pp. 1-2. 212 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1972, mancano data, descrizione e firma; però Carlo

Falvella morì nel luglio del 1972 e, inoltre, il fascicolo ha un ordine cronologico. È lecito supporre che sia stato scritto

tra il luglio e il settembre di quell’anno.

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Gli episodi citati sono tra i meno conosciuti, nonostante il grande turbamento provocato all’epoca,

e se ne potrebbero menzionare molti altri: il punto, qui, è mostrare la modalità di reazione e l’auto-

percezione del pericolo per i giovani di destra che determinarono scelte, percorsi e forme di militanza

politica. Essi si sentivano senza protezioni, in guerra perché difensori dei valori di “pacificazione,

libertà e ordine” e, soprattutto, per l’ascesa nei consensi, testimoniata dai successi del ’72; a tutto ciò

andava aggiunta la retorica, specialmente del segretario della Fiamma, che agitava giovani. È da

notare che gli episodi cruenti, e quelli che raggiungevano la grande stampa, assumevano un unico

colore; il processo di elaborazione della violenza non agiva per distinzioni. Piazza Fontana, Peteano

e gli altri attentati stragisti di quegli anni vennero interpretati quasi alla stregua di quelli subiti dai

militanti di destra. La polemica verso gli aggressori, i provocatori, gli agitatori di sinistra non si fermò

a riflettere troppo sui significati o le evidenze che emergevano. Il vertice del partito consegnò alla sua

stessa base, si badi: non solamente all’elettorato, la narrazione della persecuzione, dell’ambiente

ostile in cui tutto veniva concesso alle forze di sinistra contro le forze di destra. Similmente, a sinistra

ogni atto politico dei giovani di destra era visto in chiave persecutoria e minacciosa per la tenuta

democratica del Paese. In un tale stravolgimento interpretativo, la delineazione del nemico assunse

connotati preoccupanti; dallo scontro politico si passò gradualmente ad una sorta di guerriglia civile

tra schieramenti di giovani. L’allarme delle autorità si fondava sul timore della reazione a tale

atteggiamento del neofascismo: se il neofascismo si fosse percepito sotto attacco, avrebbe reagito.

Ora, un primo esame di questa documentazione conduce alla descrizione di una galassia esposta

agli attacchi, da ogni lato, vittima di aggressioni e violenze. In realtà, il quadro è ben più articolato.

Gianni Scipione Rossi ha scritto un breve passaggio sul rapporto tra militanti di destra e anni Settanta:

“La verità è che per tutti gli anni Settanta i militanti di destra interpretano il ruolo di

vittime sacrificali di un’aggressione quotidiana, portata avanti con le armi proprie, con le

armi improprie e, forse soprattutto, con l’isolamento civile”213.

L’intuizione di Rossi è fondamentale per decrittare la nebulosa questione della violenza ed è utile

partire da qui. Il 25 febbraio del 1973 si tenne un comizio di Almirante a Milano, al Teatro Dal Verme,

seguito molto da vicino dagli emissari della prefettura del capoluogo lombardo. Il MSI pareva avere

colto la pericolosità del clima, sia in termini di credibilità elettorale, sia per le vendette incrociate di

entrambe le parti. Si legge nel rapporto:

“Dopo aver definito democratico il suo partito, l’On.le Almirante ha soggiunto che la

guerra civile, iniziata dai C.L.N. nel 1945, ha avuto termine solo lo scorso anno, con la

costituzione della destra nazionale. Egli ha, però, attribuito ai Governi che si sono

213 Gianni Scipione Rossi, La destra…, cit., pp. 391-396. La citazione è pagina 391.

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71

succeduti dal 1948 ad oggi il totale fallimento dell’impegno degli stessi assunto di

abbattere ‘la spirale della vendetta’.

M.S.I. resterà in posizione di attesa solo in presenza di un Governo monocolore di

transizione, ma non accetterà un ritorno al centro-sinistra. […] Sul piano della lotta ai

partiti di estrema sinistra e ai movimenti della sinistra extraparlamentare, l’esponente

missino ha lanciato agli avversari una ‘sfida civile’, escludendo il ricorso allo scontro

fisico per ‘non creare martiri’. Non ha escluso, peraltro, il ricorso alla legittima difesa nel

caso di attacchi proditori. […] Sono stati trattati i problemi attuali della scuola italiana, in

cui il diritto all’insegnamento ed allo studio sarebbe compromesso dall’azione violenta

dell’estrema sinistra”214.

A partire dalla spiegazione offerta da De Luna, pare di cogliere che al neofascismo, in ultima

analisi, veniva contestata la legittimità stessa di fare politica nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di

lavoro, attraverso mezzi non certamente ortodossi. E a studiare le fonti di destra l'impressione viene

confermata. Il discorso di Milano, però, dimostra quanto Almirante avesse chiaro che la galassia

neofascista non rifiutava lo scontro fisico; se il leader missino era costretto a fare una netta retromarcia

rispetto al passato, per “non creare martiri”, le complicazioni di taluni comportamenti violenti si

facevano sentire sul MSI. Certamente, la retorica dell’uomo forte che si difende contro avversari

molto più numerosi e pronti a tutto per annientarlo qualche impatto lo ebbe; tant’è vero che i toni

dello stesso Almirante si abbassarono un poco dal ’73 in poi. La dimensione della violenza, nelle sue

molteplici forme, assurse a dato strutturale delle relazioni politiche nella prima metà del decennio;

collegando il ragionamento di Rossi al discorso di Milano, è lecito ricostruire la giustificazione.

Risulta interessante rilevare lo sforzo che il MSI compì per raffreddare gli animi dei suoi stessi

militanti, probabilmente consapevole di aver agito su un crinale sottile in tutti quegli anni. Il cambio

di stile comunicativo, impresso da Almirante, aveva consentito l’interpretazione aggressiva dei

rapporti sociali e politici da parte della base, in questo senso i più esposti furono i giovani.

Dai dati emerge che i picchi più alti della violenza di destra si registrarono nel ’69, ’74, ’78, ’80,

con punte relativamente alte, per via della densità degli episodi, nel biennio ’72-’73215. È un

andamento che fa riflettere, alla luce dell’interpretazione storiografica. Escludendo gli ultimi due

anni, che non rientrano precipuamente nel periodo in analisi, si nota una limpida discrasia tra realtà e

percezione, poiché nelle statistiche si utilizza la generica etichetta della violenza neofascista, senza

214 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/49, Prefettura di Milano, 28 febbraio 1973. 215 Francesco Carlucci, Un discorso statistico sulla violenza politica in Italia, in “Statistica”, n. 2 anno L (1990), p. 185.

Nelle conclusioni del saggio, l’autore argomenta sulla base delle risultanze ottenute e dei parametri utilizzati: “La

‘violenza neofascista’ appare sollecitata dalla diminuzione dell’attività economica, misurata in termini di produzione

industriale e di ore perse per scioperi […]” (p. 197).

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specificare se si trattasse di estremismo o militanza regolare. È possibile, però, dedurre che ai

momenti di massima espressione della violenza corrispondesse non tanto un’unità di intenti tra le

componenti dell’area, quanto un simile grado di mobilitazione e agitazione. Alcuni recenti documenti,

provenienti per la maggior parte da fondi mai esaminati, aiutano a fornire una spiegazione.

In un appunto del Reparto D del SID del 3 marzo del ’73, che venne inviato al Ministero

dell’Interno si rileva:

“Nel settore scolastico il PCI opera su scala nazionale ed in profondità tendendo ad

acquisire e manovrare la massa.

Modalità:

- propaganda intonata alla volontà del PCI di lottare per il soddisfacimento delle istanze

presentate dagli studenti e rispettive famiglie e dai docenti;

- penetrazione ideologica e proselitismo in tutti gli istituti scolastici, di ogni livello;

- attivismo capillare volto a scoraggiare le iniziative estemporanee di gruppi giovanili e

ad affermare la necessità della unione di tutti gli studenti, sotto la guida del PCI per

conseguire e far valere la forza-massa, al ‘momento giusto’; […]

- creazione di un clima ostile agli insegnanti non allineati”216.

E proseguiva sul MSI:

“È in corso la intensificazione degli sforzi per migliorare la struttura organizzativa specie

in funzione della propaganda, del proselitismo e della penetrazione in taluni settori della

vita nazionale.

Riguardo alla citata penetrazione risultano di rilievo gli sforzi esercitati in corrispondenza

della Scuola, dell’ambiente del lavoro e delle popolazioni del Meridione.

Nel settore scolastico viene perseguito il rilancio dell’attivismo studentesco, a livello

universitario e medio-superiore, mediante l’azione del ‘Fronte della Gioventù’ e del

‘FUAN’.

Gli obiettivi sono analoghi a quelli che caratterizzano l’azione del PCI, ma la penetrazione

appare meno efficace rispetto a quella dei comunisti”217.

Sul confronto con l’estremismo, il rapporto è chiaro:

“L’atteggiamento ufficiale del MSI - Destra Nazionale nei riguardi dei gruppi

extraparlamentari di estrema destra è negativo: si afferma la necessità di isolare tali gruppi

e dissociare il partito dal loro operato e dal loro pensiero politico.

216 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0007 c0002 d0021, appunto del SID, reparto D del 3 marzo 1973, pp. 1-2. 217 Ivi, p. 4.

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73

Ma l’ala estremista del partito mantiene contatti con gli extraparlamentari, appoggiandoli

ed indirizzandoli. […]

Al deterioramento della situazione, per quanto concerne gli atti di violenza,

contribuiscono anche i movimenti extraparlamentari di estrema destra, con atteggiamenti

provocatori, ritorsioni ed ‘azioni punitive’ nei confronti di avversari politici e sedi di

partiti e movimenti della sinistra.

Sconfessati ufficialmente dal MSI - Destra Nazionale, trovano appoggi in settori

estremisti dello stesso partito.

Si tratta di gruppi che non hanno consistenza numerica, l’efficienza organizzativa e

l’appoggio logistico dei movimenti di opposta ideologia, ma che risultano di elevata

pericolosità in quanto gli aderenti sono pervasi da fanatismo e si inseriscono nel

velleitarismo degli estremisti del MSI.

Non hanno la possibilità di organizzare manifestazioni violente su scala nazionale;

possono operare localmente o realizzando di volta in volta la contestazione in un punto

prescelto”218.

Il report descrive la situazione nazionale, senza soffermarsi sulle particolarità territoriali, e

presenta il PCI e il MSI come diretti concorrenti nel settore giovanile, evidenziando l’incessante opera

di propaganda messa in atto nel settore scolastico da entrambe le parti, con risultati differenti a favore

del PCI. La cosiddetta “creazione di un clima ostile” combacia sia con la denuncia del sindacato

scolastico, sia con l’intuizione di Rossi. La sezione conclusiva si occupa di sciogliere il nodo del

rapporto con l’estremismo (è presente una parte che riguarda anche quello di sinistra), sostenendo

che, al di là delle deficienze organizzative ed economiche, l’“elevata pericolosità” dell’estremismo

nero veniva favorita dalla connivenza delle frange radicali inserite nel MSI: insomma, esisteva una

zona grigia, una contiguità faticosamente visibile anche dalle autorità per via della sua fluidità.

La panoramica del servizio segreto militare trova conferma nella attività del partito, che in quei

mesi intensificò i richiami alla disciplina e al rispetto della nuova veste, non più soltanto di

associazione nostalgica, ma di formazione principale nell’area della destra italiana, specialmente

nell’ambito del settore giovanile. Nel 1973 giunse a tutte le federazioni della penisola un opuscolo

esplicativo sulla Legge Scelba e sui comportamenti da seguire, al fine di evitare procedimenti penali.

Il documento, ad uso interno, lascia trasparire la vibrante preoccupazione del MSI, che sembra

addirittura superiore a quella che permeò il vertice della seconda metà degli anni Quaranta, agli albori

della sua storia. Una preoccupazione che aveva due direttrici: la sempre più incalzante azione delle

autorità e la scarsa disciplina che presentavano le sezioni locali. Dopo aver esaminato

218 Ivi, pp. 5-7.

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minuziosamente il testo della legge, punto per punto, sono riportate le domande che i deputati e i

senatori neofascisti rivolsero in Aula in merito alle zone oscure della normativa, in capo allo spettro

di applicabilità. La sezione più importante è certamente quella finale, dove si leggono le rigide

prescrizioni all’indirizzo di tutti i militanti e tesserati:

“1. Attenzione alle provocazioni avversarie. La legge colpisce la violenza come metodo,

anche occasionale, di lotta politica; ma con la giustizia che in questa legge si manifesta,

scioglie, in caso di reciproche violenze, soltanto un partito che venga incriminato come

fascista, mentre esclude da qualsiasi persecuzione un partito che usi la violenza ma non

sia considerato fascista. […]

2. Nel firmare manifesti, le federazioni provinciali e comunali facciano attenzione che in

essi non siano contenute espressioni comunque apologetiche del fascismo o denigratorie

della democrazia. Le critiche al Governo, purché non raggiungano il vilipendio, e ai partiti

politici avversari, non sono colpite dalla legge. Anche qui: attenzione agli agenti

provocatori. […]

3. Nessuna manifestazione di propaganda sia consentita senza l’autorizzazione dei

dirigenti responsabili. All’inizio di ogni manifestazione pubblica si scindano, con

esplicita dichiarazione, le responsabilità del partito da quelle di eventuali agenti

provocatori che potrebbero mescolarsi alla folla. […]

Ogni forma di ritualismo di tipo fascista sia severamente bandita. La legge colpisce non

soltanto i saluti romani, il rito di «presente» e simili; ma anche la esibizione di labari e

gagliardetti neri o con scritte chiaramente allusive a fatti e uomini del periodo fascista; la

legge colpisce altresì un partito il quale nelle sue sedi abbia scritte o immagini che

comunque suonino esaltazione del periodo fascista”219.

L’opera di sensibilizzazione non aveva soltanto un significato propagandistico; pare di cogliere il

tentativo di portare la base verso forme moderate di militanza, presumibilmente per il timore delle

azioni repressive dello Stato. Si chiedeva un abbandono esteriore dei riti nostalgici, impensabile fino

a un anno prima; inoltre, il partito voleva spingere la base verso approdi più moderati, poiché il rischio

di un’ulteriore recrudescenza delle violenze, e con essa delle conseguenze repressive, pareva più che

plausibile.

Il 13 aprile 1973, il giorno dopo la morte dell’agente Antonio Marino che verrà trattata nel

prossimo paragrafo, la prefettura di Ravenna stilava un lungo rapporto sulla richiesta avanzata dal

FdG per poter tenere un comizio in una piazza della città, con la partecipazione di Anderson e Cerullo.

Si legge:

219 Afus, Fondo Eveno Arani, opuscolo La Legge Scelba.

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“Nella mattinata odierna sono stati ricevuti in Prefettura dallo scrivente [il prefetto, nda]

rappresentanti della D.C., del P.C.I., del P.R.I., del P.S.I., del P.S.D.I. e del P.L.I., i quali,

nel consegnare un pro-memoria, […] hanno ribadito la loro ferma volontà di opporsi ad

ogni manifestazione di ‘chiara marca fascista’, organizzata in qualsiasi luogo pubblico o

aperto al pubblico, suscettibile di provocare contrasti e disordini, chiedendo il divieto di

dette manifestazioni durante il periodo delle celebrazioni della resistenza, e cioè dal 25

aprile al 1˚ maggio p.v.

Il rappresentante del P.L.I., che non ha sottoscritto il suddetto pro-memoria, mentre ha

dichiarato di approvarne la prima parte, manifestando a nome del proprio partito lo

sdegno per l’uccisione dell’agente di p.s., avvenuta il 12 corrente a Milano, si è espresso

in senso sfavorevole circa il richiesto divieto di svolgimento di ogni manifestazione del

M.S.I. o di altri organismi collegati al partito stesso”220.

Insieme con i partiti, il prefetto segnalava di avere ricevuto numerosi telegrammi da parte dei

lavoratori, afferenti a diverse sigle sindacali, per annullare ogni manifestazione del MSI. Qualsivoglia

attività delle strutture missine veniva trattata alla stregua di una provocazione e, in caso di

autorizzazione a condurla, pareva assodato che sarebbero scoppiati “contrasti e disordini”. Se

l’isolamento nelle aule parlamentari restava confinato a Camera e Senato, l’“isolamento civile” si

manifestava sotto il segno di un fronte antifascista compatto e battagliero, impegnato a negare ogni

spazio pubblico ai missini. Soprattutto in seguito alla morte dell’agente Marino, il MSI e il FdG

finirono con le spalle al muro: al clima ostile, si erano aggiunti la compattezza degli avversari politici

e il danno di credibilità del partito agli occhi dell’elettorato moderato.

Difatti, oltre alle disposizioni comportamentali il MSI applicò alla lettera le prescrizioni, fino a

promuovere espulsioni di massa. Il 27 aprile 1973 la Prefettura di Lecce inviava una riservata al

Ministero dell’Interno sull’iniziativa autonoma di alcuni ex militanti delle strutture giovanili missine

e scriveva che il già segretario della sezione missina di Matino:

“[…] radiato dal partito per indisciplina, ha recentemente costituito in Matino una

‘Sezione Autonoma’ del Movimento Sociale Italiano, con circa 100 iscritti ed una Sezione

della ‘Associazione Gioventù di Italia’ con circa 80 iscritti’”221.

Gianfranco Fini ha spiegato che ai giovani stava stretto l’atteggiamento moderato assunto dal

vertice neofascista, colpevole di non leggere l’esposizione dei giovani militanti e la conseguente

necessità di difendersi, e ha confermato che, in alcuni casi, si arrivò a decreti d’espulsione firmati

dallo stesso Almirante:

220 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/67, Prefettura di Ravenna, 13 aprile 1973. 221 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/41, Prefettura di Lecce, 27 aprile 1973.

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“Il FdG contestava in modo più o meno aperto il vertice del partito perché invitava alla

calma, diceva di non reagire. Almirante usava parole di fuoco in merito a ciò che

accadeva, ma le direttive erano di taglio totale con certi comportamenti. Vi furono

momenti molto complicati e difficili”222.

Il foglio disposizioni numero 23, del 15 maggio 1973, si intitolava “Proselitismo aperto, ma

oculato - Assoluto divieto di rapporti politici con gruppi extraparlamentari” (tutto in maiuscolo) e si

tratta di un documento di cinque pagine in cui Anderson redarguiva duramente sul senso

dell’appartenenza al FdG. L’epoca dell’ambiguità doveva finire subito:

“L’esigenza di ampliare i nostri ranghi e di promuovere una campagna di proselitismo

che coinvolga centinaia di migliaia di giovani, infatti, non può e non deve essere confusa

con un atteggiamento ‘permissivo’, tale da compromettere la credibilità della nostra

organizzazione e lo stesso significato delle nostre posizioni politiche e morali.

Porte aperte a tutti, com’è nella logica di un organismo che vuole diventare,

ambiziosamente, il ‘centro catalizzatore’ delle ansie e delle speranze di tutta la Gioventù;

ma deve essere ben chiaro che si aderisce al ‘Fronte’ per combattere una battaglia politica

intelligente ed articolata, alimentata dallo studio, dall’impegno, dal senso di disciplina e

dalla capacità di tempismo e di valutazione; e non per soddisfare l’istintivismo, il

velleitarismo e l’esibizionismo di pochi incapaci di recepire perfino i più elementari valori

di una efficace azione metodologica.

L’infantilismo pseudorivoluzionario, l’abbiamo già detto, non ci riguarda […]”223.

E proseguiva:

“Laddove sussistano possibilità di ‘recupero’ non mancheranno in avvenire, di adoperarsi

per riguadagnare al M.S.I.-D.N. ed al ‘Fronte della Gioventù’ il maggior numero possibile

di giovani in buona fede, attualmente strumentalizzati da ambienti e disegni dietro i quali

si nasconde troppo spesso la ‘provocazione’ del regime e dei suoi accoliti. [La parte che

segue è in maiuscolo, nda] Intanto, però, abbiamo il dovere di creare una barriera netta e

inequivocabile tra noi e chiunque, direttamente o indirettamente, si dimostri disponibile

a un certo tipo di ‘politica’ che non sia la nostra”224.

Il documento passava poi a proibire qualsiasi genere di legame con le formazioni

extraparlamentari, escludendo la possibilità di servirsene anche per l’organizzazione dei servizi

d’ordine alle manifestazioni. Era vietata la costituzione di associazioni collaterali e si imponeva la

222 T.a.a. di Gianfranco Fini, raccolta il giorno 11 dicembre 2016 a Roma. 223 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, 15 maggio 1973, p. 1. 224 Ivi, p. 2.

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collaborazione per ogni genere di attività con i segretari federali del FdG. La conclusione si riferiva

al recupero del terreno perduto nel campo del tesseramento, seguendo le linee impartite dagli organi

centrali225.

Una spiegazione andava fornita alla base, perché il mutamento della linea del partito era oramai

evidente. Nel Fondo Nino Tripodi, conservato all’Afus, è conservato un manoscritto di un discorso

tenuto dal deputato missino a Reggio Calabria alla fine di maggio del 1973. Dopo che il Parlamento

concesse l’autorizzazione a procedere contro Almirante, in attuazione della Legge Scelba, Tripodi

riassunse i motivi che, secondo la destra, avevano portato alla persecuzione contro il MSI e

all’inasprimento della violenza nelle forme dell’attività politica. L’avanzata elettorale e la sintonia

con i bisogni di ordine, sicurezza e l’inclinazione anticomunista di vasti strati della popolazione

avevano innescato la reazione delle altre forze politiche, le quali stavano giocando a trovare il capro

espiatorio per tutto ciò che di grave stava accadendo. La campagna di stampa che additava il MSI

come colpevole della morte dell’agente Marino, secondo Tripodi, ne era una prova226.

Il Centro C.S. di Cagliari descrive la situazione della regione Sardegna in un appunto indirizzato

al Reparto D:

“1. Si conferma che presso i maggiori istituti dell’Isola e, particolarmente, presso la

facoltà di Lettere della Università di Cagliari - ormai abituale teatro di scontri ideologici

- esistono quasi in permanenza ‘picchetti’ di attivisti non studenti di sinistra che vanno

ricercando aperte provocazioni nei confronti dei giovani iscritti al FUAN, al FRONTE

DELLA GIOVENTÙ ed al MSI-DN.

2. Anche se non ancora degenerata in azioni eclatanti la ‘caccia al fascista’ è

effettivamente in atto e potrebbe sfociare in episodi clamorosi ove si consideri che (come

riferito (1) da fonte attendibile inserita nel PCI) [nella nota (1) è scritto: ‘- fonte da tutelare

assolutamente’, nda] la Questura di Cagliari ha stretto un vero e proprio patto con i

dirigenti del PCI per dare il via a una capillare repressione dei ‘fascisti’.

Il PCI, infatti, si è ‘si è impegnato a fornire i nominativi degli extraparlamentari di destra,

ad indicare i loro ritrovi palesi ed occulti, a fornire documenti circa i loro piani eversivi

etc… mentre la Questura è impegnata ad agire tempestivamente mediante arresti,

sequestri e perquisizioni ad ogni segnalazione’. […]

4. È certo che il MSI-DN convinto di essere ormai la vittima preferita e della Magistratura

e della Polizia, ha fortemente allertato i suoi iscritti ricostituendo certi gruppi ‘di giovani

225 Ivi, pp. 3-5. 226 Afus, Fondo Nino Tripodi, serie 2 sottoserie 2.4, f. 69.

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facinorosi’ da tempo scomparsi, allo scopo di essere pronti a rintuzzare ogni

provocazione.

Lo stesso On. ALMIRANTE avrebbe diffidato i quadri mettendoli al corrente di simili

piani e, sia pure invitandoli ad una ferma compostezza, ha dato il suo beneplacito “alla

legittima difesa”.

6. […] una eventuale repressione a catena nei confronti del MSI-DN porterebbe a

manifestazioni di piazza e di intolleranza specialmente verso i funzionari di polizia contro

i quali, si vuole, il partito sta preparando una serie di interpellanze al Governo sulla base

delle dichiarazioni rilasciate alla stampa sia dall’On. ALMIRANTE che dall’On. Alfredo

PAZZAGLIA”227.

Ora, sul patto tra la Questura di Cagliari e il PCI qualche dubbio sorge per alcuni buoni motivi. In

primis, si consideri che i rapporti tra le istituzioni deputate a sovrintendere l’ordine pubblico furono

molto spesso conflittuali; in secundis, ogni territorio aveva la sua specificità, figlia sia del momento

politico, sia della strategia seguita dai partiti in quel particolare contesto. Poteva, dunque, accadere

che si chiedessero informazioni ai partiti vicini, o semplicemente meglio informati. Nel rapporto

viene denunciato un ricorso missino in funzione difensiva ai “giovani facinorosi”, perché, si legge,

era assodata la convinzione di essere le vittime preferite della giustizia; l’elemento concorde con le

altre fonti è il richiamo alla moderazione e l’invito a mantenersi entro la legittima difesa.

Il Secolo d’Italia del 9 dicembre 1973 titolava in prima pagina “Bande comuniste scatenate in tutta

Italia, ondata di bestiale violenza nelle scuole”228, suscitando la reazione del Comando dei Carabinieri

di Torino, che scriveva al Reparto D in risposta all’articolo:

“1. […] non si sono registrati finora episodi o situazioni di violenza fisica premeditata,

da parte di squadre o gruppi impegnati all’individuazione e ‘punizione fisica’ di elementi

dell’estrema destra.

Peraltro, talvolta si verificano tafferugli, anche con scambio di violenze, quando i gruppi

opposti vengono a contatto nel corso di azioni propagandistiche e di volantinaggio.

Spesso è sufficiente il rifiuto polemico o la ostentata distruzione di un volantino per

suscitare gravi risentimenti e provocare scambi di reciproche offese, con passaggio a vie

di fatto.

2. Ogni scontro, tuttavia, analizzato a fondo nella sua dinamica e obiettivamente, rivela

chiaro spirito di spontaneismo da parte di entrambe le fazioni.

227 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0005 d0161, appunto del Centro C.S. di Cagliari del 21 gennaio

1974, pp. 1-3. 228 Il Secolo d’Italia, 9 dicembre 1973, pp. 1 e ss.

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Spesso attivisti opposti, di fronte all’intervento delle Forze dell’Ordine, dimostrano la

preoccupazione di minimizzare i fatti allo scopo di evitare denunzie e di eludere ogni

possibilità di collaborazione intesa all’identificazione degli avversari.

Gli attivisti agiscono attraverso reciproca provocazione, nell’intento di conferire

consistente significato alla loro presenza davanti all’obiettivo prescelto (stabilimenti,

scuole, locali pubblici) e di attirare l’interesse dell’opinione pubblica.

3. Inoltre da tempo si registra una forte pressione politica ed ideologica, attraverso

sistematiche azioni di martellamento (manifestazioni, cortei, comizi, affissioni,

assemblee, scioperi improvvisi, ecc.), in unica coalizione di sinistra da parte dei

movimenti extraparlamentari, delle ACLI, ANPI, Circoli della Resistenza, Comitati

Unitari Antifascisti, rinfocolanti in continuazione la ‘contestazione’ dell’attività politica

della destra.

Sotto l’egida dell’antifascismo, talvolta vengono provocate azioni di intolleranza politica,

negate ai partiti di destra piazze, locali pubblici amministrati da enti locali, e create

difficoltà di vario genere, in occasione di pubbliche manifestazioni.

La demagogia di tali atteggiamenti viene particolarmente evidenziata in questa

giurisdizione, ove la destra rappresenta una minoranza nei confronti della massa politica

opposta.

L’intolleranza è maggiormente avvertita nell’ambiente scolastico, perché la classe

studentesca viene facilmente attratta dalle ideologie di sinistra, dalle iniziative della

FGCI, dal movimento giovanile socialista e degli extraparlamentari.

La modesta ‘presenza’ studentesca influenzata dal MSI-DN viene così a trovarsi in uno

stato di grave disagio, quasi persecutorio, talché le sporadiche azioni di volantinaggio

(unica possibilità per esprimere la propria politica) vengono sistematicamente boicottate

e ostacolate con ogni mezzo.

Pertanto, in sintesi, viene a riscontrarsi un obiettivo stato di soggezione fisica ed

ideologica da parte degli attivisti di destra, allorquando affrontano iniziative

propagandistiche, perché queste ultime vengono valutate sistematicamente dalla parte

avversa come ‘gravi provocazioni’”229.

Aveva buon gioco, quindi, il MSI a proseguire la retorica di persecuzione nei confronti del

neofascismo, aiutato dalla “soggezione fisica ed ideologica” esperita dalla base. Tutte le iniziative

prese entravano a fare parte della categoria delle provocazioni e, come tali, andavano contrastate. Per

229 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0005 d0162, appunto del Centro C.S. di Torino, 24 gennaio 1974,

pp. 1-3.

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questi motivi, FdG e FUAN s’impegnarono a mobilitare tutte le forze a loro disposizione,

coinvolgendo nelle attività anche i semplici simpatizzanti, e lavorarono in punta di fioretto al fine di

uscire dall’irrilevanza politica. Dai Carabinieri di Padova:

“1. Il FUAN ed il ‘Fronte della Gioventù’ sono impegnati a rilanciare l’attività in

direzione della scuola. […] Il programma si articola sulle seguenti linee:

- mobilitazione di tutti i militanti allo scopo di ‘smuovere’ i simpatizzanti meno impegnati

e timorosi;

- evitare provocazioni, che spesso si trasformano in ‘boumerangs’ [sic] insidiosissimi,

data la preponderanza attuale delle forze contrapposte;

- mirare alla più ampia rappresentatività possibile negli organismi universitari (tribunato,

consigli, assemblee, ecc.) per avere una maggiore incidenza nelle iniziative decisionali.

2. Tatticamente, FUAN e FdG sono stati invitati ad operare con molta accortezza,

evitando di contrapporsi alle proposte delle sinistre per puro preconcetto.

Se, per esempio, le sinistre dicono che la scuola presenta determinate carenze, è sbagliato

contestarle aprioristicamente, perché se le carenze esistono realmente e gli studenti le

avvertono, ci si trova di fronte ad una realtà che nessuno può confutare.

Occorre, quindi, fare proprie le contestazioni della sinistra per svilupparle su linee

politiche di destra, ma è ancora più importante sottrarre ai ‘rossi’ - anticipandoli - la

paternità di ogni iniziativa politica.

3. L’attività in questione:

- è cospicuamente finanziata dalla Direzione Nazionale e dalle Federazioni provinciali

del MSI-DN;

- viene controllata direttamente dagli organi centrali attraverso dirigenti giovanili e di

partito che effettuano frequenti verifiche a livello periferico.

4. Sulla questione, il MSI-DN ha attivato anche i docenti che ad esso aderiscono, affinché

offrano un contributo fattivo alle iniziative del FUAN e FdG”230.

Ancora da Padova, una fonte omessa, in un documento in parte oscurato dell’8 aprile 1974, riferiva

le modalità di azione contro i neofascisti da parte di un gruppo extraparlamentare di sinistra, PO:

“Fra le iniziative unilaterali di ‘POTERE OPERAIO’ rientrano:

- azioni vessatorie e intimidatorie contro elementi di estrema destra, consistenti:

nella pubblicazione di alcune foto di fascisti padovani sul giornale ‘POTERE OPERAIO’;

230 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0005 d0164, appunto del Centro C.S. di Padova, 28 gennaio 1974,

pp. 1-3

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nell’affissione, all’interno della casa dello studente di Via Marzollo in Padova, di un

elenco comprendente nomi, indirizzi, numeri telefonici ed altri dati per l’identificazione

e la localizzazione di studenti di estrema destra;

- il proposito di inviare lettere minatorie - firmate ‘BRIGATE ROSSE’ - a studenti ed

insegnanti ‘fascisti’;

- la decisione di alcuni militanti di circolare armati di coltello o di altri arnesi (catene,

biglie, fionde, eccetera)”231.

La rilevanza del documento è doppia, nonostante vada esercitata cautela per la natura del report

(proveniente da fonte fiduciaria). Questo definisce quanto affermato da De Luna sul concetto di

interpretazione offensiva della violenza, come strumento politico, e apre una prospettiva differente a

cui guardare la zona grigia. Prima di spiegare il nodo, un altro aggiornamento del Reparto D al

Ministero dell’Interno, sempre su scala nazionale, precisa:

“Il persistere del clima di tensione nell’ambito delle scuole ed il tentativo degli estremisti

di sinistra di emarginare dalla vita scolastica gli studenti di destra, sono motivi di

ricorrenti incidenti destinati a moltiplicarsi - in mancanza di adeguati interventi - ed a

sfociare in veri e propri perturbamenti dell’ordine pubblico.

In particolare, il constatato deterioramento della situazione ed il conseguente irregolare

funzionamento degli istituti d’istruzione di ogni ordine e grado sono dovuti alla reazione,

spesso violenta, dell’estrema destra decisa a contrastare l’iniziativa avversaria e

contemporaneamente a sviluppare una propria linea d’azione”232.

Sembra di intravedere una similitudine tra militanza a destra e a sinistra, nella prima metà degli

anni Settanta: la presenza, nelle varie attività politiche, di formazioni extraparlamentari che causarono

un inasprimento della già delicata situazione di quegli anni. La radicalizzazione del confronto

politico, che divenne scontro e financo guerriglia urbana, non è spiegabile rimanendo all’interno della

militanza regolare. La specificità del periodo di tempo considerato risiede nella contiguità non tanto

con elementi stragisti o terroristi, da qualsiasi parte dello schieramento, ma con i gruppi estremisti

che contribuirono sensibilmente ad infuocare il clima. È chiaro che rimangono le responsabilità

personali e delle organizzazioni di riferimento, le quali, nel caso in questione, furono costrette a

correre ai ripari ex post, per provare a riparare un danno già fatto.

“Il 22 aprile 1974, nel corso di riunione svoltasi presso CGIL-SCUOLA di Gorizia […]

dopo aver esposto la necessità di emarginare gli studenti del ‘Fronte della Gioventù’ e le

231 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0008 d0240, appunto del Centro C.S. di Padova, 8 aprile 1974, pp.

1-4. 232 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0005 d0241, appunto per il Capo Servizio, 9 aprile 1974.

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loro iniziative attivistiche e di proselitismo, ha proposto la compilazione di elenchi degli

stessi e dei loro simpatizzanti, suddivisi per istituti e per classi, nonché dei professori che

parteggiano per tale schieramento studentesco.

Per l’affermazione della proponente, l’iniziativa sarebbe già stata attuata in altre province

e si è dimostrata utile anche nel quadro politico-attivistico-programmatico arrivato a

livello di istituti superiori”233.

Lo spartiacque decisivo fu il 1974, anno in cui fu la base neofascista a scegliere la via legalitaria

e senza alcun compromesso l’estremismo parve scaricato:

“I propositi eversivi espressi dalla destra extraparlamentare negli ultimi mesi si vanno ora

gradualmente smorzando.

Il fenomeno viene attribuito, negli ambienti interessati, ad un triplice ordine di motivi:

- la spregiudicatezza e la decisione dei ‘capi’ non sono sostenute da un sufficiente numero

di ‘militanti attivi’ disposti a ‘rischiare’;

- la base giovanile del MSI-DN, che in passato aveva assicurato - direttamente o

indirettamente - un appoggio ed un avallo politico all’azione della destra

extraparlamentare, rimane ora indifferente perché ‘addomesticata’ dalle minacce di

provvedimenti ‘disciplinari e giuridici’ da parte della segreteria nazionale;

- la convinzione che nell’estrema destra sono infiltrate numerose ‘spie’ della polizia e del

SID (a proposito di quest’ultimo, si afferma che ‘riesce a leggere perfino nelle

intenzioni’)”234.

2.3 Indietro non si torna: la morte dell’agente Antonio Marino e il caso studio di San Babila

Fin qui, si è discusso dell’isolamento della destra giovanile nelle piazze e nelle scuole; dalle fonti

emerge la veridicità della ricostruzione del comportamento esclusivo dei gruppi di sinistra.

L’isolamento giustificò la tolleranza di reazioni violente, insieme con l’accettazione della narrazione

della legittima difesa di fronte agli attacchi degli avversari. Si è mostrato che ogni evento violento,

dal meno importante fino agli attentati terroristici, veniva interpretato in maniera vittimistica: in un

caso, i neofascisti erano le vittime delle persecuzioni della sinistra perché baluardo dell’ordine e della

libertà; nell’altro, essi erano il capro espiatorio usato dalle forze dell’ordine e dalla magistratura per

233 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0008 d0253, appunto del Centro C.S. di Trieste, 30 aprile 1974, p.

1. 234 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0022 c0003 d0019_A, nota del Centro C.S. di Padova, 4 ottobre 1974, pp.

1-2.

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83

coprire omicidi, eccidi e stragi di altri. Questa narrazione cementò i legami di una galassia, la

“comunità umana e politica”, che si sentiva costantemente sotto attacco; in aggiunta, dal ’69 al ’72,

almeno fino al giugno di quest’ultimo anno, l’oratoria almirantiana se non favorì l’insorgenza di una

reazione non moderata, quantomeno non la ostacolò attraverso i costanti richiami alla difesa e al

valore. Non va dimenticato, infine, che l’obiettivo di Almirante fino al 1972 fu quello di costruire una

destra unita, soltanto in seguito il progetto assunse i connotati della Destra Nazionale.

Superando la giustificazione ufficiale della violenza e provando a studiare l’origine di quel modus

operandi, la storica Barbara Armani ha evidenziato la peculiarità del decennio sostenendo che il

“lungo Sessantotto” produsse due conseguenze: la prima fu la “politicizzazione estrema del confronto

sociale”; la seconda consistette nella diminuzione della forza istituzionale dei partiti sul

comportamento dei soggetti sociali, orbitanti attorno ad essi, per via del “disincantamento” (così lo

definisce l’autrice) seguito al fallimento del periodo riformista235. In aggiunta, negli anni Settanta il

sistema politico in crisi e la metamorfosi strutturale degli assetti sociali e produttivi causarono una

mobilitazione politica e sociale dalle “forme e ritmi inattesi seguendo un andamento carsico”, tale da

rendere oscura la lettura delle trasformazioni in atto e parcellizzare i movimenti, “pronti a mobilitarsi

nelle aree di crisi del sistema, a convergere su alcuni obiettivi e in alcuni luoghi nei momenti di picco

della tensione sociale, nei punti di conflitto aperto con le istituzioni”236. Il focus del lavoro di Armani

erano i movimenti di sinistra, eppure l’elaborazione tiene anche per la destra. Ha scritto:

“In molte aree urbane gli adolescenti degli anni settanta hanno vissuto una precoce

socializzazione alla violenza, e in particolare alla violenza di segno politico. Praticata

nelle scuole e nelle piazze come una guerra per bande, una modalità del confronto politico

e un’adesione, più o meno meccanica, a un costume diffuso tra i «compagni» adulti”237.

A cominciare dal 1972, il FdG e il MSI pubblicarono a livello locale e nazionale una serie di libretti

che raccoglievano gli episodi violenti, dai dinieghi delle autorità in caso di manifestazioni, passando

per le aggressioni personali, fino agli attentati alle sedi, subiti dai missini238. Per i tipi del Secolo

d’Italia e del Il Borghese vennero pubblicate inchieste a puntate e lunghi report: la quasi totalità degli

eventi descritti riguardava i giovani militanti neofascisti. Oltre alla denuncia pubblica che si tentava

di diffondere, vi era la necessità di smarcarsi dall’immagine di partito violento e radicale, mostrando

tutta la vulnerabilità dei propri iscritti. Maturò in questi mesi l’impostazione antisistemica, di

polemica aperta verso tutto l’arco costituzionale, che lo stesso MSI decise di adottare.

235 Barbara Armani, op. cit., p. 68. 236 Ivi, pp. 66-68. Le citazioni sono di pagina 66. 237 Ivi, p. 78. 238 A titolo esemplificativo, si vedano: Afus, Fondo Adalberto Baldoni, bb. Argomenti. Terrorismo I e Argomenti.

Terrorismo II; Afus, Fondo Franco Servello, b. 2 f. 9. Sono i due fondi più ricchi di pamphlet, libretti, manifesti

riguardanti gli atti violenti subiti dalla destra.

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Il FdG organizzò una “Conferenza organizzativa” all’inizio di marzo del ’73, di interesse in capo

alla ricerca poiché la sintesi finale accusava i partiti di governo e di opposizione di avere creato una

alleanza clerico-marxista che soffocava la spiritualità dell’uomo e, soprattutto, faceva del FdG una

forza d’avanguardia per la lotta contro il sistema239. Il lessico è di indubbia derivazione marxista, o

meglio: dei gruppi della sinistra; tuttavia non si tratta di una confusione teorica dei vertici. Al

contrario, si approcciavano gradualmente le componenti giovanili più agitate e schierate contro il

regime politico nella sua interezza; la sottolineatura dell’alleanza “clerico-marxista” colpiva in

entrambi i sensi, sia i cattolici scontenti, sia la sinistra dei duri e puri.

Il 12 aprile 1973 morì l’agente Antonio Marino, in seguito agli scontri tra le forze dell’ordine e i

neofascisti. Le ostilità del giovedì nero di Milano erano partite in seguito al divieto, emanato

all’ultimo momento dalla Questura nei confronti di FdG e MSI, a manifestare; da giorni, i neofascisti

avevano indetto un corteo contro la “violenza rossa” e avevano invitato Ciccio Franco a tenere un

comizio. Forzando il divieto, essi decisero di scendere in piazza ugualmente e si scatenò una serie di

scontri molto duri, in cui perse la vita l’agente Marino, a causa di una bomba lanciata dai manifestanti.

Il capoluogo lombardo, relativamente al resto dell’Italia, viveva anni di tensioni politiche fortissime,

lotte sindacali e radicalizzazione precoce della mobilitazione sociale.

“Il mancato incontro fra i sindacati e la massa dei giovani operai, immigrati e

dequalificati, portarono Milano a divenire il centro propulsore, assieme a Torino, delle

grandi lotte operaie del 1968-73”240.

Per il partito e le strutture giovanili, la morte dell’agente Marino fu un colpo gravissimo, poiché il

danno d’immagine presso l’opinione pubblica moderata ebbe una portata enorme. Il segretario del

FdG milanese si recò a denunciare due estremisti neri, gravitanti attorno a San Babila. Il 13 aprile ’73

vennero inviate “disposizioni urgentissime” in cui si allegava il comunicato della Direzione

Nazionale del FdG. Il cordoglio era seguito dalla “conferma [del]l’assoluto ripudio e [del]la

incondizionata condanna di ogni forma di violenza, da chiunque ed in qualunque circostanza

adottata”241 e si ammonivano tutti i dirigenti affinché prendessero “immediato atteggiamento di

condanna per i gravissimi fatti di Milano”242.

Il 14 maggio 1973 venne inviato il “Foglio disposizioni n. 22” a tutte le sezioni, compresi i

segretari locali del MSI, nel quale si riassumeva la decisione presa dalla Direzione Nazionale di

239 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 20 marzo 1973. La conferenza del 1973 fu la

terza organizzata dal FdG, ma nei documenti consultati non è stata trovata traccia delle prime due. 240 Guido Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica in Italia negli anni Sessanta e Settanta (1969-

1975), Einaudi, Torino 2009, p. 227. Per un’analisi approfondita del contesto milanese si veda: Paul Ginsborg, Storia

dell’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica. 1943-1988, Einaudi, Torino 2009, pp. 419 e ss. 241 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 13 aprile 1973. 242 Ivi, pp. 1-2.

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annullare il tesseramento svolto fino a quel giorno e, conseguentemente, di ridiscutere ogni

candidatura in sede federale. La tessera fu negata o annullata a tutti coloro che avevano condanne

penali a carico, alle persone con “comprovati contatti politici e operativi con formazioni a carattere

extraparlamentare” e a coloro i quali avessero contribuito a screditare il partito e il FdG con la loro

indisciplina. In caso di ricorso contro gli organi provinciali, avrebbero deciso gli organi nazionali. In

chiusura:

“I Segretari Provinciali del ‘Fronte’ avranno cura di sollecitare i Segretari Federali del

M.S.I. - D.N. ad adottare in sede di Partito provvedimenti analoghi a quelli adottati in

sede di ‘Fronte’; eventuali posizioni contraddittorie ed incongruenti riguardanti giovani

esclusi dal ‘Fronte della Gioventù’, ma ammessi come iscritti al Partito, dovranno essere

immediatamente segnalati a questa Segreteria Nazionale”243.

Il 17 maggio ’73 l’attentato alla Questura di Milano, durante la commemorazione in ricordo di

Luigi Calabresi, provocò quattro vittime e, nonostante la cattura dell’autore, Gianfranco Bertoli,

ilclima politico e sociale peggiorò. Il 18 maggio giunse a tutte le sedi il documento approvato

dall’Esecutivo Nazionale del FdG, il cui contenuto, si legge nel cappello introduttivo, doveva essere

oggetto di diffusione attraverso “manifesti, volantini ed ordini del giorno da fare discutere e approvare

nelle assemblee d’istituto”; ancora una volta si richiamava al pericolo di “favorire i nostri avversari

nelle oramai famose tesi degli “opposti estremismi”244. Il comunicato recitava:

“In relazione all’ennesima strage provocata dai sovversivi a Milano, il ‘Fronte della

Gioventù’ rileva la pesante responsabilità sia delle autorità di governo, che a tre anni dalla

strage di Piazza Fontana non hanno saputo individuare i colpevoli e smantellare i noti e

diversi covi della violenza rossa, sia di quanti, PCI, PSI, TV, grande stampa, ‘l’Espresso’

e ‘Corriere’ in testa, con la combinata campagna di odio e di diffamazione nei confronti

delle Forze dell’Ordine, di sistematica falsificazione dei fatti, di spudorata esaltazione dei

vari Valpreda e Capanna: hanno concorso a forzare il clima in cui sono maturati

l’assassinio del Commissario Calabresi, ieri, e la criminale strage di oggi […]”245.

Un passaggio importante arriva quasi in chiusura, nella seconda pagina:

“La campagna di odio contro la destra è la fonte e lo schermo da cui derivano e dietro cui

si nascondono le centrali sovversive, che vogliono imporre con il terrore ed il sangue un

regime di sinistra alla stragrande maggioranza degli italiani che giustamente lo temono.

Il ‘Fronte della Gioventù’ invita gli italiani a prendere coscienza che le persecuzioni

243 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 14 maggio 1973. 244 Ibidem. 245 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, 18 maggio 1973, p. 1.

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contro il MSI-DN sono soltanto un pretesto e uno strumento con il quale il comunismo,

complici le vili forze del regime, vuole in realtà soffocare ogni libera voce di civile

opposizione allo smantellamento sistematico dei valori e delle garanzie che legano l’Italia

alla libera Europa e all’Occidente”246.

Immediatamente dopo la morte di Marino, venne stampato e diffuso il “Libro bianco sui fatti di

Milano”247, il quale ricostruiva minuziosamente i giorni precedenti al giovedì nero e la situazione

all’ombra del Duomo. Il partito si mostrava nuovamente vittima di giochi politici che puntavano a

demonizzarlo e a togliere ogni spazio di libera manifestazione, denunciando le inefficienze delle

istituzioni, colpevoli quasi quanto i provocatori politici della sinistra di avere lacerato il clima. Non

v’è traccia di una presa di coscienza del problema della intersezione tra militanti regolari ed estremisti,

l’autoassoluzione finiva per addossare tutte le responsabilità agli altri; tuttavia, l’esame di coscienza

non tardò ad arrivare. Infatti, nel pamphlet intitolato “La Destra Nazionale, i gruppi sovversivi e i

fatti di Milano”, di poco successivo alla pubblicazione del libro bianco, le parole di Almirante sono

chiare:

“Sulla accettazione definitiva del metodo della libertà, da parte di tutta la Destra nazionale

non si discute più. In Congresso sono state dette e acclamate, cose solenni, a riguardo. È

stato detto che la civiltà non può essere difesa con gli strumenti, anche tattici e

occasionali, con cui la barbarie combatte contro la civiltà. È stato detto che la libertà non

può essere difesa e garantita da coloro che anche strumentalmente la violano o la

uccidono. È stato detto, in particolare, che la Destra nazionale ripudia il terrorismo,

ripudia il metodo della violenza, non ha alcun collegamento con i cosiddetti gruppi

extraparlamentari di destra. Sono impegni della massima importanza, i quali consentono

al ‘MSI-Destra nazionale’ di assumere, senza destare sospetti o sollevare equivoci, altri

impegni di importanza non minore, quelli relativi alla legittima difesa dei singoli e delle

comunità; quelli relativi alla legittima difesa nella piazza, nella scuola e nella fabbrica,

quando i pubblici poteri non facciano il loro dovere”248.

La chiosa era la seguente:

“[…] risulta chiaro che la Destra, pur ribadendo il principio della legittima difesa nei casi

in cui lo Stato non tuteli la libertà e l’incolumità dei cittadini, non soltanto respinge il

ricorso alla violenza, ma considera ogni manifestazione violenta da parte dei suoi seguaci

alla stregua di un aiuto recato ai suoi avversari. Perciò, alla impostazione di carattere

246 Ivi, p. 2. 247 Afus, Archivio Franco Servello, b. 2 f. 9, pamphlet “Libro bianco sui fatti di Milano”. 248 Afus, Archivio Franco Servello, b. 2 f. 7.

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ideologico, corrisponde anche una precisa valutazione di interesse politico, e ciò basta a

confutare le polemiche degli avversari su queste precise direttive politiche”249.

Il 12 aprile, insomma, segnò uno spartiacque decisivo sia per la militanza giovanile che per il MSI

tutto. Al fine di comprendere meglio cosa fosse la zona grigia, può essere utile guardare brevemente

al fenomeno di Piazza San Babila. Questa piazza nel centro di Milano evoca ancora oggi la

radicalizzazione dello scontro politico degli anni Settanta, perché simboleggia il ritrovo per

eccellenza del neofascismo milanese in cui la violenza verso e l’intimidazione degli avversari furono

le cifre della militanza di destra, in quel preciso contesto. Per la verità, San Babila fornisce alcune

coordinate utili agli storici al fine di approfondire i legami tra neofascismo ed estremismo, sebbene

non sia stato né l’unico né tantomeno il principale centro di aggregazione delle organizzazioni

giovanili. Tuttavia, il risalto ottenuto ha suscitato l’emersione di numerose opere, memorie e

interpretazioni. Da una prospettiva storiografica, Milano costituisce un fenomeno sui generis, analogo

per taluni aspetti a Roma. Queste caratteristiche attengono alla zona grigia della collusione con

l’estremismo e, più in generale, con la radicalizzazione della militanza; la differenza che risalta, oltre

ai trascorsi della Seconda guerra mondiale, fu quantitativa: a Roma, per tutta l’area di destra, vi era

un bacino di votanti e militanti più grande rispetto a Milano.

Il capoluogo lombardo fu uno dei centri principali della Resistenza, con una forte presenza delle

sinistre e con una esigua minoranza di sostenitori missini e monarchici (nonostante la Maggioranza

silenziosa fosse nata lì); inoltre, la città visse in pieno il movimento del Sessantotto e la destra non

giocò mai, in quegli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, un ruolo di peso nella politica cittadina.

La politologa Donatella Della Porta ha osservato un dato, spesso trascurato, nei militanti neofascisti

ed estremisti che non avevano vissuto la Seconda guerra mondiale: la famiglia come trasmettitore

della narrazione del fascismo nel periodo della guerra civile. La studiosa ha scritto:

“the first generation was still linked to the old fascist regime, often through strong family

ties. […] In a hostile environment dominated by the narrative of resistance against the

Nazis (and their fascists allies), these families functioned in fact as protected spaces in

which old fascist narratives survived, and young people were socialized to them”250.

E Milano sembra la città in cui l’intuizione di Della Porta si applica perfettamente. Franzinelli

descrive San Babila come la patria del “«neofascismo esistenziale», aggressivo e totalizzante,

alternativo al modello missino moderato e d’ordine”251; questo fenomeno sarebbe durato dal ’69 al

’74, risucchiato dalle inchieste, dalla droga e dal ritorno alla normalizzazione attraverso il

249 Ibidem. 250 Donatella Della Porta, Clandestine Political Violence, Cambridge University Press, New York 2013, pp. 124-131.

La citazione è a p. 125. 251 Mimmo Franzinelli, op. cit., p. 82.

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reinserimento nelle strutture missine. Molti militanti assicurano che la tessera del partito era

imprescindibile, anche per coloro i quali criticavano aspramente (e quasi sempre, viene da

aggiungere) il MSI. In una intervista del 2015, Tomaso Staiti di Cuddia ha descritto San Babila come

un “”punto di ritrovo” per molti giovani, anche quelli senza tessera del FdG, in ogni caso distanti dal

Movimento Studentesco, che nacque in modo spontaneo dopo che il MSI aprì una sezione in corso

Monforte:

“[…] divenne una specie di punto di ritrovo, frequentato da molti e diversi soggetti: a

parte chi faceva politica c’erano altri giovani che magari non entravano nell’edificio [la

sezione, nda], ma si fermavano in corso Monforte o nei bar di San Babila, e così presero

a formarsi diversi gruppi. […] Così cominciò a formarsi San Babila, fenomeno di cui i io

fui il responsabile per un certo periodo. Nello stesso tempo stavano nascendo delle

organizzazioni extraparlamentari come Lotta di Popolo o La Fenice, i cui membri in realtà

erano tutti iscritti al MSI nonché ordinovisti, a partire dal suo leader Giancarlo Rognoni.

Quindi si era creata una situazione piuttosto caotica da tenere insieme, ma fino a quando

vi fu la sede in corso Monforte questi aggregati erano controllabili”252.

L’ex senatore Alfredo Mantica, protagonista della corrente romualdiana e personaggio di spicco

delle organizzazioni giovanili missine, ha raccontato la situazione del partito nella prima metà anni

Settanta:

“Noi sapevamo che esistevano quelli di Ordine Nuovo, o di altre organizzazioni, li

giudicavamo come criminali comuni; sì, c’era qualche sezione di che sfuggiva al partito,

gente che inneggiava ai campi di sterminio e altre cose del genere; ma, per noi, valevano

quanto quelli che ti insegnavano la purezza rivoluzionaria con le maniere spicce e poi te

li trovavi consiglieri comunali della DC.

Si tenga conto che la destra veniva quotidianamente spiata, eravamo pesantemente

infiltrati, soprattutto dopo Marino la militanza era piena di trappole. Con gli Esposti

dovevi averci a che fare, dovevi essere capace di isolarli come si fa con i pericolosi.

Alcune cose capitavano, altre non riuscivamo a comprenderle: erano gli anni Settanta.

Una sezione giovanile milanese ebbe addirittura un Segretario infiltrato, che per coerenza

dopo due mesi dalla nomina si dimise. Io venivo prelevato quasi ogni 25 aprile e passavo

i miei giorni di fermo a fumare; mi fermavano per precauzione, pur non avendo mai fatto

male a nessuno. La nostra vita era questa.

252 Ciro Dovizio, Scorci di una vita a destra: il Msi, Milano e gli anni roventi di San Babila. Dialogo con Tomaso Staiti

di Cuddia delle Chiuse, in “Historia Magistra. Rivista di storia critica”, n. 17 anno 2015, pp. 133-134.

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Da noi c’erano sempre carboni ardenti e c’era sempre qualcuno che soffiava sui carboni

ardenti. Riprendendo quello che diceva Nenni, se fai il duro e puro troverai sempre

qualcuno più duro e puro di te. Molti frequentavano il partito, ma non lo vivevano.

C’erano molti miti che circolavano e sopravvivevano nel partito, la destra pulita,

immacolata: eravamo esattamente come tutti gli altri, nel bene e nel male. C’erano i

cattivi, gli spacciatori, chi sparava; e c’erano i buoni, quelli che facevano politica per

davvero. Ad un certo punto decidemmo di chiudere in maniera netta con alcuni soggetti,

per quello che uscì un’immagine inquinata.

Io feci 17 anni di opposizione ad Almirante in sezione, ero allievo di Romualdi, della

destra di destra, non del cosiddetto fascismo di sinistra e nemmeno delle lugubri memorie

del passato (in molte sezioni pareva di stare in una camera funeraria). Ma nessuno poteva

toccare Almirante e i miei camerati, il nostro Segretario, i nostri camerati. In sezione non

si contavano le scazzottate, ma fuori dovevamo difenderci ed eravamo fedeli; se qualcuno

parlava male del nostro MSI noi non stavamo certo a prenderle”253.

La testimonianza di Mantica su San Babila stravolge gli abituali canoni di lettura del fenomeno:

“Il film di Lizzani [San Babila ore 20: un delitto inutile, nda] racconta la verità, parte dal

sostrato culturale del MSI, ma è un film d’ambiente. Era un mito, un simbolo d’ambiente,

al sabato arrivavano persone vestite apposta per andare in San Babila. La gran parte dei

sanbabilini non aveva la tessera del partito: è un mito. In breve, San Babila divenne la via

Pal dei fascisti nel Sessantotto: a sinistra avevano la zona della Statale, a noi mancava un

vero e proprio territorio e capitò quella piazza. A pensarci adesso, quella era una cultura

folle, surreale. La Questura trattava con noi il passaggio sul marciapiede dall’altro lato

della piazza per i militanti di sinistra; la stessa mediazione si dovette trovare per la Statale

e i negozi della zona. Ci sentivamo importanti a Milano ‘mi strappo la camicia sparate al

cuore viva il Duce’. La cosa cambiò davvero dopo il ’72; da lì in poi comparirono armi,

catene, mitra. Chi cominciò a portare queste cose non era gente che io conoscevo, c’era

tanta gente che nell’estate del ’72 usava le catene per paura della neve, da una parte e

dall’altra. In un clima simile, se uno veniva picchiato con un tirapugni o una spranga non

poteva difendersi a ceffoni; da ogni parte ci si preparava a rispondere. In questo senso,

aveva ragione Cossiga, sembrava una strategia molto all’italiana i cui protagonisti erano

le forze dell’ordine e i ministri: ‘lascio fare un po’, magari la prossima volta li blocco’;

253 T.a.a. ad Alfredo Mantica, raccolta il 9 dicembre 2016 a Milano.

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qualche nero questa volta, qualche rosso la prossima, e via così. Il MSI aveva quasi il 9%

nel ’72, su scala nazionale”254.

La testimonianza di un intellettuale del FdG come Mantica, molto seguito a Milano, spiega quanto

contassero tre fattori, e una premessa, nel mantenimento della zona grigia. Anzitutto, la chiave

identitaria, quel senso di appartenenza alla medesima comunità, non solo impediva di recidere i

legami, ma, al contrario, influenzava i comportamenti. Inoltre, nella prima metà degli anni Settanta

ogni iniziativa della destra era considerata alla stregua di una provocazione o di una aggressione, alla

democrazia, ai gruppi politici avversari così di seguito: tutto ciò rafforzò l’unitarietà della comunità

per difendersi dagli attacchi esterni. Difatti, Alessandro Preiser, nel romanzo autobiografico Avene

Selvatiche, ammette:

“Tra il Fronte della Gioventù e i ragazzi di San Babila non correva buon sangue: i primi

accusavano i secondi di essere dei degenerati delinquenti; i secondi i primi di miopia

politica, demagogia, fariseismo, d’essere dei voltagabbana e spesso financo di malafede

in quanto li ritenevano servi della borghesia e non perdevano occasione di far loro ogni

sorta di scherzo”255.

Un’altra conferma della frattura tra i due gruppi arriva da Marco Zacchera. Egli ha ammesso una

diffidenza nei confronti dei sanbabilini, giustificata da ragioni pratiche e, verosimilmente,

ideologiche:

“Accadeva che alcuni giovani di buona famiglia venissero allontanati da Milano, finivano

in qualche collegio privato della provincia del nord Italia; parlo dei sanbabilini. Le

provocazioni e le scorribande erano all’ordine del giorno, anzi della notte: tanto avevano

la protezione della famiglia e dei loro collegi. Questo comportamento ricadeva sui

militanti della zona, ritorsioni, controlli, scontri con gli avversari sempre più duri. San

Babila per un certo periodo uscì da Milano, ma noi non eravamo come loro. La nostra

militanza era diversa; la situazione è stata tesa per un po’ anche all’interno del partito,

con il quale questi sanbabilini a noi sembravano avere poco a che fare”256.

Vi è, infine, una ragione più nascosta: Mantica ha parlato della necessità di convivere con i soggetti

più pericolosi e, contestualmente, della fedeltà al partito. Ebbene, solo nel 1973 il MSI recise

nettamente le intersezioni con l’estremismo e solo dall’aprile di quell’anno si capì che non si trattava

più di meri proclami per attirare l’elettorato moderato. Per la verità, Giorgio Galli ha sostenuto che,

254 T.a.a. ad Alfredo Mantica, raccolta il 9 dicembre 2016 a Milano. 255 Alessandro Preiser, Avene selvatiche, Marsilio, Venezia 2004, p. 87. 256 T.a.a. di Marco Zacchera, raccolta il 28 novembre 2016. Sul punto, si confronti quanto scrive Franzinelli in merito

alla “migrazione di alcuni rampolli della borghesia nera milanese” (p. 114), in: Mimmo Franzinelli, op. cit., pp. 114 e

ss.

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91

in merito all’influenza del cosiddetto governo invisibile sul regime politico italiano, ossia

quell’insieme di settori istituzionali deviati che agirono nell’ombra, quasi a fare da contrappeso alle

scelte dell’elettorato, nel periodo ’69-’71 venne potenziato politicamente l’estremismo di destra “per

bloccare lo spostamento a sinistra del sistema politico”, mentre nel triennio ’72-’74 il radicalismo

subì una progressiva emarginazione per consolidare il sistema attorno alla DC forte257:

“Tale influenza è volta in primo luogo a condizionare il governo visibile per quanto

riguarda la collocazione internazionale e la stabilità interna. È volta, in secondo luogo, a

potenziare la destra radicale sul piano politico, per accentuare tale condizionamento. In

terzo luogo probabilmente non esclude […] un tentativo di utilizzazione di anche della

sinistra sino ai comunisti per ottenere la stabilizzazione e purché sia garantita la

permanenza della collocazione internazionale.

Ma in ultima istanza, e qualora tutte le altre soluzioni ipotizzate si rivelassero

irrealizzabili, l’influenza del governo invisibile, delle gerarchie dei corpi scelti, delle

forze armate e dei servizi segreti e speciali collegati a livello internazionale, potrebbe

essere decisamente esercitata a favore di un cambiamento istituzionale e della

instaurazione di un regime autoritario, che farebbe proprie in misura variabile, almeno

come tentativo, alcune delle istanze fondamentali del radicalismo di destra”258.

L’estremismo pescava la quasi totalità della manovalanza tra i giovani, dunque, una rottura netta

avrebbe molto probabilmente generato conseguenze durissime da sostenere. Le implicazioni di

quest’ultimo punto non aprono tanto all’avallo dello stragismo e del terrorismo, quanto allo

sfruttamento interessato delle forze giovanili, anche estremiste, finché si riuscì a gestirle in qualche

modo. Secondo Aldo Giannuli, gli estremisti si vendicarono:

“La repentina ‘normalizzazione’ del partito, dopo un lustro di stretta contiguità con la

destra extraparlamentare, non poteva, ovviamente, avvenire in modo indolore: le

organizzazioni ‘estremiste’ si difesero rinfacciando al Msi collaborazioni e finanziamenti

[…]”259.

La premessa al discorso di Alfredo Mantica è che i neofascisti sapevano della differenza tra

militanza regolare ed estremismo; nella furia di quegli anni, però, scelsero di convivere con

l’estremismo. Le motivazioni le spiegano bene due militanti dell’epoca.

Ha dichiarato l’ex monarchico Fabio Torriero:

257 Giorgio Galli, op. cit., p. 206. 258 Ivi, pp. 204-205. 259 Aldo Giannuli ed Elia Rosati, op. cit., p. 136.

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“Ci sentivamo partecipi di qualcosa di grande, importante, segreto; molto spesso in

sezione avevamo ascoltato oratori che poi scoprimmo essere dei servizi segreti, infiltrati,

gente che provocava. C’era persino un piano di difesa in caso di vittoria elettorale dei

comunisti, alcuni prospettarono una guerriglia urbana e una ritirata ai Castelli Romani, la

base di appoggio del fronte anticomunista. Nell’ambiente giovanile di destra prevaleva la

paura del comunismo, ed insieme la positiva valutazione della gamma di azioni eroiche,

coraggiose e fisiche [dunque, in alcuni casi, anche violente nda]. Ma verso la metà degli

anni Settanta cambiò tutto. 1973, 1974, gli anni erano quelli”260.

Sulla stessa lunghezza d’onda un altro testimone del tempo, Antonio Pannullo:

“il vivere tutti i giorni in quelle brutte e sporche sezioni, che per noi volevano dire tutto,

perché là trovavamo una fuga dalla famiglia molto spesso asfissiante […], trovavamo

persone diverse da quelle ‘normali’ che ci circondavano, trovavamo degli amici veri, dei

fratelli, dei legami quasi di sangue. E poi eravamo certi, in quel momento, di fare qualcosa

di importante, per noi e per il mondo, eravamo convinti di essere diversi, ma sì, anche

migliori degli altri che non avevano passioni così forti ma - dicevamo noi - si limitavano

a vegetare”261.

Nel Fondo Servello, conservato presso l’Afus, è presente un documento scritto a macchina in

duplice copia (una di queste presenta correzioni a penna): il testo è il medesimo ed è intitolato I

sanbabilini. Chi sono? Chi li manovra? L’autore non è noto, presumibilmente potrebbe trattarsi dello

stesso Franco Servello sia per la collocazione del documento nel fondo, sia per la conoscenza della

città di Milano; la datazione è incerta, ma a grandi linee dovrebbe essere stato scritto nella seconda

metà del ’75262.

“Alcuni dei giovani che hanno l’etichetta di sanbabilini sono ben conosciuti anche dai

dirigenti milanesi del MSI-DN che li hanno seguiti nella loro ‘degradazione’ ideologica:

nel passaggio da una vocazione di destra al fanatismo della violenza, fino alla rottura

completa con la società. Di altri sono noti il comportamento e il pensiero attraverso le

loro stesse dichiarazioni.

Sono ragazzi che in un primo momento si sono accostati alle organizzazioni giovanili del

MSI perché ritenevano il MSI lo erede del fascismo e nel fascismo erano convinti di

trovare la palestra per dare libero sfogo alla carica di rabbia e di violenza che era in loro.

260 T.a.a. di Fabio Torriero, raccolta il giorno 7 dicembre 2016 a Roma. 261 Antonio Pannullo, op. cit., pp. 17-18. 262 Afus, Fondo Franco Servello, b. 2 f. 9, manoscritto I sanbabilini. Chi sono? Chi li manovra?, A pagina 1 vengono

citate in apertura le morti di Claudio Varalli, avvenuta il 16 aprile 1975, e Alberto Brasili, 25 maggio 1975; inoltre

vennero ripresi alcuni articoli di Paese Sera, l’Unità, Epoca tutti datati al più tardi giugno 1975.

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Ma accortosi immediatamente che il MSI era un partito rispettoso delle regole

democratiche, se n’erano allontanati (più precisamente erano stati respinti) riunendosi in

gruppi autonomi. La violenza nasceva in questi giovani soprattutto dalla visione dello

sfacelo morale della Nazione compiuta dai partiti al potere in trent’anni; era una rivolta

contro la corruzione del regime, uno stimolo che all’origine li accomunava agli estremisti

rossi, due schieramenti in pratica paragonabili a due fiumi scaturiti da una medesima

sorgente che seguivano poi due corsi completamente divergenti”263.

E ancora, sul ruolo del MSI:

“Come abbiamo documentato, il MSI-DN si è prodigato, e non da oggi, nella bonifica

delle sedi del partito e soprattutto dell’organizzazione giovanile. Ma una volta che gli

estremisti erano rifluiti in piazza San Babila toccava alle pubbliche autorità continuare il

repulisti. Ebbene non c’è episodio che dimostri l’attuazione di questa opera di

prevenzione. Anzi. Non sono valse, come abbiamo già detto, le numerose segnalazioni

del MSI-DN sulla pericolosità di quei nuclei di estremisti; tutto si è concluso,

paradossalmente, con il rinvio a giudizio, tra gli altri, di colui che più si era adoperato per

neutralizzare la carica di violenza dei sanbabilini. Parliamo dell’On.le Servello.

In una visione più ampia, la visione di tutto l’estremismo, nessuno può contestare una

realtà, che su un piano concreto di prevenzione l’unico partito che ha cercato di eliminare

il fenomeno dell’estremismo, superando la discriminazione dei colori, è stato il MSI-

DN”264.

Chi erano questi sanbabilini? Meglio di tante ricostruzioni ci sono le parole di un protagonista di

quella piazza: Cesare Ferri.

“Faccio un salto in via Mancini per salutare i camerati. Romano, che ora è fidanzato con

Donatella - una bella coppia di spaccadenti -, mi avverte che stanno preparando un

pullman per andare a Pavia al comizio di Almirante.

- Per quando? - chiedo.

- Domani. Voi venite?

- Io di sicuro, dopo lo domando anche agli altri.

Andiamo quasi tutti noi di San Babila.

Siccome sul pullman non ci sono posti a sufficienza, viene noleggiato un furgoncino dove

davanti stiamo io, Lele e Ennio che guida. All’interno Palma, Lucia e altre due.

263Ivi, pp. 1 e 2. 264 Ivi, p. 2.

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Passiamo davanti all’università Bocconi. Andiamo piano, c’è traffico. Non vedo il

pullman, penso sia dietro. Dei compagni ci riconoscono e cominciano a lanciarci contro

delle pietre. Eh no, stavolta siamo in tanti, hanno sbagliato i conti! Ennio frena: scendiamo

io, lui e Lele roteando le cinture munite di grosse fibbie; i dirigenti del partito ci hanno

fatto promettere che ci saremmo presentati disarmati. Convinti che il pullman con sopra

decine di attivisti si fermi, corriamo verso i rossi i quali, vedendo tre squilibrati isolati

che gli stanno andando addosso, hanno un attimo di esitazione, dopo di che ci caricano.

Ci voltiamo: dietro di noi il vuoto”265.

La conclusione è questa:

“Loro hanno le chiavi inglesi ma alcuni dei nostri, che non hanno obbedito agli ordini dei

capoccia missini, tirano fuori le spranghe, ma sono pochi”266.

Ferri racconta anche la conclusione di un comizio della CISNAL della prima metà degli anni

Settanta, che colloca il 1˚ maggio in opposizione alla grande manifestazione indetta a Milano dai

sindacati antifascisti:

“Aveva in mano due sassi - non so da dove saltassero fuori - che scagliò contro i celerini.

Immediatamente partirono fiondate e colpi di lanciarazzi. Intanto ci si spostava in

direzione piazza Duomo per poi proseguire verso via Mancini. In corso di Porta Vittoria

passammo davanti alla Camera del Lavoro; biglie e razzi contro le finestre. La risposta

dei compagni fu immediata: certamente avvisati che stavamo arrivando, alcuni di loro si

erano appostati sul tetto e da lì ci rovesciarono addosso porfidi e mattoni. Naturalmente,

di gran carriera, ci portammo fuori dal raggio di azione. Arrivati in sede, ognuno ringraziò

il proprio Dio per essere ancora vivo: un mattone in testa, da quell’altezza, sarebbe stata

morte sicura”267.

Nicola Rao ha raccolto molte testimonianze degli aspiranti terroristi neri di San Babila e ha

tracciato queste conclusioni:

“[…] tra il 1973 e il 1974 la piazza milanese esplode.

Molti dei suoi giovani finiscono nel Mar del partigiano bianco Fumagalli, che li rifornisce

di armi e di strutture, e che, soprattutto, li riempie di promesse sul golpe che verrà e sui

suoi rapporti ad alto livello con militari e carabinieri.

265 Cesare Ferri, San Babila. La nostra trincea, Settimo Sigillo, Roma 2016, pp. 185-186. 266 Ivi, p. 186. 267 Ivi, p. 152.

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La campagna acquisti del partigiano Jordan fa il pieno di ragazzini, provenienti

principalmente da Avanguardia Nazionale di Milano e di Brescia. […] Ma San Babila è

una polveriera che contiene di tutto.

E così, accanto a questi «soldati politici», nei primi mesi del 1974 cominciano a mettersi

in mostra gagà fighetti e sbandati. Attirati dal mito della piazza nera e impegnati in una

serie di atti di violenza fine a se stessa, dalla logica demenziale”268.

Dopo aver stabilito confini e regole differenti, il FdG ricercò una nuova normalità a cominciare

dall’autunno con il corso di aggiornamento politico. L’appuntamento si svolse a Ostia alla fine di

settembre del ’73 e la discussione prevalente che venne pubblicata e inviata a tutti riguardò le funzioni

e le azioni del Nucleo d’Istituto, su cui il FdG puntava molto. Non è possibile stabilire se il tema dei

legami con i gruppi extraparlamentari venne sviscerato, perché la documentazione a disposizione non

ne fornisce traccia. “Il Nucleo d’Istituto è il gruppo di ‘base’ di cui si serve il ‘Fronte della Gioventù’

per penetrare in profondità nel mondo studentesco”269; esso era sottoposto al controllo del Fiduciario

Provinciale e doveva fare politica all’interno degli istituti scolastici, fuori dai classici circuiti

sezionali.

Il corso di aggiornamento fissò anche le tattiche da adottare a seconda dei contesti: rossi, nelle

scuole a maggioranza di sinistra, bianchi, nelle scuole dei partiti di centro, “tricolori”, nelle scuole

dove la destra aveva la maggioranza. Nel primo caso, si raccomandava di rassegnarsi alla realtà della

contrapposizione frontale: ad iniziativa si doveva rispondere tramite iniziativa, ma il clima non

doveva mai essere troppo “incandescente” ed era necessario un certo grado di convivenza. Negli altri

due casi occorreva un Nucleo tecnicizzante (negli istituti bianchi) e privo di fronzoli demagogici nei

“tricolori”; la ragione risiedeva nella volontà di levarsi di dosso, da un lato, l’etichetta dei

qualunquisti, dall’altro, la paura di lasciare spazio ad altre formazioni più a destra e più agguerrite.

Occorreva, dunque, parlare dei bisogni degli studenti, delle falle del sistema scolastico e fornire

risposte concrete270.

Nell’archivio della sezione di Latina, sono conservate quattro pagine non firmate, scritte su carta

intestata FdG, a stretto uso interno che i vertici giovanili indirizzarono ai dirigenti del partito. Il

documento si apre con una lunga digressione sulle attività del FdG svolte dalla nascita, e prosegue:

“La battaglia per l’abrogazione del divorzio sarà condotta dal ‘Fronte’ con entusiasmo ed

impegno e sarà caratterizzata da iniziative a sfondo propagandistico e culturale in perfetta

armonia con le impostazioni formulate dal MSI-DN.

268 Nicola Rao, Trilogia…, cit., pp. 488-489. 269 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1973, settembre 1973, p. 1. 270 Ivi, pp. 6-10.

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Anche per questa decisiva scadenza, tuttavia, il ‘Fronte’ rivolge un particolare interesse

a ciò che si prepara in piazza: il regime e le sinistre, infatti, cederanno senz’altro alla

tentazione di mobilitare le masse studentesche e sarà necessario contrapporre la

mobilitazione ferma e responsabile di tutta la gioventù nazionale alle provocatorie

manifestazioni già programmate dal PCI e dai gruppi extraparlamentari.

Per realizzare questo impegnativo programma il ‘Fronte della Gioventù’ ha bisogno che

la sensibilità della classe dirigente, del Partito, prima fra tutte quella dei Segretari

Federali, si orienti verso un tipo di collaborazione costruttiva e dinamica che si poggi

essenzialmente sulla convinzione del ruolo importante che i giovani nazionali devono

svolgere in questo difficile momento della vita del Paese.

Rivolgiamo perciò un vivissimo appello a tutti gli uomini responsabili del MSI-DN

affinché, ferme restando le dovute misure di controllo, i dirigenti ed i militanti del ‘Fronte

della Gioventù’ possano essere posti nella condizione più idonea per operare e per

vincere”271.

Era il momento di investire sui giovani missini e lasciare che facessero il loro, nuovo corso.

271 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 11 febbraio 1974, pp. 3-4.

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Capitolo III: Gli anni difficili della destra giovanile italiana

3.1 I giovani e il partito: un tentativo di differenziazione

La transizione forzata, avviatasi nel maggio del 1973, generò una nuova fase dialettica dai toni

moderati, come conveniva in un partito centralizzato con una leadership forte, tra il vertice e le

organizzazioni giovanili: l’oggetto della discussione era il grado di libertà d’azione di queste ultime.

In un dattiloscritto su carta intestata del FdG non firmato né catalogato, datato 11 febbraio 1974, la

storia del FdG veniva ripercorsa e divisa in due fasi. La prima era quella del consolidamento e del

proselitismo, la seconda occupava il 1972 e “fu condizionata gradualmente dall’esigenza, doverosa,

di assicurare un concreto sostegno al Partito ed alle numerose prove elettorali che esso andava

affrontando”272. Gli eventi della primavera del ’73 avevano interrotto l’azione di proselitismo appena

avviata e l’autore, incerto ma quasi certamente da identificare in qualche quadro se non in Anderson

in persona, scriveva a proposito del futuro prossimo della galassia giovanile:

“Oggi il ‘Fronte della Gioventù’, per unanime convinzione di tutta la sua classe dirigente,

ritiene di non poter differire ulteriormente la sua più decisiva e clamorosa ‘uscita

all’aperto’. Infatti, chiariti i postulati fondamentali della sua politica, assunta una ben

definita strategia, elaborati i programmi operativi, il ‘Fronte’ può e deve proporre se

stesso come l’unico valido ‘centro catalizzatore’ delle masse giovanili non ancora

asservite alla logica eversiva del regime e del comunismo. […] il ‘Fronte della Gioventù’

ha bisogno che la sensibilità della classe dirigente, del Partito, prima fra tutte quella dei

Segretari Federali, si orienti verso un tipo di collaborazione costruttiva e dinamica che si

poggi essenzialmente sulla convinzione del ruolo importante che i giovani devono

svolgere in questo difficile momento della vita del Paese.

Rivolgiamo perciò un vivissimo appello a tutti gli uomini responsabili del MSI-DN

affinché, ferme restando la dovute misure di controllo, i dirigenti ed i militanti del ‘Fronte

della Gioventù’ possano essere posti nella condizione più idonea per operare e per

vincere”273.

La richiesta di smarcamento dalle attività del MSI non era una novità, ma appare per la prima volta

in maniera così articolata. Fino a quel momento si era trattato perlopiù di richiami velati alla maggiore

autonomia delle organizzazioni, fino al febbraio del ’74, quando il pericolo di una diaspora dei

272 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 11 febbraio 1974, p. 1. 273 Ivi, pp. 2-3.

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militanti e dei tesserati si fece concreto. L’uso strumentale dei giovani finiva per danneggiare

specialmente il FdG, aggravando, per diversi motivi, la marginalizzazione.

In primo luogo, gli episodi violenti non aiutavano nell’opera di proselitismo e, contestualmente,

agglutinavano le forze giovanili antifasciste (già numericamente superiori) in una battaglia contro gli

stessi neofascisti. Uno scontro senza quartiere e limite, in cui ogni gesto era letto come una

provocazione da combattere e stroncare senza sosta. In secondo luogo, le forme dell’attività politica

non potevano più aderire a quelle del partito degli adulti. Il linguaggio stesso dei manifesti e delle

iniziative doveva essere più libero di esprimersi, secondo canali differenti; gli effetti del Sessantotto

si diffusero presto e la crepa generazionale divenne frattura, dalle parole passando per le forme della

politica fino ad arrivare ai contenuti stessi.

Il FdG organizzò due eventi per la primavera del ’74 per imprimere una svolta: la settimana di

lotta per il Mezzogiorno e la giornata nazionale di protesta studentesca. Dal 24 febbraio al 3 marzo il

FdG mobilitò le sezioni del sud per discutere dei problemi prevalentemente economici e protestare in

luoghi pubblici contro la crisi che attanagliava le regioni meridionali. Il neofascismo manifestava da

sempre un occhio di riguardo al sud Italia, non soltanto al fine di massimizzare il bacino elettorale

consistente, ma anche per le condizioni politiche peculiari di quella parte d’Italia. La protesta contro

tutto l’arco parlamentare che si andava delineando in quegli anni, nella prima metà degli anni Settanta,

trovava terreno fertile nel malcontento serpeggiante al sud; i giovani di destra lavorarono alla stregua

di un’avanguardia del partito, suscitando un’opposizione dura contro il centro e la sinistra.

L’ingessata retorica utilizzata abbandonò qualsiasi connotazione istituzionale e si collocò su un piano

di lotta sociale ed economica:

“Per uscire dalla crisi, per liberare il Meridione d’Italia da questo autentico esercito di

parassiti e di sfruttatori che da venti anni ruba e malgoverna, per una nuova alternativa

politica, sociale ed economica mobilitiamoci con il ‘Fronte della Gioventù’. (Volantino

sulla disoccupazione e sull’emigrazione) Contro la disoccupazione contro l’emigrazione

- Lottiamo per il Meridione”274.

Nella stessa settimana, le sedi del nord avrebbero dovuto programmare “una settimana di

mobilitazione contro il carovita, la disoccupazione e la crisi economica”275. Si trattava di una

comunicazione barricadiera, decisa a fare concorrenza alle formazioni rivali sullo stesso terreno di

gioco; il richiamo alla disoccupazione nelle regioni settentrionali, in un clima rovente di lotte

sindacali e di contrasti tra operai e industriali è quantomeno un indizio dello scollamento dal MSI che

274 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 8 febbraio 1974, p. 5. 275 Ivi, p. 1.

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si intendeva intraprendere. Al contrario del FdG, il partito si era già schierato dalla parte degli

industriali e non vedeva certamente di buon occhio iniziative di tal genere276.

Il secondo evento fu la giornata nazionale di protesta studentesca, fissato per il 20 aprile, in

coincidenza dell’approvazione dei decreti delegati del ministro Malfatti sugli organi collegiali. Il FdG

intendeva controllare da vicino ogni iniziativa locale277, al fine di non incappare in errori di

comunicazione e di immagine e legare la mobilitazione alla battaglia referendaria condotta dal MSI.

È un passaggio importante perché la giornata di protesta dimostrava la reale volontà di agire in

maniera più indipendente, rispetto al passato, nei confronti del partito e, allo stesso tempo, di non

voler sottrarre la manovalanza alle battaglie politiche degli adulti, per non rompere irreparabilmente

il legame con il MSI:

“La nostra iniziativa, pertanto, si inserisce perfettamente nella battaglia che la Destra

Nazionale sta combattendo contro la legge Baslini-Fortuna e tende a disorientare gli

organismi sinistrorsi e a sottrarre larghi ambienti studenteschi alle manovre psicologiche

del fronte divorzista sostenuto dal PCI”278.

L’agitazione del FdG batteva sul tempo le manifestazioni indette dalla sinistra sullo stesso punto;

l’oggetto della contestazione neofascista era la scarsa importanza lasciata ai rappresentanti degli

studenti nei consigli d’istituto, la mancanza della previsione di momenti di autogestione e, su tutte le

altre misure, la designazione dei consigli scolastici provinciali e del consiglio superiore della pubblica

istruzione senza componenti studentesche. Quello che preoccupava il FdG era l’ulteriore

marginalizzazione in ambito scolastico, causato dalla storica disparità di forze a livello nazionale, dal

calo di iscritti alle organizzazioni giovanili279 e dall’offensiva dell’estrema sinistra contro i

neofascisti.

I gruppi della sinistra e dell’estrema sinistra intensificarono gli sforzi tesi all’emarginazione dei

giovani di destra dalle scuole e dagli atenei. Attraverso la retorica della provocazione ai danni del

regime politico democratico, si colpivano le manifestazioni, gli incontri, i comizi pubblici e le attività

di volantinaggio dei neofascisti: in fondo, gli avversari diretti tra le giovani generazioni erano proprio

276 Mimmo Franzinelli, op. cit., pp. 114 e ss. 277 Anderson comunicò che: “Per quanto concerne le iniziative da intraprendere nel corso della ‘giornata di protesta’ si

invitano i Segretari Provinciali del ‘Fronte’ ed i Fiduciari Provinciali della Corporazione Studentesca a comunicare

subito a questa Segreteria Nazionale quali fra le seguenti iniziative saranno assunte: comizi in piazza (nel pomeriggio);

convegni nella sede provinciale; convegno in una sede aperta al pubblico; assemblea d’istituto; affissioni manifesti;

diffusione volantini o pieghevoli; diffusione giornaletti d’istituto dedicati all’argomento. […] Le iniziative programmate

dovranno essere portate a termine comunque; gli Ispettori Regionali controlleranno la validità delle giustificazioni di

eventuali inadempienze”. In: Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 28 marzo 1974, p. 2. 278 Ibidem. 279 Tarchi ha quantificato una perdita di novemila iscritti nella penisola, tra il 1973 (che registrò il massimo storico di

sessantaseimila unità nel FdG e seimila nel FUAN) e il 1974 (cinquantasettemila nel FdG e cinquemila nel FUAN). In:

Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., p. 328.

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i militanti del FdG e del FUAN. Queste azioni si inserivano nella battaglia politica del decennio e

furono l’arma più utilizzata ed efficace contro la destra; inoltre, questa tipologia di battaglia godeva

dell’avallo ufficiale del PCI, che sosteneva gli atteggiamenti di condanna pubblica del fascismo e dei

neofascisti280.

Le ali estreme, invece, s’impegnarono in una schedatura estesa dei giovani di destra con “il preciso

scopo di emarginarli ed ostacolarne con ogni mezzo il corso degli studi. Tale attenzione viene

riservata anche ai docenti”281. PO e LC, su tutte, si dedicarono alla pubblicazione degli elenchi, frutto

dell’attività di schedatura, contribuendo a rendere lo scontro ancora più incandescente; sebbene il PCI

non avesse esitato a vietare tali azioni ai propri militanti e avesse già preso le distanze da questi

gruppi, in alcune città, in particolare del nord-est, molti giovani comunisti parteciparono attivamente

a tali iniziative. Conseguentemente, la violenza dei gruppi di estremisti di sinistra s’impennò e furono

registrati numerosi casi di pestaggi durante l’affissione di manifesti o fuori dagli istituti scolastici,

scontri durissimi tra fazioni opposte, fino ad arrivare alla “caccia al fascista”282. Nella

documentazione del Reparto D del SID, sono numerosi i dossier sul tema e provengono pressoché da

ogni provincia della penisola le note allarmate degli agenti283. Si badi, si trattava di azioni reciproche

tra le parti, ciò che mutò fu il livello della violenza e gli strumenti utilizzati per commetterla. I

documenti del SID non interpretano il neofascismo tanto come vittima, quanto come bersaglio di

un’azione, o meglio: di una serie di azioni studiate e rispondenti ad una strategia definita, che prima

non era mai stata registrata. L’isolamento dei giovani di destra non fu un processo indolore.

A Padova, ad esempio, l’omicidio dei militanti missini Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola,

le prime vittime delle BR, maturò in un contesto di recrudescenza dell’opposizione tra le parti: gli

episodi di intolleranza, di radicalizzazione dello scontro politico e le operazioni degli estremisti

(prima neri, poi rossi) concorsero a sdoganare un livello di violenza che gettò la città in uno stato

simile alla guerriglia urbana284. E dopo una forte presenza del gruppo di Freda, fu la volta

dell’estremismo rosso. Erano coloro i quali facevano politica nelle organizzazioni “regolari” a fare le

spese di questa strisciante guerriglia urbana.

Il MSI incassò due colpi durissimi nel mese di maggio, poiché la campagna referendaria per

l’abrogazione della legge sul divorzio non si era svolta nel modo sperato e a Brescia esplose un’altra

bomba, la cui matrice venne presto identificata dall’opinione pubblica come analoga a quella di piazza

280 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0009 d0275, appunto del Centro C.S. di Bologna del 8 giugno

1974, p. 1. 281 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0009 d0268, appunto del Centro C.S. di Torino del 22 maggio

1974, pp. 1 e ss. 282 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0006 c0009 d0266 - d0290. 283 Si confrontino le raccolte: ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f006 c0009, f0006 c0010, f0006 c0011. 284 Silvia Giralucci, L’inferno sono gli altri: cercando mio padre, vittima delle Br, nella memoria divisa degli anni

Settanta, Mondadori, Milano 2011, pp. 15 e ss.

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Fontana. I neofascisti contavano di rompere l’isolamento politico, nel quale si trovavano confinati

dall’inizio del decennio, appoggiando la DC nella battaglia per il sì: tuttavia, i democristiani decisero

di agire separatamente e, dopo l’esito negativo del voto, la possibilità di un “condizionamento del

centro” tornò ad essere un’ipotesi sempre più impraticabile. In aggiunta, la strage di Brescia sferrò

l’ennesimo colpo all’immagine del partito sia all’esterno, con i media che scrissero da subito del

coinvolgimento dell’estremismo nero, che all’interno. Difatti, i malumori della componente più

moderata andarono a individuare il colpevole in Almirante, e nei suoi errori strategici; l’ammiraglio

Birindelli rassegnò le sue dimissioni dalla carica di presidente del partito, posizione ricoperta due

anni prima quando il segretario aveva tentato di conquistare l’elettorato moderato attirando

personalità di spicco che nulla avevano a che fare con il fascismo e il MSI285.

Il 5 giugno 1974 il FdG dispose “l’immediata convocazione delle Assemblee degli iscritti […]

nell’ambito di tutti i circoli territoriali”, al fine di spiegare la linea del partito nei riguardi della strage

di piazza della Loggia. Tutti i volantini avrebbero dovuto contenere un’intestazione fissa, “Il Fronte

della Gioventù contro la politica della strage per l’ordine e la libertà”286, e venne imposto dalla

segreteria di discutere e approvare documenti sulla falsariga di quelli allegati alla comunicazione in

oggetto.

“Il ‘Fronte della Gioventù’ ha accolto con sdegno e raccapriccio l’orrendo eccidio di

Brescia. E il nostro sdegno è tanto più sincero in quanto contrasta inconfutabilmente con

lo stile, la mentalità e la tradizione di lotta scrupolosamente osservante della Destra nel

corso di circa trent’anni di battaglie politiche. Dal dopoguerra ad oggi si è sempre attestato

sulla trincea dell’opposizione netta e categorica e dell’alternativa globale: ma abbiamo

sempre svolto il nostro difficile lavoro politico nell’ambito della legalità, alla luce del

sole, assumendoci per intero tutte le pesanti responsabilità che derivavano, e derivano, da

una scelta operativa chiara ed inequivocabile basata sul confronto delle idee e sulla ricerca

del consenso popolare.

La nostra ostinazione nel difendere i più schietti valori morali e civili di una Nazione che

non vuole morire sotto il tallone della dittatura comunista e che intende progredire

nell’Ordine e nella Libertà, ci è costata sacrifici, persecuzioni e lutti (Venturini, Falvella,

i fratelli Mattei e tanti altri), ma non abbiamo mai gridato all’odio e alla vendetta”287.

Nel documento del 5 giugno sono presenti riferimenti all’eccidio e alle sue conseguenze

mediatiche e politiche:

285 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit., p. 88. 286 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 5 giugno 1974, pp. 1-2. 287 Ivi, p. 3.

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“Il cinismo della classe politica e dei suoi gazzettieri ha avuto una conferma immediata

nella sapiente ‘regia’ con la quale sono state propinate agli italiani le notizie relative alla

strage: una ‘regia’ così accorta e ‘studiata’, ed a tal punto priva di sbavature, da legittimare

tutti i sospetti. Anche quello che si riferisce ad una precostituita e presollecitata

‘attenzione’ da parte degli organi di informazione del ‘regime’ più avanzati e determinati.

Che già si sapesse qualcosa, lo escludiamo; ma non possiamo escludere - ed i fatti lo

confermano nella loro logica inesorabile - che si fosse in attesa di ‘qualcosa’, che

bisognasse tenersi pronti per infliggere al ‘fascismo’ una batosta formidabile, dalla quale

non avrebbe più dovuto riprendersi. […] Se ne parlava, livorosamente, nei giorni che

seguirono la trasmissione televisiva con la quale si commentarono i risultati del

‘referendum’. La Destra Nazionale aveva perso, in termini numerici, ma ne usciva a testa

alta ed Almirante rivendicava addirittura la ‘paternità’ dei 13 milioni di elettori del ‘Sì’.

Da più parti si temette che si stesse verificando ciò che si temeva da anni: che cioè la

Destra stesse per davvero spezzando l’‘accerchiamento’”288.

Nelle pagine successive, venivano mosse pesanti accuse al sistema, costituito dai partiti politici,

dai media, da “una certa Magistratura” con l’avallo delle forze di polizia, per avere costruito nella

destra il colpevole perfetto, buono per ogni evento criminoso. Si menzionavano i numerosi attacchi

di cui erano vittima le sezioni missine e le indagini che puntavano il dito soltanto contro i “fascisti

assassini”. La parte conclusiva del testo ricostruiva la risposta alla domanda “a chi giova?”,

enucleando alcune ragioni per le quali la strage di Brescia avrebbe aiutato tutti tranne il neofascismo:

si diceva che lo spostamento dell’equilibrio di potere in direzione dell’alleanza di centro-sinistra289,

la ritrovata compattezza della sinistra e del mondo sindacale fossero stati tutti favoriti indirettamente

dalla strage290.

Lo storico Mirco Dondi ha ricostruito la lettura di Piazza della Loggia sulla stampa di destra e

l’analisi mostra che “la responsabilità strategica” fu assegnata alla DC e al PCI: la narrazione rivolta

dal vertice ai militanti e quella dal partito all’opinione pubblica si muoveva così sullo stesso vettore:

“Con Piazza della Loggia la linea che emerge dalla destra autoritaria non è più quella di

una strage contro lo Stato (tesi del libro di Mario Tedeschi dopo Piazza Fontana) con i

rossi che attaccano le istituzioni, ma di una strage orchestrata dallo Stato, per mutare gli

288 Afus, Archivio Verde, f. 1974, 5 giugno 1974, p. 4. 289 Si legge nel brogliaccio di volantino inviato alle federazioni sul territorio, insieme alla precisa indicazione di

stamparlo con il testo indicato e senza aggiunte: “Un altro orrendo crimine/ nella strategia/ della tensione per favorire/ il

‘compromesso storico’/ Italiani,/ basta con il regime/ che sopravvive sul sangue/ degli innocenti”. In: Ivi, p. 7. 290 Ivi, pp. 6-7.

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equilibri di potere. Anche se si provasse che i mercenari sono neri, il bianco e il rosso

appaiono come i ‘cervelli’”291.

L’idea di una campagna contro i comunisti non era né fruttifera, al netto degli eventi del 1973, né

tantomeno praticabile. Lo stesso elettorato di destra aveva seguito il partito in maniera convinta sulla

linea tutta legalità e ordine degli anni precedenti; ora che la matrice nera appariva impossibile da

confutare, l’unica via percorribile era quella di una polemica a tutto campo che coinvolgesse persino

la DC. Da un lato, veniva sfruttata la debolezza, data dall’esclusione tangibile da qualsivoglia scambio

politico rilevante, che i missini soffrivano; dall’altro, non si ricorreva più alla negazione dell’evidente,

ma lo si giustificava come manovra del potere per il potere, anche grazie all’emersione del

coinvolgimento di alcuni settori degli apparati di sicurezza.

Dopo la strage, il FdG dovette ripensare nuovamente alla linea politica; se la DC era divenuta,

perlomeno a parole, il nuovo nemico del MSI, a livello giovanile gli avversari principali erano sempre

le formazioni di sinistra. Il 7 novembre Anderson comunicò la nuova strategia del FdG in vista delle

future elezioni scolastiche: il blocco d’ordine. Si trattava di una rivoluzione nella pianificazione dei

rapporti politici della destra, infatti:

“Per ‘blocco d’ordine’ noi intendiamo una somma di forze di diversa ispirazione politica

(o anche di nessuna ispirazione politica) che abbiano quale comune denominatore una

chiara predisposizione anticomunista e una sostanziale capacità di ‘bloccare’

l’infiltrazione marxista.

Non è indispensabile che queste forze siano sempre consapevoli della loro funzione

‘deterrente’: l’importante è che, sul piano pratico, questa loro capacità produca l’effetto

desiderato”292.

Il documento proseguiva spiegando nel dettaglio il significato di questa definizione, che puntava

non più a fare del FdG la formazione egemone della destra, bensì a tessere legami con i gruppi vicini

senza inglobarli o scavalcarli. Si legge:

“[…] i dirigenti del ‘Fronte’, dovranno essere molto accorti nell’applicare le direttive […]

evitando di produrre sforzi organizzativi e politici in tutti quegli istituti in cui esistano

gruppi che offrono sufficienti garanzie in senso antimarxista”293.

Gli esempi successivi indicavano la possibilità di agganciarsi e sostenere liste più forti, in istituti

o zone peculiari, raccomandando un atteggiamento collaborativo e non competitivo, purché si

mantenesse una sorta di do ut des per altri casi. Il segretario segnalava l’importanza dei contesti

291 Mirco Dondi, l’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Laterza, Roma-Bari 2015, p. 358. 292 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 7 novembre 1974, pp. 1-2. 293 Ibidem.

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cittadini, specialmente delle grandi città, su cui i neofascisti puntavano decisamente molto. Nella

provincia, al contrario, “il contatto umano, la conoscenza reciproca e i valori dell’amicizia possono

costituire una base concreta per intese ed accordi molto proficui; il livello di ‘politicizzazione’,

inoltre, è senz’altro meno consistente ed esasperato”294. Divenne necessario coinvolgere gli esponenti

del sindacato e vennero vietati espressamente i contatti con ogni struttura antifascista, con “gli

esponenti degli ambienti cattolici di sinistra” e “con gruppi ed esponenti extraparlamentari, di sinistra

o anche di destra”295.

Fu un cambiamento di rotta rilevante in una fase delicata del FdG; in primo luogo, servivano

alleanze stabili da contrapporre alle sinistre, troppo forti per essere affrontate da soli, a maggior

ragione in un momento di riduzione dei militanti. In secondo luogo, venendo meno l’appoggio degli

extraparlamentari, oramai banditi senza riserve, e aumentando la pressione ai danni dei neofascisti,

fatta di inchieste giudiziarie e violenze degli estremisti di sinistra, il FdG si trovava all’angolo e

doveva individuare una nuova collocazione. La stretta aderenza al partito, poi, si era sommata alle

condizioni negative e i giovani dovettero ricominciare a lavorare in ambito scolastico per tornare una

forza appetibile:

“[…] la scuola, oggi, può trasformarsi anche e soprattutto in un formidabile strumento di

condizionamento o di potere politico, capace di imprimere svolte dalle insospettabili

proporzioni e di modificare radicalmente le condizioni psicologiche, ambientali,

strutturali e sociali di una Nazione.

Ecco perché, per quanto ci riguarda, abbiamo il dovere di sviluppare nuovamente, sia a

livello di partito che a livello di ‘Fronte della Gioventù’, un interesse primario per i

problemi della scuola, lasciando alle nostre spalle il pressapochismo e la superficialità

con cui spesso (perché non dirlo?) abbiamo operato in questo delicato settore della lotta

politica”296.

Il FdG intendeva inserirsi nelle proteste contro i decreti Malfatti con un “capillare lavoro di base”,

senza isolarsi dalle altre liste di provata ispirazione antimarxista.

Il 22 dicembre 1974, nel quartiere capitolino di Monteverde, Rauti tenne un comizio in risposta ad

un pestaggio ai danni di giovani del FdG avvento pochi giorni prima. Il partito lasciò mano libera per

l’organizzazione di squadre di autodifesa sia ai rautiani, sia ai giovani neofascisti: era una sorta di

prova di forza della destra romana: “per la prima volta, nelle strade di Roma, uno scontro che ha visto

impegnate centinaia di militanti di opposte fazioni è stato caratterizzato da decine di spari”. Il comizio

294 Ivi, p. 4. 295 Ivi, p. 3. 296 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 18 dicembre 1974, p. 3.

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si tenne e gli scontri, con gli avversari di sinistra, furono durissimi: i feriti si contarono a decine, così

come i proiettili sparati da entrambe le parti. Nicola Rao ha descritto l’episodio attraverso le

testimonianze e ha identificato in esso il momento di rottura con la retorica della difesa delle forze

dell’ordine297:

“L’aspetto interessante della vicenda è costituito anche da un altro fatto. Una

dichiarazione del vicesegretario missino, Pino Romualdi, che attacca le forze dell’ordine

accusandole di essere intervenute blandamente e in ritardo e minaccia: «D’ora in poi, se

lo Stato non ci difenderà, lo faremo da soli». Affermazione che rispecchia lo stato

d’animo di molti giovani e giovanissimi missini di quel periodo.

La battaglia di Monteverde innescherà una spirale di violenze e ritorsioni che sfocerà

dritta dritta nella guerra per bande nelle strade di Roma, combattuta a colpi di pistola”298.

Fabio Torriero ha parlato di un diffuso senso di vendetta, di una generale tensione che degenerò

presto nel fazionismo politico fine a se stesso:

“Nel 1974 è come se tutto ripartisse da capo: finirono le suggestioni e gli innamoramenti,

cominciò una vera attività politica, partì un’opera di attualizzazione culturale notevole

(cominciammo quel lavoro di revisione dei nostri maestri, delle nostre letture, dei

personaggi di riferimento). I giovani chiedevano meno parole e più azioni, soprattutto i

più giovani; le suggestioni che provenivano dalle piazze erano nuove: c’erano la vendetta,

la violenza fine a se stessa, si perse completamente il controllo da una parte e dall’altra.

Scomparve la passione politica. Ad esempio, Roma divenne una città blindata da

fazionismo politico, niente a che vedere con le due zone di Milano; tutto era controllato

dai militanti, quartiere dopo quartiere, bar e piazze. A destra eravamo meno che a sinistra,

ci serviva protezione”299.

Tomaso Staiti di Cuddia, leader di spessore in Lombardia, ha confessato:

“Io potevo capire lo scontro nel quale ci scappa il morto, ma non potevo capire il

disseminare dei morti attraverso le bombe, per ovvie ragioni etiche, ma anche perché,

come sintetizzava Beppe Niccolai, tutto ciò avrebbe convinto gli italiani che «era meglio

farsi governare dai ladri (i democristiani) che dagli assassini»”300.

Il prefetto di Genova segnalava al Ministero dell’Interno l’allarme del MSI per “il contrasto

opposto dalla sinistra extraparlamentare”, dunque si raccomandava di evitare “appariscenti azioni di

propaganda” sia nei luoghi di lavoro che nelle scuole. Ad aggravare l’isolamento missino, spiegava

297 Nicola Rao, Trilogia…, cit., pp. 679-686. 298 Ivi, p. 684. 299 T.a.a. di Fabio Torriero, raccolta il giorno 7 dicembre 2016 a Roma. 300 Ciro Dovizio, op. cit., p. 139.

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Romualdi intervenuto alla riunione di Genova, concorrevano la stampa, sempre pronta ad ingigantire

episodi o addirittura ad inventarli, e “il completo cedimento” della DC ai partiti di sinistra301.

Contestualmente alla polemica contro l’apertura a sinistra della DC, il MSI insistette sulle forze

armate, a suo parere pesantemente assoggettate alla propaganda di sinistra (in molte caserme non

veniva distribuito il Secolo d’Italia)302. Per la prima volta i missini presentavano all’opinione pubblica

una critica aperta ai tutori dell’ordine e all’esercito; la polemica investiva a tutto campo anche gli

ambienti istituzionali che storicamente erano stati avvertiti più vicini dalla fiamma: l’isolamento era

completo.

L’insoddisfazione cresceva a ritmo esponenziale. Uno degli episodi emblematici della burrascosa

relazione tra giovani e partito furono le dimissioni di buona parte del FdG di Rovigo, a cavallo tra il

1973 e il 1974. Il segretario provinciale del FdG scrisse una lettera di fuoco ai giornali, schierandosi

con il PR poiché “il voto, meglio ad avversari onesti che a camerati ipocriti”303. A dire dei rodigini,

il MSI non aveva sostenuto Freda e gli estremisti neri e dunque non potevano rimanere in un tale

partito; in realtà, fu il FdG ad espellerli non appena venne pubblicata la lettera, senza possibilità di

appello. Rovigo era una sezione importante per il partito e la perdita di numerosi giovani militanti

non fu certamente indolore.

L’annuale corso di aggiornamento dei quadri del FdG si tenne ad Ostia dal 19 al 22 settembre e

si concentrò sugli organi collegiali che prevedevano una rappresentanza studentesca; negli archivi

non è presente alcun riferimento ai rapporti tesi tra FdG e MSI. La documentazione a disposizione è

scarsa e ricalca per intero la normativa allora vigente, senza alcuna valutazione politica rilevante al

netto dell’obiettivo, posto in cima ai fascicoli, di evitare la sovietizzazione. Venne riciclata anche la

normativa sui Nuclei d’Istituto, la quale spiegava nel dettaglio funzioni, ruoli e finalità di queste

strutture all’interno soprattutto delle scuole medie superiori304. Si trattò di un periodo di ridefinizione

dei confini teorici e di azione, in cui l’unica via di uscita sensata sembrava essere l’azione politica

concreta nelle scuole, per rompere l’isolamento in cui erano finiti i neofascisti. Difatti, nonostante il

fine politico in senso stretto dei Nuclei, la loro condotta doveva favorire l’avvicinamento ai problemi

quotidiani e concreti dei ragazzi.

301 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/35, Prefettura di Genova, 29 ottobre 1974, pp. 1-2. 302 T.a.a. di Marco Zacchera raccolta il giorno 28 novembre 2016 a Verbania. 303 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/72, Prefettura di Rovigo, novembre 1974, p. 1. 304 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1974, 19-22 settembre 1974.

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3.2 Il lungo 1975 della destra italiana: crisi economica e ridefinizione della strategia

All’inizio del nuovo anno, il FdG si dotò di un “settore iniziative antimarxiste”, affidato alla

responsabilità di Orazio Arcudi, il quale ebbe il compito di analizzare e proporre strategie di attacco

e difesa nei confronti delle forze di sinistra. In un report del marzo 1975 emergono, sopra i soliti

richiami propagandistici, due considerazioni piuttosto nuove, destinate alla base.

Il nuovo settore dichiarava opportunistica, e l’azioni delle formazioni extraparlamentari lo

avrebbero dimostrato, la facciata moderata e riformista del PCI, pronto a tutto pur di entrare nelle

posizioni di potere. Il PCI avrebbe usato in maniera strumentale la politica radicale della sinistra

radicale per accreditarsi come partito affidabile e diverso rispetto al passato. Ora, sebbene la lettura

rivelasse anche allora più di una debolezza, per la prima volta il nemico veniva destrutturato e,

all’interno del neofascismo, si prendeva atto della differenza tra le linee politiche.

“Non per niente il PCI si è totalmente impegnato nell’esaltare la funzione ‘democratica’

dei decreti delegati. Mentre i suoi gruppi extraparlamentari sono stati fatti esibire in

folkloristiche manifestazioni pseudo-contestatarie tendenti a recuperare tutta l’area

studentesca e costringerla a rientrare nella logica del sistema. A proposito degli ultra di

sinistra è da rilevare che, sin dal principio della campagna elettorale, si sono mostrati

indecisi, disuniti, frastornati, incapaci di assumere una linea chiara o definita. […]

Dobbiamo quindi approfittare di tale situazione di sbandamento tuttora insita in tutta la

sinistra ivi compreso il PCI”305.

Arcudi insistette molto affinché tutte le sezioni si dotassero il prima possibile del settore da lui

presieduto; occorreva pubblicamente “sottolineare come tutta la violenza, da quella politica a quella

comune (rapine, sequestri) è gestita unicamente dalla sinistra forte delle protezioni che gode ai vertici

dello stato (ministri, magistratura […])”306.

Dai giovani partì la spinta a insistere, presso l’opinione pubblica, sul carattere borghese del PCI,

più vicino agli industriali che agli operai. La conquista del favore delle classi operaie divenne un

elemento costante nella strategia missina degli anni successivi, la quale presentava i partiti come facce

della stessa medaglia del potere, con più di qualche richiamo velato alla retorica antielitaria. I giovani

neofascisti, muovendo dalla prospettiva generazionale, individuarono nello scollamento tra il PCI e

le classi più basse uno spiraglio per provare a guadagnare consensi307. Fin da subito, il FdG si occupò

dei problemi del mondo del lavoro, che sembravano essere stati accantonati dall’agenda politica nei

305 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 18 marzo 1975, pp. 1-3. 306 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 10 aprile 1975, p. 2. 307 Ivi, p.2.

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due anni precedenti, e per mezzo dei Gruppi di Iniziativa Sociale308 promosse iniziative di protesta

“contro gli impopolari aumenti adottati dal governo Moro relativi alle tariffe telefoniche, elettriche e

alla benzina”309.

“I nostri rappresentanti, con opportune iniziative, devono determinare nell’ambito della

scuola un clima di sfiducia nei confronti dei gruppi di concentrazione ‘antifascista’

tentando in tutti i modi di inficiarne la credibilità, di denunciare la diretta dipendenza dal

PCI e di fa esplodere, nel loro ambito, tutte le contraddizioni insite in un ‘patto unitario’

sostanzialmente privo di omogeneità. Nei confronti delle liste studentesche autonome,

invece, va portato avanti un discorso di collaborazione sui problemi concreti della scuola:

diritto allo studio, potenziamento dell’edilizia scolastica, rinnovamento didattico ecc. […]

Il ‘Fronte della Gioventù’, attraverso i suoi Nuclei e le sue rappresentanze, dovrà proporre

continuamente iniziative molteplici: dibattiti, assemblee, attività artistiche e ricreative.

Più cose proporremo, in forma intelligente e moderna, più dinamica e utile apparirà agli

studenti la nostra presenza”310.

Un altro punto fissato nel documento del 15 aprile erano le elezioni amministrative dell’anno

successivo, sulle quali convergevano le speranze del MSI311; la centralità del FdG nella propaganda

missina era giustificata dall’abbassamento della soglia della maggiore età da 21 a 18 anni, divenuto

legge nel marzo di quell’anno. La presa che il FdG poteva esercitare su quella fascia d’età non era di

poco conto, visti i risultati ottenuti con le campagne di tesseramento precedenti; al contrario, per il

FUAN i numeri erano decisamente inferiori312.

Il Comitato Centrale del FdG del 26 e 27 luglio, nel documento conclusivo intitolato “La giovane

Destra per l’alternativa al compromesso storico”, si prefissava la

“effettiva conquista di tutto lo spazio di destra disponibile nell’area politica;

caratterizzazione sociale e non conservatrice della politica di destra; capacità di esprimere

un linguaggio moderno e perfettamente aderente alle esigenze della società

contemporanea; rinuncia irreversibile alle nostalgie e ai ritualismi nel quadro di una

corretta interpretazione delle vicende storiche; sincera accettazione di un assetto sociale

caratterizzato dal pluralismo politico e sindacale”313.

308 È probabile che questi gruppi furono creati nel 1975 con l’obiettivo di inserirsi nel campo sociale legato al mondo

del lavoro; l’Italia subì duramente gli effetti della crisi energetica del 1973. 309 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 9 ottobre 1975. 310 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 15 aprile 1975, pp. 1-3. 311 Ivi, p. 3. 312 I dati elaborati dal politologo Tarchi evidenziano che negli anni Settanta il FUAN non superò mai le seimila tessere,

peraltro con un calo consistente di circa il 40% dei tesserati registrato nel 1980 (dal ’77 al ’79 non sono disponibili i

dati). In: Marco Tarchi, Dal Msi…, cit., p. 328. 313 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 5 settembre 1975.

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Insomma, si trattava di un bel passo avanti. Pur nell’alveo dell’anticomunismo fissato dal vertice,

la “rinuncia irreversibile alle nostalgie” e la “sincera accettazione” del pluralismo significavano una

rivoluzione copernicana all’interno del MSI. Il Comitato Centrale si era spinto oltre:

“Il rinnovamento auspicato può e deve passare anche attraverso un costante

ringiovanimento della classe dirigente dal momento che le possibilità di adeguamento alle

mutevoli realtà non possono prescindere dalle logiche e produttive diversificazioni

assicurate dal succedersi dalle generazioni.

Un MSI-DN nuovo, moderno e giovane, quindi, contro il quale spuntino vanamente le

armi della logora polemica «passatista» e che può essere accolto senza riserve di sorta da

parte di una pubblica opinione già troppo frastornata dalla mendace propaganda clerico-

marxista”314.

Questo passaggio può essere letto nei termini di una richiesta carrieristica, o di maggiori spazi nei

gangli decisionali del MSI; però, se collegato alla citazione di poco sopra, sembra essere la

valutazione negativa della classica linea politica missina in relazione alla metà degli anni Settanta.

Senza l’apertura tanto auspicata, l’abbandono della nostalgia e l’accettazione del pluralismo non si

poteva andare molto lontano. Viene da domandarsi quanto la base giovanile fosse disposta ad

accettare le richieste che il Comitato Centrale del FdG rivolse al partito.

I problemi strategici erano forse superati da quelli di ordine economico. La seconda metà del

decennio fu un periodo duro per il MSI e la contrazione dei fondi disponibili per l’attivismo giovanile

ridefinì sensibilmente le attività di ogni sezione.

“La battaglia sarà egualmente dura e difficile e, per riconfermare i risultati dell’anno

scorso, sarà indispensabile mobilitare tutte le nostre energie. E ciò anche in relazione alla

diminuita possibilità finanziaria e alla diminuita mole di materiale propagandistico a

nostra disposizione.

Per quanto si riferisce alle possibilità economiche, giungeranno quanto prima ad ogni

Centro Provinciale, probabilmente in un’unica soluzione, i contributi relativi al mese di

novembre ed al mese di dicembre: tali contributi, però, saranno considerevolmente ridotti

rispetto al passato (circa il 60%) per cui sarà necessario utilizzarli con molta oculatezza,

investendoli esclusivamente nel settore studentesco”315.

Forse per la crisi di risorse, forse per rompere l’isolamento e tentare una nuova strategia, a tutti i

neofascisti veniva ricordato come la lotta fosse da intendersi a blocchi contrapposti e non una

formazione contro tutte le altre.

314 Ibidem. 315 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 27 novembre 1975, pp. 1-2.

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“Occorrerà, insomma, ricostruire lo schieramento antimarxista già sperimentato,

rifuggendo da tentazioni isolazionistiche e prescindendo da valutazioni politiche non

confortate da ampie aperture: la lotta, oggi come ieri, va condotta in termini di blocchi

contrapposti e non in riferimento alle varie posizioni associative”316.

Seguiva un elenco di sedici punti in cui veniva ribadita la nuova linea del FdG. Il piano strategico

prevedeva una costante ricerca di alleanze con formazioni anticomuniste, a costo di rinunciare alla

gestione delle stesse liste, e l’abbandono di qualsiasi aspirazione “isolazionista”. Non mancava

l’ormai classico richiamo all’attenzione nei confronti delle teste calde; andavano

“evitate candidature relative a giovani che dimostrino di non comprendere la necessità

delle aperture insite nella nostra strategia o che concepiscano l’attivismo studentesco

esclusivamente in termini di scontro fisico”317.

Inoltre, i giovani avrebbero dovuto sollecitare la cooperazione sia dei sindacati degli insegnanti,

“non controllati da ambienti marxisti”, sia dei genitori; veniva raccomandato anche di coinvolgere le

sedi locali del MSI “sollecitando aiuti e collaborazione”318. Le forze giovanili, da sole, non potevano

vincere la guerra di posizione e la spinta a cercare appoggi esterni rispondeva alla duplice necessità

di trovare supporto e fuggire dall’isolazionismo e, dopo il sanguinoso taglio finanziario di settembre,

anche all’imperativo di ricerca di nuovi fondi a livello locale.

La stessa lunghezza d’onda era mantenuta dal FUAN, il quale vide “larghi spazi politici” all’inizio

dell’autunno del 1975. La difficile congiuntura economica e i problemi del mondo del lavoro

sembravano porre i neofascisti davanti ad una favorevole situazione di rilancio, o meglio: di rottura

dell’isolamento, e per questa ragione venne elaborata una strategia in tre punti, sostanzialmente

identica a quella del FdG. Il primo passo era quello di agglutinare forze anticomuniste in un fronte

unico per la libertà, eppure, scriveva il presidente Luciano Laffranco, “dev’essere più un discorso di

base che di vertice, un discorso che deve far cadere tanti pregiudizi nei nostri confronti, ma che,

ovviamente vedrà sempre in noi il nucleo (e la guida) insostituibile”319. Contestualmente, andava

“ripresa [la] politica della protesta: in nome degli interessi reali della categorie, nel mondo

del lavoro, tra i ceti medi, nei quartieri, approfittando anche dell’inevitabile tradimento

delle istanze dei lavoratori da parte della triplice”320.

I giovani neofascisti avevano bisogno di tornare a rappresentare l’alternativa non già alla sinistra,

come accadde dopo il Sessantotto, bensì a tutto il sistema. Non bastavano più proclami retorici buoni

316 Ivi, pp. 2-3. 317 Ivi, p. 3. 318 Ivi, p. 4. 319 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 12 settembre 1975, p. 1. 320 Ibidem.

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per le tornate elettorali: secondo Laffranco serviva superare la politica e arrivare a proporre qualcosa

di simile ad un nuovo modello di vita. L’obiettivo era chiaramente la conquista di nuovi iscritti e

militanti.

“[…] a livello di grande opinione pubblica può essere sufficiente interpretare le ansie

concrete dei lavoratori e dei ceti medi, dare risposte concrete ai problemi delle categorie,

cavalcare l’emergente reazione sociale alla prospettiva dell’avvento del comunismo […];

a livello giovanile invece è necessario dare un respiro più ampio alla nostra iniziativa,

non dimenticando mai di dare precise indicazioni sulle scelte di fondo, sulla alternativa

di vita, di civiltà che noi rappresentiamo”321.

La marginalizzazione toccava anche il mondo sindacale, in cui la destra giocava soltanto partite

residuali e senza spazi di manovra:

“Il primo a non aver coscienza civica è il governo perché: considera fuori del dialogo

politico il MSI-DN che rappresenta 3 milioni di italiani; perché considera come unico

interlocutore sindacale la CGIL, CISL, UIL quando invece lo schieramento sindacale

italiano è composto anche dalla CISNAL e dai sindacati autonomi (a volte come nella

scuola molto forti)”322.

Viene da aggiungere che l’alternativa al sistema cominciava ad essere, a metà del decennio,

l’espressione declinata nella strategia politica anche dalla destra moderata. L’esplicita rivendicazione

dell’alterità nei confronti dei partiti dell’arco costituzionale riemergeva con forza, non più a causa

della sconfitta nella guerra civile, bensì per l’esclusione da ogni partita politica rilevante, come era

apparso chiaro dopo l’esito del referendum sul divorzio.

Giuseppe Parlato ha scritto:

“In questo contesto, cominciò a prendere forma una iniziativa dei vertici dei gruppi

giovanili del partito. Il Fronte della Gioventù, con Cerullo presidente (eletto

dall’assemblea) e Anderson segretario generale (nominato dal partito), e il Fuan,

presieduto, dopo la breve parentesi di Plebe, da Laffranco, si qualificarono nel dibattito

interno del partito nella promozione di una reale politica di rinnovamento delle cariche e

di razionalizzazione dell’apparato, a loro dire, eccessivamente burocratizzato”323.

I rapporti del prefetto e del questore di Milano del mese di ottobre del ’75 sulle attività del partito

dipingono una fase critica. Alla fine di settembre il FdG milanese aveva organizzato una “settimana

anticomunista” densa di appuntamenti e impegni. L’iniziativa era stata un insuccesso della

321 Ivi, p. 2. 322 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1975, 9 ottobre 1975, p. 1. 323 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., pp. 226-227.

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federazione del capoluogo lombardo e, commentava il prefetto, proprio per la scarsa affluenza era

“stato possibile evitare la preannunciata distribuzione nelle strade del centro cittadino di volantini e

giornali, che avrebbe potuto far sorgere reazioni da parte di sostenitori di opposte idee politiche”324.

La settimana si era risolta in riunioni e assemblee “all’interno della sede”, con la maggioranza dei

partecipanti di età inferiore “ai 18 anni”325; potrebbe apparire una notizia di secondo piano, ma rivela

una estrema debolezza del FdG, peraltro in una delle piazze più calde e partecipate d’Italia per il

neofascismo giovanile, impensabile fino a pochi mesi prima.

Almirante giunse in città alla fine di ottobre e vi rimase per tre giorni. La questura seguì da vicino

gli incontri del segretario, ufficialmente in missione per trovare sostenitori e promuovere la

Costituente di destra presso i militanti, garantendo l’apertura a “tutte le correnti anti marxiste” e

appoggiando

“la necessità di prepararsi alla formazione di questa nuova forza politica, giacché l’attuale

situazione politica italiana e la svolta a sinistra ne pongono ottime premesse, almeno per

tutti coloro che si sentono anticomunisti”326.

In realtà, le fonti delle autorità meneghine erano convinte che la visita del leader missino fosse

dovuta a ben altri obiettivi. Si legge:

“Fonti fiduciarie attendibili hanno però riferito che l’On.le Almirante è venuto a Milano

al fine di farsi pubblicità, onde rafforzare la sua posizione all’interno del partito, posizione

che da qualche tempo non è più stabile come una volta, causa gli attacchi che gli vengono

mossi dalla corrente moderata capeggiata dall’On.le Covelli e composta dai monarchici

cui attivamente si è aggiunto l’On.le Anderson.

Nell’incontro privato tenuto infatti dal parlamentare nello studio dell’On.le Servello, alla

presenza di poche persone tra cui il dott. Staiti [di Cuddia, nda], il segretario del M.S.I.-

D.N., dopo aver profferito [sic] dure parole contro l’On.le Anderson, ha esposto il

progetto di eliminare il ‘Fronte della Gioventù’ riconducendolo nel partito come settore

giovanile”327.

È presumibile credere che si fosse trattato di uno sfogo e non di una reale volontà di cancellazione

della struttura voluta dallo stesso Almirante. Tuttavia, le tensioni interne si facevano sentire con una

forza mai esplosa prima: la relazione tra MSI e FdG, l’apparato più aderente al partito fin dalla sua

fondazione, era in crisi. Da qualche tempo, i vertici giovanili chiedevano a gran voce “riformismo e

324 ACS, Ministero dell’Interno, f.195 P/49, Prefettura di Milano, 1˚ ottobre 1975. 325 Ibidem. 326 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/49, Prefettura di Milano, 28 ottobre 1975, p. 1. Il documento è della Questura

di Milano, ma venne inviato alla Prefettura tramite riservata-raccomandata e, in seguito, spedito al Ministero

dell’Interno. 327 Ivi, p. 2.

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pluralismo”: da un lato, essi tentarono nuovamente di espellere i “velleitarismi pseudo rivoluzionari”

che godevano di popolarità nella base; dall’altro, l’accettazione della diversità di opinioni era uno dei

punti che i giovani non avevano mai smesso di ribadire al partito328. Anderson confessò a Gennaro

Ruggero, a partire da una domanda su Azione, una delle riviste di punta del FdG negli anni Settanta:

“Perché, non disponendo di dogmi, avevamo molte cose da chiarire a noi stessi. Tieni

presente che noi ci accontentavamo di una destra che si limitasse a esercitare il

condizionamento aritmetico-parlamentare. Questa strada era già stata percorsa da

Michelini, al quale riconoscevamo, sul piano ‘strategico’, una spiccata capacità di

intuizione: sul piano ‘finalistico’ però, volevamo qualcosa di più, molti di più. Non poteva

interessarci una destra statica e conservatrice che ci rituffasse nel clima dell’Italia

prefascista: ci interessava moltissimo, invece, una destra dinamica, rinnovatrice e

riformista che, pur confermando determinati valori, aprisse al Paese orizzonti

completamente nuovi”329.

Sui giovani gravava ancora il peso di un sistema di valori immutato dal secondo dopoguerra. Alla

metà del decennio esplose la discussione sulle opere di Renzo De Felice: non soltanto l’opinione

pubblica e il mondo culturale italiano si trovarono di fronte alla ricostruzione defeliciana e alle novità

interpretative proposte, ma anche dentro la galassia missina si avviò un dibattito critico e a tratti

sofferto. Tarchi ha detto:

“Al contrario di quel che spesso si sostiene, non c’è nessun tentativo di appropriazione

dell’opera di De Felice da parte del Msi. Tant’è vero che, quando scoppia lo scandalo

determinato dall’uscita della sua Intervista sul fascismo, nel 1975, il biografo di Mussolini

ha buon gioco nel ricordare, a chi lo accusa di fornire argomenti ai nostalgici, che in realtà

da quella parte gli erano arrivate soprattutto critiche. Ed era vero: anche perché in quel

momento le tesi defeliciane non si erano ancora spinte, com’è avvenuto poi negli anni

Ottanta, fino alla confutazione del paradigma antifascista”330.

E in merito al giudizio di Renzo De Felice sulla non riproducibilità del fascismo, Tarchi ricorda

che, anche tra i più aperti pensatori di destra (citando il caso di Enzo Erra):

“[…] emerge come ogni proposta di storicizzazione del fascismo veni[va] vista in quel

periodo come una sorta di minaccia alla capacità propulsiva dell’area missina […] nel

presente. Come se consegnare al passato l’esperienza fascista fosse un atto destinato,

328 Ivi, p. 227 329 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggiero), op. cit., p. 99. 330 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni…, cit. p. 106.

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volontariamente o meno, ad anestetizzare l’impatto della tesi dell’alternativa al sistema

che il radicalismo di destra proponeva”331.

È il caso emblematico, quello della revisione del passato fascista, che testimonia l’irremovibilità

missina sui riferimenti ideologici, o meglio: sul giudizio del ventennio, il quale finì per costituire esso

stesso un dogma. Sebbene gli anni Settanta fossero molto lontani dal dopoguerra, la funzione

dell’inammissibilità della discussione dei valori dell’area era sempre quella di preservare l’identità.

Pasquale Serra, rileggendo la storiografia sulla destra e le correnti ideologiche del neofascismo, ha

notato che fino alla svolta di Fiuggi:

“[…] è ovvio il riferimento al fascismo da parte di tutto il Msi e per tutto il dopoguerra.

Siccome l’unico nucleo unificante della comunità dei reduci è l’«estraneità» all’Italia

repubblicana, non vi è per il Msi altra forma di identità, diversa da quella fascista”332.

L’opinione non del tutto positiva su De Felice mutò di segno non appena lo storico venne isolato

dall’accademia italiana.

“L’ingenuità storiografica di cui diede prova l’estrema destra nel suo dibattito interno

sull’Intervista defeliciana si spiega con il peso di un’identità politica forte. Abbacinata

dalle benemerenze anti-antifasciste che essa credette si fosse guadagnato De Felice, lo

arruolò idealmente nelle proprie file. La stessa urgenza con cui avvenne l’annessione

dimostra quanto giudicasse inadeguata la propria tradizione «agiografica», quella

rappresentata dai Giorgio Pisanò e dai vari memorialisti: spendibile certo nei confini

dell’area, ma inutilizzabile nel mercato politico più ampio”333.

L’“ingenuità storiografica” a cui si riferisce Germinario potrebbe essere letta alla stregua di un

riconoscimento di inadeguatezza, per dirla ancora con il politologo, e dunque in ultima analisi, una

sorta di ammissione della necessità di apertura all’esterno, per mezzo di pensatori non organici. Però,

De Felice entrava a fare parte degli autori ammirati dalla destra, in virtù di una pregiudiziale anti anti-

fascista e non per via della sua interpretazione storiografica o del giudizio in fin dei conti negativo

sulla precedente “tradizione storiografica”; lo storico era soltanto un altro soldato da annoverare nelle

fila dei neofascisti non tanto per l’alterità al partito, quanto per le critiche ricevute da sinistra che lo

rendevano un candidato perfetto.

Pur essendo cresciuti nel MSI e nelle sue organizzazioni collaterali, le giovani generazioni

chiedevano di rompere gli steccati del passato per tentare una strada nuova. Certo, la revisione ex post

dell’esperienza politica di alcuni militanti è un dato da considerare; tuttavia, la convinzione di

331 Ivi, p. 107. 332 Pasquale Serra, op. cit., p. 329. 333 Francesco Germinario, Da Salò al governo…, cit., p. 90.

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appartenere ad un partito bloccato e senza futuro era ben più di un’impressione passeggera. Nella

temperie culturale e nel clima violento della metà del decennio, tutti i giovani di destra erano

insoddisfatti del lavoro del vertice. A loro dire mancava una strategia più moderata e aperta per alcuni,

più radicale e di rottura per altri, e ancora si sentivano usati come braccio elettorale o come servizio

d’ordine, nessuno si percepiva protetto dall’ombrello istituzionale missino. In altre parole,

l’immobilismo sia strategico, sia ideologico non piaceva a nessuno.

Gianni Roberti ha sostenuto che il MSI perse l’opportunità di cambiare in seguito alla sconfitta

referendaria del 1974. Davanti al fallimento delle speranze missine di rientrare nell’orbita di

influenza, seppure esterna, della DC e di fronte all’isolamento della destra:

“[…] diventava perciò ancora più urgente e necessario operare al più presto quel radicale

mutamento della fisionomia esterna del partito con la contemporanea revisione dei suoi

contenuti e modalità d’azione politica, concordemente decisi nel nostro Congresso e nelle

successive riunioni estive: spostare cioè il nostro interesse ed attività verso la

comprensione e lo studio dei problemi concreti, onde formulare nostre proposte di

soluzione attuabili nella presente situazione politica italiana, comunque la si voglia

giudicare, e non ipotizzabili invece soltanto sulla base di diversi, anche se auspicabili,

impostazioni politiche e morali.

Solo così avremmo potuto reinserirci positivamente nella normale dialettica politica

democratica […]”334.

Qualcosa si mosse nel tardo autunno del 1975, poiché oltre ai giovani, a storcere il naso verso la

linea almirantiana furono anche alcuni quadri missini. Al Ministero dell’Interno giunsero numerose

riservate da parte delle prefetture d’Italia nel dicembre del ’75; il 22 novembre era stata aperta la

“Costituente di Destra”, che avrebbe dovuto rilanciare la forma e la sostanza della proposta missina

con il fine di coagulare un vasto settore dell’opinione pubblica moderata attorno alla destra, appunto.

Una destra nuova quella della Costituente, sganciata dal passato e in difesa della libertà, che tentò

subito di ottenere una sponda negli Stati Uniti d’America: non vi fu nessuna apertura, né tantomeno

alcun finanziamento per la campagna elettorale dell’anno successivo335.

Ignazi riduce ai minimi termini l’esperimento riconducendolo ad una mera iniziativa del

segretario:

“Almirante rispolvera l’immagine del partito disposto ad accordi per fronteggiare

l’ondata comunista e per spezzare l’«arco costituzionale» ma i suoi appelli cadono nel

vuoto. A nulla vale l’operazione «Costituente di Destra» cioè la confluenza nelle file

334 Gianni Roberti, op. cit., pp. 307-308. 335 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., p. 175.

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missine di questo movimento, costituito nel novembre 1975 da due democristiani

integralisti, Puro Giacchero e Agostino Greggi, interpreti delle frange ultramoderate

dell’area cattolica; si tratta di un pallido simulacro del progetto «Destra Nazionale»: la

risonanza esterna e il prestigio dei leader coinvolti sono inversamente proporzionali

all’enfasi con la quale tale operazione viene riportata nella stampa del partito”336.

Parlato, al contrario, ha scritto che:

“Le presenze, o le adesioni, più significative non erano politiche: si trattava di

professionisti, di docenti universitari, di imprenditori, genericamente di destra, che nella

maggior parte dei casi si avvicinavano per la prima volta alla politica […]. Chi era

intervenuto, come osservatore o come aderente, lo aveva fatto in un momento in cui

avvicinarsi a una realtà di destra poteva essere pericoloso; si trattava quindi di un evento

di estremo interesse dal punto di vista ‘prepolitico’ che però, per diventare rilevante

politicamente, avrebbe avuto necessità di ben altra propulsione a livello organizzativo e,

in qualche modo, anche una maggiore autonomia - programmatica e operativa - dal Msi-

dn”337.

In un documento della Prefettura di Ravenna al Ministero è ben spiegato quanto sostiene lo storico

Parlato. Si legge nella prima pagina della relazione, basata su notizie di una fonte fiduciaria:

“Risulta, inoltre, che gli esponenti provinciali del M.S.I., in attesa di conoscere il

contenuto del ‘documento programmatico’ preannunziato dal predetto ‘Comitato di

Presidenza’, non sono dell’avviso di prendere direttamente alcuna iniziativa, ma

avrebbero, invece, sollecitato elementi estranei al partito ad assumere l’iniziativa stessa,

suggerendo, sulla falsariga di quanto avvenuto in altre città, fra le quali Catania, la

costituzione di un ‘Circolo provinciale’, del quale entrerebbero a far parte, solo in un

secondo tempo gli stessi missini. Ciò, secondo quanto è stato riservatamente riferito, allo

scopo di non creare possibili preclusioni dettate da antagonismi di carattere politico.

Gli stessi dirigenti del M.S.I. avrebbero, però, in animo di impegnare localmente i propri

iscritti nella costituzione di un’altra organizzazione politica, avente fini analoghi a quelli

della ‘Costituente’, denominata ‘Fronte Articolato Antimarxista’ che, pur figurando come

diretta emanazione del M.S.I.-D.N., non escluderebbe la successiva adesione alla stessa

‘Costituente’”338.

336 Piero Ignazi, Il polo…, cit., p. 172. 337 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., pp. 181-183. 338 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/67, Prefettura di Ravenna, 17 dicembre 1975, p. 1.

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Romualdi spiegò, per fugare ogni dubbio di scioglimento del MSI in seguito al progetto della

Costituente di Destra, che:

“Vuole essere cioè il tentativo di raccogliere intorno al MSI-DN, attraverso un libero

processo di agglutinamento sparse forze della Destra politica italiana ovunque siano e in

qualunque parte politica militino: organizzazioni culturali, morali, religiose, economiche,

sindacali, categorie, gruppi o individui, tutti gli italiani ancora decisi a difendere dal

comunismo la loro libertà, i loro interessi e i valori in cui credono.

La Costituente della Destra politica italiana - ha concluso Romualdi - non è e non deve

essere quindi una operazione di vertice, fatalmente destinata a dar vita ad altre formule

aride, svuotate di ogni forza vitale ancor prima di nascere. Ma una iniziativa aperta a tutti

i contributi; una idea da realizzarsi attraverso una vasta operazione di opinione pubblica,

nella certezza di promuovere un grande movimento popolare, in difesa degli interessi

vitali della Nazione, incominciando intanto a coprire l’area umana e politica,

ingloriosamente abbandonata al suo destino dalla fallimentare politica della DC e dei suoi

soci del centro sinistra”339.

Almirante si recò a Genova all’inizio di dicembre del 1975, per incontrare “funzionari e

simpatizzanti del partito e ricevendo successivamente diverse persone fra le quali il Sostituto

Procuratore della Repubblica, dott. Mario Sossi”. Gli occhi e le orecchie attenti della Prefettura

riportarono che la pregiudiziale anticomunista rimaneva il perno della strategia missina, nonostante

la battaglia fosse da combattere oramai contro tutti gli altri partiti, e pure i media; tuttavia

l’esperimento della Costituente di Destra stava riscontrando consensi in ambienti moderati non certo

vicini al neofascismo prima di allora340.

Il viaggio di Almirante negli Stati Uniti fu una sconfitta giacché gli USA “preferirono puntare

ancora sulla Dc”341. In un’intervista rilasciata a L’Europeo, al suo ritorno, il segretario affermò di

avere trovato “orecchie attente” e di essersi messo a disposizione senza condizioni per l’interesse

nazionale. Tuttavia, fu lo stesso leader missino a dichiarare: “Debbo dire che noi torniamo, da questo

punto di vista, senza illusioni, naturalmente, senza facilonerie, senza sopravvalutare quello che

abbiamo potuto far realizzare con le nostre parole […]”342. Per Parlato:

339 Afus, Archivio Nino Tripodi, serie 2 sottoserie 2.5, Il Secolo d’Italia, 31 luglio 1975, p. 1. 340 ACS, Ministero dell’Interno, f. 195 P/35, Prefettura di Genova, 15 dicembre 1975, pp. 1-2. La citazione è di pagina

1. 341 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., p. 177. 342 Afus, Archivio Nino Tripodi, serie 2 sottoserie 2.5, L’Europeo, 10 ottobre 1975.

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“Il problema del Msi era duplice: essere un partito neofascista, che per gli americani non

era un handicap da poco, ma soprattutto essere statalista in economia, elemento che per i

repubblicani americani significava comunismo o poco meno”343.

Insomma, il MSI non ottenne granché da punto di vista relazionale, né tantomeno da quello

economico. Certamente l’avvicinamento del PCI alle ragioni del blocco occidentale influì nel viaggio

oltreoceano dei missini; inoltre, il mutamento della politica democristiana e i considerevoli risultati,

per la sinistra, alle elezioni amministrative della primavera del 1975 resero necessario per i neofascisti

trovare sponde esterne. Il partito, dunque, rimase in una condizione economica precaria, elemento da

non sottovalutare nel burrascoso 1976 del MSI.

Il romualdiano Mantica ha dato una lettura del fenomeno da un’altra prospettiva:

“Io ero romualdiano e con me pochi altri, le percentuali della corrente erano basse. Una

cosa che ci differenziava da tutti era che non avevamo e non pensavamo di avere la verità

in tasca, molti altri dicevano ‘il duce aveva sempre ragione’, discorsi di questo tipo

insomma. Quando ci fu Democrazia Nazionale vi fu un attimo di sbandamento, le idee

erano buone e le cose che dicevano quelli di Democrazia Nazionale erano interessanti.

Nacque una discussione sulla bontà della scelta, sulla tempestività, sugli aiuti; Romualdi

ad un certo punto disse: ‘io li odio quelli di Democrazia Nazionale perché mi impediranno

di parlare di destra per altri cinque anni in questo partito’. Da lì in poi cominciarono gli

epiteti ‘badogliani’, ‘venticinqueluglisti’ per qualsiasi opposizione interna. Io chiesi a

Romualdi in persona perché non si candidava seriamente per fare il Segretario del MSI,

in fondo il curriculum ce l’aveva. Mi rispose dicendomi: ‘ma voi pensate che il Segretario

del MSI lo scelga il MSI?’”344.

Per Roberti, Democrazia Nazionale sarebbe dovuta diventare la leva del cambiamento interno al

partito, oramai sempre più immobile e cristallizzato:

“Pensavamo con tale iniziativa di poter istituzionalizzare, sia nella base che soprattutto

negli organi del partito, una dialettica politica che, attraverso la legittima manifestazione

del dissenso ed il confronto delle tesi, potesse ricondurre il partito su un binario di

normale attività e convivenza politica, e determinasse opportune modifiche nella guida

del MSI, senza consentire comode confusioni e falsi unanimismi verbali, cui seguiva la

statica permanenza sulle precedenti posizioni, con accuse di indisciplina e sedizione per

chi volesse criticarle o allontanarsene”345.

343Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., p. 177. 344 T.a.a. ad Alfredo Mantica, raccolta il 9 dicembre 2016 a Milano. 345 Gianni Roberti, op. cit., p. 340.

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Sebbene possa sembrare un anacronismo, venne battuta anche la strada della questione di genere.

Il MSI occupò lo spazio lasciato libero dagli altri partiti in capo alle rivendicazioni femminili, di tipo

sociale e politico, che, specialmente in ambienti radicali e di sinistra, si fecero più forti negli anni

Settanta. Nel 1976 venne costituito un “Comitato femminile per i problemi della donna”, all’interno

del FdG, al fine di

“rendere più incisivo e determinante il ruolo della donna di Destra nella società e di

intensificare sul piano politico, culturale, economico e sociale la sua preparazione ad una

presenza nella vita del Paese”.

Non fu un’iniziativa estemporanea: Almirante in persona era stato coinvolto ed aveva concesso

l’utilizzo di “una pagina quindicinale” sul Secolo “per affrontare e dibattere i problemi della

donna”346. Il muro di protezione che la galassia neofascista si era costruito attorno cominciava a

mostrare le prime crepe, i giovani guardavano realmente al di fuori dei classici riferimenti ed

assorbivano temi, battaglie e financo il linguaggio del periodo. La concessione di maggiori spazi alle

donne, alla loro voce, era un’altra prova di apertura per intercettare consensi esterni, in linea con il

crescente dibattito sulla questione di genere e lo spazio della componente femminile nella società.

Il 28 marzo si svolse il Convegno nazionale sulla disoccupazione giovanile ed intellettuale, a

Napoli, ed il FdG progettò di insistere attraverso la propaganda su questo tema; infatti, tutte le sezioni

vennero invitate a “sensibilizzare la pubblica opinione”, con i manifesti mandati dalla segreteria

nazionale del FdG, con l’obiettivo di danneggiare la maggioranza parlamentare in carica. Nel

documento conclusivo del convegno, la critica al “centro-sinistra” muoveva dalla constatazione

dell’elevata disoccupazione giovanile, frutto non della congiuntura economica particolarmente

sfavorevole, bensì, a dire del FdG, delle

“Responsabilità, dunque, gravissime per l’attuale classe politica al potere. Responsabilità

che vanno individuate e colpite se, effettivamente, si vuole evitare di ripetere gli stessi

errori, che si possono identificare nei seguenti punti:

a) Innanzitutto la forsennata politica economica del centro sinistra, accompagnata per

anni dalla estra [sic] instabilità del potere legislativo ed esecutivo che hanno dato luogo

ad una miriade di provvedimenti contraddittori, varati nell’ambito della lottizzazione del

potere nella concezione clientelare dei partiti;

b) La costante azione punitiva nei confronti della economia privata, accompagnata dalla

demagogia sindacale di regime tesa alla distruzione delle strutture economiche;

c) La mancata programmazione dell’istruzione professionale in riferimento alle reali

possibilità di sbocco occupazionale;

346 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1976, 14 aprile 1976.

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d) La dequalificazione dei titoli di studio dovuta alla concezione della scuola di massa in

senso livellativo”347.

Lo scioglimento delle Camere, dichiarato il 30 aprile del 1976 dal presidente Leone (in seguito

all’esplosione dello scandalo Lockheed), fu deleterio per l’MSI, sebbene fosse una forza

completamente al di fuori dai giochi del compromesso storico:

“A questo punto per la destra si mise molto male; il progetto della Costituente era appena

abbozzato e il partito era in difficoltà, sia dal punto di vista organizzativo, sia da quello

morale: divisioni interne, sospetti e tensioni non favorirono una campagna elettorale

improvvisata sulla quale pesava la carenza di fondi, visto anche l’insuccesso del viaggio

di Almirante negli Usa.

Alla notizia delle elezioni anticipate, della Costituente non si parlò più e si rimandò tutto

a dopo la consultazione; le liste missine, tuttavia, furono indicate come ‘Costituente di

destra per la libertà - Movimento sociale italiano Destra nazionale’: un dettaglio formale

che però risultò fondamentale ai fini della scissione”348.

3.3 Omicidi e violenza politica: il neofascismo giovanile al bivio

Il periodo descritto in questo capitolo, che copre gli anni centrali del decennio, fu teatro di alcuni

fra i più sanguinosi episodi della strategia della tensione e del durissimo scontro di piazza tra fazioni

politiche opposte. La violenza raggiunse un livello mai esperito nella storia repubblicana,

configurando in molte fasi una sorta di guerriglia civile combattuta da giovani e giovanissimi. Dalla

morte dell’agente Marino, il neofascismo si trovò costretto a fare i conti con la violenza all’interno

della galassia di destra: inizialmente vedendosi costretto a rispettare le norme imposte dalla segreteria

ai militanti; in seguito, però, attraverso una elaborazione attenta degli eventi che portò le anime

giovanili a dividersi. Massimo Anderson ha riletto a posteriori quella travagliata fase di

ripensamento, sfociata in un distacco della componente moderata con quella radicale:

“[…] vorrei segnalare un tipo di forma mentis con cui fummo costretti a scontrarci. In un

partito in cui il termine ‘democrazia’ era usato con molta parsimonia e in cui i principi

dell’ordine, dell’autorità e della disciplina erano considerati prioritari e inattaccabili, il

nostro ‘messaggio di libertà’ determinò perplessità e interrogativi. L’ala del Msi che si

era sempre riferita alla politica di Michelini fu ben lieta di constatare che la dirigenza

347 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1976, 2 aprile 1976. 348 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., p. 196.

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giovanile, anziché attestarsi sulle posizioni di un ‘rivoluzionarismo’ irrazionale, si era

avviata stabilmente sulla strada di un sostanziale ‘realismo’; ma tutti gli altri,

specialmente al livello di ‘base’, la ‘dimensione’ nella quale operavamo quotidianamente,

cominciarono a recepire le nostre teorie con una certa inquietudine. Non era tanto

l’istanza di libertà che infastidiva (tutti, nel Msi si dichiaravano sostenitori della libertà,

anche perché ognuno ne aveva un concetto del tutto personale), quanto la disinvoltura

con la quale affermavamo di accettare il ‘pluralismo’ politico e sindacale. La domanda

più frequente che, con un tono di sostanziale rimprovero, ci veniva rivolta era la seguente:

com’è possibile conciliare il ‘pluralismo’ con un tipo di società in cui la ‘partitocrazia’

sia posta in condizione di non prevaricare gli interessi generali della comunità? E

aggiungevano: perdurando la ‘pluralità’ dei partiti, delle fazioni e delle consorterie, come

si potrà difendere, in un ipotetico futuro, un ipotetico tipo di società permeato dai valori

di destra?

Quando simili ‘contestazioni’ ci venivano espresse, comprendevamo la considerevole

diversità di mentalità che ci separava dai nostri interlocutori. In primo luogo perché, nella

realtà, l’unica alternativa al ‘pluralismo’ è il partito unico, una soluzione che può essere

applicata esclusivamente nell’ambito di quello Stato totalitario che, piaccia o non piaccia,

è stato irrevocabilmente condannato dalla storia. E in secondo luogo perché i nostri

contestatori dimostravano, sostanzialmente, di ignorare il concetto di democrazia. Anche

noi, naturalmente, congetturavamo un tipo di società caratterizzata da una nuova identità

di destra, ma intendevamo favorirne il successo attraverso il confronto costante con le

altre forze politiche, verso le quali assumevamo un atteggiamento di ‘concorrenzialità’

ponendo al bando gli estremismi infantili e tentando di superare gli avversari attraverso

la capacità di proposta e la ricerca del consenso”349.

Tarchi sostiene che, a metà degli anni Settanta, sul piano culturale avvenne una rottura, non

simbolica ma sostanziale, nei giovani. Prendendo le mosse dalla fine del “predominio dell’evolismo”

tra i giovani neofascisti350, il politologo toscano evidenzia in che modo la contraddizione tra anima

legalitaria e sensibilità rivoluzionaria del MSI produsse un cortocircuito tra le giovani generazioni, al

netto dell’impossibilità di far convivere quei due poli ideologici:

349 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggiero), op. cit., pp. 102-103. 350 La prima educazione culturale che i giovani neofascisti ricevevano comprendeva sempre un testo di Evola, sebbene

non tutti i giovani siano definibili come seguaci del filosofo. Negli anni Settanta, però, la diffusione del pensiero

evoliano comincia ad arretrare. L’espressione è citata in: Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni,

cit., p. 116.

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“L’idea rautiana di coniugare strategia della Destra Nazionale e aspirazioni rivoluzionarie

viene smentita dai fatti. E tra i giovani si diffonde la sensazione di dover fare tabula rasa.

È un periodo molto difficile per i giovani del Fronte della Gioventù, esclusi dalle sedi

naturali del dibattito nelle scuole e nelle università. La loro stessa esistenza è vista oramai

come intollerabile affronto alla natura antifascista della democrazia italiana. E non solo

dall’estrema sinistra, ma da tutte le altre forze politiche, che impongono a livello

giovanile, in maniera ancor più rigida, la logica dell’arco costituzionale.

A questo punto molti giovani missini prendono a interrogarsi sulle ragioni della condanna

implacabile di cui sono oggetto. E vengono progressivamente contaminati dai coetanei di

sinistra, in un processo inizialmente involontario e subito, più tardi volontario e talvolta

cercato. È un successo indesiderato della cultura sessantottina, che penetra anche nel

fortilizio dell’avversario più odiato. Tutto ciò che si verifica nell’area giovanile

neofascista dal 1974 in poi, in termini di mutamento del linguaggio e apertura

intellettuale, va ascritto a suggestioni di questo tipo”351.

La penetrazione culturale consentì anche di rompere l’egemonia della sinistra in storiche roccaforti

rosse. Luciano Laffranco, divenuto Presidente del FUAN nel 1973 dopo la manciata di mesi di

reggenza Armando Plebe, precisò che non appena nel MSI si parlò di “alternativa al sistema”, in

chiave propagandistica, gli universitari neofascisti declinarono l’espressione in una proposta concreta

per guadagnare posizioni negli organi rappresentativi degli atenei. Il FUAN tornò a puntare sul

corporativismo in senso ampio, come un modello sociale prima ancora che economico; ma, tornando

a puntare su uno dei temi cari al fascismo, Laffranco confessò implicitamente una declinazione in

termini di “superamento dei contrasti di classe” nella quale, verosimilmente, qualche influenza ebbe

la sinistra dell’epoca:

“Nel momento in cui il partito ritornava a parlare di alternativa al sistema il FUAN si

impegnò anche nella elaborazione dottrinaria scegliendo di sottolineare con vigore la

necessità di rivitalizzare il corporativismo, la sua interpretazione della vita, i suoi originali

criteri di superamento dei contrasti di classe e di rifondazione dello Stato sulle basi dei

valori della competenza, della selezione, del merito, della valutazione dell’impegno, del

riconoscimento del ruolo della volontà quale elemento di superamento dei

condizionamenti biologici e ambientali, come pilastro di un’organica alternativa al

sistema. […] Furono tempi nei quali riuscimmo a tenere affollatissime assemblee, alcune

delle quali in santuari rossi come Padova, come Modena [alle elezioni accademiche del

1975 il FUAN ottenne risultati positivi in sedi storicamente rosse come Pavia, in cui toccò

351 Ibidem.

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il 19%, Genova, 15%, fino ai massimi raggiunti a Teramo, 45%, e Chieti, 35% nda]. Ma

furono anche i tempi in cui il terrorismo cominciò a mietere le sue vittime perseguendo i

suoi fini di destabilizzazione da un lato e di criminalizzazione della destra dall’altro”352.

La sentita necessità di uscire dagli steccati missini faceva il paio con l’esigenza di eliminare ogni

legame con le componenti estreme; la ragione, oltre che culturale, era pratica. Difatti, se da un lato

gli apparati deviati scaricarono l’estremismo nero, dall’altro nell’estate del ’74 si scatenò per le strade

un’indiscriminata caccia al fascista, la quale si riverberò su tutti i militanti. Gli estremisti neri erano

rimasti senza appoggi e, di riflesso, mutò il clima, già teso, verso i militanti, i tesserati ed i semplici

simpatizzanti di destra:

“Le settimane immediatamente successive all’uno-due piazza della Loggia-Pian del

Rascino saranno particolarmente dure per la destra. La reazione dell’ultrasinistra, in tutta

Italia, sarà violenta e indiscriminata, creando le premesse per un salto di qualità e di

intensità nella guerriglia urbana […]. Decine di sezioni del Msi, ritenuto, più o meno

direttamente, collegato alla strage di Brescia vengono assaltate a colpi di molotov. Del

resto il sillogismo è quasi elementare: la strage è fascista-il Msi è il partito neofascista-il

Msi è responsabile della strage”353.

Paolo Zanetov è preciso nell’individuare nella sparatoria di Pian del Rascino un punto di non

ritorno per il neofascismo:

“Nella prima metà degli anni Settanta in tanti, a destra, si fanno irretire da piani strategici

o personaggi oscuri, ma oscuri perché facevano il doppio gioco. A guardare indietro

adesso molte cose sono chiare, ma allora no: la Guerra Fredda, i comunisti, le lotte, gli

ideali, l’idea di fare qualcosa che servisse. Ecco, più che la strage di Brescia è la morte di

Esposti ad aprire un po’ gli occhi a destra; infatti cambiò tutto”354.

Secondo Nicola Rao si trattò di un vero e proprio divorzio tra la destra e le forze dell’ordine:

“[…] il divorzio tra i neri e questi apparati sarà «consensuale». Se, cioè, da una parte i

giovani dell’estrema destra rompono il cordone ombelicale con i vecchi ambienti di

riferimento, anche nelle strutture militari e poliziesche dello Stato avverrà un vero e

proprio cambio di pelle e di generazione. Del resto, per motivi anagrafici, fino alla metà

degli anni Settanta molti ex fascisti erano stati alla guida di uffici e reparti importanti dei

servizi, delle forze dell’ordine e delle forze armate. Ma ora sono arrivate nuove leve,

352 Afus, Archivio Adalberto Baldoni, b. VIII M.S.I. FdG/Azione Giovane/ FUAN, Soggetti, f. 308, Contributo alla

storia del FUAN, pp. 17-19. 353 Nicola Rao, Trilogia…, cit., p. 540. 354 T.a.a. di Paolo Zanetov, raccolta il giorno 11 luglio 2018 a Roma.

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giovani e nient’affatto legate al vecchio regime. E per molti dirigenti e ufficiali, nostalgici

del tempo che fu, sarà il tempo delle vacche magre”355.

Lo stesso PCI esercitò una certa pressione per il ricambio istituzionale e al fine di razionalizzare

gli apparati di sicurezza e i servizi segreti, accusati di remare gli uni contro gli altri:

“il PCI non teme colpi di Stato militari, ma insisterà per ottenere lo allontanamento dai

posti di responsabilità di quegli elementi che ritiene siano orientati verso il M.S.I.-D.N.

L’azione delle Forze di Polizia nei confronti dei gruppi eversivi terroristici è ritenuta dai

comunisti decisamente insoddisfacente. Ne attribuiscono la causa solo in parte a

complicità e tolleranze nei confronti dell’estrema destra; fanno risalire le maggiori

responsabilità prevalentemente alle invidie, ai contrasti ed all’inutile spreco di energie

che la rivalità fra i vari corpi di polizia ha determinato in questi ultimi anni”356.

Subito dopo Brescia, la stampa di destra si scagliò contro il Ministro dell’Interno, Paolo Emilio

Taviani, un po’ com’era accaduto con piazza Fontana, rivelando i legami intercorsi tra il Viminale e

AN (attaccando, di fatto, uno dei gruppi di estremisti più vicini alla base del FdG):

“Per la destra neofascista, il ministro è il nemico numero uno che viene colpito in diversi

modi, non ultimo da una campagna di stampa. L’organo missino ‘Il Secolo d’Italia’, il 9

giugno, indica in Taviani il gestore del disordine, il primo responsabile dell’inerzia della

polizia, l’uomo che è venuto meno al dovere di vigilanza in occasione degli allarmi di

attentati del 2 giugno che anche il partito di Almirante aveva denunciato. […] Per

l’affondo contro Taviani, l’Msi cita documenti riservati provenienti dal Sid che rivelano

il vecchio legame tra il ministero e Avanguardia Nazionale, dove l’organizzazione

estremista è descritta come ‘gestita da organi del Ministero dell’Interno’”357.

Che si fosse trattato di divorzio tra gli estremisti neri e gli apparati deviati, oppure di una presa di

coscienza dei vertici istituzionali su quanto stava accadendo, è difficile da stabilire; non si modificò

il risultato: una recrudescenza degli scontri e l’inizio di un’estesa campagna antifascista. La violenza

praticata e subita divenne la regola da entrambe le parti; l’elemento diverso rispetto al passato, ossia

agli anni successivi al Sessantotto, fu la diffusione dei comportamenti violenti ad ogni livello. Barbara

Armani ha scritto:

“In molte aree urbane gli adolescenti degli anni Settanta hanno vissuto una precoce

socializzazione alla violenza, e in particolare alla violenza di segno politico. Praticata

355 Nicola Rao, Trilogia…, cit., p. 638. 356 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0007 c0010 d0261, Appunto del Centro C.S. di Genova del 3 giugno

1974, p. 6. 357 Mirco Dondi, op. cit., p. 391.

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nelle scuole e nelle piazze come una guerra per bande, una modalità del confronto politico

e un’adesione, più o meno meccanica, a un costume diffuso tra i «compagni» adulti”358.

Un costume che si trasformò ben presto in normalità e, dopo la destra, toccò alla sinistra fare i

conti con l’estremismo. La riflessione di Giovanni De Luna sull’esplosione di violenza rossa,

pubblicata ne Le ragioni di un decennio, individua due motivazioni: la prima è il semplice principio

di reazione alla violenza di estrema destra; la seconda sta nel mai risolto nodo del rapporto tra violenza

e sinistra:

“Con i gruppi che scelsero la lotta armata la tesi della ‘continuità dello Stato’ e della

‘nuova Resistenza’ si trasformò quindi nella pratica diretta dell’omicidio e della violenza

terroristica. Come fu possibile coniugare l’efferatezza e la crudeltà di quegli assassinii

con i valori della Resistenza? Probabilmente perché la sinistra con la violenza non aveva

mai fatto i conti esplicitamente. Lo schema prima delineato conferma come si potesse

credere ciecamente nella democrazia e tenere le armi nascoste nell’attesa di un’ipotetica

ora x”359.

Lo storico allarga lo spettro fino a identificare una notevole mancanza, quasi un’omissione,

all’interno del partito: la discussione sul ruolo della violenza a sinistra.

“A questo schema erano legate quelle istanze organizzative e burocratiche del Pci

riassuntivamente indicate con il ‘parapartito’. A partire almeno dalla seconda metà degli

anni ’50, queste strutture vennero progressivamente smantellate. Si trattò, però, di

un’operazione affrontata e gestita nell’ambito delle angustie burocratiche che, per

esempio, segnarono l’intera vicenda dell’epurazione di Pietro Secchia e degli altri uomini

del suo entourage, priva del respiro di una discussione allargata verso il basso in grado di

coinvolgere non solo il centro ma anche e soprattutto le realtà periferiche del partito”360.

Discorsi non certo nuovi, questi, per la destra, che si trovò in una situazione molto pericolosa dal

’74 in avanti; il bersaglio di molti gruppi sovversivi e terroristi di sinistra erano i neofascisti. Donatella

Della Porta, studiando l’estremismo nero, ha evidenziato due variabili che si applicano anche al

neofascismo non impegnato in programmatiche azioni violente, o peggio terroristiche. La quotidiana

e crescente brutalizzazione degli scontri, quelli non organizzati e spontanei, portava ad una diffusa

accettazione della violenza, la quale diveniva elemento comune e normale nelle relazioni con

qualsivoglia soggetto politico avversario. In aggiunta, la giustificazione difensiva della violenza,

generata probabilmente dalla sproporzione delle forze in campo, generò una frattura tra giovani e

358 Barbara Armani, op. cit., p. 78. 359 Giovanni De Luna, op. cit., p. 94. 360 Ibidem.

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MSI, considerato colpevole di non fare abbastanza sul piano politico e di perseguire una strategia

troppo moderata361.

A parere di Aldo Giannuli, inoltre, la struttura stessa del partito e delle sue organizzazioni

collaterali avrebbe contribuito alla tacita accettazione della violenza, a causa sia dell’assenza di

disciplina interna, sia della continua rincorsa dell’estremismo:

“Innanzitutto il modello organizzativo del partito, basato su larghe autonomie dei

movimenti collaterali (come il Fuan, la Giovane Italia, la Fncrsi, la Cisnal ecc.) e su una

netta prevalenza del gruppo parlamentare sugli organi centrali del partito, una soluzione

organizzativa forse necessitata dalla compresenza di anime diverse e per certi versi

opposte: i venticinqueluglisti e i salotini, i nostalgici del fascismo-movimento e quelli del

fascismo-regime, i monarchici ed i repubblicani, i cattolici tradizionalisti e gli imperialisti

pagani, i filoamericani e gli ‘europeisti’, i legalitari e i rivoluzionari, i sostenitori del

capitale pubblico e i fautori di quello privato.

D’altra parte, il Msi non aveva a disposizione gli strumenti che consentono ad un gruppo

dirigente centrale di imporre una ferrea disciplina interna ad un partito ideologicamente

disomogeneo: il controllo dell’apparato statale o le risorse per mantenere un forte

apparato funzionariale allineato alla segreteria. E neppure esisteva uno sponsor esterno -

come le Trade union congress per il Labour party inglese o l’Urss per molti Partiti

comunisti - in grado di legittimare una corrente piuttosto che un’altra, quale interprete

della linea ortodossa.

La conseguenza di questa soluzione ideologico-organizzativa fu che, per tutto il periodo

della prima repubblica, il Msi fu uno dei partiti con il più alto tasso di litigiosità correntizia

interna.

Si comprende che ciascuna corrente, alla ricerca di voti preferenziali e di tessere, cercava

contatti con l’area della destra extraparlamentare per concludere qualche accordo che

assicurasse un pacchetto degli uni e delle altre”362.

Ora, le “larghe autonomie dei movimenti collaterali” furono soltanto un miraggio per i militanti,

giacché il partito centrale disciplinava la pressoché completa gamma delle azioni; la ricerca di

appoggi degli extraparlamentari fu certamente parte della tattica almirantiana, prontamente

modificata in occasione del ’73. La stessa confusione ideologica e così pure la mancanza di strumenti

per esercitare una ferrea disciplina non inficiarono mai il potere della segreteria sulla base: un potere

simbolico, con continui richiami identitari dal sicuro impatto.

361 Donatella Della Porta, op. cit., pp. 129-131. 362 Aldo Giannuli ed Elia Rosati, op. cit., pp. 157-158.

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Si passò presto da una logica politica degli scontri ad una logica di piazza, nella quale il contrasto

era fine a se stesso e sempre giustificato. La sproporzione delle forze in campo, l’isolamento

istituzionale del MSI e la reazione dell’opinione pubblica ai gravissimi episodi della strategia della

tensione veicolarono un’ondata di insofferenza di molte componenti della società, quando non di

odio, verso il neofascismo. La ricezione e l’elaborazione mediatica dell’eccidio di Primavalle sono

un caso emblematico. Poco tempo dopo la strage della periferia romana, venne pubblicato il libro

Primavalle, incendio a porte chiuse363, un tentativo di controinformazione che mirava a dimostrare

come l’incendio nella casa dei Mattei fosse divampato a causa di una faida interna nella sezione

missina del quartiere, attraverso poco credibili ricostruzioni probatorie. Giampaolo Mattei, fratello di

Stefano e Virgilio morti nel rogo, ha scritto:

“È in questo clima che nasce il libro [quello di metà anni Settanta, nda]. Oltre all’omertà

politica, lo scopo è fornire alla propaganda e non solo a quella strumenti di conoscenza

per scagionare i tre che la magistratura ha individuato come i responsabili e dare una

spiegazione a quello che è accaduto. I verbali degli interrogatori di quella notte, i ritagli

di giornale, le perizie ordinate dal giudice istruttore e quelle della controparte, le

fotografie. Tutto tende a dimostrare che i tre sono innocenti e che l’incendio una faida

interna all’Msi […].”364.

Non è certo uno dei numerosi libretti di controinformazione, peraltro presenti sia a destra che a

sinistra in quel periodo, a destare interesse in questa tesi. In questo frangente cambiò il significato

dell’attività politica di destra per tutti i giovani coinvolti nelle strutture del partito; l’impressione di

essere perennemente sotto tiro, senza potersi servire dell’aiuto del partito come in passato, la

sensazione di essere diventati anche i bersagli preferiti dai media divennero parte del bagaglio

quotidiano del neofascista.

Il 28 febbraio 1975, durante il processo per il rogo di Primavalle, scoppiarono degli scontri tra la

sinistra e la destra fuori dal tribunale; lo studente del FUAN Mikis Mantakas venne colpito da due

proiettili e ucciso. Almirante pronunciò un discorso importante al funerale:

“Si tratta dunque di un crimine contro la giustizia, si tratta di un crimine contro lo Stato e

a questo punto il dilemma che noi già proponemmo diviene ancor più perentorio. Noi non

ci accontentiamo più di dire o lo Stato ci difende o noi ci difenderemo da soli. Diciamo

qualche cosa di più perché abbiamo il diritto e il dovere di dirlo non solo nel nostro nome,

non solo nel nome della Destra Nazionale ma a nome di tutti i cittadini per bene, a nome

363 Giampaolo Mattei (con Giommaria Monti), La notte brucia ancora. Primavalle. Il rogo che ha distrutto la mia

famiglia, Sperling & Kupfer, Milano 2008, pp. 57 e ss. 364 Ivi, pp. 57-58.

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di tutti gli Italiani che non vogliono che l’Italia sia soverchiata dalla delinquenza, dalla

violenza, comune o politica che essa sia. Diciamo, pertanto: o lo Stato si difende o i

cittadini hanno il diritto e il dovere di difendersi da soli e noi abbiamo il sacrosanto diritto

e l’alto dovere di interpretare e rappresentare, in termini morali, in termini di ferma difesa

della libertà, tutti i cittadini […].

Neppure in questa occasione io pronuncio la parola vendetta, ma non pronuncio

certamente parole di rassegnazione o di colpevole oblio, bensì di fermezza e di

coraggio”365.

Il mese successivo, a Milano, l’aggressione e la morte di Sergio Ramelli, avvenute rispettivamente

il 13 marzo ed il 29 aprile del 1975, sconvolsero il neofascismo giovanile366. Guido Giraudo, quasi

coetaneo di Ramelli e anch’egli militante del FdG, pubblicò un’inchiesta alla fine degli anni Novanta

insieme con altri militanti più giovani, nella quale veniva ricostruito minuziosamente il clima politico

attraverso l’inchiesta dei giudici istruttori Maurizio Grigo e Guido Salvini e i ritagli di stampa di quei

mesi. La lunga indagine che portò all’individuazione dei colpevoli sollevò pesanti accuse alle

organizzazioni extraparlamentari di sinistra, poiché -secondo l’inchiesta- dal 1974 avviarono una

sistematica campagna di caccia al fascista, di scontro perenne. In un passaggio del libro, nel quale

viene citata l’inchiesta ufficiale dei giudici istruttori, si legge:

“Da un lato l’assoluta omertà che caratterizza l’ambiente della sinistra extraparlamentare

(tutti coloro che vengono comunque a sapere del fatto sono legati da un vincolo

ideologico strettamente antistatale) dà la netta sensazione dell’impunità e garantisce quasi

con certezza che, anche questa volta, come in centinaia di altri casi, gli autori dell’agguato

non saranno mai individuati.

D’altro lato costituirsi raffigurerebbe una grave violazione dei doveri inerenti alla

militanza, non in un gruppetto di quartiere qualsiasi, ma in un’organizzazione rigidamente

marxista-leninista come Avanguardia operaia, che ne ricaverebbe grave danno, essendo

anche in procinto, con altri gruppi, di presentarsi alle elezioni amministrative del giugno

1975”367.

365 Afus, Fondo Eveno Arani, opuscolo “Controinformazione. Indagini sui fatti di via Ottaviano”, p. 11. 366 A destra si diffuse la notizia di un applauso nel consiglio comunale di Milano, appena giunse la notizia della morte di

Ramelli (citato in: Antonio Pannullo, op. cit., p. 169). Per la verità, non risultano evidenze che confermino l’episodio; si

può dire della verosimiglianza degli applausi da parte di qualche consigliere e così pure della freddezza con cui

venivano accolti episodi violenti ai danni dei neofascisti, ma l’applauso di tutto il consiglio. L’aggressione e la morte di

Ramelli colpirono l’opinione pubblica per la brutalità e per il profilo del ragazzo, non certamente un estremista. La

propaganda politica degli anni Settanta fece il resto. Il racconto degli ex militanti esagera una condizione di

marginalizzazione ed esclusione sociale, non soltanto politica, dei militanti missini che mai come in questi episodi

sentivano il peso delle mura del ghetto in cui erano confinati. 367 Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo, Paolo Severgnini, Sergio Ramelli. Una storia

che fa ancora paura, Sperling & Kupfer, Milano 2007, p. 68.

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Quello che rileva, in questa sede, non è né addentrarsi nei meandri di inchieste e sentenze, né

tantomeno soffermarsi su episodi violenti per descriverli in dettaglio. Conta quel sentimento di

precarietà, la paura di essere sempre braccati e sotto attacco che condizionò i giovani di destra alla

metà degli anni Settanta. Forse, questa insicurezza generalizzata fu una delle cause che portarono, da

una parte, la base giovanile a rimanere aggrappata a posizioni più radicali rispetto al vertice (come

denunciava Massimo Anderson), e, dall’altra, a generare una spaccatura tra il partito e la sua

organizzazione giovanile. Pur trattandosi di ipotesi, quella del mutamento di condizioni ambientali

rimane certamente una variabile da considerare.

L’ordine pubblico era salito in cima all’agenda del Parlamento e a maggio del 1975 si votò per

decidere sul testo della Legge Reale; il missino Ernesto De Marzio tenne un discorso denso alla

Camera dei Deputati il 22 maggio del 1975, nel quale affrontò il tema della violenza in un passaggio

delicato sia della storia nazionale, sia di quella del suo partito. Per la prima volta un quadro del MSI

riconosceva la violenza di segno nero; un’ammissione senza ricorso alla classica retorica della

risposta agli attacchi e della autodifesa:

“Esiste una violenza di destra. Vi sono stati numerosi episodi di assalti a sedi di altri

partiti, di aggressioni, di risse; talvolta si è addirittura scatenata la furia omicida, come è

avvenuto recentemente a Milano, dove un povero giovane ha perduto la vita. Alcuni di

questi violenti provengono dalle nostre file”368.

I giovani non accettarono di buon grado il passo indietro e l’ammissione di De Marzio, perlomeno

non in un primo momento. La frattura tra FdG e partito divenne evidente in occasione della morte del

giovane Mario Ziccheri, colpito la sera del 29 ottobre 1975 appena fuori da una sezione missina della

Capitale, in seguito alla scarica di colpi di un commando di estremisti rossi. Al funerale esplose una

violenta protesta del FdG romano contro il partito e il suo segretario, reo di non avere difeso

abbastanza e di avere scaricato i giovani369. Vi furono diverse manifestazioni di protesta, “un clima

da guerra civile”370 e i conseguenti provvedimenti di espulsione e allontanamento dal partito per

molti. Fini ha ricordato:

“Il FdG era lealista, in certi momenti è stato molto critico specialmente in caso di episodi

gravi, cioè quando veniva ammazzato qualcuno. I richiami alla calma di Almirante e del

vertice non piacevano ai giovani, perché la tentazione della ritorsione era forte. In

occasione della morte di Zicchieri io stesso rischiai di essere espulso e solo Donato La

Morte mi salvò. Nacque a livello di base Lotta Popolare e la contestazione nei confronti

368 Riportato in: Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., pp. 162-167. La citazione è a pagina 165. 369 Nicola Rao, Trilogia…, cit., pp. 200-202. 370 Ivi, p. 201.

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del partito crebbe, si contestava la linea troppo moderata e democratica del vertice del

partito […]; non ricordo chi ebbe l’idea di manifestare con una fascetta verde contro il

partito stesso, Almirante non la prese bene: c’ero anche io in piazza. Il vertice del FdG

poi lasciò in blocco dopo la scissione di Democrazia Nazionale. […]. Significava che

quando uscivo di casa alla mattina speravo di rientrare la sera e non sempre potevo

dormire a casa, perché quando accadevano incidenti o fatti gravi la paura era giustificata.

Chi rimaneva ci credeva davvero”371.

Le nuove norme sul tesseramento del 1976 insistevano sulla specchiata condotta dei militanti e

tesserati nell’orbita missina:

“Non potranno essere accettate iscrizioni o rinnovi per i giovani che:

a) abbiano riportato condanne penali o abbiano carichi pendenti per reati comuni;

b) abbiano comprovati contatti politici e operativi con formazioni a carattere

extraparlamentare o, comunque, con organizzazioni che abbiano finalità contrastanti con

gli orientamenti politici e programmatici del MSI-DN [punti a) e b) sottolineati nel

documento, nda];

c) abbiano assunto un atteggiamento insistentemente indisciplinato, contribuendo, con

atti rilevanti, a discreditare il Partito ed il ‘Fronte’ nei confronti della pubblica opinione

e a compromettere la credibilità della linea politica unanimemente adottate nel corso del

X Congresso nazionale del MSI-DN.

Prima di adottare il provvedimento di rigetto della domanda di iscrizione o di rinnovo, i

Segretari Provinciali del ‘Fronte’, unitamente ai Segretari Federali del MSI-DN, avranno

cura di esperire opportuni accertamenti e verifiche, anche attraverso colloqui con gli

interessati [anche quest’ultimo paragrafo è sottolineato nel documento, nda]”372.

Il terremoto di Democrazia Nazionale stava per arrivare e gli effetti si sarebbero riverberati anche

tra le giovani generazioni.

371 T.a.a. di Gianfranco Fini, raccolta a Roma il 9 dicembre 2016. 372 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1976, 27 gennaio 1976, pp. 2-3.

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Capitolo IV: Verso un altro neofascismo

4.1 La scissione di Democrazia Nazionale e le crepe nella “comunità umana” della destra

Le elezioni politiche di giugno occuparono i pensieri e le giornate dei neofascisti a partire dalla

primavera. Si temeva una perdita di consensi e si cercò di lavorare per limitare i danni, anche in

seguito alle circostanze negative per il MSI. La vittoria della corrente morotea al Congresso del ’76,

eventualità non gradita alla Fiamma, sancì definitivamente l’impossibilità di un’apertura verso destra;

contestualmente, lo scandalo Lockheed e le conseguenti dimissioni del Presidente della Repubblica,

contribuirono a peggiorare la situazione, accelerando i tempi ed anticipando la chiusura del cantiere

della Costituente di destra373. L’esito fu una retrocessione annunciata, rispetto al risultato raggiunto

solo quattro anni prima: il MSI perse più di due punti e mezzo percentuali sia alla Camera che al

Senato. Di conseguenza, si aprì ufficialmente una crisi interna.

Uno dei periodi più difficili della storia missina fu caratterizzato, perlomeno nella fase iniziale,

dalle critiche verso Almirante, che si levarono eterogenee e da più parti; a parere di chi scrive, ha

ragione Ignazi ad individuare in esse il nucleo della rottura dell’unitarietà del partito374, attorno al

quale le correnti articolarono successivamente le soluzioni da offrire per uscire dallo stallo. Nessuna

delle anime missine poteva dirsi soddisfatta della fissità della linea politica del segretario: né i rautiani

che di lì a poco costituirono una corrente, né tantomeno i moderati di scuola micheliniana pronti da

tempo a traghettare il partito verso il centro dello schieramento politico. La chiusura ermetica della

DC nei confronti dei neofascisti aveva eroso una consistente fetta di voti moderati anticomunisti;

inoltre, l’enorme balzo in avanti del PCI (sopra di sette punti percentuali in confronto al 1972) non

fece che aggravare la situazione.

Attaccare pubblicamente Almirante e fare della strategia del segretario oggetto di discussione

implicava un cambiamento non soltanto formale nella vita del MSI. In passato, la compattezza del

partito attorno alla figura del leader aveva certo lasciato spazio a discussioni e scontri tra portatori di

idee differenti; ed è pur vero che sotto la Fiamma stavano visioni molto distanti le une dalle altre.

Tuttavia, la crisi che si aprì nel 1976 non aveva nulla di paragonabile con il passato e prova ne furono

le dimissioni del segretario, presentate davanti all’Esecutivo Nazionale, che preoccuparono

fortemente tutta la destra italiana. Il neofascismo appariva in un vicolo cieco.

373 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., p. 196. 374 Piero Ignazi, Il polo…, cit., pp. 175 e ss.

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I giovani parteciparono al dibattito delicato che prese avvio in quei giorni e, finalmente,

affrontarono a viso aperto i problemi delle loro strutture istituzionali. I primi a parlare, accodandosi

ai parlamentari e ai personaggi di spicco, furono il segretario nazionale giovanile, Anderson, e il suo

vice, Pietro Cerullo: la parola chiave era rinnovamento.

“Il discorso di rinnovamento del partito, a detta di Cerullo, di Anderson, ma anche di

Delfino e De Marzio, che sull’argomento avevano insistito particolarmente, costituiva

una strada per arrivare a chiarire la ‘questione morale’ nel partito, la quale riguardava, da

un lato, la gestione amministrativa del Msi-dn e, dall’altro, la questione del rapporto con

la Dc nelle commissioni inquirenti, laddove si doveva votare per la messa in stato

d’accusa o per l’archiviazione di deputati o ministri, in genere democristiani”375.

Tra i documenti ufficiali del FdG, relativi al 1976, compaiono per la prima volta alcune circolari

firmate dal vice-segretario del FdG, Gennaro Ruggiero376. In una disposizione urgente del 24 giugno

1976 il braccio destro di Anderson richiamava tutte le sezioni provinciali a segnalare “i nominativi di

quei Segretari Provinciali o Reggenti giovanili che, avendo superato il 26˚ anno di età non possono

permanere nell’incarico di Dirigenti provinciali giovanili”377. Difatti, in seguito alla spaccatura

interna al MSI, la maggioranza almirantiana aveva sollevato la questione anagrafica dei quadri del

FdG; questa si era trasformata in una polemica dall’eco tanto vasta da portare, di lì a poco, lo stesso

Anderson a dimettersi, adducendo a motivazione ufficiale, oltre alla distanza politica dal leader,

proprio l’età. La richiesta di rinnovamento era stata prontamente girata a proprio favore da Almirante,

che non aveva mai applicato in maniera stingente i criteri anagrafici dello Statuto missino sulle

organizzazioni giovanili.

Un documento dell’8 luglio 1976, firmato dai leader del FdG e del FUAN, esprimeva il punto di

vista congiunto delle strutture giovanili sul futuro:

“Sul piano politico affermiamo che si debba uscire dalla presente ambiguità fra una

chiara, irreversibile e definitiva accettazione del valore e del metodo della libertà e del

pluralismo politico e sindacale e il persistere di integralismi e settarismi sempre puerili,

spesso mistificatori.

Come si deve chiarire che la Destra Nazionale non è reazionaria e moderata, ma è

popolare e d’alternativa, caratterizzata da una profonda vocazione sociale; e deve, perciò,

puntare non alle combinazioni di vertice, non alle formulette propagandistiche, non al

375 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata …, cit., p. 228. 376 Relativamente alla complessa organizzazione interna delle strutture giovanili si vedano le pagine 48-51 del Capitolo

I. 377 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1976, 24 giugno 1976.

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reclutamento dei fossili, ma al collegamento con i settori e le categorie reali e dinamici

della società, con ceti popolari e medi, con le nuove generazioni”378.

Parole sorprendenti che non andavano certo per il sottile nel linguaggio e nello stile, tanto da

apparire quasi come un ultimatum, e che muovevano allo stesso tempo richieste rivoluzionarie per il

MSI. L’accettazione del pluralismo e della libertà come metodo di azione politica, l’abbandono degli

estremismi e in particolare, viene da scrivere, dell’estremismo della nostalgia (“reclutamento dei

fossili”), la profonda vocazione sociale e il collegamento del partito con le classi medie e basse, con

i giovani, erano tutti elementi sui quali i giovani convergevano in maggioranza da tempo, ma che non

erano mai stati scritti in un documento ufficiale in quel modo. Ugualmente, non mancava una

valutazione sulla struttura:

“Sul piano organizzativo affermiamo che il Partito è sclerotizzato, sia per l’immobilismo

sia per l’elefantiasi degli organi e dei quadri.

Bisogna ridurre e selezionare, rinnovare e ringiovanire sul moto del merito e delle

capacità; cominciando dal vertice fino alla base.

Bisogna semplificare e snellire il Partito, riducendo drasticamente gli organi di comando,

individuando le attività e i settori essenziali e sciogliendo quelli secondari e superflui.

Bisogna sparlamentarizzare il Partito, dare autonomia all’apparato, far rispettare le

incompatibilità previste dallo Statuto, fissarne di nuove e provvedere alla rotazione dei

mandati elettorali e delle cariche interne”379.

È evidente come la critica all’ossatura del partito esplose nel momento di massimo immobilismo;

da quando Almirante era tornato al vertice, la confusione amministrativa era aumentata per due

ragioni. In primo luogo, il leader aveva tentato di avvicinare a sé le strutture parallele e le propaggini

della Fiamma: laddove esistevano già cariche e uffici detenuti da uomini del partito non vicini a lui,

lì erano state create altre strutture con compiti analoghi (basti pensare alla vicenda del FUAN). In

secondo luogo, sempre Almirante si era impegnato a neutralizzare ogni opposizione o ufficio che

potesse creare problemi alla linea cesaristica della segreteria, senza cancellarlo del tutto per non creare

conflitti aperti, ma sostanzialmente esautorandolo. Il risultato fu un’anomalia organizzativa che si

riverberò anche sulla galassia giovanile, la quale chiedeva a gran voce un riordino ed una maggiore

autonomia. La chiusa conteneva una chiara polemica sulla gestione delle procedure interne, troppo

scollegate dalla base e limitate ai “conciliaboli” di vertice:

378 Il documento è citato in: Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggiero), op. cit., pp. 223-224. Non è stato

reperito in archivio. 379 Ivi, p. 224.

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“Quanto al come e al quando, il rinnovamento e la ristrutturazione del Partito debbono

attuarsi alla luce del sole, mediante un libero e franco dibattito cui sia chiamata a

partecipare tutta la base militante del Partito, nel quadro di un Congresso Nazionale a tesi

e liste differenziate da convocarsi entro ottobre.

Non essendo ulteriormente tollerabile il costume dei conciliaboli e delle intese di vertice,

né il sistema dei colpi di mano e delle maggioranze artificiosamente costruite.

Su questi punti fermi e irrinunciabili chiediamo a tutti i militanti, in particolare a quelli

delle organizzazioni giovanili, di mobilitarsi, perché finalmente prevalga la linea del

rinnovamento e della partecipazione contro quella del congelamento e

dell’emarginazione”380.

La richiesta finale di FdG e FUAN era un Congresso, sede naturale nella quale discutere di tutti i

temi trattati con l’ampia partecipazione dei militanti e dei tesserati. In più, si rifiutava un’altra assise

unitaria, dove peraltro le discussioni non erano mai mancate, allo scopo di evitare che fosse il solito

Almirante a tirare le somme e, quindi, a pronunciarsi sugli argomenti proposti.

Oltre ai quadri, al dibattito presero parte anche le sezioni di base. La giunta provinciale giovanile

del FdG di Verona pubblicò, il 9 luglio del 1976, una lunga valutazione della crisi in corso. Forse per

un caso fortuito, oppure, più verosimilmente, per via dell’importanza dell’analisi promossa da una

delle realtà più importanti del neofascismo italiano, il documento è stato conservato in copia

nell’archivio della sezione di Latina. I giovani del FdG e del FUAN veronesi, difficili da collocare in

qualche corrente missina del tempo, intendevano pronunciarsi sul rinnovamento del partito e, in

generale, sul momento di difficoltà del MSI:

“noi riteniamo che la partecipazione dei giovani nazionali alla battaglia della Destra abbia

dato risultati estremamente positivi, malgrado il fatto che la battaglia elettorale si sia

svolta in condizioni difficili; e riaffermiamo che, oggi più che mai, il M.S.I.-D.N. è

l’unico punto di riferimento per quegli italiani che non vogliono cadere sotto la cappa di

piombo della dittatura comunista; inoltre avvertiamo l’esigenza di cambiare il quadro

politico del Paese, non per un inutile e sterile rinnovamento della società, ma per una

totale trasformazione delle strutture e della mentalità dello Stato”381.

Per questo motivo, i giovani di Verona chiedevano a gran voce una radicale trasformazione del

partito sotto il profilo organizzativo e un cambiamento di mentalità. Il testo è diviso per punti e si

380 Ivi, pp. 224-225. 381 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1976; il documento consta di una decina di pagine non

numerate; non datato se non nel foglio finale che riporta le firme del segretario provinciale del FdG e di quello del

FUAN; presumibilmente redatto tra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 1976 per i riferimenti alle elezioni politiche

e la richiesta di un momento di confronto assembleare tra base e vertice, che venne abbozzato nel Comitato Centrale

dell’11 luglio (in aggiunta, risulta inserito tra i fogli, in ordine cronologico, di giugno e luglio).

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occupa di proporre soluzioni nuove ai problemi del partito e delle strutture giovanili; il primo nodo

affrontato è quello del ringiovanimento della classe dirigente, giacché “applicando a vecchi uomini,

nuove etichette non si rinnova niente, ma si rischia di perdere tutto”382. Il secondo passaggio era una

stoccata diretta alla strategia almirantiana:

“Il credere che il semplice e solo anticomunismo sia sufficiente a mantenere o magari

allargare i suffragi fin qui ottenuti, è cadere in un macroscopico errore. Nessuna

possibilità di successo, secondo noi, esiste per il M.S.I.-D.N. senza che esso ritrovi la sua

matrice sociale. L’errore della Destra Nazionale, in questi ultimi anni, è stato di

considerarsi il polo di richiamo della borghesia, trascurando le componenti ‘sociali’ del

M.S.I.: dalle lotte sindacali, alle lotte giovanili nelle università e nelle scuole,

all’organizzazione dei disoccupati e dei sottoccupati che, specie nell’Italia centro-

meridionale, avevano consentito al Movimento di affondare le proprie radici, prima

ancora che nella borghesia, nel proletariato”383.

La destra vicina alle classi subalterne non era affatto una novità. Fin dalla nascita del MSI la

componente sociale era stata oggetto di aspra discussione tra le correnti culturali; tuttavia, nel ’76 il

richiamo all’attenzione verso il proletariato corrispondeva a sconfessare la linea micheliniana-

almirantiana del partito d’ordine e molto vicino alla borghesia, che i giovani ritenevano un fallimento.

Non va dimenticato che oramai le nuove generazioni guardavano oltre gli steccati del ghetto; difatti,

la contaminazione con le idee della sinistra movimentista, più che quella vicina al PCI, si esprimeva

non soltanto nel riposizionamento dell’obiettivo in termini elettorali, ma anche nello spazio

dell’azione concreta che gli adulti avrebbero dovuto lasciare ai giovani. In altre parole, maggiore

autonomia sia in sede di elaborazione teorica, sia in tema di strumenti con cui attuare una nuova

politica:

“Una di queste, a nostro avviso, è l’istituzione di radio libere, organizzate e gestite,

direttamente o indirettamente, apertamente o discretamente, a seconda dei casi, dalle

singole Federazioni del Movimento. Ora che la Corte Costituzionale ha dichiarato

legittimamente l’emittenti radio private operanti su un limitato territorio, tale iniziativa

potrà essere utilizzata con tutta tranquillità”384.

Un’altra criticità, emersa con veemenza in quell’anno, era la relazione tra le decisioni del vertice

e la volontà della base. L’elezione diretta del segretario avrebbe potuto legittimare maggiormente

l’operato della carica apicale del partito e, contestualmente, legarlo ad un vincolo di responsabilità

382 Ibidem. 383 Ibidem. 384 Ibidem.

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verso gli elettori, il quale pareva venire meno in maniera pericolosa: tra le righe, si legge

dell’insofferenza dei semplici militanti per gli accordi tra correnti e per le solite decisioni poco chiare:

“Il F.d.G di Verona ritiene essenziale l’istituzione di tale riforma statutaria per i seguenti

motivi:

- per una ragione di coerenza. Da anni infatti il M.S.I. chiede l’elezione del Capo dello

Stato a suffragio universale. Ritenendo tale soluzione assai valida ed efficiente, non si

capisce perché essa non possa venire attuata, nel suo piccolo, ad una organizzazione

politica come la nostra;

- per una ragione di convenienza. E specialmente per questo secondo motivo auspichiamo

la realizzazione di questa nostra proposta. Tale sistema di elezione del Segretario

Nazionale infatti, permetterebbe di eliminare il principale difetto, purtroppo riscontrabile

anche da noi, proprio del sistema attuale; quello cioè della formazione, attraverso le varie

fasi tecniche di rappresentanza, di una visione distorta, casuale o voluta, della volontà

della base.

Tale difetto è assai nocivo sia per l’efficienza del Partito, sia per la sfiducia che esso

genera nei riguardi delle gerarchie interne da parte della base, che nella formazione di

‘correnti’ e di ‘feudi’ vede un tradimento all’idea”385.

Sebbene le valutazioni espresse non fossero benevole, il FdG e il FUAN di Verona si dichiararono

schierati a sostegno di Almirante. A loro parere il capo carismatico avrebbe dovuto restare in sella al

partito:

“Le voci che ci giungono sulla messa in discussione da parte di alcuni esponenti del

M.S.I.-D.N. dell’on. Giorgio Almirante quale Segretario Nazionale del Partito, ci trovano

oggi ad esso pienamente solidali. Chi vuole addossare la responsabilità del recente

deludente risultato elettorale al Segretario del Partito, non ha evidentemente capito nulla.

A nostro giudizio, infatti, il Movimento Sociale Italiano, almeno sul piano morale, ha

ottenuto il 20 giugno [il giorno delle elezioni politiche, nda], il più grosso successo della

sua tormentata esistenza. Infatti mai come dal lontano 1972 ad oggi il Movimento Sociale

Italiano - Destra Nazionale è stato diffamato, calunniato e perseguitato, additato da parte

di tutti, dai comunisti ai liberali, al linciaggio fisico e morale, tanto che molti nostri

avversari si illudevano, prima del 20 giugno, sulla nostra scomparsa dalla scena politica

del Paese”386.

385 Ibidem. 386 Ibidem.

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Tuttavia, la conclusione sembrava un appello proprio rivolto al segretario affinché si tornasse a far

funzionare la struttura con nuovi metodi, attraverso un maggiore ascolto della base e con mezzi

economici più rilevanti:

“Chiediamo che la classe dirigente del Movimento abbandoni i vecchi metodi, inadeguati

ai nostri tempi; e si aggiorni nelle strutture, nei metodi e negli uomini.

Chiediamo che avvenga, tra vertice e base, un dibattito più ampio di quello che vi è stato

finora.

Chiediamo uno sforzo finanziario senza precedenti per garantire i continui sacrifici della

base che nulla vuole, se non la soddisfazione di battersi con possibilità di successo”387.

Un’occasione di confronto si ebbe nel Comitato Centrale, invocato da più parti e specialmente da

quella giovanile, dell’11 luglio. Questo fu teatro di importanti discussioni sul destino del MSI. In

primo luogo, Almirante, che aveva minacciato di dimettersi all’Esecutivo, scelse di restare

segretario388 e fu convocato un Congresso nazionale per i mesi successivi; in secondo luogo, si

delinearono orientamenti distinti anche nella critica alla maggioranza almirantiana: da una parte

stavano i moderati, dall’altra i componenti più giovani del Comitato Centrale389. È una distinzione

influente, poiché, nel terremoto interno provocato dalla nascita ufficiale di Democrazia Nazionale

(che avverrà ad ottobre, alla quale farà seguito la creazione di Linea Futura di Rauti), la gran parte

dei quadri giovanili neofascisti andrà a formare Destra Popolare390:

“[…] Anderson e Cerullo ritenevano che Democrazia nazionale puntasse in qualche modo

a riproporre una destra prefascista.

Secondo Anderson, la corrente si collocò in una linea sottile e complessa, nel senso che

cercò di operare al fine dell’unità del partito ma con l’obiettivo di rinnovarlo

profondamente”391.

In tal modo, nel MSI erano presenti ben quattro correnti distinte e in via di istituzionalizzazione:

una situazione che mancava dal Congresso di Pescara del 1965, dal momento che i Congressi del ’70

e del ’73 erano stati unitari. Il timore condiviso era che la galassia della destra potesse parcellizzarsi,

387 Ibidem. 388 L’episodio è rievocato da Tarchi: le dimissioni furono oggetto di una votazione del Comitato Centrale, in cui “[…] si

verifica un atto dall’importante significato politico: l’astensione di quaranta ex micheliniani e dirigenti giovanili su un

ordine del giorno che invita il segretario nazionale a recedere dall’intenzione di rimettere il mandato. Nella prassi

unanimistica, e spesso celebrativa, inaugurata da Almirante, è un gesto quasi sacrilego, che il «Secolo d’Italia»,

solitamente molto riservato sulle vicende della dialettica interna, si affretta a rendere pubblico, per sollecitare una

censura della base”. In: Marco Tarchi, Dal Msi ad An…, cit., p. 54. 389 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggiero), op. cit., pp. 227-229. 390 Le correnti vennero ufficializzate nel mese di ottobre ad una decina di giorni di distanza l’una dall’altra. In:

Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., pp. 239-241. 391 Ivi, p. 242.

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infatti la base risentì delle divisioni correntizie e al vertice, perlomeno ai quadri giovanili, toccò di

correre ai ripari:

“Con l’approssimarsi del Congresso Nazionale del Partito si va delineando nell’ambito

del nostro mondo umano e politico un approfondito dibattito in merito ai problemi, alla

vita e alle prospettive di sviluppo del MSI-DN.

A questo dibattito i giovani possono e devono partecipare attivamente con l’intento di

apportare un concreto contributo di idee, di orientamenti e di programmi.

Appare opportuno, tuttavia, che i giovani Dirigenti sappiano operare un intelligente

‘distinguo’ tra la loro veste di responsabili di una istituzione ufficiale e la loro qualità di

militanti di Partito desiderosi di determinare svolte decisive nella vita del MSI-DN.

La sigla del ‘Fronte della Gioventù’, cioè, deve restare estranea alla dialettica dei gruppi

contrapposti e non può essere posta al centro delle polemiche che si determineranno con

l’approssimarsi delle scadenze congressuali”392.

Sebbene le divergenze di opinioni e strategie non fossero nuove tra i missini e, più in generale,

nella destra italiana, l’autunno di quell’anno rappresentò il momento più delicato dei rapporti interni

alla “comunità umana”; non vi era uno scontro tra moderati ed estremisti da gestire, e nemmeno una

fronda sola da espellere. Tutti erano coinvolti in una crisi che stava scuotendo le fondamenta stesse

del MSI. In aggiunta, dal ’72, il MSI rappresentava anche la componente monarchica e tradizionalista

cattolica e a dispetto della diminuzione di consensi restava il maggiore riferimento per l’elettorato di

destra.

Presumibilmente per questi motivi, s’impose un passo indietro nello scontro dialettico tra le

correnti. I responsabili di FgG e FUAN inviarono una lettera ad Almirante il 26 ottobre 1976 al fine

di ricomporre lo strappo, quantomeno tra il gruppo di Destra Popolare e la maggioranza che sosteneva

il segretario in carica (e naturalmente il segretario stesso).

“Onorevole Segretario, di fronte al persistere e all’aggravarsi delle polemiche e delle

tensioni interne, giunte al punto da far temere un’irrimediabile spaccatura nel Partito, e

visto l’appello che, a nome di Destra Popolare, alcuni di noi hanno rivolto per una tregua

e la ripresa del contatto umano e politico fra i capi dei vari schieramenti, crediamo sia

utile e comunque necessario fare un ulteriore tentativo di ricondurre la dialettica nella

logica unitaria e nelle sedi legittime; qual è certamente la Direzione Nazionale, organo di

facile e rapida convocazione, che rappresenta tutte le componenti del Partito. ”393.

392 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1976, 1 settembre 1976. 393 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggiero), op. cit., pp. 232-233.

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Contemporaneamente, la segreteria tentò di rilanciare un’azione politica alla fine del mese di

ottobre e mobilitare i giovani su tre tematiche:

“1) denuncia alla pubblica opinione delle scelte rovinose imposte dall’accordo Andreotti-

Berlinguer e dei conseguenti fenomeni di degenerazione economica e sociale (caro-vita,

disoccupazione, sottoccupazione, sperequazione, malcostume, strapotere delle mafie

politiche e sindacali); denunciare (con manifesti, volantini, scritte murali) la ‘stangata’

imposta dal Governo della resa al PCI, degli scandali e delle tasse;

2) revisione della struttura organizzativa dei Nuclei d’Azione Studentesca per organizzare

la ripresa politica e propagandistica, nelle scuole in termini di difesa dei diritti di libertà

di tutti gli studenti ed in termini di decisa contestazione alla scuola della crisi;

3) rilancio del discorso meridionalista sulla base di una chiara denuncia dell’alleanza

soffocatrice effettuata dal PSI e dalla DC con gli ambienti economici più retrivi, al fine

di confermare lo stato di soggezione in cui versano le popolazioni meridionali”394.

L’errore di mobilitare i giovani alla stregua di un comitato propagandistico del MSI continuava ad

essere reiterato, nonostante i richiami della stessa componente giovanile che si leggono nei documenti

a partire almeno dal ’75. La sordità di Almirante alle richieste di cambiamento esacerbò una già tesa

condizione tra base e vertice, e così pure tra vertice giovanile e vertice del partito. Di lì a poco si

consumò la scissione del gruppo parlamentare missino, per mezzo della creazione del gruppo di

Democrazia Nazionale; in tal modo gli scissionisti riuscirono a godere del finanziamento pubblico,

provocando un danno politico ed economico al partito395.

Gianni Roberti ha stravolto l’interpretazione che vede il MSI come baluardo istituzionale della

destra, perché l’immobilismo, praticato troppo a lungo, finì per danneggiare tutti i neofascisti.

Secondo Roberti, una prova fu, se non l’apertura, perlomeno il favore con cui venne accolta la

scissione dallo stesso Aldo Moro:

“L’atteggiamento isolazionista del MSI aveva infatti provocato, sostanzialmente un vuoto

nello schieramento politico italiano, ed il vuoto corrisponde sempre ad un valore negativo;

averlo colmato, sostituendolo con un organismo innegabilmente legittimo e anche per ciò

politicamente vitale, costituiva di per sé stesso un dato assolutamente positivo. Del resto,

lo stesso Presidente Moro, non certo sospetto di tenerezza nei nostri riguardi, in un

incontro avuto con l’on. De Marzio, da poco eletto Segretario della Democrazia

Nazionale, pur nell’avvertirlo di non farsi illusioni su eventuali appoggi da parte della

DC, riconobbe tuttavia che, in democrazia, un partito che si ispiri ai principi democratici

394 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1976, 27 ottobre 1976, p. 1. 395 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., p. 253 e ss.

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e ne pratichi sinceramente il metodo finisce per aver sempre modo di svolgere la propria

funzione ed influenza politica, o nella maggioranza o nella opposizione, a seconda delle

circostanze e delle scelte praticate”396.

L’undicesimo Congresso missino si svolse a Roma dal 14 al 16 gennaio 1977, in un clima di

generale tensione sia dentro al partito, sia fuori; difatti, il giorno precedente l’inizio dei lavori

l’organizzazione si vide costretta a spostare l’evento a causa di un attentato al palazzo dei Congressi

dell’EUR, la sede designata.

“[…] la linea rautiana, pur differenziandosi, come corrente, dalla maggioranza, influenza

in maniera corposa le deliberazioni finali. I contributi più originali recepiti nella mozione

conclusiva riguardano la protesta popolare, i diritti civili, l’«anticomunismo di sinistra».

Coerentemente con l’interpretazione rautiana della sconfitta elettorale - il MSI ha perso

voti a sinistra -, emerge l’indicazione di cavalcare la protesta che sta montando anche

contro il PCI e la sua politica del compromesso storico. […] A questa candidatura alla

guida della protesta popolare, il MSI affianca un altro elemento innovatore e

potenzialmente eversivo dei nuovi equilibri instaurati con il compromesso storico: la

difesa dei diritti civili. Il tema è assolutamente inedito per il Movimento sociale; il partito

ne rivendica la rappresentanza […], sia in funzione difensiva, rispetto alla «persecuzione

del regime», sia, soprattutto, in funzione concorrenziale con la sinistra”397.

La scissione vera e propria si perfezionò in quei giorni, quando alla fuoriuscita dal gruppo

parlamentare seguì quella dal partito. La nuova corrente non partecipò alle votazioni per la

composizione del Comitato Centrale e Destra Popolare guadagnò solamente il 10,3% di consensi;

Rauti, con la sua Linea Futura, ottenne il 22,5%, mentre Almirante e Romualdi, capofila della corrente

denominata eloquentemente “Per l’unità nella chiarezza”, arrivarono al 67,5%398. L’importanza

dell’ex leader di ON condizionò la pianificazione della politica futura, insieme con la perdita dei

quadri locali e nazionali:

“Democrazia Nazionale si portò via metà dei deputati e dei senatori, un congruo numero

di consiglieri regionali e provinciali e, in numero ancora più cospicuo, consiglieri

comunali delle grandi città e dei piccoli centri. Gli organi centrali (Esecutivo Nazionale,

Direzione Nazionale e Comitato Centrale) si dimezzarono e cambiò passo, al seguito di

Roberti, anche la maggioranza dei sindacalisti della Cisnal. Seguì gli scissionisti,

coerentemente, anche la ‘Costituente di Destra’. In termini quantitativi, considerato che

396 Gianni Roberti, op. cit., p. 348. 397 Piero Ignazi, Il polo…, cit., pp. 181-182. 398 Marco Tarchi, Dal Msi ad An…, cit., p. 62

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la base restò prevalentemente nel partito, non era una grossa scissione, ma in termini

qualitativi rappresentò per il Msi un colpo durissimo, in quanto rivoluzionò totalmente la

realtà dei quadri dirigenti che si erano formati attraverso lunghe fasi selettive. Fu, come

si disse, una ‘scissione di vertice’? In una certa misura lo fu. Democrazia Nazionale,

difatti, fu considerata un esercito di generali senza truppe; ma il Msi, a partire da allora,

si conquistò la fama di partito caratterizzato dalla presenza di un solo ‘capo’”399.

I rautiani tornavano così a condizionare la segreteria per il loro peso, rilevante, in termini di seggi

al Comitato Centrale e a causa dell’emorragia di corpi intermedi e quadri che lasciavano numerose

cariche scoperte. A tutto questo, si sommò la necessità di abbandonare la strategia di aggregazione

della destra, oramai esausta e cristallizzata nel ricordo, la quale mirava dall’inizio del decennio a

coinvolgere i moderati e ad assumere l’elaborazione di Rauti sulla possibilità di guadagnare voti a

sinistra e puntare su una retorica convintamente antisistemica.

Almirante spinse l’opinione pubblica neofascista contro i fuoriusciti utilizzando l’arma

propagandistica del finanziamento pubblico “scippato” ai gruppi parlamentari missini. Molte

indiscrezioni indicarono anche la DC tra i finanziatori occulti di Democrazia Nazionale; sul punto,

Anderson svela:

“La prima ‘rivelazione’ che posso farti, in piena coscienza, è che Dn non ha preso

nemmeno una lira dalla Dc o da ambienti vicini alla Dc. I democristiani avranno avuto

pure mille difetti, ma non erano degli imbecilli e sapevano perfettamente che la nascita di

una destra ‘moderata’ si sarebbe tradotta, prima o poi, in una grave minaccia per le loro

posizioni elettorali. Ai democristiani, semmai, ‘conveniva’ molto di più la presenza di un

partito nostalgico piccolo e folcloristico, destinato all’impotenza e all’isolamento,

anziché una destra democratica in grado di colloquiare con vasti settori della pubblica

opinione. Ipotizzare che un qualsiasi ‘cavallo di razza’ della Dc fosse disposto a dare una

sola lira a De Marzio era, ed è, al di fuori di qualsiasi valutazione politica. […]

[I soldi] in gran parte venivano dallo stesso finanziamento statale. Avendo portato via dal

Msi la maggior parte dei deputati e dei senatori, Dn fu in grado, attraverso una procedura

perfettamente legale, sulla quale si pronunciarono positivamente le presidenze della

Camera e del Senato, di pretendere l’assegnazione delle somme previste per ciascun

parlamentare dimessosi”400.

399 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggiero), op. cit., p. 120. 400 Ivi, pp. 120-121.

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Il segretario sfoderò l’arma più efficace che aveva: l’accusa di tradimento e l’attacco sentimentale

alla comunità della destra. Non vi sono tracce di risposte articolate in chiave politica o strategica: i

demonazionali furono etichettati subito come traditori e “venticinqueluglisti”.

“La stessa gestione della scissione da parte di Almirante fu emblematica, concentrata

come fu sul concetto di tradimento. Chi era stato ‘tradito’ nel 1976? Il partito? Il

fascismo? E l’uno e l’altro, nel senso che l’accusa di tradimento rivelava il messaggio

secondo il quale gli scissionisti avevano tradito il partito in un momento difficile, ma in

realtà avevano tradito il fascismo, o quel che ne restava? Fascismo e partito erano tenuti

assieme dalla grande abilità di Almirante, e il segretario finì con l’apparire (o con l’essere)

lui stesso l’oggetto, la vittima del tradimento”401.

Conseguentemente, il dibattito interno venne bloccato sui classici binari dei sentimenti, piuttosto

che su quelli dell’ideologia oppure dell’elaborazione teorica. Almirante seppe dirigere con abilità la

crisi sulla rottura dell’unità della comunità; in questo modo, ogni critica al suo operato e allo status

quo perdeva di significato, di fronte al peccato originale del tradimento dei demonazionali. Dentro al

MSI, con Almirante segretario, ogni opposizione ed ogni critica diventavano un affronto al leader e

un attentato all’unitarietà della “comunità umana e politica”. Gli esponenti di Democrazia Nazionale,

per parte loro, pagarono cara l’indecisa collocazione nello spettro partitico e furono schiacciati dalle

contromosse missine:

“Da parte degli scissionisti vi era una strategia, in buona misura obbligata, come si è visto,

che consisteva nell’uscita dal partito e tentare di costruire un nuovo soggetto di destra e

moderato. Paradossalmente mancava invece una tattica. E lo si vede alla prova dei fatti,

quando la nuova formazione dovette scegliere una linea parlamentare incerta, pressata

psicologicamente dal Msi e dalla volontà di smarcarsi da esso senza per altro passare nel

campo antifascista.

Nel Msi la scissione rinnovò forzatamente la compagine parlamentare ma non rinnovò

affatto il partito. Almirante rimase il leader incontrastato di una comunità politica che non

ebbe il coraggio di discutere le motivazioni della frattura evitando di andare al di là

dell’anatema o dell’oblio”402.

Le settimane successive al Congresso portarono una certa dose di tranquillità interna, nella quale

sembrarono poter coesistere la segreteria almirantiana e i quadri giovanili che si erano esposti

attraverso Destra Popolare. Racconta Anderson:

401 Giuseppe Parlato, La Fiamma dimezzata…, cit., p. 293. 402 Ivi, p. 292.

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“Accadde che Almirante, stupendoci non poco, costituì gli organi con la sua maggioranza

e ci chiese di integrarla con la partecipazione, a livello dell’esecutivo nazionale, di un

nostro rappresentante (anzi di due, ma il secondo se lo scelse da sé). Una soluzione, sia

ben chiaro, per la quale non avevamo brigato in alcun modo, considerandola lontanissima

dal novero di tutte le ipotesi possibili. Quale fu il motivo che lo indusse a tenerci la mano

non riuscii a capirlo allora e, francamente, non riesco a capirlo nemmeno oggi. Forse

intendeva utilizzarci come ‘copertura’ per dimostrare che, malgrado la scissione, il Msi

puntava ancora sulla politica della destra. O forse, accogliendo le sollecitazioni degli

almirantiani ‘moderati’, Servello, Valenzise, Tripodi, intendeva usarci come ‘testa

d’ariete’ contro la corrente di Rauti, che in Congresso aveva effettuato un gran balzo in

avanti”403.

Quale che fosse il piano di Almirante, Anderson e suoi scoprirono ben presto di non farne parte.

Proprio il segretario nazionale giovanile ricorda, nel suo libro intervista I percorsi della Destra, uno

scambio epistolare tra i vertici di FdG e FUAN e il segretario missino in persona; nelle lettere vi era

una critica alla gestione della crisi, specialmente nella fase congressuale. L’opposizione giovanile

lamentava la scarsa unità nel partito, o meglio: la “sostanziale emarginazione per quelli che hanno

avuto il coraggio di sostenere tesi differenziate in Congresso”. Vi era l’aspra constatazione che il

ricambio ai vertici giovanili assumeva nella realtà i caratteri di un’epurazione, perché “illegalmente,

si tenta di nominare una ‘nuova’ dirigenza (composta da elementi che statutariamente non potrebbero

nemmeno far parte del Fronte) per precostituire una base elettorale favorevole ad una corrente interna

dell’ex corrente di maggioranza”404. Infine, venivano apertamente affrontate le questioni della

strategia e dell’organizzazione:

“Non c’è più chiarezza nella linea politica. Da un lato, infatti, si tende a considerare come

acquisito, sottinteso ed implicito il discorso della destra e dall’altro, attraverso la tesi

dell’alternativa al sistema (che non è intesa come istanza di rinnovamento della società

italiana, ma come utopistica contrapposizione frontale a tutto il mondo che ci circonda),

si sopportano gli isterismi e si formulano astruse teorie sulla ‘politica del bunker’ e sulle

‘testimonianze storiche’. Anche il discorso della protesta sociale, l’unico allo stato che

possa attribuirci un ruolo politico, è visto in funzione comiziale: invece di attrezzare il

partito per inserirlo fattivamente nella vasta problematica degli interventi sociali, si tende

403 Massimo Anderson (Intervista di Gennaro Ruggiero), op. cit., p. 130. 404 Ivi, p. 133.

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piuttosto ad avvallare infantili propositi e a moltiplicare le occasioni di uno scontro

politico concepito in termini di assoluta irreversibilità”405.

Le parole restituiscono l’amarezza dei dirigenti giovanili per l’ennesima svolta mancata e, a loro

dire, l’arroccamento su posizioni buone soltanto per la propaganda: questo punto era molto caro ai

giovani, che sulla “protesta sociale” tentavano di investire da anni le loro energie. La chiusura ad ogni

possibile dialogo con altre forze politiche, senza finalità direttamente elettorali, creava ancora

delusione, poiché il partito si condannava, e condannava anche la base, ad un isolamento forzato

insuperabile. Nel mirino vi era, infine, la gestione cesaristica:

“Non si registra alcun tentativo di cambiare metodo di gestione. La mentalità, al centro e

alla periferia, è sempre la stessa: subordinare uomini, strutture e situazioni alle prospettive

di futuri voti preferenziali. Il linguaggio con il quale ci rivolgiamo alla pubblica opinione

è stentato, stancamente ripetitivo, privo di fantasia. La propaganda o è arcaica o è

contraddittoria. Ancora non è stato espresso, inoltre, alcun tentativo di ampliare,

aggiornare e diffondere il patrimonio dei nostri valori culturali”406.

4.2 I giovani di destra non sono più gli stessi: il tentativo di uscire dal “ghetto” e il primo

Campo Hobbit

L’emorragia causata da Democrazia Nazionale colpì duramente le strutture giovanili. Il partito

temeva che le dimissioni di molti dei vertici giovanili e l’insorgenza del movimento del ’77 potessero

portare ad una situazione persino più esplosiva del Sessantotto. Difatti, in seguito alle dimissioni

rassegnate da Anderson (peraltro caldamente consigliate, vista la vicinanza con Democrazia

Nazionale), venne configurata la carica di segretario politico per le attività giovanili, assunta da

Franco Petronio, con il compito di gestire una fase transitoria sia per il FUAN che per il FdG; in altre

parole, si trattò di un commissariamento. La notizia dell’incarico venne data il 25 febbraio 1977

tramite comunicazione alle sezioni su carta intestata del MSI-DN, nella quale era presente anche la

comunicazione dello scioglimento dell’Esecutivo Nazionale e del Consiglio Nazionale giovanili407.

Dello stesso giorno è una lettera indirizzata al FdG, nella quale Petronio ammoniva i militanti e i

tesserati:

405 Ivi, p. 134. 406 Ivi, p. 135. 407 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 25 febbraio 1977.

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“A parte ogni considerazione politica o ideologica sui recenti fermenti universitari e

giovanili in particolare, e a parte la tattica e la strategia che si deciderà di seguire nei

confronti delle componenti più o meno ‘autonome’ della protesta universitaria di questi

giorni, è opportuno che il Fronte della Gioventù osservi una particolare cautela rispetto

agli avvenimenti con sbocco di piazza, pacifico o meno.

Appare infatti evidente che nell’ambito della sinistra italiana esplodono contraddizioni in

forma virulenta. La contestazione del PCI ne è la rappresentazione più acuta. Ma va tenuto

presente anche che il sistema stesso viene violentemente attaccato dalla protesta.

A questo punto sarebbe estremamente vantaggioso per il Governo se la nostra parte,

bollata come ‘estrema’, si scontrasse inutilmente con frange o gruppi di opposto segno.

Non è escluso perciò che vengano messe in atto vere e proprie provocazioni. Per questi

motivi i Segretari Giovanili sono chiamati ad avere i nervi saldi e a impedire che i nostri

giovani cadano nella trappola di intromettersi nelle lacerazioni della sinistra. Occorre

insomma che le anime comuniste si combattano e si dividano, lasciando sul campo delusi

e frustrati, e non trovino scuse ‘antifasciste’ per riunirsi miracolosamente”408.

L’invito alla calma e al controllo delle attività di base intendeva scongiurare il pericolo di ricadere

nelle condizioni dei primi anni del decennio, i quali ebbero conseguenze gravi per il MSI. Vi era, poi,

da sfruttare un momento di difficoltà nelle relazioni tra il PCI e i giovani, in molti casi appartenenti

a gruppi più a sinistra del partito comunista. L’iniziale lettura neofascista del movimento del ’77 era

corretta perché il compromesso storico e il contestuale scatenarsi di manifestazioni di piazza, in cui

la stessa sinistra giovanile lo contestava, potevano fare il gioco del MSI. Naturalmente, per riprendersi

dalle batoste, interne ed esterne, occorreva che vi fosse corrispondenza tra l’immagine del partito

affidabile e il comportamento dei giovani in piazza: insomma, era necessario che non si ripetessero

gli errori di pochi anni prima. La sinistra attraversò uno dei periodi più difficili dal ’68, dal momento

che la spaccatura tra il PCI e i giovani divenne palese:

“[…] si ripropose una frattura tra il PCI e le nuove generazioni pochi anni dopo che si era

faticosamente ricomposta quella apertasi nel 1968. Berlinguer e il gruppo dirigente del

PCI dimenticarono o non vollero ricordare la duttilità tattica messa in campo da Longo

nel ’68 quando il segretario del PCI impose di aprire ai giovani contestatori del

movimento studentesco riconoscendone la valenza anticapitalistica. Negli anni della

solidarietà nazionale sembrò prevalere, invece, la condanna veemente espressa da Giorgio

Amendola nei confronti dei giovani studenti contestatori: tutti estremisti, tutti fascisti

rossi, neodannunziani e «diciannovisti». Il PCI riaffermò il primato della politica e del

408 Ibidem.

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Partito (il suo segretario e la direzione) rispetto alla società civile. Tutto fu ricondotto alla

mediazione politica e al calcolo opportunistico dentro le istituzioni locali e nazionali, la

politica divenne tecnica di amministrazione del governo, non più azione volta al

cambiamento e alla trasformazione, ma buona gestione dell’esistente, nonché richiesta di

sacrificio e rinuncia per salvare il paese in crisi tramite un’alleanza tra i produttori, ovvero

lavoratori e imprenditori, che sembrava fatta apposta per emarginare ulteriormente fasce

giovanili che stentavano a trovare un’occupazione e un inserimento stabile nella

società”409.

Mentre si consumava questa cesura era in preparazione l’Assemblea Nazionale Giovanile, che

stando ai documenti disponibili si svolse per la prima volta nel ’77, e il reggente Petronio presentò

una circolare in cui criticava le tesi conclusive dei giovani democristiani sui problemi della società di

fine decennio.

“Il documento conclusivo dei lavori del XV Congresso del Movimento Giovanile della

DC reca la seguente, preliminare, affermazione: ‘Il progressivo crescere del distacco tra

un Paese investito del suo stesso sviluppo e i giovani che vivono tra contraddizioni e

disuguaglianze è frutto di un processo che si è sviluppato insieme alla crescita della

democrazia e della libertà’.

Mi permetto di proporre all’attenzione dei giovani che parteciperanno alla prossima

Assemblea Nazionale Giovanile questa enunciazione, e di sottolinearne l’incongruenza.

I giovani democristiani, infatti, suppongono che la crisi che investe la società italiana, e

soprattutto la sua parte più giovane, sia una sorta di prezzo che ineluttabilmente si

dovrebbe pagare in nome del progresso, della democrazia e della libertà. Trent’anni di

preteso sviluppo lungo questa strada, insomma verrebbero ora fatalmente al pettine e si

dovrebbero tranquillamente considerare nel conto, scontato, della civiltà industriale,

collettivistica e ugualitaria.

Ammesso anche che questo tipo di civiltà possa essere l’ideale della nuova generazione

italiana, che invece risulta abbandonata all’irrazionalismo, è opportuno che qualche

intervento in sede di Assemblea si opponga, in maniera documentata, a simili

interpretazioni alibistiche e rinunciatarie del dramma italiano”410.

Su questo documento sembra soffiare il vento propagandistico del vertice missino, teso a

squalificare tutti i partiti e, lo si diceva poco sopra, a colpire i moderati. Il 5 giugno 1977 si tenne

409 Diego Giachetti, Critica e crisi della politica: i giovani dopo il ’68, in “Il presente e la storia. Rivista dell’Istituto

storico della Resistenza di Cuneo e provincia”, n. 59 anno 2001, p. 219. 410 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 25 maggio 1977.

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l’Assemblea Nazionale del FdG, cui presero parte “i Segretari Provinciali del Fronte, i membri del

Comitato Centrale fino al 30˚ anno di età, i membri della Direzione Nazionale Giovanile e i membri

della Giunta Nazionale di collaborazione”. Petronio sollecitò tutte le sezioni provinciali a favorire “la

venuta a Roma degli aventi diritto al voto”, “data l’importanza dell’avvenimento”; l’Assemblea era

molto sentita dallo stesso segretario del MSI411. Almirante aveva urgenza di ricostruire una solida

leadership giovanile, ben conoscendo tutti i malumori e le crepe tra base e vertice; vi era una profonda

distanza tra le richieste dei giovani e la realtà del partito. La scissione non aveva fatto altro che acuire

l’insofferenza da un lato, alla quale si aggiungeva il coinvolgimento più o meno diretto nel tumultuoso

scenario sociale del ’77, e la rigidità dall’altro, con Almirante e coloro i quali erano rimasti, sempre

fedeli al segretario, saldamente al comando.

La componente rautiana cresceva all’interno del FdG e l’elezione di Marco Tarchi a candidato

preferito dai militanti, nella rosa di nomi che l’Assemblea Nazionale doveva fornire al segretario del

partito prima della nomina, era una prova inconfutabile della diminuzione della presa almirantiana

sulla componente giovanile. Rauti aveva il controllo della corrente Linea Futura e nella seconda metà

del decennio abbandonò l’ortodossia evoliana per dedicare l’elaborazione politica a temi più vicini

alla società civile, dalla difesa dell’ambiente alla critica del blocco occidentale e degli USA. In più,

Rauti andava incontro alle domande di cambiamento delle giovani generazioni, poiché Linea Futura

proponeva un cambiamento radicale al MSI. L’idea era quella di “reintrodursi nella realtà vivente”

dopo gli anni dell’isolamento e dell’immobilismo: in altre parole, tutto ciò che i giovani chiedevano

a gran voce da tempo412. Il nemico da battere, poi, restava il PCI, ma con armi nuove:

“L’ambizione è quella di sconfiggere il Pci sul suo stesso terreno, offrendo alle classi

popolari e alle masse giovanili deluse dalla sinistra, soprattutto dopo i fatti del 1977,

un’identità alternativa fondata su valori di giustizia sociale e di riscatto morale. Il punto

di partenza di questa strategia non è dunque l’incombere del pericolo comunista, ma al

contrario la convinzione che, fallito il sorpasso nel 1976, il Pci sia destinato a logorarsi

nella formula equivoca della solidarietà nazionale. E lo scopo non è fare da ultima trincea

dell’anticomunismo, ma tentare un ben più ambizioso «sfondamento a sinistra»”413.

L’Assemblea Nazionale non si svolse in un clima sereno; Almirante decise di non ascoltare gli

umori giovanili e scelse il quinto classificato nella lista dei possibili segretari: Gianfranco Fini,

considerato già allora delfino del leader missino. Il segretario non fece nulla di contrario allo Statuto,

411 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 30 maggio 1977. 412 Marco Tarchi (Intervista di Antonio Carioti), Cinquant’anni, cit., p. 133. 413 Ivi, pp. 131-132.

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poiché il potere di nomina spettava solo alla carica apicale del partito414; in quella delicata fase, però,

si scatenarono altre polemiche e malumori verso un atto che venne interpretato come l’ennesima

ingerenza e il segnale della distanza tra giovani e adulti.

Il primo atto del nuovo segretario giovanile fu una lettera di saluto a tutte le federazioni, la quale

conteneva molto più dei classici convenevoli. Fini fece capire esplicitamente quale sarebbe stato il

nuovo corso del FdG:

“I problemi cui ci troviamo di fronte sono enormi, e di conseguenza altrettanto grande

dovrà essere la nostra volontà di superarli. Il F.d.G. deve subito riacquistare, nel comune

intento politico, una autentica omogeneità operativa. Le attività giovanili della tua

federazione dovranno dunque svolgersi esclusivamente sotto la insegna del F.d.G. e

quelle maggiormente rilevanti dovranno essere concordate preventivamente con questa

direzione.

La giovane destra non deve avere argomenti intoccabili o tabù di sorta. Segnalami

qualsiasi problema ti paia degno di essere affrontato: la fantasia non ha mai danneggiato

nessuno, ma l’improvvisazione sì. […]

Il momento politico che stiamo vivendo non ci permette il lusso dell’inattività. I mesi di

luglio e agosto, a differenza degli anni passati, dovranno registrare la nostra presenza

politica, specie nei luoghi di villeggiatura”415.

Le primissime righe del nuovo segretario dicevano già tanto sul cambiamento rispetto ad Anderson

e alla breve parentesi della reggenza di Petronio; l’“autentica omogeneità operativa” diventava

l’obiettivo a breve termine, da raggiungere spazzando ogni altra sigla gravitante attorno alle sezioni

(di gruppi estremi o di associazioni varie), mentre il richiamo alla disciplina verticale, per cui tutte le

idee e le iniziative dovevano passare dalla decisione del vertice, ricordavano il FdG delle origini.

Tra i giovani neofascisti si stava organizzando da qualche tempo un evento destinato a modificare

radicalmente la destra italiana: il primo Campo Hobbit, un evento di stampo musicale e culturale,

della durata di due giorni, con le discussioni politiche sullo sfondo, a metà strada fra la festa e la

manifestazione libera dei giovani di destra senza riferimenti partitici416. Nello stesso fascicolo della

comunicazione di Petronio, è presente la copia del periodico l’alternativa417 di Benevento che

414 Lo Statuto prevedeva che i rappresentanti giovanili potessero esprimere una preferenza, e presentare una lista di

possibili candidati al ruolo, senza alcun vincolo per il segretario (si veda lo Statuto descritto nel Capitolo I). 415 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 9 giugno 1977, p. 1. 416 Il nome rimanda immediatamente alle opere di Tolkien, uno degli autori iconici della destra degli anni Settanta; i

neofascisti si identificavano nell’universo magico dell’autore britannico, ed essi si vedevano come “abitatori della Terra

di Mezzo”. In: Marco Tarchi (a cura di), La rivoluzione impossibile…, cit., p. 107. 417 L’alternativa fu un periodico irregolare, stampato tra il 1973 e il 1977, e diretto da Generoso Simeone,

l’organizzatore del primo Campo Hobbit. La rivista si guadagnò in fretta un posto di rilievo tra i giovani neofascisti per

le posizioni alternative al partito e per le proposte decisamente innovative rivolte alla galassia missina, dal superamento

del rigido schema nostalgico, passando per la creazione di una cultura politica nuova, fino ad arrivare all’ibridazione

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anticipava cosa sarebbe stato il “campo musicale denominato Campo Hobbit I”, ideato nel “quadro

delle iniziative atte a realizzare e rilanciare le attività giovanili del nostro ambiente”418:

“Si raccomanda, peraltro, ai responsabili dei vari centri e delle federazioni di lasciare a

casa gli scalmanati e gli irresponsabili, non avendo noi intenzione di dare luogo ad una

sorta di Parco Lambro, ma esattamente il contrario. La manifestazione dovrà essere una

testimonianza efficace di senso civico e di stile da parte dei nostri giovani”419.

L’organizzatore dell’iniziativa fu Generoso Simeone, membro rautiano del FdG di Benevento, il

quale si adoperò al fine di riportare la giovane destra italiana dentro la società civile senza

“rinchiudersi in aridi intellettualismi o […] ricorrere a velleitarismi di qualunque genere”420. Da

tempo il fermento culturale della destra, a cominciare dalla “importazione” in Italia delle idee della

Nouvelle Droite francese (proprio ad opera dei giovani vicini a Rauti)421, tentava di uscire allo

scoperto. Il raduno era stato originariamente previsto alla fine di maggio, ma vista la quasi

concomitante Assemblea Nazionale si decise di posticiparlo all’11 e 12 giugno; la volontà era quella

di evitare ogni polemica con il vertice del partito, tenuto conto dell’alto tasso di eresia del Campo. A

Montesarchio, la sede dell’evento, l’obiettivo era rompere le catene dell’isolamento, e anche

dell’autoisolamento, vivendo in una dimensione generazionale, e non tanto politica o fazionistica, la

musica, il cabaret e, in generale, le espressioni artistiche e culturali che facevano discutere i giovani

di altra fede politica. Simeone scrisse sul Secolo d’Italia:

“Come è possibile stare saldi e fermi nelle idee in una condizione del genere; e, ancora,

come è possibile potere allargare la influenza del nostro discorso quando restiamo esclusi

da realtà, soprattutto giovanili, tra le più diffuse? Ora che lo abbiamo capito dobbiamo

cercare di non sbagliare”422.

In che modo reagirono i giovani neofascisti? Tarchi sostiene che l’opinione si polarizzò attorno a

coloro i quali rilanciarono la notizia: il Secolo, filoalmirantiano, e La voce della fogna, la rivista

satirica da lui diretta, filorautiana e in opposizione alla segreteria423:

culturale e ideologica con concetti provenienti da sinistra. “Posta infatti l’esigenza, di approfondire le ragioni, non

meramente nostalgico-reducistiche, di un’identità ‘forte’ ed insieme, di fronte al ‘trauma’ del ’68, affermata l’urgenza,

di confrontarsi con le nuove forme della comunicazione sociale, in special modo giovanile, L’alternativa viene a

costituire una sorta di laboratorio politico-intellettuale per forme e modelli ideologici, prendendo, nel contempo, più

piena coscienza del proprio patrimonio culturale”. In: Mario Bozzi Sentieri, op. cit., pp. 173-176. La citazione si trova a

pagina 175. 418 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 5 marzo 1977. 419 Ibidem. 420 Marco Tarchi (a cura di), La rivoluzione impossibile…, cit., pp. 105-107. In queste pagine è riportato l’articolo che

Generoso Simeone scrisse sul Secolo d’Italia l’8 giugno 1977 per descrivere il primo Campo Hobbit. 421 Pierre-André Taguieff, Sulla nuova destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Vallecchi, Firenze 2004, pp. 217 e

ss. 422 Marco Tarchi (a cura di), La rivoluzione impossibile…, cit., p. 106. 423 La Voce della fogna, rivista fondata nel 1974, divenne un punto di riferimento non soltanto della corrente giovanile

rautiana e di quella legata alla Nuova Destra, ma anche di larga parte della gioventù neofascista per il suo linguaggio

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“All’appuntamento, il variegato arcipelago neofascista guardò con occhi e intenzioni

molto eterogenee, riconducibili in parte alla divisione in correnti ma anche, in una non

trascurabile misura, alle sensibilità che all’interno di ciascuna di esse convivevano, a volte

piuttosto forzatamente. Prima che il raduno iniziasse, si pronunciarono soltanto voci

vicine agli organizzatori, ma alcune in partibus infidelium, ovvero sul «Secolo d’Italia»,

più che mai al servizio della segreteria almirantiana, e un’altra tribuna ben poco allineata

de «La voce della fogna»”424.

E, prosegue il politologo, il filo rosso che accomunava i due approcci era la voglia di uscire

dall’angolo ed entrare nella società civile:

“In queste prese di posizione a cavallo fra ortodossia ed eresia trapelava, com’è stato

notato, una volontà unilaterale e ancora non pienamente matura di rientrare nella società

civile ponendo fine alla ghettizzazione, di «vivere alla luce del sole», alla quale non si

accompagnava tuttavia l’indispensabile disponibilità a sacrificare, per riuscire

nell’intento, almeno una quota del patrimonio ideologico e simbolico d’origine, cioè quei

numerosi atteggiamenti che imprimevano sull’ambiente i segni di una diversità che la

società giovanile italiana, nella stragrande maggioranza, non poteva accettare”425.

Da qualunque prospettiva lo si osservasse, il Campo Hobbit rappresentava un oggetto misterioso

e quasi impossibile da decifrare: troppo nuovo per la destra, ma ancora troppo legato al patrimonio

simbolico missino per il centro e la sinistra; gli stessi neofascisti lo avrebbero usato come punto di

partenza per un futuro politico differente o sarebbe stato soltanto una parentesi nella rigida militanza?

Il segno che qualcosa stava davvero cambiando arrivò dalla stampa di segno opposto. A sinistra si

temeva che la destra potesse erodere alcuni voti, poiché i giovani neofascisti sembravano seriamente

intenzionati, dopo anni di appelli, a guardare proprio a sinistra e a sconfinare alla ricerca di temi,

pratiche e voti:

“L’approccio dei giornalisti di sinistra fu rigidamente liquidatorio e partì da un assunto

comune: oltre la pura imitazione delle iniziative altrui, la destra non sapeva andare;

semmai, quel che ci aggiungeva di suo era un tocco di cupo folklore estetico. […] Non è

difficile scorgere, in questi approcci, l’eco degli allarmi che avevano scosso la sinistra nei

primi anni Settanta, soprattutto dopo l’imprevista sostanziosa avanzata missina alle

elezioni amministrative dell’anno 1971 e la parziale riconferma dell’anno successivo,

nuovo e diverso, senza dimenticare gli argomenti trattati che in alcuni casi costituivano dei tabù per il MSI: “I temi

classici della destra radicale (in particolare l’Europa Terza Forza, la critica al mito democratico, la polemica contro

l’antifascismo) vengono ‘rivisitati’ con un linguaggio spregiudicato ed incalzante, ben lontano dai vecchi toni del

nostalgismo”. In: Mario Bozzi Sentieri, op. cit., pp. 178-182. La citazione si trova a pagina 180. 424 Marco Tarchi (a cura di), La rivoluzione impossibile…, cit., p. 23. 425 Ivi, cit., p. 25.

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piuttosto che le tracce di un’analisi originale. Nell’ansia di esternazione di uno stato

d’animo esasperato dalla sindrome del ghetto, che si traduceva in smania di protagonismo

quasi incontrollabile, i partecipanti al primo Campo Hobbit avevano accatastato nei

dibatti una gran quantità di argomenti e di prese di posizione eterogenee e velleitarie, […]

ma di indicazioni strategiche non si era vista neanche l’ombra”426.

Walter Jeder, speaker radiofonico delle prime radio libere di destra e autore di alcuni testi dei

gruppi musicali d’area, ha offerto un racconto “militante”:

“L’accusa, divertente, di aver violato il ‘copyright’ intellettuale dei compagni è un’altra

bella prova che i piccoli Hobbit hanno colpito nel segno. E li hanno spiazzati con la

musica, i dibattiti, l’energia dei giornali ‘istantanei’ autoprodotti.

L’aspetto più vistoso dell’appuntamento beneventano, quello che ha fatto più notizia, è

stato naturalmente lo spazio offerto alla musica politica. Se i compagni avessero avuto

l’umiltà di documentarsi meglio, avrebbero certamente scoperto, che si trattava di un

discorso tutt’altro che nuovo per la nostra parte. Ma non vale la pena di spendere altro

spazio per un improbabile confronto di intelligenze. Il problema semmai dev’essere posto

all’interno del nostro mondo umano, affinché il clamore sollevato da campo Hobbit non

si riduca ad un isolato ed esaltante episodio di folklore politico.

Non ci sembra il caso di spiegare, ancora una volta, il senso del progetto che sta dietro

allo slancio indirizzato alla creazione di un repertorio musicale tutto nostro, alla certezza

che questo sia capace di esprimere meglio di cento comizi un discorso sull’uomo e sulle

sue idee.

Né di ripetere come la nostra gente abbia sete di bandiere e di campi anche per spezzare

il grigiore imposto dai troppi atteggiamenti burocratici e perdenti dei professionisti del

tran-tran politico del nostro movimento”427.

Nella descrizione del pericolo segnalato dalla stampa di sinistra, Tarchi tende a ridurre

l’importanza che ebbe il primo Campo Hobbit. La “smania di protagonismo” e l’accatastamento di

“una gran quantità di argomenti” furono naturalmente deboli sul piano strategico, per un partito che

era sempre alla ricerca di una nuova strategia (strutture giovanili comprese), ma ebbero un impatto

dirompente in termini di ridefinizione di significato dell’attività politica in tutte le sue forme. Gianni

Alemanno ha commentato:

426 Ivi, pp. 31-34. 427 http://www.campohobbit40.it/2017/06/01/campo-mi-paura-walter-jeder/. Il sito campohobbit40 è online dal 2017,

anno del quarantennale del primo Campo e teatro di una rievocazione di quella due giorni; contiene fotografie,

interviste e audio su quegli eventi (i Campi Hobbit furono tre) impossibili da reperire in archivio fino ad ora. Consultato

per l’ultima volta il 30/09/2019.

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“Una svolta profonda, forse la più importante nella storia dei Movimenti giovanili di

destra. I campi Hobbit hanno rappresentato contemporaneamente un ritorno alle radici

più autentiche del pensiero comunitario e dall’altro un coraggioso approccio con la

modernità, con i suoi stili di comunicazione e con le sue contraddizioni creative. Senza i

Campi Hobbit non ci sarebbe stata la musica alternativa, la passione per Tolkien, una

grafica innovativa, la voglia di dialogare con il mondo esterno a noi. Questa esperienza

ha rappresentato la prima rottura del ghetto in cui eravamo rinchiusi: quando eravamo

immersi negli anni di piombo, i nostri giovani scoprivano mille modi per scrollarsi di

dosso i vecchi stereotipi del radicalismo di destra”428.

Alemanno ha aggiunto che a Montesarchio si acquisì una nuova idea di comunità, un concetto

primario nella destra nata dalle ceneri del fascismo:

“Il mito della Comunità. I Campi Hobbit erano proprio una grande rappresentazione

vivente degli stili comunitari, dal punto di vista culturale come da quello esistenziale.

Fino a quel momento avevamo vissuto principalmente il mito dell’alternativa al sistema

e del conflitto, lo scontro duro da cui dovevano emergere il coraggio e il protagonismo

militante. Poi con quella rivoluzione ideale imparammo che prima ancora di lottare contro

il sistema, era indispensabile vivere in maniera diversa la propria esistenza, per non essere

noi stessi figli di quel sistema”429.

Giunse da molte parti l’accusa di essere diventati dei “fascisti rossi”. L’ex direttore del Secolo

Gennaro Malgieri, uno dei primi animatori della Nuova Destra in Italia, ha smentito questa accusa,

sottolineando l’importanza che l’evento ebbe per tutte le componenti culturali della galassia

giovanile. Se il Campo Hobbit fu popolato da poco più di un migliaio di persone, la sua influenza si

estese a tutta la galassia neofascista e non solo. A parere di chi scrive, è in questo punto che si trova

l’importanza epocale di quell’evento: la destra intera dovette misurarsi con una novità dirompente

per l’area e reagire ad un ancora più nuovo modo di praticare la politica, che costringeva a ridefinire

forma e contenuto di alcuni capisaldi, dal concetto di comunità, passando attraverso la

contaminazione culturale di un universo attentissimo alla sua purezza, fino alla necessaria rottura dei

confini del ghetto. Malgieri ha detto:

“Il momento aggregante che Campo Hobbit indubbiamente rappresentò, spiazzando le

vecchie liturgie partitiche, era comunitario nella sostanza e intellettuale nella forma:

l’attenzione alle idee, alle nuove scienze, al superamento della logica dell’aut-aut per

scoprire in quella dell’et-et un modo nuovo di confrontarsi con chi riteneva la “guerra

428 http://www.campohobbit40.it/2017/06/22/gianni-alemanno-2/. Consultato per l’ultima volta il 30/09/2019. 429 Ibidem.

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civile permanente” ineluttabile, insieme con forme espressive incisive e trasgressive allo

stesso tempo, dalla musica rock alla grafica, per intenderci, coniugando il tutto con miti

e simboli della Tradizione. Tutto questo e molto altro ancora costituì il fondamento di

un’esperienza che sarebbe diventata dominante fino a scuotere la stagnazione politica

nella quale viveva la Destra istituzionale. Il valore di quel momento durato poi un

decennio e declinato in varie forme, contribuì enormemente alla crescita di tutta la Destra

il cui dato più importante fu l’abbandono del neo-fascismo come riferimento fondante

una comunità attiva che dimostrava con le sue inquietudini una creatività che all’epoca

non sempre né da tutti venne compresa, ma che avrebbe dato i suoi frutti nel corso del

tempo”430.

In seguito al Campo Hobbit, Fini diede l’avvio ad una serie di attività estive da inquadrare nelle

“vacanze militanti”, e chiese senza mezzi termini un impegno senza sosta, e senza ferie, ai militanti

e tesserati: ben sei manifestazioni, tutte rivolte alla difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale, si

svolsero nel mese di luglio, da nord a sud passando per la riviera ligure e Venezia. In provincia di

Reggio Calabria si tenne alla fine di luglio il Camposud, una tre giorni di incontri sulla rinascita del

Mezzogiorno con spettacoli musicali e dibattiti aperti431. È evidente l’influenza oramai ineludibile del

primo Campo Hobbit e della nuova forma dell’attività politica; nondimeno, il dirigismo del vertice

aumentava rispetto agli ultimi anni: il partito e, soprattutto, Almirante non potevano concedere altre

sbandate alla base, né in direzione del radicalismo di destra, né tantomeno verso strade alternative.

“Una buona organizzazione interna passa necessariamente attraverso due momenti fondamentali: una

corretta visione del tesseramento e una valida classe dirigente nazionale”432.

“La proiezione esterna dovrà avvenire, almeno per tutto settembre, dando grosso rilievo

alla legge sul preavviamento al lavoro e alla disoccupazione giovanile [quest’ultima parte

della frase è sottolineata nell’originale, nda]. […]

È urgentissimo costituire associazioni di giovani disoccupati che, anche sotto sigle

diverse da quella del Fronte, diano vita a qualche manifestazione di piazza. Purtroppo la

nota e drammatica situazione finanziaria in cui versa il Partito non ci consente, almeno

per ora, di stampare molto materiale di propaganda. A tale involontaria carenza supplirà

in parte il giornale giovanile.”433.

430 http://www.campohobbit40.it/2017/05/29/gennaro-malgieri/. Consultato per l’ultima volta il 30/09/2019. 431 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 14 luglio 1977, pp. 1-2. L’espressione “vacanze

militanti” è nel documento a pagina 1. 432 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 5 settembre 1977, p. 1. 433 Ivi, p. 2.

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Quest’ultimo venne intitolato Dissenso, il quale divenne il celebre mensile del FdG fino al 1984;

con un taglio meno cristallizzato sui temi di politica interna, la rivista, pur restando fortemente

controllata dal partito, divenne una palestra di pubblicistica importante per la classe dirigente missina

del futuro. Su Dissenso:

“alle cronache più strettamente politiche e agli articoli di controinformazione fanno

riscontro le pagine dedicate alle recensioni, alla musica pop, alla critica cinematografica,

mentre particolare spazio viene dato alla Nuova Destra francese e ad articoli di

rievocazione storica”434.

Il FdG proseguiva nella ricerca di alleanze nelle scuole, da valutare caso per caso, così da creare

un blocco anticomunista, ripresentando sostanzialmente una linea di condotta identica a quella degli

anni passati; laddove non arrivava la Fiamma, le sezioni giovanili avrebbero dovuto mobilitare i

militanti in favore di liste amiche, purché marcatamente anticomuniste. Maggiore attenzione venne

dedicata alla legge del giugno 1977 sulla disoccupazione tra i giovani, un problema sociale che aveva

cominciato a comparire nelle agende parlamentari da tempo. La tattica del MSI era agire

concretamente sul territorio, per mezzo delle nuove generazioni, e aiutare i disoccupati o chi era alla

ricerca di un impiego a sfruttare i vantaggi della legge. Dunque, non bastava la protesta, occorreva

una fase costruttiva, una sorta di investimento in termini propagandistici.

“La posizione del Partito e del Fronte su questa legge è ormai da te conosciuta e già

parecchie sono le iniziative prese in varie parti d’Italia per denunciare l’inconsistenza dei

provvedimenti.

L’azione di propaganda in tal senso deve ora costituire uno dei temi chiave delle nostre

battaglie: è necessario promuovere il maggior numero possibile di manifestazioni su

questo argomento. La nostra azione dovrà soprattutto concentrarsi nei posti e negli

ambienti più direttamente interessati al problema, a partire dagli stessi Uffici di

Collocamento dove potremo concentrare una grossa fetta della nostra propaganda”435.

Inoltre, si doveva “predisporre la creazione di un MOVIMENTO DEI GIOVANI DISOCCUPATI

[così nel documento, nda] che avrà un suo coordinamento nazionale nella sede della Direzione del

Fronte”436.

“[…] con l’istituzione del Settore Iniziative Parallele che dirigo con la collaborazione di

Stefania Paternò, intendo centralizzare tutte quelle iniziative musicali, artistiche, culturali

434 Mario Bozzi Sentieri, op. cit., p. 205. 435 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 20 settembre 1977, p. 1. 436 Ivi, p. 3.

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e sociali che finora si sono sviluppate in modo autonomo, con ciò perdendo quella

incisività e quel coordinamento necessari alla politicizzazione di esse.

Il Settore si articolerà in commissioni tra le quali avranno rilevanza quella musicale,

quella grafica, quella di animazione scenica e i gruppi d’ambiente”437.

Questo provvedimento ricorda da vicino le mosse di Almirante agli albori del FdG, in cui la linea

dirigistica e strettamente centralizzata fu la regola; non stupisce però che, al di là di tutto, il MSI stava

trattando alla solita, vecchia maniera le novità: normalizzandole. Qualche elemento di trasformazione

è riscontrabile nell’ingresso di una donna, Stefania Paternò, appunto, nella cabina di comando di

questo nuovo settore e, se non altro, nella mancanza di repressione delle iniziative che scaturivano

dalla base. Infine, la carica di segretario provinciale del FdG divenne elettiva a partire dal 1977 e

della durata di due anni438: un piccolo passo avanti verso la rappresentanza tanto acclamata dalla base.

4.3 Acca Larentia e la riemersione della violenza nera

Cosa restava di tutti questi cambiamenti? Il riassestamento delle strutture, novità formali e

sostanziali nella pratica politica delle giovani generazioni, nuove sfide, come ad esempio conquistare

spazio a sinistra senza lo scontro fisico, e una frattura con il vertice missino erano tutti dati

incontrovertibili. Alcuni non erano sorti negli ultimi mesi, però fu il ’77 ad imporli nell’agenda del

partito; prese piede anche una corrente di pensiero antica nella galassia neofascista, il cosiddetto

fascismo di sinistra, decisamente inviso al MSI della fine degli anni Settanta:

“E quella che potremmo chiamare l’ultima incarnazione di una ‘sinistra’ scaturita

dall’universo neofascista, si esprimerà a metà degli anni ’70 con presupposti e riferimenti

inediti. Questa volta si trattava di un fenomeno più generazionale ed esistenziale che

ideologico in senso stretto. A prenderne atto, nel gennaio 1979, fu Giorgio Galli su

«Repubblica» parlando di ‘fascisti in camicia rossa’. Figli degli anni ’70, questi nipotini

inconsapevoli di Berto Ricci e Nicolino Bombacci, rivelavano un percorso parallelo a

quello che, sull’altro versante, andavano conducendo i coetanei della ‘nuova sinistra’. E

Galli ne metteva in luce alcuni «elementi diversi da quelli consueti» e, in particolare,

l’aspirazione a sintonizzare ed aggregare «la protesta antisistema dei giovani, dei

disoccupati, del sottoproletariato». Si trattava di un vasto fermento giovanile emerso in

437 Afus, Archivio Sezione di Latina, b. Archivio Fare Verde, f. 1977, 26 settembre 1977, p. 1. 438 Piero Ignazi, Il polo…, cit., p. 284. La conferma della modifica statutaria arrivò con la pubblicazione dello Statuto

del 1980, in: Lia Scarpa, op. cit., p. 625.

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quegli anni e che si poteva cogliere attraverso le pubblicazioni come «La Voce della

Fogna» e «Linea», in cui comparivano argomenti e toni inediti per la precedente

pubblicistica neofascista. Si introducevano temi nuovi, come l’attenzione ai diritti civili

e alle tematiche ambientaliste. […] Emergeva, soprattutto, il quadro di un ambiente

caratterizzato da una linea libertaria, garantista, antistatalista, ambientalista,

antioccidentalista e, addirittura, con venature regionaliste e antiproibizioniste”439.

L’imposizione di argomenti innovativi e linee di pensiero era la parte meno dura da accettare,

poiché, oltre alle diatribe interne al partito, agli esperimenti culturali, alle novità in generale, il

movimento del ’77 esacerbò gli animi e contribuì a far affiorare una nuova ondata di estremismo. Un

estremismo diverso dai precedenti per una serie di ragioni: dall’insoddisfazione nei confronti dei

partiti, passando attraverso l’emersione di problematiche sociali che le istituzioni non affrontarono

subito, fino all’“omologazione generazionale prodotta dall’accesso, mai prima di allora così diffuso,

ai mezzi di comunicazione di massa”440. La frattura tra giovani e adulti, che il MSI aveva sempre

ricomposto senza troppe difficoltà in passato, si acuì irrimediabilmente. A destra, l’estremismo si

inabissò in seguito alla strage di piazza della Loggia e le varie sigle cessarono le azioni criminali, gli

apparati deviati dello Stato non garantivano più “coperture”; tuttavia, il ’77 offrì un’occasione per la

riemersione di queste tendenze, gli eventi di quell’anno agirono come un detonatore per gruppi e

formazioni più a destra della Fiamma. A tutto ciò si aggiunse la chiusura del movimentismo di sinistra

verso i “fascisti”, sebbene il nemico fosse lo stesso, il sistema441, e lo slittamento di parte dei giovani

da posizioni vicine al partito a simpatizzanti di una destabilizzazione del sistema, “da guardiani del

cosmos diventano fautori del caos”442.

Se è provato dalla consistenza e dall’organizzazione dei gruppi terroristici, nati nella seconda metà

degli anni Settanta, che l’estremismo fu una scelta minoritaria, l’impatto che ebbe sul neofascismo è

altrettanto chiaro. A causa dell’impeto di radicalizzazione politica, diversa dal Sessantotto e quasi più

brutale (tutti i partiti si trovarono concordi sull’atteggiamento di rifiuto di appoggio al movimento),

prese il largo l’opposizione dura, da parte di molti giovani, alla politica moderata dei missini:

“Il rifiuto del moderatismo spinge la nuova generazione dell’estremismo di destra,

cresciuta nella «guerra di strada» di metà decennio, ad alzare il tiro e cercare lo scontro

anche armato con la sinistra. Ma la crescente presa di distanza dalle politiche d’ordine

439 Luciano Lanna e Filippo Rossi, op. cit., p. 181. 440 Luca Falciola, La generazione introvabile. Destra radicale e movimento del ’77, in Monica Galfrè e Simone Neri

Serneri (a cura di), Il movimento del ’77. Radici, snodi e luoghi, Viella, Roma 2018, pp. 131-132. La citazione si trova a

pagina 131. 441 Marco Grispigni, “Il salto di qualità”. La violenza di strada e i suoi attori, in Monica Galfrè e Simone Neri Serneri

(a cura di), op. cit., p. 276. 442 Isabella Valentini, La destra radicale fra progettualità e terrorismo: il lungo itinerario ideologico dal neofascismo

all’anarchismo di destra, in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, vol. XVI-XVII anno 2004-2005, p. 408.

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dello stesso Msi tira in direzione opposta e porta i movimentisti a vedere nello Stato e nel

potere democristiano il vero nemico comune loro e dei rivoluzionari rossi.

Nel movimentismo e poi nello spontaneismo armato di destra convivono così tendenze

opposte: chi vuole chiudere una volta per tutte la fase della guerra di strada fra rossi e neri

per volgere le armi contro lo Stato; chi invece intende continuare a prendere di mira i

«compagni»; chi pensa seriamente a una possibile unità d’azione armata

«fasciocomunista» e si adopera per realizzarla; chi, infine, non si discosta dalla pratica

della «mimetizzazione» e si limita a camuffare le proprie azioni con sigle che sembrano

rinviare alla sinistra (Gruppi Proletari Organizzati Armati) e con una fraseologia copiata

dai volantini delle formazioni terroriste rosse”443.

Le idee confuse degli estremisti, insieme con un panorama ideologico di riferimento non

sistematico, riflettevano il portato della polemica politica degli anni Settanta e, nello specifico, della

descrizione propagandistica dell’avversario che era stata l’elemento fondamentale della retorica

missina del decennio. In più nella seconda metà degli anni Settanta, le variabili più importanti nella

definizione di questa fetta di gioventù neofascista militante erano due: la precoce educazione alla

violenza in contesti, urbani e suburbani; la vicinanza costante e forzata ai coetanei di sinistra, e ai loro

temi. Secondo Franco Ferraresi, a destra:

“[…] si ebbe, innanzitutto, un ricambio generazionale dovuto all’avvento sulla scena

politica di nuove schiere di militanti, quelli nati dopo il 1955. Erano giovani lontani dalla

memoria storica del Fascismo, pieni di insofferenza per la retorica della nostalgia (inclusi

forse i miti della RSI), alieni anche da ogni forma di reverenza per i gruppi storici. Si

sentivano più coinvolti dalle tematiche, dagli stili di comportamento, dalle ansie, dalla

furia antisistemica dei loro coetanei - anche quelli schierati su fronti politici avversi - che

dai moduli tradizionali dell’iconografia di estrema destra”444.

Questa identificazione inconscia, insieme ai cambiamenti della società, distrusse il rapporto con il

partito:

“Le trasformazioni sociali degli anni precedenti avevano dato forma ad alcuni nuovi

soggetti collettivi che non potevano essere identificati col riferimento ai tradizionali

cleavages politici e di classe: le donne, i disoccupati, i verdi, i giovani proletari e altri

soggetti dall’incerto profilo sociale. Il conflitto delineava oramai ‘due società’ [Asor

Rosa], contrapponendo gli ‘out’, soggetti marginali, precari e disoccupati, agli ‘in’, i

443 Andrea Colombo, Nicola Rao, Luca Telese, Francesco Patierno, Giusva. La vera storia di Valerio Fioravanti,

Sperling & Kupfer, Milano 2011, p. 13. 444 Franco Ferraresi, op. cit., p. 290.

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garantiti, quanti occupavano posizioni sicure, compresi i lavoratori aderenti al sindacato

o al Partito Comunista”445.

La lunga crisi interna, le decisioni di Almirante, il movimento del ’77 ebbero queste conseguenze:

il MSI perse l’influenza su una buona fetta di giovani e in breve si ripropose il problema

dell’estremismo di destra. In questo frangente, il fenomeno dello spontaneismo armato, ossia di quei

gruppi terroristici nati senza una strategia precisa e con una visibile componente nichilista nella loro

opera, scaturì da una frattura sociale prima che politica; la violenza era stata una componente quasi

naturale dei loro esordi politici e la critica forte alla linea almirantiana, che si diffuse a partire dal

1976, diventò, in certe zone periferiche delle grandi città (su tutte: Roma), un sentimento di astio

verso chi non aveva fatto abbastanza per difendere i militanti. Di qui, la differenza rispetto alla prima

ondata di estremismo nero.

In ogni caso, descrivere tutti i nuovi militanti e tesserati, nati dopo la metà degli anni Cinquanta,

alla stregua di estremisti potrebbe portare all’errore. Al di là del Campo Hobbit e delle posizioni

analizzate sopra, la base era cambiata e con lei lo erano le richieste al vertice e le idee circolanti:

“Descrivere il piccolo mondo missino di base come un accampamento perennemente

sotto assedio ed esclusivamente impegnato ad arginare i danni e restituire i colpi subiti in

un susseguirsi di episodi delinquenziali significa tuttavia cedere al gusto della caricatura

e ridurre, di parecchio, la complessità della situazione che l’Italia intera attraversò nella

fase più acuta delle violenze di piazza e del terrorismo”446.

Anche sul piano simbolico, il FdG e il FUAN adottarono persino un nuovo emblema di

riferimento: la croce celtica. Al riguardo, Nicola Rao è riuscito a raccogliere un ricordo di Gianni

Alemanno:

“Il primo gruppo ad adottare il simbolo della croce celtica fu il Circolo di via Noto a

Roma, nei primi anni Settanta. Poi la corrente rautiana decise in maniera cosciente di

farne il nuovo simbolo dei giovani missini e così i rautiani cominciarono a presentarsi

alle manifestazioni tutti inquadrati dietro questa nuova bandiera: rossa, con un sole bianco

in mezzo, dentro al quale campeggiava una croce celtica nera. Fu a quel punto, parliamo

del ’76-’77 che il simbolo dilagò, sostituendo i vecchi littori. In quegli anni cambia tutto

il tradizionale rituale neofascista”447.

Il 30 settembre 1977 si verificò a Roma l’omicidio di Walter Rossi. La vittima era un militante di

LC e la sera di quel giorno stava distribuendo dei volantini antifascisti nei pressi della sezione romana

445 Ivi, p. 287. 446 Marco Tarchi (a cura di), La rivoluzione impossibile…, cit., pp. 10-11. 447 Nicola Rao, Trilogia…, cit., p. 212.

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del MSI di via delle Medaglie d’Oro; il volantinaggio scatenò a tutti gli effetti una guerriglia urbana

tra rossi e neri con impiego delle armi da fuoco. Quello stesso autunno Roma venne attraversata da

una spirale di violenza senza precedenti, una battaglia tra bande che per mesi misero a ferro e fuoco

interi quartieri.

Lo spirito di vendetta animò molte delle iniziative dei gruppi, completamente al di fuori dal

controllo dei partiti; tale clima condusse ad uno degli eventi più traumatici per la storia della destra

italiana: l’eccidio di Acca Larentia. Il 7 gennaio 1978, poco prima delle 19, la sede missina del

quartiere Tuscolano di Roma venne attaccata da un commando di estremisti di sinistra e morirono

sotto i colpi d’arma da fuoco due giovani del FdG: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Il

Messaggero ricevette la rivendicazione dell’attentato da parte dei Nuclei armati di contropotere

territoriale448. Nonostante il messaggio, la stampa insistette sulla faida interna alla sezione missina e

i neofascisti reagirono rabbiosamente:

“L’ennesimo stravolgimento della realtà, dopo il rogo di Primavalle e dopo Mantakas, fa

esplodere la piazza nera. Che punta il mirino contro la stampa e i «pennivendoli», accusati

di essere asserviti al sistema democomunista”449.

Ad Acca Larentia morì anche Stefano Recchioni, in seguito allo scontro a fuoco che scaturì tra

neofascisti e polizia, intervenuta per sedare gli animi appena dopo l'attentato:

“La notizia dell’agguato fa in un baleno il giro di Roma e arriva anche alla sezione di

Colle Oppio, dove in quel momento c’è Stefano Recchioni. Da un po’ Stefano si è

allontanato dalla militanza: è in polemica con la linea «forcaiola» di Almirante, e poi sta

per partire militare.

Ma quella sera si trova lì, e quando sente che hanno ucciso due camerati al Tuscolano, si

precipita insieme agli altri. Ad Acca Larentia trova tutti, a cominciare dal neosegretario

del Fronte, Fini. La rabbia e la tensione sono allo spasimo. Poi tutto esplode, anche se

non si saprà mai perché. […] Per tre giorni il Tuscolano sarà devastato dalla rabbia

missina. Arriveranno anche gruppetti di fuoco che stanno nascendo in quelle

settimane”450.

Si verificò una forte ondata di sdegno contro lo stesso partito, la rabbia prese il sopravvento e la

continuazione della vita politica sui binari “regolari” venne messa in discussione. Non si tratta

soltanto di Roma, Acca Larentia ebbe un’eco nazionale e, se è vero che gli scontri più violenti

448 ACS, Direttiva Renzi, PCM Serie 2-50-6, f0169 c0001 d0004, dossier sui fatti di Acca Larentia. 449 Nicola Rao, Trilogia…, cit., pp. 757-768. La citazione è di pagina 765. 450 Ivi, 766-767.

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avvennero nella Capitale, le conseguenze si estesero a macchia d’olio. Molti giovani non si sentivano

più difesi sotto il partito, quasi abbandonati dopo essere stati usati per gli interessi del MSI.

“Fu un’esperienza traumatica per i giovani militanti, che vi lessero l’abbandono e il

tradimento da parte del partito. Essi reagirono con rabbia furibonda, scatenando tre giorni

di violenze che dal Tuscolano si estesero ai vicini quartieri. Furono date alle fiamme

macchine e autobus, frantumate le vetrine dei negozi, aggrediti i passanti, attaccati e fatti

segno a colpi di arma da fuoco i blindati della Polizia. Il gruppo dei Fioravanti, da solo,

esplose almeno trecento colpi.

Questo, per molti militanti, fu un punto di non-ritorno. Da quel momento, la lotta armata

a tutto campo divenne una delle possibili alternative, una via percorribile anche per i

giovani della Destra radicale.

In realtà, per la maggior parte di loro, più che di una vera e propria opzione si trattò di

uno sbocco pressoché naturale, una sorta di affermazione del diritto all’autodifesa, un

modo di ‘affermare una presenza’. Non sembra esservi stata una vera discussione al

riguardo, né un dibattito sulle possibili conseguenze e le prospettive future che una simile

decisione apriva, certamente nulla di confrontabile alle discussioni che, in quello stesso

periodo, avvenivano a sinistra”451.

La strage modificò la percezione del partito tra i giovani e alcuni di questi lasciarono la politica

attiva. Acca Larentia confermò indubitabilmente alla destra “la sensazione di essere accerchiata dallo

Stato e dalla sinistra extraparlamentare”452; partendo da qui, comparirono numerosi gruppi terroristici

neri, frammentati e senza unità d’azione, che agirono in modo autonomo: in altre parole, esplose lo

“spontaneismo armato”453. Questo fu un fenomeno differente dal terrorismo stragista dell’inizio degli

anni Settanta, maggiormente legato alla criminalità comune piuttosto che agli apparati deviati o alle

sezioni missine, e legato ad un nichilismo violento, diretto tanto allo Stato quanto ai rossi, a cui era

sottesa la volontà di vendicarsi per le perdite subite nel corso del decennio.

“È ovvio, vedendola oltre quarant’anni dopo, che la strage di Acca Larentia cambiò per

sempre il mondo dell’attivismo romano: molti si allontanarono schifati dalla politica, ma

molti continuarono con maggior determinazione, e pochi, infine, passarono alla lotta

armata pensando che ci si doveva difendere da soli dai comunisti che uccidevano, dalle

forze dell’ordine che sparavano e dalle istituzioni che perseguitavano e criminalizzavano

i giovani di destra. Acca Larentia non fu né il primo né l’ultimo degli omicidi politici, ma

451 Franco Ferraresi, op. cit., pp. 292-293. 452 Isabella Valentini, op. cit., p. 423. 453 Ivi, pp. 423-424.

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fu certamente quello che segnò un bivio importante nella storia di questo partito e anche

dell’Italia. Gli attivisti di ieri, insieme con quelli di oggi, ogni anno ricordano i tre ragazzi

uccisi per il loro ideale, e questa non è retorica, è la verità. Chi ci va in corteo, chi ci va

la mattina, chi la sera, chi la notte, chi da solo come me all’ora di pranzo, ma nessuno ha

dimenticato. Tutti si vogliono appropriare della loro memoria, ma i caduti di Acca

Larentia sono nostri, di noi ragazzi del Fronte della Gioventù di allora, di noi che

c’eravamo. Non molti se lo ricordano, ma anche i giorni dopo ci furono scontri

violentissimi nel quartiere. […] Eravamo attoniti, allibiti, arrabbiati con tutti: col partito

che non ci difendeva a sufficienza, soprattutto che non ci sosteneva, con le forze

dell’ordine per quello che era successo, con le istituzioni perché rimanevano indifferenti.

Insomma, una situazione esplosiva”454.

Tuttavia, quello che rimase degli anni Settanta ai giovani di destra non fu soltanto la violenza,

come si è cercato di mostrare, ma una vicenda umana complessa fatta di nostalgia per un passato mai

vissuto, di un senso di appartenenza alla comunità dei reduci e degli esclusi dalla democrazia e di

diversi tentativi di saltare gli steccati ideologici e sociali spesso imposti dallo stesso partito:

“Gli anni Settanta non furono, per i militanti di quella parte politica, solo «di piombo». A

segnarli non furono unicamente il rogo di Primavalle, gli omicidi di Mantakas e Ramelli,

la strage di Acca Larentia e le altre crudeli ferite ricevute e inferte che sono rimaste

impresse nei resoconti di cronaca e nelle menti di chi in un modo o nell’altro vi fu

coinvolto. A quel tempo risalgono una quantità notevole di umori, fervori e furori creativi

che né prima né dopo di allora i postumi seguaci di Mussolini - immaginario, transitorio

o eretico che fosse il loro culto dell’uomo, del movimento o del regime che al suo nome

sono associati - hanno saputo esprimere, e che proprio dalla temperie di un periodo

particolarmente difficile furono ispirati”455.

454 Antonio Pannullo, op. cit., pp. 605-606. 455 Marco Tarchi (a cura di), La rivoluzione impossibile…, cit., pp. 10-11.

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Conclusione

Una storia ancora aperta

La storia dei giovani di destra negli anni Settanta è pienamente inserita nella vita del MSI e,

contestualmente, molto diversa rispetto alle vicende del partito della Fiamma. Nelle pagine precedenti

si è tentato di raccontare una fase peculiare della vita politica di giovani generazioni che scelsero, per

varie ragioni, di fare politica a destra. Partendo da un sostrato culturale e ideologico molto eterogeneo,

la nascita del FdG e la riforma di tutto il settore giovanile unirono sensibilità diverse sotto lo stesso

ombrello istituzionale; il ruolo egemone svolto dal MSI a destra e l’esclusione da numerosi aspetti

della vita politica e sociale del Paese contribuirono a compattare questa galassia giovanile.

Nelle fasi iniziali dello studio, l’impressione era di trovarsi a confronto con un fenomeno dai tratti

tipici della storia missina, fissità e impenetrabilità. La frattura generazionale, causata dal Sessantotto,

sembrava non aver sortito effetti rilevanti; dunque, si è imposta con urgenza la domanda sull’elemento

dell’immutabilità e dall’interpretazione delle fonti è emerso che, per dirla con Tarchi:

“[…] l’immobilismo è stato per il Msi una risorsa strategica, di cui i leader si sono avvalsi

per mantenere e rafforzare il proprio potere e nel contempo prevenire e ostacolare la

nascita di concorrenti esterni”456.

E di concorrenti esterni il MSI ne ebbe molti; a partire dalle formazioni del radicalismo di destra,

le quali pescarono nella base neofascista senza troppe difficoltà per via della chiusura ermetica verso

l’esterno. Quest’ultima ha sempre garantito una debolezza nei confini tra appartenenza regolare ed

estremismo: la maggior parte degli estremisti, infatti, partecipava alle manifestazioni del partito,

possedeva la tessera, faceva vita di sezione e, in ultima analisi, stringeva legami umani con gli altri

militanti. La recrudescenza dello scontro politico e il tesissimo clima sociale degli anni Settanta

cementarono questi legami, finendo per generare quella zona grigia, o contiguità, che sfuma le

differenze e complica il lavoro dello storico.

La spiegazione è stata fornita da Parlato, che ha scritto della “comunità umana”, prima che politica;

la destra italiana, in cui confluirono non soltanto coloro i quali avevano un’opinione positiva del

passato fascista ma anche monarchici e tradizionalisti cattolici, era un ritrovo sicuro in cui l’ideologia

resta sempre sullo sfondo. Ciò che conta maggiormente è il sentimento di appartenenza ad una

comunità di reduci, che si sentono esclusi dal e vittime del regime politico democratico e

repubblicano. Ha detto un ex militante:

456 Marco Tarchi, Dal Msi ad An…, cit., p. 401.

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“Eppure si stava insieme, litigando, ma si stava insieme. Perché c’era un’origine comune,

una memoria da difendere, e perché l’altrui ostracismo, nei nostri confronti, da ostilità

politica si trasformò in violenza fisica e strabismo giudiziario.

Così, ininfluenti alla stagione politica che non ci prendeva in considerazione, il pathos e

la dialettica di quello che divenne un vero e proprio microcosmo si tradussero in

appassionati confronti congressuali, non sempre solo verbali”457.

Questa tesi di dottorato ha evidenziato i legami fra base, strutture di vertice e partito governato,

nel periodo di riferimento, da Giorgio Almirante. Egli conquista i tratti del capo carismatico per la

galassia della destra; tutto lo sforzo della sua seconda segreteria è volto a preservare il neofascismo

da attacchi esterni e contaminazioni teoriche. Il suo consigliere fidato, Franco Servello, ha descritto

la fissità dell’area come un elemento utile alla sopravvivenza della stessa e Almirante sarebbe stato

l’unico in grado di salvarla. Servello, parlando degli anni Settanta, ha dichiarato:

“Era il ritrovarsi dentro un sentimento comune che solo Almirante sapeva in quel

momento interpretare. Quel sentimento era rafforzato, in quegli anni, dalla persecuzione

che viveva la nostra gente, che vivevano i nostri giovani aggrediti quotidianamente

davanti alle scuole, sotto casa e all’università. La nostra gente non avrebbe mai potuto

rinunciare all’idea di sentirsi alternativa a un sistema che ci era tanto ostile. E poi era

chiara l’idea che, per continuare a svolgere un ruolo politico, bisognava avere forza. E

l’unica forza vera nasceva dall’unità di tutte le forze nazionali e anti-comuniste. Se poi le

porte del potere erano per noi sbarrate, pazienza”458.

In seguito, le lettura critica delle fonti ha modificato l’impressione iniziale e restituito un quadro

difficile da leggere e però evidentemente composito, nel quale la preoccupazione del vertice delle

strutture giovanili si somma ai distinguo di qualche sezione di base. La violenza sovrasta,

specialmente nel 1973, i neofascisti e la destra e così la reazione è un cambio di rotta, o meglio: una

richiesta di un nuovo piano strategico ad Almirante. L’obiettivo era uscire dal ghetto e rompere

l’immobilismo. Tra tante difficoltà, resistenze e perdite umane, la galassia giovanile elabora proposte

divergenti dal partito e prova a rompere l’isolamento nelle scuole, sui luoghi di lavoro e nelle

università. Questo percorso porterà alla crisi del ’76-’77 e all’esperimento del primo Campo Hobbit,

un’onda lunga di trasformazione interrotta dall’eccidio di Acca Larentia, il quale spaccherà la destra

giovanile in termini di scelte e prospettive politiche, non soltanto a Roma, ma lungo tutta la Penisola.

457 Massimo Corsaro, Memorie, semiserie, del “mio” MSI-DN, in: https://www.destra.it/memorie-semiserie-del-mio-

msi-dn/. Consultato per l’ultima volta il 30/09/2019. 458 Franco Servello (Intervista a cura di Aldo Di Lello), 60 anni in Fiamma. Dal Movimento Sociale ad Alleanza

Nazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, p. 125.

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L’interpretazione di chi scrive è che i giovani subirono il fascino di alcune caratteristiche della

destra italiana, parteciparono alle manifestazioni, alla vita di sezione e alle attività politiche seguendo

le direttive del vertice e la retorica dei leader. L’incontro con la violenza vi fu, sebbene non sia

possibile descriverlo come variabile di sistema: un conto sono i legami di amicizia, un altro

l’eversione. Sarebbe da indagare a fondo il comportamento del MSI nella manciata di mesi che vanno

dal ’69 al ’73 per meglio tratteggiare la zona grigia: il progetto di unire tutte le anime sotto il MSI,

dai moderati agli estremisti, venne perseguito seriamente dalla segreteria. I giovani furono una

componente essenziale alla piazza di destra e il loro utilizzo strumentale fece di loro degli attori

inconsapevoli. Tutto questo non solleva da responsabilità personali o crimini privati, pur se compiuti

in ambiente politico, però restituisce un’immagine diversa dalla classica raffigurazione del giovane

neofascista.

L’omicidio dell’agente Marino cambiò tutto e il partito corse ai ripari, poiché indirettamente si

riconobbe che qualche errore era stato commesso. La militanza giovanile non finì con le disposizioni

urgenti, emanate dal partito nell’estate di quell’anno e miranti a “stringere le briglie”; iniziò una fase

nuova e meno dipendente dalle decisioni del vertice. La necessità di relazionarsi ai giovani coetanei

di altre fedi politiche vinse sugli steccati del ghetto missino e sul desiderio di vendetta per le perdite

subite. La violenza è un dato normalizzato nella politica degli anni Settanta (in particolare tra i

giovani) ma non esaurisce la destra italiana, né nessun’altra parte politica: una prova è il fermento del

’77 e, ancora precedente, la fase di revisione della struttura e delle linee strategiche che il partito visse

nel ’76.

Questa tesi di dottorato è soltanto l’inizio di un percorso di approfondimento del tema, anzi dei

temi che scaturiscono da quest’area politica; gradualmente, emergono nuove fonti d’archivio che

aiutano nella ricostruzione di una storia ancora poco conosciuta e analizzata. Gli interrogativi

aumentano e, a differenza degli anni scorsi, crescono anche le possibilità di studiare le carte della

destra.

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165

Fonti e bibliografia

Archivi

Archivio Centrale dello Stato

Ministero dell’Interno 1814-1986; Gabinetto 1814-1985; Archivio Generale 1848-1985; Fascicoli

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Ministero dell’Interno 1814-1986, Dipartimento Pubblica Sicurezza, Segreteria del Dipartimento

(1944-1986), Ufficio Ordine Pubblico (1944-1988), Categorie Permanenti, G, associazioni 1944-

1986;

Direttiva Renzi del 22 aprile 2014, versamento Presidenza del Consiglio dei Ministri, Sistema di

informazione per la sicurezza della Repubblica, AISE, Serie 2-50-6: Attività di natura eversiva e

violenta da parte di partiti e movimenti politici estremisti (1972-1986).

Archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo de Felice

Archivio Eveno Arani;

Archivio Adalberto Baldoni (non riordinato);

Fondo Ignazio Di Minica;

Archivio Movimento Sociale Italiano;

Archivio Franco Servello;

Fondo Primo Siena;

Archivio Sezione MSI di Latina (non riordinato);

Archivio Sindacato Sociale Scuola;

Archivio Nino Tripodi.

Testimonianze orali

Gianfranco Fini, raccolta il giorno 11 dicembre 2016 a Roma;

Alfredo Mantica, raccolta il 9 dicembre 2016 a Milano;

Fabio Torriero, raccolta il giorno 7 dicembre 2016 a Roma;

Marco Zacchera, raccolta il giorno 28 novembre 2016 a Verbania;

Paolo Zanetov, raccolta il giorno 11 luglio 2018 a Roma.

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166

Fonti a stampa

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Page 175: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA Dipartimento di Scienze ...

175

Ringraziamenti

Nutro un grande debito di riconoscenza nei confronti di alcune persone, che desidero citare in calce

a questo lavoro. Un enorme ringraziamento, condensato in poche righe certamente inadeguate

all’entità dello sforzo, va al prof. Bruno Ziglioli: è la mia guida accademica dalla stesura della tesi

triennale e il primo colpevole del mio interesse per la storia politica italiana. Negli anni ha corretto,

riveduto e aggiustato scritti, orientamenti, interpretazioni; mi ha sempre lasciato libero di seguire vie

impervie nella ricerca; mi ha supportato e consigliato.

Il debito si estende anche alla prof.ssa Arianna Arisi Rota; ho goduto della sua fiducia e dei suoi

consigli non soltanto durante il Dottorato, ma anche nel cammino universitario della tesi triennale e

magistrale.

È doveroso ricordare la competenza e la gentilezza di tutti i membri della Fondazione Ugo Spirito e

Renzo De Felice di piazza delle Muse, in particolare ringrazio la dott.ssa Alessandra Cavaterra e il

prof. Giuseppe Parlato: senza il loro aiuto, questa ricerca sarebbe molto più incompleta di così. I

riferimenti a faldoni e buste si trovano online e negli inventari; i consigli, le dritte, le discussioni e le

concessioni, su tutte l’accesso a fondi non inventariati, no. Grazie, davvero.