Una grande sintesi di movimento

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1 Enrico Filippini (fotografia: Marialuisa Volonterio)

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Michele Sisto traccia un profilo di Enrico Filippini

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Enrico Filippini (fotografia: Marialuisa Volonterio)

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«UNA GRANDE SINTESI DI MOVIMENTO»: ENRICO FILIPPINI E L’IMPORTAZIONE DELLA

NUOVA LETTERATURA TEDESCA IN ITALIA (1959-1969)

di Michele Sisto

IL CAMPO LETTERARIO ITALIANO ALLA FINE DEGLI ANNI CINQUANTA: GENERAZIONI LETTERARIE A CONFLITTO1

1 Questo articolo, scritto per la Giornata di studio Enrico Filippini, le neoavanguardie, il tedesco tenutesi a Locarno il 4 ottobre 2008, è in corso di pubblicazione, con lievi varianti, sul «Bollettino storico della Svizzera italiana». Vi si approfondiscono alcuni aspetti di un precedente lavoro, Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, apparso su «Allegoria», 2007, n. 55, pp. 86-109. Ringrazio Sandro Bianconi, organizzatore della Giornata di studio, per averne concesso la pubblicazione in rete.

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Che Enrico Filippini sia stato tra i fondatori del Gruppo 63 è cosa nota. È lui stesso, qualche anno più tardi, ad attribuirsi la paternità dell’iniziativa:

Adesso è facile dire: una mattina del mese di maggio o di giugno 1963, Valerio Riva, Nanni Balestrini e io decidemmo di inventare un Gruppo con finalità di seminario letterario [...]. Ed è facile confessare a chi ne fu tanto turbato che l’idea fu mia. Durante l’inverno ero andato a Berlino a vedere i lavori del Gruppo 47, per cui l’idea era ovvia2.

Se l’idea era ovvia, importarla in Italia non lo era affatto. Si potrebbe dire che Filippini ha tradotto ciò che aveva osservato a Berlino, una modalità di organizzazione degli scrittori

2 ENRICO FILIPPINI, Sì, viaggiavamo in wagon-lit..., «la Repubblica», 7.2.1977. Questo aspetto è stato trattato, durante la Giornata di studio, nell’intervento di Renato Barilli.

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collaudata ed efficace, in una nuova forma, appropriata al contesto italiano. A partire da questa definizione più larga del tradurre, vorrei dedicare le pagine che seguono all’attività – ma si vorrebbe dire all’opera – di Filippini come responsabile della narrativa straniera alla Feltrinelli e, in stretta connessione a questo primo aspetto, come traduttore letterario.

Al conflitto permanente che nel campo letterario oppone i nuovi entranti ai dominanti3, infatti, non prendono parte soltanto scrittori e critici, ma anche gli editori, e vi hanno un ruolo tutt’altro che marginale le stesse letterature straniere. È così anche negli anni cinquanta: per affermarsi, la nuova generazione letteraria (che non coincide strettamente con quella anagrafica) non può non mettere in discussione la precedente, e non solo gli scrittori maggiormente riconosciuti o di

3 Per un’illustrazione articolata di questa logica rimando a PIERRE BOURDIEU, Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, Milano, Il Saggiatore, 2006.

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maggior successo, ma l’idea stessa di letteratura che essi rappresentano.

Anche l’odiato “neorealismo”, il bersaglio principale degli attacchi del Gruppo 63, non deteneva l’egemonia da sempre, né la sua egemonia era incontrastata. Si era anzi affermato attraverso una lunga lotta, combattuta fin dagli anni venti, contro la letteratura allora dominante, quella del frammento, della bella pagina, della «Ronda» di Cardarelli e Cecchi. La generazione di Vittorini e Pavese (nati nel 1907-1908) aveva proceduto per gradi: scrivendo su riviste d’avanguardia come «Solaria», riconoscendo i propri maestri in Verga, Tozzi e Svevo, svolgendo un intenso lavoro editoriale nelle allora appena nate case editrici Bompiani e Einaudi, scrivendo Conversazione in Sicilia e La luna e i falò, e, non da ultimo, trovando conferme della propria idea di letteratura all’estero – nel loro caso soprattutto negli Stati Uniti, nel realismo di Melville, di Sinclair Lewis, di Faulkner, di Hemingway, che allora erano un’assoluta novità e che essi stessi

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tradussero e contribuirono ad legittimare in Italia. Così negli anni cinquanta, grazie anche alla mutata situazione politica e all’inclinazione della politica culturale dei partiti di sinistra verso scritture che dessero una rappresentazione realistica della società, il “neorealismo” di Cassola e Bassani poteva trionfare, e anche raggiungere cospicui volumi di vendita. Tutto sembrava indicare che il “neorealismo” – se uso così grossolanamente questa etichetta, in cui lo stesso Vittorini non si sarebbe riconosciuto, è solo per brevità, e me ne scuso – fosse la letteratura che corrispondeva ai tempi4: anche il cinema contribuiva a ingenerare questa percezione; e anche la letteratura che si importava dalla Germania.

Nelle librerie si trovavano soprattutto gli autori della Medusa mondadoriana – come Jakob Wassermann, Hans Fallada o Erich Maria Remarque – che, tradotti a partire dagli

4 Per una prima analisi delle dinamiche in atto nel campo letterario italiano nel dopoguerra si veda ANNA BOSCHETTI, Le genesi delle poetiche e dei canoni. Esempi italiani (1945-1970), «Allegoria», 2007, n. 55, pp. 42-85.

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anni trenta, facevano capo in larga parte al realismo della Neue Sachlichkeit: Mondadori, già allora la maggior casa editrice italiana, pubblicava le opere complete di Thomas Mann, l’autore tedesco allora di gran lunga più celebrato, che rappresentava – almeno a detta di Lukács – il «realismo critico». L’Einaudi, che già allora era la più prestigiosa casa editrice di cultura, traduceva altri campioni del realismo di lingua tedesca, come Anna Seghers e Stefan Heym. Non si pretende di dire che non ci fosse posto per altre forme di scrittura, anzi, ma che il paradigma realistico si era a tal punto radicato nelle disposizioni dei direttori editoriali e nell’orizzonte d’attesa dei lettori e dei critici da far sì che la letteratura realistica – descrittiva, documentaria, venata di impegno politico – apparisse come l’unica letteratura legittima5.5 Anche libri scritti, se non con un intento espressamente antirealistico, senz’altro con un occhio alle avanguardie storiche, vengono generalmente recepiti come espressione di una koinè letteraria internazionale di marca realista. Cito solo il caso de La morte a Roma di Wolfgang Koeppen: il romanzo, uscito nel 1954, si rifà alla tecnica del

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Anche il primo saggio di traduzione che Enrico Filippini propone all’Einaudi, nel 1955 – un capitolo de La scure di Wandsbeck di Arnold Zweig – è ben lontano dalle provocazioni stilistiche della neoavanguardia. Ma sarà in reazione al paradigma realista dominante che avrà inizio, pochi anni dopo, la sua traiettoria di traduttore letterario e redattore editoriale. E, come vedremo, le sue prese di posizione saranno analoghe a quelle compiute anni prima da Vittorini e Pavese: gli stessi strumenti, per affermare qualcosa di nuovo. Non si tratta, peraltro, di un obiettivo chiaro ed esplicito: né Filippini né i suoi sodali sanno esattamente cosa debba essere questo “nuovo”. È però pronto ad esplorarlo; e ne ha tutto l’interesse. Si tratta per lui soprattutto, dunque, di essere disposto a cogliere delle occasioni, a trarre profitto dagli incontri che andrà facendo lungo la sua

montaggio usata da Alfred Döblin e all’espressionismo in voga tra le due guerre, ma in Italia viene presentato, da Einaudi nel 1959, come qualcosa di vicino a La pelle di Malaparte o a Ragazzi di vita di Pasolini.

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traiettoria di nuovo entrante nel campo letterario.

Il primo incontro determinante, per Filippini, è quello con la casa editrice Feltrinelli. Non è il caso qui di ripercorrere la storia della casa. Basti dire che negli anni che ci interessano è un’impresa giovanissima (fondata nel 1955) e ha caratteristiche che promettono novità. Non solo Giangiacomo Feltrinelli può disporre, com’è noto, di un formidabile patrimonio familiare – i Feltrinelli erano ricchissimi industriali del legname – e dell’appoggio del Partito comunista, di cui è membro; ma rispetto a gran parte degli editori di cultura italiani – come Giulio Einaudi o più tardi Roberto Calasso – non proviene dalla borghesia intellettuale (non è neppure laureato) né ha contatti col mondo letterario, e dunque non ne condivide l’habitus né la doxa, l’insieme dei valori e delle opinioni. Sulla base di questa relativa – e per certi versi senza precedenti – autonomia economica, politica e culturale, la nuova casa editrice possiede un potenziale deflagrante, e

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può permettersi di competere fin da subito con imprese (industriali e culturali) ben consolidate. Si aggiunga il fattore anagrafico: quando Filippini inizia a lavorare in redazione, nell’aprile del 1960, ha ventotto anni; l’editore ne ha trentaquattro.

Il secondo incontro è quello col Gruppo 63, o meglio con alcuni scrittori e critici che più tardi animeranno il Gruppo 63: Valerio Riva, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, la rivista «il verri» di Luciano Anceschi, per non citare che i nomi per lui più importanti.

Il terzo incontro è quello con una nuova generazione di scrittori tedeschi. Com’è noto la Fiera del libro di Francoforte del 1959 porta all’attenzione della critica e del pubblico un nuovo gruppo di narratori, tra i quali spiccano Günter Grass e Uwe Johnson. Sono nomi che oggi appartengono al canone del secondo novecento, mentre allora erano dei perfetti sconosciuti, al loro primo libro. Filippini riesce a portarli entrambi alla Feltrinelli, insieme a un’intera leva di nuovi scrittori, che spesso traduce personalmente.

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Faccio un elenco dei principali titoli, per capire di cosa stiamo parlando6:

1960 Un conto che non torna di Wolfdietrich Schnurre

1960 Al più tardi a novembre di Hans Erich Nossack

1961 Congetture su Jakob di Uwe Johnson (T)

1962 Il dissenso: 19 nuovi scrittori tedeschi (T, in parte)

1962 Il tamburo di latta di Günter Grass1962 Matrimoni a Philippsburg di Martin

Walser1962 Spirale di Hans Erich Nossack (T)1963 Il terzo libro su Achim di Uwe

Johnson (T)1963 Il trentesimo anno di Ingeborg

Bachmann1964 Poesie per chi non legge poesia di

Hans Magnus Enzensberger1964 Gatto e topo di Günter Grass (T)

6 Lascio da parte gli svizzeri Frisch e Dürrenmatt, che meriterebbero un discorso a sé. La lettera (T) indica le traduzioni eseguite dallo stesso Filippini.

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1964 Dopo l’intervallo di Martin Walser1964 Il vicario di Rolf Hochhuth1965 Questioni di dettaglio di Hans

Magnus Enzensberger1966 Anni di cani di Günter Grass (T)1968 Tutto il teatro di Günter Grass (T)1968 L’ombra del corpo del cocchiere di

Peter Weiss1968 Soldati di Rolf Hochhuth (T)1969 Teatro di Peter Handke (T)1969 L’unicorno di Martin Walser

Sono questi “i tedeschi di Feltrinelli”. La suggestione a riconoscere in questi autori un gruppo, una «sintesi di movimento», viene da una rassegna sugli scrittori tedeschi under 40 pubblicata qualche anno fa su Alias, il supplemento del «manifesto» (e aperta da uno scritto di Paolo Scotini): «Sono lontani – era scritto nell’anonimo corsivo introduttivo – gli anni in cui Enrico Filippini (fra l’altro traduttore in proprio) faceva conoscere i tedeschi up to date, che bisognava leggere,

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poi regolarmente convogliati in cataloghi-epoca»7.

A giudicare retrospettivamente si direbbe che Filippini non ha sbagliato neanche un colpo, o quasi. Ma come spiegare quello che appare oggi come uno straordinario intuito, o fiuto? In virtù di cosa Filippini riusciva a riconoscere a colpo sicuro il valore di autori come Grass o Johnson o Enzensberger, valore sul quale, allora, lettori e critici erano tutt’altro che concordi?

TRAIETTORIA DI FILIPPINI, TRA LAVINIA MAZZUCCHETTI E CESARE CASES

Per rispondere a questa domanda vorrei fare un passo indietro e descrivere chi sono i “concorrenti” di Filippini. Quando diventa responsabile della letteratura straniera in Feltrinelli il giovane redattore deve immediatamente confrontarsi con i suoi

7 Letteratura della Germania unita: una mappa, «Alias», n. 45, 16.11.2002, p. 2.

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omologhi nelle maggiori case editrici letterarie italiane: Mondadori ed Einaudi.

Alla Mondadori, nel 1960, è consulente per la letteratura tedesca Lavinia Mazzucchetti, classe 1889. Proveniente dalla borghesia intellettuale milanese, “Lavinia la rossa” – nota per il suo intransigente antifascismo – era stata fin dagli anni venti uno dei principali mediatori della letteratura tedesca in Italia. Aveva pubblicato il primo studio italiano sull’espressionismo, tradotto una quantità di autori e diretto per la Sperling & Kupfer la pionieristica collana Narratori nordici; nel 1933 aveva contribuito a fondare la collana Medusa, portandole in dote l’amico Thomas Mann. Da allora ne era stata consulente stabile, e sulla base dei suoi pareri erano state tradotte decine di autori: la più grande operazione di importazione letteraria dal mondo di lingua tedesca intrapresa fino a quel momento. Nella Medusa erano apparsi La questione del sergente Grischa di Arnold Zweig, E adesso, pover’uomo? di Fallada, Narciso e Boccadoro

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di Hesse, I quaranta giorni del Mussa Dagh di Werfel, e ancora opere di Feuchtwanger, Heinrich Mann, Döblin, Roth, Wiechert, Carossa, Ernst Jünger. Questa piena di traduzioni era proseguita nel dopoguerra con Anna Seghers, Luise Rinser, Heinrich Böll, Alfred Andersch, per non citare che i principali. In Mondadori – particolare su cui dovremo tornare – non è tuttavia la Mazzucchetti ad avere l’ultima parola nella scelta dei testi, che resta all’editore e, in seconda istanza, ai direttori di collana. Dal 1960, ad esempio, la Medusa è diretta da Elio Vittorini, che abbiamo già incontrato tra i protagonisti dell’affermazione in letteratura del paradigma realista, ma che, vedremo, sarà uno dei pochi scrittori riconosciuti a mostrare interesse per i giovani del Gruppo 63, contribuendo anzi a legittimarli.

All’Einaudi, dal 1954, è consulente per la letteratura tedesca Cesare Cases. Nato nel 1920, anch’egli milanese, anch’egli proveniente dalla borghesia liberale – il padre era avvocato –, è conosciuto in quegli anni

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soprattutto per aver introdotto in Italia gli scritti critico-letterari di György Lukács con il volume Il marxismo e la critica letteraria (1953). Marxista a sua volta, dotato di un’intelligenza critica lucidissima e di una sferzante ironia, Cases, con i suoi pareri editoriali, aveva contribuito nella seconda metà degli anni cinquanta a rinnovare la linea letteraria di Einaudi, ancora incerta, e fino ad allora incardinata per un verso sulla conferma di scelte già mondadoriane – Fallada, Thomas Mann, Anna Seghers – per l’altro sull’opera di Bertolt Brecht e, dal 1957, di Robert Musil8. I

8 La traduzione delle opere di Brecht, fortemente voluta da Vittorini, è curata in primo luogo da Emilio Castellani, mentre la scoperta di Musil si deve, com’è noto, a Roberto Bazlen, più tardi co-fondatore della casa editrice Adelphi. L’inclinazione di Cases, comune del resto a molti einaudiani, verso il realismo lo induce a segnalare per la traduzione soprattutto opere come Il suddito di Heinrich Mann o P.L.N. del romanista tedesco-orientale Werner Krauss. La sua linea tuttavia non è così rigida come potrebbe apparire da queste premesse: tra i libri da lui segnalati troviamo Il Leviatano e Alessandro o Della verità di Arno Schmidt, Gli incolpevoli di Broch, le storielle fantastiche di Kurt Kusenberg e il già citato La morte a Roma di Wolfgang Koeppen.

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primi risultati del suo lungo lavoro di vaglio della letteratura tedesca (anche Cases, come la Mazzucchetti, non ha comunque l’ultima parola, che spetta al consiglio editoriale e, in ultima istanza, al “divo” Giulio Einaudi) si vedono alla fine del decennio, e sono La morte a Roma di Wolfgang Koeppen e Rosemarie di Erich Kuby. Va considerato, peraltro, che proprio negli anni dell’ascesa della Feltrinelli l’Einaudi attraversa una delle sue più gravi crisi finanziarie, che costringe a rallentare e ridurre notevolmente le pubblicazioni: per questo motivo solo negli anni sessanta diverrà riconoscibile una politica di traduzioni dal tedesco attribuibile a Cases.

(Trascuro le altre case editrici, sebbene almeno Garzanti, Bompiani e Rizzoli traducano in quegli anni opere di notevole interesse, perché la loro politica editoriale in materia di letteratura tedesca è molto più discontinua – generalmente, poi, non hanno un consulente fisso per la letteratura tedesca – e di conseguenza meno sensibile la loro influenza sul campo letterario.)

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Filippini, nato nel 1932, è lontanissimo per età e cultura da Lavinia Mazzucchetti, ma non così lontano da Cases. Come lui ha studiato a Milano, con Enzo Paci, guarda alla letteratura attraverso la lente di una robusta preparazione filosofica che fa perno sull’idealismo hegeliano, condivide la vicinanza al pensiero marxista e l’ammirazione per Lukács, dal quale nel 1958 si reca in visita, a Budapest. Le sue disposizioni non lo condurrebbero dunque di per sé a entrare in conflitto, culturalmente, con Cases (così come i primi grandi successi di Feltrinelli, Il dottor Živago e Il Gattopardo non rompono affatto con il realismo di molti autori Einaudi). È l’avvicinamento alla neoavanguardia a stimolare in lui una diversa sensibilità per la letteratura. Tra il ’59 e il ’62, inoltre, mentre già collabora con la Feltrinelli, Filippini trascorre un periodo di studio a Parigi, dove frequenta i corsi di Ricoeur, Merleau-Ponty, Lacan, entra in contatto con Derrida e con l’avanguardia letteraria di «Tel Quel», traduce Husserl e Panofsky, e si

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dedica a sua volta alla scrittura. Significativamente, il protagonista del «famoso fumoso romanzo» a cui lavora a partire almeno dal 1958, è un traduttore: «traduce il Faust in italiano»9. È in questo periodo che Filippini si accosta a una nuova idea di letteratura, a nuovi riferimenti: Joyce e Kafka, Freud e Wittgenstein, Michel Leiris e il nouveau roman; si interessa al problema dell’alienazione, di come renderla in letteratura.

In seguito a questo slittamento si innesca, dopo il suo ingresso in Feltrinelli, un vero e proprio duello tra Filippini e Cases, o meglio tra le due idee di letteratura in concorrenza tra loro di cui sono portatori. Vorrei illustrare questo duello sui casi di Uwe Johnson e Günter Grass, per poi esaminare brevemente l’attività di Filippini come traduttore letterario10. 9 Biblioteca Cantonale di Locarno, Archivio Enrico Filippini, Carteggi, Lettere di Enrico Filippini, 2.1 (d’ora in avanti AF), Lettera a Enzo Paci [ca. 1958].10 Non essendo ancora a disposizione le carte di lavoro di Filippini, conservate presso l’archivio Feltrinelli, la mia ricostruzione si basa sulle sue carte personali, custodite

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I TEDESCHI UP TO DATE, CHE BISOGNA LEGGERE: UWE JOHNSON E GÜNTER GRASS

Si potrebbe dire – per attenerci alla metafora del corpo a corpo – che il primo match è vinto da Filippini, il quale guadagna alla giovanissima e agguerrita Feltrinelli due calibri come Uwe Johnson e Günter Grass. Per spiegare questo successo si deve certo tenere conto del fatto che Filippini, a differenza di Mazzucchetti e Cases, non è solo un consulente, per quanto prestigioso e ascoltato, ma un redattore a pieno titolo, e pertanto molto più libero di portare avanti una propria linea editoriale coerente: in qualche modo controlla quasi tutta la filiera, dalla selezione dei testi, alla traduzione, alla

alla Biblioteca Cantonale di Locarno e inventariate da Sandro Bianconi, e su documenti che ho potuto consultare presso l’archivio Giulio Einaudi Editore e la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Ringrazio Roberto Cerati per aver acconsentito all’accesso alle carte Einaudi e Concita Filippini per la generosità con cui mi ha aiutato ad accostarmi alla personalità e al lavoro di suo padre.

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scelta delle illustrazioni di copertina. Ma il dato fondamentale è che sia Lavinia Mazzucchetti sia Cesare Cases, consultati, sconsigliano di tradurre Congetture su Jakob e Il tamburo di latta.

Nel giugno 1959, quindi molto per tempo, Lavinia Mazzucchetti scrive il suo parere sul Tamburo di latta:

Purtroppo (chi ci indennizzerà mai di esser poi invalidi del cervello dopo tante e simili letture forzate...?) ho letto non tutto ma buona parte di questo premiato capolavoro del giovane debuttante. Mi pare di non correr pericoli sconsigliando comunque la Mondadori da ogni idea di acquisto. Se poi l’avvenire lo dichiarerà un gran libro alla cui intelligenza io son negata, tanto peggio. Un successo di cassetta non diventerà mai. È noioso, disgustante, supertedesco, barocco, superfluo. [...] Naturalmente è un libro che rivela una cosiddetta Begabung,

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una dotazione specifica al proiettare pagine come un rubinetto versa acqua, a svuotare con autoanalisi combinate e simbolismi tutte le cloache dei rispettivi subcoscienti, e non escludo affatto che questo [grande] artista grafico e scultore vivente Parigi ci scodelli un giorno un libro non soltanto begabt, ma anche gekonnt, valido.Ma per ora mandatelo a quel paese e

non disperiamoci se un altro editore con consulenti meno preistorici della sottoscritta abbocca e fa tradurre e stampare le almeno 700 pagine di questo romanzo11.

Anche il parere dell’altro consulente mondadoriano, il traduttore e dirigente del Partito Comunista Internazionalista 11 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio Lavinia Mazzucchetti, b. 28, fasc. 138, c. 163 (d’ora in avanti AM). Si ringrazia, per la riproduzione digitale del parere, il progetto ‘Le Livre de l’hospitalité - Archivi editoriali per la mediazione interculturale’ della Fondazione Mondadori, cofinanziato dalla Fondazione Cariplo.

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(bordighista) Bruno Maffi, classe 1909, concorda:

Mi spiace di dare, forse, una delusione all’Editore, ma è meglio esser franchi: Günter Grass ha ricevuto il premio del “Gruppo 47” ma io – evidentemente per una mia deficienza – non riesco affatto ad apprezzare il suo romanzo. [...] Può anche darsi che il suo romanzo abbia significati nascosti e valori simbolici: ma questi, se ci sono, io non riesco ad afferrarli [...]. Oskar [...] mi sembra uno scherzo gratuito, il prodotto di una fantasia molto più meccanica e vile che profonda. Ma avverto che non sono affatto sicuro di me stesso, e che forse altri lettori potranno dare un giudizio non solo favorevole, ma giustamente tale12.

In calce al parere Vittorini annota:

12 Ivi, c. 165.

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Tentativo riuscito a metà. Intenzioni di un’arte prestigiosa poi realizzata per un quarto appena. Comunque misto e velleitario. I pareri di entrambi i consulenti concordano. Possiamo perciò scartare tranquillamente13.

A parte questa tranquillità di Vittorini (dovuta in parte sue concezioni estetiche lungamente meditate, e che presto lo porteranno a preferire Johnson a Grass), quello che colpisce è l’imbarazzo dei consulenti di fronte a testi che appaiono incomprensibili, la sensazione condivisa che appartengano a un altro orizzonte letterario.

Anche Cases non mostra simpatia né per Grass, né per Johnson, collocandoli entrambi tra gli «illeggibili» e i «noiosi». Nel settembre 1961, quando la traduzione italiana di Congetture su Jakob non è ancora uscita, Cases legge Il terzo libro su Achim e scrive alla casa editrice: «Questa volta il conteso tra est e ovest è un corridore ciclista. Speriamo

13 Ibidem. La sottolineatura è di Vittorini.

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che il libro l’abbia già preso Feltrinelli»14. Un appunto databile a questo stesso periodo sintetizza il dilemma in cui si trovano Cases e i consulenti delle principali case editrici:

Siamo alle solite: i tedeschi che toccano i problemi fondamentali (e quindi si fanno leggere, almeno da me) si muovono nell’ambito del naturalismo e rasentano il romanzo d’appendice, mentre quelli che pretendono, senza peraltro riuscirci, di fare della letteratura coi fiocchi, imbrogliano tutte le carte e non servono a capir nulla di nulla. Questa tendenza della letteratura a scindersi in due filoni, uno utile e leggibile, ma piatto, e l’altro inutile e illeggibile, ma con la capacità di spruzzare molto fumo negli occhi, mi sembra che sia propria non solo della Germania, ma di tutta l’area

14 Archivio di Stato di Torino, Archivio Giulio Einaudi Editore, Corrispondenza con autori e collaboratori italiani, cart. 43, fasc. 636, Cesare Cases, c. 425, Lettera a Renato Solmi, 11.9.1961 (d’ora in avanti AE, Cases).

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neocapitalistica, e quindi bisogna decidersi a optare per l’una o per l’altra corrente15.

Filippini – che naturalmente non pone l’alternativa nei termini di Cases, ma piuttosto in quelli della neoavanguardia – opta decisamente per la seconda. E traduce Congetture su Jakob. Pienamente consapevole della novità e complessità del testo verifica il lessico ferroviario usato nel romanzo intervistando il capostazione di Milano Centrale, scrive all’autore per chiedere chiarimenti e consigli16, pubblica una puntigliosa Guida alle «Congetture su Jakob» e un’intervista a Johnson17. I lettori vanno preparati. Nell’intervista, Johnson, parlando del proprio rapporto con le avanguardie storiche afferma:

15 Ivi, c. 1773.16 AF, 2.2, Lettera a Uwe Johnson, non datata. 17 ENRICO FILIPPINI, Guida alle «Congetture su Jakob» e Intervista con Uwe Johnson, «Quaderni milanesi», 1962, n. 3, pp. 116-127.

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Come potrebbe uno mettersi a scrivere se non conoscesse questi autori? – Dopo che Döblin ha scritto l’Alexanderplatz e Thomas Mann il Dottor Faustus e Brecht il Galileo Galilei e certe poesie, e Joyce l’Ulisse, eccetera, uno non può mettersi a tavolino e scrivere come se queste opere non esistessero.

         Questo argomento – l’imprescindibilità delle acquisizioni formali delle avan-guardie storiche – è lo stesso che gli scrittori della neoavanguardia italiana oppongono all’estetica dominante del realismo. Il gruppo de «il verri» riconosce dunque in Johnson un alleato e non perde l’occasione di appropriarsene: la recensione a Congetture su Jakob appare sul primo numero della nuova serie – dal 1962 la rivista di Anceschi è pubblicata da Feltrinelli –, a firma del germanista Giuliano Baioni18, e qualche tempo dopo Filippini stesso vi recensisce Il terzo libro su Achim, con l’intento evidente di 18 GIULIANO BAIONI, Uwe Johnson: Congetture su Jakob, «il verri», 1962, n. 1, pp. 104-110.

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ricondurre il libro alla problematica del campo letterario italiano. L’esasperato intel-lettualismo delle sue descrizioni – scrive – sarebbe «il gesto del distacco dal naturalismo e dalla sua formula più recente, dal neorealismo» (laddove in Germania non è affatto così netta la polarizzazione tra realismo e avanguardia: e infatti Johnson cita tra i suoi riferimenti Mann e Brecht, che in Italia appartengono al campo avverso).

Johnson è diventato un punto di riferimento prezioso: nel maggio del 1961 Il terzo libro su Achim ha vinto il Prix international des éditeurs per l’opera inedita, a Formentor, affermandosi non solo sul Tamburo di latta di Grass, ma anche su Una vita violenta di Pasolini e Dans le labyrinthe di Robbe-Grillet19. Lo scrittore, che quello stesso anno è ospite a Villa Massimo a Roma, viene così consacrato a livello internazionale come autore di riferimento per le avanguardie. All’inizio del 1962 Filippini pubblica l’antologia Il dissenso: 19 nuovi 19 Cfr. ELIO VITTORINI, Comunicazione a Formentor, «Il Menabò», 1962, n. 5, pp. 4-6.

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scrittori tedeschi, che si chiude con un brano tratto da Il terzo libro su Achim (alla cui traduzione sta lavorando in quei mesi), come a suggerire che la strada su cui la letteratura tedesca (e mondiale) si sta avviando è quella indicata da Johnson.

Nel 1962 esce anche – sempre per Feltrinelli – Il tamburo di latta. Dopo il rifiuto di Mondadori il romanzo era passato a Bompani. È lo stesso Filippini a rievocarne l’iter editoriale:

La traduzione – scrive – aveva stroncato vari traduttori e da ultimo era stata messa a posto da una ragazza genovese, Lia Secci, che aveva fatto quel che aveva potuto. Ma soprattutto, Bompiani era indeciso, e là dove il nano Matzerath affondava decisamente i denti nel pelo pubico di una fantesca, altrettanto decisamente Bompiani aveva affondato la lama della sua biro rossa20.

20 ENRICO FILIPPINI, Dalla parte del nano, «la Repubblica», 3.12.1978.

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Un’anticipazione del romanzo, il capitolo Fede, speranza, carità, viene pubblicata su «il verri», con un commento di Baioni. Le reazioni dei recensori sono almeno altrettanto perplesse di quelle dei consulenti editoriali. Pochi trovano una chiave di lettura che permetta di apprezzare questo monstrum stilistico: tra questi c’è Renato Barilli, che insiste sulla novità formale della posizione del narratore, descrivendo il «nanismo trascendentale» di Oskar come condizione necessaria «per poter conseguire una conoscenza autentica del mondo»21.

Vorrei insistere sulla coerenza dell’operazione: la vecchia concezione della letteratura viene presa a spallate, sistematicamente, e nel 1963, all’atto della fondazione del Gruppo 63, l’obiettivo è già quasi raggiunto. Tra i vari tentativi di resistenza all’offensiva feltrinelliana si può citare il parere di Cases su Duello di Manfred Esser, poi pubblicato nel 1966:

21 RENATO BARILLI, Uomini e nani. Un ‘triangolo inedito’, «il Mulino», 1963, n. 8, pp. 778-787.

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Fate suonare tutte le campane di Torino, perché il momento è solenne. Per la prima volta vi raccomando caldamente un tedesco garantito giovane (nemmeno 24 anni). Non sarà un grande scrittore e forse nemmeno uno scrittore, ma è uno che ha capito che per dire che la Germania di Bonn è un luogo impossibile non c’è bisogno di scrivere centinaia di pagine illeggibili. Egli ha certo imparato da Johnson e da Martin Walser e riprende dei motivi di entrambi, ma dice tutto in sole 130 pagine ed ha avuto un’idea veramente geniale: quella di contrapporre anche nella composizione il conformista all’anticonformista, dando un esempio dello stile smozzicato ed avan-guardistico del secondo e di quello pedantesco e burocratico del primo, e facendo sì che attraverso la neutralizzazione dei due estremi il libro si chiarisca sia nella forma che nei

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contenuti. Ripeto che l’idea mi sembra veramente geniale: in questo modo il libro è leggibile pur conservando tutte le affres della gioventù bruciata e insoddisfatta che non trova il suo posto né in Occidente né in Oriente. Questo giovane è riuscito a estrarre il succo da tutta questa letteratura autocritica tedesca che, interessante come contenuti, era però impossibile nella forma. Lo ha fatto sempre sullo stesso piano, cioè quello del documento più che dell’arte vera e propria, che manca del tutto, ma a me sembra già moltissimo. Propongo di pubblicarlo con una fascetta antifeltrinelliana: «il primo leggibile sulle due Germanie»22.

Quella che ho definito la “resistenza” di Cases si concretizzerà a partire dal 1962 in una linea che passa per una nuova lettura di Brecht e per l’importazione delle opere di Peter Weiss. Molto abilmente, Brecht e Weiss

22 AE, Cases, c. 1918. Il parere è databile al 1962.

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vengono presentati come scrittori che hanno attraversato, giungendo a una nuova sintesi estetica, l’esperienza avanguardistica, che viene così relegata nel passato, come qualcosa di superato. Questa linea, dapprima sconfitta dall’offensiva di Filippini, avrà la sua rivincita intorno al ’68, quando saranno gli «avanguardisti» a dover inseguire i «brechtiani» sul terreno dell’impegno.

Queste reazioni segnalano un mutamento strutturale nel campo letterario italiano indotto dalla politica editoriale di Feltrinelli. Con Feltrinelli assistiamo infatti alla comparsa in grande stile di un uso “militante” delle traduzioni, inteso a promuovere un determinata visione della letteratura, non solo attraverso la pubblicazione di opere italiane (come già accadeva ad es. con i Gettoni di Vittorini), ma anche attraverso la pubblicazione di opere straniere. Le collane di narrativa straniera inaugurate tra gli anni trenta e gli anni conquanta avevano infatti carattere commerciale oppure antologico, e rispondevano al bisogno di importare in Italia

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i maggiori successi internazionali oppure i libri artisticamente più significativi: così erano impostate sia Medusa che gli einaudiani Coralli, dove non c’era posto per libri “sperimentali”. Con le Comete di Feltrinelli diventa pensabile – e l’idea ha successo – tradurre opere appena uscite, non ancora consacrate dal successo di vendite e il cui valore estetico è ancora in discussione. La collana, fondata nel 1959 e diretta da Valerio Riva (poi Gruppo 63), è presentata come «una collana di libri che escono come tanti numeri monografici di una rivista di attualità letteraria; ogni numero una scoperta, una puntata in profondità nella terra incognita della letteratura di domani»23.

È una sorta di rivoluzione, nel campo editoriale, e sia Mondadori che Einaudi sono costretti a adeguarsi, inaugurando a loro volta nuove collane: rispettivamente Nuovi 23 Traggo la citazione dall’articolo di ROBERTA CESANA, “Le Comete” Feltrinelli (1959-1967): “una collana come rivista di letteratura internazionale”, in Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di cultura editoriale, a cura di L. Braida e A. Cadioli, Milano, Sylvestre Bonnard, 2007, pp. 219-244.

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scrittori stranieri nel 1964 e La ricerca letteraria nel 1965. Ai vecchi consulenti viene dato mandato di scovare giovani promesse24. Mondadori, auspice Vittorini, pubblica nei Nuovi scrittori stranieri Costruire case di Reinhard Lettau (1966), Biografie di Alexander Kluge (1966, nella traduzione di Filippini), Il lattaio e altri racconti di Peter Bichsel (1967) e Gli incendiari di Peter Faecke (1967): tutti autori circa trentenni, nati tra il 1929 e il 1935. Meno giovani ma decisamente “sperimentali” gli scrittori pubblicati da Einaudi nella Ricerca letteraria: Arno Schmidt (Alessandro o Della verità), Gisela Elsner (I nani giganti), Ernst Augustin (La testa), Helmut Heißenbüttel (Testi 1/2/3) 24 Si veda ad esempio il parere di Lavinia Mazzucchetti su Das Experiment di Dietrich Lausche, il 23.2.1963: «Ultima generazione: ha 26 anni, debutta come narratore. Direi che è fra i pochi che mi abbian dato l’impressione e la speranza di una capacità, di una Begabung non artificiosa. Punterei su di lui per l’avvenire. Ma come dargli un posto in MEDUSA già ora per un racconto che, dal punto di vista del povero acquistatore del volume, non è certo un buon affare? Volete passarlo ad altro lettore per vedere se sono io troppo severa e al solito vilmente contenutista?» (AM, c. 332).

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e naturalmente Peter Weiss (Congedo dai genitori, Punto di fuga, Colloquio dei tre viandanti).

Filippini è tra coloro che hanno maggiormente contribuito a questa rivoluzione. Anni dopo scriverà, parlando di Feltrinelli, parole che dicono molto anche sul suo modo di intendere l’editoria e la militanza letteraria: «Più o meno consciamente [Feltrinelli] capì che il libro contava, anche commercialmente, in quanto aveva un “prima” e un “dopo”, in quanto era parte di un evento, di una grande sintesi di movimento, anche se questa sintesi era puramente immaginaria»25.

Abbiamo visto quanto Filippini fosse attento nel creare connessioni, echi, rimandi tra i libri che pubblicava, nel disseminarne le suggestioni in articoli, antologie, traduzioni, interviste, recensioni (lo fa anche all’estero, nel promuovere il Gruppo 63). Aggiungo qualche piccolo esempio, per dare un’idea del «movimento» da lui costruito intorno ai suoi 25 ENRICO FILIPPINI, Feltrinelli Story, «la Repubblica», 21.6.1981.

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tedeschi nei primi anni sessanta, movimento che va molto al di là di Grass e Johnson. Nell’antologia Il dissenso troviamo, tra gli altri, Nossack, Walser, Schnurre, Bachmann, Grass e Johnson, tutti editi da Feltrinelli; uno dei primi testi di Hans Magnus Enzensberger pubblicati in Italia è la lunga quarta di copertina del Tamburo di latta, nel 1962, seguita due anni dopo da Poesie per chi non legge poesia (pubblicato con in copertina un collage di Kurt Schwitters, che rimanda agli esperimenti dell’amico e redattore feltrinelliano Nanni Balestrini, poi Gruppo 63); nella collana Comete, inoltre, si trovano l’una accanto all’altra opere dei “tedeschi” e dei “neoavanguardisti” – come Congetture su Jakob e Capriccio italiano di Sanguineti – a sottolinearne la contiguità26.

26 Alcuni importanti autori austriaci rimangono a margine di questa operazione, forse perché periferici rispetto alla scena letteraria tedesco-federale: Ingeborg Bachmann, con la quale Filippini è in rapporti di amicizia dal 1962, Peter Handke, pubblicato in pieno ’68 e in un primo tempo inghiottito dai gorghi del movimento studentesco. Per lo stesso motivo, forse, un autore potenzialmente feltrinelliano come Bernhard non è stato tradotto in quegli

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«UN FILIBUSTIERE CON MACCHIA E SENZA PAURA»: FILIPPINI TRADUTTORE

Veniamo ora a Filippini traduttore, al lavoro sul testo. Com’è noto, le sue traduzioni sono state e sono molto discusse. Negli anni sessanta Filippini traduce una quantità impressionante di testi, spesso eccezionalmente lunghi e complessi – ricordo solo Ideen di Husserl, Anni di cani di Grass e Il dramma barocco tedesco di Benjamin –; è corteggiato da numerosi editori, che gli affidano lavori di estrema delicatezza27; lo anni.27 Il 12.2.1963 Guido Davico Bonino, allora segretario di redazione all’Einaudi, gli scrive con estrema deferenza per proporgli la traduzione del secondo volume dei racconti di Arno Schmidt (che poi non si farà): «Da tempo desideravamo interpellarLa per questo compito, per il quale La crediamo il più qualificato dei traduttori dal tedesco che lavorano oggi in Italia (e la traduzione di opere come Mutmassungen über Jakob lo provano largamente). Ci aveva finora trattenuto il fatto che Lei stava lavorando alla traduzione dello Husserl, e preferivamo non

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stesso Grass, quando nel 1969 passa da Feltrinelli a Einaudi, richiede espressamente che sia lui a curare tutte le sue opere28. La sua fama, per certi versi, è quella di uno specialista in missioni impossibili – o in autori illeggibili – in anni in cui lo stesso Cases lamentava quanto fosse difficile trovare buoni traduttori dal tedesco. Oggi è dunque possibile riconoscere in Filippini uno dei principali protagonisti di un nuovo “decennio delle traduzioni”, quello che va grossomodo dal 1959 al 1969, e di una nuova importante fase di sprovincializzazione della cultura italiana.

D’altra parte circolano fin da allora, nel mondo editoriale, voci molto critiche sulla qualità delle sue traduzioni. A metterle nero su bianco è il germanista Giorgio Zampa, anch’egli occasionalmente collaboratore di Feltrinelli, in una recensione a Gatto e topo. Per Zampa, che correda la sua critica con numerosi esempi, la traduzione è «cattiva» e

disturbarLa in questo impegnativo lavoro» (AF, 4.2.4).28 AE, fasc. 80, Enrico Filippini, c. 143-145, Lettera di Enrico Filippini a Guido Davico Bonino, 3.2.1970.

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danneggia l’opera, obliterando gran parte delle caratteristiche specifiche della prosa barocca di Grass: «il testo italiano di Gatto e topo – scrive – brulica di errori, di arbitri in forma di giunte ed omissioni; innumerevoli le forzature sintattiche e stilistiche, le frasi prive di senso»29. È noto, anche, che nell’edizione economica del 2000 la traduzione ha dovuto essere interamente riveduta30. Tra i numerosi critici del Filippini traduttore vorrei però citare proprio Cesare Cases, che nel 1966 viene incaricato di controllare la traduzione di un testo delicatissimo, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin. Riporto per esteso la sua lettera a Giulio Bollati perché è allo stesso tempo divertente e illuminante:

29 GIORGIO ZAMPA, Günter Grass racconta con aspri simboli l’amicizia di due ragazzi in Danzica 1939, «La Stampa», 22.1.1964.30 La revisione, curata da Marina Ghedini, è stata criticata come scorciatoia editoriale a cui sarebbe stata preferibile una nuova traduzione da EVA BANCHELLI, Cicatrici di quarant’anni, «L’Indice dei libri del mese», 2000, n. 11, p. 12.

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Caro Bollati, come ti ho accennato a voce, la revisione della traduzione del Benjamin fatta da Filippini è stata un duro lavoro e mi ha fornito un’idea poco edificante delle sue capacità e della sua serietà di traduttore. Lo scarso impegno, sempre più visibile man mano che si va avanti nella traduzione, può essere occasionale, ma l’ignoranza non lo è, e la combinazione dei due elementi è disastrosa, perché F. non ha la pazienza di cercare sul dizionario la soluzione dei problemi più elementari. Accade così che Requisit (attrezzo teatrale) venga tradotto con requisito, Zeitlupe (ripresa al rallentatore) con obiettivo; che gli operai scrivano sui muri con la creta (Kreide) mentre se non erro già Carlo VIII segnava gli alloggiamenti con il gesso (a meno che F. non voglia alludere alle spregiate crete31). Il comando rührt euch!

31 Cases allude ai vasi da notte da cui il popolino milanese gettava in strada i suoi «umor fradici e rei»: la citazione viene dall’ode La salubrità dell’aria di Parini. Il riferimento

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(riposo!) diventa Toccatevi!, il coro con cui si edifica la comunità il coro con cui la Gemeinde (come se non ci fosse un equivalente in italiano!) viene insediata! L’invito ai passanti a pregare per l’anima dei morti diventa un invito ai mortali. Spesso è la scarsa conoscenza dell’italiano che entra in gioco: per F. si dice armata della Salute e passaggio di una poesia. Spesso non si ha riguardo al più elementare buon senso: Visitkartenaufnahme (fotografia formato tessera) diventa fotografia per biglietti da visita, la Gartenlaube (famoso giornale per le famiglie dell’800) non si sa qual prato. L’ignoranza linguistica del F. si rivela soprattutto nel campo degli avverbi: vorerst (in un primo tempo) diventa

a un classico della letteratura e della cultura scolastica permette a Cases di evidenziare, per contrasto, la relativa estraneità dello svizzero Filippini a una formazione di base che invece Bollati condivide. Questo atteggiamento dà la misura della distanza tra due generazioni – Bollati è del ’24 – e due percezioni divergenti della cultura e della letteratura.

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contemporaneamente, gleichsam (per così dire) insieme; la parola anzitutto è ignorata e sostituita regolarmente da specialmente, come proprio è sempre precisamente e non c’è differenza tra di fatto e difatti. Inoltre il F. ignora la differenza tra ehe (congiunzione: prima che) e eher (avverbio: piuttosto) e quindi quando ci sta scritto che in principio la gente non comprava i giornali perché erano troppo cari, ma preferiva piuttosto leggerli nei caffé, viene fuori che la gente non comprava i giornali prima di averli letti nei caffé (questo è l’esempio più divertente, ma la confusione è costante). C’è anche, oltre all’ignoranza linguistica, l’ignoranza culturale. Il famoso motto di Ranke, noto a tutti i liceali attraverso Croce, secondo cui la storia deve raccontare wie eigentlich gewesen, diventa comunque sia successo (che è proprio il contrario). E quando trova un Giovanni Battista Porta, F. non capisce

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che si tratta di Giambattista della Porta. Ecc. ecc.

Messo t’ho innanzi, omai per te ti ciba32. F. è certamente intelligente, ma bisognerebbe chiedergli, se non di correggere la sua ignoranza che ha radici troppo profonde, almeno di metterci un po’ più d’impegno e di comprarsi un vocabolario, anche tascabile33.

E ancora, qualche mese dopo, al redattore einaudiano Paolo Fossati, pressato dalle richieste di Filippini che vorrebbe tradurre Il dramma barocco tedesco di Benjamin:

Che vuole che le dica? Su di lui non ho “dubbi”, come lei dice, ma solo certezze. So cioè che è indubbiamente intelligente, ma è un analfabeta totale e irrimediabile (soprattutto dal punto di

32 Ancora un riferimento classico: questa volta a Dante, Paradiso, X, 24.33 AE, Filippini, c. 86, Lettera di Cesare Cases a Giulio Bollati, 4.1.1966.

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vista linguistico, ma anche da quello della cultura generale) e un filibustiere con macchia e senza paura. Come le potrà dire Davico, prima di avere esperienza diretta delle sue traduzioni avevo soltanto “dubbi”, non preconcetti di sorta, anzi le voci che correvano su di lui mi parevano esagerate già per il fatto che tutti gli editori gli davano del lavoro, e sempre impegnativo. Invece è proprio così34.

Il giudizio è severo, e non c’è da dubitare che sia giusto, se badiamo alla correttezza delle traduzioni. Ma dobbiamo tenere conto dell’urgenza, la vera e propria fretta, che la battaglia letteraria di Filippini richiede: bisogna arrivare per primi, far uscire i libri, imporre la nuova letteratura; a volte non c’è il tempo neppure di consultare il vocabolario, o comunque non è così importante. «Filippini – scrive Eva Banchelli – leggeva, suggeriva, recensiva, intervistava e traduceva lui stesso la maggior parte degli autori che sceglieva. Il 34 AE, Cases, c. 981, Lettera a Paolo Fossati, 15.3.1966.

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suo tradurre aveva un piglio geniale e spregiudicato, comune a molti traduttori italiani di quella generazione, che lo esponeva tuttavia fatalmente ai rischi di un approccio linguistico e filologico non certo rigoroso»35.

Filippini non è un professionista della traduzione, come ne esistono oggi. (E non va dimenticato che traduce per essere pagato: una parte consistente del suo lavoro è Brotarbeit). Lo si potrebbe accostare piuttosto a Franco Fortini, che in quegli stessi anni traduceva dal tedesco conoscendolo pochissimo (con l’aiuto della moglie Ruth Leiser) e arrivava a teorizzare che per un traduttore non è tanto importante conoscere la lingua di partenza quanto la lingua d’arrivo: le sue traduzioni di Brecht, a volte imprecise, sono le traduzioni di un poeta, e hanno fatto epoca. Quelle del «filibustiere» Filippini sono le traduzioni – vorrei usare ancora una volta questo termine – di un “militante” della letteratura, per il quale tradurre il testo è solo una tra le molte operazioni necessarie a introdurre un’opera, 35 EVA BANCHELLI, Cicatrici di quarant’anni, cit.

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un autore, una nuova idea della letteratura in un campo: che va preparato ad accoglierla.