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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO
PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA
I FERRI DEL MESTIERE: TESTIMONI SILENZIOSI DELLA VITA E DELLA STORIA DI UN CHIRURGO 9 di Giovanni Persico SOTTO I FERRI… DEL CHIRURGO 11 di Gennaro Rispoli CHIRURGIA ROBOTICA 13 di Francesco Corcione SUTURATRICI MECCANICHE: STRAORDINARI STRUMENTI CHE AIUTANO A DIMAGRIRE E CURANO IL DIABETE 15 di Luigi Angrisani VALENZE ETICHE NEL RAPPORTO TRA PAZIENTE E CHIRURGO 17 di Claudio Buccelli MEDICI NAPOLETANI NEL PRIMO NOVECENTO 19 di Maria Rosaria Bacchini
Giovanni Persico
È nato a Napoli il 25 febbraio del 1943. Si Laurea in
Medicina e Chirurgia nel 1967.
Dal 1985 è Professore Ordinario di Chirurgia Generale
presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università
degli Studi di Napoli Federico II.
Tra il 1994 ed il 2005 ha ricoperto numerosi incarichi
accademici e presso istituzioni scientifiche. Dal 2005 è
Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della
Federico II. Dal 2007 è Componente del Comitato
Scientifico dell’ Istituto Superiore di Sanità a Roma.
Dal 2008 è stato designato, in rappresentanza dei Presidi di Medicina e Chirurgia, a far parte
del Gruppo di Lavoro dell’Osservatorio Nazionale per la Formazione Medica Specialistica presso
il MIUR a Roma.
È stato designato dal MIUR a far parte del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema
Universitario CNVSU.
Dal 2010 è componente della Commissione di studio per i rapporti delle Facoltà di Medicina con
il Servizio Sanitario Nazionale.
È Componente del Gruppo di Consultazione del Programma Nazionale della Ricerca presso il
MIUR a Roma.
Collabora con le seguenti Riviste Scientifiche: Comitato Editoriale di Microchirurgia e Scienze
Chirurgiche, Italian Review of Medical and Surgical Research, Journal of Pediatric Surgery,
Annali Italiani di Chirurgia.
È autore di circa 300 pubblicazioni edite a stampa.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II I Ferri Del Mestiere. Il Chirurgo E I Suoi Strumenti
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
I FERRI DEL MESTIERE: TESTIMONI SILENZIOSI DELLA VITA E DELLA STORIA DI UN CHIRURGO
Giovanni Persico
Preside Facoltà di Medicina e chirugia Università degli Studi di Napoli Federico II
Lo strumento chirurgico nella mano di
chi l’impugna è un mezzo per realizzare un
progetto di cura che impegna la mente e la
mano con un pizzico di coraggio e passione. Il
gesto del chirurgo sospeso tra pensiero ed
azione è realizzato da un manufatto inerte che
trasmette la volontà di guarire il corpo con una
serie di atti che indicano il percorso della tecnica
chirurgica.
Incisione, dissezione, emostasi, sutura
sono fasi imprescindibili di ogni intervento
chirurgico e richiedono uno strumentario fine e
dedicato agli organi diversi e agli specialisti delle
discipline.
Il bisturi non è altro che un coltello poco
diverso da quello per uccidere … è l’intenzione di
guarire che lo rende speciale. Molti dei nostri
strumenti sono mutuati da sarti, materassai,
guantai ma è il modo di impugnarli che li rende
diversi.
Le dita avvolgono lo strumento come se
fosse l’archetto di un violino ed il rapporto tra un
chirurgo e il suo strumento diviene così intimo
da diventare un tutt’uno. Nella formazione di un
giovane chirurgo l’approfondimento delle
possibilità tecniche di uno strumento è una
tappa fondamentale di approccio all’esercizio
tecnico vero e proprio.
L’evoluzione della chirurgia ha
comportato incisioni sempre più piccole con
necessità di ferri sempre più piccoli e delicati: la
microchirurgia, la chirurgia mini-invasiva e
quella laparoscopica hanno richiesto ai
ricercatori strumenti sempre più sofisticati per
materiali e foggia. Negli ultimi anni in particolare
è stato concretizzato l’antico sogno di operare a
distanza un paziente.
La tecnologia che domina nelle nostre
sale operatorie non deve farci dimenticare che
l’essenza del gesto chirurgico deve essere
semplice ed efficace. Un viaggio nella memoria
della nostra disciplina ci fa riscoprire analogie e
coincidenze inimmaginabili.
Il bisturi usato dagli antichi romani
(scalprum) aveva un manico in bronzo con una
lama in acciaio sostituibile per usura,
praticamente il prototipo delle nostre lame
intercambiabili e del più moderno materiale usa
e getta!
I rebbi delle pinze antiche (vulsellae)
romane si combaciavano alla perfezione per una
presa atraumatica dei tessuti, come la fine
dentellatura dei moderni angiostati. Insomma
nell’evoluzione dello strumentario c’è tutta la
storia della chirurgia. Jules Pean ad esempio,
descritto come un chirurgo calmo e freddo
eseguiva i suoi interventi con un campo
perfettamente esangue. Difficilmente una goccia
di sangue raggiungeva i suoi polsini immacolati
(si era nel 1886 ed i chirurghi operavano senza
guanti): era l’uso che faceva di una pinza che da
lui ha preso il nome, che applicava prima ancora
di incidere i tessuti vascolarizzati, per migliorare
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l’emostasi. Tutto questo, oggi che possediamo
strumenti di emostasi raffinati ci fa sorridere,
eppure il percorso di una scienza in cammino
non può dimenticare le emorragie arrestate con
l’impiego circoscritto dell’energia termica:
l’antico ferrum candens di ippocratica memoria è
stato impiegato sino alla fine del XIX secolo.
Come diceva Ippocrate “le malattie guariscono
con il ferro e con il fuoco, quelle che non
guariscono con il ferro e con il fuoco sono
inguaribili”. Le recenti esperienze belliche e le
scoperte della tecnologia militare sono state la
prova generale per la ricerca in chirurgia di
strumenti sempre più affidabili: dai sistemi di
puntamento laser all’impiego di ultrasuoni. Ecco
forse perché nel linguaggio giornalistico le
incursioni su obiettivi militari circoscritti vengono
impropriamente chiamati “interventi chirurgici”,
di cui purtroppo non condividono le finalità.
Infatti i nostri ferri sanno rispettare e
salva-guardare le strutture nobili, vasali e
nervose e ci aiutano a realizzare un atto che
nella sua essenza coniuga sempre scienza ed
amore.
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SOTTO I FERRI… DEL CHIRURGO
Gennaro Rispoli
Primario chirurgo Ospedale Ascalesi e Ospedale San Giovanni Bosco - ASL NA1
“Andare sotto i ferri …” è un’espressione
colorita e popolare che lascia intendere la
necessità di un intervento chirurgico.
Il paziente non si affida solo alle mani
ma, addirittura col rispetto timoroso, anche agli
strumenti usati per guarirlo. Lo strumento
diviene così un prezioso ausilio meccanico del
sapere medico per condurre a buon fine un
intervento chirurgico.
“song’ e fierri ca fann’‘o masto!” dice un
adagio antico, spesso non condivisibile perché
sono sempre le mani i migliori strumenti, se
guidate dal cervello e dal buon senso
dell’operatore.
Pierre Larousse nel suo dizionario
definisce gli strumenti come agenti manuali
adatti a trasformare la materia: dunque utensili
per il corpo per dissecare, incidere, suturare con
delicatezza e precisione i tessuti.
L’armamentario chirurgico è oggi vario e
articolato per superare le frontiere della scienza,
con materiale in lega leggera, più resistente,
miniaturizzando le forme, adattandole anche per
lavorare a distanza come nella chirurgia
laparoscopica e nella robotica ove il gesto è
controllato attraverso un monitor.
Si tratta comunque di leve meccaniche di
foggia più o meno elegante ma essenziale per
realizzare un gesto tecnico simile a quello della
mano che agisce con opposizione pollice-dita.
Comunque non c’è molta differenza tra la foggia
dei ferri in bronzo emersi sotto le ceneri
dell’antica Pompei e quelli in lega, mutuati
dall’esperienza spaziale e bellica che possiamo
usare nelle moderne sale operatorie.
Invece gli strumenti medioevali e
rinascimentali ricordano i ferri da tortura per la
loro grossolanità; sino a giungere alla
raffinatezza dei ferri settecenteschi con
meccaniche e snodi da fine orologiaio, spesso
autentici capolavori d’arte per i manici intagliati
in avorio, in legno duro, in tartaruga e corno.
Solo abili artigiani, scelti tra i migliori coltellinai,
producevano per un committente attento alla
qualità e al filo dello strumento, che spesso
recava il motto e le iniziali del chirurgo che
l’usava. A fine ‘800 per le necessità della asepsi
e della sterilizzazione i ferri divengono in acciaio
trattato e cromato sino al disposable più costoso
dei tempi moderni con la filosofia dell’usa e
getta.
Oggi lo strumento non è più il prodotto
di un singolo artigiano o il segreto di una
bottega di tornitori ma il frutto della ricerca di
ingegneri ed inventori sanitari di aziende
multinazionali, attente ai costi e alla domanda
del mercato sanitario.
I ferri comunque rimangono testimoni
muti ma reali di una disciplina in cammino tra
ricerca e delusioni cliniche. Essi esprimono
l’alleanza tra la mente e il gesto: è necessaria
una complicità tra l’artigiano della materia
vivente e l’operaio della materia inerte, chiamato
a tradurre in concreto un’idea o un’intuizione. È
per questo che l’arsenale di un chirurgo riflette
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la più alta matrice tecnica della sua epoca, lo
stato esatto delle conoscenze mediche e
purtroppo la consistenza economica degli
investimenti per la sanità.
La filosofia del risparmio non si coniuga
con le necessità di una chirurgia moderna
sempre più tecnologica, anche se un chirurgo
versatile può ridurre i costi rispettando le
finalità.
Un chirurgo ha un rapporto particolare
con gli strumenti del mestiere, li soppesa, cerca
il loro punto d’equilibrio come un giocoliere, ne
prova il morso e il filo. Li afferra dalle branche e
dalle punte, gioca a passarli da mano a mano,
da destra a sinistra. Ne prova il campo d’azione
con la mano in pronazione e supinazione: gesti
provati mille volte fuori dal corpo, ripetuti e
corretti da maestri sapienti sino ad ottenere la
grazia e l’eleganza del gesto. Poi nella dissezione
fine dei tessuti lo strumento rivelerà le delicate
forme dell’anatomia, controllerà l’emorragia,
ricostruirà i tessuti secondo i dettami di un
artigiano che ricerca la bellezza della perfezione
nel suo lavoro.
In sala operatoria i ferri chirurgici
vengono richiesti allo strumentista chiamandoli
col nome di antichi maestri: Pean, Kocher, Ellis…
è un modo di onorarne la memoria. A volte i ferri
volano da una mano all’altra senza parole e
s’incrociano tante mani al tavolo operatorio
veloci e sicure secondo un ritmo che ricorda
l’armonia della musica.
Credetemi non c’è spettacolo più bello
delle dieci dita che svelano l’architettura del
corpo, demoliscono le costruzioni del male e
aprono nuove vie alla vita.
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CHIRURGIA ROBOTICA
Francesco Corcione
Direttore U.O.C. Chirurgia Generale Centro di Chirurgia Laparoscopica e RoboticaOspedale Monaldi - ASL NA1
Dieci anni dopo l’esplosione della
chirurgia mini invasiva laparoscopica un’altra
rivoluzione chirurgica si pone all’attenzione della
comunità scientifica e dei mass-media:
l’introduzione di una tecnologia robotica in
chirurgia. Era previsto. In un mondo che galoppa
sempre di più verso nuove tecnologie, in un
mondo dove la parola robot è entrata in molti
campi, compresi quelli domestici, il robot non
poteva non far parte della moderna tecnologia
chirurgica.
Ma, intanto, cos’è un robot chirurgico? È,
essenzialmente, uno strumento molto sofisticato
che permette al chirurgo di operare “a distanza”
dal paziente, manovrando da lontano, da una
consolle, a cui sta comodamente seduto, gli
strumenti introdotti nell’addome del paziente
attraverso delle cannule miniaturizzate.
La chirurgia robotica rappresenta, oggi,
a dieci anni dalla sua introduzione nella pratica
clinica, un’evoluzione ancor più tecnologica della
chirurgia mini invasiva. Come si diceva il
chirurgo lavora a distanza manovrando degli
strumenti che, a differenza di quanto avviene in
chirurgia laparoscopica “tradizionale”, sono
articolabili come il polso di una mano. Inoltre, ha
una visione tridimensionale all’interno dell’addo-
me, e gli strumenti non subiscono il naturale
tremolio della mano umana.
Tutto questo permette l’esecuzione di un
gesto chirurgico raffinato e preciso che trova
indicazione soprattutto nell’esecuzione
d’interventi in cui la visione tridimensionale
associata alla precisione del gesto trovano la
massima sublimazione chirurgica. La
prostatectomia radicale, l’escissione del
mesoretto, le linfoadenectomie nel ca gastrico o
pancreatico, la miotomia nell’acalasia, la
realizzazione di anastomosi di grande precisione
costituiscono, a tutt’oggi, le indicazioni principali
della chirurgia robotica.
Esistono, ovviamente degli aspetti
negativi che ne hanno limitato la diffusione:
innanzitutto, i costi che sono sensibilmente più
alti per ogni intervento rispetto alla chirurgia
laparoscopica, a cui bisogna aggiungere il costo
base del robot. Poi, la curva di apprendimento
che coinvolge non solo il chirurgo ma tutta
l’equipe che deve imparare a utilizzare uno
strumento tecnologicamente avanzato con
caratteristiche specifiche. Infine, i tempi che
sono un po’ più lunghi di analoghi interventi
effettuati per via laparoscopica.
Ma tutto questo credo sarà facilmente
superabile nei prossimi anni perché con il
progresso tecnologico i costi si ridurranno, e ci
sarà più opportunità per l’equipe di imparare ad
utilizzare tale tecnologia. Anche la televisione in
bianco e nero, in passato, pochi potevano
permettersela, come pochi potevano comprare la
prima Balilla: poi, anche l’auto è diventato un
bene a disposizione e alla portata di tutti. Noi,
nell’ambito della UOC di Chirurgia generale e
laparoscopica dell’A.O. Vincenzo Monaldi,
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utilizziamo la chirurgia robotica dal marzo 2002,
esattamente sei mesi dopo l’exploit, rimasto
unico nella storia, di un intervento eseguito con
il chirurgo J. Marescaux a New York e la paziente
a Strasburgo. Tale evento, costato qualcosa
come due miliardi delle vecchie lire, non è stato
più ripetuto sia per i proibitivi costi, sia perché
quella tecnologia usata è andata in disuso. Oggi,
esiste un robot chirurgico più efficiente, anche
se non può ancora lavorare a notevole distanza,
che si chiama Robot da Vinci. E in circa otto anni
questo robot è stato già modificato due volte ed
oggi l’ultimo nato è completamente diverso da
quello di dieci anni fa: tutto cambia. L’ultimo, il
Robot Da Vinci (il nome rimane lo stesso…) ha
due consolle per lavorare in contemporanea con
un altro chirurgo, o per insegnare a un altro
chirurgo a lavorare in chirurgia robotica con un
tutor, come avviene da sempre, per la scuola
guida automobilistica. Inoltre, invece, di avere
tre braccia mobili, ne ha quattro permettendo al
chirurgo di velocizzare il gesto e di affrontare
interventi sempre più impegnativi. Infine, sono
stati ideati strumenti ancora più sofisticati per la
dissezione e per l’emostasi, che rendono ancor
più rapido e sicuro l’intervento robotico. Dove
andrà questa chirurgia? Verso un’ulteriore mini
invasività poiché, grazie alle articolazioni delle
braccia robotiche molto presto ci sarà l’adatta-
mento strumentale del robot alla chirurgia
monotrocar per poter effettuare in un prossimo
futuro interventi anche complessi con un solo
trocar di 2 cm su cui convergono tre o quattro
strumenti robotici. Sembra fantascienza narrata
da Giulio Verne, e invece, è la realtà che avanza
e galoppa. Ma non bisogna dimenticare che
parliamo di tecnologia avanzata applicata alla
chirurgia.
È sempre l’uomo che opera con le sue
conoscenze e la sua esperienza. E la chirurgia
resta la stessa con le sue implicazioni tecniche,
con le sue problematiche, con i suoi rischi e le
sue complicanze. In altre parole, il viaggio
diventa più confortevole e rapido, ma resta pur
sempre un viaggio con le sue incognite e i suoi
pericoli.
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SUTURATRICI MECCANICHE: STRAORDINARI STRUMENTI CHE AIUTANO A DIMAGRIRE E CURANO IL DIABETE
Luigi Angrisani
Direttore UOC Chirurgia Laparoscopica e Mini-Invasiva Ospedale San Giovanni Bosco - Asl Napoli 1
La chirurgia addominale è stata rivolu-
zionata nel Secolo scorso dalla geniale intuizione
di un chirurgo francese Philippe Mouret che il 31
marzo 1987 a Lione dimostrò la fattibilità di un
intervento di asportazione della colecisti senza la
tradizionale incisione della parete addominale.
Utilizzando la Laparoscopia, una metodica
diagnostica ben nota in medicina fin dagli inizi
del ‘900, egli riuscì ad operare attraverso 3
forellini cutanei e diede un impulso al progresso
delle tecniche e delle conoscenze in chirurgia che
non ha precedenti nella storia, antica e
moderna, di questa disciplina. La chirurgia
moderna è ormai largamente dominata da
procedure video-laparoscopiche, utilizzando
sottili mezzi ottici in grado di proiettare
immagini ingrandite su schermi ad altissima
definizione, ed è mini-invasiva per la ridotta
aggressività dell’accesso che consente degenze
ospedaliere ridotte a 24/48 ore. Non è difficile
immaginare dunque che, cambiata la via di
accesso agli organi endo-addominali, è
radicalmente mutato di necessità anche lo
strumentario chirurgico. Mutati i mezzi non sono
cambiati tuttavia i principi fondamentali della
chirurgia classica: esposizione dei tessuti,
dissezione, emostasi. Ma la Chirurgia Laparo-
scopica è divenuta una disciplina di per sé solo
quando è stato possibile dimostrare la sicurezza
e l’efficacia dell’atto più complesso e più
completo della chirurgia, “Tagliare e Cucire”
l’apparato gastrointestinale: la cosiddetta sintesi
viscerale. Ago e filo, che pure devono e possono
utilizzarsi con “sartoriale” dovizia, sono stati
presto integrati dalle indispensabili Suturatrici
Meccaniche. Strumenti miniaturizzati del
diametro di una penna biro in grado di applicare
sui visceri ben sei file di agraphes (tre per lato)
tagliando esattamente nel mezzo. Sono prodotte
da multinazionali statunitensi che dagli anni ’60
ad oggi hanno investito ingenti risorse nella
ricerca per migliorare continuamente ergonomia
ed efficienza riducendone il calibro. Ne esistono
molteplici varietà: Lineari (3/6 cm) e Circolari di
vario diametro e differente lunghezza, articolabili
e non. Tutte derivano però da un originale
prototipo ideato da Ulmer Ulthl di Budapest che
nel 1908 presentò per la prima volta nel II
Congresso Ungherese di Chirurgia questo
voluminoso strumento di oltre 3.500 g in grado
di suturare la parete anteriore e posteriore dello
stomaco evitando il sanguinamento e la
fuoriuscita del suo contenuto. Le Suturatrici
Meccaniche sono entrate tuttavia prepotente-
mente nell’armamentario terapeutico del chirur-
go per il loro vastissimo impiego nella Chirurgia
per il trattamento dell’Obesità e del Diabete,
malattie oggi endemiche nei paesi industrializ-
zati. Grazie a queste suturatrici il chirurgo è in
grado di modificare laparoscopicamente il volu-
me gastrico riducendolo per l’80% e bypassando
un tratto di apparato digerente. È possibile dun-
que procurare nell’organismo una modificazione
di ormoni neuroendocrini che inducono non solo
la perdita del peso corporeo ma anche la remis-
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sione del Diabete. Il recupero dell’equilibrio
glicemico appare tuttavia immediato dopo
l’intervento chirurgico ed indipendente dalla
perdita del peso, implicando un meccanismo
ancora sconosciuto per il mondo medico e
diabetologico.
La Chirurgia moderna sempre più
meccanizzata e tecnologica è in grado di aprire
nuovi scenari terapeutici e nuovi orizzonti ma
non può prescindere dalla scure perenne del
rischio di mortalità e complicanze che rappre-
sentano il suo vero “tallone di Achille”. L’impiego
della tecnologia avanzata, infatti, non esime il
Chirurgo dalla conoscenza precisa dei meccani-
smi di funzionamento del suo strumentario,
dall’abilità di riconoscere intra-operatoriamente
e riparare le imprecisioni tecniche per
ottimizzare il risultato dell’intervento.
Dalla Chirurgia Cerusica del ‘700 siamo
oggi nel tempo di una ricerca medico-tecnologica
sfrenata che spazia dalla robotica alle nano-
tecnologie in cui il Chirurgo rimane comunque
“driver” nel suo ruolo di guidatore, ma anche
elemento trascinatore per il progredire della
conoscenza.
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VALENZE ETICHE NEL RAPPORTO TRA PAZIENTE E CHIRURGO
Claudio Buccelli
Professore di Medicina legale Università degli Studi di Napoli Federico II
La professione medica è profondamente
mutata nel tempo. Tale cambiamento è legato
non solo ai suoi contenuti tecnico-scientifici
quanto -in misura in qualche maniera autonoma-
ad una sostanziale evoluzione del modello di
rapporto medico-paziente.
All’acme dell’iperbole delle acquisizioni
scientifiche ed applicative, quando la professione
del medico tende più insistentemente alla
trasformazione da arte in scienza, viene
progressivamente meno nel paziente quella
fiducia e quel rispetto che egli aveva nutrito sin
dai tempi ippocratici per il medico, realizzandosi
una complessa crisi della medicina moderna alla
cui base vi è una profondamente mutata
modalità di essere del rapporto medico-paziente.
Nell’ambito delle diverse discipline
medico-chirurgiche proprio quella chirurgica è
fortemente permeata da tali aspetti problematici
in quanto nel rapporto tra paziente e chirurgo
sono in gioco valori forti come la dignità della
persona, la qualità di vita, il peso (in termini di
proporzionalità) delle cure, l’autodeterminazione
agli approcci interventistici fino al loro rifiuto,
l’informazione circa le patologie e gli atti
operatori proposti, il consenso a sottoporvisi.
Spesso informazione e consenso
riguardano situazioni patologiche di grande
rilievo clinico e prognostico, talora per di più
gravate da esigenze di tempistiche ristrette, in
cui devono ritagliarsi spazi striminziti per
colloqui informativi che meriterebbero ben più
ampi tempi per meditate riflessioni da parte del
paziente (e dello stesso chirurgo).
Su questi specifici argomenti, specie per
inopportune spinte mediatiche e
giurisprudenziali (ma non solo) cresce ogni
giorno di più un gravame di accuse di mancata o
comunque inadeguata informazione ai pazienti e
di invalidi consensi ai trattamenti cha addirittura
sfociano in addebiti di trattamenti non
consentiti.
Se si aggiungono, poi, dilaganti fardelli
di presunta responsabilità per errori di
comportamento tecnico pre, intra e post-
operatorio non ci si può meravigliare che si
realizza specie in ambito chirurgico quella
medicina difensiva che tutti vituperano ma che
ormai diffusamente si pratica, la quale divora la
vera essenza del rapporto medico-paziente
marginalizzando il medico ad un ruolo pressoché
notarile ed esaltando quel diritto di scelta del
paziente, che tuttavia, non sempre è fondato su
meditazioni consapevoli e tecnicamente
adeguate circa il gold standard per il suo stato di
salute.
Chi sostiene il contrario mostra di non
considerare realisticamente che esiste un mare
di lontananza tra le aule di giustizia in cui si
affermano sacrosanti principi di diritto e si
comminano condanne per la loro inosservanza e
camere operatorie, reparti di terapia intensiva,
corsie mediche e chirurgiche per patologie
oncologiche, Utic, sale di pronto soccorso, in cui
ogni giorno ed in ogni momento accanto a
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complesse prestazioni cliniche si rendono
necessari delicati esercizi di psicologia e più
semplicemente di vicinanza umana nei confronti
di persone sofferenti per aiutare, non allarmare,
per dar sostegno e speranza, non per impaurire,
tenendo da parte spettri pur statisticamente non
insignificanti di possibili eventi catastrofici in un
modello di medicina di dimensione umana. Si è
dell’avviso che non possa ritenersi carente
un’informazione essenziale resasi necessaria in
riferimento a peculiari personalità del paziente,
specie se inerenti a prognosi gravi o addirittura
infauste. Bisogna essere sempre e costantemen-
te vicini al paziente non in uno sterile rapporto
burocratico ma in un costante contatto
comunicativo (la comunicazione è forma
personalizzata dell’informazione) in un proficuo
esercizio di coniugazione del principio di verità
con quello di giustizia; solo in questa maniera si
avrà rispetto delle regole antiche dell’arte
medica e - al di là delle proprie capacità tecniche
- il medico potrà sperare in un recupero di
riconoscimento da parte del paziente della sua
statura morale.
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MEDICI NAPOLETANI NEL PRIMO NOVECENTO
Maria Rosaria Bacchini
Direttrice Biblioteca Centrale della Facoltà di Medicina Università degli Studi di Napoli Federico II
La città di Napoli, dalla seconda metà
dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento,
attraversa una fase di particolare crescita nel
settore della Medicina. La costruzione del
Policlinico di Piazza Miraglia portò alla nascita di
una vera facoltà di Medicina e all’affermazione di
medici di provata capacità scientifica.
Questa “occupazione” del centro storico
di Napoli trasforma i clinici, sconosciuti alla gran
massa, in personaggi che a poco a poco
diventano una presenza costante nella vita
quotidiana della città. Era inevitabile, da questa
partecipazione attiva alla vita di tutti i giorni, che
nascesse l’idea di realizzare una serie di
caricature di questi personaggi. La caricatura del
“personaggio”, qualunque sia il suo ambito
lavorativo o culturale, è ampiamente diffusa
all’inizio del Novecento. La caricatura in genere è
espressione di una visione del tutto soggettiva
dell’autore e non una semplice riproduzione delle
fattezze del personaggio: quando poi alla
caricatura si accompagna una raccolta
aneddotica dello stesso personaggio si ottiene
una perfetta sinergia tra parole e figure. Non a
caso Picasso affermava che l’umorismo è l’unico
filo conduttore, immediato e irreversibile verso
la strada della verità. “Turba medicorum”, titolo
chiaramente legato al contenuto, è una
monografia di Pietro Capasso, pubblicata a
Napoli dalla Tipografia di “Monsignor Perrelli” nel
1905. Medico egli stesso, ben conosce pregi e
difetti dei colleghi suoi concittadini. Alle
caricature affianca aneddoti che vanno letti
senza cercare né critiche né lodi per coloro che
trovano un posto nella “turba”. Lo scopo del suo
libro è quello di dotare “le famiglie di una chiara
fonte, a cui potessero attingere senza ipocrisie
tutte le virtù e tutti i difetti dei medici
napoletani”.
La prima pagina è dedicata a Enrico de
Renzi, il “direttore” per antonomasia sempre alla
ricerca di un siero per la polmonite. Di Antonio
Cardarelli viene sottolineato l’abbigliamento “en
Garçon”, pur riconoscendogli il ruolo di
mastodontica colonna della clinica napoletana,
mentre di Sergio Pansini, definito “il tedesco di
Molfetta”, si ricorda l’accento pugliese corretto
dal tedesco imparato durante gli studi fatti tra
Vienna e Berlino. La seconda mastodontica
colonna della clinica napoletana è Domenico
Capozzi, mastodontico, in senso figurato, perché
“come proporzione fisica don Mimì era piccolino
anzichenò, ragion per la quale quando era nella
primavera della vita tutti lo chiamavano
capozziello. Anche di Domenico Morisani, noto
chirurgo si mette in risalto la bassa statura.
Tommaso De Amicis è “una delle
colonne, anzi il pilastro, anzi il colonnato della
clinica dermosifilopatica napoletana, un
colonnato in cui funzionano da base tutti gli
Scorzelli disponibili, e da capitelli tutti i Mario
Oro, Verrotti e Titirichichirivino che sono sulla
piazza ufficiale”.
Ad Antonino D’Antona, chirurgo
dell’Ospedale clinico Gesù e Maria non viene
risparmiata un’accurata descrizione della sua
passione per il gioco, né dimenticata una lunga
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II I Ferri Del Mestiere. Il Chirurgo E I Suoi Strumenti
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
serie di poesie spesso declamate al suo apparire
nelle aule: “Anthonie, tu patule recubans sub
tegmine scientiae, pedestrem latinam musam
provocaris amenam”.
Di Michele Pietravalle si ricorda che
divenne Direttore generale sanitario degli
Ospedali Riuniti di Napoli, compito già allora di
una difficoltà notevole. Gli Ospedali Riuniti erano
il Gesù e Maria, la Pace e gli Incurabili, definito
l’Illustre Infermo per le sofferenze, acute e
croniche dalle quali era affetto.
E, per concludere, le parole di Antonio
Cardarelli che incitava l’amico Capasso a non
scoraggiarsi mai e a procedere nel suo lavoro:
“Gavanti! Gavanti! Un po' di sferza sarà sempre
gutile…”
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II I Ferri Del Mestiere. Il Chirurgo E I Suoi Strumenti
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
FERRI VECCHI, CHE PASSIONE!
Da poco è stato inaugurato un percorso
sulla memoria delle antiche arti sanitarie nel
cortile monumentale dell’Ospedale degli
Incurabili di Napoli: la storia della chirurgia e
dell’evoluzione del suo armamentario è ben
rappresentata. Medici e volontari dell’arte curano
la visita ogni sabato mattina dalle ore 9,00 alle
13,30.
È un luogo della memoria da visitare per
leggere la storia della città attraverso l’ottica
delle malattie, delle epidemie e del valore della
sua scuola medica.
Per informazioni e prenotazioni:
Giovanna / cell. 338.416.97.96
www.ilfarodippocrate.it
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