svolti per aiga - . Bartolomeo Giordano Riflessioni Diritto... · Utilizzabilità degli atti...
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APPUNTI E RIFLESSIONI
di
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
svolti per
aiga Associazione Italiana
Giovani Avvocati
SEZIONE DI ROMA
– 17 luglio 2015, ore 15:00-19:00 –
Studio Legale Avv. Bartolomeo Giordano,
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Roma, Viale Glorioso n. 13,
1. Premessa…………………………………………………………………...pag. 3
2. L’errore in materia penale………………………………………………...pag. 4
3. Rapporto tra processo tributario e processo penale…………….............pag. 6
4. Principali figure di reato tributario………………………………………pag. 7
5. Utilizzabilità nel processo tributario di atti del procedimento e del processo
penale……………………………………………………………………..pag. 14
6. Cenni ad alcune questioni specifiche: la cd. lista Falciani…………….pag. 17
7. Utilizzabilità degli atti acquisiti da parte del Giudice tributario in mancanza
di autorizzazione dell’autorità giudiziaria………………………………pag. 19
8. Un appunto sul falso in bilancio…………………….…………………..pag. 22
9. Schema riassuntivo……………………………………………………….pag. 23
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Il diritto penale tributario ha rappresentato (e forse rappresenta tuttora) un settore poco
frequentato sia dai tributaristi che dai penalisti, a causa dell’elevato grado di
specializzazione e del suo tecnicismo.
Le recenti riforme che hanno abbassato le soglie di punibilità conseguenti a
violazioni d’imposta, la crescente attenzione delle Procure di tutta Italia per il
fenomeno e il delinearsi di nuove ed inattese frontiere in punto di responsabilità
delle società e degli enti per illeciti penali, impongono percorsi formativi altamente
specializzati, tesi a fornire le indispensabili competenze per operare in modo efficace
e consapevole, costituite da una preparazione di base nel diritto tributario e penal-
tributario, nonché una familiarità con la procedura che caratterizza il processo
penal-tributario.
Per avere conferma di questa interconnessione e complessità è sufficiente avvicinare
il concetto di illecito tributario, inteso come condotta antigiuridica, contraria ad un
espresso precetto tributario (e non meramente etico) che, secondo l’ordinamento
nazionale, può essere amministrativo o penale.
Purtroppo la distinzione tra le due categorie è rimessa unicamente alla tipologia delle
sanzioni irrogate, ossia sanzioni amministrative (sanzioni pecuniarie e accessorie)
ovvero sanzioni penali (reclusione, arresto, multa, ammenda e pene accessorie).
Per venire poi all’oggetto della mia analisi, l’illecito penale-tributatario può essere
distinto anche in reato finanziario e reato tributario.
Il reato finanziario riguarda il diritto soggettivo della Pubblica Amministrazione ad una
prestazione imposta a carico del cittadino ed a favore dell’Erario; il reato tributario
attiene invece alla violazione di norme poste a tutela dell’interesse
dell’Amministrazione all’esercizio di poteri di accertamento, controllo e riscossione
dei tributi.
Prima di procedere all’analisi degli elementi strutturali del reato tributario, in
generale e poi delle singole fattispecie, occorre individuare il quadro normativo di
riferimento che parte dal Regolamento doganale del 21 ottobre 1861, attraverso un
percorso estremamente articolato è arrivato alla Legge n. 516/1982 (cd. ‘Manette agli
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evasori’, prima vera svolta in materia tributaria) ed al D.Lgs. 74/2000, poi, integrato
dalla Legge Finanziaria 2005 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311) e dall’art. 1, comma
414, che ha disposto l’inserzione nel contesto del decreto di un nuovo articolo 10-
bis (Omesso versamento di ritenute certificate), volto a sanzionare condotte di
evasione fiscale perpetrate dal sostituto d’imposta, e successivamente dall’art. 35,
comma 7 del d.l. 4 luglio 2006, n. 233 (“Disposizioni comuni per il rilancio
economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica,
nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”),
convertito con modificazioni in Legge 4 agosto 2006, n. 248, il quale ha introdotto
gli articoli 10-ter (Omesso versamento di IVA) e 10-quater (Indebita
compensazione).
I reati tributari interessano per lo più persone rivestite di peculiari qualifiche
soggettive, gravate di particolari obblighi scaturenti dalle disposizioni tributarie. A
dispetto del pronome “chiunque” che introduce tutte le fattispecie criminose delineate
dal decreto legislativo n. 74/2000, salvo rare eccezioni, esse hanno natura di reato
proprio, potendo esser commesse solo da soggetti provvisti di particolari qualifiche
(naturalistiche o giuridiche), che valgono a porli in una caratteristica relazione con il
bene giuridico tutelato.
In forza del doppio binario il fatto che il contribuente abbia risarcito il danno
all’Erario cagionato dal reato tributario non comporta l’estinzione o la non
punibilità del reato, ma soltanto una riduzione della pena principale in forza
di una circostanza attenuante speciale, che era fino alla metà prima della
recente Manovra e fino ad un terzo a seguito della modifica dell’art. 13
D.Lgs. 74.
2. L’ERRORE IN MATERIA TRIBUTARIA
Il problema delle violazioni derivanti dall’errata interpretazione delle norme penal-
tributarie si è riproposto proprio in seguito all’entrata in vigore della riforma del
diritto penale tributario, predisposta con il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
In generale, relativamente all’errore di diritto, occorre effettuare una importante
distinzione: se l’errore cade su norma penale, esso non escluderà mai la punibilità, ex
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art. 5 c.p., salve le ipotesi di ignoranza inevitabile del precetto, configurate dalla
sentenza della Corte Costituzionale del 23 marzo 1988, n. 364.
Se invece l’errore cade su norma extrapenale, esso escluderà la punibilità, sempre
che determini errore sul fatto che costituisce reato, ex art. 47, comma 3, c.p..
La giurisprudenza di legittimità ha per lo più fornito una lettura dell’art. 47, comma
3, c.p., fondata sulla distinzione tra norme extrapenali integratrici e non integratrici
del precetto penale: in particolare, solo l’errore che cade su queste ultime
escluderebbe la punibilità.
L’art. 15, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, prevede che “al di fuori dei casi in cui la
punibilità è esclusa a norma dell’art. 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a fatti
punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive
condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione”.
In questo senso, la disposizione in esame si pone come “previsione speciale”
rispetto all’art. 5 del codice penale (che riguarda “l’ignoranza della legge penale”);
essa va quindi ad ampliare l’ambito della ignoranza inevitabile (o meglio della “non
conoscibilità” di una norma da parte dei consociati), riferendolo - come già rilevato
da un’attenta dottrina - a circostanze ed elementi oggettivi che prescindono dalle
capacità cognitive e dagli obblighi di informazione degli agenti, e che riguardano la
evidente complessità e disorganicità della normativa tributaria, ormai in continua
mutazione, oscura e di difficile interpretazione.
In altre parole, la portata scusante dell’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale
si rivolgeva (e si rivolge) soprattutto a chi versa in condizioni soggettive di
inferiorità, e non ai soggetti che, per la loro elevata condizione sociale e tecnica,
sono tenuti a conoscere il precetto penale, e, se non conoscono, non sono scusabili.
Ne consegue che l’esigenza di personalizzare il giudizio di inevitabilità-scusabilità, da
un lato, parrebbe produrre effetti in malam partem; dall’altro, si rivelerebbe comunque
incompatibile con determinati criteri oggettivi puri, come l’oscurità del testo
normativo che, come tali, dovrebbero valere per tutti i consociati, a prescindere da
particolari competenze soggettive.
Dalla ratio dell’art. 15 è possibile individuare l’ambito generale nel quale debba
inserirsi il concetto di “obiettive condizioni di incertezza”, è altrettanto vero che tale
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ambito appare ancora estremamente vago e non dettagliato, soprattutto in
riferimento alle stringenti esigenze imposte, nel diritto penale, dal principio di
tassatività, a norma del quale la fattispecie di legge deve essere precisa e determinata
dal legislatore in modo inequivocabile.
Va infine ricordato che l’errore, rilevante ai fini della disposizione in commento, è
quello che verte su “norme” tributarie: ciò significa che l’art. 15 dovrà ritenersi
applicabile non solo in caso di errore che verta su leggi formali (ed atti aventi forza
di legge), ma anche in caso di errata interpretazione di fonti secondarie (ad es.,
decreti ministeriali; ma non anche le circolari, le quali saranno al massimo
configurabili come causa dell’errore, ma non come suo oggetto).
3. RAPPORTO TRA PROCESSO PENALE E PROCESSO TRIBUTARIO
Come noto, nel processo tributario vige il principio ormai consolidato secondo cui
la formazione del giudicato penale non è direttamente invocabile nel processo
tributario, essendo i due sistemi processuali fondati su sistemi probatori
sostanzialmente differenti; occorre, quindi, valutare, nel quadro indiziario
complessivo, la portata del giudicato penale.
L’efficacia vincolante del giudicato penale, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., non può
operare automaticamente nel processo tributario nel quale vigono limitazioni della
prova, come il divieto della prova testimoniale e possono valere anche presunzioni
inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna.
Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva
in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo
all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei propri
autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio
acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve verificarne la rilevanza nell'ambito specifico
in cui esso è destinato ad operare.
Anche nel giudizio penale è, quindi, possibile il recepimento, dell'accertamento
contenuto in una sentenza tributaria irrevocabile, tuttavia, questo deve
accompagnarsi a una verifica della compatibilità degli elementi su cui si fonda con le
risultanze del processo penale. Quindi, al giudice penale deve riconoscersi piena
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autonomia nella valutazione del giudicato extraprocessuale, potendo questo
essere liberamente apprezzato.
Peraltro, nel giudizio tributario nessuna automatica autorità di giudicato può
riconoscersi alla sentenza penale irrevocabile (di condanna o di assoluzione), emessa
in materia di reati fiscali, pur quando i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi
che fondano l’accertamento, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti
in materia di prova posti dall’articolo 7, co. 4, del D. L.vo n. 546/1992, e trovano
ingresso, con rilievo probatorio in materia di determinazione dell’IVA, anche
presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di
condanna. Può pertanto affermarsi l’abbandono della "pregiudiziale tributaria" in
favore del "doppio binario" con l'introduzione del D.L. n. 429/82 convertito nella
legge n. 516/82.
In altri termini, la sentenza penale costituisce, nel giudizio tributario, un
semplice indizio o elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa
eventualmente accertati dal giudice penale sulla base delle prove raccolte nel
relativo giudizio. Il giudice tributario, pertanto, a fondamento della propria
decisione, non può limitarsi a richiamare il semplice dispositivo della sentenza, ma
deve prendere in considerazione gli elementi in essa eventualmente emergenti - ove
questi siano effettivamente significativi - onde procedere ad una autonoma
ricostruzione e valutazione dei fatti, dando conto della natura e consistenza degli
stessi e delle ragioni del proprio convincimento.
Da ultimo, quale ulteriore riscontro alla reciproca autonomia tra procedimento
penale e tributario, deve osservarsi il divieto di sospensione del processo penale in
pendenza di una controversia civile o amministrativa, essendo tali sospensioni
tassativamente previste ex artt. 3 e 479 c.p.p. .
4. PRINCIPALI FIGURE DI REATO TRIBUTARIO
Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, commi 1 e 2, Dlgs 74/2000)
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Chiunque, al fine di evadere imposte sui redditi o Iva, avvalendosi di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali
relative a queste imposte elementi passivi fittizi, a prescindere se egli sia o meno il
soggetto passivo d'imposta o il titolare dei redditi o l'intestatario dei beni. Il fatto si
considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili
obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'Amministrazione
finanziaria.
Reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni. Inconfigurabilità del tentativo (art. 6).
Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3, Dlgs 74/2000)
Fuori dei casi previsti dall'articolo 2, commette reato chiunque, al fine di evadere le
imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione
nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a
ostacolarne l'accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi
per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, quando,
congiuntamente:
– l'imposta evasa è superiore a 30.000 euro (con riferimento a ciascuna delle singole
imposte)
– l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche
mediante l'indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell'ammontare
complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque è superiore a
1 milione di euro.
Reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni. Inconfigurabilità del tentativo.
II fatto si considera commesso con mezzi fraudolenti quando l'indicazione non veritiera si fonda su una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l'accertamento (comma 1).
Non danno luogo a fatti punibili:
le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile (art. 7, comma 1)
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le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio (art. 7, comma 1)
in ogni caso, le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle ritenute corrette. Di questi importi, compresi in tale percentuale, non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità sopra indicate (art. 7 comma 2).
Dichiarazione infedele (art. 4, Dlgs 74/2000)
Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3 (per le dichiarazioni fraudolente), commette
questo reato chiunque, al fine di evadere le imposte dirette o l'Iva (senza un
impianto fraudolento, ma comunque consapevolmente e volontariamente), indica in
una delle dichiarazioni annuali relative a queste imposte elementi attivi per un
ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi quando
congiuntamente:
a) l'imposta evasa è superiore a 50.000 euro con riferimento a ciascuna delle singole
imposte
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione anche
mediante indicazione di elementi passivi fittizi è superiore al 10% dell'ammontare
complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a
2 milioni di euro.
Reclusione da 1 a 3 anni. Inconfigurabilità del tentativo.
Non rilevano penalmente:
– le rilevazioni nelle scritture contabili e in bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative i cui criteri concretamente applicati sono comunque indicati in bilancio
– le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono meno del 10% da quelle corrette (art. 7, comma 2) degli importi compresi in questa percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità sopra indicate).
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Dichiarazione omessa (art. 5, Dlgs 74/2000)
Commette il reato chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l'Iva (dolo
specifico), non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative
a queste imposte, quando l'imposta evasa è superiore a 30.000 euro, con riferimento
a ciascuna delle singole imposte.
Reclusione da 1 a 3 anni.
Non si considera omessa, ai fini della configurazione del delitto, la dichiarazione
presentata entro 90 giorni dalla scadenza, oppure non sottoscritta, o non redatta su
uno stampato conforme al modello prescritto. Alla scadenza dei 90 giorni, si
consuma il reato.
Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8, Dlgs 74/2000)
Commette il reato chiunque, al fine di consentire a terzi (dolo specifico) l'evasione
dell'imposta sui redditi o dell'Iva, emette o rilascia fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti.
Reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.
L'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel
corso del medesimo periodo d'imposta si considera come un solo reato (comma 2).
In deroga all'articolo 110 del Codice Penale, non è punibile a titolo di concorso nel
reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8) chi
se ne avvale o chi concorre con chi se ne avvale (art. 9, comma 1, lett. b), né è
punibile a titolo di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2) chi li emette o chi
concorre con chi li emette (art. 9, comma 1, lett. a).
Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10, Dlgs 74/2000)
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Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, commette reato chiunque, al fine di
evadere le imposte sui redditi o l'Iva, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta
o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili, o i documenti di cui è
obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi
o del volume d'affari.
Reclusione da 6 mesi a 5 anni.
Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis, Dlgs 74/2000)
Il reato è commesso da chiunque non versi ritenute risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituiti entro il termine previsto per la dichiarazione annuale dei
sostituti di imposta.
Reclusione da 6 mesi a 2 anni.
Il reato si configura se il totale relativo alle ritenute certificate e non versate, supera i 50.000 euro per periodo d'imposta.
Omesso versamento di Iva (art. 10-ter, Dlgs 74/2000)
Il reato è commesso da chiunque non versi l’imposta sul valore aggiunto, dovuta
sulla base della dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto
relativo al periodo d’imposta successivo.
Reclusione da 6 mesi a 2 anni.
Il reato si configura se il totale relativo all’Iva dovuta e non versata supera i 50.000
euro per periodo d'imposta.
L’attuale congiuntura economica sfavorevole ha visto il proliferare di sentenze
assolutorie (fatto non costituisce reato per carenza del dolo generico richiesto) nei casi in
cui l’omesso versamento è stato assolutamente impossibilitato (e non
semplicemente reso difficoltoso) dalla mancanza di risorse e, più recentemente, la
giurisprudenza di legittimità richiede altresì che l’imprenditore non abbia tuttavia
privilegiato altri creditori rispetto al fisco.
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Indebita compensazione (art. 10-quater, Dlgs 74/2000)
Il reato è commesso da chiunque non versi le somme dovute, utilizzando in
compensazione crediti non spettanti o inesistenti.
Reclusione da 6 mesi a 2 anni.
Il reato si configura se il totale relativo ai crediti indebitamente compensati supera i
50.000 euro per periodo d'imposta.
Pagamenti parziali (art. 11, Dlgs 74/2000, comma 1)
Chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore
aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di
ammontare complessivo superiore a 50mila euro, aliena simulatamente o compie
altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte
inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Reclusione da 6 mesi a 4 anni.
Reclusione da 1 anno a 6 anni se imposte, sanzioni e interessi sono superiori
a 200mila euro
È un reato di pericolo: è sufficiente la semplice idoneità della condotta simulata o
fraudolenta a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Pagamenti parziali (art. 11, D.Lgs. 74/2000, comma 2)
Chiunque, al fine di ottenere per se o per altri un pagamento parziale dei tributi e
relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di
transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o
elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a 50mila euro.
Reclusione da 6 mesi a 4 anni. È un reato di pericolo: è sufficiente la semplice
idoneità della condotta simulata o fraudolenta a rendere inefficace la procedura di
riscossione coattiva.
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Pagamenti parziali (art. 11, Dlgs 74/2000, comma 2)
Chiunque, al fine di ottenere per se o per altri un pagamento parziale dei tributi e
relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di
transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o
elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a 200mila euro.
Reclusione da 1 anno a 6 anni.
È un reato di pericolo: è sufficiente la semplice idoneità della condotta simulata o
fraudolenta a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Deve notarsi che per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto
legislativo n. 74/2000, l’istituto della sospensione condizionale della pena non
trova applicazione quando si verificano contemporaneamente le seguenti
condizioni:
a) l’ammontare dell’imposta evasa è superiore al 30% del volume d'affari
b) l’ammontare dell’imposta evasa è superiore a tre milioni di euro.
I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 sono elevati di
un terzo.
Le pene previste sono diminuite fino a un terzo e non si applicano le pene
accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti sono stati estinti
mediante pagamento, anche a seguito delle procedure conciliative o di adesione
all'accertamento previste dalle norme tributarie. Il pagamento deve riguardare
anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie,
sebbene non applicabili in base all'articolo 19 (se, un comportamento che costituisce
reato è punito anche con una sanzione amministrativa, si applica la norma speciale).
Giova ribadire che la condanna per i reati descritti comporta queste pene
accessorie:
a) l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un
periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni
b) l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non
inferiore ad un anno e non superiore a tre anni
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c) l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per
un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni
d) l'interdizione perpetua dall'ufficio di componente di commissione tributaria
e) la pubblicazione della sentenza a norma dell'articolo 36 del codice penale.
La condanna per i delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 comporta, inoltre,
l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore a un anno e non
superiore a tre anni.
5. UTILIZZABILITÀ NEL PROCESSO TRIBUTARIO DI ATTI DEL PROCEDIMENTO E
DEL PROCESSO PENALE
Nel processo tributario il giudice può legittimamente fondare il proprio
convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso
in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di
“giudicato”, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione degli elementi
probatori acquisiti nel processo penale, secondo le regole proprie della distribuzione
dell'onere della prova nel giudizio tributario.
Conseguentemente, il giudice tributario non può negare in linea di principio che
l'accertamento contenuto in una sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi
dell'art. 425 cod. proc. pen. possa costituire fonte di prova, omettendo di compiere
una sua autonoma valutazione degli elementi acquisiti in sede penale.
La parte può produrre anche in appello una sentenza penale diretta a provare la
fondatezza dell'assunto difensivo sostenuto sin dal ricorso introduttivo del giudizio
e non incorre nel divieto di eccezioni nuove (di cui all'art. 57 del d.lgs. n. 546 del
1992), trattandosi di allegazione di un nuovo documento, pienamente ammissibile ai
sensi dell'art. 58 dello stesso decreto, a prova di un'argomentazione difensiva già
espressa e non della formulazione di un nuovo motivo di illegittimità dell'atto
impugnato, o di una nuova eccezione.
La legittima utilizzabilità degli atti del procedimento penale nel giudizio
tributario non è impedita dal fatto che l'autorizzazione al rilascio di copie, estratti e
certificati di quel procedimento, richiesti dall'amministrazione finanziaria, sia stata
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rilasciata dal pubblico ministero anziché dal giudice per le indagini preliminari
procedente.
Ad esempio, le dichiarazioni rese in sede penale da amministratori di società
coinvolta nel contenzioso tributario, pur avendo solo portata indiziaria, ben
possono assumere efficacia decisiva nel processo tributario, anche se non
corroborate da riscontri documentali, il giudice tributario deve infatti procedere ad
una valutazione globale degli elementi disponibili, spiegando, ove intenda escludere
l'utilizzabilità delle predette dichiarazioni, le ragioni della loro inattendibilità.
Peraltro, il provvedimento di archiviazione di un processo penale non solo non
impedisce che lo stesso fatto sia diversamente definito, valutato e qualificato dal
giudice civile o tributario, ma proprio perché presuppone la mancanza di un
processo, comporta che i fatti presi in considerazione in sede penale ai fini del reato
di evasione fiscale debbano necessariamente essere autonomamente verificati dal
giudice tributario, al fine di stabilirne la rilevanza nell'ambito specifico in cui
l'accertamento di quei fatti è destinato ad operare.
Le tematiche non ancora compiutamente risolte dalla Giurisprudenza concernono
l’utilizzabilità nel giudizio tributario di atti ritenuti inammissibili e, quindi, non
utilizzabili nel processo penale.
In termini generali entrambe le soluzioni appaiono astrattamente ammissibili, in
quanto potrebbe sostenersi sia che le particolari ragioni a tutela dell’imputato nel
processo penale che presiedono la valutazione di inutilizzabilità delle prove, non
trovano applicazione nel giudizio tributario dove è in gioco l’interesse di natura
fiscale delle parti, sia che non sussistono ragioni per diversificare la valutazione del
giudice penale e del giudice tributario al fine di una discriminazione in malam partem
del contribuente che potrebbe vedersi opposto in sede di giudizio tributario un atto
legittimamente espunto nel giudizio penale e, quindi, illegittimamente acquisito al
giudizio penale.
La giurisprudenza della Suprema Corte è nettamente orientata nel primo senso con
riferimento alla utilizzabilità degli atti penali nel processo tributario nel caso di
mancata o illegittima autorizzazione dell’Autorità giudiziaria che non rende
inutilizzabili gli atti acquisiti da parte del giudice tributario.
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La mancanza dell'autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista per la trasmissione
di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o un processo penali
non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato
l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione
del giudice tributario, in quanto il principio di inutilizzabilità della prova irritualmente
acquisita è norma peculiare del procedimento penale ma non costituisce, invece,
principio generale dell’ordinamento giuridico.
Per il procedimento tributario non sussiste la previsione di inutilizzabilità degli
elementi acquisiti in sede di verifica, in assenza di autorizzazione dell'autorità
giudiziaria, in quanto in tema di IVA, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, per
l'utilizzazione a fini tributari e per la trasmissione uffici finanziari di dati, documenti
e notizie bancari, acquisiti nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria è riferita ad
indagini penali in corso, non necessariamente a carico del contribuente sottoposto
ad accertamento, ma anche di terzi co-indagati.
Tale autorizzazione non è diretta a permettere l'accesso della Guardia di finanza ai
dati bancari a fini fiscali, ma soltanto a consentire la trasmissione anche agli uffici
finanziari di materiale acquisito per fini esclusivamente penali, essendo stata
introdotta la detta autorizzazione per realizzare una maggiore tutela degli interessi
protetti dal segreto istruttorio, piuttosto che per filtrare ulteriormente l'acquisizione
di elementi significativi a fini fiscali.
Infatti, rappresenta ulteriore questione tuttora dibattuta la possibilità di produrre nel
processo tributario documenti sottoposti al segreto investigativo.
L’art. 63 , comma 1, D.P.R 633/72 in tema di Iva e l’art. 33, comma 3, D.P.R. n.
600/73 sulle imposte sui redditi prevedono che la Guardia di Finanza, previa
autorizzazione della A.G., anche in deroga al segreto investigativo (art. 329
c.p.p.) possa trasmettere all’Agenzia delle Entrate informazioni, dati e notizie
acquisiti nel corso delle indagini, con conseguente possibilità di derogare al segreto
istruttorio.
Si ritiene che anche le intercettazioni siano utilizzabili nel processo tributario,
nonostante l’art. 270 c.p.p. preveda espressamente che i risultati delle intercettazioni
non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati
17
disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è
obbligatorio l’arresto in flagranza; tale limite di utilizzo si riferisce evidentemente
solamente ad altri procedimenti penali e non può essere steso al processo tributario,
pur potendosi chiedere l’oscuramento di alcuni dati, previa disposizione
dell’Autorità giudiziaria, a tutela della privacy, qualora si sia ancora nella fase delle
indagini preliminari in cui le intercettazioni sono (rectius: dovrebbero essere) coperte
da segreto. Non è requisito di ammissibilità il fatto che in sede penale sia stato
osservato il principio del contraddittorio, in quanto la relativa difesa può essere
attuata anche nel processo tributario e ben potendo il giudice tributario non
attribuire rilievo ad elementi di prova formatisi nel giudizio penale che difettano
delle garanzie difensive.
Si osserva come la perizia disposta in sede penale, così come anche la CTU in sede
civile può essere utilizzata in un giudizio diverso da quello in cui le stesse sono state
espletate, vertente tra le stesse parti o tra parti diverse, quindi può essere prodotta
anche nel giudizio tributario e valutata quale prova atipica
Anche sotto il profilo processuale, con riferimento al diritto di difesa, marcate
sono le differenze rispetto al processo penale; ad esempio nel processo tributario
l'udienza non può essere differita per legittimo impedimento del difensore, in
quanto, a differenza di quello penale, non è rinvenibile un principio che imponga il
rinvio in caso di impedimento del difensore, a meno che non venga provata anche
l'impossibilità della sostituzione. Infatti “l'istanza di rinvio dell'udienza dì
discussione della causa per grave impedimento del difensore, a sensi dell'art. 115
disp. att. cod. proc. civ., deve fare riferimento all'impossibilità di sostituzione,
venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all'organizzazione
professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell'udienza”.
L’art. 115 disp. att. c.p.c. (da intendersi richiamato nel procedimento tributario per
effetto del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2) sancisce il potere discrezionale
del giudice di rinviare la discussione della causa "per grave impedimento del
tribunale o delle parti" e contro il rigetto dell’istanza di rinvio presentata dal
difensore “non può essere dedotta la violazione di norme ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,
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n. 3 dovendosi eventualmente - denunciare il vizio di motivazione inerente alla
giustificazione dell’utilizzo di tale potere.
6. CENNI AD ALCUNE QUESTIONI SPECIFICHE: LA CD. LISTA FALCIANI
Occorre verificare la possibilità di utilizzare nel processo tributario atti di
provenienza illecita, ossia non acquisiti attraverso canali di cooperazione
internazionale fiscale che espressamente prevedono l'utilizzo anche in sede
giudiziaria delle informazioni acquisite dall'amministrazione estere.
In sede penale spetta al giudice di merito la eventuale verifica sulla utilizzabilità di
una prova che sia stata acquisita nel corso dell’attività posta in essere per disporre,
ad esempio, un sequestro preventivo sulla base della cd. “lista Falciani”, in quanto le
acquisizioni documentali della Guardia di finanza attengono al procedimento di
accertamento fiscale ed avendo natura di atti amministrativi esulano dalla disciplina
relativa alle rogatorie e la sanzione d’inutilizzabilità degli atti assunti per rogatoria
non si applica ai documenti autonomamente acquisiti dalla parte all’estero
direttamente dalle amministrazioni competenti, mentre la successiva utilizzazione
processuale va stabilita avuto riguardo alla disciplina dettata dagli artt. 234 e ss. c.p.p.
In sede penale si è anche affermato che non sussiste violazione dell’art. 191 c.p.p.
quando il GIP respinga l’istanza del pubblico ministero di procedere alla distruzione
di documenti (nel caso di specie contenuti nelle così dette “carte Falciani”), acquisiti
al processo, senza però escludere - anzi facendo espressamente salva - la possibilità
che i documenti non possano essere utilizzati in dibattimento qualora ne risulti la
acquisizione in violazione di legge.
Indipendentemente dalla valutazione della utilizzabilità della lista Falciani in sede
penale, cioè della documentazione acquisita da tale Falciani Hervè (dipendente
infedele della HSBC Private Bank di Ginevra), documentazione da cui emerge come
numerosi cittadini dei diversi Paesi della Comunità Europea (e quindi anche
dell’Italia) disponessero presso la banca di cospicui fondi, non denunciati al Fisco,
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tale lista può legittimante essere utilizzata dalla Agenzia delle Entrate per disporre
accertamenti fiscali, la cui contestazione in sede di giudizio tributario sarà possibile
in forza dei normali criteri di illegittimità degli atti e accertamenti della Agenzia,
senza, tuttavia, potere dedurre l’illegittima acquisizione degli atti da cui è originata
l’indagine fiscale, anche se dovessero essere ritenuti inutilizzabili dall’Autorità
penale, perché, ad esempio, “formati attraverso la raccolta illegale di informazioni”,
trattandosi della stampa di files contenuti in un sistema informatico riservato nel
quale il Falciani si è abusivamente introdotto contro la volontà espressa o tacita dì
chi aveva diritto ad escluderlo (o, ammesso che fosse autorizzato all’accesso dei dati,
quanto meno si è abusivamente intrattenuto nel sistema nel momento in cui ha
attuato la decisione di copiare i files per fini diversi da quelli relativi allo svolgimento
delle sue mansioni) così integrando, il reato di cui all’art. 615 ter c.p. nonché di
appropriazione indebita aggravata di documenti ai sensi degli artt. 646 e 61 n. 11
c.p.).
Pur trattandosi, pertanto, di documenti di origine illecita, il loro contenuto può
essere utilizzato nel processo tributario anche alla luce delle giurisprudenza della
Suprema Corte che consente che dati bancari "irritualmente" acquisiti nell'indagine
penale a carico del contribuente o di terzi sono sempre utilizzabili ai fini
dell'accertamento fiscale anche quando vengono acquisiti "irritualmente" in
occasione di un'indagine penale.
7. UTILIZZABILITÀ DEGLI ATTI ACQUISITI DA PARTE DEL GIUDICE TRIBUTARIO IN
MANCANZA DI AUTORIZZAZIONE DELL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA
La mancanza dell'autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista per la trasmissione
di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o un processo penali
non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato
l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione
del giudice tributario.
Il principio di inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita è norma peculiare
del procedimento penale e non costituisce, invece, principio generale
dell’ordinamento giuridico. Quindi i dati bancari "irritualmente" acquisiti
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nell'indagine penale a carico del contribuente o di terzi sono sempre utilizzabili ai
fini dell'accertamento fiscale anche quando vengono acquisiti "irritualmente" in
occasione di un'indagine penale.
Inoltre per il procedimento tributario non sussiste la previsione di inutilizzabilità
degli elementi acquisiti in sede di verifica, in assenza di autorizzazione dell'autorità
giudiziaria in quanto in tema di IVA, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, per
l'utilizzazione a fini tributari e per la trasmissione uffici finanziari di dati, documenti
e notizie bancari, acquisiti nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria è riferita ad
indagini penali in corso, non necessariamente a carico del contribuente sottoposto
ad accertamento, ma anche di terzi indagati. Tale autorizzazione non è diretta a
permettere l'accesso della Guardia di finanza ai dati bancari a fini fiscali, ma soltanto
a consentire la trasmissione anche agli uffici finanziari di materiale acquisito per fini
esclusivamente penali, essendo stata introdotta la detta autorizzazione per realizzare
una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio, piuttosto che per
filtrare ulteriormente l'acquisizione di elementi significativi a fini fiscali I dati raccolti
nell’inchiesta penale legittimano anche l’utilizzo degli studi di settore
nell’accertamento fiscale.
QUESTIONI APERTE IN TEMA DI PRESCRIZIONE
La legge 148/2011 (provvedimento “anticrisi” attuato per far fronte all’emergenza
economica) ha inciso su alcuni importanti istituti del D.lgs. n. 74/2000, in
particolare, modificando il regime della prescrizione (in peius), atteso che lo stesso
ha subito un significativo prolungamento.
All’art. 17 rubricato “interruzione della prescrizione” è stato infatti aggiunto il
comma 1 bis che prevede come “i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da
2 a 10 […] sono elevati di un terzo”.
La riforma ha inciso su buona parte delle fattispecie di reato previste dal d.lgs.
74/2000 (gli articoli da 2 a 10), disegnando due categorie di illeciti:
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1) tipologia che si prescrive in sei anni (che diventano sette anni e sei mesi
per effetto dell’interruzione): delitti di cui agli artt. 10 bis, 10 ter, 10 quater e
11,
2) tipologia che si prescrive in otto anni (sei anni base, elevati di un terzo), che
diventano dieci anni per effetto dell’interruzione: delitti di cui agli artt. da 2
a 10.
A tal fine, atti interruttivi del corso della prescrizione sono quelli ordinari codificati
all’art. 160 c.p. e, per espressa previsione legislativa (art. 17 d.lgs. 74/2000), il
verbale di constatazione o l’atto di accertamento delle relative violazioni.
Quanto al verbale di constatazione, come detto, è atto idoneo ad interrompere il
corso della prescrizione anche se non è stato notificato alla parte che ne è
destinataria (Cassazione, sentenza 19 luglio 2012, n. 37933).
Strettamente collegato al tema della prescrizione dell’illecito penal - tributario è la
disciplina dei termini dell’accertamento tributario del relativo illecito (art. 43 dpr
600/1973), soprattutto a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del
2011.
Come noto, in presenza di contestazione di una delle fattispecie del d.lgs. 74/2000
scatta automaticamente il raddoppio dei termini di accertamento: naturalmente si
è indotti a sospettare che, specialmente quando il termine ordinario stia per scadere,
gli agenti verificatori siano indotti ad individuare violazioni di matrice penale
(l’Amministrazione Finanziaria è “parte interessata” nell’accertamento tributario e
quindi, ha interesse ad un raddoppio dei termini per il proprio accertamento)
Invero, sul raddoppio dei termini in esame, la Corte Costituzionale è intervenuta
con una sentenza che non è andata esente da critiche (soprattutto per alcune prese
di posizione in tema di Statuto del contribuente, condono IVA e obbligo di tenuta
delle scritture contabili), per dirimere il dubbio di costituzionalità paventato dalla
CTP di Napoli dell’art. 57 d.p.r.633/1972 nel testo all’epoca in vigore (siamo nel
luglio del 2006), stabilendo che “in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia ex art.
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331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 74/2000 i termini di cui ai commi precedenti sono
raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.
Secondo la Consulta, il raddoppio dei termini di accertamento non è correlato ad
una valutazione meramente soggettiva da parte del Pubblico ufficiale, ma opera solo
se vi sono elementi obiettivamente riscontrabili che dimostrino in modo certo
l’insorgenza dell’obbligo di denuncia. Pertanto, la sola trasmissione della notitia
criminis non giustifica l’estensione del potere di accertamento ma occorre altresì una
verifica in ordine alla esistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia,
naturalmente senza spingersi in verifiche più approfondite sulla la sussistenza o
meno delle ipotesi di reato riscontrate.
Come noto, infatti, l’obbligo di denuncia (che è un atto unilaterale recettizio
integrante una dichiarazione di scienza) opera solo in presenza di una notitia criminis e
non già di un mero sospetto o di una congettura del soggetto obbligato che sia
sfornita dei requisiti minimi di possibile rilevanza penale della condotta o del fatto
che si segnala.
8. UN APPUNTO SUL FALSO IN BILANCIO
A riprova della delicatezza della materia e della ‘sensibilità’ del momento, può farsi
un breve cenno al falso in bilancio, noto anche come frode contabile, costituito dalla
compilazione di false comunicazioni sociali ovvero di una rendicontazione non
veritiera e corretta dei fatti accaduti e degli indicatori di rilievo che dovrebbero
essere espressi nel bilancio d'esercizio di un'azienda. Naturalmente, il bilancio di
un'azienda è un documento utile principalmente ai soci e ai terzi, perché possano
reperirvi informazioni necessarie ad assumere decisioni riguardanti la stessa azienda
medesima; pertanto, considerato che il bilancio non si rivolge solo al capitale
investitore, ma anche alle classi lavoratrici ed alla collettività, la sua fedele
compilazione è stata considerata obbligatoria e inderogabile presso la quasi totalità
degli ordinamenti del mondo in quanto garanzia di tutela della fede pubblica che al
bilancio deve concedersi. In Italia è noto che un governo (Berlusconi) si è battuto
per la depenalizzazione di tale fattispecie che fortunatamente, con il cd. Disegno di
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legge anticorruzione, recentemente approvato (Legge 27 maggio 2015, n. 69), è stato
nuovamente ‘penalizzato’ ed attualmente riguarda tutte le imprese, non solo per
quelle quotate in borsa, non presenza soglie per la sua punibilità. Se la società è
quotata, chi commette il falso in bilancio rischia la reclusione da 3 a 8 anni,
altrimenti, da uno a 5 anni.
Aspetto non trascurabile è anche la procedibilità d'ufficio, a meno che non si tratti
di piccole società (non soggette al fallimento), per le quali vale una sanzione ridotta
(da 6 mesi a 3 anni).
9. SCHEMA RIASSUNTIVO (INTERFERENZE TRA PROCESSO PENALE E PROCESSO TRIBUTARIO)
Competenza per materia attribuita al Tribunale in composizione monocratica
Competenza per territorio legata al luogo di commissione del reato e, in via
sussidiaria, luogo di accertamento (unico criterio, nel caso di soggetti non resid.).
Con riferimento ai reati di dichiarazione, la competenza territoriale è fissata
nel domicilio fiscale del contribuente.
Processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza o dai
Funzionari degli uffici finanziari rappresenta “un atto amministrativo
extraprocessuale, come tale acquisibile ed utilizzabile ex art. 234 c.p.p., a fini
probatori. Tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere
secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., giacché altrimenti la parte
del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere
efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile” (Cass. Pen., Sez. III,
sent. 4919 del 03.02.2015).
Suggerimento, in sede di assistenza del contribuente quando viene redatto il
P.V.C. finale, è essenziale far inserire a Verbale che gli atti non siano inviati
al Pubblico Ministero finchè non si ‘accerti’ l’esistenza di tutti gli
estremi del reato che si intende segnalare.
Le presunzioni legali (accertamento sintetico e induttivo, Studi di settore,
redditometro) previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé
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fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il
valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice
penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza
della condotta criminosa (Cass. Pen., Sez. III, sent. 8.4.2014, n. 37302).
Reciproca autonomia tra processo penale e tributario: ‘irrilevanti’ le pronunce
penali (favorevoli o sfavorevoli) al contribuente in vicende aventi ad oggetto i
medesimi fatti del procedimento tributario.
Peraltro, sussiste un divieto di sospensione del processo penale in pendenza
di una controversia civile o amministrativa.
L’utilizzabilità in sede di accertamento della documentazione acquisita in
occasione di perquisizione domiciliare, va interpretata giuridicamente sulla
base delle norme che disciplinano i modi di tale accertamento e non delle
norme che disciplinano il procedimento penale. Non può trarsi argomento
dal mancato rispetto delle norme del codice di procedura penale, riguardanti
l’intervento del difensore nel corso della perquisizione per sostenere la nullità
dell’ accertamento tributario, perché tale intervento non è disciplinato dagli
artt. 52 e ss DPR 633/72, che disciplinano le modalità dell’ accesso nei luoghi
di abitazione da parte della polizia tributaria. L’ autonomia dei due
procedimenti consente l’ esistenza di una situazione per cui una nullità
afferente un atto del procedimento penale non ha rilievo in un procedimento
tributario e viceversa (Cass. Pen., sent. 8344/2001, n. 15538/ 2002, n.
20601/2005, n. 28695/2005).
Divieto di prova testimoniale e giuramento nel processo tributario: le
dichiarazioni confessorie rese dal contribuente, indagato nel processo penale,
sono invece elementi di prova liberamente valutabili dal Giudice e possono
concorrere, unitamente ad altri indizi, alla formazione della decisione.
Costituzionalmente legittimo l’art. 13, comma 2 bis, d.lgs. n. 74/2000 (nuova
disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), che
subordina, per i reati tributari disciplinati dal decreto, la possibilità di
ricorrere al patteggiamento della pena all’estinzione dei debiti con il
Fisco (Corte Cost., sentenza n. 95, dep. 28.5.2015): l’esclusione del
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patteggiamento può rientrare nella discrezionalità del Legislatore, già
presente in relazione a determinate tipologia di reati.
L’estinzione del debito tributario (oltre a consentire al contribuente di
accedere al patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.) permette di ottenere la
riduzione di pena prevista dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74/2000, di evitare
l’applicazione delle pene accessorie previste dall’art. 12 del d.lgs. n.
74/2000.
Doppio limite - di dubbia costituzionalità - all’applicazione della
sospensione condizionale della pena (ipotesi di estinzione del reato):
comma 2-bis dell’art. 12 del d.lgs. n. 74/2000, introdotto con la “manovra-
bis” 2011, stabilisce che "per i delitti previsti dagli art. da 2 a 10 del presente decreto
l’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’art. 163 c.p. non trova
applicazione nei casi in cui congiuntamente a) l’ammontare dell’imposta evasa sia
superiore al 30 per cento del volume d’affari e b) l’ammontare dell’imposta evasa sia
superiore a tre milioni di euro”.
il principio di inutilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita
trova applicazione nel caso di accesso domiciliare e/o perquisizione
personale eseguiti in mancanza dell’autorizzazione del procuratore della
Repubblica, oppure eseguiti in forza di un’autorizzazione non idoneamente
motivata, in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per il
suo rilascio. In questi casi: il giudice tributario ha il potere – dovere di
valutare la congruità della motivazione adottata dal procuratore della
Repubblica nel rilasciare l’autorizzazione de quo; il consenso e/o la mancata
opposizione del contribuente non ha rilevanza ai fini della legittimità di un
accesso non autorizzato e/o non idoneamente motivato, in quanto non
previsto o richiesto da nessuna norma di legge; la documentazione acquisita
nell’inosservanza delle citate disposizioni è inutilizzabile a sostegno
dell’accertamento, in quanto reperita in modo illegittimo, violando un
interesse costituzionalmente garantito; un documento acquisito in violazione
di norme di legge non può essere utilizzato in favore di colui che ha
commesso la violazione, e ai danni di chi di fatto quella violazione abbia
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subito; la tutela del contribuente è comunque differita alla fase di
impugnazione dell’atto impositivo emesso sulla scorta della documentazione
acquisita nel corso di un accesso illegittimo - in quanto l’atto istruttorio, non
avendo una propria autonomia funzionale, non è autonomamente
impugnabile ex art. 19 del D.Lgs. n.546/1992 – facendo valere il vizio per
illegittimità derivata
In sostanza, secondo la Suprema Corte, l’illegittima attività istruttoria
produce i suoi effetti in termini di annullabilità dell’atto di accertamento
emesso sulla scorta della documentazione irritualmente acquisita, ogni
qualvolta siano violati i diritti costituzionalmente garantiti; in caso contrario
l’eventuale violazione di disposizioni di legge non ha un effetto invalidante
sulla pretesa impositiva conseguentemente formulata dall’amministrazione
finanziaria.
* * * * *
Concludendo, la Relazione appena presentata riflette una parte dei temi del
Diritto Penale Tributario e non ha alcuna pretesa di esaustività.
Tali riflessioni non sarebbero scaturite senza la collaborazione ed il supporto
del Dott. Giovanni Mottura e dell’Avv. Giampaolo Tota.
Desidero, infine, ringraziare, senza formalità ma con autentica gratitudine,
l’Avvocato e Presidente aiga - Sezione di Roma, Giorgia Minozzi, che ha
saputo coinvolgermi giorno per giorno nella sua attività e motivarrmi alla
realizzazione del presente elaborato.