Scelte Di Poesie Con Commento

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Poesie scelte di Boccaccio con commenti

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GIOVANNI BOCCACCIO.Secondo alcuni, il Boccaccio nacque nel 1313 a Parigi, dove il padreBoccaccio da Chelino, mercante di origine certaldese, e agente dellaCompagnia dei Bardi, avrebbe avuto una relazione con una iuvnculaparisina. Questa fonte non esclude la possibilit che Giovanni sia nato aCertaldo o a Firenze, sempre da una relazione illegittima. Lo troviamomolto giovane a Napoli, a far pratica mercantile ed esperienza dellabrillante vita della citt angioina e della corte. Questo periodo napoletanoin cui conobbe ed am Fiammetta, incise a fondo sulla formazione culturale del Boccaccio. Dopo dodici anni (intorno al 1340) torn a Firenze. Ilpadre aveva subto un dissesto economico, che tronc la vita spensieratafino ad allora condotta dal figlio. Dopo alcuni viaggi e soggiorni nelle cortidel Nord, Boccaccio si ferma a Firenze nel 1348 e nel 1350 incontraPetrarca che rivede l'anno dopo a Padova, poi a Milano (1359) e infine aVenezia (1363). Fu un'amicizia (e un'intesa spirituale) che si protrasse sinoal 1374, anno della morte del poeta aretino. Nel 1362 il Boccaccio sub unacrisi religiosa, che ebbe grande peso anche sulla sua produzione letteraria.Nel 1373 ricevette dalla signoria di Firenze l'incarico di spiegare in SantoStefano di Badia la Divina Commedia; ma dopo aver commentato diciassette canti del poema dovette interrompersi per un malanno. Ritiratosi inquel di Certaldo, attendeva ad opere erudite, quando la morte lo colse nel1375.Dell'opera in prosa del Boccaccio sarebbe lungo parlare, trattandosi delmaggior narratore italiano. Basti ricordare il suo capolavoro, il Decameron(che ha il sottotitolo, alla maniera di Dante, di Principe Galeotto). Quasicertamente l'opera fu compiuta fra il 1349 (l'anno successivo a quello dellapeste, da cui deriva la cornice delle cento novelle) e il 1353. Sar oppor-tuno rammentare piuttosto le opere in versi: dal Filostrato (vinto daamore), poemetto in ottave che si ispira a un episodio del Roman de Troie,ai brani lirici in terza rima intercalati nell'Ameto, al Teseida, altro poema inottave, probabilmente l'ultima opera composta nel periodo napoletano, diargomento classico. Fra le opere del periodo fiorentino va menzionato ilNinfale fiesolano, in ottave, che racconta la delicata storia d'amore fra ilpastore Africo e la ninfa Mensola, consacrata a Diana. Il Ninfale fiesolano, considerato, fra le opere minori, la pi bella. Di minore interessel'Amorosa visione, poema di cinquanta canti in terzine dantesche, e le Rime.Tommaso Di Salvo. Sergio Romagnoli.SCRITTORI E POETI D'ITALIA NELLA CRITICA.Dalle origini al '400.LA NUOVA ITALIA EDITRICE. FlRENZE.Boccaccio./:/ La personalit del Boccaccio. Un epitafio, che si dice composto dal poeta stesso e che fu incisosulla tomba di lui nella chiesa di San Jacopo a Certaldo, riassumein quattro versi i termini essenziali della biografia spirituale delBoccaccio, e in un verso solo anzi, l'ultimo, sintetizza e consacratutto l'anelito ascendente di quella vita:Hac sub mole iacent cineres ac ossa Johannis.Mens sedet ante Deum, meritis ornata laborummortalis vitae. Genitor Boccacdus illi,patria Certaldum, studium fuit alma poesis. Studium fuit alma poesis. Anche Franco Sacchetti, piangendo lamorte dell'ultimo grande del suo secolo, sentiva oscuramente imper-sonarsi in lui lo spirito della poesia pura:Or mancata ogni poesiae vote son le case di Parnaso,po' che morte n'ha tolto ogni valore... E veramente nel nome di poesia pu esser riassunta, anche agliocchi del critico moderno, tutta l'attivit intellettuale del Boccaccio,qualora per altro si ricomprenda in quel vocabolo anche il senso d'unalunga e complessa esperienza d'arte, d'una raffinata sostanza di dot-trina, d'una sapiente e ben ordinata eloquenza, che il gusto medie-vale sentiva strettamente connesse ad ogni attivit letteraria. Il chenon deve tuttavia impedire di riconoscere che anche il sentimentomoderno e romantico della poesia pu trovare nel Boccaccio, piche non in qualsiasi altro scrittore del Trecento, il suo rappresen-tante: che in lui, pi che non nel Petrarca, ad esempio, il gustoe la pratica della poesia compiuta in s stessa, sgombra di fini extra-artistici, o almeno non alterata da essi nella sostanza: il che si dicenaturalmente, non tenendo conto per ora dei risultati d'arte schiettae grandissima, che l'uno e l'altro poeta, ciascuno nel suo ambito e se-condo i suoi limiti, raggiunsero. Le opere minori del certaldese, me-glio che non quelle del Petrarca, son narrazione che si compiacedi s, divertimento e svago, diletto che trova in s la sua pienezzae rifiuta l'utile, ad onta della formula oraziana pur teoricamenteprofessata; e bene spesso son anche sfogo immediato, troppo imme-diato del sentimento la qual cosa, se diventa un grave ostacoloal raggiungimento pieno dell'arte, vale d'altra parte a distinguerenettamente questi romanzi e fantasie del Boccaccio da altre opere,come l'Africa o i Trionfi, nelle quali sia evidenLe un proposito di ar-chitettura dottrinale e morale. Che se anche nel Boccaccio tali pro-positi, sull'esempio del Petrarca appunto o sulla traccia della grandetradizione della letteratura allegorica, qua e l s'affacciano, riman-gono nel limbo delle intenzioni e delle dichiarazioni esteriori, al difuori della sostanza poetica, che si sviluppa come sa e pu, ma in-somma per conto suo. Allo stesso modo, negli scritti dottrinali del certaldese non tro-veremo il vario e complesso organizzarsi di motivi letterari e mo-rali religiosi e filosofici, che caratterizza le consimili opere petrar-chesche: repertori di materia poetica, scritti a servizio dei letterati edei lettori di libri d'arte classica, i trattati latini del Boccaccio sonoun'altra faccia dello studium almae poesis, e culminano nelle appas-sionate e vivacissime difese della poesia, contenute nella Vita diDante e negli ultimi libri del De genealogiis. Non troveremo nel Boccaccio la complicata variet e la fecondaricchezza di motivi intellettuali, che propria del grande scrittorearetino: vano sarebbe tentare per lui, come possibile, e anzi utile,nei riguardi dell'altro, un'indagine volta a isolare le sue idee morali,la sua visione filosofica, il suo pensiero politico: tutto ci, se puresiste, come in ogni uomo, non ha svolgimento autonomo e si rias-so,rbe nello spirito e nelle forme della sua poesia. Persino una ri-cerca e una sistemazione delle sue idee estetiche, pur degnissimed'esame, ricava per altro il suo significato vero solo nello specchiodella poesia effettuata. Ch tutta la sua opera infine arte, o tenta-tivo d'arte almeno, quando non servizio modesto rivolto ad aiutarela comprensione delle grandi opere artistiche consacrate dalla tradi-zione letteraria. Se tuttavia la personalit del Boccaccio appare di tanto pi sem-plice e limitata e meno feconda d'indirizzi e idee nuove e fortunateche non quella del Petrarca, se par possibile raccoglierne lo spiritoin una formula pi facile e angusta; errato sarebbe poi credere chel'alito dell'et nuova non l'abbia sfiorato, che nella storia della cul-tura il suo posto sia di troppo inferiore a quello del suo amico e pre-cettore. Vero invece che in lui, come nelle altre maggiori figure delsecolo, un contenuto nuovo, sebbene inorganico ancora e frammentariosi ordina alla meglio in vecchie forme, nelle quali trova, vero, taloraun freno e un impedimento, ma sempre poi il necessario sostegno,la possibilit prima della propria espressione. Come, nell'uomo, Boc-caccio, un'attitudine mentale di larga indulgente serena umanit ri-mane, agli occhi nostri, il carattere essenziale della sua biografia,nella quale infine anche il brusco episodio, pur cos medievalmenteatteggiato, dei postumi consigli del Petroni, non riesce ad acquistarspeciale rilievo e rimane non pi che un momento del processo di ri-piegamento su di s del poeta nell'ultimo periodo della sua vita, quasiun simbolico trapasso dall'et della poesia in atto a quella della ri-flessione sulla poesia; allo stesso modo, chi voglia misurar davverol'importanza del letterato certaldese nella storia della cultura, devesaper scoprire, sotto l'involucro antiquato della sua opera, il lievitoumano che la gonfia e le d leggerezza: la calda e serena affermazionedei diritti degli istinti e delle passioni; la rappresentazione ammiratadel trionfo dell'intelligenza; infine e soprattutto il culto amoroso eperenne dell'arte, la robusta e vivace apologia dei poeti e del loroufficio nel progresso della civilt. NATALINO SAPEGNO:Da Il Trecento. Storia letteraria d'Italia, Milano, F. Vallardi, 1934,pp. 290-292./:/ Il Ninfale fiesolano. Composto, non sappiam bene in quale anno, ma certo alle sogliedel periodo felice che vide dischiudersi l'opera maggiore del Boc-caccio, il Ninfale fiesolano gi per s stesso un piccolo capolavoro.Non pi che il pretesto alla trama della narrazione fornito da unadi quelle favole etiologiche, delle quali il certaldese trovava non pochiesempi nel suo Ovidio, e pi precisamente da quella delle originidi Fiesole e di Firenze, che compare anche ne' vecchi cronisti, e fral'altro in Giovanni Villani. Senonch nel mito locale s'innesta, e sulmotivo epico predomina, come han visto bene tutti i critici, una gen-tile storia d'amore: e lo conferma d'altronde, sull'inizio dell'opera,l'autore stesso:Amor que' che mi sforza che i' dicaun'amorosa storia molto antica. L'azione si svolge sui colli di Fiesole, prima della fondazione dellacitt: vi trascorron la loro vita le vergini ninfe cacciatrici consacratea Diana; la quale viene di tempo in tempo a visitarle, le ammonisce nel ben perseverar verginitate , e ragiona con loro di liete corseper i boschi in traccia di fiere selvatiche, e poi allontanandosi da loroelegge una ninfa, che sia di tutto il concestoro Di lei vicaria, faccen-do giurare All'altre tutte di lei ubbidire . A uno di cotesti concistorio consigli assiste, nascosto, un giovane pastore: Africo; e fra tantecreature belle, ch'egli contempla rapito, una particolarmente l'av-vince d'amore, una ninfa quindicenne, Mensola. Nei giorni seguentiegli si sforza invano di ritrovarla, errando inquieto e fremente di pas-sione per i colli selvosi. Ma quando infine gli riesce un giorno divederla, la fanciulla fugge e, diventata per paura ardita , lancia undardo contro il giovane che l'insegue con amorose preghiere. Nell'istan-te in cui getta la freccia tuttavia Mensola deve guardare in viso ilsuo nemico, e gliene viene compassione, s che pentita del suo gestogrida ad Africo di guardarsi dal pericolo. un moto, sia pur passeg-gero, ma istintivo, di piet: e Africo ne trae conforto alle sue spe-ranze. Propiziata dal sacrificio d'una pecorella, Venere appare insogno al pastore e gli consiglia uno stratagemma: travestito da don-na, il giovane sar facilmente accolto in mezzo alle ninfe. Cos av-viene infatti, e anzi egli riesce ad ottenere anche l'amicizia dell'in-consapevole Mensola. Un giorno, che il caldo grande, le ninfe giun-te presso a uno specchio d'acqua si spogliano per bagnarsi; ancheAfrico si denuda e, mentre le altre fuggono atterrite, trattiene a forzaMensola fra le sue braccia. La ninfa dapprima piange e vorrebbeuccidersi; ma, alle calde parole dell'innamorato giovane, la resistenzadi lei si fa sempre meno chiusa e ostinata, finch pur nel suo animonasce dalla piet una vaga tenerezza, un bisogno di consolazione, l'a-more. Africo ottiene infine il compenso di tante ansie e angosciee affannose ricerche. Lasciando l'amato, Mensola gli promette di ri-trovarsi con lui ad un luogo convenuto; ma appena sola ripresadalla paura dell'ira di Diana e dal rimorso del giuramento violato,e risolve in s stessa di non rivederlo mai pi. Africo disperato siuccide: e il cadavere cade, tingendole di sangue, fra le acque del tor-rente che da lui prender il nome. La ninfa intanto, assistita dall'an-ziana Sinedecchia, mette alla luce un bimbo, e con l'amore maternorinasce nel suo cuore l'affetto gi sopito e tenuto a freno per l'uomoche l'ha fatta madre. Se non che sopraggiunge l'offesa dea, scopreil fallo e lancia la sua maledizione alla ninfa, la quale fuggendo sidiscioglie nell'acqua d'un rivo: la Mensola, piccolo affluente dell'Ar-no. Il bimbo, Pruneo, allevato amorosamente dai genitori di Africo,e diventer poi siniscalco al servizio di Attalante, fondatore di Fie-sole, il quale, a vendicare il sacrificio de' due amanti distrugge lecrudeli consuetudini imposte da Diana, disperde le ninfe e le co-stringe al matrimonio: e qui veramente, come not il Carducci, seb-bene piuttosto suggerita in termini logici, che non espressa poeti-camente la parabola del Rinascimento su le rovine degli istitutiascetici . I discendenti di Pruneo domineranno poi sulle terre fieso-lane, e, distrutta Fiesole dai Romani, andranno ancor essi ad abitarein Firenze possente . Come si pu intendere pur dall'arida trama qui riassunta, la ma-teria del Ninfale fiesolano , tutta o quasi, quella stessa che ha giispirato fin qui le pagine migliori del Boccaccio: e cio la sottile os-servazione della vita sentimentale, non pi d'altronde inceppata econfusa da propositi estranei e da troppo alte intenzioni, ma ritrattaper s con una schiettezza e un abbandono poetico e una lirica felicit,quali eran fino a questo momento precluse alla fantasia troppo appas-sionata e tormentata del certaldese. Ch, se i personaggi del Nintalerichiaman talora negli atti e nell'indole le figure gi note degli altripoemi e romanzi minori, fan ripensare, tuttavia ad essi oll asi ad ab-bozzi e presentimenti d'una realt artistica, che soltanto ora com-piutamente si attua. Africo ha s qualcosa di Florio, e di Troilo, diArcita, di Ameto, di Panfilo; ma mentre scomparsa quasi del tuttoda' suoi discorsi l'onda affannosa dello sfogo autobiografico, i suoisentimenti hanno acquistato, in confronto di quelli dei personaggiaccennati, una pi immediata evidenza, ottenuta con sobri tocchi, euna pi densa sostanza e una pi irruente intensit. Il suo amore tutto, e soltanto, desiderio ardente dei sensi, affatto alieno da com-plicazioni intellettuali; il che non vuol dire, d'altronde, che esso si ri-duca a un capriccio superficiale e passeggero, mentre invece unapassione violenta che investe tutta la vita semplice ed elementare delgiovane pastore; e tale si mantiene, con perfetta coerenza, in ogniparte del racconto. Quando vede per la prima volta Mensola, nelconcistoro di Diana, subito si raffigura nella mente il piacere di posse-derla tutta per s:e tra s stesso dicea: --Qual sariadi me pi grazioso e pi felice,se tal fanciulla i' avessi per miaisposa? Ch per certo il cor mi diceche al mondo s contento uom non s'ara;e se non che paura mel disdicedi Diana, i' l'arei per forza presa,che l'altre non potrebbon far difesa.--Quando insegue la ninfa fuggente, con trepide invocazioni, la graziapopolaresca delle sue parole si colora d'immagini sensuali:E priego voi, iddii che dimorateper questi boschi e nelle valli ombroseche, se cortesi fuste mai, or siateverso le gambe candide e vezzosedi quella ninfa e che voi convertiatealberi e pruni e pietre ed altre cose,che noia fanno a' pi morbidi e belliin erba minutella e 'n praticelli.Quando vive, travestito, fra le ninfe, si strugge di desiderio veggen-dosi mirar al suo diletto E parlar e toccar e farsi onore , e accarezzain s stesso propositi di violenza e di rapimento:Se queste ninfe almen si gisson via,che son con noi, i' pur mi rimarreiqui solo nato con Mensola miae pi Sicuramente mi potreia lei scoprir e mostrar quel c'i' sia;e se fuggir volesse allor, sareia pigliarla s accorto, che fuggirenon si potrebbe n da me partire.Anche pi ricca di vita poetica, e certo pi nuova, che non quella diAfrico, la leggiadra figura di Mensola, con quell'adorabile ingenuitun po' trasognata che ella porta con s anche nell'amore, nella ma- ternit e nella morte. Pur investita e travolta dal turbine d'una forte e tragica passione, rimane fanciulla quindicenne dai sentimenti tenui delicati e segreti, fragile e ignara di fronte all'ardore di Africo, come poi innanzi all'ira di Diana. Si osservi come, dopo aver gettato il dardo contro il pastore, che l'insegue, nasce in lei spontanea e inge- nua la piet, senza che ella si renda conto del pi forte affetto di cui quel moto gentile il primo segno: Quand'ella il dardo per l'aria vedeazufolando volar, e poi nel visoguard del suo amante, il qual pareaveracemente fatto in paradiso,di quel lanciar forte se ne penta,e tocca di piet lo mir fisoe grid forte: --Om, giovane, guarti,che i' non potrei omai di questo atarti!--O si veda come, quando in lei gi penetrata la forza cl'amore, unvelo di pudore raffreni e impacci i suoi gesti:e per volerlo in parte contentaregli gitt in collo il suo sinistro braccio,ma non lo volle ancor per basciare,forse parendole ancor troppo avacciodi doversi con luo s assicurare... O ancora si veda come, nella notte tormentata dai rimorsi, volgail suo pensiero, pieno di vergogna, alle persone care che, avendolaconsacrata a Diana, la credon tuttora pura e libera da turbamenti:Voi non pensate che abbia rotta fedealla sagra Diana n che i' siain tant'angoscia e niun di voi vedein quanta pena sta la vita mia:ch, se 'l sapeste, piet n merzedenon areste di me, ma come riae peccatrice me uccidereste:e certamente molto ben fareste.--O soprattutto si rilegga la bellissima ottava, nella quale con mano de-licatissima il poeta rappresenta Mensola vergognosa di fronte a Si-nedecchia che mostra di conoscere il suo peccato:Mensola nel bel viso venne rossa,udendo tai parole, per vergogna,e non veggendo che negarlo possa,con gli occhi bassi timida trasogna,volendosi mostrar di questo grossa;ma poi, veggendo che non le bisognacelar a lei che tutto conoscea,senza guatarla o risponder, piangea.L'ingenua Mensola s'aggira trasognata sempre in un mondo di affettie di passioni tumultuose, che ella non riesce a comprendere, e che purfiniscon con il travolgere anche lei inconsapevole. Ma pur sulla so-glia della morte, quando intraprende l'ultima disperata fuga dinanziall'avvicinarsi di Diana essa ci appare ancora la fanciulla ingenua e ti-mida, incapace di affrontar l'ira e il pericolo che la minaccia, eppurein qualche modo inconscia ancora della sentenza che gi incombesu di lei:Ell'era andata col suo bel fantinoinverso il fiume gi poco lontana,e 'l fanciul trastullav' a un bel caldinoquando sent la boce prossimanachiamar si forte con chiaro latinoallor mirand'in s, vide Dianacon le compagne sue che gi venino,ma lei ancor veduta non avino.S forte sbigott Mensola, quandovide Diana, che nulla rispose;ma per paura tutta tremando,in un cespuglio tra' pruni nascoseil bel fantino, e lui solo lasciandodi fuggir quindi l'animo dispose:e 'nverso 'l fiume ne gi quatta quatta,tra quercia e quercia fuggendo via ratta.Della gentilezza che colora tutta la figura di Mensola s'impronta anchela famosa scena del commiato fra i due amanti; scena delicatissima,dove il realismo artistico, preciso e analitico, dello scrittore si animadi una profonda e calda umanit, in quegli abbracci ed addii ripetuti,in quel prendersi per mano e guardarsi fissamente, in quel volgersi in-dietro dei due amanti che s'allontanano da parti opposte,infin che non fur lor dal bosco foltoe dalle coste e ripe il mirar tolto.Questa figura di Mensola, cos nuova, cos diversa dalla civettuolaCriseida e dall'appassionata Fiammetta, simile piuttosto forse (maquanto pi Viva!) alla Biancofiore del Filocolo, offre alla poesia delBoccaccio anche un altro motivo nuovo: la maternit. La quale poi,conforme all'indole fanciullesca della ninfa, si configura qui non gicome un difficile dovere e una consapevole responsabilit, ma quasicome una sorta di strano e dilettoso gioco:Come che doglia grande e smisurataMensola avea sentita, come quellache a tal partito mai non era stata:veggendo aversi fatto una s bellacreatura, ogn'altra pena fu alleggiata;e subito gli fece una gonnellacom'ella seppe il meglio, e poi lattolloe mille volte quel giorno basciollo.Il fantin era s vezzoso e belloe tanto bianco, che era meraviglia,e 'l capel com'or biondo e ricciutello,e 'n ogni cosa il padre suo somiglias propriamente, che pare' a vedelloAfrico ne' suoi occhi e nelle ciglia,e tutta l'altra faccia s verace,che a Mensola per questo pi le piace.E tant'amore gi posto gli avea,che di mirarlo non si pu saziare;e a Sinedecchia portar non voleaper non volerlo da s dilungare,parend'a lei, meritre che lui vedeaAfrico veder proprio, ed a scherzarecominciava con lui e fargli festae con le man gli lisciava la testa.Questa poesia, cos delicata e viva, della maternit un motivo nuovonell'ispirazione finora cos esclusivamente, e un po' angustamente,amorosa del Boccaccio. E forse la pi spiccata, originalit del Ninfalefiesolano proprio in questo allargarsi e variarsi dell'orizzonte poeti-co, che trova il suo fondamento in una pi ampia libert fantasticae creativa. Accanto alla poesia dell'amor materno, che sboccia comeun fresco e un improvviso dono della natura, abbiamo qui l'altra degliaffetti, delle ansie, delle premure familiari, incarnata nella madredi Africo, Alimena e nel padre di lui, Girafone, e particolarmentein quest'ultimo. Entrambi trepidano per lo stato del figlio, per queltanto che ad essi ne appare, e pur rimane inspiegabile, di irrequie-tezza, di melanconia, di dolore: e all'angoscia di Africo si accostanocon amorosa delicatezza, paurosi di urtarla grossamente, e di offen-derla: la osservano un po' da lontano, con un desiderio premurosodi darle conforto, e insieme un senso di pudico ritegno. Ecco Gira-fone che torna a casa dal lavoro, ode dalla moglie che il figliuolo indisposto, e subito si reca a vederlo:e veggendol dormir, lo ricopriae tostamente quindi se n'uscia.E disse alla sua donna: --O cara sposa,nostro figliuo; mi pare addormentatoe molto adagio in sul letto si posa;s che a destarlo mi parria peccato,e forse gli saria cosa gravosase lo l'avessi del sonno isvegliato.----E tu di' ver,--rispondea Alimena--lascial posar e non gli dar pi pena.--La stessa ispirazione delicatamente affettuosa ritorna l dove il Boc-caccio descrive i lamenti di Girafone sul cadavere ritrovato del figlio;o anche meglio nella vivacissima rappresentazione dell'entusiasmocon il quale i due nonni accolgono il piccolo Pruneo portato loro daSinedecchia. Alimena rivide in lui le fattezze del suo Africo:e lagrimando per grande allegrezza,mirando quel fantin le par vedereAfrico proprio in ogni sua fattezaa,e veramente gliel pare riavere.Non diversamente si comporta Girafone:Quand'egli 'ntese il fatto, similmenteper letizia piangeva e per dolore:e mirandO 'l fanciul, veracementeAfrico gli pareva, onde maggioreallegrezza non ebbe in suo viventepoi facendogli festa con amoree quel fantin, quando Girafon videda naturale amor mosso gli ride.In questo sorriso di bimbo, come in quel ridere fra le lagrime, dei non-ni, che ripensano al figliuolo perduto, parso ai critici di risentirele movenze semplici ed eterne della grande poesia classica.NATALINO SAPEGNO:Da Il Trcento, Milano, Vallardi, 1955, pp. 337-348./:/ Boccaccio: dalle opere minori al capolavoro. Gli elementi di gusto e di cultura, che concorrono a costituire ilmondo poetico delle Opere minori, contraddistinguono fin dall'inizio, esecondo una linea di coerente sviluppo e di crescente consapevolezza,l'arte del giovane Boccaccio, rispetto a quelle di Dante e del Pe-trarca: sia per quanto si riferisce alla disposizione sentimentaleeclettica e curiosa, inquieta ed espansiva (laddove in quelli ,sia pur diversamente, tenuta a freno da un rigoroso criterio discelta); sia per quanto spetta ai modi espressivi decisamenteindirizzati al racconto, all'analisi minuta e cordiale delle vicen-de, degli ambienti, delle figure (mentre nell'Alighieri la rap-presentazione dei fatti e degli uomini si condensa in una sintesi dram-matica in funzione di una dottrina e di una individualit prepoten-te, e nel Petrarca tutta l'attenzione si rivolge all'interno e si de-termina in forme liriche). Si potrebbe dire che, di quanto gli altridue grandi trecentisti tendono a ricondurre energicamente tutto ilcontenuto poetico alla loro persona, di tanto invece il Boccaccio ten-de ad espandere la sua esperienza autobiografica e ad obliarla- nellacontemplazione di una realt esteriore, nella creazione di una seriedi accadimenti, di paesaggi, di caratteri. Questo significa che la cul-tura borghese dell'et dei comuni (non genericamente medievale ,come pur si voluto anche di recente ripetere) opera nel certaldesecon un rapporto pi immediato e diretto, meno impacciato da pre-occupazioni dottrinali e da schemi culturali; che in lui, pi che neglialtri, essa si esprime in tutta la sua ricchezza e in tutte le sue ma-nifestazioni pi varie e contrastanti; che egli ne riassume, rendendoliespliciti e chiari, il significato e le aspirazioni e viene a poco a pocoritrovando le forme pi adeguate per corrispondere alle sue esigenzeconcrete e realistiche e insieme ai suoi ideali di decoro e di raffina-tezza: il romanzo e la novella. Se ci implica da parte sua l'accet-tazione ottimistica di una realt di sentimenti e di costumi (vale adire, sempre a paragone di Dante e del Petrarca, una coscienza digran lunga minore della crisi che aveva ormai investito quel mondoe ne incrinava profondamente gli istituti, i valori e la concezionedi vita), si deve per altro riflettere che egli opera nel cuore di unacivilt regionale dove gli elementi del preumanesimo comunale sonotutt'altro che esauriti e, nonch contrapporsi ad esso, tendono a con-fluire nello spirito del nascente umanesimo, a cui forniranno, ancheagli inizi del secolo seguente, taluni spunti non secondari di polemicacivile e morale (con il pensiero e con l'azione di un Salutati, di unBruni, di un Bracciolini); e inoltre proprio questo atteggiamentodi cordiale simpatia che gli consente di cogliere le trasformazioni,le scoperte, i contrasti di una societ, sul piano etico e nelle infinitesfumature della realt quotidiana, con una immediatezza e una va-riet di piani e di prospettive che risulterebbe altrimenti impensa-bile. N bisogna poi dimenticare che questa disposizione del Boc-caccio nei confronti della vita e della cultura borghese, maturate aFirenze sullo scorcio del tredicesimo e nei primi decenni del quattordicesimo secolo, se sempre aperta e fiduciosa, non mai peraltro meramente passi-va. Dinanzi a quella materia, in cui pure avverte e ama una noncomune libert e spregiudicatezza di sentimenti e di idee e una stra-ordinaria ricchezza di motivi poetici allo stato grezzo, c' semprel'artista che reagisce con il proposito di ricomporre in una superioredignit e in una pi classica armonia quelle esperienze inconditee disperse, e con la sua educazione tecnica rettorica e lirica labo-riosamente foggiata sui modelli della prosa d'arte latineggiante e deirimatori aulici, e c' l'uomo con le sue personali esperienze erotichee mondane, con le sue aspirazioni cortesi e raffinate, con le sueconfessioni e leue ambizioni. Di qui la triplice tensione che caratte-rizza lo svolgimento dell'arte boccaccesca fino al Decameron, nellosforzo di raggiungere e di contemperare l'equilibrio degli affetti conquello delle forme, la serenit dello spirito e il ritmo pacato del-l'esposizione. Tutta la storia di quest'arte pu riassumersi, per unaparte, nel contrasto fra un'esperienza sentimentale esuberante tu-multuosa e appassionata e l'ambizione di una cultura ricca, ma far-ragginosa e ancora acerba; fra un'autobiografia invadente e una ret-torica tuttora scolastica; e per un'altra parte, nel contrasto, che finoad un certo punto coincide col precedente, fra la persistenza di mo-tivi lirici (di confessione, elegiaci, patetici) e l'esigenza di un ritmonarrativo robusto ed agile al tempo stesso, umano e pur distaccato.Donde una somma di incongruenze, di incertezze e di scadimenti to-nali, che si risolver soltanto nella raggiunta maturit umana e stili-stica del capolavoro. Nel quadro di questi contrasti si colloca anche,come problema in apparenza minore ma persistente, l'esigenza di unorganismo in cui vengano a disporsi in una composizione ordinata edarmonica tutte quelle esperienze disperse e di per s frammentarie,l'esigenza cio di una norma strutturale, di quella cornice che,intravista e abbozzata nell'episodio delle questioni d'amore del Filo-colo e nel disegno dell'Ameto, diventer elemento essenziale e neces-sario della compagine unitaria del Decameron. Occorreva che i temilirici si venissero a poco a poco decantando del loro prevalente sog-gettivismo e autobiografismo, attraverso un assiduo esercizio di ri-trascrizione letteraria, perch all'autore riuscisse alla fine di ridurli amateria viva e pulsante di un'obiettiva ricostruzione psicologica, e difonderli con gli altri temi, che pure affioravano insistenti e un po'striduli gi dalle pagine dei primi scritti napoletani, di un realismoora sorridente ora acre. Occorreva che l'ammirazione compiaciuta diun mondo idoleggiato di raffinate costumanze e di eleganze cortigianesi sciogliesse via via dai moduli fissi di una letteratura convenzionalee diventasse norma ideale, misura di decoro e di gentilezza, capacedi aderire all'infinita variet delle situazioni reali nei diversi strati enelle distinte articolazioni della vita sociale. Occorreva che la cul-tura e la tecnica letteraria cessassero a poco a poco di porsi co-me strumento di ornamentazione e di stilizzazione, e acquistas-sero libert e duttilit di movimenti, cos da piegarsi volta per voltaalle mobili situazioni del sentimento. Occorreva infine, e soprat-tutto, che ad organizzare questa multiforme materia si affacciassee prendesse alla fine il sopravvento un criterio di valutazione e di in-terpretazione risoluto e vigoroso; onde la complessa realt, non piaccarezzata in alcuni aspetti esclusivi, ma rivissuta nella totalit dellesue manifestazioni, si definisse come materia organica di un'ispira-zione di vasto e ordinato respiro, retta da un fermo e lucido giu-dizio, lievitata da un profondo e vitale impulso polemico. Questo il senso e l'importanza della prolungata esperienza sentimentale e sti-listica, che occupa tutta la giovinezza dello scrittore e si esplica nelleopere minori: momenti e testimonianze di un processo di maturazionee di allargamento degli orizzonti poetici, che trover il suo corona-mento nella serena e potente commedia umana del Decameron; tap-pe e sperimentazioni tutte provvisorie di un intricato tirocinio lin-guistico e formale, in cui si elabora e si scioglie a poco a poco la sin-tassi del racconto e del dialogo, e il lessico si svincola dai modelliletterari e si arricchisce al contatto di una viva e sensuosa materia. Nelle opere minori sono dunque presenti in nuce tutte le pre-messe del capolavoro Ma questo si configura e prende forma nellamente del suo autore solo nel momento in cui, a dare ordine a unamateria cos vasta e folta di particolari, subentra un criterio di visionecapace di conferirle unit; quando cio la coscienza culturale del Boc-caccio, che consapevolezza di una cultura pi alta, pi raffinata e in-sieme pi spregiudicata, si erge al di fuori e al di sopra di questamateria, la contempla dall'alto e la giudica. Presupposto di un tale at-teggiamento la liberazione da ogni residuo di lirismo autobiogra-fico, la perfetta oggettivazione dell'artista. Quando il Boccaccio si ac-cinge a scrivere il Decameron (la cui stesura sar tutta compiuta nelgiro di pochi anni), egli giunto ormai a quel punto supremo dellasua vita, librato tra le affannose esperienze della giovinezza e la ri-flessione severa e un poco angusta dell'imminente e precoce vec-chiaia: libero alfine dall'urgenza delle passioni, pu lasciarsi andarea ricontemplarle in s e in altrui con quella simpatia che di chimolto ha provato, ma insieme con quel distacco che gli permettedi sentirle, non pi come un tormento e una gioia presente, s comeun diletto e un conforto estremo dell'animo, prossimo a rinchiudersiin se stesso. In questa disposizione, descritta nel proemio del libroe attuata nell'atmosfera di libert e di decorosa spregiudicatezza della cornice , si risolve il contrasto fra l'autobiografismo e la culturadello scrittore, e il suo mondo poetico, liberandosi da un interessetroppo opprimente ed esclusivo, si viene sempre pi aprendo allacomprensione di una folla di sentimenti diversi. L'occasione necessaria poi al definirsi e all'organizzarsi di un sif-fatto atteggiamento in un concetto-guida, e cio in una concezionedel mondo organica, per quanto infinitamente varia articolata e pie-ghevole, offerta allo scrittore dal suo accostarsi, dopo il ritorno aFirenze, e dal suo aderire con crescente consapevolezza allo spiritodella civilt borghese del comune: dall'assimilazione piena, che ad uncerto momento si compie in lui, delle tendenze e delle leggi, tantopi profonde quanto meno esplicite, di una societ pervenuta al cul-mine del suo sviluppo, e gi sull'orlo del declino; tendenze e leggi cheanzi trovano in lui per la prima volta la loro formulazione piena intermini di poesia. Esse si riassumono in una considerazione pi li-bera, ardita e cordiale degli umani affetti, accettati nella loro validitconcreta e sociale, svincolati da ogn; norma di moralit ascetica etrascendente, e nel culto dell'umana intelligenza, operante anche essasul terreno della realt, vittoriosa spesso e sempre combattiva difronte agli ostacoli che le oppongono la natura e la fortuna, orgo-gliosa della sua forza che si matura in un campo di concrete espe-rienze e non di sterile dottrina e di astratta speculazione. Tutta lacultura borghese (quella scritta consegnata alle pagine dei trattatie delle cronache e alle rime amorose politiche satiriche gnomichee l'altra viva nelle opere dei mercanti e dei giuristi, dei magistratie dei tecnici, degli ingegni sottili e dei morditori); con la sua infinitacuriosit dei casi umani e delle umane passioni; con il suo sensoterrestre della vita e le sue esigenze di dignit e di decoro, modellatesenza servilismo sulle linee della sfarzosa civilt cavalleresca e feu-dale; con il suo scetticismo realistico e le sue idealit cortesi; conla sua considerazione indulgente dei vizi e dei valori e i suoi atteg-giamenti polemici a volte violenti contro tutte le forme dell'ipocrisiae della corruzione; pu essere ora accolta nell'animo liberato e spas-sionato dello scrittore e ordinarsi in una struttura, che per ampiezza ecomplessit non ha paragone se non nella Commedia di Dante. Allaquale d'altronde essa non si affianca complementare, s piuttosto sicontrappone; e mentre il libro dell'Alighieri chiude un'epoca dellospirito umano e l'assomma, il Decameron piuttosto il presagio diun'et nuova e l'inizio della letteratura moderna.NATALINO SAPEGNO:Da Storia letteraria del Trecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1963,pp. 314-319./:/ La posizione del Decameron. Tra il Duecento e il Trecento, il moto della vita e delle idee fu,a Firenze, contrastato e complesso. Scrittori usciti dalle nuove classimercantili e artigiane esprimevano, pi o meno consciamente, lanuova realt sociale del Comune; ma intanto altri scrittori, apparte-nenti alle vecchie consorterie nobiliari o educati alla vecchia cultura,vagheggiavano ancora le antiche idealit; e poich non le ritrovavanovive negli uomini e nei costumi che si vedevano intorno, le vestivanodi una luce fascinosa di rimpianto, e, sdegnandosi contro il presentevile, idoleggiavano un passato cavalleresco di nobilt e cortesia. Cosle forme di vita e gli ideali della nobilt continuavano in parte, modificati, a informare di s la societ, anche ora che era scomparsoil mondo sociale in cui naturalmente erano sorti. Ecco allora, Folgoreda San Gimignano farsi il cantore di quello sfoggio di lusso con cui lanuova aristocrazia del denaro cercava di imitare l'antica, ma intantolamentare che questa aristocrazia nuova non fosse proprio l'antica,e si fosse messa sotto i piedi la cortesia, cedendo ai richiami di ava-rizia:Cortesia cortesia cortesia chiamo,e da nessuna parte mi risponde.Ed ecco Dante rimpiangere anche luile donne e i cavalier, li affanni e li agi,che ne 'nvogliava amore e cortesia(Purgatorio, quattordicesimo, 109).e vagheggiare le et precedenti, quando nelle corti della Marca Trivi-giana, di Lombardia e di Romagna, solea valore e cortesia trovarsi ,e le grandi nobili famiglie non si fregiavano ancora del pregiode la borsa e de la spada. Il Boccaccio proveniva da famiglia mercantile, ma la sua raffinatacultura umanistica gli aveva infuso vivissima la volont di distinguersidalle folle dedite solo ai traffici e ai guadagni, e con lo stesso aristo-cratico disprezzo con cui Dante aveva guardato alle genti nove dalle ricchezze improvvisate, egli guardava ai vili meccanici , agliuomini che, incapaci di sollevarsi ad una libera disinteressata attivitculturale, fossero dediti a lavori manuali e mercenari, rivagheggiandole et cortesi del Saladino e delle generazioni passate. L'ideale, dunque, del Boccaccio cavalleresco e cortese; ma, vi-vendo egli a met del Trecento, costretto a respingere questo suoideale indietro nel tempo, perch l'et nella quale egli vive veramen-te meccanica le corti feudali non esistono pi, e non esistono ancorale grandi corti principesche del Rinascimento: l'Italia tutta si agita, co-me gi la Romagna dantesca, tra tirannia e stato franco , traComuni di fieri rissosi mercanti e signorie di tiranni preoccupati deldomani, non ancora ammorbiditi dal tempo e dalla sicurezza del do-minio. Il mecenatismo era stato e sarebbe stato; i magnanimi baronifeudali erano morti, i signori magnifici del Rinascimento non erano an-cora nati, i cavalieri contemporanei erano gretti e tirannici, come icavalieri che formavano le corti e le famiglie dei podest, co-me il giudice marchigiano del Decameron (ottavo, 5) a cui tre giovanitraggono le brache mentre amministra giustizia. Il mondo cavalleresco appartiene dunque al passato; ma, natu-ralmente, celebrando quelle et e quegli uomini, il Boccaccio esprimeun ideale suo presente e colloca in anni non lontani certe aspirazioniche avrebbe volute realizzate negli anni in cui vive. Ecco, perci, cheegli esalta con ammirato stupore la cavalleresca lealt di re Guglielmo secondoil normanno, che, per mantenere la parola data, fa uccidere il gio-vane nipote amatissimo; ecco che avvolge di tanta luce ideale la ma-gnanimit cavalleresca di chi per amore consuma tutti i suoi beni,e pure resta sempre fedele alla donna e al culto di lei (v 8; v 9);ecco che nella decima giornata varia e ripete l'esaltazione della ma-gnanimit e della cortesia in tutti i suoi aspetti, fino alla rinunziaall amore e alla vita stessa; ecco che continuamente, ogni volta chepu, inveisce contro il grande nemico, l'avarizia, la gretta cupidi-gia, che spegne ogni moto liberale dell'animo; eccolo che tuonaspesso contro i costumi corrotti e vituperevoli di coloro li qualial presente vogliono essere gentili uomini signor chiamati e ripu-tati , e dovrebbero invece esser detti piuttosto asini nella brutturadi tutta la cattivit de' vilissimi uomini allevati (primo, 8). Tuttavia non per questo il Boccaccio rappresenta ed esalta soloideali del passato, ignorando o misconoscendo il presente. Come ognigrande scrittoreegli ha la capacit di osservare con occhio attento e dirappresentare con animo sgombro il mondo che realmente gli si muovedintorno e la rappresentazione della` realt sociale contemporanea ,nel Decameron, pi larga e pi vivace di quanto potrebbe appariredalla citazione di sopra. Il significato profondo della rivoluzione co-munale che essa aveva dato luogo ad una nuova cultura, la quale,prendendo l'avvio dall'antica, religiosa e chiericale, vi aveva inne-stato motivi laici e terreni, sgombrando la strada all'umanesimo e alRinascimento. Il Comune aveva rinnovato il senso della vita e dellacultura, e non solo aveva distrutto politicamente la vecchia nobiltfeudale, (distrutto, s'intende, come classe egemonica), ma aveva dis-solto la sua maniera di considerare gli uomini, le loro virt, il lorolavoro. Il denaro acquista un nuovo valore, che nasce non dalla suaintrinseca forza, ma dall'attivit dell'uomo: la nobilt non pi unfatto di sangue e di eredit, ma un fatto individuale, di intima genti-lezza, di personale valore. Un caratteristico sonetto del Fiore (tra-dotto dal francese, ma ricco di riflessi di cose italiane) ci parla dei bor-ghesi arricchiti a spese dei cavalieri, sicch ogni gentil uomo farpanieri e sar costretto a vendere case e terre per pagare i credi-tori borghesi: Ugo da Perseg pone tra le noie il dover vede-re che grande donna divenga per bisogno canavera e che dellasuola si faccia tomaia (Enoio, primo, 68); un moralista del Duecento, Al-bertano da Brescia, scrive nei suoi trattati che le ricchezze glorificanoe fanno gentile colui che non ha punto di gentilezza, e la povert ra-bassa la casa che bene alta di gentilezza , mentre un cronista latinoracconta che intorno al 1348, dato il tono lussuoso di vita dei Pia-centini, molti furono costretti a lasciare la citt, per fare i famigli, imercanti, gli usurai. Intanto, nobili spiantati si davano a professioniborghesi o addirittura mercantili, mercanti arricchiti divenivano cava-lieri e venivano accolti, per via di matrimoni, tra i nobili: l'abissotra le antiche classi sociali spariva, e si formava una nuova aristocraziadel lavoro, dei traflici, del predominio politico. Questo processo continua lungo tutto il Trecento, quando il Co-mune, perdendo sempre pi il suo carattere popolare, determina il co-stituirsi di una nuova classe egemonica di ricchi mercanti e di agiatiproprietari terrieri, una nuova aristocrazia mercantile e fondiaria, cheavr il suo rigoglio pi tardi, negli anni tra la sconfitta dei Ciompi el'inizio della signoria medicea: meritamente si dice che quello statoel pi savio, el pi glorioso, el pi felice governo che mai per alcuntempo abbia avuto la citt nostra , noter molto tempo dopo il Guic-ciardini. Di questa nuova borghese aristocrazia comunale il Boccaccio ilpoeta. vero che spesso egli si scaglia contro l'inurbarsi di gente deicampi, che introduce a Firenze sensi e costumi volgari; vero che tantevolte astrattamente par risognare e rimpiangere l'antico morto mondocavalleresco; ma in realt egli il poeta dei ceti pi elevati della nuo-va societ trecentesca, di quei ceti che, mercantili per interessi e pernascita, pure tendevano a differenziarsi dai meno abbienti e meno finiper costituirsi in una aristocrazia dell'intelletto, del sentimento, delgusto. Ecco, allora, Federigo degli Alberighi, in opera d'amore ed incortesa pregiato sopra ogni altro donzel di Toscana : dove quella pa-rola donzello ci indica un che di astratto e di letterario, poich se don-zello nel senso di giovane aspirante cavaliere era frequente nellaletteratura provenzale, era per raro in Toscana, in cui le tradizionicavalleresche erano state sempre assai deboli. E infatti Federigo, no-bile di famiglia e di cortesi costumi, attua la sua gentilezza secondo i ca-noi cavallereschi tradizionali: amando, armeggiando, spendendo sen-za misura. Ma intanto un non so che di pi moderno, di pi umano, diborghese, spira pure in tutta la storia, e la novella termina, borghe-semente, contro tutte le norme della tradizione cortese, col matrimo-nio. Matrimonio e amore si escludono a vicenda, aveva insegnato An-drea Capellano, il grande teorico dell'amore cortese; e il matrimonioera stato infatti estraneo a tutta la lirica d'arte, e provenzale e ita-liana, come a tutta la letteratura cavalleresca, ma qui, invece, monnaGiovanna sposa borghesemente Federigo, e questi addirittura, am-maestrato dalla dura esperienza, vive serenamente con lei migliormassaio fatto : il nobile e cortese donzello si tramuta in un cul-tore della masserizia e della misura, le virt del mercante Paolo daCertaldo e di Leon Battista Alberti: un mondo veramente finito, eBoccaccio ne registra fedelmente la fine. E con la fine del vecchio mondo, registra il nascer del nuovo:Clsti fornaio. Naturalmentela novella va letta col proemio che laprecede, perch solo cos possibile scorgere il contrasto tra cui sidibatte il Boccaccio, tra certe sue convinzioni ideologiche e la sualealt di narratore realista. Che Cisti, l'uomo di cui egli ammira tantola discrezione signorile e garbata, sia stato solo un fornaio, questoil Boccacclo ideologO non riesce proprio a capirlo. Per lui la nobiltdello spiritO dovrebbe esser legata se non proprio alla nobilt delsangue, per lo menO all'elevatezza sociale, ad una indipendenza eco-nomica che permetta l'educazione dell'intelletto e una lunga praticadi raffinati costumi. Ma a questi pregiudizi tradizionali e non del tuttospenti contrasta la nuova realt sociale, che mostra con tanti esempi( s come in Cisti nostro cittadino ed in molti ancora abbiamo po-tuto vedere ) come spesso la fortuna apparecchi ad un corpodotato d'anima nobile vil mestiere, ed il Boccaccio, anche se simeraviglia della cosa, non pu non notarla: tra quei popolani dellearti minori che prendono parte ai consigli del Comune, sono non solo meccanici dall'animo gretto inteso a guadagni vili, ma uomini cor-tesi, disinteressati, dall'intelletto affinatosi nella partecipazione al po-tere politico, dallo spirito istintivamente magnifico . E il Boccac-cio, nel suo onesto realismo, pu solo cercare alla cosa, per lui strana,una fantasiosa, mitica spiegazione: E cos le due ministre del mondo--la Natura e la Fortuna--spesso le lor cose pi care nascondonosotto l'ombra delle arti reputate pi vili, acci che di quelle alle ne-cessit traendole, pi chiaro appaia il loro splendore (secondo, 10). Maproprio il carattere mitico di questa spiegazione, sottolineando l'im-barazzo del Boccaccio, chiarisce le contraddizioni che si urtano inlui mentre scrive, e il trionfo del suo realismo di artista sui suoi pre-giudizi di educazione e di classe. Del resto, a intendere la seriet con cui il Boccaccio sa coglieree rendere la fisionomia del suo tempo, si ricostruisca il quadro che ilDecameron ci traccia della Firenze trecentesca. Le novelle di cortesiae di tragedia, le novelle retoriche e astratte, non sono mai fiorentine:i grandi (troppo grandi!) eroi della cortesia sono sovrani (re Carlo ere Pietro), abitano le terre di Lombardia--nel significato medievalesuo vasto--ricche di feudi e di signori (messer Torello, il marchesedi Saluzzo), sono stranieri, antichi, personaggi di favola; i fiorentiniquand'anche siano nobili, cortesi, colti, sono sempre, per cos dire, con-creti, di una cortesia realisticamente terrena ed umana: Federigo degliAlberighi, di cui si sottolineato il carattere tutto trecentesco; Guido Cavalcanti, filosofo naturale, laico, poeta, spesso astratto dagliuomini , eppur cos vivo, balzato fuori da un mondo cos fiorentino;sono quei gentili uomini e quelle gentili donne dalla lingua pronta epungente, cos abili a ritorcere un motto od un frizzo; sono il padronedi Chichibio, tanto signorile, eppure tanto realisticamente rappresen-tato; sono intellettuali geniali e dall'ingegno mordace, come Giottoe messer Forese da Rabatta; e sono ancora artigiani quali Cisti fornaio,artisti popolani quali Bruno, Buffalmacco, Calandrino; medici bor-ghesi quale maestro Simone; mercatanti ricchi come il geloso e i pro-tagonisti della storia di Gerolamo; popolani plebei come la Simonae Pasquino, buontemponi come Michele Scalza, mezzi uomini dicorte , cio parassiti per bene quali Ciacco e Biondello, capi sca-richi quali i giovani che traggono le brache al giudice marchigiano,e poi ancora, tutto intorno, il contado con i suoi seri (quello chefa la corte alla Belcolore o quello che tiene bordone alle beffe di Brunoe Buffalmacco), i suoi osti e le loro famiglie, le contadine pronte astendersi sulla paglia, i fratacchioni spregiudicati, i contadini dipasta grossa. Tutta, veramente, la Firenze trecentesca l con le suediverse stratificazioni sociali, eppure ormai tutta guelfa e borghese;e i dieci dell'onesta brigata che queste storie raccontano e nei qualiil Boccaccio ha rafl;gurato se stesso, i suoi ideali e i suoi gusti, sonoi rappresentanti della nuova aristocrazia borghese fiorentina, ricchi,educati, onesti, scanzonati, eppure gi idealizzati e stilizzati, comeil simbolo e l'idealizzazione della loro classe, una nuova aristocraziadel censo che vuol essere anche aristocrazia dello spirito, che non hapi nulla a che vedere con l'antico mondo feudale, ma pure si sentelontana dai meccanici e dai loro costumi volgari, e disprezzagrettezza e avarizia, e risogna le antiche brigate cortesi (sesto, 9), e rim-piange le donne e i cavalieri, gli affanni e gli agi di un tempo, ma amodo suo, nei limiti che abbiamo gi segnati, e che erano poi quantodistingueva il secolo nuovo e dalla societ feudale e da quello prece-dente, e faceva di questo secondo o terzo popolo trecentescoqualcosa di fondamentalmente diverso dal primo popolo duecen-tesco. Il Decameron cos pare nascere sullo spartiacque che divide duemondi e due et, in anni ricchi di contraddizioni stridenti, che si ri-flettono, anche se sfumate e armonizzate, nel libro. Sono gli anniin cui nel Comune, che non ha saputo diventar popolare, fermentagi la signoria, e in cui una nuova casta intellettuale va gi staccan-dosi dal popolo-nazione con cui non sa fondersi. Chi resti alla super-ficie pu vedere nelle tante novelle cortesi, liberali, magnanime, solouna stanca continuazione della letteratura feudale; e, in un certosenso, in parte, vi anche questo. Ma non questo solo, e liberalit ecortesia, se alcune volte sono letteratura, altre volte sono un elemen-to vivo di quel mondo del Trecento che il Decameron riflette in tuttala sua complessa struttura. Del resto, spia di questa diversit d'ispi-razione la diversit d'arte tra le varie novelle: arte generica, reto-rica, tutta letteratura, anche se grande letteratura, nelle novelle astrat-te, dagli eroi sovrumani, senza rapporti con la societ del Trecento;arte realistica, grande, potente, nelle altre novelle della cortesia mo-derna e concreta. Nessuno, a lettura finita, ricorda pi Mitridanese Nathan o Tito e Gisippo; nessuno dimentica pi Cisti fornaio oFederigo degli Alberighi e monna Giovanna: la vivacit d'arte in-dice di vivacit d'ispirazione, e questa , nel Boccaccio, in fun-zione della possibilit o no di aderire alla vita, alla vita reale e alleforze vive che in essa si agitano. [..] Questa complessit della posizione ideologica del Boccaccio e del-la sua poetica al tempo del Decameron spiega i giudizi diversi a cuil'opera ha dato luogo nei secoli. La societ di cui il Boccaccio si sente parte e poeta--quella so-ciet che egli configura quasi simbolicamente nei suoi novellatori--non pi la societ medievale, e del Medioevo non ha pi n la men-talit n gli ideali. Nello stesso tempo per, essa non ancora la nuovaborghesia rinascimentale, raccolta intorno ad un signore o ad unprincipe; i suoi ideali, se non sono universalmente democratici, ma diclasse e gi quasi di casta, sono per moderni e progressivi, legatialla vita comunale, agli interessi mercantili, alla spregiudicatezza disentire e di giudicare che quelli naturalmente comportano; ideali digentilezza, di onest, di cultura; gli ideali, insomma, di una classeegemonica e agiata, che non sa legare a s tutti gli strati sociali efarsene portavoce ed interprete, ma intanto ancora lo strato pivivace ed attivo. Questa societ ha raccolto e rielaborato l'antica cultura feudale,ne ha mutuato gli ideali e i vocaboli, anche se ha adattato gli uni adun nuovo sentire e forzato gli altri a nuovi significati; si va aprendoad una conoscenza del mondo antico pi larga di quella dei secoliprecedenti, pi storicamente precisa, pi moderna nel modo di leg-gere e interpretare; si venuta costruendo cos una letteratura chenon ancora umanistica ma gi prepara l'Umanesimo, quell'Umane-simo appunto che avrebbe approfondito e svolto i valori laici e pro-gressisti della civilt comunale, ma li avrebbe svuotati, nello stessotempo, di ogni spirito democratico. Di questa societ il Decameron la potente realistica rappresen-tazione, realistica proprio in quanto non d, come la raccolta delSacchetti, quadretti naturalistici, ma raccoglie in una sintesi--di cuila cornice la condizione ed il simbolo--la realt tutta del tempo,nelle sue diverse stratificazioni, nelle sue contraddizioni interne, nel-l'intreccio delle sue ideologie e dei suoi ideali. E perci realismo eretorica si bilanciano in un equilibrio difficile, e la rappresentazionerealistica si compone in una studiata architettura strutturale, e lastessa retorica della cortesia e della liberalit si tempera sempre--o assai spesso--di una conoscenza esperta del cuore dell'uomo.E il Boccaccio, se partecipa dell'aspirazione ad una cortesia che rav-vivi l'antica feudale, se, anzi, quest'aspirazione raforza e avvaloracon il peso della sua cultura e del suo incipiente umanesimo, purapertO a tutte le voci moderne e la sua anzi una voce, una tra lepi alte, di un coro potente, espressione della gioia di vivere, dellafiducia nell'uomo e nelle sue forze, della fede in se stessi, naturaliin gente che aveva distrutto il feudalesimo, organizzato il Comune,fatto di Firenze il quinto elemento del mondo, alzato chiese e pa-lazzi, espresso Cimabue e Giotto, il dolcestilnuovo e Dante, Petrar-ca e quei cronisti cos fiduciosamente orgogliosi della nobilt e gran-dezza della loro citt (G. Villani, primo, 1). La communis opinio, dunque, che per sei secoli ha letto il Deca-meron come l'opera di uno spirito libero, nemico di ogni supersti-zione e di ogni dogmatismo, aperto alla comprensione e alla simpatiaper tutto quanto sia nell'uomo di vivo e virile, questa communisopinio secolare non si afEatto ingannata. Solo che, nel Decameron,come in ogni opera umana, come in ogni et storica, sono aspetti ne-gativi o involutivi ed aspetti positivi o progressivi. Non c' da mera-vigliarsi, perci, se nel corso dei secoli ogni generazione abbia accen-tuato ora gli uni ora gli altri, secondo che si ritrovasse meglio neiprimi o nei secondi. I linguaioli e gli scrutinaparole delle et acca-demiche hanno naturalmente ammirato nel Decameron soprattutto osolo la lingua e lo stile, considerati come modelli di un bello scri-vere valido per tutte le et. I critici puri delle ultime generazionihanno sentito soprattutto le novelle, rivolte al passato, della cortesiae della liberalit. I recenti filologi, ricercatori di schemi e di tpoi,vi hanno sopravvalutato i sopravviventi schemi retorici. I Foscoloe i De Sanctis, artefici del Risorgimento, hanno esaltato lo spiritolaico e mondano del Boccaccio. Noi, fautori di un moderno integralestoricismo, sentiamo il Decameron come l'espressione--nella resapersonale di uno scrittore di genio--di una societ e di una cul-tura in procinto di imbozzolarsi, ma non ancora imbozzolatesi, l'o-pera pi alta del Comune fiorentino nelle generazioni seguite a quelladi. Dante, il documento di una classe dirigente cio che, se non erariuscita a creare uno Stato col consenso dei governati e passibiledi sviluppo , aveva pure elaborato una sua civilt laica e bor-ghese, ormai non pi medievale.GIUSEPPE PETRONIO:Da La posizione del Decameron, in La Rassegna della letteraturaitaliana, aprile-giugno 1957, pp. 193-207./:/ Boccaccio e la societ mercantile del Trecento. La rievocazione della civilt italiana nell'autunno del Medioevo,che si rivelata nel Decameron grandiosa e suggestiva, trova uno deisuoi centri pi vivi e affascinanti nella serie di avventurosi e mossiaffreschi in cui si riflette la ricchissima vita mercantile fra il Duecentoe il Trecento. Per la prima volta nella letteratura europea ricevealta consacrazione questo movimento decisivo per la nostra storia,promosso e diretto da quei veri eroi dell'intraprendenza e della te-nacia umana, da quel pugno d'uomini lanciati alla conquista dell'Eu-ropa e dell'Oriente, che, dopo le incomprensioni e le deformazionidel Sombart, siamo venuti sempre meglio scoprendo nella loro sta-tura di uomini d'eccezione. Isolata ancora nell'opera di Dante in un cerchio di aristocraticodisprezzo per la gente nova e i subiti guadagni , ignorata come in-feriore o estranea dalla raffinata esperienza del Petrarca, restata aimargini persino nelle opere storiche di un Compagni o nello stiliz-zato narrare del Novellino, questa societ irrompe nella commediaumana del Decameron e la domina con la sua esuberante vitalit.Non ci riferiamo solo alla folla di temi, di ambienti, di personaggi,di usi, di riferimenti vari che colora pi della met delle novellecon le tinte vivaci e sanguigne proprie a questo mondo. la centra-lit nello stesso disegno ideale dell'opera, nel suo significato esem-plare in un senso umano e artistico, a configurare la presenza di que-sto ceto nella fantasia narrativa del Boccaccio come caratteristica,e si vorrebbe dire insostituibile allo svolgersi del Decameron. Perch il grandioso tema di questa commedia umana del Me-dioevo , cio la rappresentazione della misura che l'uomo d dellesue doti e delle sue capacit al confronto dell grandi forze chesembrano dominare l'umanit (Fortuna, Amore, Ingegno), non po-teva trovare in quell'et esempi di pi potente e prepotente eloquenza rappresentativa. Dopo le dorate sequenze dei cavalieri della spada,accarezzate ormai solo dalla memoria e da una sottile nostalgia, proprio il mondo dei nostri mercanti che, fra il Duecento e il Tre-cento, offre i campioni pi vivi e aggressivi nell'agone con quelleforze sovrumane. iin quel mondo che, per ripetere Stendhal, la pianta uomo cresceva ormai pi vigoreggiante: fra quella genteche correva il mondo sempre in lotta con gli agguati della Fortuna,sempre protesi a vincere col proprio ingegno le iniziative e le insidiedell'ingegno altrui, sempre pronti a provare la loro elegante sveltezzaumana nelle pi diverse avventure d'amore. Erano i veri pionieri dell'ultima civilt medievale: pionieri--perripetere il loro autorevole studioso-- dalla mente aperta, dallaintelligenza pronta, dalla cultura solida, dalle aspirazioni che arriva-vano all'ambizione e all'orgoglio, tenaci e audaci ; gente che impo-neva dappertutto una tale personalit che sollecitava i principi allablandizia, le popolazioni al rancore, che tornava a casa onusta di espe-rienze e di ricchezze, per applicare le une e le altre anche alle ambi-zioni della politica e alle sublimi creazioni dell'arte, consacrandolenegli splendidi palazzi pubblici e privati, nelle chiese e nei templiche hanno eternato la civilt di quel secolo. Se la societ d'allora era tutta sonante di questa fortunosa e gran-diosa impresa che aveva l'epicentro in Firenze e l'arma universalenel fiorino che aveva soppiantato i perperi bizantini e i dinari arabi,era nel cuore stesso della sua famiglia, era nelle sue stesse primeesperienze che il Boccaccio aveva vissuti gli episodi pi fulgidi ed ap-passionanti. Come mercanti in proprio e soprattutto come agenti e fattori di una delle pi potenti compagnie , quella dei Bardi--che costituivano, con gli alleati Peruzzi e Acciaioli, le colonnedella cristianit (Villani)--il padre e gli zii avevano per pi diquarant'anni percorso le grandi vie del trafffico europeo, tra Firenze,Napoli, Parigi, e le grandi fiere francesi: e il Boccaccio ancora, nellesue opere latine, rievoca commosso i racconti che il padre gli avevafatto di quelle sue esperienze avventurose e spesso paurose. Ed eglistesso divenuto fin da ragazzo buon abachista , aveva visto aprirsila sua giovinezza a Napoli nell'ombra del banco dei Bardi, accantoal fondaco dei Frescobaldi, in quella zona dei traffici che sar ritro-vata vivissima dalla sua memoria come sfondo allucinante al notturnopicaresco di Andreuccio. In quegli anni consumati nello stare al banco,nel ricevere i clienti, nel maneggiare lo scacchiere e nel tenerei libri della ragione , dell'asse , della cassa , delle tratte , delle comper e delle vendite , nel preparare revisioni della ra-gione che servissero per il saldamento di ragion , cio il bilanciofinale, ai compagni (e in tutti gli altri compiti propri a un di-scepolo quale egli era), il Boccaccio visse e scont ora per ora la fa-tica e il rischio di quella esistenza di finezze, di audacie, di agguati.Da questa pratica mercantile singolarmente ravvicinata e scrutatagiorno per giorno colla lente di chi cautamente numerava e pesavale monete e doveva chiudere in regola le varie partite, dai contattisempre nuovi con gente dei pi diversi paesi che conveniva nel fon-daco non solo per trattare affari, ma per attendere i corrieri e lenotizie delle varie piazze e confrontarle e commentarle, le luciscintillanti e gli echi favolosi dei racconti dei familiari e degli amicierano nutriti e sostanziati di faticata e diretta esperienza: cio di unasalda verit che li rendeva umanamente e fantasticamente solidie precisi. Dalla estrema nettezza di contorni, dalla indefettibile chiarezzadi riferimenti discese da quelle esperienze lunghe e sofferte, si levail fascino delle novelle mercantili del Decameron e quella loro capa-cit di svilupparsi e vivere attorno alla rappresentazione di un am-biente, che alle volte viene in primo piano come il vero protago-nista. Il crescendo di fredda, calcolata empiet di Ciappelletto gran-deggia su quel tessuto di spregiudicatezza e di spietatezza mercantileche regola, secondo usi e necessit ben storicamente documentati,l'agire di Musciatto Franzesi e dei fratelli usurai; la sventata dab-benaggine di Andreuccio, che d l'avvio alla fantasmagorica sequenzadi eventi sempre pi romanzeschi, fermata proprio in un gesto im-prudente ma solito nel contrattare, in quella Piazza napoletana delMercato, che era uno dei centri pi animati e famosi per il com-mercio dei cavalli; il rapido alternarsi di fortune di Landolfo e diMartuccio balena pi subitaneo e procelloso sullo sfondo dell'usomarinaresco delle mude (cio dei convogli) e della facilit ondei mercanti pi improvvisati e avventurieri si davano alla pirateria(come documentato per i liparoti, quali Martuccio); la poesia deltema di amore e morte ritrovata nelle figure di Simona e Salvestrain tutta la sua casta fragranza perch si leva da un umile mondo dilavoro e di affetti, ritratto e definito fantasticamente nella coerenteprecisione di gesti con cui sono fatti agire maestri , fattori , discepoli (che come il Boccaccio vanno all'estero l'apparatoofficio ad operare ), garzoni , artieri , filatrici (Simona la prima elegiaca filatrice delle nostre lettere!); lo scanzonato e fur-fantesco ritmo dell'intreccio di inganni fra Salabaetto e la bella sici-liana si pu sviluppare sicuro soltanto da una minuta conoscenza,anzi da un'esperienza diretta del meccanismo usato nei porti per i de-positi, le garanzie, gli anticipi. Sono tutti elementi che il Boccaccio fa confluire nel suo mobilis-simo narrare come momenti essenziali e decisivi; che rendono questomondo mercantile vivo e presente come pochi altri, come non sarmai pi nella nostra narrativa, che dal Sercambi ai novellieri delCinquecento lo ridurr a uno dei tanti paradigmi letterari discesidal folgorante esempio del Decameron. L'esperienza mercantile offriva anche al Boccaccio un punto diosservazione della vita contemporanea, donde il suo sguardo po-teva spaziare al di l del comune, al di l della regione, al di l del-l'Italia stessa per l'Europa civile e per il Mediterraneo fortunoso:per tutto cio il vastissimo campo che si offriva all'intraprendenza diquegli ulissidi degli scambi economici, e che giorno per giorno eraavvolto dalla rete dei loro meravigliosi e veloci corrieri. Se natural-mente la Toscana e Firenze (e Siena e Pisa) sono sempre al centrodella geografia ideale del Decameron, come lo erano in quella delcommercio e della finanza, anche il volto delle diverse regioni si de-finisce con singolare precisione e si anima di colori vivacissimi neglisfondi rapidi ma fortemente caratterizzati delle varie novelle.VITTORE BRANCA:Da Boccaccio medievale, Firenze, Sansoni, 1956, pp. 71-76./:/ Le dimensioni della realt nel Boccaccio. La cosa che pi colpisce, leggendo il Decameron, l'estrema di-sponibilit del Boccaccio di fronte alla sua materia. Non gi che eglinon abbia simpatie e antipatie o che rifiuti sempre una scelta pre-cisa e un giudizio. Basterebbe pensare a qualcuno dei suoi grandipersonaggi, a Federico degli Alberighi, per esempio, e a re Pietrod'Aragona, per rendersene conto. Ma prendete una delle novellein cui pi commossa appare la partecipazione del narratore: quellapatetica e tragica di Isabetta. Il disprezzo dell'autore per i fratellidell infelice fanciulla non pu essere messo in dubbio; eppure vienedeterminato nell'animo di chi legge con un proceSSO assolutamenteobbiettivo. Boccaccio si limita a rappresentare le loro azioni e le loronaturali reazioni psicologiche: essi hanno ucciso l'amante della so-rella, scoprono che Isabetta venuta a saperlo, che ha rintracciatoil cadavere e ne ha sotterrato la testa in un gran vaso di basilicosul quale piange tutto il giorno. Nella sensibilit di chi ha compiutoun simile delitto non pu esserci piet per Isabetta n comprensioneper il suo amore senza fine. Essi, com' naturale, diffidano persinodella sorella e temono che si venga a conoscere il loro delitto or-ganizzano quindi la loro fuga con cautela, non senza aver prima si-stemati gli affari pendenti e aver recuperata tutta la loro ricchezza. Temettero, cautamente , ordinato sono le tre parole-chia-ve di un periodo che, attraverso queste constatazioni oggettive, rap-presenta con straordinaria evidenza una mentalit dominata dal cal-colo meschino, dai pregiudizi sociali, dalla mancanza di generosit e temettero non questa cosa si risapesse; e sotterrata quella, senzaaltro dire, cautamente di Messina uscitisi ed ordinato come di quindisi ritraessono, se n'andarono a Napoli . A contrasto, ma rappresentatocon uguale oggettivit, c' il dolore di Isabetta, cos grande che non neppure venato di risentimento o di odio verso i fratelli, cos gene-roso che si limita a chiedere di poter continuare a effondersi, finoalla consunzione, sul vaso che contiene il ricordo del giovane ama-to: La giovane non ristando di piangere e pure il suo testo addo-mandando, piagnendo si mor . Questo di Isabetta costituisce, evidentemente, un caso-limite dirappresentazione oggettiva anche delle azioni e dei personaggi con-dannati dalla coscienza morale dello scrittore, nonostante la sua ap-passionata partecipazione alla vicenda narrata. Ma nei casi pi fre-quenti non c' una simile commossa adesione o, se c', solo unascelta intellettuale che non incide direttamente sul processo conosci-tivo proprio dell'arte. [...] L'importante, per ora, prendere atto diuna constatazione che anche il lettore pi semplice si trover a fare avvi-cinandosi a quest'opera: che, cio, nella variet dei casi raccontati,nella diversit dei toni, nella molteplicit e contradittoriet dellamateria che Boccaccio assume ad argomento e contenuto dei suoi rac-conti non possibile rintracciare un preciso criterio di scelta e di giu-dizio, un punto di vista fermo dal quale valutare quella moltepli-cit, una sicura concezione del mondo, insomma, o un organizzato si-stema di idee. Boccaccio ha verso le cose un atteggiamento empiri-co: ci che si trova nella realt oggetto sempre della sua atten-zione e solo in qualche caso del suo giudizio. Comunque egli non disposto a ignorare una parte della realt per favorirne un'altraa lui pi congeniale. Martellino che si fa beffe degli ingenui cittadinidi Treviso e che continua a motteggiare anche dopo essere stato pettinato dalla folla infuriata ha tutta la sua simpatia; ma il giu-dice che va per le spicce e con qualche tratto di colla gli fa morireil sorriso sulle labbra e lo riduce tutto smarrito e pauroso forte fa parte della realt e il nostro autore lo rappresenta in tutta la suaevidenza anche se non gli d un posto nel suo mondo ideale. Non c' davvero da stupirsi di tale atteggiamento empirico del no-stro scrittore: perch esso costituisce il rovescio positivo della crisidei valori tradizionali che si era determinata nel secolo quattordicesimo. Che non fu solo crisi dell'Impero e della Chiesa, ma anche del Comune e dellasua dinamica politica, della societ mercantile che in alcuni clamorosifallimenti mostrava l'altra faccia della sua ricchezza, l'instabilit diun benessere fondato sul denaro (e in uno di questi fallimenti fu coin-volta anche la famiglia del Boccaccio), dell'ordine sociale minacciatodalle nuove classi che si venivano formando e dagli stessi rapiditravolgimenti di condizioni e di abitudini. Crisi tipica di secolo ditransiziOne stato detto: nella quale, quindi, si trovano a convivereresidui del passato e anticipazioni dell'avvenire. Si pensi che persinola nuova istituzione politica, caratteristica di questo secolo, la Signo-ria, rispecchia in un certo senso tale carattere di transizione: poichnon si presenta come una formazione politica e sociale nuova ri-spetto al vecchio Comune, ma piuttosto come un agglomerato di or-ganismi preesistenti (Procacci) nel quale rimane in vigore l'orga-nizzazione corporativa, continuano spesso a vegetare i vecchi organi-smi e le antiche cariche comunali convivono con i nuovi istituti si-gnorili. Carattere di transizione che naturalmente investe anche lesovrastrutture culturali e che, in questo campo, si manifesta--al-meno presso i minori--pi come rottura e frantumazione dell'im-palcatura organica della cultura medievale che come prefigurazionedi un nuovo ordine intellettuale e morale. Abbiamo cos che anchein Italia la letteratura minore del secolo quattordicesimo si presenta come una letteratura da autunno del Medioevo , come una letteratura, cio,in cui il rimpianto del vecchio ordine perduto, e lo smarrimento chene consegue, hanno il sopravvento sulla consapevolezza dell'enormeportata delle trasformazioni che sono in atto. [ ... ] Ebbene, l'empirismo di Boccaccio costituisce, come abbiamo det-to, il rovescio positivo di questa crisi. La disgregazione delle strut-ture organiche della societ e della cultura medievali un fatto ne-gativo e paralizzante per chi continua a vagheggiare quell'organicitcome un modello da riprodurre. D, invece, uno straordinario sensodi libert, di modernit, di possibilit di comprendere, in presa direttale cose che lo circondano a chi ha la consapevolezza che proprio quellestrutture costituivano un diaframma fra l'uomo e la realt. Come os-serva giustamente il Garin a proposito delle dispute filosofiche, quel-lo di cui si lamenta da tante parti la perdita proprio quello che gliumanisti vollero distrutto, e cio la costruzione delle grandi catte-drali d'idee, delle grandi sistemazioni logico-teologiche: della Filo-sofia che sussume ogni problema, ogni ricerca al problema teologico,che organizza e chiude ogni possibilit nella trama di un ordine logicoprestabilito. A quella Filosofia che viene ignorata dall'Umanesimocome vana ed inutile, si sostituiscono indagini concrete, definite, pre-cise, nelle due direzioni delle scienze morali e delle scienze della na-tura che, coltivate iuxta propria principia, al di fuori di ogni vincoloe di ogni auctoritas, hanno in ogni piano quel rigoglio che l'onestoma ottuso scolasticismo ignor . Una simile osservazione non investesolo il settore pi strettamente filosofico, ma tutto l'atteggiamentodel nascente Umanesimo nei confronti della cultura e della realt.Un atteggiamento filologico che rinunciando alle grandi sintesi ri-cercava le guise delle umane citt, e dei costumi e dei riti degliuomini, o, sul terreno delle scienze, voleva precisare la natura dellemalattie e la struttura dei viventi con grammaticale pedanteria; pro-prio perch--come insegna il grande Antonio Benivieni--allescuole dei grammatici avevano imparato un metodo e un modo di af-frontare la realt (Garin). Petrarca e Boccaccio si trovano agli inizidi questa trasformazione degli orizzonti culturali: su un piano di mag-giore consapevolezza ideologica il primo, su quello di una pi spre-giudicata libert di movimento il secondo. Perch quello che abbiamodefinito empirismo del Boccaccio (e che altri ha potuto scambiareper eclettismo) rappresenta, in nuce, il nuovo atteggiamento mentaledell'Umanesimo. Lo rappresenta nel suo momento iniziale, e quindi,almeno in parte, inconsapevole: ma lo rappresenta anche nel suomomento pi ottimistico ed espansivo, quando la gioia della libera-zione da ogni schema e da ogni diaframma, il piacere del contattodiretto con le cose, il gusto della ricerca che non deve necessaria-mente approdare a un giudizio o a una sintesi e non deve essere giusti-ficata dal suo rientrare o meno in una categoria generale, non lascia-no vedere l'altra faccia della medaglia, il prezzo che costa una similelibert: libert di combattere in un mondo duramente opposto aogni sforzo, ove ogni progresso un'aspra conquista, caduta dell'idearassicurante di un ordine dato. di una giustizia che per via occultaalla fine e sempre fatalmente trionfa; una vita politica senza illusioni,ove le forze cozzano senza piet, ove i vinti sono eliminati senza mi-sericordia; la coscienza di una caducit che travolge tutto; e Dio,quando Dio rimane, terribilmente lontano, ineffabile, dai decretiincomprensibili, che colpisce il giusto e salva il peccatore e a cuisembrano salire invano le nostre preghiere (Garin). Ma questo, purnella sua grandezza, il limite del Boccaccio: ed in questo--nellacoscienza del duplice aspetto della nuova condizione--bisogna tro-vare la superiorit intellettuale del Petrarca. Il nostro scrittore, dunque, rivolge la sua attenzione a quelloche esiste nella realt, indipendentemente dagli schemi ideologiciche possano in qualche modo qualificarlo o sistemarlo. E, naturalmen-te, nella realt come primo elemento scopre l'amore, voglio dire la sol-lecitazione sessuale che attraverso una serie complessa di mediazionipu giungere fino a sentimenti sublimi. L'amore governa gran partedella vita umana, esso la molla che determina quasi sempre il com-portamento degli uomini. Mai come in questo caso possiamo apprez-zare la libert di movimento e la spregiudicatezza del Boccaccio. Ilproblema dell'amore aveva avuto nel secolo precedente una sua ela-borazione ben precisa ed era stato sistemato in schemi fissi e asso-luti. A tale elaborazione aveva partecipato, e in prima linea, anchel'ammiratissimo Dante. E appunto a Dante, a Cino, a Cavalcanti sirichiama il certaldese quando vuol rispondere alle accuse di alcuni cen-sori. vero che nella narrativa medievale particolarmente abbon-dante la vena dei racconti licenziosi: ma si tratta di una narrativaminore, di carattere popolareggiante. L'aver superato d'un salto glischemi dell'amor cortese, l'aver attinto abbondantemente al mate-riale offerto da quella narrativa, gi testimoniano una scelta corag-giosa e consapevole. [...] Naturalmente l'amore non solo stimolo sessuale: il nostro lo sabenissimo e, come abbiamo detto, non trasforma la scoperta di unadimensione dell'esistenza umana, quella dei sensi, mortificata dal mes-saggio cristiano, in uno schema. L'amore anche se rimane sempre ter-reno e umano pu assurgere al livello di una passione a cui non si de-ve resistere, che non colpa nemmeno quando infrange i vincolisociali, che d pienezza alla vita, sicurezza e forza, ma che, col venirmeno, pu anche divenir causa di tormento e di morte. Si hanno al-lora le grandi eroine delle novelle di amore e di morte: Ghismonda,Isabetta, la moglie di Guiglielmo Rossiglione; oppure le patetichefigure di Gostanza e della Lisa. [ ... ] Nella realt che lo circonda--accanto alle varie qualit di solle-citazioni amorose e, in molti casi, intrecciate con esse--Boccaccioscopre un'altra molla segreta che trasforma il mondo in una im-mensa arena dove s'impegna una lotta feroce: la molla dell'in-ganno, per cui il furbo continuamente trionfa sullo sciocco, si ap-propria delle sue cose, mortifica la sua personalit, afferma spavalda-mente il suo diritto del pi forte. questo un mondo crudele senzauna speranza di piet, un mondo volgare e triviale senza un bar-lume di ideale: il mondo della Mandragola senza l'amaro sarcasmo,il freddo disprezzo, il cupo pessimismo di Machiavelli. Boccaccio,anzi, ha un atteggiamento divertito, se pure distaccato. Egli non siconfonde con una simile materia, non partecipa attivamente alla mi-schia, si limita a guardarla dall'alto e a descriverla oggettivamente:ma si diverte e le sue simpatie vanno, senza alcun dubbio, ai furbi cheimpongono la loro legge. La crudelt boccaccesca, in questo campo, di una spietatezza atroce: lo sciocco, il beffato carne di macello,non ha nessun diritto, pu essere profanato nei suoi sentimenti pisegreti e profondi. [...] Per portare l'inganno al livello dell'intelligenza, occorrono dueelementi: liberarlo dalla zavorra di quella sensualit e materialit,dare una personalit allo sciocco in modo che egli non sia soltantouna vittima designata. La novella di frate Cipolla sembra riassumerein s tutti questi elementi. Sul piano dei bassi appetiti si muove ilservo del frate, Guccio Imbratta: e la cucina dove egli esercita lesue arti e la Nuta sudata, unta e affumicata su cui egli si gettacome l'avvoltoio alla carogna sembrano simboleggiare quel mon-do sordido, sporco, spietato e volgare di cui abbiamo parlato. Mafrate Cipolla di un'altra classe: i suoi antagonisti non sono i con-tadini che affollano la chiesa e che facile beffare, ma i due giovani astuti molto che sostituiscono i carboni alla penna dell'angeloGabriele e che udito il nuovo riparo preso da lui, e quanto da lungifatto si fosse e con che parole, avevan tanto riso che eran creduti sma-scellare . Il discorso di frate Cipolla un miracolo di cialtroneria,ma anche un prodigio di ingegnosit. Dal momento in cui egli aprela cassetta trovandola piena di carboni, bestemmia tacitamente e pure, senza mutar colore, alzato il viso e le mani al cielo , conuno sproloquio senza senso guadagna tempo per preparare una nuovastoria e insieme eccita ancor pi la curiosit dei villani, da quel mo-mento entriamo nel regno dell'intelligenza. Che ha il suo eroe, nelladimensione truffaldina, in ser Ciappelletto (e notate come in questanovella l'inganno sia puro divertimento intellettuale, disinteressatacreazione d'artista, senza nessuna contropartita di carattere mate-riaie); che ha la sua vittima non pi passiva, ma ricca di umori, diambizioni, di sogni in Calandrino; che si afferma nella sua autenticitcon la cautela di Abraam, l'accortezza di Melchisedech, la prontezzadi Bergamino, la prudenza del palafreniere e di Agilulf, l'ingegnositdi Ciacco, l'abilit cornmediante di messer Fortarrigo e, soprattuttocon le novelle della sesta giornata nelle quali alla superiore finezzaintellettuale di Cisti, di Giotto, di Guido Cavalcanti fa sfondo Firenzecon le sue strade, i suoi monumenti, le sue abitudini, la sua vervesimboli della civilt pi raffinata cui era giunta l'Europa in quel se-colo. Questo il vero mondo dell'intelligenza rappresentato da Boc-caccio, non l'altro, quello del calcolo meschino, della voglia disordi-nata, del desiderio bestiale. E questo mondo unisce alla finezza intel-lettuale il disinteresse, la civilt dei costumi, l'eleganza dei modi.Sfuma, cio, in un altro aspetto della realt che Boccaccio ritagliavadai ricordi della sua giovinezza, degli splendori della corte di Napolie della tradizione culturale a lui pi cara. Alludo alla cortesia , altenore di vita ricco e splendido, alla magnanimit dei sentimenti e deigesti, alla raffinatezza dei gusti e dei costumi, alla generosit nel do-nare e nel pensare. iil polo opposto del mondo della frode e dellacupidigia, meno reale di quello perch intessuto di reminiscenze cul-turali e letterarie, perch pi sottoposto al peso di esigenze dottri-narie, ma ravvivato dalla piena adesione dello scrittore ogni voltache riesce a distendersi in una dimensione vera, garantita e soste-nuta da un'esperienza personale. Cos accanto alle situazioni invero-simili--e artisticamente fallite--delle novelle del Marchese di Sa-luzzo, di Tito Quinzio e Gisippo, di Mitridanes e Natan, si hanno igrandi personaggi cortesi del Decameron, Federico degli Alberighi,re Pietro d'Aragona, Gentile de' Carisendi, messer Torello, il conted'Anguersa. Personaggi cortesi che la critica moderna ha collocatonella loro giusta luce, confutando in loro nome l'immagine tradi-zionale del Decameron come libro semplicemente comico, sensualee lascivo. Personaggi cortesi che, per, hanno riproposto in modo pe-rentorio il problema dell'unit dell'opera boccaccesca e che diffi-cile valutare ed apprezzare accanto a quelli impastati di senso, dicalcolo o di sciocchezza. La critica degli ultimi decenni ha avutopiena coscienza di tale problema fornendo soluzioni assai pene-tranti ma, forse, sempre parziali. Solo se si comprende il particolareatteggiamento mentale del Boccaccio e la portata rinnovatrice delsuo empirismo si pu, a mio parere, individuare l'elemento unitarioche serpeggia come un filo rosso nella variet e contraddittorietdella materia del Decameron. C' da aggiungere che, ad ulteriore conferma di quell'atteggia-mento empirico, non solo il mondo della cortesia--per essere rap-presentato artisticamente--deve essere ridotto a dimensioni verifi-cabili nelIa realt, deve essere, quindi, rivestito di panni borghesi(e tale persino re Pietro che tanto familiarmente va a far visitaalla figlia di uno speziale), ma anche la Fortuna--che tanta parte hanelle vicende degli uominideve essere ridotta a una misura vero-simile e razionale. La ricerca di una causa plausibile e umana domi-na tutte le novelle in cui il Boccaccio ferma la sua attenzione sui casipi O meno complicati intrecciati dalla Fortuna. L'amore del guadagnoin Landolfo Rufolo, la dissipatezza degli zii in Alessandro, la bellezzain Alatiel, la calunnia nella moglie di Bernab spiegano e determinanoil successivo accavallarsi delle loro avventure. [ ... ] Cos mentre spariscela Fortuna intesa dantescamente come ministra di Dio, sparisce an-che la Fortuna lamentata dai minori del Trecento come caso capric-cioso e imprevedibile, che domina sugli uomini simile al Fato degliantichi. In Boccaccio anche la Fortuna acquista dimensioni umane erazionali. Il discorso ci ha cos portati dagli aspetti della realt su cui Boc-caccio concentra in modo particolare la sua attenzione, al modo in cuiegli li rappresenta: cio dall'empirismo del punto di vista da cui con-sidera gli uomini e le cose, al realismo con cui li rappresenta. Il nostrosi preoccupa di dare sempre ai suoi racconti il colore di fatti real-mente accaduti: i protagonisti, o sono personaggi storici o apparten-gono, nella maggioranza dei casi, a famiglie effettivamente esistite;i fatti si riferiscono sempre a regioni, citt, localit ben determinate;gli ambienti sono sempre descritti con meticolosa precisione, le si-tuazioni sono sempre giustificate, le azioni hanno una loro ragioned'essere, persino le psicologie e i pensieri dei personaggi sono seguiticon precisione attraverso tutti i nessi e i successivi passaggi del lorosviluppo. [ ... ] Del resto persino nel linguaggio il nostro cerca sempre--per quanto gli era consentito dalla retorica del tempo--di ade-guarsi ad ambienti e personaggi. I francesismi nella novella del contedi Anguersa, i tratti dialettali veneti in quella di Chichibio e di frateAlberto, quelli napoletani nella novella d'Andreuccio o siciliani nellanovella della siciliana, stanno ] a dimostrarlo. E non a caso Boccac-cio quando viene a parlarci di un cavaliere che non sapeva raccon-tare, ci precisa che egli pessimamente, secondo le qualit dellepersone e gli atti che accadevano, profferiva . [...] Il Decameron , certo, un'immensa galleria di paesaggi, di am-bienti, di situazioni, di sentimenti, di persuasioni nella quale si affollaun'innumerevole schiera di tipi umani. L'eroismo e la beffa, l'amorecortese e quello sensuale, lo spirito pronto ed arguto e quello ottusoe credulone, la gioia e il dolore, la ricchezza e la povert, la gloriae l'onore, il vizio e l'inganno, la vita e la morte, nulla sembra sfug-gire all'occhio del narratore. E, accanto a questi temi, i paesaggi pau-rosi delle tempeste e quelli sereni di giardini fioriti, la natura sel-vaggia dei paesi montani e quella ridente di valli tranquille e di ameniboschetti, la taverna e il palazzo reale, la bottega artigiana e il foscocastello feudale, gli spazi immensi dei lunghi viaggi e il quartiere diFirenze, le familiari citt italiane e quelle favolose dell'Oriente, i vi-coli malfamati e le sale calde e ospitali delle case signorili. Materiamultiforme e ricchissima dunque: che tuttavia risulterebbe farragi-nosa e contraddittoria se non venisse ad unificarla e armonizzarla l'at-teggiamento realistico dell'autore, la sua spregiudicata adesione allecose e alle persone, la sua libert da schemi ideologici che la libertdi presa diretta sul reale. Atteggiamento rinnovatore, in linea conle esi,enze pi profonde dell'Umanesimo nascente, atteggiamento dicui Boccaccio comprende l'estrema seriet. E ai suoi critici che lo in-vitano a starsi saviamente con le Muse in Parnaso , piuttosto chemescolarsi con queste ciance , egli risponde rivendicando l'impor-tanza della vita, dell'esperienza concreta, perch non si pu sempre dimorare con le Muse n esse con esso noi , e aggiunge che mentrescriveva le sue novelle, a quantunque sieno umilissime , quelle idee si sono elle venute parecchie volte a star con lui, cos che que-ste cose tessendo, n dal monte Parnaso n dalle Muse non mi allon-tano, quanto molti per avventura s'avvisano . l'affermazione or-gogliosa di una nuova poetica che raggiunger i suoi risultati pi alticol Machiavelli e con l'Ariosto. Immergiamoci dunque anche noi inqueste a ciance , che hanno aperta la strada a uno dei periodi picivili della storia di tutti i tempi e di tutti i popoli.CARLO SALINARI:Da Il Decameron, a cura di C. Salinari, Bari, Laterza, 1963, pp. 5-22./:/ La novit dello stile medio del Decameron. Tutto quanto pu trarsi come esempio dal periodo anteriore, larozzezza contadina, l'ampiezza plastica dei fabliaux o l'eleganza-esilee povera del Novellino, o il motto vivace e ricco di evidenza di Salim-bene, niente di tutto questo pu tuttavia reggere il confronto colBoccaccio; soltanto con lui il mondo dei fenomeni sensibili domi-nato nel suo insieme, ordinato secondo un cosciente senso d'arte, efelicemente reso dalla lingua. Soltanto il suo Decamerone, per la primavolta dall'antichit in poi, fissa un determinato livello stilistico in cuila narrazione di fatti realmente avvenuti della vita presente pu di-ventare divertimento di persone colte; essa non serve pi come exem-plum morale, e nemmeno serve a provocare la risata del volgo chefacilmente si contenta, bens serve come trattenimento d'una cer-chia di giovani nobili e istruiti, cavalieri e damigelle, che godonodel giuoco dei sensi e possiedono spirito delicato, gusto e giudizioraffinati. Per render chiaro questo intento del suo racconto, il Boccacciogli ha creato intorno la cornice. Il livello stilistico del Decameronericorda molto da vicino l'antico genere che gli corrisponde, la fabulamilesiaca. Questa non poi cosa sorprendente, poich la posizionedello scrittore riguardo al suo oggetto, e il ceto a cui l'opera desti-nata, si corrispondono quasi perfettamente nelle due epoche, e perchanche per il Boccaccio la concezione. dell'arte dello scrivere si colle-gava a quella della retorica. Proprio come nei romanzi antichi, l'artestilistica del Boccaccio si basa su un'elaborazione retorica della prosa,e proprio come in quelli lo stile sfiora talvolta il poetico; anche eglid talvolta al dialogo la forma d'un discorso ben composto, e il qua-dro d'insieme d'uno stile medio o misto, che unisce il realisticoe l'erotico a un'elegante forma linguistica, del tutto simile. Per,mentre il romanzo antico un genere tardo, che si attua in lingueche gi da gran tempo hanno dato il meglio di s, la ricerca stilisticadel Boccaccio trova a sua disposizione una lingua letteraria appenanata e quasi ancora informe. La tradizione retorica, irrigidita nellaprassi medioevale fino a diventar quasi un meccanismo spettrale e se-nile, che, poco prima, al tempo di Dante, aveva fatto le sue provetimide e ritrose con i primi traduttori di autori antichi, diventa nellesue mani uno strumento meraviglioso, che con un balzo d vita allaprosa d'arte italiana, la prim prosa letteraria d'Europa che si abbiadopo l'antichit. Essa nata nel decennio che sta fra le sue primeopere giovanili e il Decamerone. Egli possedeva quasi fin dal princi-pio, per quanto sia un'eredit antica, quel movimento dolce e riccodel ritmo prosastico, che gli proprio, e che si mostra gi nella suaprimissima opera in prosa, il Filocolo. La prima conoscenza degli au-tori antichi deve aver messo in atto questa disposizione in lui gi esi-stente. Quello che inizialmente gli mancava, era la misura e il cri-terio nell'impiego degli strumenti stilistici e nella determinazione dellivello stilistico; dovette conquistarsi un rapporto esatto fra oggettoe livello stilistico e farsene un possesso che fosse quasi un istinto.Il primo contatto con la concezione dello stile illustre degli autoriantichi, un contatto che inoltre non era ancora libero dall'influenza diconcezioni medioevali, conduceva molto facilmente a un innalzamen-to per cos dire cronico del livello stilistico, e a un impiego eccessivodi ornamenti dotti; e ci faceva s che quasi di continuo la lingua salis-se sui trampoli, e appunto per questo restasse lontana dal suo argo-mento e si rendesse, in tale forma, adatta quasi solamente a scopioratori e decorativi: un linguaggio cos elevato era assolutamente in-capace d'abbracciare la realt sensibile della vita in atto. Senza dubbiocol Boccaccio le cose andarono diversamente fin dal principio. Egli disposto e sensibile a modi pi spontanei, propenso a un'elaborazio-ne amabilmente scorrevole, intrisa di sensualit ed elegante. Fin dalprincipio e