rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo...

21
psicoin rivista dell’ordine degli psicologi delle marche direttore responsabile Bernardo Gili redazione Commissione Cultura Coordinatrice Patrizia Vetuli Giuseppe Lavenia Marco Massaccesi Anna Maria Mensà Luca Pierucci Collaboratori Silvia Greganti Milo Montelli Giuseppe Narciso impaginazione Valentina Conti Registrato il 19.06.2000 Presso il Tribunale di Ancona Con il n. 8/2000 Quadrimestrale Poste Italiane S.p.a. – Spedizione in A.P. 70% D.C.B. Ancona recapiti Redazione Ordine degli Psicologi delle Marche Corso Stamira, 29 - 60122 Ancona [email protected] Patrizia Vetuli [email protected] Per conoscere le norme redazionali consultare il sito internet www.ordinepsicologimarche.it © Copyright 2011 by affinità elettive vicolo Stelluto, 3 - 60121 Ancona www.edizioniae.it e-mail: [email protected] Tel. e Fax: 071 9941852 Cell. 333 7778153

Transcript of rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo...

Page 1: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

psicoinrivista dell’ordine degli psicologi delle marche

direttore responsabileBernardo Gili

redazioneCommissione Cultura

CoordinatricePatrizia Vetuli

Giuseppe Lavenia Marco Massaccesi

Anna Maria Mensà Luca Pierucci

CollaboratoriSilvia Greganti Milo Montelli

Giuseppe Narciso

impaginazioneValentina Conti

Registrato il 19.06.2000Presso il Tribunale di Ancona

Con il n. 8/2000

QuadrimestralePoste Italiane S.p.a. – Spedizione in A.P. 70%

D.C.B. Ancona

recapiti Redazione

Ordine degli Psicologi delle MarcheCorso Stamira, 29 - 60122 Ancona

[email protected] Vetuli

[email protected]

Per conoscere le norme redazionaliconsultare il sito internet

www.ordinepsicologimarche.it

© Copyright 2011 by affinità elettivevicolo Stelluto, 3 - 60121 Ancona

www.edizioniae.it e-mail: [email protected]. e Fax: 071 9941852 Cell. 333 7778153

Page 2: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

2 3

Indice

La pagina del PresidenteBernardo Gili 3

Editorialedi Patrizia Vetuli 4

PsicoterapiaPer via di porre, per via di levare Considerazioni su psicoterapia e psicoanalisidi Marina Severini 5

PsicologiaAdolescenza e violenza. Gruppo infanzia-adolescenzadell’Ordine degli Psicologi delle Marchedi Giuseppina Ponzella 11

Orizzonti nuoviTempo, percezione, sé e identità nella grande retedi Giuseppe Lavenia 19

IntersezioniL’uomo nuovo ha un cuore antico.Il ritorno delle passioni nella tarda modernità di Silvia Vegetti Finzi 24

Il fattoExodus e nuove speranze: il caso italiano.I minori stranieri non accompagnati e tratti psicologici di Giovanni Siena 33

Lavori in corsoIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi.Come trarne i maggiori fruttidi Francesca Ciancio 37

In fondoIn fondo... sono solo paroledi Marco Massacesi 40

La pagina del Presidente

Bernardo Gili*

* Psicologo Psicoterapeuta, Presidente dell’Ordine degli Psicologi delle Marche

Sono straordinarie le riflessioni che l’articolo della Prof. Silvia Ve-getti Finzi ci suggerisce.Soprattutto, il passaggio che ci ri-corda come molti malesseri della vita quotidiana sono da ricondurre alla solitudine dell’uomo tardo-mo-derno che, uscito dal guscio protet-tivo e talvolta oppressivo della iden-tità precostituita, si trova di fronte al difficile compito di costruire da sé. Direi, con parole mie, “attraver-so percorsi di cucitura di brandelli di identificazione e ricerca di intui-zioni e spinte creative”.Un compito che spaventa e in cui si tratta di imparare a mobilitare ca-pacità inventive e creatività di tipo artistico; imparare l’arte della vita, seguendo il senso artistico e non fuggire dalla libertà (parafrasando una importante opera di Fromm). Azioni che rimandano a un’ulterio-re difficile articolazione fra ‘identi-tà’ e ‘alterità’ quale percorso impre-scindibile e attuale.Non può sfuggire quanto il percorso evolutivo dell’adolescente, che con-duce al riconoscimento dell’altro (umanità) e del mondo (ecologia)

come valori irrinunciabili, ci evo-chi il viaggio entro cui si formano le motivazioni e le convinzioni che molti giovani colleghi percorrono, e che è preludio alla caratterizzazione della figura dello Psicologo del pri-mo secolo del secondo millennio.Professionista lontano da quei pri-mi colleghi che, accolti nel caldo grembo della ASL o dell’Ente Pub-blico, sono stati protetti e talvolta oppressi. Un professionista che su-bito è costretto a farsi narratore e protagonista della propria storia, la quale può spaventare poiché si apre come una pagina bianca tutta da scrivere, o un vuoto tutto da riem-pire, e in cui i punti di riferimento sono tutti da trovare. Esperienze paurose e vertiginose, che richiedo-no coraggio, forza d’animo e capa-cità d’ascolto, in primis di se stessi, per restare nell’intimità emotiva senza fuggire.Inevitabili passaggi critici che pre-ludono alla individuazione di nuo-ve risorse alla scoperta di nuove ca-pacità, di nuove competenze.Percorsi che ci coinvolgono e ci appassionano.

Page 3: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

4 5

Editoriale

di Patrizia Vetuli*

In questo numero, per la sezione dedicata alla Psicoterapia, Marina Severini nel suo articolo Per via di porre, per via di levare. Considera-zioni su psicoterapia e psicoanalisi, presenta un tema di grande interes-se e attualità: il rapporto tra psica-nalisi e psicoterapia. Nella sezione Psicologia Giuseppina Ponzella, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva, con Adolescenza e violen-za presenta i risultati del Gruppo infanzia-adolescenza dell’Ordine de-gli Psicologi delle Marche. In Orizzonti nuovi Giuseppe La-venia con Tempo, percezione, sé e identità nella grande rete introduce il concetto di “distorsione del tem-po” nelle dinamiche legate alla di-pendenza da Internet. In Intersezioni abbiamo un’autrice di chiara fama come Silvia Vegetti Finzi con un contributo dal titolo L’uomo nuovo ha un cuore antico. Il ritorno delle passioni nella tarda modernità. Silvia Vegetti Finzi nel mese di mag-

gio ha tenuto per il nostro Ordine un seminario per il ciclo Incontri con i Maestri sul tema delle passioni. A questo proposito, voglio ricordare alcuni tra i relatori intervenuti negli eventi organizzati dal nostro Ordine: il professor Luigi Zoja, psicoanalista e saggista, e Roberta Giommi, ses-suologa, nell’ambito del ciclo Incon-tri con i Maestri e Gianni Fortunato con un Seminario sulla Programma-zione Neurolinguistica.Nella sezione Il fatto Giovanni Sie-na ci parla del fenomeno dell’im-migrazione nel suo articolo Exodus e nuove speranze: il caso italiano. I minori stranieri non accompagnati e tratti psicologici.Per Lavori in Corso Francesca Cian-cio con Il test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti. Marco Massaccesi per In fondo con un gioco di parole, In fondo…sono sole parole, esprime la sua sensibili-tà poetica.

* Psicologa Psicoterapeuta, Coordinatrice Commissione Cultura, Web, Formazione e Comunicazione

Psicoterapia

Marina Severini*

per via di porre, per via di levare considerazioni su psicoterapia e psicoanalisi

Il rapporto tra psicoanalisi e psico-terapia rappresenta un tema non certo nuovo ma ancora molto at-tuale, soprattutto da quando, in seguito alla legge che regolamen-ta l’attività psicoterapeutica, sono nate in Italia diverse Scuole di specializzazione in psicoterapia a orientamento psicoanalitico.Quando, a fine anni ’90, abbiamo dato vita all’Istituto ICLeS (Istitu-to per la Clinica dei Legami Sociali) abbiamo voluto che si trattasse di una Scuola di Psicoterapia a orien-tamento psicoanalitico lacaniano e in quanto analisti ci siamo interrogati intorno al tema psicoanalisi-psico-terapia e ancor più su cosa vuol dire una formazione psicoterapeutica in linea con la psicoanalisi.La scommessa presente fin dall’ini-zio, e che ci accompagna nel nostro lavoro di insegnamento e trasmissio-

ne, riguarda la possi-bilità che un

Istituto

di specializzazione in psicoterapia, organizzato com’è ovvio secondo le modalità previste dalla legge, possa non solo salvaguardare l’etica della psicoanalisi, ma ancor più farne la sua specificità e il suo stile.Siamo partiti da due considerazioni: la prima riguarda gli strumenti che la psicoanalisi ci ha insegnato a usa-re, che non sono necessariamente le-gati alla confortevole situazione del setting tradizionale, ma possono es-sere adoperati in molteplici contesti, comprese quelle situazioni (dipen-denze, panico, anoressia-bulimia…) in cui la domanda sembra assente, i cosiddetti “nuovi sintomi”. La seconda considerazione riguar-da il fatto che allo psicoterapeuta occorre oggi una formazione ade-guata alla clinica della modernità e l’orientamento lacaniano della psicoanalisi non si sottrae alla sfi-da dell’epoca attuale, caratterizzata da una sempre maggiore fragilità e frammentarietà dei legami sociali; direi anzi che ci si misura, e si lascia

* Psicologa Psicoterapeuta

Page 4: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

6 7

mettere alla prova dall’attuale disa-gio della nostra civiltà.A più di dieci anni di distanza, e con l’esperienza maturata nelle quattro sedi italiane dell’Istituto ICLeS (Milano, Venezia, Napoli e Macerata), vorrei provare a dire alcune cose sull’articolazione della questione e quindi a delineare cosa vuol dire “psicoterapia (e psicotera-peuta) a orientamento psicoanalitico lacaniano”.

Psicoanalisi, terapeutica?Sappiamo che Freud, il padre della psicoanalisi, considerava prezioso il lavoro analitico più per il suo valore di elaborazione, di ricerca della verità, ovvero di acquisizione di sapere riguardo all’inconscio, che per i suoi effetti terapeutici.L’interesse principale di Freud non era togliere il sintomo, ma piuttosto cercarne la causa, scoprire perché e come si era formato; si dà il caso, certo, che la guarigione arrivasse, ma quasi come un effetto secon-dario. Ha anche messo più volte in guardia i suoi allievi rispetto al furor sanadi; per imparare qualcosa e per raggiungere qualche risulta-to, scriveva infatti Freud, bisogna rinunciare a ogni miope ambizione terapeutica – che si rivela piuttosto di ostacolo al raggiungimento di risultati significativi perché spinge a considerare l’altro, colui che sof-fre, come un oggetto da riaggiusta-re e non un soggetto da ascoltare e (provare a) capire.

Non solo, dobbiamo aggiungere, sapere e guarigione non necessa-riamente vanno insieme, e la co-siddetta fuga nella guarigione è lì a testimoniarlo: il beneficio terapeu-tico ottenuto può portare infatti all’interruzione del lavoro, come a dire che si guarisce perché non si vuole sapere altro. A ciò dobbia-mo aggiungere che la psicoanalisi non può che essere terapeutica, per-ché parte dal sintomo, cioè dalla sofferenza di un soggetto.La nascita storica della psicoanalisi è indissolubilmente legata al sinto-mo: Freud ha infatti inventato il metodo analitico nel momento in cui, avvicinatosi alle strane malate dell’epoca, le isteriche, ha deciso di ascoltarle, di seguire il loro rac-conto e prenderlo sul serio (devono avere delle ragioni) piuttosto che considerarle delle simulatrici da suggestionare con l’ipnosi. Rinunciando all’ipnosi – pratica ancora oggi di una certa attualità – Freud ha rinunciato alla padro-nanza e si è messo in una posizione di ascolto verso le sue interlocutri-ci, non più interessato a estirpare il sintomo, a farlo tacere, ma al con-trario a interrogarlo e ascoltarlo.Ha così accettato di lasciarsi guida-re dalle parole delle presunte simu-latrici, ha capito che quella era la strada da seguire, ha scoperto che le parole – le associazioni libere – avevano effetti sui sintomi corpo-rei delle sue pazienti, che i sintomi erano un modo di parlare, di dire

qualcosa senza saperlo e che si trat-tava di andare a recuperare questo sapere inconscio. L’inconscio è un sapere che non è disponibile, un sapere che non si sa, che non si padroneggia. Per questo il metodo analitico è basato sull’associazione libera, che vuol dire parlare senza esercitare controllo e padronanza, senza sapere ciò che si dice, a con-dizione però di essere impegnati nella ricerca della propria verità.Il sintomo si rivela come un modo di dire qualcosa all’insaputa del soggetto e insieme un modo di godimento, un sostituto anomalo di un godimento sessuale (Freud), una soluzione singolare che quel soggetto ha trovato di fronte alla castrazione (cioè alla perdita di godimento) che caratterizza tut-ti gli esseri parlanti. È per questo che il soggetto è attaccato al suo sintomo, anche se lo fa stare male, e quindi vuole/non vuole saperne, e liberarsene.La psicoanalisi non può che essere terapeutica dunque, perché – così come ai suoi inizi storici – all’inizio di ogni psicoanalisi c’è il sintomo.Ogni psicoanalisi non può che par-tire dal sintomo, dal malessere di un soggetto alle prese con qualcosa che non riesce più a padroneggia-re (“non posso più…” o “non posso fare a meno di…”), qualcosa che gli sfugge e lo fa stare male, ma che è anche in qualche modo una sua produzione, si potrebbe dire un’estraneità molto intima.

Una terapia non come le altreNon c’è analisi se non terapeutica dunque, ma la psicoanalisi si di-stingue dalla psicoterapia; ho ricor-dato che storicamente la psicoana-lisi nasce quando Freud rinuncia ai mezzi classici della psicoterapia, che sappiamo essere la persuasione e la suggestione.Persuasione e suggestione vedono il terapeuta teso a influenzare il pazien-te per ottenere l’effetto terapeutico. L’azione del terapeuta è diversa nei due casi: nella persuasione si tratta di convincere l’altro facendo leva sulla sua ragione e volontà, un po’ come in una direzione di coscienza laica; nella suggestione si tratta di influen-zare il paziente al di là del suo con-trollo cosciente – l’ipnosi è il mezzo esemplare, quello più celebre.In un suo scritto del 1904, Psicote-rapia, Freud traccia la linea di de-marcazione tra psicoanalisi e psi-coterapia facendo riferimento alle parole con cui Leonardo da Vinci distingueva la pittura dalla scultura: la prima opera “per via di porre”, il pittore mette dei colori su una tela bianca, l’altra “per via di levare”, in-fatti lo scultore toglie del materiale per far emergere una forma.Freud dice che la tecnica della sug-gestione opera per via di porre, non si occupa infatti dell’origine e del senso dei sintomi, ma sovrappone a essi qualcosa (la suggestione appun-to) allo scopo di toglierli; la terapia analitica al contrario opera per via di levare, non vuole introdurre niente

Page 5: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

8 9

ma piuttosto far venir fuori qualco-sa, lasciarlo emergere. Nella terapia suggestiva sono le parole del terapeu-ta quelle che contano, nella terapia analitica sono invece le parole del pa-ziente che, esse sole, permettono di far emergere il contesto psichico del-la formazione del sintomo. Solo così, per via di levare, si possono scoprire, e trattare, una serie di cose: innanzi-tutto il conflitto psichico che fa sì che i malati si tengano aggrappati alla loro malattia; poi, altra grande scoperta che rappresenta una ferita narcisisti-ca per l’umanità: l’io non è padrone in casa propria. È la pratica analitica che permette di cogliere che qualcosa sfugge alla nostra padronanza di noi stessi: questo qualcosa è nientemeno che il nucleo del nostro essere, come dire ciò che abbiamo di più nostro, di più intimo, è nello stesso tempo il più estraneo e sconosciuto.L’inconscio possiamo conoscerlo, e solo in parte, attraverso le sue for-mazioni, le sue produzioni, che sono i sintomi e poi i sogni, le dimenti-canze, i lapsus… Ecco dunque che entrano in scena, e con un ruolo di primo piano, i piccoli fatti margina-li della vita quotidiana, gli effimeri sogni, gli inciampi del discorso co-sciente, tutto ciò che sfugge alla pre-sunta padronanza del nostro io.

Responsabili del proprio destinoFreud ha parlato dell’inconscio come di un’ipotesi necessaria al fine di spiegare le formazioni dell’in-conscio, le sue produzioni e cioè i

sogni, appunto, i sintomi, i lapsus, gli atti mancati.Necessaria ma pur sempre un’ipotesi, vale a dire che sta a ciascuno di noi fare una scelta, crederci oppure no, una scelta di assunzione soggettiva. Perché si può benissimo pensare che sogni e lapsus siano sciocchez-ze prive di senso, di cui non vale la pena occuparsi; si può pensare che il proprio malessere, il sintomo di cui si soffre, sia dovuto a una causa esterna: di volta in volta i genitori, il partner, la sfortuna e, perché no, un DNA ereditato, di cui non si è certo responsabili.È una tendenza dell’essere umano quella di attribuire la causa fuori di sé. Certo, ci sono eventi che inci-dono sulla nostra vita e di cui non siamo responsabili: essere nati in un posto anziché in un altro, in una fa-miglia piuttosto che in un’altra, di un sesso anziché di un altro (solo per dirne alcuni). Siamo però re-sponsabili – questo ci dice la psicoa-nalisi – della posizione che prendia-mo nei confronti degli eventi della nostra vita, perché quella è per così dire una faccenda nostra e proprio lì, in quella reazione particolare, si manifesta ciò che ciascuno di noi è, quello che può o non può fare, quello che le sue risorse di soggetto gli consentono in quel momento.Per la psicoanalisi nessuno è com-pletamente determinato dagli even-ti della sua storia, altrimenti non sarebbe un soggetto. Un soggetto è tale in quanto responsabile del

suo destino, perché il suo destino è anche, sempre, effetto delle sue “scelte”; scelte da intendersi non nel senso del libero arbitrio, ovviamen-te, perché hanno a che fare con il proprio inconscio. Fare propria l’ipotesi dell’incon-scio significa rivendicare la re-sponsabilità del proprio destino, significa, per dirla con Lacan, am-mettere che abbiamo una parte nel disordine di cui ci lamentiamo.

Clinica ed eticaAssumersi la responsabilità delle proprie scelte inconsce, del proprio destino, è un atto che richiede un tempo più o meno lungo di elabo-razione e che ha delle conseguenze forti in quanto cambia il modo di guardare la propria vita e le proprie relazioni. Si tratta di una posizione etica perché ciascuno la assume a suo rischio, senza garanzia. Questa posi-zione etica è qualcosa che riguarda direttamente la propria pratica di curanti; non a caso Freud conside-rava quello del curare uno dei tre mestieri ‘impossibili’, proprio per il fatto che non c’è nessun sapere pre-costituito che garantisca alcunché: si tratta di vedere, caso per caso, quel-lo che è possibile, operando “per via di levare” e, soprattutto, operando a partire dal proprio desiderio.È cosa diversa, infatti, considerare il soggetto con cui abbiamo a che fare come l’inevitabile effetto di una certa situazione (quante volte siamo portati a pensare: è così perché la ma-

dre… o perché nella sua famiglia… o poco amato… o troppo… o…), in-somma una conseguenza automati-ca di cause esterne; altra cosa è pen-sarlo come qualcuno che ha reagito in quel modo – e non in un altro – agli eventi della sua storia. Solo così diamo una dignità di soggetto all’altro che incontriamo nel suo malessere. Del resto, è quello che ha fatto Freud a proposito dei nevroti-ci quando ha pensato che dovevano avere una ragione per ridursi a vivere una vita così misera; supporre una ragione significa già essere interes-sati a quella ragione, quindi in una posizione di desiderio e di ascolto. Solo se pensiamo che il soggetto ci ha messo del suo nel disagio di cui si lamenta, solo allora possiamo pen-sarlo in grado di poter cambiare, di effettuare una nuova scelta.La scelta di cambiare è sempre pos-sibile e nello stesso tempo assoluta-mente libera; il discorso della psi-coanalisi è un discorso di libertà e di rispetto per ciascun soggetto.È per questi motivi che una for-mazione psicoterapeutica in linea con la psicoanalisi chiama in cau-sa il desiderio del terapeuta e non è quindi riducibile all’acquisizione di una tecnica; il sapere certo è impor-tante, ma una formazione orientata dalla psicoanalisi non può che esse-re principalmente etica, perché ri-guarda la posizione che il terapeuta prende di fronte al soggetto preso, e a volte perso, nelle difficoltà dei suoi legami.

Page 6: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

10 11

Clinica dell’inconscio e attualità Si sente dire da più parti che l’epo-ca in cui viviamo, quella del mer-cato globale e del capitalismo alle-ato all’ideologia della scienza, non sarebbe più l’epoca dell’inconscio e della psicoanalisi. Il discorso cor-rente riduce l’individuo alle sue funzioni di produttore e consuma-tore, esalta la performance; sembra evidente, tuttavia, che la spinta continua al successo, il godimento presentato come accessibile a tutti, e quindi obbligatorio, finiscano per produrre depressione e insoddisfa-zione, sfide mortifere e dipendenze sempre nuove, attacchi di panico e repentine esplosioni di violenza, per non dire della solitudine crescente lamentata dagli abitanti di un vil-laggio globale dove tutti sono in continua comunicazione.Per la psicoanalisi l’essere umano è fin da subito preso in un legame con l’altro, implicato a livello inconscio in una complessità di relazioni sulla scena familiare e sociale; il discor-

so della nostra epoca esalta invece il legame con l’oggetto e il merca-to ne propone sempre uno nuovo che, annullando immediatamente il valore dei precedenti, promette il godimento sognato. Ma è una corsa senza fine che inevitabilmente pro-duce sempre più soggetti smarriti, che si lamentano della propria soli-tudine, di legami che non tengono, di un’esistenza sentita come incon-sistente. È qui che la psicoanalisi ha qualcosa da dire, perché quello psi-coanalitico è, per dirla con Lacan, un discorso contro-corrente che pro-pone un legame sociale vivibile.La clinica dell’inconscio non può dunque che misurarsi con le sfide dell’epoca attuale e i suoi paradossi; la clinica dei nuovi sintomi e del-la non-domanda, apparentemente una clinica senza inconscio, inter-roga fortemente la psicoanalisi, in particolare l’opzione lacaniana che punta sul legame sociale e aspira a portare la clinica all’altezza dell’at-tuale disagio della civiltà.

bibliografiaS. Freud, Studi sull’isteria (1892-95), Opere I, Boringhieri, 1982.S. Freud, Psicoterapia (1904), Opere IV, Boringhieri, 1982.S. Freud, Contributo al problema della scelta della nevrosi (1913), Opere VII, Boringhieri, 1982.S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (caso clinico dell’uomo dei lupi), Opere VII, Bo-ringhieri, 1982.J. Lacan, Seminario V, Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, 2004.J. Lacan, Seminario XVII, Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, 2001.C. Soler, Lacan, l’inconscio reinventato, Franco Angeli, 2010.

Psicologia

Giuseppina Ponzella*

adolescenza e violenza. gruppo infanzia-adolescenzadell’ordine degli psicologi delle marche

* Psicologa Psicoterapeuta

Questo lavoro, per ragioni editoriali, si ar-ticolerà in 3 parti:1. Presentazione del gruppo di lavoro ed ex-cursus teorico su adolescenza e aggressività.2. L’adolescente violento3. Il trattamento istituzionale e bibliografia.

Dott. Giuseppina Ponzella (coordina-trice), Psicologa-Psicoterapeuta dell’Età Evolutiva (Modello Tavistock) Conv. c/o Dipartimento Dipendenze Patolo-giche ASUR Zona Territoriale n. 7Dott. Ludovica Corpaci, Psicologa, Giudi-ce Onorario presso il Tribunale per i Mino-renni delle Marche, Corso di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Infanzia dell’adolescente e della coppia - ASNE-SIPsIA (Roma)Dott. Roberta Rossini, Psicologa-Psicote-rapeuta, UMEE ASUR Zona Territoriale n. 7, Ancona Centro, Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva (Bologna)Dott. Roberto Ragni, Psicologo, Conv. c/o Ospedali Riuniti “Umberto I”- Presi-dio “Salesi” AnconaDott. Laura Vitaloni, Psicologa-Psicotera-peuta c/o Casa di Cura Privata “Villa Se-

rena”, didatta c/o Istituto Italiano di Psicote-

rapia Relazio-nale sede di

Ancona

Presentazione del gruppoL’articolo nasce dagli incontri men-sili di un gruppo formato da 5 psico-logi e psicoterapeuti che per 2 anni e mezzo si sono visti, conosciuti e da allora incontrati mensilmente.Abbiamo letto, pensato e discusso su materiali vari e di varia estrazio-ne teorica, come varie sono le no-stre formazioni.Fin dai nostri primi incontri ab-biamo trovato un focus di atten-zione sulle problematiche relative al comportamento violento in adolescenza a seguito delle vicen-de di abusi sessuali da parte di minori su minori che non molto tempo prima avevano popolato le cronache dei nostri quotidiani lo-cali, per non parlare delle notizie che sempre ascoltiamo o leggiamo su questi argomenti riguardanti il bullismo e altri comportamenti di violenza da parte di adolescenti.Allo stesso tempo, anche il dibattito nazionale frequentemente si è occu-pato di ciò, tanto che proprio nei giorni della stesura finale si è svolto

Page 7: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

12 13

a Roma un Convegno internaziona-le a orientamento psicoanalitico su “L’adolescente e la violenza” (orga-nizzato dall’Istituto Winnicott e dal-le Associazioni ASSNE-SIPsIA) nel quale sono state analizzate le varie forme dell’agire violento a partire da insulti al proprio corpo, a problema-tiche affettive, all’aggressione dell’al-tro, ai comportamenti a rischio.Siamo partiti pensando agli abusi sessuali da parte di un branco su una minorenne circolati sui cellu-lari di molti adolescenti e abbiamo pensato e discusso di quanto anche questo tam tam mediatico abbia turbato altri adolescenti in tratta-mento da uno di noi al punto da riempire di fantasie sadiche e ag-gressive la mente già provata.Abbiamo verificato che il crimine e la violenza non hanno età. Alcuni reati sembrano annunciati dalla frequen-tazione o dall’appartenenza a con-testi familiari o sociali violenti, altri appaiono come un fulmine a ciel se-reno, improvvisi e inaspettati in ado-lescenti senza turbe evidenti. Sappia-mo che l’adolescenza è comunque, oltre che uno stadio dello sviluppo, anche un fenomeno psicosociale.Dalle nostre letture e ricerche, ciò che appare oggi evidenziarsi è uno spo-stamento della patologia da un’area dello sviluppo edipica a un’area precedente, quella dello sviluppo pre-genitale. Così l’adolescenza può anch’essa essere pensata come una fase di ripetizione-passaggio da un’area le-gata alla relazione narcisistica a quella

oggettuale. Questo vuole significare in altri termini che il compito dello sviluppo è quello di una evoluzione da una relazione in cui l’oggetto non è riconosciuto davvero come unico, altro da sé, verso una relazione in cui inizia ad esistere un Altro.Tutto ciò implica la nascita di un senso etico che ha alla base il rispet-to e il diritto dell’Altro ad esistere, ad avere un suo spazio e suoi diritti. Ma se l’adolescenza può essere pen-sata come una specie di cerniera tra uno stadio pre-edipico e uno edipi-co dello sviluppo, come possiamo, da un punto di vista psicodinamico ad esempio, collocare l’aggressività nello sviluppo psichico, dato che amore e odio costituiscono i due elementi basilari su cui si sviluppa-no da sempre le vicende umane?

L’aggressività alle originiL’aggressività ci appartiene ed è primaria. È già visibile ed eviden-te nel neonato che morde il seno, che pure lo nutre e dal quale di-pende, che tira e strappa i capelli della madre, che scalcia e strilla.Sigmund Freud (1897), nel descri-vere il trattamento di alcuni suoi pazienti, riconobbe da subito nella resistenza connotazioni aggressive: “La persona che all’inizio era così ben educata e nobile, diviene vol-gare e menzognera e insolente”. Inoltre, nel Caso Clinico di Dora, vide nell’aggressività una peculiari-tà del trattamento psicoanalitico: “Durante gli altri trattamenti il

malato si limita a evocare… tra-slazioni affettuose e amichevoli…Nella psicoanalisi invece… tutti gli impulsi, anche quelli ostili, vengo-no risvegliati e utilizzati”.L’aggressività, secondo Freud si ma-nifesta molto presto nel bambino: il complesso di Edipo stesso, già dalla sua prima menzione (L’interpreta-zione dei sogni, 1900) viene descritto come un’insieme di tendenze ostili e amorose. In seguito, descrisse l’ag-gressività come una componente della pulsione sessuale, sottolineando come questo sia evidente nel sadismo e nel masochismo: “La sessualità del-la maggior parte degli uomini si rive-la mescolata a una certa aggressività, all’inclinazione, alla sopraffazione… Il sadismo corrisponderebbe allora ad una componente aggressiva della pulsione sessuale, resasi indipendente e esagerata” (Freud, 1905).Il 1920 costituì indubbiamente un punto di svolta, poiché, con la pubblicazione di Al di là del princi-pio del piacere, Freud ipotizzò per la prima volta l’esistenza di una pul-sione di morte indipendente, pro-pria di ogni uomo.D.W. Winnicott (1956) descrive il bambino piccolo quando tira su con impegno una bella e alta co-struzione con i blocchetti di legno e poi all’improvviso la butta giù: “Egli può essere distruttivo senza sentirsi disperato”; oppure racconta di quel bambino di 4 anni “piuttosto timi-do” che urla ai suoi cari “T-ti bruce-rò la casa! T-ti s-sbudellerò!!”.

Questi attacchi ci suonano fa-miliari. Chiunque ha rapporti frequenti con i bambini nel loro ambiente non può non averne un eco o un’immagine da rammen-tare. Essi possono considerarsi in origine aggressivi, distruggono magicamente e col tempo e con l’acquisizione del linguaggio, l’im-peto aggressivo delle consonan-ti… evidenzia la forza delle parole. Il bambino inveisce con la bocca così come un tempo mordeva il seno, “ma – scrive Winnicott – non viene compiuta nessuna vio-lenza reale” (op. cit., p. 107).Sempre Winnicott, nel 1956, parla della tendenza antisociale, usando questo termine non come diagnosi, ma per cercare di comprendere cer-ti comportamenti possibili anche, secondo lui, in individui normali o con diagnosi di psicosi o nevrosi e nei bambini a tutte le età. Assi-stiamo al fatto che certi compor-tamenti costringono l’ambiente a essere presente e obbligano l’adulto a occuparsi del bambino. Si parla di speranza, “la tendenza antisociale implica la speranza” (p. 156); la speranza che qualcuno ac-corra e si prenda cura del bambino.Winnicott, e sappiamo anche Bow-lby, parlano del dolore e della rabbia provocata dall’aver goduto di qual-cosa di buono e averlo perso. L’uso del termine deprivazione ci riporta oggi anche all’evento traumatico o a eventi cumulativi che accadono in una fase in cui il bambino sta per

Page 8: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

14 15

raggiungere la fusione tra pulsioni libidiche e pulsioni aggressive.Sappiamo che anche nello sviluppo normale, una rabbia violenta non-ché una disperazione, si impadroni-scono del neonato quando fa l’espe-rienza della perdita dell’oggetto o della sua funzione di accudimento e l’eccesso di angoscia, gli abbandoni ripetuti o prolungati, non possono essere ripristinati per sempre con fantasie onnipotenti; dopo un po’ non funzionano più. Il bambino sente la deprivazione e la deflagra-zione interna che ne deriva.Melanie Klein (1957) pensa che il bambino stesso nel suo mondo in-terno, nelle sue fantasie primitive a livello di oggetti parziali, sotto la spinta dell’istinto di morte, faccia l’esperienza di attaccare il seno che lo frustra, sentendo di averlo distrutto o depredato dei suoi contenuti vitali così come il seno che nutre, sotto la spinta dell’invidia primaria. Sappiamo però anche che all’inter-no di una buona esperienza relazio-nale il bambino può riparare alla distruttività delle proprie fantasie onnipotenti, riconoscere la bontà dell’oggetto che può così lentamen-te trasformarsi in “persona”, in og-getto intero, nella madre che cura, riscalda e nutre ma che pure non ri-sponde subito al bisogno. La madre attaccata è anche la madre amata da ricostituire, riparare, conservare e proteggere all’interno del sé.Secondo l’opera della Klein, questo permette all’Io di prendere fidu-

cia nella propria bontà e in quella dell’oggetto e di oscillare verso la posizione depressiva; condizione, questa, necessaria alla tolleranza, alla convivenza e alla capacità di amare. W.R. Bion (1962) ha successiva-mente contribuito grandemente alla nostra nozione di “mondo interno” attraverso il concetto di contenimento.I fragili confini del Sé del neonato sono minacciati dall’angoscia. Que-sta provoca stati emotivi, oggetti parziali cattivi, che dal bambino possono soltanto essere proiettati e depositati fuori dal Sé; non posso-no essere esperiti. È necessario che queste proiezioni possano trovare un oggetto, una mente, capace di accogliere e contenere dentro di sé e poi trasformare queste emozioni (elementi beta) così da poter essere reintroiettate dal bambino mitigate. Come sappiamo ciò accade all’in-terno della relazione con la madre. Il neonato diviene poi progressi-vamente capace di assumere in sé questa funzione di contenimento esercitata attraverso la capacità di reverie materna, accettando in que-sto modo la possibilità di contenere nel proprio mondo interno anche oggetti cattivi, emozioni pericolose (sebbene la loro pericolosità sia di-minuita) attraverso quella che viene chiamata “funzione alfa” materna. Ciò che non può, per difficoltà del-la madre, essere accolto, compreso e quindi nominato in parole o in gesti di contenimento così da esse-

re reso riconoscibile anche al bam-bino, rimane per lui inelaborabile, un po’ come una scoria vagante, in-comprensibile e quindi indigeribile. Mettere dentro un oggetto non pen-sante o un oggetto che fraintende, rende il bambino incapace di pensa-re i sentimenti, incapace di autocon-tenimento, condannato o propenso ad agirli in un bisogno impellente di evacuare emozioni come scorie ine-laborate e non pensabili.

L’adolescenza e l’aggressività Partendo dalla formazione psico-analitica di alcuni di noi, diversi sono gli autori che hanno affron-tato le vicende dell’aggressività e della violenza in adolescenza. A. Freud ha più volte sottolineato come la linea di demarcazione tra salute e malattia mentale non può essere tracciata così nettamente. Inoltre gli individui, nel corso del-la vita oltrepassano in un senso o nell’altro questo confine. Ogni tap-pa di sviluppo porta con sé cam-biamenti e riadattamenti che scon-volgono l’equilibrio interno di ogni individuo. È evidente quindi come sia corretto accettare il concetto di disturbo evolutivo transitorio.L’adolescenza è una normale tappa dello sviluppo che porta con sé al-cuni di questi disturbi che rivolu-zionano tutte le aree della persona e della personalità. Da un lato le alte-razioni fisiche ed endocrinologiche, dall’altra cambiamenti riguardo gli attaccamenti oggettuali e le relazio-

ni sociali. Ciò che emerge è quindi un’immagine di sé completamente diversa che può dare vita a manife-stazioni di sofferenza. Ciò avviene in una fase della vita che richiede scelte fondamentali: elevato rendimento scolastico, scelte professionali, mag-giori responsabilità sociali. Le richieste e le aspettative esterne rappresentano sin dalla nascita un modello a cui aderire per essere sicu-ro di essere amato: Sé ideale. Il gap tra questa rappresentazione ideale e il sé reale è al tempo stesso fonte di sofferenza psichica e motivazione a cambiare e ad adattarsi alle nuove richieste della realtà (J. Sandler).Tale processo che dura una vita viene definito Individuazione; in molti hanno riconosciuto l’esisten-za e l’importanza di tale processo (Jung, M. Mahler, J. Sandler). Scopo di tale processo è lo viluppo della personalità, il raggiungimen-to e il mantenimento del benesse-re e della sicurezza (J. Sandler).Visti i numerosi cambiamenti, l’ado-lescente si trova, quindi, a dovere ri-elaborare la sua immagine corporea, a dover riassestare la sua identità che è in primo luogo identità sessuale. Tutti questi smottamenti interni modificano in modo significativo gli attaccamenti, le condotte aggres-sive, le relazioni sociali e le perfor-mance intellettive.L’adolescente, infatti, per sentirsi grande, rifiuta i genitori come mo-dello e ricerca nuove identificazio-ni con personaggi importanti, con

Page 9: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

16 17

coetanei o ragazzi più grandi. Gli scontri generazionali, all’interno delle mura domestiche e non, sono abbastanza frequenti ed è facile pensare che l’aggressività dell’ado-lescente abbia un valore negativo.È bene ricordare, però, che l’ag-gressività è una componente affet-tiva importante della vita dell’uo-mo e rappresenta una potenzialità dalla quale attingere energie per molte attività psichiche e fisiche.Questa aggressività, a volte, può sfociare in ostilità, distruttività e violenza. Tali comportamenti, fon-te di conflitti per il ragazzo, posso-no suscitare la vergogna e la paura di non essere accettato e amato, sfociando in condotte violente.Le crisi adolescenziali sono segnali di accomodamenti interni. La qua-lità delle difficoltà dell’adolescente dipende, secondo A. Freud, dalle primissime esperienze; infatti, se-condo l’autrice, nell’adolescenza vengono riattivati i primi 5 anni di vita ed è qui che la patologia trova le sue radici.L’ Io dell’adolescente cerca e trova le soluzioni adattive migliori usando le strutture mentali immagazzinate nell’infanzia: a seconda delle strategie difensive usate potrà sembrare de-presso, isterico e violento. In un’ot-tica cognitivo-evolutiva e costrut-tivista, l’essere umano è visto come un sistema conoscitivo complesso che evolve nel tempo e va incontro a continue trasformazioni del senso di sé, e per questo cerca costante-

mente di mantenere una propria de-finita coerenza interna, un senso di sé e una corrispondente percezione della realtà, le quali trovano origine nella qualità delle relazioni prima-rie d’attaccamento (Guidano, 1988, 1992). Entro i legami affettivi prima-ri ogni essere umano plasma il suo modo specifico e unico di percepire se stesso e la realtà che lo circonda, il suo stile interpersonale, il suo modo di avvicinarsi all’altro, di modulare l’intimità personale, di dare valore o svalutare i legami, di sentire emo-tivamente e affettivamente l’altro e il suo corpo (Guidano, 1988, 1992; Liotti, 2001).L’adolescente si trova a dover mante-nere un proprio senso di sé e il suo senso di unicità personale, nono-stante le numerose trasformazioni che sperimenta in tutti i settori, an-che nelle relazioni di attaccamento. L’adolescenza culmina un processo evolutivo in cui l’interazione con i genitori ha plasmato le menti e il comportamento dei bambini secon-do modi che permetteranno o meno di affrontare in maniera adattiva l’esterno, attraverso strategie che ne-gli anni e all’interno di quel contesto ambientale hanno garantito prote-zione e vicinanza affettiva (Critten-den, 2002). All’interno di questa matrice teori-ca è centrale il bisogno di relazione dell’individuo: abbiamo bisogno di relazione, perché solo all’interno di uno stato di relazione, più o meno stabile e saldo, riusciamo a svilup-

pare un sentimento di noi stessi altrettanto stabile e coeso (Bowlby, 1989); senza questa possibilità di ordinare il mondo e noi stessi non siamo in grado di vivere, poiché vivere è conoscere e dare forma, in qualche modo, alla propria realtà. Gli essere umani riescono ad ac-quisire una conoscenza di sé solo attraverso l’interazione con gli altri significativi del proprio ambiente: il comportamento delle figure ge-nitoriali nei confronti del bambino costituisce la matrice dalla quale egli comincia a percepire e a estrar-re alcune invarianti relative al pro-prio senso di sé.La relazione viene, quindi, ricer-cata e mantenuta attraverso spe-cifiche strategie e i sintomi e i comportamenti sintomatici vanno letti entro questa cornice, come modalità volte al mantenimento di un’adeguata stabilità e coerenza del senso di sé e di uno stato mi-nimo di relazione con l’altro signi-ficativo, ripristinando lo stato per-turbato di regolazione affettiva.Alla luce della teoria dell’attacca-mento, ogni individuo si specializ-za in uno dei due domini fonda-mentali di elaborazione dell’infor-mazione, quale dominio gli garan-tisce, partendo da informazioni passate, maggiore predittività e sicurezza rispetto al futuro: secon-do un canale prevalentemente co-gnitivo (secondo il quale il sogget-to tende a gestire razionalmente le attivazioni emotive, risultando

più distaccato e difeso sul piano relazionale), oppure secondo un canale affettivo (secondo il quale il soggetto è più portato a esprime-re le proprie attivazioni emotive, prediligendo un canale di lettura delle proprie esperienze centrato sul sentire, attento alle emozio-ni altrui e modulato su queste), i quali orientano rispettivamente verso stili di attaccamento ansio-so-evitante o ansioso-resistente; più l’individuo riesce a integrare tali domini, più avrà possibilità di avere un repertorio flessibile di strategie e comportamenti a cui attingere nel far fronte alle per-turbazioni emotive che incontrerà (Crittenden, 1992, 1994, 2002). Negli adolescenti con condotte aggressive o devianti sono rintrac-ciabili deficit metacognitivi: sono bambini che non hanno potuto concedersi il “lusso” di esplorare la mente dell’altro e della menta-lizzazione e che hanno preferito affidarsi a più sicuri modelli pro-cedurali autoprotettivi. La difficoltà a mentalizzare e a ri-conoscere gli stati interni, propri e altrui, li priva del principale deter-rente della messa in atto del com-portamento aggressivo, la possi-bilità di sviluppare empatia con il dolore e la sofferenza altrui. Non riescono, cioè, a inibire l’aggressi-vità, rappresentandosi la vittima come priva di pensieri e sentimen-ti e incapace di vera sofferenza. L’assenza di preoccupazione nei

Page 10: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

18 19

confronti dell’oggetto, originata dal bisogno di cancellare la perce-zione dei pensieri e dei sentimenti del genitore, può ben spiegare la crudeltà che alcuni di questi ra-gazzi possono sviluppare. I model-li operativi di sé e dell’altro sono svuotati del significato emotivo e cognitivo, e gli atti aggressivi sono compiuti in un mondo percepito come animato, ma non umano. Quando si è privati dell’attività moderatrice esercitata dalla capa-cità riflessiva, è facile che il com-portamento possa divenire brutale e crudele (Fonagy e Target, 1998).All’interno di configurazioni difese ad alto indice, le strategie aggres-sive assumono quel ruolo di inte-grazione del Sé che normalmente è svolto dalla mutua comprensio-ne intersoggettiva: l’aggressività finisce per offrire l’unica possibile forma di gestione della relazione e una sensazione minima di conte-nimento e sicurezza, soprattutto nei momenti in cui il Sé si sente

minacciato dal dover prendere contatto con pensieri e sentimenti suoi e altrui, sui quali non è in gra-do di riflettere. Il comportamento aggressivo o deviante finisce per essere funzionalmente utilizzato come “efficace” teoria esplicativa delle proprie dolorose vicissitudi-ni relazionali, come spiegazione minimamente accettabile della percepita mancanza di reciprocità od ostilità avvertita nell’altro si-gnificativo. Nelle configurazioni coercitive ad alto indice, l’aggressività è dramma-ticamente ostentata, con l’esibizione di una facciata invulnerabile e sfron-tata, al fine di esercitare un control-lo attivo e costante nella relazione, spesso con uno stile da incolpatore lamentoso, giocato in attribuzione esterna, con la consistente difficol-tà a decentrarsi e a capire il punto di vista dell’altro, le sue emozioni e opinioni, rimanendo rigidamen-te fermi sul proprio punto di vista (Lambruschi, 2004).

Orizzonti nuovi

Giuseppe Lavenia*

Una delle caratteristiche comuni alle vecchie e nuove dipendenze è sicuramente l’alterazione del vissu-to temporale. La “distorsione del tempo” prodotta in particolare dal-le chat è un elemento fondamentale per comprendere le dinamiche lega-te alla dipendenza da Internet.In una chat la comunicazione pos-siede un’interattività che la rende assimilabile alle altre modalità di co-municazione verbale. Non a caso si dice che la comunicazione avviene “in tempo reale”, dando a intendere che si possa considerare come uni-tà di misura del tempo il volume di informazioni scambiate, come av-viene in una qualsiasi conversazione orale. In realtà la chat, nonostante l’interattività, è comunque molto più lenta di una conversazione ver-bale, per cui per scambiarsi lo stesso volume di informazioni è necessario un tempo significativamente maggiore di quanto ce ne vorrebbe se la comunica-zione avvenisse a voce.

Questo però non viene percepito durante la connessione alla chat, ma solo dopo, quando ci si accorge di essere rimasti collegati più tempo di quel che ci si era prefissati.Nella grande rete il tempo scorre ve-loce senza che ce ne possiamo ren-dere conto, persi nelle sue infinite maglie. Non è infatti solo la chat a produrre questo fenomeno, ma tut-ta la struttura del net. Basti pensare all’elemento fondamentale della rete, l’ipertesto, ovvero la serie infinita di collegamenti che ci portano di pa-gina in pagina sempre più lontano da dove eravamo partiti, alla ricerca continua di informazioni che non bastano mai. Non dimentichiamo-ci inoltre dei numerosi giochi e ap-plicazioni basati sulla connettività a internet, siano essi utilizzati nel mo-dello tradizionale del computer fis-so (monitor-tastiera) che nei nuovi

dispositivi portatili (iPhone). Perdere il senso del tem-

po in questo labirinto è molto facile, e chiun-

* Psicologo Psicoterapeuta, Consigliere Tesoriere

tempo, percezione, sé e identità nella grande rete

Page 11: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

20 21

que si sia collegato almeno una volta ne ha fatto esperienza.Legata al fenomeno della distorsio-ne del tempo è la problematica psi-copatologica dell’alterazione spazio temporale, che si verifica nel sogget-to che resta connesso alla rete per molte ore, addirittura giorni. Alcuni pazienti vanno incontro a un’altera-zione del ritmo sonno-veglia e a veri e propri stati deliranti in rapporto al costante utilizzo di Internet.Stati di coscienza alterati, quali de-personalizzazione e derealizzazione, possono anche essere prodotti dalle particolari esperienze sensoriali che avvengono nella rete. La percezione è infatti sicuramente un altro ele-mento da tenere in considerazione per capire i rischi psicopatologici di internet: se da un lato le esperienze sensoriali sono limitate, dall’altro il soggetto subisce un bombardamento di stimoli, colori e suoni, che si suc-cedono a una velocità incalzante, a cui la mente umana non è abituata. Il paradosso della grande rete è che si può avere la sensazione di correre e volare in un MUD (gioco di ruo-lo), plasmare oggetti, viaggiare, senza spostarsi di un millimetro dalla pro-pria sedia di fronte al computer.L’utilizzo della rete e delle varie ap-plicazioni è inoltre in grado di de-terminare un ampliamento e una errata percezione dei confini del Sé. Preso nel vortice dei rapporti sociali online, il soggetto tenta di dividere la sua limitata attenzione, concedendo frammenti di coscienza a ogni cosa

o persona che richieda il suo tempo. Nel farlo, rischia di perdersi nella rete labirintica di connessioni mute-voli e temporanee in cui tutti ormai siamo sempre più integrati. Inoltre, la mancanza di una reale presenza fi-sica e l’impossibilità di poter accede-re a tutta una serie di messaggi non verbali ai quali siamo abituati nelle relazioni interpersonali, diminuisce la possibilità di accesso a tutta una serie d’informazioni fondamentali nell’interazione tra due individui.Il rischio è quello della frammenta-zione dell’identità. Oggi sappiamo che l’identità non è un costrutto monolitico: ogni giorno tutti noi in-dossiamo maschere e impersoniamo ruoli diversi senza che questo abbia nulla di patologico. Nella vita reale però la presenza fisica, la stabilità dei contesti, le aspettative degli altri, li-mitano il numero di ruoli possibili.Inoltre, nella vita “reale” ogni ruolo è giocato in un tempo e una situa-zione precisi, e non viene usato con-temporaneamente a un altro: basti pensare alla curiosa situazione di imbarazzo che può capitare quando ci ritroviamo assieme a due persone che ci conoscono per aspetti diver-si della nostra vita che non sono in contatto tra di loro, descritta in ma-niera egregia da Pirandello in Uno Nessuno Centomila. Nella rete, però, il numero di identità che si posso-no assumere è infinito, e si possono giocare contemporaneamente: un utente può chattare nello stesso mo-mento con diverse persone usando

con ognuna una identità diversa, dotata di genere sessuale, età, estra-zione sociale diversi, cosa impossibi-le, ovviamente, nella realtà.Questo può portare a una fram-mentazione dell’identità, a una perdita della coscienza unitaria di se stessi, se non addirittura della realtà stessa. Gergen scrive: “Que-sta frammentazione della percezio-ne di sé corrisponde a una molte-plicità di relazioni incoerenti e fra loro sconnesse. Queste relazioni ci spingono in una miriade di direzio-ni, invitandoci a interpretare una varietà di ruoli tale da far sfumare il concetto stesso di séautentico, dota-to di caratteristiche conoscibili. Il sé completamente saturato diventa un non sé” (Gergen, 1990).D’altra parte, la sperimentazione di tante diverse parti della propria identità può essere percepita come un’espansione del sé, rappresen-tando un esperienza assimilabile a quella di talune sostanze psicotrope, talmente gratificante da essere con-tinuamente ricercata dal soggetto. Questi fenomeni sono alla base di sensazioni d’onnipotenza e ai vis-suti di depersonalizzazione spesso descritti nelle situazioni di grave intossicazione da Internet.Prima di spingerci nella trattazio-ne delle psicopatologie da internet, ritengo utile esporre il modello di sviluppo telematico (G. Lavenia, 2004), ovvero il percorso evolutivo che l’utente neofita segue per ad-dentrarsi nella nuova realtà. È im-

portante precisare che non si tratta di un percorso verso la patologia, ma di una evoluzione comune a tutti i fruitori di internet. Dalle ricerche effettuate sono emerse prevalente-mente due fasi di sviluppo comuni a tutti gli utenti telematici, la prima definita di Osservazione e Ricerca e la seconda Relazionale-Comunicativa.La prima fase è suddivisa a sua volta in due stadi, ovvero due pas-saggi cruciali denominati stadio os-servativo e stadio d’attivazione. Lo stadio osservativo è quello ini-ziale dell’utente che per la prima volta si affaccia al mondo di inter-net. I sentimenti prevalenti di que-sta scoperta sono di curiosità, paura e insicurezza; la persona è spaventa-ta dal rischio di cadere nelle famose infinite trappole della rete di cui ha sentito spesso parlare (virus, dialer, ecc.) siano esse veritiere o leggen-de metropolitane. L’utente rimane così quasi bloccato in una fase di stand-by, combattuto tra la curiosi-tà e la paura dell’ignoto. In questo stadio, il soggetto osserva la nuova realtà impegnandosi ad apprendere il maggior numero di informazio-ni al fine di raggiungere un livello di conoscenza sufficiente a sentir-si all’altezza della situazione, ade-guato al sistema. Il passaggio allo stadio successivo avviene quando l’utente raggiunge quella percezio-ne di sicurezza che possiamo deno-minare “web-base sicura”, facendo un parallelo col modello evolutivo del bambino della Mahler. Nello

Page 12: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

22 23

stadio dell’attivazione il soggetto fi-nalmente si sente in grado di met-tere in pratica le conoscenze acqui-site, senza la paura di commettere errori che potrebbero mandare in tilt il computer (ricordo la sensa-zione di panico provata – ormai molti anni fa – la prima volta che inavvertitamente ho cliccato il ta-sto destro del mouse e sono apparse “misteriosamente” scritte mai viste prima!). Ecco allora che l’utente ricerca attivamente nuovi servizi e applicazioni da sperimentare, ve-nendo continuamente stimolato da tre diverse aree:1. Web (motori di ricerca, banner, ecc.);2. Stimoli ambientali (amici, pub-blicità, lavoro, ecc.);3. Motivazioni intrinseche (ricerca di informazioni in base ai propri interessi personali).Nonostante questa fase sia caratte-rizzata in parte da una partecipazio-ne attiva del soggetto, quest’ultimo si muove comunque in un ambien-te statico, progettato da altri, in cui l’unica cosa che si può fare è richie-dere al sistema risposte a domande ed esigenze. L’utente si trova a os-servare e vivere in un mondo pen-sato da altri in cui il soggetto non è altro che uno spettatore passivo. La fase attuale mostra un rapporto di tipo esclusivo “uomo-macchina” in cui non c’è spazio per la creati-vità e lo spirito “produttivo” che contraddistingue l’essere umano. Probabilmente è per questo mo-

tivo che l’utente passa molto rapi-damente alla fase Relazionale-Co-municativa. È in questa, infatti, che finalmente il soggetto scopre di non essere solo, incontra l’altro, ha con-ferma dell’esistenza della comunità virtuale, a cui anche lui ora appar-tiene. Fino a questo momento, pur sapendo dell’esistenza di milioni di utenti connessi alla rete, egli non ne aveva constatato la presenza; ora, invece, tramite le applicazioni per eccellenza di questa fase (forum, chat, newsgroup, blog, ecc.) il sog-getto interagisce con gli altri. Un caso a parte è rappresentato dai social network, nei quali la propria identità deve essere dichiarata. Ciò rende impossibile inventarsi una seconda personalità o dichiarare cose non vere che verrebbero subi-to scoperte dagli amici reali presen-ti nel social network.Se da un lato, dunque, questa situa-zione scoraggia o rende complicato l’utilizzo di una falsa identità e ren-de l’utilizzo di internet più vicino alla realtà poiché si ritrovano amici e persone che si conoscono, d’altro canto proprio la presenza di cono-scenti rende l’approccio a internet, alla chat, al “sistema” molto più fa-cile e rilassante. Ciò che comunque appare fonda-mentale in questa fase è comuni-care, sperimentare il linguaggio recentemente appreso e privo dei limiti spazio-temporali della vita “reale”. Non importa con chi il soggetto interagisce: la rete abo-

lisce le distanze e le differenze di etnia, cultura, età, estrazione so-ciale, persino di sesso. La comu-nicazione mediata dal computer, non comportando il contatto visi-vo, allenta le inibizioni e favorisce l’apertura emotiva verso l’altro, pur essendo difficile l’espressione scritta delle emozioni. Negli ulti-mi anni si è cercato di sopperire a questa mancanza creando con-venzioni grafiche (le emoticos, o faccine), atte a completare il lin-guaggio scritto.Nella fase Relazionale-Comunica-tiva l’utente, da spettatore passivo, diventa soggetto partecipe e pro-tagonista, avviene il superamento della dicotomia uomo-macchina e si raggiunge il sistema uomo-mac-china-uomo (altro da sé): il compu-ter non è più il punto d’arrivo (ad esempio la risposta del motore di ricerca a una domanda dell’utente)

ma il mezzo attraverso cui avvie-ne l’interazione, la comunicazione mediata dalla macchina.In questa fase si possono instaurare con gli altri utenti della rete vere e proprie relazioni d’attaccamento mediate dal pc. Ma che tipo di attac-camento si può instaurare con delle presenze telematiche? Il soggetto non potrà mai avere la certezza che riconnettendosi l’altro sia ancora lì, e spesso non ha altro modo per rin-tracciarlo. L’altro significativo può scomparire per sempre da un mo-mento all’altro senza che il soggetto sappia mai il perché e che fine abbia fatto. Facendo un parallelo con la teoria dell’attaccamento possiamo presumere che in una situazione simile si sviluppi una forma di at-taccamento insicuro-ansioso, e que-sto porterebbe alla continua ricerca dell’altro, e quindi a connessioni sempre più frequenti e prolungate.

Page 13: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

24 25

Intersezioni

Silvia Vegetti Finzi*

l’uomo nuovo ha un cuore antico.il ritorno delle passioni nella tarda modernità

* Psicologa Psicoterapeuta e saggista

Per affrontare un argomento così complesso, che coincide con la sto-ria della civiltà, ho scelto di leggere un brano tratto dal racconto L’ar-tefice di Borges perché, come rico-nosce Freud, i poeti ci precedono sulla via della verità. Lo spettacolo sorprendente che Bor-ges mette in scena può essere consi-derato un’allegoria delle passioni vi-ste nel loro costante intrecciarsi con le istanze antipassionali, con le fun-zioni ordinatrici e normalizzatrici della società e della cultura. Per cui si può dire che le passioni, allo stato puro, non sono mai esistite se non nel mito e nel sogno. Eppure, con regimi diversi a seconda delle epo-che, dei luoghi e dei temperamen-ti, esse innervano da sempre la vita individuale e collettiva, lasciando dietro di sé un filo rosso a indicare la continuità nella differenza. Lettura del brano di BorgesIl luogo era la facoltà di Lettere e

Filosofia; l’ora, il crepusco-lo. Tutto (come suole

accadere nei sogni) era indistinto; le cose erano leggermente alterate e come ingrandite. Leggevamo auc-toritates... Bruscamente, ci stordì un clamore di manifestazione o di musici ambulanti. Grida umane e animali giungevano dal basso. Una voce gridò: “Vengono!”, e poi “gli dei! gli dei”. Quattro o cinque esseri uscirono dalla turba e occuparono la pedana dell’aula magna. Tutti applaudimmo, piangendo: era-no gli dei che tornavano dopo un esi-lio di secoli.Ingigantiti dalla pedana, la testa gettata all’indietro e il petto in fuori, ricevettero superbi il nostro omaggio. Uno reggeva un ramo, che senza dubbio si addiceva alla semplice botanica dei sogni; un altro, con largo gesto, pretendeva una mano che era un artiglio; una delle facce di Giano guardava con diffidenza il becco ri-curvo di Thoth. Forse eccitato dai nostri applausi, uno, non so quale, proruppe in uno strido vittorioso, incredibilmente aspro, qual-cosa tra i gargarismo e il fischio.

Le cose, da quel momento, cambia-rono. Tutto cominciò col sospetto ( che forse era eccessivo) che gli dei non sapessero parlare. Secoli di vita fuggitiva e feri-na avevano atrofizzato quello che in essi c’era di umano; la luna dell’Islam e la croce di Roma erano state impla-cabili con questi profughi. Fronti basse, denti gialli, baffi radi... e musi bestiali rendevano evidente la de-generazione della stirpe olimpica. le loro vesti non corrispondevano a una pover-tà decorosa e onesta, ma al lusso deplo-revole delle bische e dei lupanari...Bruscamente, sentimmo che giocavano l’ultima carta, che erano astuti, igno-ranti e crudeli come vecchi animali da preda e che, se ci fossimo lasciati vin-cere dalla paura o dalla compassione, evrebbero finito per distruggerci. Estraemmo pesanti rivoltelle (d’im-provviso ci furono rivoltelle nel sogno) e gioiosamente demmo morte agli dei”. Gli dei hanno rappresentato per secoli le passioni dell’umanità: l’amore, l’odio, l’ira, la gelosia, la paura, la superbia e il coraggio. La loro virtù consisteva proprio nel portare la passione sino al li-mite estremo, nel virtuosismo del-la passione. Nel mondo olimpico ogni divini-tà incarna una passione portata a compimento senza remore, dubbi, misconoscimenti: nessuno è più ira-condo di Giove, più erotico di Vene-re, più geloso di Giunone. Qui sta il senso della festa olimpica, la sua

gioiosa convivialità. Ma con i Pita-gorici prima e Platone poi, la virtù non coincide più con la capacità di esaudire il mandato passionale. Poi-ché le passioni vengono considerate eccessive, inopportune, ingestibili in un civile consesso, la virtù viene a coincidere piuttosto con le istan-ze antipulsionali, con l’adesione alle norme morali. Il mito diviene allo-ra, alla luce di uno sguardo ordi-natore, il luogo dell’immoralità. Il dispiegamento delle passioni ver-rà considerato dagli stoici il peggio-re dei mali e la virtù coinciderà con la loro negazione, nell’atarassia del saggio. Mentre la morale pagana au-spica la pratica del limite, della mo-derazione, quella cristiana propone l’ideale ascetico che, svalutando il mondo, concentra ogni passione nell’amore di Dio e nell’attesa di un’esistenza ultraterrena. Se valutiamo l’incidenza delle diver-se ingiunzioni antipassionali messe in atto nella nostra storia, dobbiamo riconoscere che l’intervento più ef-ficace è stato l’interiorizzazione dei conflitti passionali e delle norme censorie, il sequestro nella mente del potenziale destabilizzante ed eversi-vo delle passioni. La pratica plurise-colare della confessione e della peni-tenza è stata determinante in questo senso perché ha elaborato dispositivi di conoscenza e di controllo degli stati passionali che ne hanno mo-dificato l’economia. Le figure che li determinano vengono infatti in-

Page 14: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

26 27

tercettate a monte, prima della loro realizzazione, attraverso un accurato esame di coscienza delle fantasie, dei desideri, delle intenzioni, di tutte quelle rappresentazioni che danno forma e motivo all’urgenza delle pulsioni. Condannate dalla coscien-za morale, le figure della passione re-stano così prigioniere della fantasia e del sogno, mentre il loro potenziale energetico viene indirizzato verso fini socialmente valorizzati. Ma, come più tardi mostrerà la psi-coanalisi, vi è un processo antipas-sionale ancor più radicale rispetto alla condanna morale. Nella mente dell’uomo occidentale lavora infatti una continua censura che impedisce alle pulsioni, forze amorose e ostili, di oltrepassare i confini dell’incon-scio. Inibendo non solo l’azione, ma anche il pensiero, la rimozione cerca di salvaguardare la coesione e la sicurezza della società mettendo-la al riparo dalle perturbazioni dei conflitti individuali. Negate agli uomini reali, le passioni hanno trovato la massima espres-sione sulle scene del teatro tragico: Eschilo, Sofocle, Euripide e poi Shakespeare e via via sino all’opera lirica ottocentesca, l’ultima gran-de rappresentazione popolare del repertorio passionale. All’inizio del ’900, infatti, assistiamo a una improvvisa inversione: il teatro in-timistico borghese prende il posto della scena regale del teatro classi-co. I sentimenti, implosi, sussurra-ti, bloccati dall’incomunicabilità, si

sostituiscono alle grandi manifesta-zioni passionali della tradizione. Ibsen e Pirandello esprimono, con le pause, i silenzi, le grida soffocate dei loro personaggi, l’impossibilità di accogliere ed esprimere il man-dato passionale. L’incomprensione che caratterizza le relazioni tra i per-sonaggi segnala la difficoltà di con-vincere gli altri, di cambiare i rap-porti di forza, di risolvere i conflitti. Impossibilità propria di un mondo che ha perduto la dimensione co-munitaria e di soggetti che, contra-riamente alle figure regali del teatro drammatico, non detengono più il potere né sugli altri né su se stessi perché non sanno più chi sono: uno, nessuno, centomila? Come osserva Cacciari, con l’avvento del moderno sparisce la forma tragica. All’inizio del ’900, così Hofmanns-thal commenta il teatro di Ibsen: “I suoi protagonisti hanno un’esistenza spettrale, non vivono azioni, cose concrete, ma quasi esclusivamente pensieri, stati d’animo, eccitazioni. Vogliono poco, non fanno quasi nul-la. Riflettono sul pensiero, si sentono sentire, si analizzano da soli. Sono per se stessi un bel tema di declama-zione sebbene siano realmente infe-lici”. E ancora: “I drammi di Ibsen non hanno parti: hanno uomini, uo-mini vivi, uomini singolari, difficili a capirsi. Uomini di piccoli mezzi e di grandi pensieri; uomini con condi-zioni di vita di ier l’altro e problemi di doman l’altro: con un destino da giganti in una cornice di bambole”.

Eppure le passioni, seppure perse-guitate dalla morale, colpevolizzate dal diritto, controllate dall’educa-zione, curate dalla psichiatria (non a caso quella positivista contempla-va nel suo repertorio diagnostico le “sindromi passionali”) non possono essere sparite perché un potenziale passionale fa parte, in modo più o meno rilevante, della dotazione di ciascuno, del suo patrimonio emo-zionale. Mai, come quando stiamo vivendo una passione, ci sentiamo così vivi e veri e, pur soffrendo, non vorremmo non averla vissuta. Sol-tanto che nella società tardo moder-na la loro espressione si è fatta così sotterranea da richiedere, per essere stanata, l’“occhio in più della psico-analisi”. Venuta meno la dimensio-ne comunitaria della vita, svanite le forme culturali del tragico, ammu-tolito il lessico degli stati passionali, frenato l’impeto comunicativo, le passioni vivono ora nella psiche di ciascuno, nella sua interiorità. Sono per lo più passioni indivi-duali, soggettive, personali, segre-te. Come tali trovano ben poche rappresentazioni culturali, forme di condivisione, di com-passione. Eppure mi sembra di individuare, pur nella cangianza degli stati pas-sionali contemporanei, un minimo comun denominatore: la passione di sé, della propria realizzazione, della propria personale esistenza. Come racconta il mito, l’interroga-zione che Edipo rivolge ad Apollo “Chi sono io?” riguarda l’identità,

intesa come origine, biografia, ma anche come senso, scopo, fine della vita. Ciò che spinge il giovane prin-cipe a interpellare la divinità è il fat-to che sia stato messa in dubbio la sua discendenza dal Re di Corinto, di cui si crede figlio. Crolla il mon-do intero quando l’autorappresen-tazione non trova conferma. Nella Fenomenologia dello spirito Hegel mostra che il desiderio fon-damentale dell’uomo è quello di essere riconosciuto. Dato che nes-suno si identifica e si valorizza da solo, il desiderio di riconoscimen-to costituisce il motore che fonda l’apertura all’altro, che motiva la necessità di esporsi alla relazione. Chiedendo all’altro di riconoscer-mi sono costretto a riconoscerlo a mia volta, non solo come interlo-cutore, ma anche come detentore di una conferma senza la quale la mia identità si dissolve. L’identità è quindi sempre comuni-cativa, interattiva: interfaccia tra l’Io e l’altro, vive nel perenne squilibrio tra desiderio di riconoscimento e paura del disconoscimento. La fa-mosa battuta “Lei non sa chi sono io!”, pronunciata da Totò o da Al-berto Sordi, ci diverte ogni volta perché mette in scena la precarietà della nostra supponenza, l’insop-primibile dipendenza dal giudizio altrui per cui, paradossalmente, nel momento stesso in cui minacciosa-mente proclama il proprio potere, il superiore si sottopone al consenso di chi ritiene inferiore.

Page 15: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

28 29

In ogni caso, il bisogno di ricono-scimento non si appaga mai e tende anzi a espandersi progressivamente, dalla famiglia alla società e dalla società all’universalità del giudizio morale secondo la formula kantia-na: il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me. Ma, nonostante questo itinerario ideale, la domanda “Chi sono io?” si è fatta al tempo stesso straordi-nariamente urgente e particolar-mente ardua, sino a costituire un vero e proprio “stato passionale”. Urgente perché sono venuti meno gli stampi collettivi dell’identità che, sino al secolo scorso, hanno dato forma alla personalità indi-viduale. Con la caduta del muro di Berlino sono definitivamente scomparsi i partiti che hanno “in-cendiato” il novecento e appaiono ormai incenerite le loro passioni. Alludo, per utilizzare la cromografia di Remo Bodei, alle passioni “nere” del nazifascismo e alle passioni “ros-se” del socialismo e del comunismo. Passioni del passato, della nostalgia e della restaurazione le prime, pas-sioni del futuro, del compimento della storia le seconde. Dando per scontato una profonda differenza tra i due campi, mi limito a osserva-re che entrambe hanno convoglia-to in attese utopiche il patrimonio passionale di intere generazioni. Aderire alla loro ideologia signifi-cava trovare uno scopo e un senso della vita, una organizzazione, una forte appartenenza, uno stile, un les-

sico, una poetica delle passioni. La loro scomparsa lascia un vuoto che annebbia il futuro e consegna la po-litica alla pratica dell’amministrazio-ne e alla salvaguardia del consenso. Anche la fede religiosa in un futuro trascendente, in una realtà ultraterre-na, risulta quanto mai indebolita in una società sempre più secolarizzata, nonostante l’esistenza di movimenti ecclesiali d’intensa spiritualità. Inoltre, per una progressiva disgre-gazione delle forme tradizionali di convivenza, si è diluita anche l’iden-tità familiare. Nelle società premo-derne, alla domanda “Chi sei?”, si rispondeva: “Sono figlio di...”. Ciascuno trovava nel lignaggio e nella collocazione generazionale un punto di riferimento. Ora le forme familiari sono così varie e mutevoli che non possono più costituire una costellazione che indica e orienta il percorso della vita. Persino il lavoro, che nella società moderna rappre-sentava un fondamentale marcatore d’identità, sembra aver perduto la sua funzione segnaletica. Sino agli anni ’80, alla domanda “Chi sei?” si rispondeva facendo ri-ferimento alla professione: sono un operaio, un insegnante, un impiega-to, un medico, un agricoltore. Ora le forme professionali e le modalità dei rapporti di lavoro sono divenute così poliformi, precarie e sostituibili che non sono più in grado di aggan-ciare l’identità dei nuovi lavoratori. Solo pochi sono destinati a far parte di grandi istituzioni come l’azienda,

la scuola, l’ospedale. Per molti, l’at-tività lavorativa non avrà un luogo di aggregazione, frequentazioni pre-costituite, progressioni di carriera, garanzie previdenziali. La nuova economia comporta che ognuno divenga l’imprenditore di se stesso, con tutto ciò che ne deriva in ter-mini di isolamento, di mutamento, di disgregazione sociale ma anche di invenzione e di autogestione. In questi casi, le persone saranno por-tate a identificarsi e aggregarsi più in base alle passioni che alle funzio-ni. Vi saranno quelli che diventano amici perché condividono la passio-ne per i viaggi, il gusto della musica, l’interesse per la filosofia o la curiosi-tà per la cultura alternativa. Per loro, il tempo libero sarà più qualificante del tempo di lavoro. Come preve-deva Gramsci, scrivendo i Quaderni del carcere, ognuno sarà chiamato a diventare l’intellettuale di se stesso, operando scelte personali nell’ambi-to di una variegata offerta culturale. Come ultima cosa, vorrei citare le identità sessuali che, sbiaditi gli ste-reotipi tradizionali della mascolinità e della femminilità, richiedono ora una diversa, più complessa formula-zione ove ciascuno integri l’identità sessuale fondamentale con elementi di quella complementare. Nel frattempo la relazione tra i sessi si è fatta inquieta, contraddittoria, conflittuale, impegnando i partner in una riedizione dell’amore e in una ricontrattazione della vita co-mune. La felicità e l’amore sono di-

ventati temi dominanti della cultura perché al tempo stesso recepiscono aspirazioni e impossibilità. Molti malesseri della vita contemporanea (depressione, disordini alimenta-ri, malattie psicosomatiche, stati di ansia e di apatia) sono appunto da riportare alla solitudine esistenziale dell’uomo tardo-moderno che, usci-to dal guscio protettivo, anche se ta-lora oppressivo, delle identità preco-stituite, delle strutture comunitarie, si trova di fronte il difficile compito di costruirsi da sé. Un compito che spaventa perché ci commisura con tutte le nostre inca-pacità, mancanze, debolezze, priva-zioni. È più facile dire “non posso” piuttosto che “posso”, autorizzarsi da soli a esistere, a fare, a contare qualche cosa per sé e per gli altri. In assenza di una morale impositiva, si tratta di mobilitare capacità in-ventive, creative di tipo artistico, di imparare l’arte della vita anche nel senso estetico del termine. Di farsi narratori e protagonisti della pro-pria storia che, non essendo ancora scritta da nessuno, si apre dinan-zi ai più giovani come una pagina bianca, con il senso di vertigine che il vuoto comporta, con la paura, come dice Fromm, che ci fa fuggire dalla libertà. Per far questo ci vuole non solo coraggio, forza d’animo, ma anche orecchio musicale inteso come succedersi dei tempi, dei toni, delle intensità emotive. E, se non si vuole cadere nella sterilità dell’in-dividualismo narcisistico, dell’edo-

Page 16: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

30 31

nismo consumistico e dell’egoismo proprietario, occorre anche aprire le barriere dell’Io e del Mio contem-plando, accanto alla propria realiz-zazione, anche quella degli altri. Senso della giustizia quindi, consi-derata come consonanza collettiva dove l’uno e il tutto non si con-trappongono rigidamente, ma si fondono nell’armonia delle parti. Non intendo una giustizia astratta e impersonale, affidata a un utopico domani, ma come ben sanno le don-ne una giustizia quotidiana, concre-ta, utilitaristica perché è impossibile essere felici, o avere una buona vita, una vita alla quale si possa dire “sì”, senza tener conto del contesto, degli altri, delle loro necessità, dei loro de-sideri. Il termine “altri” include qui non soltanto il prossimo ma anche chi è lontano e persino chi non è ancora nato e non ha altri diretti che quelli che noi gli concediamo. I nuovi problemi, anzi i nuovi di-lemmi morali suscitati dal progresso delle biotecnologie, mettono infatti in discussione non solo la malattia, il corpo, la filiazione, la vita e la morte, ma il contratto sociale che stipuliamo tra noi e con le generazioni a venire. Molti giovani hanno capito che non esiste “io” senza “tu” e “noi” senza “voi” e affiancano alla cura di sé un investimento altruistico che va ben al di là del volontariato organizza-to, rilevabile statisticamente, perché si esprime nella capillarità della vita quotidiana: nell’aiuto a una vicina di casa sola e ammalata, a una compa-

gna di scuola in difficoltà, a un han-dicappato bisognoso di compagnia e di assistenza, a un bambino che dev’essere accudito in assenza dei ge-nitori e così via. Penso, ad esempio, alle adozioni a distanza che rivelano la capacità di coniugare vicinanza e lontananza, somiglianza e differenza, auto ed etero realizzazione. Penso alla sensibilità dei ragazzi, per l’ecologia, i problemi ambien-tali, alla consapevolezza diffusa, sin dall’infanzia, che viviamo in un eco-sistema sofferente, che deve essere sostenuto e tutelato perché la natura non è onnipotente ma ha bisogno di noi, che peraltro ne siamo parte. Penso alle passioni sorte intorno al tema epocale della globalizzazione e dell’iniqua distribuzione delle ri-sorse tra emisfero nord e sud del mondo. Passioni non più partiti-che, ma comunque politiche se si tiene conto che la “polis” ha ora una dimensione universale. Alla mondializzazione del mondo corrispondono spinte antagoni-stiche alla particolarità, alla sal-vaguardia delle identità storiche e territoriali, anche queste parimen-ti passionali perché sorgono a tu-tela dell’ “io” e del “noi” quando si sentono minacciati dall’indiffe-renza e dall’anonimia. Vorrei notare, infine, che il diffi-cile compito di articolare identità e alterità, interessi personali e ge-nerali è ostacolato da una cultura che tende alla omogeneizzazione delle differenze, al pensiero uni-

co, a un’adesione acritica a valori dati come scontati e indiscutibili. Spesso, valori che corrispondono all’opinione pubblica più diffusa, a pre-giudizi, a gradimenti irrifles-si che i sondaggi trasformano da quantitativi a qualitativi, da descrit-tivi a normativi. Ma, soprattutto, alludo all’influenza dei mass-media che in forme talora dichiarate, talo-ra subdole, manipolano l’immagi-nario, le convinzioni, i desideri dei cosiddetti utenti. È difficile, per tutti sottrarsi alle sug-gestioni della pubblicità, figurarsi per i più indifesi, come i ragazzi. La battuta “No Martini, no party”, ad esempio, non è cosi innocua come si potrebbe pensare perché so-stituisce il prodotto alla vita, come se l’essenza della festa fosse il con-sumo della merce, non il piacere di stare insieme. Merce che non viene più presentata come un’espressione dell’avere o del fare, ma dell’essere. Secondo l’antinomia “o sei così, o non esisti neppure”. Molti disagi giovanili nascono ap-punto dal divario tra il sé reale e il sé ideale, tra come sono e come vorrei essere. Per cui, inconsapevolmente, si affida al corpo – smagrito o in-grassato, trafitto dal piercing, tatua-to, colorato, tagliuzzato, esposto al pericolo e allo sballo – il compito di esprimere il malessere dell’anima. Le ultime passioni, quelle che turbano particolarmente l’opinione pubblica perché investono i più giovani – l’ira e la vergogna – hanno un cuore an-

tico perché, in modi diversi, sono ancora quelle che caratterizzavano il mondo arcaico, l’universo omerico. Chi non ricorda i versi che inaugura-no la nostra cultura: “Cantami o diva del pelide Achille l’ira funesta...”.L’ira rivolta contro di sé o contro gli altri, esprime l’incapacità di tollerare il limite, la frustrazione, il rinvio. Poi-ché si sente la tensione come intolle-rabile, la si scarica motoriamente nel gesto passionale, secondo le modalità di comportamento più immature e rudimentali, quelle del neonato che tenta, strillando e scalciando, di pro-iettare fuori di sé la sofferenza. Emerge poi, soprattutto tra gli adolescenti, la vergogna di sé, della propria esistenza, della propria inca-pacità di essere all’altezza di un ide-ale che non si sa neppure da dove provenga perché ci giunge nei modi impersonali della comunicazione mass-mediatica, che si rivolge a tutti e a nessuno, nello spazio e nel tem-po immobili e assoluti della fiaba.Di fronte a un mondo evanescente che affida all’individuo il compito di darsi forma e di narrare il pro-prio destino, vi è sempre più diffusa la tentazione di uscire dal gioco e di abbandonarsi inerti al corso de-gli eventi, senza chiedere nulla né a sé né agli altri. Vi è l’illusione che, spegnendo ogni passione, ci si met-ta al riparo dalle intemperie della vita, dai rovesci di fortuna, si eviti la paura e il dolore. Ma non è così, perché il patrimonio passionale, se non viene elaborato dal pensiero

Page 17: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

32 33

ed espresso fuori di sé, nel mondo esterno, implode nella mente dando luogo a quei sensi di noia che corri-spondono a un troppo pieno piut-tosto che a un troppo vuoto. Pieno di possibilità inespresse e inevase che si trasformano in impossibilità opa-che, pieno di sensi di onnipotenza che, essendo ingestibili, si risolvono in stati d’impotenza. Vite che, per avere tutto, si riducono a niente. Eppure la libertà che ci è concessa, dopo secoli di morale eterodiretta, di norme prescrittive, può essere considerata non una condanna o un rischio, ma una risorsa, una poten-zialità da realizzare con un buon uso delle passioni, con un’arte della vita, con originalità capacità di sottrarsi al conformismo perché, come avverte Pablo Neruda in una poesia rivolta ai giovani, ma valida per tutti: Lentamente muore chi diventa schia-vo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una pas-sione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno

sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti. Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertez-za, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ri-cordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Pablo Neruda

Il fatto

Giovanni Siena*

exodus e nuove speranze: il caso italiano. i minori stranieri non accompagnati e tratti psicologici

Negli ultimi dieci anni l’Italia è sta-ta protagonista e vittima allo stesso tempo del fenomeno “immigra-zione”. Inizialmente, il flusso mi-gratorio in Italia veniva regolato da un tacito consenso socio-politico: il lavoratore straniero prestava servizi quasi gratuitamente e senza riper-cussioni sindacali. Di fatti, è proprio in regioni come la Puglia, la Sicilia e la Campania che masse di lavoratori extracomunitari trovavano “aiuti” per lavori quasi esclusivamente agri-coli. A questo punto, l’Italia oltre a far fronte a nuove forme di tratta degli schiavi, come ad esempio il fenome-no del “caporalato”, doveva rendere conto di una nuova emergenza so-ciale mai tenuta in considerazione: i figli degli immigrati. Come sostene-va l’antropologo Emerson in seguito a ciò che era accaduto circa 40 anni fa in Francia: “Si aspettavano delle braccia e poi sono arrivate persone”. A parte il problema dell’integrazione minorile, un ulteriore disagio è stato creato dal cambiamento di flussi mi-gratori che vedevano famiglie mo-

noparentali, tendenzialmente madri con bambini a carico e minori non accompagnati. In questo senso, in Italia si notano le spaventose lacune legislative sia per quanto riguarda centri di prima e seconda accoglien-za, sia per politiche di integrazione, nonché la costruzione di struttu-re di affidamento di minori capaci almeno di riconoscere legalmente il migrante e tentare di risolvere il problema dell’integrazione lavorati-va e sociale. I rischi di tali lacune po-trebbero comportare un pericoloso vagabondaggio dei minori spesso soggetti a violenze, sfruttamento e abusi. A tal proposito, risulta fon-damentale la fase di prima accoglienza nei suoi momenti di identificazio-ne e presa in carico garanten-do i diritti f o n d a -mentali. Per que-

* Psicologo

Page 18: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

34 35

sti motivi, nel 2008 si è costituito un gruppo tecnico di lavoro presso il Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali, che ha evi-denziato la necessità di un protocol-lo da utilizzare su tutto il territorio nazionale, soprattutto nei casi in cui si rende necessario ricorrere a pro-cedure medico-scientifiche per l’ac-certamento dell’età del minore non accompagnato. Di qui, la necessità di garantire centri e comunità che offrano effettive e adeguate oppor-tunità di accoglienza in linea con gli standard minimi derivanti dalle norme di diritto nazionale e inter-nazionale in materia di infanzia e di adolescenza. Tali standard dovreb-bero garantire a ciascun minore non accompagnato l’accoglienza in un luogo sicuro, l’accesso ai beni essen-ziali e ai servizi socio-sanitari, assi-stenza legale, accesso all’istruzione, formazione professionale lavorativa, opportuna campagna di informa-zione sul proprio status, protezione da ogni forma di abbandono, abuso, sfruttamento, espletamento tempe-stivo delle procedure per la regola-zione del minore. La normativa italiana prevede che i minori in stato di abbandono non possano essere soggetti a espulsione né a misure di trattenimento presso i centri per immigrati, e qui l’obbligo di pubblici ufficiali e incaricati del servizio pubblico di informare il mi-nore intercettato sul territorio circa la facoltà di chiedere asilo assicuran-do la possibilità di essere inserito nei

relativi centri. Pertanto, ci si scontra e ci si confronta con punti critici nell’attuazione del piano di integra-zione e assistenza per i minori stra-nieri in stato di abbandono, ovvero molto spesso i minori ritrovati sul territorio italiano sono sprovvisti di documenti idonei di identificazione in grado di attestare l’età anagrafica. Al momento in Italia non esistono procedure omogenee e standardiz-zate per accertare l’età del minore migrante, né disposizioni precise atte a garantire il rispetto dei diritti dei minori, prima, durante e dopo l’accertamento. A tal proposito, di recente si stanno attivando inter-venti promossi da alcune istituzioni e associazioni finalizzate a garantire l’adozione di tali procedure. Meri-tevole di attenzione risulta a tal fine il progetto “praesidium”, che vede la partecipazione in prima linea di Save The Children, progetto nato nel 2006 per fronteggiare la dura esperienza nel Centro di soccorso e prima accoglienza (CSPA) di Lam-pedusa, luogo prioritario di sbarchi clandestini. Save The Children, in-sieme alle altre organizzazioni impe-gnate nella realizzazione del progetto praesidium, delineano i principi generali e le procedure generalmente applicabili nel processo di identifica-zione dei minori migranti. Tali prin-cipi e procedure derivano da standard internazionali e nazionali, in primis la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adole-scenza. L’obiettivo è quello di fornire

una guida chiara e sintetica a tutti gli operatori impegnati nella identifica-zione dei minori migranti, al fine di garantire il consolidamento delle ca-pacità di accoglienza dei minori, nel rispetto dei loro diritti. Tale progetto ha avuto larga eco in tutte le regioni maggiormente interessate dal feno-meno immigrazione, ivi compresa la regione Marche. Qui, infatti ci si scontra con una realtà differente ri-spetto ad altre regioni italiane, ovve-ro l’arrivo di minori via mare attra-verso le navi di linea in arrivo dalla Grecia quale mezzo di trasporto in cui potersi nascondere per giungere sulle coste italiane. Non siamo dun-que di fronte ai cosiddetti “sbarchi” mediante gommoni o pescherecci, ma all’arrivo in un porto commer-ciale di traghetti di linea che traspor-tano persone e merci, all’interno dei quali si trovano nascosti i migranti, sia in gruppo che singolarmente. Dai dati relativi ai minori collocati in pronta accoglienza nelle comu-nità delle Marche, è inoltre possi-bile affermare che, rispetto all’anno scorso, è aumentata la percentuale di arrivi sul territorio regionale (anche arrivati attraversando frontiere di-verse da quella marittima di Anco-na) di bengalesi, albanesi, nigeriani, pakistani, turchi e iracheni, mentre diminuisce quella dei senegalesi. Ma prestando attenzione ai recenti fatti di cronaca che stanno investendo l’area del Nord Africa, si delinea un quadro allarmante: la previsione di crescita esponenziale dei dati stati-

stici relativi agli ingressi clandestini che interesseranno l’intero territorio nazionale. Le stime parlano chiaro: si attendono circa 4.000 arrivi tra donne, uomini e bambini, molti dei quali non saranno “accompagnati”.

Conoscenza e supporto Uno degli aspetti da considerare in chiave dinamica durante il supporto psicologico ai MSNA è la risposta che gli stessi mettono in atto in ma-niera soggettiva, caratterizzata dalla resistenza culturale, l’assimilazione, la marginalità e la doppia etnicità come di seguito citati:La Resistenza culturale: Il termine resistenza sottolinea l’atteggiamento assunto dallo straniero nei confronti della società d’arrivo e il suo tenta-tivo di fare riferimento, prevalente-mente o esclusivamente, alla cultura e all’identità etnica originaria, fatto che determina una forte propensio-ne alla formazione di sottogruppi nei quali i momenti di scambio e confronto con l’esterno si riducono all’indispensabile. Il rischio di tale so-luzione è evidente: se non viene ade-guatamente affrontata e gestita finisce per far sentire il minore sempre e co-munque straniero nel paese d’arrivo.L’assimilazione: Il minore straniero in questo caso aderisce pienamente alla proposta identitaria della società d’arrivo e rifiuta, o meglio rinnega, la propria cultura d’origine. I van-taggi sono costituiti dalla volontà di apprendimento e adattamento al paese d’accoglienza, ma si crea una

Page 19: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

36 37

situazione per molti versi paradossa-le: da una parte, il modello culturale dominante nel paese d’immigrazio-ne è realmente percepito dal mino-re come quello vincente, e questo è quello che gli viene proposto nella sua esperienza quotidiana (scuola, televisione, etc.); dall’altra, sono pra-ticamente svanite, o non sono mai state realizzate, le procedure per una vera assimilazione. Ne consegue una discordanza tra le aspettative del mi-nore straniero e la disponibilità della società d’arrivo.La marginalità: È presentata come la condizione più frequente tra i ra-gazzi stranieri. L’identità di questi ragazzi risulta confusa, essi vivono ai margini, sia della cultura d’ori-gine, sia di quella d’arrivo, incapa-ci di proporre una reale proposta identitaria alternativa. Non sentono di appartenere ad alcuna delle due culture, collocandosi passivamente in entrambe, incapaci di sceglie-re tra l’affetto familiare e il fascino dell’emancipazione. La doppia etnicità: In genere si trat-ta di un lento, ma profondo lavoro, in cui l’identità viene formata dal continuo confronto tra i due mondi, la famiglia e la società d’arrivo, con-fronto che non comporta risoluzioni definitive o estremiste, ma un pro-cesso di selezione e adeguamento. In tal modo il minore riesce ad avere un’identità formata dall’armonizza-zione e integrazione dei valori delle due differenti culture, e soprattutto viene sviluppato un senso di duplice

appartenenza. In genere, la doppia etnicità è considerata la soluzione migliore, proprio perché permette al minore un maggiore equilibrio, nonché una maggiore capacità criti-ca, maggiore obiettività e sensibilità. Si tratta comunque di un equilibrio assai articolato che può essere realiz-zato soltanto se la società stessa ha sviluppato un’organizzazione multi-culturale (o per lo meno bi-culturale) superando anche quel razzismo isti-tuzionale assai difficile da sradicare. Pare ormai chiaro che per la buona riuscita dell’integrazione e del con-seguente benessere del minore sia necessario considerarlo come sog-getto attivo nelle relazioni, dunque porsi in una ben precisa prospetti-va teorica e pratica. Per il benessere dello stesso devono pertanto essere garantite non solo la sicurezza e la stabilità del contesto, ma anche la tutela e il rispetto della soggettivi-tà, riconoscendola e promuoven-do interventi atti a proteggerla e permetterle il pieno sviluppo, pas-sando attraverso supporti multidi-sciplinari e linee guida chiare che completano il progetti di supporto e integrazione ,nelle strutture resi-denziali di accoglienza.

(Fonti bibliografiche: Save the Children: “dossier” e “rapporto monitoraggio” MSNA via mare, Istituto di ricerca Degli Innocenti affari sociali, Rapporto 1997 sulla condizio-ne dell’infanzia e dell’adolescenza, Firenze 1997, intitolato emblematicamente “Un vol-to o una maschera” I percorsi di costruzione dell’identità)

È questo il titolo che ho scelto di dare alla giornata di presentazione del test che si è tenuta, con il pa-trocinio dell’Ordine Psicologi delle Marche, il 19-02-2011, presso la sede del nostro Ordine in Corso Stamira, 29, ad Ancona e, vista la forte adesio-ne dei colleghi, è stata ripetuta, nella medesima sede, il 12-03-2011. L’esperienza personale mi ha mostra-to come l’utilizzo di questo strumen-to, nella nostra regione, ma credo an-che fuori, divenga spesso riduttivo: i modi di somministrarlo non sono univoci e ciò influenza poi il risulta-to al test e la possibilità di raffronto e comprensione tra operatori in ambi-to sia clinico e sia, soprattutto, peri-tale. Se, rispetto alla somministrazio-ne, c’è molta confusione, ancora più difficile è trovare conformità nella correzione. Il test è apparentemente semplice e di veloce utilizzo, e molti pensano erroneamente che anche la sua correzione sia immediata e intu-itiva. Ho trovato forum in internet dove colleghi si confrontano sull’uti-lizzo del test: alcuni lo usano come

un grafico proiettivo e si limitano a una correzione che esamina il livello grafico e contenutistico; molti non sono al corrente degli ultimi progres-si apportati con il manuale del 2007 del Dott. Crisi, il quale, oltre ad ap-portare modifiche nella sommini-strazione, con l’aggiunta della Prova della Successione, rende ancor più completa e approfondita l’analisi dei risultati con l’introduzione della dif-ferenziazione degli Indici dell’Area dell’Io e di quelli dell’Area dell’Es e con l’Indice di Tensione Interiore 2, che permette poi di stilare un grafi-co con l’inquadramento diagnostico del paziente. Attualmente esistono software per la correzione sia in ambito clinico, sia di selezione o di orientamento, messi in commercio dallo stesso Istituto War-tegg di Roma: certamente strumenti utili per chi opera su grandi numeri di materiale (per chi si occupa di ri-cerca esistono software appositi che permettono di costruire un data base su tutti gli indici, o conteggi, elabo-rati), ma a chiunque voglia davvero

Lavori in corso

Francesca Ciancio*

il test di wartegg secondo il nuovo metodo di alessandro crisi. come trarne i maggiori frutti

* Psicologa Psicoterapeuta

Page 20: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

38 39

sfruttare appieno le potenzialità del test e imparare a capire i significati nascosti dietro una sigla, o ravvisare un’informazione confrontando più indici e magari differenti reattivi, consiglio di imparare a fare da solo. Inizialmente ci vorrà un pomeriggio intero per una correzione, ma poi, acquisendo dimestichezza, tutto di-verrà più veloce e intuitivo e questo diventerà uno strumento sempre più prezioso e completo.Ma cos’è il test di Wartegg per quanti non lo conoscessero? È un test grafico proiettivo di personalità, semistrutturato, ideato dallo stesso Wartegg e utilizzato con il suo me-todo soprattutto negli anni ’40-’70, metodo piuttosto complesso e con-fusivo, che viene oggi soppiantato da quello ideato dal Dott. Alessandro Crisi. Dal 1976 quest’ultimo, psi-cologo, psicoterapeuta e psicodia-gnosta, comincia a somministrarlo, lo accosta al Rorschach e ne nasce un nuovo metodo di siglatura e in-terpretazione, metodo che si perfe-ziona nel tempo grazie a un’ampia campionatura sia sull’età evolutiva (grazie al lavoro svolto presso l’Isti-tuto di Ortofonologia di Roma dal 1993 a oggi), sia nell’ambito della selezione e dell’orientamento (spe-rimentazione presso l’Accademia navale di Livorno nel 1999, nella Marina Militare 2001-2004, e anche nell’Esercito e nella Polizia di Stato). Nel 1999 nasce L’Istituto Italiano Wartegg a Roma a opera dello stesso Dott. Crisi.

Attualmente il test, oltre che in Ita-lia, è molto utilizzato nei paesi este-ri, prima la Finlandia; ma non esiste un solo test di Wartegg, non un solo metodo di somministrazione e cor-rezione, nemmeno un unico tipo di griglia di somministrazione. Lossen e Scott nel 1975 ne elencano sette, il modulo Wartegg che noi utilizziamo è quello della O.S. che presenta otto riquadri uguali posti su due file da quattro, contenenti ognuno un pic-colo stimolo grafico nero su sfondo bianco che il paziente si appresterà a “completare”: i riquadri sono nu-merati da 1 ad 8 e hanno un’ampia bordatura nera.Il test nasce sulla base dell’“Ipotesi proiettiva” di D. Rapaport: “Tutte le manifestazioni del comporta-mento umano, dalle meno alle più significative, rivelano ed esprimo-no la personalità del soggetto, cioè il principio individuale di cui egli è portatore” (Rapaport, 1977). Nel completare gli stimoli semi-strutturati di ogni riquadro, il sog-getto può attingere a vari processi di risposta, da quello puramente per-cettivo (legato alle leggi della perce-zione visiva e a quelle della gestalt), a quello associativo più o meno riferi-to ad aspetti personali: egli dunque potrà esternalizzare una situazione più o meno conflittuale cosciente o preconscia, o proiettare impulsi, sentimenti e affetti, cioè dinamiche psicoaffettive inconsce. Per primo Wartegg parlò del carat-tere di universalità dei segni riportati

nella griglia, essi sarebbero capaci di evocare in ognuno di noi lo stesso ge-nere di rappresentazioni, sarebbero, in termini Junghiani, da considerarsi simboli archetipici. Ispirandosi allo stesso concetto, il Dott. Crisi intro-durrà uno degli elementi di siglatura più importanti e innovativi del test: il Carattere Evocativo dei riquadri. Crisi, accostando la somministra-zione del Wartegg a quella del Ror-schach, farà anche un’altra impor-tante scoperta: è possibile abbinare tavole del secondo e riquadri del primo e dire dunque che ogni riqua-dro del Wartegg indaga una specifi-ca area psichica del soggetto (l’Io, il rapporto con il femminile/materno, quello con l’autorità/il maschile, la capacità di gestire le energie sia libi-diche sia aggressive, l’esame di realtà, l’adattamento sociale). La lettura del test avviene a più livelli e tramite più parametri, con l’utilizzo di un’atten-ta siglatura, che è il primo e più im-portante passo per una corretta va-lutazione. Il test è Junghiano e certo conoscere la teoria dei complessi, il concetto di archetipo o di inconscio personale o collettivo ci può portare a leggere in modo più approfondi-to il materiale emergente, ma non bisogna essere per forza analisti per utilizzare lo strumento o per arrivare all’inquadramento diagnostico. Chi conosce e utilizza il Rorschach tro-verà varie similitudini sia nell’uso di alcuni indici di siglatura, sia nel pos-sibile parallelismo tra tavole del pri-mo e riquadri del Wartegg, ma anche

l’utilizzo dalla Wais o del test grafico della Figura Umana, solo per dirne alcuni, può essere importante per uno studio della concordanza degli indici. Pochi sanno, ad esempio, che pur non essendo un test cognitivo, il Wartegg ci può dare un’idea del livello intellettivo del soggetto.Naturalmente, come ogni test, an-che il Wartegg va utilizzato all’inter-no di una batteria per una valuta-zione più attenta e sicura. La forma che useremo per la clinica prevede una somministrazione individuale, richiede con il paziente una decina di minuti, prevede, dopo la sommi-nistrazione della griglia, un’inchiesta e una breve prova (non sempre ne-cessaria) detta “della Successione”; esiste poi la versione per la sommi-nistrazione collettiva, utilizzata in ambito di selezione e orientamento, e per lo screening scolastico; il me-todo di somministrazione varia un poco, il tempo utile per il comple-tamento della prova è di 20 minuti circa in questo caso.Per chi si accosta all’apprendimen-to del test, le prime nozioni di si-glatura e stesura degli indici sono importanti, ma il lavoro maggiore viene in seguito: sul campo sorgo-no dubbi e domande, ciò che pri-ma sembrava semplice e intuitivo diviene meno immediato; è qui che scopriamo l’importanza e la sag-gezza di saper leggere ogni singola informazione in relazione al nostro paziente e alle altre prove che que-sti ha svolto con noi.

Page 21: rivista dell’ordine degli psicologi delle · PDF fileIl test di Wartegg secondo il nuovo metodo di Alessandro Crisi. Come trarne i maggiori frutti di Francesca Ciancio 37 ... come

40

In fondo

Marco Massacesi*

Pensieri

Chiusi in una gabbia di dita,moderni demoni,reliquie di ieri,scorrono,riflessi in un vortice di parole silentiassolate d’ estati.Vuote di paura,chiuse all’amore,sbarrano il visorighe salate che puntano a sud

Bolle

Particelle di sognodai piccoli occhi sospintesi stringono a pugnorisate distinteclessidre di un tempo sospesotra corse infinite di fiato amati dal palmo proteso

le urla del gioco echeggiato

Fantasie

Figure ondulatesinuose insinuazionivisioni profumatefiammate di emozionibramate, sentite,amatesolo immaginate

Vento

Folata improvvisaspazza impetuosa la testa chinatageometriche nuvole si levano in voloe tra lo stupore e le righescopro un fiore appiattito.Rinasce, in una goccia salata

Dove sei

Passi piegatidallo smarrimentodi flebili selciati,movimento irraggiungibile di sguardi ormai sbiaditisorrisi volatiliaggraziati temporalidi ricordi frastornati* Psicologa Psicoterapeuta,

Consigliere

in fondo... sono solo parole

Ne scorrono fiumi su tanti strumen-ti per poterle scambiare sempre più velocemente. Le parole si scrivono e si lanciano in rete in “tempo reale” ma a volte, forse, ne servirebbero davvero poche. Scritte su un foglio, con una vecchia stilografica, che sci-

vola sulla carta lasciando traccia del fremito di un pensiero in un leggero movimento. Parole messe insieme dal fluire di un’emozione per poter fermare, per regalare sensazioni e ciò che è racchiuso negli angoli più pro-fondi della nostra anima.