ÖKK Dossier 1/2009 i

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TEMA: RETI Contadini dal cervello fino _ Donne d’affari in rete _ Instantanea di un tessitore di reti DOSSIER P E R A Z I E N D E N. 1 Aprile 2009

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Reti: Contadini dal cervello fino, Donne d’affari in rete, Instantanea di un tessitore di reti

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TeMA: reTIContadini dal cervello fino _ Donne d’affari in rete _ Instantanea di un tessitore di reti

DOSSIERP e R A Z I e N D e

N. 1 Aprile 2009

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In rete e per la reteUna rete ha due funzioni: collegare i suoi componenti e sostenerli. Noi esseri umani viviamo nelle reti e sopravviviamo con esse, nella vita privata come in quella professionale. L’economia ad esempio si è sviluppata fino a diventare un’unica rete mondiale, nella quale siamo inseriti come acquirenti o ven-ditori, come imprenditori o dipendenti. E anche le aziende sono collegate le une alle altre, mediante le relazioni clienti-fornitori, come pure tramite le cooperazioni. Che il tutto possa avere anche conseguenze negative, lo stiamo vivendo sulla nostra pelle proprio in questo periodo, considerato l’effetto domino senza precedenti che ha sconvolto le regole dell’economia mondiale. Per la prima volta, la rete globale mostra il suo lato negativo in tutta la sua inte-rezza, perché tutti sono stati colpiti dalla recessione. Ma al tempo stesso anche il suo aspetto positivo, perché si sta combattendo la recessione a livello globale. Le reti uniscono, le reti aiutano. Ci troviamo in una rete e dun-que diamole il nostro contributo. E un giorno, forse, saremo ben felici di poter approfittare anche noi dell’aiuto degli altri presenti in rete. Ecco allora che la rete ci aiuta nelle difficoltà. In rete e per la rete, per così dire. La più recente pubblicazione di ÖKK fa sua questa rif lessione e la sviluppa. Le diamo il nostro cordiale benvenuto nella cerchia dei lettori di ÖKK Dossier, che due volte l’anno si rivolgerà ai clienti aziendali. Per proporre diversi modelli, esempi che mostrano come operano le altre aziende. Affinché possiamo tutti imparare gli uni dagli altri. Per il nostro contributo alla rete. E anche per l’aiuto che ci viene dalla rete.

Peter Werder

Editoriale ÖKK Dossier

Impressum ÖKK Dossier _ rivista semestrale per clienti aziendali ÖKK _ Anno 1_ 1/2009 TIraTura 14’000 edITore ÖKK, Bahnhofstrasse 9, 7302 Landquart, Tel. 058 456 10 10, [email protected] caporedaTTore Peter Werder redazIone Brand Affairs AG _ Bernhard Widmer _ Christoph Kohler collaborazIone redazIo- nale Fadrina Arpagaus _ Felix Müller _ Florian Leu _ Daniel Zumoberhaus FoTo Gian Marco Castelberg _ Daniel Winkler _ Ona Pinkus dIrezIone arTIsTIca Advico Young & Rubicam _Sandra Hofacker TraduzIone e revIsIone Luisiana Luzii _ Philip Stalder sTampa gdz AG

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06 Contadini: l’unione fa la forza Un contadino ha il trattore, l’altro no. Scambio di macchine agricole e servizi tra i contadini della Surselva.

12 Donne d’affari in SvizzeraCome procurarsi contatti durante un aperitivo di lavoro a Zurigo? La nostra giornalista Fadrina Arpagaus ci ha provato.

18 Vnà: come un villaggio diventa albergo L’idea dell’Hotel Vnà ha riscosso un grande successo: il nostro giornalista Florian Leu ha individuato i limiti della rete.

24 La Ferrovia ReticaMette in collegamento persone e rende possibili contatti: dalla A come Alpe Grüm, alla Z come Zernez: la Ferrovia Retica, un cliente aziendale di ÖKK.

Indice ÖKK Dossier

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30 ÖKK

30 Intervista

32 Il caso Infortunio: il difficile rientro al lavoro

46 Ritratto clienti Da PMI a PMI – Michael Mathis di netzwerk.ch

36 SeRvICe

36 Curiosità

37 Il libro «Als Firma auf- oder abtreten» [Apparire e scomparire come aziende] di Hans-Peter Rest

38 Indagine La crisi ci fa ammalare?

40 Sani sul posto di lavoro Sullo scivolo all’ora di pranzo:

da Google Zurigo 44 Il numero giusto

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Jürg Grob di Ilanz cerca di costituire la rete dei contadini nella Surselva.

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07 Tema ÖKK Dossier

la furbizia del contadino è proverbiale. ma se fosse per Jürg Grob del maschinenring surselva, un consorzio per l’uso di macchine agricole, i contadini potrebbero farsi ancora più furbi. se solo fossero più capaci a mettersi in rete. Tre esempi.

TeSTO: Christoph Kohler __ FOTO: Gian Marco Castelberg

Contadino dal cervello fino cerca rete

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JürG Grob (52) – mr. maschInenrInG

La Surselva è ancora sepolta di neve. Ma con i primi tepori della primavera, i terreni risorgono dal gelo: ed è allora che arrivano Jürg Grob e Ernst Hänny a seminare il grano nei campi. Dieci anni fa i due soci di una co-munità di aziende agricole hanno acquistato per 35’000 franchi una seminatrice a sei file con microgranulatore. Un investimento assurdo se rapportato ai pochi campi di mais che i due coltivano. Ma Hänny e Grob sono riusciti a guardare oltre il recinto della loro fattoria e hanno inizia-to ad offrire ad altri agricoltori la seminatrice, con tanto di guidatore, a 91 franchi l’ettaro. Attualmente sono circa 75 gli ettari di terreno che i due seminano ogni anno per conto di terzi: quasi tutti i campi di mais della Surserva insomma. La seminatrice è quindi ammortizzata da tem-po. E i coltivatori di mais della regione sono ben felici di

poter fare a meno di una seminatrice nel proprio parco veicoli.

L’esperienza di Grob, amministratore del Maschinen-ring Surselva, è un esempio di ciò che ogni Maschinen-ring in Germania, Austria e Svizzera vuole perseguire: la costituzione di reti regionali di agricoltori per lo scambio di macchine e manodopera. Hänny e Grob, ad esempio, tramite Maschinenring ogni anno affittano a terzi trat-tori, macchine speciali e servizi, per un valore di circa 40’000 franchi; a loro volta essi stessi usufruiscono di macchine e servizi di altri agricoltori per circa 30’000 franchi. Grazie alla collaborazione, spiega Grob, la forza delle aziende è aumentata. «Forza» è la sua parola prefe-rita, e suona impressionante sulla bocca di questo gigante barbuto. L’idea di fondo è semplice, ma di vitale impor-tanza per l’agricoltura: accrescere l’efficienza. Tramite il Maschinenring sono state organizzate intere catene di insilamento, dalla mietitura con i più moderni macchina-ri all’insilamento in rotoballe sigillate. Picchi di lavoro e notti insonni sono diventate un lontano ricordo per i con-tadini, così come i parchi macchine inutilmente stipati. In teoria. Già, perché nella realtà meno di un agricoltore su cinque nei Grigioni è socio di un Maschinenring.

Quindi Grob persevera instancabile nelle sue formu-lazioni ipotetiche. Secondo le sue stime, il valore a nuovo di tutte le macchine agricole della Surselva si aggira at-torno ai 50 milioni di franchi. Se gli agricoltori riducesse-ro il loro parco macchine solo del 10 % e ricorressero alle macchine di altri agricoltori, si otterrebbe un risparmio di 5 milioni di franchi. Poi Grob si batte il dito indi-ce sulla tempia. «Il problema sta nelle teste» commenta. Per molti contadini possedere un grande trattore è una questione d’onore. «Ma un trattore non fa parte della famiglia, non è nemmeno un qualcosa di vivo, come una mucca», aggiunge. E conclude dicendo di non essere un gran pensatore, ma di avere abbastanza sale in zucca da capire che una macchina deve rendere.

lureGn proJer (39) – Il sIGnore delle roToballe

Una rotoballa qua, un’altra là. Le rotoballe di insilato si trovano sparse in tutta la Surselva. A volte le vediamo ammucchiate al margine della strada, altre volte impilate contro il muro di una casa. È così anche in Val Lumnezia, la soleggiata valle che si apre a sud di Ilanz. Qui, quasi ogni rotoballa è passata dalla pressa e dall’avvolgitore di Luregn Projer. Projer è un agricoltore con 40 ettari

Tema ÖKK Dossier

Il Maschinenring

L’idea del Maschinenring è semplice. Poiché per le picco-le e medie aziende agricole non vale la pena attrezzare un parco macchine completo, queste aziende si riuniscono in una rete con lo scopo di offrire, usufruire e scambiarsi a vicenda macchine e servizi. I conti vengono fatti in base a protocolli e tariffari raccomandati da uffici federali neu-trali, che si possono consultare e prenotare su Internet > www.maschinenring.ch Il primo Maschinenring è stato fondato nel 1958 in Ba-viera. Oggi, oltre il 50 % di tutti gli agricoltori tedeschi e austriaci sono soci di un Maschinenring, contro il 15 % dei Grigioni. Ma la tendenza è in crescita: il Maschinenring Surselva, dalla sua fondazione nel 1992, ha visto aumen-tare il suo fatturato da 50’000 franchi a 850’000 franchi annui e conta attualmente 141 soci. Il finanziamento dei Maschinenring si basa sui contributi dei soci e su una commissione di mediazione dell’1 %, che sale al 7 % per i servizi ai non associati. Dal 2008 l’associazione di vertice del Maschinenring nei Grigioni ha una propria amministra-trice a tempo pieno, che coopera alla gestione dei cinque Maschinenring del Cantone. In particolare si vuole puntare a rendere la rete del Maschinenring sempre più attraente per soggetti terzi, ovvero per comuni e aziende private.

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Luregn Projer di Vella è contadino, ma trova a malapena il tempo di occuparsi della sua fattoria.

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Senza la rete del Maschinenring Mario Bühler non sarebbe un contadino.

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di terreno, ma in realtà è soprattutto un imprenditore a ingaggio, che si fa pagare un tanto all’ora o all’ettaro per i suoi servizi e l’uso delle sue macchine. «Papi, Papi», gridano le due bambine che saltellano su un trampolino nella fattoria di Projer, a Vella. Ed ecco Papi spuntare a bordo di uno scoppiettante trattore Hür-limann da 100 cavalli con tanto di cisterna dei liquami. Forse le bambine sono così felici perché sono rari i mo-menti in cui vedono il loro papà. Projer, così si mormora in valle, all’inizio non aveva quasi nulla. Ora sulla sua tenuta ci sono una casa di soli tre anni e una stalla di sei anni, con dentro un gran bel trattore, una rotopressa Krone F125 XC del valore di 65’000 franchi e un avvolgitore. Per mettere su tutto questo, Projer si è coperto di debiti. Ora, in estate, sgobba fino a 18 ore al giorno e insieme a un socio pressa e avvolge una rotoballa dopo l’altra. Quest’anno ha superato le 4000 unità, un record. A fine anno avrà passato sul trattore più di 600 ore e fatturato 100’000 franchi ad altri agricoltori. Perciò tiene sempre a portata di mano il blocco delle fatture del Maschinen-ring. In estate, quando i suoi 90 vitelloni sono in alpeg-gio, nella sua fattoria non c’è quasi anima viva. Non si sentono mucche muggire, né galli cantare e tanto meno cani abbaiare. Solo le figlie che saltellano sul trampoli-no. E anche quando in autunno, inverno e primavera i vitelloni sono nella stalla, non si mungono mai. «Solo allevamento» sottolinea Projer. A lui, così spesso in giro a lavorare per altri agricoltori, non interessa altro. In tal modo guadagna moneta contante e riduce i debiti. Prima o poi, «magari tra dieci anni», quando il peso dei debiti non sarà più così gravoso, spera di avere più tempo per la moglie, i figli e la sua fattoria. Fino a quel momento con-tinuerà a passare le sue estati in Val Lumnezia, pressando e avvolgendo una rotoballa dopo l’altra.

marIo bühler (35) – l’aGrIcolTore senza TraTTore

A differenza dei suoi colleghi Grob e Projer, Mario Bühler non lascia alcuna traccia visibile nella Surselva, a prescindere dai 17 vitelli che vende ogni anno. Il tempo di lavorare per altri agricoltori Bühler non ce l’ha, con il Maschinenring non guadagna praticamente nulla. Al contrario, ricorre ogni anno ai servizi e alle macchine del Maschinenring per un valore di 7000 franchi. Un bilan-cio del Maschinenring per così dire negativo, che sembra

procedere brillantemente. Anche se la stalla della fattoria «Starpunz» è vecchia, la casa accanto è nuova e di lusso: 180 mq di superficie, facciata in legno di abete chiaro ed enormi finestre, da cui lo sguardo si apre verso valle, fino alla fattoria dei Grob.

Solo 17 sono gli ettari di terreno che Bühler possie-de, insieme a 17 vacche nutrici e 17 vitelli. Il suo parco macchine consiste in una malandata falciatrice a due assi e una semplice motofalciatrice. Non possiede né un trat-tore né un autocarro. Ma d’altra parte Bühler non ha praticamente bisogno di macchine proprie, perché c’è il Maschinenring. «Senza il Maschinenring sarebbe im-possibile portare avanti un’azienda agricola così come la conduco io», ammette il bel giovanotto. È consapevole che con un’azienda di quelle dimensioni, qualsiasi inve-stimento in macchine agricole sarebbe un’assurdità dal punto di vista economico. Non per niente Bühler lavora part-time, all’80 %, come consulente di aziende agrico-le per il Canton Grigioni. Nessuno meglio di lui, che ha passato al vaglio un numero sconfinato di fatture, sa quanto spende un agricoltore della zona in macchinari. In base ai suoi calcoli, i costi per ettaro da lui sostenuti in un anno sono la metà rispetto a quelli che gravano sugli agricoltori normalmente meccanizzati. E tuttavia la sua azienda agricola «Starpunz» rende. Meno macchine, più animali, questo è il suo motto. «Io e la mia ragazza amia-mo il lavoro con gli animali», dice. Al mattino presto, quando i suoi colleghi di ufficio dormono ancora, lui è già tra le sue mucche e i suoi vitelli, cui fa visita anche la sera, quando torna a casa dall’ufficio. Ma allora esistono ancora i contadini per passione, che sanno fare i conti.

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Take away

1 Lo scambio di macchine e servizi riduce i costi del singolo.

2 Nei Grigioni il 15 % dei contadini aderisce a un Maschinenring, all’estero si arriva al 50 %. In Svizzera il potenziale della rete non è sfruttato abbastanza.

3 Meno macchine, più animali: grazie a un buon collega- mento in rete e a un intelligente modello gestionale è possibile fare i contadini come secondo lavoro.

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Quando le donne fanno squadra

per avere un ruolo di primo piano nell’economia svizzera servono contatti. Gli uomini attingono in tal senso al servizio militare e ai colleghi attivi nei vari consigli amministrativi. anche le donne hanno reti proprie, di cui approfittano anche gli uomini. una visita presso swiss business women.

TeSTO: Fadrina Arpagaus __ FOTO: Ona Pinkus

«Senti, qui ci si da del tu» precisa Ricarda Harris, CEO di Swiss Business Woman, prima di prendersi un bicchiere di vino dal buffet all’After Work Apéro a Zurigo, sa-lutando gli ospiti che iniziano ad arrivare e presentandomi di volta in volta a coloro che si avvicinano. Nessuna traccia di rigidi tailleur pantalone color grigio scuro o di facce serie: dappertutto donne di buon umore, eloquenti e sicure di sé.

Il ritratto della socia di Swiss Business Woman è il seguente: donna impegnata nella vita professionale e, nella maggior parte dei casi, con una posizione di quadro. L’associa-zione Swiss Business Woman è una rete di

imprenditrici e manager. In poche parole: donne con funzioni direttive. Dalla sua fon-dazione, nel 1999, l’associazione si è affer-mata in Svizzera come piattaforma di net-working, mentoring – ovvero il trasferimento mirato di conoscenze da persone esperte a persone non esperte – e relazioni pubbliche. Si tratta di una piattaforma per donne che si muovono tra economia e politica. Vi sono anche parecchi volti noti tra le donne atti-ve nel settore dell’economia: la Consigliera agli Stati PS Anita Fetz, la Direttrice della Cassa pensioni Energie, Clivia Koch, o, an-cora, la Presidente del Gruppo Müller-Möhl, Carolina Müller-Möhl. Non mancano anche

Mette in contatto donne d’affari, senza dimenticarsi degli uo-mini: Ricarda Harris.

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«Il patrimonio rappresentato dall’esperienza di noi donne d’affari ha un valore enorme. Se ci aiutiamo a vicenda, possiamo avvantaggiarci l’un l’altra.»

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RICARDA HARRIS, CEO DI SWISS BUSINESS WOMAN

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donne di potere non propriamente famose, che dirigono una PMI o che hanno creato dal nulla una piccola impresa. Attualmente l’as-sociazione conta 600 socie individuali e 40 aziende di illustre profilo come UBS, Credit Suisse, ABB, Swisscom, Swiss Re.

In genere le signore si incontrano per un aperitivo dopo il lavoro o per il business lunch in ambienti raffinati a Berna, Basilea, Lucerna, Aarau o Zugo. Stavolta il comitato organizzativo zurighese ha pensato a qualco-sa di davvero particolare: l’aperitivo del mese è stato organizzato nell’oreficeria della dise-gnatrice nonché donna d’affari Tamara Loo-sli, nientemeno che sul Limmatquai zurighe-se. Spumante, gioielli e business women: un cocktail più che azzeccato.

«Ci si da del tu» e ci provo. Non sembrano inquietanti, queste signore tra i 35 e 45 anni, ben vestite, con un velo leggero di trucco, impegnate in vivaci conversazioni. Non ho il coraggio di addentrarmi al centro della stan-za, dove impera il gruppo che conversa più animatamente, ma ecco che un’avvocatessa che gironzola da sola accetta di chiacchierare con me. Il mio secondo tentativo mi trova già più tranquilla. Faccio incetta di bigliet-ti da visita, tipico gesto del networking, che però padroneggio solo a metà: infatti io, il biglietto da visita, non ce l’ho. Tipico errore da matricola.

rendersI vIsIbIlI

«Le donne d’affari fungono da apripista», afferma Ricarda Harris. Il primo obiettivo dell’associazione è promuovere le donne. «Ci

sono così tante donne dotate di talento e colte, che però nessuno conosce». I problemi sono noti: non ci sono abbastanza donne nei qua-dri direttivi e nei consigli d’amministrazione. Non è un fatto di mancanza di talento o di formazione. «Le donne hanno semplicemen-te meno contatti degli uomini e stanno mal-volentieri al centro della scena. In tal modo, vengono spesso sorpassate quando c’è da ri-coprire una posizione direttiva.» Per arrivare al successo, oltre all’originalità, all’apertura mentale e alla passione per il lavoro, ci vuole anche un cambiamento di mentalità. «Potere e consapevolezza non sono difetti: questo, le donne, devono metterselo bene in testa. L’es-senziale» ribadisce Ricarda Harris, «rimane comunque la padronanza del networking, il know-how dei contatti commerciali: ogni donna deve sapersi destreggiare in questo ambito, se vuole arrivare in alto.»

scambIo dI esperIenze

Per acquisire disinvoltura nel networking, eventi come aperitivi, dibattiti serali, wor-kshop o cene rappresentano, per le donne d’affari, occasioni da non perdere. Per molte donne presentarsi a tali eventi non significa tornarsene a casa piene di incarichi: sono più importanti gli scambi di esperienze, i contat-ti personali e – dopo qualche tempo – persi-no le amicizie. «Il patrimonio rappresentato dall’esperienza di noi donne d’affari ha un valore enorme. Se ci aiutiamo a vicenda, pos-siamo avvantaggiarci l’un l’altra», spiega la Harris.

Kathrin Grüneis, Manager Relazioni di clientela e socia di Swiss Business Woman.

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«Potere e consapevolezza non sono difetti: questo, le donne, devono metterselo bene in testa.»

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RICARDA HARRIS, CEO DI SWISS BUSINESS WOMAN

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Lodevole è il fatto che nessuna donna nutra sentimenti negativi verso lo stile manageria-le degli uomini. Al contrario. Una dirigente attiva nell’ambito della comunicazione ri-tiene di aver «imparato che donne e uomini possono collaborare molto bene in posizioni direttive, attingendo alle loro qualità speci-fiche e lasciandole conf luire». E una giovane imprenditrice scuote nervosamente la testa. «Ho frequentato numerosi seminari e wor-kshop, dove si spiegava come mai le donne hanno meno successo degli uomini. Non ho più voglia di sentirmelo ripetere. Per uomini e donne vale: agire, agire, agire.» Così come hanno fatto loro, in questa bella compagnia.

sTIlI manaGerIalI varIeGaTI

Di fatto le donne d’affari ricercano la colla-borazione con gli uomini. «Ai nostri business day gli uomini rappresentano il 20 – 30 % delle presenze. Ho la sensazione che i nostri eventi stiano diventando lentamente un mer-cato di partner» commenta Ricarda Harris con un sorriso compiaciuto. Più seriamente, fondamentale per le donne d’affari è, oltre a una maggiore visibilità, una migliore consa-pevolezza della diversità dello stile di lavoro e di gestione. Le donne si lasciano spesso guidare da altri valori rispetto agli uomini e puntano sulla responsabilità sociale, sulla comunicazione e sulla gerarchia orizzontale. Comunque, a prescindere se uomo o donna, qualità differenti non possono che far bene all’economia svizzera.

Il fatto che quasi neanche un’invitata dia un’occhiata ai gioielli esposti non sem-

bra irritare Tamara Loosli. E dopo un bre-ve discorsetto, ecco che la padrona di casa fa riecheggiare una domanda nella stanza: «Mio marito e io abbiamo tre figli, ma nes-suno vuole occuparsi dell’oreficeria. Forse interessa a qualcuno di voi?». Così funziona il networking, e ora comincio anche a diver-tirmi. Al mio terzo approccio sono molto più rilassata. Alla mia domanda: «Posso presen-tarmi?» risponde subito un coro di donne: «Volentieri!». La porta per entrare nel mondo dell’economia sembra spalancata. E quando alla fine della serata saluto, ecco persino una donna che mi rincorre: «Potrei conoscerla, prima che se ne vada?».

> www.wirtschaftsfrauen.ch

Tema ÖKK Dossier

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Take away

1 Le donne in posizioni direttive sono rare, perché hanno meno contatti degli uomini.

2 Le qualità direttive di uomini e donne sono differenti. Se abbinate, spesso diventano imbattibili.

3 Donne, fatevi una rete di contatti, senza però escludere gli uomini.

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La piazza del paese con lo scorcio della Val Sinestra.> Sulle facciate di ogni abitazione ci sono insegne in romancio.>

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Hotel Vnà: le frontiere della rete locale

I promotori del progetto «un villaggio diventa albergo» intendono contrastare con la loro idea l’emigrazione e la recessione a vnà, villaggio della bassa engadina. l’esempio di vnà mette in luce le opportunità, ma anche le difficoltà della rete locale.

TeSTO: Florian Leu __ FOTO: Daniel Winkler

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Prima di ristrutturare un edificio fatiscente di Vnà e trasformarlo in un albergo, i promoto-ri dell’iniziativa della fondazione «Fundaziun Vnà» hanno pubblicato un bell’opuscolo per rac-cogliere denaro. L’idea era la seguente: rimettere a nuovo l’ex Hotel Piz Tschütta, che prima del-la ristrutturazione di turisti ne vedeva davvero pochi. Gli ospiti si recano nel nuovo locale per assaggiare piatti cucinati esclusivamente con in-gredienti dalla regione e nel negozio dell’albergo hanno la possibilità di acquistare tipici prodotti del luogo quali oggetti intagliati, lana, cappel-li di feltro e copriuova. I turisti pernottano poi nell’edificio centrale o in uno dei suoi satelliti: camere ristrutturate nelle case private degli abi-tanti del villaggio. Ai promotori non restava che dare un nome ad effetto all’iniziativa e così è nato lo slogan: «Un villaggio diventa albergo». Il pro-getto è immediatamente decollato, soprattutto a livello finanziario. I fondi raccolti hanno toccato i due milioni di franchi, di cui 250’000 franchi provenienti dall’Aiuto Svizzero ai Montanari. E così, il 1° maggio 2008, la porta intagliata a mano dell’albergo si è aperta per accogliere i primi visitatori, e di sera le luci dell’edificio han-no finalmente illuminato la piazza del villaggio, che per anni aveva vissuto nell’oscurità. Urezza Famos, imprenditrice e promotrice principale del progetto, ostentava a giusta ragione il proprio orgoglio. Tuttavia, circa sei mesi dopo, i primi abitanti del luogo cominciavano a girare al largo dell’albergo. Tra di essi c’è Nino Casura, un con-tadino con delle striature rosse sulle mani e una sigaretta tra le labbra. Seduto a un tavolo della pensione Arina si lamenta del fatto che l’albergo sia troppo chic e quindi anche troppo caro per i suoi gusti. Con i suoi pantaloni macchiati non osa più sedersi al tavolo riservato ai clienti abi-tuali, il suo tavolo. Inoltre, i titolari dell’albergo avevano fatto promesse che poi non hanno man-tenuto. Gli autoctoni continuavano ad aspettare impazienti che il negozio dell’albergo esponesse i prodotti locali per i quali erano stati stanziati

fondi provenienti appunto dall’Aiuto Svizzero ai Montanari.

prospeTTIve a conFronTo

Sono numerose le persone la cui attività è in qualche modo connessa all’albergo Vnà. Willi Joos, per esempio, vi vende le sue mini sculture di legno, una contadina smercia le sue torte alle noci e un’altro contadino lo rifornisce di carne di vitello. Poi c’è una contadina che si occupa di pulire le stanze, un’altra è attiva nel servizio mentre suo figlio fa il lavapiatti in cucina. Se-condo Luzius Wasescha, ambasciatore svizzero presso l’Organizzazione mondiale del commer-cio (WTO), Vnà potrebbe essere un modello da imitare per l’intera regione alpina. Secondo Wasescha, i Paesi dell’arco alpino dovrebbero sviluppare dei marchi per tutelare e commer-cializzare meglio i propri prodotti. Dovrebbero imparare a puntare tutto sulla produzione e il know how degli autoctoni e sulle potenzialità della rete locale. Proprio quello che fa l’Hotel Piz Tschütta: a tavola vengono proposti carne secca dei Grigioni e birra dal villaggio vicino. Le carote vengono raccolte nei campi a valle mentre il tè proviene dall’Alta Engadina. E da ultimo il cicchetto di grappa, prodotta da una distilleria nelle vicinanze.

L’altra faccia della medaglia è però raccontata da Chasper Mischol, conducente dell’autoposta-le, che quando si reca a Vnà non può evitare di ascoltare i commenti dei suoi passeggeri. Voci che discutono dell’albergo. Oltre 200 articoli sono stati pubblicati nei giornali per decantarne l’unicità e il fatto che dia lavoro ad un intero villaggio trasformandolo in un’impresa. Proprio recentemente, l’albergo è stato persino insignito di un premio per la sostenibilità. Chasper Mi-schol svolta verso il paese e l’autopostale comin-cia a sobbalzare sul selciato. Il suo bus fa tappa a Vnà ogni ora e uno sciame di turisti si riversa

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Urezza Famos, promotrice del progetto Hotel Vnà. Alla ristrutturazione hanno dato una mano anche artigiani tedeschi.

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Willi Joos vende nel suo negozio e nell’hotel Piz Tschütta i suoi lavori artigianali, come gli uccelli in legno visibili sopra la vetrina.

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sulla piazzetta del villaggio accompagnato dal picchiettio dei bastoni da montagna. Gli ospiti raggiungono l’Hotel Piz Tschütta, camminano su scricchiolanti pavimenti in legno, accarez-zano pareti bianche come la neve e più tardi, al calar della sera, dormono avvolti in lenzuola che vengono lavate quotidianamente. Non san-no però che sono stati dei manovali tedeschi a levigare i pavimenti, nonostante la manodopera locale fosse disponibile ad assumere l’incarico. Sebbene alcuni artigiani locali si fossero detti interessati, le pareti dell’albergo sono state fatte imbiancare da una ditta di Baden. In paese non mancherebbe la possibilità di far lavare la bian-cheria, ma questa viene inviata a Samedan, a 40 chilometri di distanza. Anche Monica Mayer, una contadina di Vnà, non le manda a dire. Nella luce soffusa del suo soggiorno elogia lo spirito d’iniziativa e la tenacia di Urezza Famos, ma allo stesso tempo aggiunge che affittare la sua stan-za tramite l’albergo è meno redditizio che farlo a livello privato. Quando riceve ospiti tramite l’albergo, questi non si trattengono più di 2 o 3 notti e hanno però la pretesa di veder pulita la stanza tutti i giorni. E per quanto riguarda il suo bestiame, preferisce rivolgersi a un grossista: non le ruba tempo inutile, paga meglio e non c’è biso-gno di negoziare. Nessuno dei turisti condotti a Vnà da Chasper Mischol è al corrente di questa situazione. Ma lui lo sa. E proprio per questo ha deciso di abbandonare la fondazione «Fundaziun Vnà», patrocinatrice del progetto.

I lImITI della reTe locale

Urezza Famos conosce la situazione e sa quali siano i limiti della rete artigianale disponibile in paese. Infatti, per i complicati e dispendio-si lavori di costruzione ha dovuto far ricorso a manodopera esterna. Agli artigiani autoctoni manca semplicemente il know how necessario. Spesso gli abitanti di Vnà faticano a capire che

per certi progetti è necessario ricorrere a denaro e manodopera da fuori. «Altrimenti non avrem-mo potuto ristrutturare l’edificio come abbiamo fatto: ovvero in modo del tutto ecologico. E non saremmo mai riusciti a raccogliere i mezzi fi-nanziari necessari». Tutto ciò risulta evidente nel momento in cui il turista si ferma ad ammirare l’albergo: qui si incontrano tradizione e moder-nità, ma anche manodopera locale e interregio-nale. Per il tanto ambito progetto del negozio mancano ancora 40’000 franchi, afferma Ureza Famos. Le critiche? Forse cesseranno non appe-na il negozio avrà aperto.

La notte cala su Vnà di colpo, come se qual-cuno avesse spento la luce. Alcuni lampioni ri-schiarano il villaggio a intermittenza, mentre tra un lampione e l’altro si brancola nel buio. Non c’è anima viva sulla piazzetta del villaggio, illu-minata dal chiarore dell’albergo. Una donna del posto commenta: «Forse il progetto non è per-fetto, ma perlomeno le luci alle finestre hanno ripreso a brillare».

> www.hotelvna.ch

Tema ÖKK Dossier

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Take away

1 Le reti non si formano a tavolino soltanto. Devono anche crescere armoniosamente. e per questo ci vuole pazienza da parte dei componenti.

2 Le reti locali possono intersecarsi con reti regionali o reti ancora più grandi. Per così dire, la rete nella rete nella rete ...

3 Una rete dovrebbe essere aperta, ma talvolta è anche limitata. Non sempre le reti produ- cono solo vincitori, possono produrre anche perdenti.

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La Ferrovia Retica

Il successo di una ferrovia in rete

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TeSTO: Felix Müller __ FOTO: Ferrovia Retica, Coira

La Ferrovia Retica (RhB) mette in collegamento persone e rende possibili contatti: dalla A come Alpe Grüm, alla Z come Zernez. I suoi treni percorrono una rete ferro-viaria di 384 chilometri e attraversano 582 ponti e 114 gallerie. Là dove le rotaie convergono, sorgono importan-ti punti nodali: Coira, Landquart, Reichenau, Disentis, Filisur, Samedan, Scuol e Tirano; in quest’ultima località la Ferrovia Retica incontra la ferrovia italiana.

Affinché gli abitanti dei Grigioni possano fare pie-no affidamento sui trasporti pubblici, la Ferrovia Reti-ca s’inoltra nelle valli più remote, collegandole al vasto mondo circostante. Essendo la più grande ferrovia privata della Svizzera, rappresenta un elemento trainante del-la rete nazionale dei trasporti. Il collegamento alla rete della Ferrovia Retica è assicurato dalle Ferrovie federali FFS con la linea a scartamento normale fino a Coira. E quando i trenini rossi della RhB non possono proseguire oltre nelle valli o la salita si fa troppo ripida, subentra la rete di autopostali, corriere e funicolari.

una reTe varIa

L’uomo che organizza questa rete di treni e autopostali per la Ferrovia Retica si chiama Marco Margadant. È responsabile della pianificazione e del controllo delle reti e, quindi, anche dell’orario. «Siamo collegati in una rete molto varia» afferma l’uomo che da tanti anni lavora nella Ferrovia Retica. La rete inizia dal Servizio di trasporti

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pubblici del Cantone dei Grigioni, passa per i presidenti delle regioni interessate dall’orario e le FFS, fino ad ar-rivare a imprese partner come Stadtbus Chur, Engadin Bus, AutoPostale Svizzera SA e la Ferrovia Cervino-Gottardo.

Margadant, assieme ai suoi collaboratori, non solo redige l’orario della Ferrovia Retica ma deve controllare anche che ad esso ci si attenga quotidianamente. Il suo team dispone dei diversi tipi di vagoni e locomotive ed è responsabile dell’impiego di macchinisti e accompagna-tori. «In tale ambito di competenza, la rete interna dei rispettivi superiori e dei rappresentanti del personale è molto importante» dice Margadant.

Chi crede che le responsabilità legate alla rete della Ferrovia Retica si esauriscano qui, si sbaglia di grosso. Peider Härtli, responsabile delle comunicazioni della più grande ferrovia svizzera a scartamento ridotto, snocciola una sequela di variazioni sul tema: «Rete informatica,

rete internazionale, rete dei giornalisti, rete turistica, rete politica! Niente male, vero?». Härtli spiega inoltre che la Ferrovia Retica, per via del suo compito in ambito pub-blico e del suo orientamento verso i servizi, è collegata meglio rispetto a tante altre imprese – e deve esserlo - per poter erogare i propri servizi e avere successo. «Siamo pur sempre una delle arterie principali dei Grigioni» com-menta.

Per Erwin Rutishauser, presidente della direzione della Ferrovia Retica, avere reti che funzionano a dovere è un elemento da non sottovalutare quando si parla del successo di un’azienda: «Siamo attivi su diversi mercati e dobbiamo conquistare una buona posizione: in tal senso, anche i contatti regolari con le diverse istituzioni gio-cano un loro ruolo.» Come esempi Rutishauser cita gli operatori turistici, le organizzazioni turistiche nazionali e internazionali, gli hotel, i direttori di uffici turistici e i responsabili di altre imprese di trasporti. Per lui, inol-

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tre, sono importanti le buone relazioni con i Comuni dei Grigioni e con i proprietari (i due proprietari principali della Ferrovia Retica sono il Cantone dei Grigioni, con il 51,3 percento, e la Confederazione svizzera, con il 43,1 percento) e con le parti sociali.

Nel Cantone dei Grigioni, la Ferrovia Retica dispone di una rete sociale ed economica molto estesa. Ne fan-no parte le diverse organizzazioni turistiche, le aziende dell’indotto, i fornitori di servizi come ÖKK (con la quale la Ferrovia Retica vanta una valida cooperazione) e infine anche tutti gli abitanti dei Grigioni che usano regolar-mente la ferrovia. La RhB rappresenta dunque una delle colonne portanti dell’eterogenea rete dei Grigioni. Che si tratti di un abitante romancio della Surselva, di un poschiavino di lingua italiana o di un coirese di lingua tedesca, vale quanto segue: la Ferrovia Retica è a dispo-sizione di tutti e collega aree culturali e zone linguistiche diverse. E questo diventa ancora più evidente in inverno, quando per i valligiani, spesso, gli unici collegamenti sono i treni che attraversano le gallerie dell’Albula e del Vereina o ancora il Passo del Bernina.

Per il personale della Ferrovia Retica è importante lo scambio di opinioni con i responsabili delle altre ferro-vie private svizzere. Con una di queste, la Ferrovia del Cervino-Gottardo, la RhB gestisce da anni il Glacier Express da Zermatt fino a St. Moritz, uno dei marchi più affermati dei Grigioni e, assieme al Bernina Express, il suo treno più famoso.

Patrimonio mondiale dell’UneSCo «Cooperazione» è una parola che si sente ripetere spes-so nel cantone montano e alla RhB. «Insieme andiamo avanti» dice Peider Härtli ai giornalisti, con i quali ha sovente a che fare assieme ai suoi colleghi di Svizzera Turismo, Graubünden Ferien o Chur Tourismus. Molti produttori di media di tutto il pianeta conoscono Härtli da anni e così si è creata una rete globale. Che ora gli tor-na utile. Da quando l’UNESCO, nel luglio 2008, ha am-messo le linee Albula e Bernina nella lista del patrimonio mondiale, Härtli usa l’inglese molto più di quanto abbia mai fatto sinora. A inizio settembre la Ferrovia Retica, assieme a Svizzera Turismo, ha portato 200 giornalisti del settore turistico internazionale sul Passo del Bernina, sull’Alpe Grüm e nella Valle dell’Albula. E nelle due set-timane dopo che si è saputo della consegna del marchio

Signor rutishauser, lei è un networker?Lavorare in rete rientra tra i requisiti di qualsiasi funzione direttiva. In un contesto economico sempre più complesso, le reti ci aiutano a collocare le informazioni in nostro possesso nel posto giusto e al momento giusto, nell’interesse dell’impresa. In questo senso sono senz’altro un networker.

Ci può fornire un esempio concreto di rete?Io, ad esempio, tramite il collegamento in rete intrattengo stretti rapporti di lavoro con i miei colleghi delle altre ferrovie private e anche delle FFS. Questi contatti mi aiutano a valutare i nuovi sviluppi e a tenermi informa-to su diverse questioni. Altro esempio: curo molto i contatti con Svizzera Turismo, Grau-bünden Ferien und Destinationen, ma anche con Güterkunden, per poter attraverso questi tastare il polso del mercato.

la rete non è semplicemente un altro modo di chiamare il clientelismo?Clientelismo significa che qualcuno riceve un trattamento privilegiato unicamente perché co-nosce qualcuno. Questo c’era forse un tempo. Ma oggi, nel mio ambito, non funziona più così. In primo piano c’è sempre la cosa che insieme dobbiamo portare al successo. Ovviamente da una rete nascono contatti personali, che posso-no favorire un ulteriore sviluppo. Ma è l’obiettivo aziendale che rimane decisivo.

Intervista con Erwin Rutishauser, Presidente della direzione RhB

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Tema ÖKK Dossier

alla Ferrovia Retica a inizio luglio, nei media svizzeri sono apparsi più di 500 articoli sulla RhB.

Come titolare del marchio «Patrimonio mondia-le dell’UNESCO», la Ferrovia Retica, con le sue tratte dell’Albula e del Bernina, uniche per tecnica e archi-tettura ferroviaria, fa parte di quella rete di monumenti incomparabili dal nome celeberrimo come le Piramidi egizie o la Grande Muraglia cinese. Rutishauser e la sua équipe sono orgogliosi di questo successo e si aspettano che generi una maggiore considerazione sui mercati esteri in crescita, come ad esempio su quello asiatico. Sanno che far parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO signi-fica anche assumersi una responsabilità. Da un lato, la ferrovia vorrebbe far conoscere e vivere l’eredità ai suoi viaggiatori e alla popolazione locale. E in tal senso con il passaporto del patrimonio mondiale dell’UNESCO propone una prima offerta molto attraente. Dall’altro bisogna avere cura che l’opera pionieristica degli antena-ti sia rispettata. «Il paesaggio montuoso unico, le tratte ferroviarie e la cultura della regione vanno protetti e pre-servati» precisa Peider Härtli.

Nell’ambito dei festeggiamenti per l’ammissione al patrimonio mondiale dell’UNESCO, la Ferrovia Retica ha riunito tutte le sue reti in una festa grandiosa: durante

la fine settimana di metà settembre, circa 20’000 tra sviz-zeri e italiani hanno festeggiato assieme alla Ferrovia Re-tica. Alla cerimonia ufficiale della consegna del marchio svoltasi a Samedan hanno presenziato l’ambasciatore ita-liano in Svizzera e l’ambasciatore UNESCO della Con-federazione. Erano presenti anche i rappresentanti della provincia italiana di Sondrio, il consigliere del governo cantonale grigione Hansjörg Trachsel, i parlamentari fe-derali e i deputati al Gran Consiglio del cantone monta-no; il tutto seguito da giornalisti svizzeri ed esteri.

Per Erwin Rutishauser è chiaro che la Ferrovia Reti-ca deve il suo grande successo da un lato al genio delle tecnica ferroviaria degli antenati e al grande lavoro dei suoi predecessori, dall’altro al lavoro di rete: «Abbiamo ricevuto il marchio perché come Ferrovia Retica e come Cantone siamo riusciti a convincere della cosa comune tanta gente nei Grigioni, in Svizzera e nel mondo.»

> www.rhb.ch

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Intervista ÖKK Dossier

ÖKK è conosciuta come assicurazione malattie per privati. Come si presenta la situazione dell’offerta assicurativa per le imprese?ÖKK offre alle aziende un’ampia gamma di soluzioni assicu-rative individuali. Essa comprende l’assicurazione contro la perdita di guadagno (indennità giornaliera), l’assicurazione contro gli infortuni, la previdenza professionale (LPP) e la protezione assicurativa nei viaggi d’affari. Inoltre, agli eserci-zi stagionali (alberghi, imprese edili e così via) che impiega-

no personale a titolo provvisorio offriamo comode soluzioni d’incasso collettivo nell’assicurazione obbligatoria di base.

esiste un profilo del cliente aziendale ÖKK?Sì e no: i nostri clienti aziendali sono soprattutto PMI da 2 a 50 dipendenti. Nella maggior parte dei casi, prediligiamo il diretto contatto con la titolare o il titolare, che si occupa poi di gestire personalmente le questioni assicurative. Op-pure facciamo riferimento al broker, che a sua volta assiste il

« L’assicurazione d’indennità giornaliera protegge le aziende e i suoi collaboratori»

reto Giovanoli, responsabile Clienti aziendali presso ÖKK, ci spiega cosa deve tener presente un’azienda in materia di assicurazioni.

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cliente di persona. I settori che ci vedono impegnati sono di-sparati: a seconda della regione, contiamo più aziende attive nella gastronomia e nel turismo, come ad esempio in Engadi-na, o piccole industrie e fornitori di servizi negli agglomerati urbani. Oltre alle PMI, tra la nostra clientela annoveriamo però anche grandi imprese molto conosciute con più di 500 dipendenti.

Quali sono i rischi per un’impresa che non stipula un’assicurazione d’indennità giornaliera per malattia?Dal momento che l’impresa non sa quanti collaboratori si possono ammalare, non può nemmeno stimare l’entità della somma totale per i versamenti continuati dello stipendio. Se invece ha stipulato un’assicurazione indennità giornaliera, versa esclusivamente i premi previsti e conosce in anticipo le sue uscite.

Quali sono invece i rischi a cui va incontro il collaboratore di un’impresa non assicurata per indennità giornaliera?Se un collaboratore è inabile al lavoro a medio o lungo termi-ne, potrebbe verificarsi una lacuna tra il termine dell’obbligo del versamento continuato dello stipendio da parte del da-tore di lavoro e la corresponsione di rendite o prestazioni AI o LPP, assicurazione la cui copertura diviene effettiva non prima di un anno. Tale lacuna può creare diverse difficoltà al collaboratore interessato.

Una piccola impresa è in grado di sostenere adeguata-mente l’eventuale lunga assenza di un suo collaboratore?No. Ma proprio per questo esiste il Case management. In caso di assenze prolungate sosteniamo il datore di lavoro e, mediante misure mirate, accompagniamo il collaboratore interessato verso un graduale rientro al lavoro.

Quanto costa un Case manager? Si tratta di una prestazione già inclusa nei premi?Questo servizio è già incluso nei premi e garantisce vantaggi a tutte le parti in causa: per il dipendente, a cui si offre un supporto attivo durante il processo di guarigione e reinte-grazione; per il datore di lavoro, che può contare su assenze malattia più brevi; per ÖKK, poiché le prestazioni di norma diminuiscono.

Quali sono le lacune assicurative più comuni per le imprese?Spesso le imprese stipulano un’assicurazione in un determi-nato periodo, senza tornare a verificarne la polizza succes-sivamente. Spesso si sviluppano poi in modo molto positivo, assumono nuovo personale e versano salari più elevati. E si dimenticano di adeguare la protezione assicurativa. Per esempio, l’assicurazione contro gli infortuni LAINF garan-tisce una copertura salariale fino a 126’000 franchi l’anno. Per la maggior parte delle imprese, questo importo è suf-ficiente solo all’inizio. Passato qualche anno può diventare necessario aumentare questa cifra e per fare ciò è richie-sta l’assicurazione complementare. Le assicurazioni dunque vanno verificate con il consulente alla clientela e adeguate allo sviluppo dell’impresa.

i rischi assicurativi variano a seconda della dimensione dell’impresa? Una piccola impresa con cinque dipendenti è paragonabile a una ditta con 50 collaboratori?Dal nostro punto di vista i rischi di una piccola impresa sono sostanzialmente gli stessi di quelli di un’impresa più gran-de, poiché uguali sono le esigenze. Tuttavia, per una piccola impresa è molto importante garantirsi una buona copertura dei rischi, poiché la perdita di un collaboratore incide mag-giormente. Ciò riguarda l’aspetto finanziario, ovvero i costi salariali. Ad essi si aggiungono i costi indiretti derivanti dalla perdita di un collaboratore, come l’inserimento di un sosti-tuto all’altezza, che una ditta è costretta a sostenere poiché non assicurabili.

ÖKK collabora con associazioni di categoria? Se sì, quali e secondo quale principio?Sì, le associazioni con le quali collaboriamo sono diverse. Attualmente lavoriamo fianco a fianco di associazioni can-tonali o nazionali nel settore gastronomico, alberghiero e formativo, ma anche nel settore dell’industria metalmecca-nica, elettronica e metallurgica. In queste collaborazioni è di fondamentale importanza la comunicazione in seno all’as-sociazione, affinché i membri della stessa siano almeno al corrente delle offerte a loro disposizione. Questo genere di partenariati consente di valutare i rischi legati ad un settore nella loro totalità e di offrire di conseguenza attraenti premi ai soci. Inoltre, tramite corsi di formazione e scambi di espe-rienze siamo in grado di sostenere ulteriormente i membri delle varie associazioni.

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«Semplicemente, adoro lavorare»

Un anno e mezzo fa, Claudia Hasler (46) ha subito un trauma da colpo di frusta. Oggi è già tornata al lavoro. Questo lo deve ai medici e ai terapisti, al suo datore di lavoro, a ÖKK, ma soprattutto, lo deve a se stessa.

TESTO: Christoph Kohler __ FOTO: Daniel Winkler

Il caso ÖKK Dossier

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Claudia Hasler sulla terrazza dell’Ospedale cantonale di San Gallo, dov’è tornata a lavorare.

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Il destino quel giorno correva su quattro ruote, travol-gendola alle spalle. Claudia Hasler non poté scorgere quello che vide suo marito nello specchietto retrovisore: una Honda CRX rossa lanciata verso la loro auto ferma, senza alcun accenno a voler frenare. Al momento dello schianto, prima dell’entrata nella rotonda di Kreuzlingen in direzione di Arbon, lui riuscì ad aggrapparsi al volante. Era il 1° settembre 2007.

Nessuno era rimasto ferito pensò Claudia Hasler. Anzi, si diede subito da fare per ammucchiare i rotta-mi sparsi dall’incidente tutt’attorno. Fino a quando un passante la notò e le si avvicinò, facendole chiaramente capire che era meglio si mettesse a sedere. L’uomo aveva avuto modo di osservare la dinamica dell’incidente e ave-va appunto visto come la testa della donna fosse balzata dapprima all’indietro, quindi in avanti e poi nuovamente all’indietro. Gli era sembrata una marionetta.

Claudia Hasler era andata a Kreuzlingen a fare shop-ping con suo marito. Quel sabato mattina il sole splen-deva, la zona pedonale pullulava di gente e c’era un an-dirivieni vivacissimo. Solo persone con in mano borse della spesa e gelati. Una mattinata più che piacevole. Le piaceva tutto questo, prima infatti c’era sempre qualcosa da fare, come nel suo lavoro, impiegata amministrativa presso l’Ospedale cantonale di San Gallo: rispondere a 150 chiamate al giorno, dare indicazioni, scambiare in-formazioni con i colleghi, registrare i pazienti in entrata, congedare i pazienti in uscita, inviare e distribuire la po-sta per tutto l’ospedale … un piacevole caos!

diaGnoSi SConCertante

Tre mesi dopo l’incidente, Claudia Hasler era ben felice di poter tornare per qualche minuto a far la spesa. Non il sabato, nel cuore di Kreuzlingen, ma il martedì, alla Migros di Arbon, avvinghiata al carrello. Oggi, a un anno dall’incidente, può tornare a svolgere il suo lavoro. Il percorso è stato lungo e faticoso.

Dopo l’incidente, Claudia Hasler si recò come di con-sueto al lavoro. Ma subito si accorse che qualcosa non andava: aveva le vertigini, era come se si trovasse su di una barca. Tutto attorno a lei sembrava rovesciarsi in

continuazione da sinistra a destra. Si sedette. Si rialzò … per sedersi di nuovo. Il suo superiore la rispedì a casa con l’imperativo categorico di farsi visitare da un medico.

Le radiografie all’altezza della colonna vertebrale cer-vicale rilevarono chiaramente, così come chiari erano i sintomi, una cervicalgia da contraccolpo. La dottoressa della Hasler aggrottò la fronte, mettendola in malat-tia provvisoriamente per due mesi. Solo allora Claudia Hasler cominciò ad afferrare la gravità del suo infortu-nio. Da quel momento dovette sottoporsi tutti i giorni a trattamenti di fisioterapia e, più tardi, a una terapia craniosacrale. Era continuamente stanca, svogliata, una volta rischiò addirittura di cadere dalla bicicletta. «Ho sempre vissuto senza risparmiare alcuno sforzo e improv-visamente mi sono ritrovata a dover dosare le energie», afferma ripensando a quei momenti.

ÖKK SoStiene il reinSerimento

Tornare alla vita di prima, al «prima» dell’incidente: a sostenere Claudia Hasler in questo obiettivo saranno la

Il caso ÖKK Dossier

Cos’è il colpo di frusta?

Il colpo di frusta cervicale – o «trauma distorsivo del rachide cervicale» o «cervicalgia da contraccolpo» – è una patolo-gia traumatica provocata meccanicamente da un’iperesten-sione del collo, seguita da un’iperflessione compressiva, associata o meno ad un movimento di inclinazione laterale o di rotazione. I sintomi più frequenti di un colpo di frusta sono vertigini, stanchezza e disturbi dell’attenzione. Se-condo un’indagine condotta dalle assicurazioni svizzere contro gli infortuni, nel 2004 in Svizzera si sono registrati circa 25’000 casi di colpi di frusta e più della metà causati da un incidente automobilistico. La percentuale che va dal 3 al 5 % rimane inabile al lavoro per tutta la vita. Nel 2005, i costi generati da casi di colpo di frusta nella forma di rendite AI, indennità giornaliere e spese di cura nel 2005 ammontavano a 416 milioni di franchi.

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sua dottoressa, il suo datore di lavoro e ÖKK, presso cui sono assicurati tutti i dipendenti dell’Ospedale cantona-le di San Gallo. Poiché la Hasler aveva manifestato più volte il desiderio di tornare subito a lavorare, e ÖKK ga-rantisce in tali circostanze pieno sostegno, la dottoressa, tenendo conto della diagnosi, propose un reinserimento graduale. Ma come doveva avvenire? La case manager di ÖKK, Brigitte Lötscher, e la responsabile dell’Ospedale cantonale, Gabriela Stocker, delinearono la procedura: l’assunzione di una persona che sostituisse a tempo pieno la Hasler a spese dell’assicurazione e che retrocedesse gradualmente fino a quando la paziente fosse stata nuo-vamente abile al lavoro.

1° marzo 2008: a sei mesi dall’incidente, Claudia Ha-sler torna al suo posto di lavoro. Solo per due ore, ma ci va tutti i giorni. L’«ombra», come la Hasler chiama affettuosamente la sua sostituta, è sempre al suo fianco e non esita a sostituirla quando ha bisogno di una pausa. La strategia dà i suoi frutti: due mesi dopo, Claudia Hasler è in grado di lavorare quattro ore al giorno e oggi eccola tornata al ritmo di una volta, sei ore al giorno. E spera di riuscire quanto prima a reggere anche i turni nel fine settimana di nove ore e mezzo. «Sono riconoscente per aver avuto l’opportunità di ricominciare gradualmente», afferma la Hasler. Altrimenti, forse, sarebbe rimasta ina-bile al lavoro e diventata presto un caso AI: tragico per lei, dispendioso per la società.

Signora lötscher, qual è il compito di una case manager?In qualità di case manager assisto persone assi-curate presso ÖKK privatamente o tramite datore di lavoro, le quali, a seguito di malattia o infortu-nio, sono inabili al lavoro per un lungo periodo di tempo. Il mio lavoro ha quale fine il reinserimento della persona nel processo di lavoro in tempi il più breve possibile. Le statistiche mostrano che dopo 60 giorni di inabilità al lavoro, le possibilità di un reinserimento diminuiscono sensibilmente. Se un rientro nello stesso posto di lavoro è esclu-so a priori, aiuto la persona interessata a cercare alternative professionali. Questo avviene spesso in collaborazione con le assicurazioni sociali come l’assicurazione per l’invalidità, la cassa pensioni o l’assicurazione contro la disoccupazione.

Perché nel caso della signora Hasler si è ritenuto necessario un suo intervento? La signora Hasler era inabile al lavoro da diversi mesi. Affinché non perdesse il suo posto di lavoro, ho definito assieme al datore di lavoro dell’assicu-rata, l’Ospedale cantonale di San Gallo, le modalità di un reinserimento. Si è dunque assunta un’altra persona che sostituisse la signora Hasler e che fosse in grado di garantirle un rientro graduale. Il mio compito è stato quello di coordinare le possi-bilità della signora Hasler con gli interessi aziendali del datore di lavoro.

Quali fattori hanno contribuito all’efficacia del rientro della signora Hasler? Decisivo è stato l’atteggiamento della signora Ha-sler: voleva assolutamente tornare a lavorare. Altro fattore molto importante è stato poi il sostegno offerto dal datore di lavoro. Già alcuni mesi dopo l’infortunio, era evidente che un rientro al lavoro sarebbe stato possibile e sensato: ma l’attività frenetica che caratterizza l’impiego della signora Hasler ci ha subito fatto capire che non sarebbe stata la soluzione ideale. Quindi l’Ospedale canto-nale di San Gallo, in accordo con ÖKK, ha allestito per la signora Hasler un posto al back office a tempo determinato, dove lei potesse tranquillamen-te svolgere leggeri lavori d’ufficio. In questo modo è stata recuperata l’abilità al lavoro, inizialmente per due ore al giorno, poi piano piano, per l’orario contrattuale regolare.

Intervista: Brigitte Lötscher, case manager ÖKK

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1 La volontà da sola non basta per guarire. Ma è alla base della guarigione.

2 Per reinserirsi con successo nel processo professio- nale è necessario avere un progetto.

3 Decisiva per il successo del reinserimento è la collaborazione di tutte le parti coinvolte: lavoratrice e datore di lavoro, medici e assicurazioni.

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Curiosità ÖKK Dossier

Che tutto il mondo sia paese è ormai cosa nota. Altrimenti, come si spiegherebbero fatti quali l’incontro in un piccolo bar dei Caraibi di un vecchio compagno di scuola di cui si erano perse le tracce da oltre vent’anni? I teorici delle reti sociali parlano del cosiddetto fenomeno del «Piccolo mondo». Tale concetto, coniato nel 1967 dallo psicologo americano Stanley Milgram, poggia sull’assunto secondo cui ogni essere umano conosce un qualunque altro essere umano in media attraverso 6 gradi relazionali.

CondiZione Sine QUa non: le reti SoCiali

Sorprendentemente, negli scorsi anni alcuni studi hanno confermato la cifra fi no ad allora presunta: dai sei ai sette intermediari. Si tratta di una sorta di costante naturale? Pertanto, è possibile affermare come regola fondamen-tale che mediante sei-sette gradi di separazione tutti si conoscono? La conferma più recente di questa tesi giunge da Jure Leskovec della Carnegie Mellon University ed Eric Hor-vitz di Microsoft Research. I due ricercatori hanno sco-perto un tesoro in termini di dati come solo una risorsa mondiale qual è Internet mette a disposizione. Essi han-no analizzato i collegamenti di 240 milioni di persone che comunicano tramite chat via Internet ogni giorno. La ricerca li ha poi portati ad esaminare 30 miliardi di collegamenti individuali, ovvero la più grande rete sociale mai analizzata.

Il risultato: la catena che unisce una persona ad un’altra è composta in media da 6,6 intermediari. In alcuni casi però, il tragitto da una persona all’altra può essere estre-mamente più lungo. I ricercatori sono arrivati a contare fi no a 29 tappe durante la valutazione della montagna di dati. Il 48 % di tutti i destinatari può essere rintracciato tramite sei tappe, il 78 % tramite sette.

diffUSori di Contatti ad amPio raGGio

In un articolo pubblicato sul «Washington Post», Horvitz si è detto «piuttosto scioccato» dall’esito dello studio: «Il risultato della nostra ricerca dimostra che esiste una co-stante nei rapporti sociali tra esseri umani». Tra l’altro, l’analisi delle reti sociali tra esseri uma-ni non ha solo portato al fenomeno del piccolo mondo, ma allo stesso tempo ha reso evidenti anche interessanti disuguaglianze. Esistono persone che intrattengono po-chi contatti sociali, mentre altre fungono da catalizzatori dei rapporti interpersonali in ragione dei loro contatti nettamente al di sopra della media. Sono i cosiddetti superspreader, persone che agiscono come diffusori ad ampio raggio e costituiscono pertanto i principali nodi di collegamento della rete globale grazie alle loro nume-rose conoscenze. Si tratta di persone fondamentali per la diffusione delle notizie, ma allo stesso tempo sono anche potenziali portatori di virus. Questa è il rovescio della medaglia: tramite sei intermediari non troviamo dunque solo conoscenti, ma anche i nostri agenti patogeni.

La legge del «si conoscono tutti»la popolazione mondiale conta 6,7 miliardi di persone. esse costituiscono un’enorme rete sociale che rispetta una delle leggi più sbalorditive: tramite 6,6 intermediari, tutti si conoscono.

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raramente un libro sulla comunicazione aziendale si presenta così breve e conciso.

In appena 96 pagine, il consulente PR Hans-Peter Rest, nella sua opera intitolata PR Hans-Peter Rest, nella sua opera intitolata PR«Als Firma auf- oder abtreten» [Apparire e scomparire come azienda], riassume i principali fattori che contribuiscono al successo di un’impresa: strategie di comu-nicazione semplici e precise, anziché riunioni e presentazioni con discorsi inutili e privi di contenuto! con discorsi inutili e privi di contenuto! Il libro offre 40 risposte alle 10 principali domande e con l’ausi-lio di piccole regole facilmente applicabili illustra in che modo le aziende possono presentarsi al pubblico in modo ottimale, come esse possono posizionare con successo il proprio marchio sul mercato e come realizzare una comunicazione aziendale ricca di contenuti. Particolarmente utile anche la raccolta di link, con cui secondo l’autore le imprese possono organizzare la propria comunica-zione aziendale quotidiana in modo effi cace.

Hans-Peter Rest. «Als Firma auf- oder abtreten: Einzelauftritte, Gesamt-eindruck, PR-Management», Casa editrice Desertina, CHF 28.

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Il libro ÖKK Dossier

Comunicazione aziendale ef fi cace

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Indagine ÖKK Dossier

Signor König, l’economia sta attraversando una crisi Signor König, l’economia sta attraversando una crisi profonda e molte aziende sono costrette a licenziare profonda e molte aziende sono costrette a licenziare i collaboratori. in che modo si manifesta nei dipendenti i collaboratori. in che modo si manifesta nei dipendenti lo stress psichico provocato dalla paura di una possibile lo stress psichico provocato dalla paura di una possibile perdita del posto di lavoro? li fa ammalare?In base alla psicologia del lavoro, lo stress generato dall’in-certezza di riuscire a mantenere il proprio posto di lavoro non fa ammalare, almeno non direttamente. Lo stress può però aumentare la predisposizione alle malattie, in quanto indebolisce il sistema immunitario, quindi è più facile bu-scarsi un’infl uenza o raffreddarsi. Si è inoltre osservato che lo stress peggiora i disturbi già presenti, come ad esempio disturbi del sonno o emicrania.

Gli uomini e le donne reagiscono in modo diverso davanti alla precarietà del lavoro?Da un punto di vista psicologico nonché medico, non vi è alcun motivo perché gli uomini debbano reagire diversa-mente rispetto alle donne di fronte all’eventualità di rimanere disoccupati. Ma in effetti una differenza c’è: la tradiziona-le suddivisione dei ruoli, secondo cui l’uomo è il principale responsabile del reddito famigliare e la donna non ha un lavoro retribuito oppure l’ha solo a tempo parziale, è ancora diffusa. Quando un uomo perde il lavoro, le conseguenze economiche sono spesso più gravose rispetto a quando è la donna a rimanere senza lavoro. Non solo, tendenzialmente gli uomini soffrono di più della condizione di disoccupati poiché gl’impedisce di svolgere quel ruolo che la società si attende da loro. Alcune donne, perdendo il posto, approfi ttano della "vacanza" forzata per fare fi gli, entrando così in una fase della vita socialmente più che accettata, senza essere bollate dal marchio della disoccupazione.

la quota delle assenze durante le crisi aumenta o dimi-la quota delle assenze durante le crisi aumenta o dimi-nuisce? Cioè, i dipendenti sono più spesso assenti per nuisce? Cioè, i dipendenti sono più spesso assenti per malattia oppure vanno al lavoro anche se sono malati?malattia oppure vanno al lavoro anche se sono malati?Durante le crisi economiche si ha un effettivo calo del numero Durante le crisi economiche si ha un effettivo calo del numero delle assenze, anche se le persone, a causa della tensione delle assenze, anche se le persone, a causa della tensione provocata dallo stress, si ammalano più spesso. Nelle impre-provocata dallo stress, si ammalano più spesso. Nelle impre-se dunque si ha l’impressione che i collaboratori siano più se dunque si ha l’impressione che i collaboratori siano più sani rispetto al solito. Questo fenomeno si spiega facilmente: sani rispetto al solito. Questo fenomeno si spiega facilmente: le persone non vogliono fare un’impressione negativa e cor-le persone non vogliono fare un’impressione negativa e cor-rere il rischio di un possibile licenziamento.

Come si ripercuote sulla produttività l’ansia dovuta alla probabile perdita del lavoro? le persone lavorano di più e meglio o sono paralizzate dall’ansia tanto da lavorare meno?Abbiamo condotto uno studio proprio su questo problema. La ricerca ha evidenziato entrambe le possibilità, ma mostra pure che un effetto negativo sulla produttività è la conse-guenza più frequente. L’idea che una maggiore produttività possa rendere più sicuro il proprio posto di lavoro non è poi così diffusa. I lavoratori sanno che durante una crisi economi-ca grave, il fatto che l’azienda per cui lavorano vada di nuovo bene non dipende da loro personalmente.

la paura di possibili licenziamenti crea solidarietà tra le maestranze o genera una competizione ancora più accanita?Osserviamo che il clima tra i dipendenti spesso peggiora. Molte volte il problema è che per molto tempo non è chiaro in quali reparti e in quale misura saranno operati licenziamenti; il più delle volte le aziende comunicano unicamente che taglie-ranno posti di lavoro, però non sanno ancora quali saranno

Quando si verifi ca una crisi economica, chi lavora si ammala più spesso. il numero delle assenze sul lavoro tuttavia diminuisce. il dottor Cornelius König, psicologo del lavoro e dell’organizzazione presso l’Università di Zurigo, in merito agli effetti della crisi su salute e psiche.

La crisi ci fa ammalare?

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i settori interessati dal provvedimento. Con tali premesse è assai improbabile che si crei solidarietà tra i dipendenti. Diverso è se invece risulta chiaro qual è il reparto che verrà chiuso o il cui numero di posti sarà ridotto. In questi casi spesso i sindacati si attivano e organizzano iniziative all’inse-gna della solidarietà.

Come dovrebbe comportarsi la direzione aziendale verso i propri collaboratori quando, nel valutare l’andamento della crisi, ancora non sa se e in che misura sarà costretta a procedere a licenziamenti? in altre parole, come fa a togliere i collaboratori da uno stato di ansia se al contempo non è in grado di dare garanzie? Può riuscirci solo se è capace di trasmettere ai collaboratori un messaggio attendibile: «Vogliamo tentare tutto il possibile per salvaguardare i posti di lavoro. Non siamo una di quelle ditte che in caso di cattivo andamento degli affari pensano subito ai licenziamenti. Tenteremo prima tutte le altre solu-zioni». E tali soluzioni esistono: il lavoro a orario ridotto ad esempio è un’opzione attualmente adottata sempre più spes-so. Naturalmente sono tanti i manager che prendono in con-siderazione i licenziamenti, anche solo perché tale drastico provvedimento consente di ridurre massicciamente i costi nel breve periodo. Studi di economia aziendale possono tuttavia dimostrare che le imprese che nelle crisi ricorrono subito allo strumento del licenziamento, non ottengono comunque risultati migliori nel lungo periodo.

Quanto è importante che la direzione aziendale informi i propri collaboratori apertamente e onestamente sulla situazione critica in cui l’impresa si trova? l’ansia spesso è causata anche dall’incertezza.Una comunicazione trasparente è sempre utile. Va tuttavia precisato che, almeno nelle grandi aziende, il personale del-la base o della prima linea si rende conto della crisi ancora prima della direzione. Ad esempio il magazziniere, che nella gerarchia aziendale occupa una posizione molto bassa, si accorge subito che la merce in uscita diminuisce. In defi niti-va, non c’è bisogno che qualcuno lo informi che la domanda è crollata: lui se n’era già accorto da tempo.

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1 La precarietà del posto di lavoro non fa ammalare, almeno non direttamente. Ma lo stress conseguente indebolisce il sistema immunitario e gli interessati sono più soggetti ad ammalarsi.

2 Chi riesce a comunicare in modo attendibile che prima di possibili licenziamenti saranno tentate tutte le altre soluzioni, riduce sensibilmente l’ansia dovuta al timore di perdere il posto di lavoro.

3 Non ha senso edulcorare la crisi: la maggior parte dei collaboratori sa bene quale è la situazione della ditta, poiché se ne accorge in base al lavoro svolto ogni giorno.

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Sani sul posto di lavoro ÖKK Dossier

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Google accoglie i visitatori sempre con un bel sorriso. Già all’entrata, il fatto che si tratti di un’impresa molto particolare salta subito all’occhio: la ricezione è dipinta di un giallo Google intenso, gli interni della sede sono variopinti e conferiscono all’edificio un’atmosfera quasi giocosa. I collaboratori parlano inglese e si chiamano per nome. All’entrata uno skateboard fa bella mostra di sé. Di primo acchito, la superficie Hürlimann a Zurigo sembra un parco giochi per adulti. Di buon umore, Claire e Andrew, due membri del team multiculturale rappresentante ben 47 nazioni, con-ducono i visitatori attraverso Google City. Anche l’in-terno della sede del motore di ricerca è completamente diverso, se paragonato a quello delle comuni aziende. Quale altra ditta offre ai propri collaboratori spazi dove ritirarsi e rilassarsi, ma anche per riflettere su nuove idee o progetti innovativi?

Sembra Un lUoGo dediCato al temPo libero

Claire sostiene che ognuno dovrebbe poter trovare luoghi di proprio gradimento dove rilassarsi in tutta comodità. Lei, ad esempio, predilige il soggiorno, che assomiglia ad una vecchia biblioteca inglese. Gli interni non sono par-ticolarmente lussuosi, anzi, sono composti da mobili di seconda mano contenenti libri dei collaboratori. Un colle-ga si crogiola accanto al fuoco del finto camino. Andrew invece preferisce il locale di meditazione con gli acquari. Una vasca piena di pezzetti di gommapiuma invita a tuf-farvisi dentro, accanto c’è una sedia per i massaggi che, premendo un bottone, comincia a massaggiare i punti nevralgici. Nella stanza riservata alle visite è possibile

prendere appuntamenti per visite mediche o massaggi gratuiti per i collaboratori. Promozione della salute e relax sono una costante all’interno del palazzo di vetro. Morbidi cuscini e divani invitano all’ozio: i collaboratori si rilassano all’interno di lounge dal sapore orientale, su poltrone a sacco, dentro cabine della funivia decorate con tende colorate o in vec-chie barche a remi riconvertite a divano. Per comunicare senza essere disturbati, hanno la possibilità di ritirarsi in delle specie di grandi bozzoli o in veri e propri igloo col-laudati al Polo Sud. Schermi piatti e telefono all’interno consentono di collegarsi rapidamente in teleconferenza con Trondheim o Cracovia.

alla fin fine Contano i riSUltati

Cestelli di frutta, bibite, snack, gomme da masticare, leccalecca e ovetti a sorpresa: tutto gratis. Nessun posto di lavoro all’interno della sede dista più di 30 metri dalle «stazioni di rifornimento». Uno scivolo conduce i colla-boratori alla mensa ubicata al pianterreno. Anche qui, non si paga nulla. Inoltre, nel limite del possibile, i pro-dotti utilizzati dalla mensa sono di esclusiva provenienza locale. Nel menu non possono mancare speciali piatti vegetariani o cibi kosher. Il messaggio di fondo è abbastanza chiaro: la prio-rità di Google è far sentire a loro agio i collaboratori. Il concetto è molto semplice: svestire il lavoro dei suoi panni abituali. Eliminare al collaboratore questa pres-sione diretta gli consente di esprimere il meglio di sé. Collaboratori stressati e sempre sull’orlo di una crisi di nervi non possono garantire prestazioni di qualità elevata

Al lavoro come Alice nel paese delle meraviglie

dipendenti stressati se ne vedono parecchi in tempo di crisi. Questo non succede a Google Zurigo: l’impresa americana concede ai propri collaboratori tempo per il gioco, il divertimento e le chiacchiere e si impegna inoltre per la promozione della salute durante l’orario lavorativo. Si tratta forse del modello di lavoro del futuro?

TESTO: Daniel Zumoberhaus * __ FOTO: Google Schweiz

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e nuocciono all’atmosfera di lavoro generale nonché alla comunicazione aziendale interna. Tuttavia, questa atmosfera rilassata non deve trarre in inganno: anche da Google contano le prestazioni. Pre-stazioni che si ottengono più facilmente grazie a relax e a un’atmosfera di lavoro propizia. Certo, anche da Google non mancano le scadenze inderogabili, ma i collaboratori sono i soli responsabili e decidono come e quando adem-piere ai propri doveri. Pertanto, è molto raro vedere un collaboratore lasciare il suo posto di lavoro alle cinque in punto. Scambi di e-mail alle nove e mezza di sera, dopo una pausa playstation o una partita di calcetto, rappresen-tano la norma qui. Durante la visita alla sede, i locali adibiti all’intratte-nimento e all’ozio sono in gran parte vuoti. Negli uffici invece i collaboratori sembrano completamente immersi nel loro lavoro. Alcuni portano le cuffiette e ascoltano musica, altri hanno i piedi sul tavolo. Colorate lampade ad effetto lava creano una certa atmosfera da cameret-

ta per bambini. Contemporaneamente però, il livello di concentrazione è elevatissimo. In questi uffici lavorano esclusivamente persone altamente qualificate. Google ha capito ciò che alcune imprese faticano a comprendere: spesso le idee innovative si sviluppano pro-prio quando la testa è più libera e rilassata, per esempio durante una partita di biliardo o scambiando due chiac-chiere in corridoio con un collega. Nel caso in cui uno scambio di opinioni sul tempo si trasformi in men che non si dica in una discussione tecnica, il gruppo ha preso le dovute misure: in ogni dove sono installate lavagne a muro bianche in modo da consentire ai collaboratori di mettere immediatamente per iscritto eventuali folgora-zioni o nuove idee. Su quelle lavagne potrebbero essere raffigurati gli schizzi di nuovi software in grado forse di rivoluzionare il mondo di domani, magari a fianco dei risultati dell’ultimo torneo di biliardo.

* Daniel Zumoberhaus è redattore presso il Tages Anzeiger a Zurigo.

Sani sul posto di lavoro ÖKK Dossier

«Google City»

Sulla superficie di 12’000 metri quadrati della ex fabbrica di birra Hürlimann a Zurigo, da marzo del 2008 il gigante ameri-cano del software impiega circa 350 collaboratori provenienti da 47 Paesi e offre loro condizioni di lavoro incentrate su salute e relax. A livello aziendale interno si lavora nel rispetto del mo-dello 70-20-10, ovvero il 70% del tempo di lavoro è dedicato a progetti centrali, mentre il 20% a progetti personali. Il restante 10% va investito in nuove idee e visioni. Qui non c’è nessun cartellino da timbrare. Inoltre, Google stimola i propri colla-boratori a tenere un comportamento rispettoso dell’ambiente: quindi niente auto di servizio, ma solo biciclette aziendali.

La sede di Zurigo rappresenta il centro di sviluppo di Google per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. I centri amministrativi sono insediati a Dublino e Londra, mentre la sede del marke-ting di vendita per Svizzera, Germania, Austria e Scandinavia si trova ad Amburgo. Oltre al motore di ricerca dati telemati-co, la gamma dei prodotti di Google comprende tra l’altro an-che il motore di ricerca immagini, la ricerca news, reti sociali, Youtube, il programma di gestione della posta elettronica Gmail, l’album fotografico su Internet Picasa, Google Maps e Google Earth. A livello mondiale, il gruppo occupa com-plessivamente 9’000 collaboratori.

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Godersi la primavera in TicinoAlpe di Neggia con navigazione e AutoPostale

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63,9 è il numero medio degli anni trascorsi felice-

mente da uno svizzero. Con tale risultato la Svizzera, in un confronto su scala internazionale, si posiziona in cima alla classifica. Fanalino di coda in Europa è la Moldavia, dove gli abitanti trascorrono feli-cemente in media appena 20,5 anni. Questi almeno sono i numeri forniti dal ricercatore della felicità Paul Veenhoven, che nella sua ban-ca dati «World Database of Happiness» confronta la vita trascorsa felicemente e l’aspettativa di vita per arrivare a stabilire gli «happy life years». A proposito: gli anni felici, in quasi tutti i Paesi europei, sono aumentati tra il 1973 e il 2005, soprattutto in Lussemburgo e Dani-marca, dove il cittadino medio trascorre felicemente più di sette anni. Solo in Belgio il numero degli anni trascorsi felicemente diminuisce. «Perché sei così triste?», verrebbe da chiedere a Mani Matter per il suo «Warum syt dir so truurig?».

> www.worlddatabaseofhappiness.eur.nl

Il numero giusto ÖKK Dossier

Circa lo 0,1 %

del commercio internazionale via nave è ricon-ducibile alla marina mercantile svizzera. Marina mercantile svizzera? Non è un errore, ha letto bene. 13 navi portarinfuse, 9 navi polivalenti, 6 navi portacontainer e 7 petrolie-re solcano i mari di tutto il mondo sventolando bandiera svizzera. Le navi, quando sono cariche, trasportano 1’012’492 tonnellate di merce a bassa velocità, asfalto, prodotti chimici e prodotti petroliferi. E, al contempo, portano un pezzo di Svizzera in tutto il mondo, nella forma della croce e con il suono dei nomi delle navi. In questo modo il generale Guisan, il capo dell’esercito svizzero durante la Seconda guerra mondiale, torna a conquistare post mortem i mari di tutto il mondo. Naturalmente solo nella for-ma di un bastimento, il cui porto d’immatricolazione non è certamente nella vodese Mézières ma a Basilea.

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20’000 sono le parole che ogni donna pronuncia in media ogni giorno. Ovvero tre volte di più rispetto agli uomini, che se ne la-sciano sfuggire appena 7’000. In base agli studi della neuropsichiatra Louann Brizendine, i cervelli maschili e quelli femminili si distinguono nel loro sviluppo già nel grembo materno. Per otto settimane, tutti i feti hanno uno stesso cervello, di conformazione femminile. Solo in seguito, negli embrioni maschili, avviene la trasmissione del testosterone: questo distrugge le cellule nella regione cerebrale della comunicazione e ne crea altre in quelle dell’aggressione e della sessualità. Alla nascita, la parte di massa cerebrale relativa alla comunicazione e all’elabora-zione delle emozioni, negli uomini è dell’11% più piccola di quella della donna.

> www.louannbrizendine.com

250 yuan – corrispondente a circa 50 franchi – costava il biglietto più a buon mercato per la partita di qualificazione ai Mondiali che vedeva schierate Corea del Nord contro Corea del Sud. Questo prez-zo corrisponde alla metà dello stipendio mensile nordcoreano. La Federa-zione calcistica nordcoreana tuttavia si è ben guardata dal condannare un prezzo tanto esorbitante, poiché, alla fin fine, ne era responsabile. No, ha ribadito la Federazione calcistica sudcoreana: con tali prezzi si sarebbe dovuto impedire ai lavoratori stranieri sudcoreani che vivevano a Shan-gai di partecipare alla partita. Sorge spontanea la domanda: perché mai la «partita in casa» della Corea del Nord è stata disputata nella cinese Shanghai? Il motivo è semplice: la Corea del Nord si era rifiutata, già alla vigilia della partita, di far suonare l’inno sudcoreano e di issare la bandiera sudcoreana. Ad allentare la tensione ci hanno pensato bene i calciatori che hanno chiuso la partita 0 a 0.

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In poco tempo, il portale per le imprese netzwerk.ch ha trovato 30 partner nella zona di Zurigo. E questo l’impresa lo deve soprattutto a Michael Mathis, che tira i fili da dietro le quinte.

testo: Christoph Kohler __ foto: Gian Marco Castelberg

Ritratto cliente ÖKK Dossier

Fra due che s’incontrano, il terzo gode. In questo caso il terzo è Michael Mathis, direttore della netzwerk.ch AG di Zurigo. Alla fine fine, questo è il senso e lo scopo della ditta: mettere in contatto le persone, trasmettere cono-scenze e, perché no, fare affari. Netzwerk.ch è la prima piattaforma per imprese svizzere che offre, in un’unica struttura, servizi indirizzati specificatamente alle PMI. «La piattaforma di PMI per PMI»: questo lo slogan, e basta dare un’occhiata alla pagina web per capire che qui si pensa e si lavora al passo con le PMI. Quanto conta il lavoro mediatico per una PMI? Quando vale la pena scorporare il settore informatico? E dove trovare un fiduciario serio o una tipografia affidabile? netzwerk.ch fornisce risposte a queste e ad altre domande, oltre a valide proposte concrete.

Un InIZIo dIffIcIlE

«L’inizio è stato faticoso», spiega Mathis riferendosi a meno di due anni fa. Nel 2007 quattro società medie di servizi hanno concretizzato il loro progetto di una piat-taforma marketing comune fondando la netzwerk.ch AG e assumendo Mathis come direttore. Quattro PMI non costituiscono però ancora una rete. «Provate a illustrare a una PMI il vantaggio di una rete che non esiste ancora», afferma Mathis. Bene, lui ci è riuscito. Oggi la rete netz-werk.ch è costituita da 30 imprese partner dell’area eco-nomica di Zurigo: tipografie, specialisti Internet, esperti della comunicazione, fiduciari, consulenti legali e consu-lenti aziendali. Dato che alcuni settori nell’agglomerato di Zurigo sono già sufficientemente coperti su netzwerk.ch, ora l’impresa intende espandersi verso l’Espace Mit-telland nonché nella Svizzera centrale e orientale. «Siamo a metà strada», sostiene Mathis.

chI MErIta fIdUcIa cI gUadagna

Michael Mathis è alto 1 metro e 96, ma qualche volta non gli dispiacerebbe essere invisibile. Non gli garba molto mettersi in posa per farsi fotografare per la rivista. Il bello della rete è che funzioni come un tutt’uno e non tramite lui, spiega. La cosa più importante per il successo della ditta, che si mantiene con i contributi dei propri soci, è la sostenibilità del sistema. L’affiliazione di nuove aziende partner viene vagliata attentamente, in primo luogo da parte di un’azienda già affiliata, poi da Mathis in per-sona. Recentemente ha richiseto di aderire alla rete una tipografia. Già durante la prima visita però è emerso che si trattava di una ditta in difficoltà, interessata soltanto ad acquisire nuovi clienti. «Qui troverete soltanto impre-se giovani di spirito che propongono prestazioni d’alta qualità», sottolinea Mathis. Resta da chiedersi come Mathis collochi le ditte part-ner di Netzwerk.ch sul mercato. Le piazza per esempio al Technopark di Zurigo o in un business hotel a Win-terthur, dove uno o più partner riferiscono circa i propri settori di specializzazione: a seconda del caso, Internet marketing, sviluppo del personale, costituzione d’impre-sa. Mathis invita le PMI della regione a partecipare a queste «officine della rete», gratuitamente e senza im-pegno. «Dai visitatori non ci aspettiamo nulla, eccetto che imparino qualcosa», afferma. Tuttavia, è abbastanza evidente che chi è disposto ad imparare qualcosa da una persona, sarà anche propenso a darle fiducia. E a quel punto manca poco alla conclusione di un affare.

> www.netzwerk.ch

L’invisibile terzo uomo

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Tira i fili da dietro le quinte: Michael Mathis, direttore di netzwerk.ch a Zurigo. In primo piano Robert Hürlimann, della tipografia Hürlimann, partner di netzwerk.ch.

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