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Marshall McLuhan LETTERATURA E METAFORE DELLA REALTÀ ARMANDO EDITORE

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Letteratura e metafore 1

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Marshall McLuhan

LETTERATURAE METAFORE

DELLA REALTÀ

ARMANDOEDITORE

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Sommario

Premessa di Alberto Abruzzese

Introduzione di Andrea MiconiLe profondità del primo McLuhan

ESTETICA

1. Valori estetici e dignità storica in Eliot 2. Umanesimo cattolico e lettere moderne3. L’opossum e la levatrice 4. T.S. Eliot e il valore della parola poetica

ANALOGIA E METAFORA

1. Wyndham Lewis: Lemuel in Lilliput2. Trastullarsi con le ombre3. Stilistica4. Attraverso occhi di smeraldo5. Il romanzo americano attraverso cinquant’anni: John

Dos Passos

I QUATTRO QUARTETTI

1. Spirali retoriche nei Quattro quartetti

EPIFANIA E CONOSCENZA

1. Joyce, Tommaso d’Aquino ed il processo poetico

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Premessadi Alberto Abruzzese

Concepita in una prospettiva editoriale radicalmente nuova, lapresente collana – dedicata non solo alla traduzione in lingua ita-liana di scritti inediti di Marshall McLuhan ma anche alla pubbli-cazione di testi direttamente o indirettamente riconducibili allasua inconfondibile visione dei media – conferma e rilancia l’in-teresse che la casa editrice Armando ha sempre avuto per questoautore d’eccezione: un saggista notissimo e tuttavia restato quasisempre ai margini degli studi sulla comunicazione. E questo perla semplice ragione che, tranne qualche eccezione, si è trattato dielaborazioni teoriche interessate a percorrere e portare avantialtre tradizioni di pensiero e di conseguenza altri oggetti e sog-getti di ricerca.

McLuhan è dunque uno scrittore assai noto e discusso, maquasi sempre proposto, indagato o citato in modo superficiale,approssimativo. Un ricercatore sociale fornito di grandissime dotiintuitive (non c’è una sola sua previsione del futuro che non si siain qualche modo socialmente realizzata), e tuttavia un intellettua-le considerato non tanto come autorità di riferimento, fondatore,ma piuttosto come un pittoresco emblema della civiltà delleimmagini e delle tecnologie, un fenomeno di costume, un pre-testo polemico. Una tentazione demoniaca. A McLuhan, osserva-tore immaginifico della vita quotidiana nell’epoca dell’elettricitàe delle tecnologie leggere, è toccata la stessa sorte della mostruo-sa “creatura” alla quale la cultura di massa mondiale finì per dareil nome del suo stesso artefice, il Barone Frankenstein. McLuhanè diventato il modo più immediato per dire l’oggetto della suaricerca, le mostruosità mediatiche da lui rivelate.

Non starò a ridire sulle vicissitudini italiane che hanno avutole traduzioni della sua copiosa produzione, caratterizzata innanzitutto da un approccio interdisciplinare, una trasversalità culturaleche è tra le prime ragioni della distrazione con cui è stato consi-

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derato dalle singole discipline umanistiche e scientifiche. Pensosoprattutto alla scarsissima considerazione con cui, pur essendoun raffinatissimo letterato, è stato visto dai letterati per il fatto dicurarsi di forme a loro giudizio degradate quali la televisione e lapubblicità. E parimenti alla altrettanto netta sottovalutazione – senon vero e proprio disprezzo – che le sue tesi mediologichehanno registrato tra i sociologi della comunicazione per il fatto diessere a loro giudizio il risultato di divagazioni letterarie inveceche di teorie e metodi di ricerca sul campo. Spero che di talivicissitudini editoriali e culturali, soprattutto delle loro motiva-zioni, possano dire indirettamente e direttamente le varie introdu-zioni da noi previste per ciascun volume, a partire qui da quelladi Andrea Miconi che non a caso è uno studioso al di là delledistinzioni di campo tra sfera letteraria e sfera mediologica.

Speriamo di potere portare avanti il nostro progetto, sicura-mente non facile e dunque di fatto ambizioso, ma senza altra pre-sunzione se non quella di fornire qualche strumento in più per lariflessione teorica sulle forme passate e presenti della comunica-zione: una riflessione di cui gli ambienti accademici della ricercascientifica hanno urgente bisogno se vogliono davvero ricucire illoro rapporto con i mutamenti della società post-industriale, mapiù in generale hanno bisogno tutti i ceti intellettuali che oggirivendicano la funzione di “classi creative”. Se la questione dadiscutere – il nodo teorico e pratico di cui avere cura, di cui esse-re responsabili – riguarda l’enfasi spesso infondata e meramenteideologica con cui si rivendicano le magnifiche doti dell’innova-zione tecnologica e dunque le nuove promesse della società dellereti, allora un rinnovato e più approfondito incontro con il pen-siero di McLuhan non sarà risolutivo ma potrà sicuramente esse-re utile. E noi vogliamo fare la nostra parte.

Sto usando il plurale, perché la speranza di sapere portareavanti tale impresa si basa su un lavoro collettivo che da vari annisi è andato sviluppando grazie a un nucleo di giovani studiosiraccolti intorno alla mia cattedra di Sociologia dei processi cultu-rali e comunicativi, prima presso la Sapienza di Roma e ora pres-so la IULM di Milano. Ma anche su una rete di relazioni conambiti di ricerca nazionali e internazionali che condividono inostri stessi obiettivi e le ragioni per cui la figura di MarshallMcLuhan merita di essere messa al centro dei modi in cui inter-pretare il presente. Mi riferisco in particolare a Derrick de

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Kerckhove, a lungo direttore dell’Istituto McLuhan di Toronto; aMassimo di Felice, dell’Università USP di San Paolo; a MichelMaffesoli, dell’Università di Parigi V; e, a livello nazionale, aGiovanni Ragone, Gino Frezza, Luca Toschi.

Non si tratta di contatti casuali, ciascuno per la sua parte – indiverse spaziature geopolitiche occidentali – esprime un partico-lare grado di consapevolezza della crisi della tradizione moder-na e dei suoi sistemi di potere. Che significa crisi – nel senso dicrollo ma anche soltanto di radicale trasformazione – dei mediae delle forme di relazione della società, della politica, dell’eco-nomia, del mercato. Nella disparità – convergenza o divergenza– delle nostre posizioni emerge la funzione formativa chepotrebbe nascere da una ricerca sociale più attenta ai meccani-smi locali e globali messi a regime dai linguaggi simbolici dellavita quotidiana.

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Introduzione

LE PROFONDITÀ DEL PRIMO MCLUHAN

di Andrea Miconi

Ad eccezione di due contributi su Thomas Eliot, datati 1978,tutti i saggi di McLuhan che, in modo un po’ spericolato, abbia-mo deciso di raccogliere in questa antologia, appartengono aduna prima e poco conosciuta fase della sua produzione: del 1944è il lavoro su Wyndham Lewis, del biennio 1949-1950 il primoavvicinamento ai valori estetici di Eliot, del 1951-1952 i saggi suDos Passos e Joyce, del 1953 quello sulla stilistica di Auerbach;il saggio sull’umanesimo, infine, risale al 1954, e quello sulleombre al 1959. È quindi un McLuhan quarantenne, quello a cuisiamo di fronte: uno studioso colto e impertinente, che – giàprima di essere folgorato dalle tecnologie con La sposa meccani-ca (1951), e molto prima di affacciarsi propriamente alla teoriadei media con Galassia Gutenberg (1962) – prende di petto leistituzioni più sacre dell’accademia, la letteratura e la critica let-teraria. Ed è di questo autore, e della scelta di tradurlo in Italiamezzo secolo più tardi, che questa introduzione cercherà breve-mente di dare conto1.

Districarsi nel labirinto di senso di questi saggi (di qui il tito-lo dell’opera, un po’ scontato ma inevitabile) è operazione diffi-cile: lo ha fatto per noi Silvia D’Offizi, con tutta la pazienza chel’impresa meritava, e ogni lettore sarà chiamato a farlo in funzio-ne dei propri interessi specifici. Per conto mio, evitando che trop-pe premesse possano rompere l’incanto della prosa di McLuhan,

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1 Per completezza, è opportuno ricordare due testi di McLuhan tradotti initaliano, che toccano temi molto prossimi a quelli di questo volume: Il paesag-gio interiore. La critica letteraria di Marshall McLuhan (1969), Milano,SugarCo, 1983, che raccoglie, E. McNamara (a cura di), saggi dello stessoperiodo (1943-1962), e Il punto di fuga. Lo spazio in poesia e in pittura(1968), Milano, SugarCo, 1988.

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mi limiterò ad isolare quattro aspetti di questa prima produzionesaggistica: linee di lettura che rischiano di perdersi nel magmadella sua prosa, come orme superficiali nel deserto, ma a cui cor-rispondono quattro fondamentali linee di attivazione del pensie-ro mediologico di McLuhan (e del nostro, di conseguenza).

Il primo e più intuitivo livello di lettura dei saggi è, natural-mente, quello della critica letteraria. Concentrandosi per lo più suquel fascio di esperimenti con la forma che la critica angloame-ricana ha raccolto nella categoria di modernismo, McLuhanesplora con gusto iconoclasta i limiti della scrittura, e non a casola spiegazione profonda delle opere rimanda sempre, a suo mododi vedere, ad un piano di significato esterno al campo letterario:l’analogia per giustapposizione di Flaubert e quella situazionaledi Wordsworth; in Poe, ancora, la supremazia dell’effetto, checome una causa finale illumina la storia passata; in Joyce, ilmetodo mitico e l’epifania del profondo; ancora, le divisionidella retorica dietro Eliot e Pound, e la fotografia monocromanella tarda e fredda normalizzazione del romanzo operata da JohnDos Passos.

Non è possibile – né per ragioni di spazio, né, ad essere onesti,per le mie competenze – analizzare nel dettaglio questi contributidi McLuhan alla comprensione della storia letteraria. Credo peròche la loro attualità si risolva non tanto nella conoscenza che pos-sono apportare sulle singole opere prese in esame, e nemmeno nel-l’esplorazione puramente filologica del percorso intellettuale dellostesso McLuhan: quanto, in una sorta di utilità di medio raggio, nelmostrare un modo diverso di affrontare l’universo letterario nelsuo complesso. Intendiamoci, l’uso di metafore e di riferimentiextra-letterari per spiegare le opere artistiche è vecchio quanto ilmondo, lo sappiamo, ma qui c’è qualcosa di più: una sorta dirivoluzione del senso, che porta a spiegare non più la letteraturain base alle metafore che possono illuminarla, ma, in breve, etutto all’opposto, le metafore dominanti del tempo in base allaletteratura che riesce a tradurle e a dar loro una pur problemati-ca forma. L’opera letteraria, insomma, cessa di essere la protago-nista indiscussa della storia della cultura, per divenire epifania diqualcos’altro, sismografo di oscillazioni profonde: esattamentecome in tutti i fondamenti dell’approccio sociologico alla lettera-tura – la voragine del mondo moderno in Lukács, la pluridiscorsi-

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vità del sociale in Bachtin, la tensione mimetica in Auerbach2 –rispetto ai quali, va da sé, McLuhan ha ottenuto tra gli specialistidella materia un seguito inferiore, se non addirittura risibile.

Ed è un peccato, che abbia ottenuto così poca fortuna, soprat-tutto per una ragione. Perché quel piano altro a cui la spiegazioneviene rimandata è ancora, nei saggi che sono qui proposti, quelloun po’ metafisico del mito e del simbolo, ma affiora già – e lo faràin modo dirompente a partire da Galassia Gutenberg – un altropiano, quello tutto materiale delle tecnologie e degli scambi quo-tidiani, che costituirà la grande fenomenologia del secondoMcLuhan (ma su questo, e sull’eterna tensione tra idealismo ematerialismo, si tornerà più avanti). Il piano alto delle figure miti-che, quello basso e profano degli oggetti materiali e delle tecnolo-gie della comunicazione, e nel mezzo il livello insieme più acci-dentale e più visibile, quello dei testi letterari: formazioni di com-promesso, oggettivazioni instabili di tensioni che traggono altroveil loro fuoco vitale, negli abissi della psicologia collettiva o nellaruvidezza del mondo dei media. Se sottrarre al testo letterario l’e-gemonia del senso è la prima operazione condotta da McLuhan, laseconda sarà quella di tirare una linea diretta tra i due piani anali-tici più importanti – gli strumenti del comunicare e l’universoantropologico dei significati – togliendo di mezzo la letteratura(che infatti, nell’ultima sintesi degli Strumenti del comunicare,rimane drammaticamente fuori campo).

Ecco, questa concezione vicaria di una letteratura vista dall’e-sterno, come in uno zoom rovesciato che si allontana dal dettaglioe abbraccia il paesaggio storico e tecnologico di contorno, è unadelle grandi innovazioni di McLuhan: come si legge nel saggio su

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2 Faccio riferimento, com’è ovvio, a G. Lukács, Teoria del romanzo(1920), Milano, SE, 1999; M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica (1929),Torino, Einaudi, 1968; E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteraturaoccidentale (1946), Torino, Einaudi, 1957. Tentativi di costruire una sociolo-gia della letteratura sulla base della mediologia di McLuhan, di norma media-ti dalla provvidenziale sistematizzazione di Walter Ong, sono invece in A.Portelli, Il testo e la voce. Oralità, scrittura e democrazia in America, Roma,Manifestolibri, 1992, e G. Ragone, Brucio e irradio, in A. Abruzzese e G.Ragone (a cura di), Letteratura fluida, Napoli, Liguori, 2007, pp. 1-27. Perquanto abbia dei punti di disaccordo con entrambi, si tratta certamente dei ten-tativi più innovativi, e con la maggiore ambizione di fare scuola in merito allalettura mcluhaniana del testo letterario.

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Auerbach, “il libro ha un nuovo ruolo nella nostra nuova culturatecnologica”; non ha più una posizione di “monopolio come cana-le di informazione”, ma deve riguadagnare centralità come “stru-mento che permetta di esercitare le proprie capacità di percezionein tutte le arti”. Una storia letteraria, ancora, ma liberata dal fetic-cio del libro e dal valore sacrale dell’opera: il mondo dominato daimedia elettronici è anche, per McLuhan, una buona occasione perripensare il passato, e gli strumenti che dal passato provengono.

Connesso a questo primo aspetto, e quindi sintetizzabile inpoche parole, è quello ulteriore della sincronia. Proprio perchéinteressato al modo in cui i significati si traducono da un livelloall’altro del reale – dal piano alto dei simboli, nella prima fase;da quello basso dei mass media, nella seconda – McLuhan sem-bra operare qui un taglio in orizzontale della storia, isolando unasezione trasversale dal corso degli eventi. Operazione di nonpoco conto, se si considera che la spiegazione della storia è disolito risolta nella dominante temporale (più intuitiva, come piùintuitiva è l’organizzazione cronologica dei fatti), laddoveMcLuhan sembra abbracciare in pieno la nozione di campo, dicompresenza delle forze all’interno di uno spazio determinato.Non a caso l’interesse di McLuhan è tutto concentrato su formeletterarie fortemente anti-narrative, che abbattono l’egemonia deltempus narrativo sequenziale, come Ulysses, e non a caso saràcosì produttiva la sua ricezione dei lavori di Harold Innis, che allafunzione della dimensione spaziale – al suo conflitto con iltempo, incarnato dal bias dei diversi media – ha dedicato i suoistudi più originali3. È questa, in sintesi, la grande sincronia del-l’età elettrica: dove il presente esplode sulla superficie del senso,e fa collassare le linee del tempo passato e di quello futuro. Joycee la fisica moderna, il campo elettromagnetico e la poesia moder-nista, l’arte e la scienza: e ancora, il montaggio cinematograficoe il romanzo giallo, la poesia simbolista e la pubblicità, che – equi sta una chiara e precoce intuizione del McLuhan critico lette-rario – si appropria direttamente della sua predilezione per gli

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3 H.A. Innis, Impero e comunicazioni (1950), Roma, Meltemi, 2001; Le ten-denze della comunicazione (1951), Milano, SugarCo, 1982. Per un’analisi del-l’influenza di Innis su McLuhan, e soprattutto per la bibliografia su un argomen-to così ampio, rimando alla mia introduzione all’edizione italiana di Impero ecomunicazioni. Le tecnologie del potere, Roma, Meltemi, 2001, pp. 7-54.

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effetti finali, e li volge a forma espressiva nuova e tipicamentecontemporanea. Non è, insomma, la filologia dei singoli oggetticulturali a spiegarne il significato, quanto la comprensione gene-rale del Novecento, che li abbraccia in una superiore unità disenso e imprime loro il marchio immanente dell’elettricità.

Ora, a dire il vero la mia idea è che questo approccio allescienze della cultura – la ricerca di corrispondenze e di analogietra campi diversi del reale, infine radicalizzata dal mito della reteche tutto congiunge – sia oggi fin troppo sfruttato, e che abbiaperso il suo potenziale innovativo, ma ritrovarne un fondamentocosì singolare è, senza dubbio, un buon servizio alla consapevo-lezza di sé che le nostre discipline devono ricercare.

Una terza e macroscopica linea di lettura a cui prestare atten-zione – dal mio punto di vista: su cui mettere in guardia – è quel-la dell’irrazionalismo. La questione è certamente complessa, e laridurrò quindi ad una sola delle varie dimensioni che la costitui-scono: penso, in breve, all’uso dell’intuizione e dei procedimen-ti a-razionali per la comprensione della realtà, pratica di cuiMcLuhan è sempre stato considerato un precursore e un campio-ne. Il guaio ulteriore, poi, è che nelle pagine che seguono siamodi fronte ad un McLuhan fortemente condizionato dalla conver-sione religiosa, come quando fa riferimento, attraverso una cita-zione un po’ pretestuosa, alla “possibilità di capire tutti gli altriuomini grazie alla fede cattolica” (e anche ad un McLuhan un po’confuso e fazioso, che a volte associa il razionalismo al cattolice-simo, e ce ne vuole, per contrapporre quest’ultimo al politeismoselvaggio dei valori contemporanei). Asciugando il discorso,comunque, quello che rimane è un McLuhan vagamente mistico,alla ricerca errabonda dell’anello mancante del senso attraversole proprietà insondabili della simbologia, e spesso interessato alloschema teologico celato nelle forme poetiche, come nel nessoprofondo tra la claritas tomista e l’epifania letteraria praticata dalmodernismo (una delle sue analisi più chiare, e che probabilmen-te ha più fatto scuola negli studi letterari4).

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4 Il nesso tra il principio tomista della claritas e la letteratura modernistatornerà infatti in analisi successive: si vedano W. Noon, Joyce and Aquinas,New Haven, Yale University Press, 1957 e U. Eco, Le poetiche di Joyce,Milano, Bompiani, 1962.

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Quello che però mi interessa, qui, è non tanto il contenuto delleriflessioni di McLuhan, quanto il suo metodo: considerazione tantopiù necessaria nei confronti di un autore solitamente ridotto al pro-filo anti-scientifico, e vagamente religioso, della profezia e delloslogan. Dirò, in breve, che in merito le posizioni possono esserediverse, ed in effetti sono diverse perfino tra i responsabili di que-sto progetto editoriale: Abruzzese è più sensibile alle forme diconoscenza orientate alla comprensione del tutto attraverso unaorchestrazione di strumenti scientifici e filosofici, artistici e antro-pologici, un po’ come nell’esempio, intellettualmente tormentato epoi volutamente scanzonato, del primo McLuhan; io, molto piùmodestamente, credo nel valore un po’ desueto del rigore e dell’or-todossia della ricerca. E allora, cosa c’entra con l’ortodossia diricerca il teorico del simbolo e dell’allegoria, dell’epifania del mitoe della fusione tra l’arte e la scienza?

C’entra, eccome: o meglio, c’entrano, e molto, i limiti delprimo McLuhan. Perché a questo primo McLuhan, di cui è giustoparlare in questa sede, ne seguirà un altro: quello, tutto determini-sta e materialista, che prende coraggio con la stesura di GalassiaGutenberg e poi si affranca, per definire la propria visione, conGli strumenti del comunicare. Il secondo McLuhan, in cui lanebulosa del senso si dissolve, le metafore si asciugano, il vorticedella storia si riallinea su polarità più precise, e la mistica dell’a-nalogia cede il passo ad una chiara attribuzione di causalità: primale tecnologie della comunicazione, e poi il cambiamento culturalee sociale. L’ho già scritto in passato, e non la farò troppo lunga: ildeterminismo di McLuhan non è il problema, a mio modo divedere, ma la soluzione di un problema di conoscenza5.

Ora, c’è continuità tra il primo e il secondo McLuhan, tra il cri-tico letterario ed il teorico dei media? Sì e no, come al solito; per-ché, come sempre accade in questi casi, la risposta dipende daquello che si guarda. Ma soprattutto no, secondo me, se dal pianodei contenuti, sempre intrecciati ed inestricabili, si passa a quellodei modelli astratti: e in questo caso, la transizione da uno schemamistico di compresenza delle cose, ad uno riduzionistico di causa-effetto, è davvero una nuova conversione intellettuale, che avreb-

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5 Ho affrontato il problema del determinismo mcluhaniano e della soluzio-ne delle sue incongruenze in Una scienza normale. Proposte di metodo per laricerca sui media, Roma, Meltemi, 2001, pp. 53-64 e pp. 79-113.

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be meritato da parte di tutti maggiore attenzione, e lo spazio ade-guato ad un grande esempio di evoluzione della ricerca. Ma tant’è,di questi tempi – in cui si continua a denunciare un dominio delrazionalismo che non sta da nessuna parte, e per comodità retoricasi offrono come soluzioni antagoniste proprio quelle visioni delmondo irrazionaliste che sono ampiamente dominanti – non c’è daaspettarsi di meglio. Ma di qui, anche, la necessità di recuperare ilpensiero di un autore, come McLuhan, che questi diversi piani elivelli dell’azione intellettuale li ha conosciuti ed attraversati.

Un’ultima questione, la quarta, è utile a completare e spiegarequella precedente. La transizione dal primo al secondo McLuhan, daquello mistico a quello determinista (ancorché tutt’altro che rigoro-so, in termini di procedure scientifiche), si accompagna direttamen-te alla scoperta dei media e della loro influenza sulla percezionedella realtà. Non a caso, buona parte dei lavori qui presentati sonostati scritti o pensati da McLuhan prima del punto di svolta segnatodalla ricezione delle tesi materialiste di Harold Innis (1950-1951), enon a caso, nel saggio su Umanesimo cattolico e lettere moderne (ilpiù fecondo di questo volume: siamo ormai nel 1954), McLuhaninnesta il discorso sui media su una riflessione storica di lunga dura-ta – dall’oralità alla scrittura, dalla cultura manoscritta fino al libroe alla televisione – che apre uno squarcio sulla gestazione diGalassia Gutenberg: «ogni cambiamento nelle forme o nei canali dicomunicazione, a prescindere che si tratti di strade, di carte, di navi,della pietra, del papiro, della creta, o della pergamena, ha delle con-seguenze sociali e politiche rivoluzionarie [perché] qualsiasi canaledi comunicazione ha un effetto deformante sulle abitudini dell’atten-zione: esso sviluppa una distinta forma di cultura».

E così, attraverso Innis, lo strappo è compiuto: ecco ilMcLuhan determinista, teorico dei media e delle deformazioniche ne derivano, costretto suo malgrado a confinare le categoriedello spirito in un angolo della storia. Ma soprattutto, cosa che miinteressa maggiormente fissare come aspetto conclusivo, ecco ilMcLuhan materialista (“le strade, le carte, le navi”…), che rove-scia la scala consolidata dei valori e trova la vibrazione decisivanella costituzione fisica delle società6: «e quando i messaggi pos-

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6 Sul materialismo di McLuhan, interessanti contributi si trovano, per ini-ziare, in S. Jhally, Communications and the Materialist Conception of History:

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sono essere trasportati, arrivano allora le strade, e gli eserciti, egli imperi…».

L’idealismo del giovane McLuhan, che cercava senza treguala matrice del reale nelle pieghe visibili della trascendenza – laclaritas e l’epifania, l’attualizzazione del mito e la potenza deisimboli – si converte qui in una visione materialista, in cui le tec-niche e le pesantezze del mondo fanno e disfanno la storia del-l’uomo. Ora, la tensione tra idealismo e materialismo è una diquelle questioni di cui sembra impossibile liberarsi, per quantofrequentemente si presentano nella storia del pensiero: l’empiri-smo e la trascendenza, la teoria dell’evoluzione e la filosofiadella storia, e, perfino all’interno di una comune matrice, ilmarxismo scientifico e quello hegeliano, il Weber dell’Etica pro-testante e quello del Metodo delle scienze storico-sociali7, eappunto, e ancora, il primo e il secondo McLuhan.

Intendiamoci, di tracce di questioni materiali ne affiorano,eccome, già nel primo McLuhan: si pensi alle allusioni allo“sfruttamento di massa”, sparse nei saggi che seguono, o alla rea-zionaria ma sottile lettura dell’attacco alla famiglia tradizionalecome via per immettere le donne sul mercato delle professioni, eridurre di conseguenza il potere contrattuale dei lavoratori (checompare, chissà perché, nel saggio su Wyndham Lewis). Ma que-sti sono ancora dettagli, ancorché filologicamente interessanti,rispetto alla grande svolta che sta per consumarsi, e di cui questisaggi costituiscono – al di là del loro oggettivo contenuto analiti-co, di cui si è cercato di dire in precedenza – la premessa neces-saria ed il calco negativo, il terreno bruciato su cui crescerà un

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Marx, Innis and Technology, «The Australian Journal of Media & Culture», 7,1, 1993; J. Stamps, Unthinking Modernity. Innis, McLuhan and the FrankfurtSchool, Montreal, McGill-Queen’s University Press, 1995; P. Groisswiller,The Dialectical Methods of Marshall McLuhan, Marxism and Critical Theory,«Canadian Journal of Communication», 21, 1, 1996.

7 Non pretenderò di risolvere una questione tanto complessa. Rimando,per una illustrazione di quello che sto qui intendendo, ad un’interpretazione discuola (T. Parsons, La struttura dell’azione sociale (1937), Bologna, IlMulino, 1986, pp. 623-626 e pp. 648-650) e, più modestamente e fatte le pro-porzioni, ad una mia brevissima rilettura del problema del materialismo nellescienze della cultura (A. Miconi, Sulle “variazioni grandi”, la storia e la teo-ria. In merito all’articolo di Alberto Abruzzese, «Quaderno di Comunicazio-ne», 8, 2007).

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fiore inatteso: la svolta, intendo, verso una spiegazione delmondo che guardi non più verso l’alto, in attesa di qualche cate-goria trascendente che possa spiegare la storia, ma verso il bassoe lo sporco della vita materiale, dell’evoluzione e della tecnolo-gia (e non solo, nello specifico di McLuhan, delle tecnologie percomunicare, come dimostrano i capitoli de Gli strumenti delcomunicare dedicati alla ruota e alle armi, ai mezzi di trasporto ealle abitazioni8). Ma veder sorgere il secondo McLuhan dalleceneri e dalle incongruenze del primo, è ancora oggi una prospet-tiva di grande interesse, ed uno dei motivi per cui vale la pena diiniziare a rileggere da capo un autore così tanto citato, e insiemecosì poco studiato.

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8 Dei 26 capitoli che compongono, nella seconda parte degli Strumenti delcomunicare, l’ecologia dell’uomo moderno, non ce n’è uno (dico uno) che siadedicato ad un’idea, a una tendenza espressiva, o a una categoria dello spiri-to: riguardano invece tutti oggetti materiali o dispositivi scientifico-tecnologi-ci. Precisamente, 13 sono dedicati ai media in senso stretto (14, se consideria-mo come medium anche la parola parlata), 2 ai mezzi di trasporto, 6 alle tec-nologie che organizzano la vita quotidiana, 2 agli specifici generi all’internodel sistema dei media, uno alle armi e uno all’automazione.

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