Martin Buber Italiano
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Martin Buber:una vita per il dialogo
Copyright © 2008 Stefano Martini
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Martin Buber: una vita per il dialogo
Martin Buber, filosofo ebreo tedesco, nacque a Vienna nel 1878, ma trascorse la sua infanzia a Lemberg, in Galizia, nella casa dei nonni paterni, dove fu portato all’età di tre anni, quando i suoi genitori si separarono, entrando così in contatto con una raffinata cultura ebraica, poiché il nonno Salomon era un illustre studioso della tradizione ebraica. Ancora più importante, come confessa lui stesso, fu l’influenza della nonna Adele, donna intelligente e colta, che infuse in lui «l’amore per la parola».
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Martin Buber: una vita per il dialogo
Negli anni dell’adolescenza Buber era comunque più interessato alla cultura filosofica laica: egli stesso racconta con quanta passione lesse, a quindici anni, i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che si presenterà come scienzadi Immanuel Kant e, a diciassette, Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche.
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Martin Buber: una vita per il dialogo
Martin Buber iniziò gli studi di filosofia a Vienna e li proseguì poi a Lipsia, a Zurigo e
infine a Berlino, dove seguì le lezioni di Georg Simmel (1858-1918) e Wilhelm Dilthey
(1833-1911), i quali molto incisero sulla sua formazione.
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A Lipsia, nel 1898, aderì al movimento sionista fondato da Theodor Herzl (1860-1904), di cui poi divenne membro attivo a Berlino, ottenendo anche la direzione dell’organo ufficiale del movimento, la rivista “Die Welt”. Fin dall’inizio, tuttavia, Buber tenne nel movimento una posizione ben diversa da quella ‘politica’ del fondatore, interpretando piuttosto posizioni di sionismo culturale e spirituale.
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Egli mantenne tali posizioni per tutta la vita, difendendo con sempre maggior convinzione l’ideale di una pacifica convivenza fra Arabi ed Ebrei.
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Nel 1899, a Zurigo, egli conobbe la giovane scrittrice Paula Winkler, che divenne poi sua moglie. Con lei poté vivere sempre in intensa comunione, non solo affettiva, ma anche intellettuale. Sempre nel 1899, egli aderì al movimento “Die neue Gemeinschaft”, nel quale incontrò Gustav Landauer (1870-1919): la grande amicizia con questo straordinario e affascinante pensatore politico e rivoluzionario utopista segnò profondamente la vita di Buber e il suo pensiero politico.
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Nel 1902 partecipò alla fondazione della casa editrice Jüdisce Verlag. Inoltre, insieme con Franz Kafka(1883-1924), Max Brod (1884-1964) e altri, collaboròcon il circolo praghese “Bar Kochba”.
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Martin Buber: una vita per il dialogo
Professore di Scienza della religione ed etica ebraicaall’università di Francoforte dal 1925 al 1933, dopo l’avvento del nazismo perde la sua cattedra e nel 1938 si trasferisce a Gerusalemme, dove ricopre la cattedra di Filosofia sociale fino al 1951.
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Qui riprende il suo programma per l’educazione degli adulti, iniziato a Francoforte negli anni in cui il nazismo ha escluso gli ebrei dalle scuole.
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Nel 1923 pubblica una delle opere più famose, Io e Tu, proprio nell’anno in cui comincia ad insegnare a Francoforte.
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Nel 1925 incontra Franz Rosenzweig, con il quale inizia a tradurre la Bibbia ebraica (impresa che, dopo la morte prematura dell’amico, porterà a termine da solo a Gerusalemme nel 1961).
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Conclusa e pubblicata la traduzione, nel 1961 Gershon Scholem rivolse a
Buber una obiezione sulla opportunità di tale impresa, in seguito alla
catastrofe subita dagli ebrei tedeschi, i probabili destinatari di tale traduzione.
In realtà, la nuova versione della Bibbia ebraica era indirizzata agli uomini in generale, anzi all’uomo
occidentale, in particolare all’uomo tedesco sprofondato nella sua crisi.
Ecco perché Buber ritenne non inutile continuarla e pubblicarla.
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Già nel 1927 visita Gerusalemme, ma ritorna presto in Europa, dove stringe amicizia con il teologo svizzero Leonhard Ragaz.
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Fra gli scritti successivi, meritano senz’altro di esser ricordati: Il problema dell’uomo (1943) ed Eclissi di Dio(1952),
oltre che i suoi interessantissimi studi sul chassidismo, ovvero su quel movimento dell’ebraismo europeo orientale sorto nel XVIII secolo e caratterizzato dall’importanza attribuita all’azione.
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In particolare nell’opera Il problema dell’uomo, egli analizza dettagliatamente la crisi dell’uomo contemporaneo, confrontandosi con le proposte di superamento avanzate da altri, come Edmund Husserl (1859-1938), Martin Heidegger(1889-1976) e Max Scheler (1874-1928).
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I due motivi centrali del suo pensiero sono, infatti, il chassidismo, da un lato, e la concezione dialogica, dall’altro.
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Al chassidismo, concepito come dialogo tra cielo e terra, come espressione di fede vissuta non intellettualisticamente o legalisticamente ma come santificazione del quotidiano,
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sono dedicate numerose sue opere, fra le quali La leggenda del Baal Shem (1908),
Gog e Magog (1941),I racconti dei chassidim (1949).
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La concezione dialogica, invece, è applicata da Buber sia all’interpretazione della storia e della coscienza ebraiche, come dialogo tra il popolo e Dio espresso nell’alleanza, e in cui le leggi sono soltanto la risposta umana,
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sia, più in generale, alla filosofia dell’esistenza, che egli enuncia soprattutto in Io e tu (1923).
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Secondo Buber il senso fondamentale dell’esistenza umana è da rintracciarsi nel principio dialogico, cioè nella capacità di stare in relazione totale con la natura, con gli altri uomini e con le entità spirituali, ponendosi in un rapporto Io-Tu.
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Al mondo della relazione personale e della libertà si contrappone il mondo dell’esperienza, della causalità dell’altro da sé inteso come oggetto manipolabile, in un rapporto Io-Esso.
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L’uomo autentico, quindi, si definisce come persona che nella relazione Io-Tu prende coscienza di sé come soggettività.
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In altre parole, Buber elabora innanzitutto una prospettiva di pensiero il cui cardine sono i temi del dialogo e della relazione.
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Infatti, a partire dall’idea secondo cui l’uomo non è una sostanza, ma una fitta trama di rapporti e di relazioni, egli è pervenuto a quella che si potrebbe definire una sorta di relazionismo personalista.
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Ad avviso di Buber, dunque, il mondo è duplice, giacché l’uomo può porsi dinanzi all’essere in due modi distinti, richiamati dalle due parole-base (Grundworte) che può pronunciare al suo cospetto: Io-Tu e Io-Esso.
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Di primo acchito, si potrebbe essere indotti a pensare che la parola Io-Tu alluda ai rapporti con gli altri uomini e la parola Io-Esso si riferisca invece a quelli con le cose inanimate. In realtà la questione è più complessa, in quanto l’Esso può comprendere anche Lui o Lei.
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L’Io-Esso, allora, finisce piuttosto per coincidere con l’esperienza, concepita come l’ambito dei rapporti impersonali, strumentali e superficiali con l’alterità – sia umana sia extraumana.
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Tale schema dualistico –corrispondente almeno in parte a quello prospettato da Marcel tra essere e avere – presuppone che l’Io dell’Io-Esso sia l’individuo, mentre l’Io dell’Io-Tu sia la persona: con la precisazione, però, che “nessun uomo è pura persona, nessuno è pura individualità. […] Ognuno vive nell’Io dal duplice volto” (Io e Tu).
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Agli occhi di Buber, l’Io autentico (la persona) si costituisce unicamente rapportandosi con le altre persone – sullo sfondo vi è la lezione hegeliana (Fenomenologia dello Spirito) dell’autocoscienza che si relaziona ad altre autocoscienze –, giacché l’Io “si fa Io solo nel Tu”.
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Ma asserire che la realtà umana è costitutivamente relazione equivale a dire che essa è costitutivamente dialogo, per cui, se la dimensione dell’Io-Esso è la superficiale dimensione del possesso e dell’avere, la dimensione dell’Io-Tu, di contro, è la profonda ed intima dimensione del dialogo e dell’essere: Io-Tu corrisponde all’essere, Io-Esso all’avere.
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Tale dialogo trova la sua compiuta manifestazione nel rapporto teandrico, ovvero nel rapporto istaurantesi fra l’Io e Dio stesso: “ogni singolo Tu è un canale di osservazione verso il Tu eterno. Attraverso ogni singolo Tu la parola-base si indirizza all’eterno” (Io e Tu).
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Un Tu eterno, che non può esser ridotto in nessun caso all’Esso, ossia ad oggetto di possesso e di conoscenza: “guai a colui che è invasato a tal punto da credere di possedere Dio”, ammonisce Buber.
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Di conseguenza, il Dio-oggetto della teologia è un falso Dio: il vero Dio, quello vivente della Bibbia, è un Tu con cui si parla e non un Tu di cui si parla, è un Dio a cui l’uomo rende testimonianza non già con la scienza, bensì con il suo impegno nel mondo a favore del prossimo:
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“Quando io ero bambino, lessi una vecchia leggenda ebraica che allora non potevo capire. Raccontava nient’altro che questo: ‘dinanzi alle porte di Roma sta seduto un mendicante lebbroso ed aspetta. È il messia’.
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Mi recai allora da un vecchio e gli chiesi: ‘che cosa aspetta?’ e il vecchio mi dette la risposta ch’io allora non capii e che ho imparato a capire molto più tardi. Egli mi disse: ‘Te’”.
Sette discorsi sull’ebraismo
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Nel suo scritto Eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, Buber nota come attraverso i tempi si sia eccessivamente abusato della parola “Dio”, a tal punto che il suo significato è diventato opaco e vuoto;
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ciò non toglie, tuttavia, che tutte le volte che qualcuno la impiega per riferirsi al Tu assoluto, allora essa acquista un insostituibile valore esistenziale.
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Contrapponendosi con forza a Nietzsche e al nichilismo moderno, sfociante nell’ateismo, Buber dichiara che Dio non è definitivamente morto, ma si è solo temporaneamente eclissato (non del tutto diversamente, Horkheimer – di fronte alle atrocità del nazismo – aveva parlato di “eclissi della ragione”): da ciò nasce la fiducia nel Suo ritorno.
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“L’eclissi della luce di Dio non è l’estinguersi, già domani ciò che si è frapposto potrebbe ritirarsi” (L’eclissi di Dio): in particolare, ciò che si è temporaneamente frapposto tra noi e Dio, eclissandoLo, è – per così dire – la nube dell’Esso e dell’Ego, nube che fa sì che il profondo rapporto Io-Tu sia oscurato da quello superficiale Io-Esso.
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Buber ha riproposto inoltre, con grande attenzione, la questione dell’identità ebraica. Quali sono le caratteristiche dell’ebraismo? Una prima caratteristica è la coscienza della scissione e l’anelito all’unità; una seconda è la ricerca di una relazione tra morale e religione, intendendo la religiosità come azione e come spinta messianica verso il futuro.
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Questi princìpi – unità, azione e futuro – sono i princìpi validi anche per l’umanità: un autentico ritorno all’ebraismo coincide per lui ad un ritorno verso la vera umanità.
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L’influsso di Buber è stato notevole in pensatori
cristiani, come Gabriel Marcel e Paul Tillich (a sua volta è presente un influsso
cristiano in Buber).
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Egli fu del resto uno dei pensatori ebrei che più legittimarono il cristianesimo come via di redenzione.
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Tra le altre numerose opere si ricordano: Mosè (1946), Sentieri in Utopia (1950), Immagini del bene e del male (1952).
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Interessante è pure un breve testo che, come suggerisce il sottotitolo, rientra nello spirito del chassidismo: Il cammino dell’uomo secondo l’insegnamento chassidico.
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Una famosa raccolta di scritti è pubblicata con il titolo molto significativo Il principio dialogico e altri saggi: tra gli altri figura proprio Io e Tu, che noi cercheremo di affrontare insieme.
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Martin Buber muore a Gerusalemme, in giorno di sabato, il 13 giugno 1965, a ottantasette anni, sazio di giorni.
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Buber, nuovo Socrate?Buber, nuovo Socrate?
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Leo Baeck, Lily Montagu, Martin Buber
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Grazie per l’attenzione!
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