La rivincita dei timidi

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Album Il Giornale Domenica 30 dicembre 2007 19 E ppure, quel balbettio, quella ritrosia, a volte fintamente burbera e misan- tropa, che etichettiamo come timi- dezza è, spesso, tutt’altro che di ostacolo al successo, alla fama. Anzi è un indizio di una delle peculiari doti del genio: quella capacità di sapersi guardare dentro e da lì, dal profon- do di sé, guardare oltre. E gli esempi nella storia, nell’arte e nella scienza non manca- no. Citiamo alcuni dei più noti in ordine spar- so e solo per dare l’idea di quanti timidi intro- versi abbiano contribuito a forgiare il desti- no dell’umanità, con buona pace dei chiac- chieroni amanti della ribalta sociale. All’origine della cultura occidentale abbia- mo un timidone: Platone. La vulgata vuole che balbettasse in pubblico. Molto diverso dai sofisti, veloci di lingua, o dal più spigliato Senofonte, allievo di Socrate che però, come filosofo, si è rivelato non proprio geniale. Amante del pensiero solitario era anche Ar- chimede. Leggenda vuole che nel bel mezzo della distruzione di Siracusa se ne stesse so- lo e pensoso. Aggredito da un soldato roma- no, non trovò niente di meglio da dirgli che: «Non rovinare i miei cerchi». E la sua sde- gnosa riservatezza gli costò la vita. Ma che gli scienziati di genio siano così lo provano anche infiniti aneddoti sulla timidezza di Al- bert Einstein (capace però anche di improv- vise burle e scherzacci) e di Ettore Majorana. Quest’ultimo, il più ge- niale degli allievi di Fer- mi, sfuggiva conferenze e concorsi accademici, viveva in un mondo tutto suo scrivendo formule di fisica su pacchetti di siga- rette che poi gettava via. Del resto anche in poli- tica il punto di partenza può essere un riservato intimismo. Uno dei casi più noti è quello di Abraham Lincoln. Il pre- sidente che meglio incar- nò la capacità di convin- cere, da giovane era timi- dissimo, incline alla soli- tudine silenziosa dei boschi. E gli americani su questo hanno costruito una leggenda. Del resto la rivincita del timido è alla base del loro immaginario. Un esempio filmico per tutti: il Dustin Hoffman di Cane di paglia. Quanto alla letteratura... Be’ qui la ricerca di timidi di successo si fa facilissima. Quasi scontato citare Giacomo Leopardi, Fernan- do Pessoa con le sue «lettere a se stesso», oppure Emily Dickinson che visse sempre isolata nella sua casa. Ma se dai «letterati», in fondo, uno se l’aspetta, anche nel cinema e nella musica a volte, incredibilmente, a sfondare sono gli introversi. Stanley Kubrick era un super in- troverso e Barbra Streisand si è sempre defi- nita una timidona. Come a dire: quando i timidi escono dal guscio non li ferma più nes- suno... [MS] TOMMY CAPPELLINI S ono quelli che quando li inviti a cena - un’alle- gra tavolata tra amici - stanno in silenzio. Sono quelli che quando arrivano in un nuovo ambiente di lavoro, non corrono certo il rischio di essere etichettati come «im- prenditori di se stessi», «ma- ghi dell’autopromozione», ma nemmeno «scansafatiche senza obiettivi». Anzi: hanno della professione un’idea piut- tosto rigorosa, «nobile», seb- bene siano il contrario dei workaholics, i dipendenti dal lavoro. Sono quelli di cui ci si inna- mora - sempre che accada - al secondo o forse al trentesi- mo sguardo, ma mai al primo. Sono quelli che quando li vedi cenare in tratto- ria o al Grand hotel, quando leggi i loro libri, quando gli chiedi l’ora per stra- da, la vibrazione in- teriore che ti riman- dano è la stessa del- la voce da orso di Pa- olo Conte che - rivol- gendosi solo a se stesso in un teatro gremito di persone - riassume perfetta- mente l’argomento di questo articolo: «Ma un uomo camion vive an- cora in me... ». Insomma, parliamo degli in- troversi. È uscito per Franco Angeli un libro dedicato a lo- ro: Timido, docile, ardente... Manuale per capire e accetta- re valori e limiti dell’introver- sione (propria e altrui) (pagg. 128, euro 16) di Luigi Anepe- ta, psichiatra e psicanalista che da decenni studia i nessi tra soggettività e storia socia- le, dopo aver lavorato in ambi- to accademico e - ai tempi di Franco Basaglia - in un ospe- dale psichiatrico. Gli abbiamo chiesto se l’introversione è una malattia - un po’ come la depressione - o soltanto un modo di essere divergente da quello predominante degli estroversi: «Questi ultimi» ci ha spiegato, «sono caratteriz- zati dall’attrazione che il mon- do esterno esercita sulla loro personalità. Gli introversi, in- vece, sono attratti dal mondo interno, vale a dire dal pensie- ro riflessivo, dalla meditazio- ne, dalle fantasie. L’introver- sione, ad ogni modo, non è una malattia, ma uno spettro caratteriale». Con quali connotati? «Un corredo emozionale mol- to ricco, spesso associato a un livello intellettivo elevato. Il mondo esterno, che noi rite- niamo oggettivo e tangibile, ha una dimensione stratifica- ta: è una foresta di simboli e di significati. Gli introversi hanno la capacità intuitiva di penetrarne lo spessore, di “ve- dere” ciò che esso significa al di là delle apparenze». Un esempio? «Un mio paziente riconduce- va il suo primo trauma all’es- sere entrato, a tre anni, in una macelleria e all’aver avu- to un attacco di panico alla vi- sta degli animali scuoiati e sventrati. Egli ha visto ciò che noi non riusciamo più a vede- re perché la nostra percezio- ne è assuefatta a qualcosa che invece dovrebbe inquie- tarci». Quali origini può avere l’in- troversione? «È decisa dalla natura: dalla lotteria genetica, insomma. L’ambiente familiare e scola- stico può influenzare lo svilup- po di una personalità introver- sa a seconda che valorizzi il suo patrimonio interiore (vi- bratile, plastico, creativo) o, viceversa, lo drammatizzi in quanto diverso da quello del- la maggioranza. Il bambino in- troverso ha una percezione complessa della realtà, ne co- glie spessore e contraddizio- ni, la esplora sulla base di un innato e spiccato senso di di- gnità e giustizia». Ed è quindi autorizzato a starsene per i fatti propri? «Anche. L’odierna ideologia della socializzazione ritiene, per esempio, che tutti i bambi- ni abbiano bisogno di andare alla scuola materna per stare con gli altri. Ma questa è un’istituzione caratterizzata in genere dall’affollamento, da una certa agitazione moto- ria e da una rumorosità spes- so elevata. Per i bambini intro- versi, che odiano la confusio- ne, l’interazione fisica aggres- siva e il fracasso, è un’espe- rienza in genere terribile». Sognatori e solitari fin da pic- coli, si direbbe. «Sognatori indispensabili. Dall’inizio alla fine della vita essi non possono prescindere dal “sogno” di un mondo uma- no solidale, delicato, nel qua- le non si diano violenze, so- praffazioni, conflitti. È per questo che non sono incorsi in un processo di selezione natu- rale e sociale: sono depositari di un certo tipo di idea dell’uo- mo che anche la società più utilitarista non può permetter- si o non è riuscita ad abbando- nare». Forse per questo la loro quo- tidianità è più difficile. «La nostra cultura è fondata sulla spigliatezza nell’agire, sulla parola pronta, sull’intra- prendenza, sulla capacità di essere sempre simpatici, bril- lanti. Squalifica gli introversi, che sono il 5-7 per cento della popola- zione, come “difetto- si” e anziché rispet- tarli li sollecita ad essere come tutti. Tuttavia, due terzi dei prodotti cultura- li nei campi della re- ligione, della filoso- fia, dell’arte, della scienza è riconduci- bile a soggetti intro- versi. Non molti in- troversi sono geni, ma è un fatto che gran parte dei geni sono introversi». Tutelarli, dunque? «Non occorrono leg- gi a protezione degli introver- si, ma una rivoluzione cultura- le meritocratica che riabiliti le loro qualità umane e profes- sionali ed eviti di privilegiare la tendenza narcisistica ad af- fermarsi ad ogni costo, anche adottando strategie comporta- mentali asociali e amorali. È quello che ho tentato di fare fondando la Lidi (www.legain- troversi.it). Preso atto del di- sagio psichico che si manife- sta negli introversi soprattut- to tra i 15 e 25 anni di età, la Lidi ha l’intento di aiutarli a dare alla propria diversità un valore». Domenica 30 dicembre 2007 D a bambini, eravamo tutti più o meno timidi. Poi mol- ti sono guariti, magari du- rante il militare, o uscendo con la prima ragazzina, o facendo nuo- to, o in mille altri modi. Ma molti non sono guariti del tutto, e così sono diventati adulti introversi. No, «guarire» non è il verbo giu- sto: la timidezza non è una malat- tia. Meglio usare il verbo «cresce- re». Il timido ha paura degli altri. Questo però non lo dice lui, lo dico- no gli altri. Ma spesso il timido, quello destinato quasi genetica- mente all’introversione, gli altri non li teme, bensì li esclude. È il «timido arrogante», il più perico- loso, soprattutto per se stesso. Ta- le ossimoro vivente arrossisce ag- gressivamente, covando, sotto la cenere della rassegnazione, il fuo- co dell’opposizione, se ne sta in disparte come il neutralista che di- chiara guerra a ogni schieramen- to, nemico della futile contesa, al- leato soltanto del proprio «io». Non è bello, essere timidi arro- ganti. Quando gli altri capiscono che lo sei, si sentono esclusi da te e, naturalmente, ti considerano, appunto, un nemico, un hidalgo che taglia loro la strada in sella al ronzino della presunzione. Chi si crede di essere questo qua che non ride alle nostre battute, che non partecipa alle nostre riunio- ni, che si siede in ultima fila al ci- nema, che mangia da solo? Lascia- molo nel suo brodo, ’sto presun- tuoso della malora, tanto peggio per lui. Funziona così. Poi a volte succede qualche cosa di anomalo. L’orso annusa un’aria strana ed esce dalla tana, guardandosi intorno con fare cir- cospetto. Uno strano odore lo ha svegliato dal letargo. Può essere l’odore di una parola amica, dono inatteso e realmente disinteressa- to. Può essere l’odore di uno sguardo in cui splende una luce nuova, mai vista prima. Può esse- re un profumo di donna. Può esse- re la primavera, anche in pieno inverno. Può essere che l’orso in- troverso abbia esaurito le calorie autoprodottesi nell’isolamento e debba tornare a nutrirsi alla luce del sole e degli altri. La strada della timidezza, per tutti, a un certo punto si biforca. C’è un cartello con due frecce che indicano due direzioni. Una porta scritto «Mondo», l’altra «Te stes- so». Se andrai per il Mondo, do- vrai partecipare alla contesa, non potrai rimanere neutrale. Andrai a votare e voterai il meno peggio, ballerai con fanciulle non proprio bellissime, urlerai parole che non ti convincono appieno, fingerai di amare il tuo lavoro, la tua città e tutto il resto. Se andrai verso Te Stesso, farai tu l’andatura, ma camminerai solo. Potrai correre o camminare e persino fermarti in qualsiasi momento. Potrai fare quasi tutto ciò che vorrai, e ciò che non potrai fare fingerai di aver scelto di non volerlo fare. Ma, se vorrai sopravvivere, due sono le cose che non dovrai fare: raggiungere la meta del tuo viag- gio, cioè arrivare al capolinea di Te Stesso, e turarti il naso. Perché quando sarai arrivato a Te Stesso sarai finito. E quando nessun odo- re potrà risvegliarti dal letargo, il tuo corpo di orso introverso bruce- rà anche l’ultima caloria. Sarai freddo, anzi gelato come il cadave- re di un ex timido che ha sbagliato strada. MATTEO SACCHI A vederla sugli scaffali della Feltrinelli o di qualunque altra libreria, mischiata ai tomi di fede varia etichettati da zelan- ti librai sotto l’ecumenica definizione di «spiri- tualità», si potrebbe scambiarla per un fumetto finito al posto sbagliato. Non foss’altro per quel- la copertina con una diavolessa procace sullo sfondo e Belzebù, disegnato in primo piano, con i tratti da Clark Gable e l’aria da piazzista d’antan. Eppure La bibbia di Satana di Anton Szandor LaVey (pagg. 253, euro 14), per la prima volta tradotta in italiano dall’editore Arcana, è tutt’al- tro che cosa per bambini. Questo libro è il fonda- mento del satanismo moderno, di quella Chiesa di Satana che ha ispirato Charles Manson e ha fornito un brodo di coltura, più millantato che reale, a una buona fetta di rock che si voleva sulfureo e cattivello, mentre in realtà era so- prattutto business. Così fa un po’ specie vederla campeggiare in mezzo a libri che, più o meno ispirati, più o meno religiosamente convenzio- nali, parlano tutti di pace, amore e innalzamen- to dello spirito. Mal che vada di storia delle reli- gioni. Per carità, niente moralismi e niente cen- sure, dei libri non bisogna aver paura, men che meno scriverci sopra «vietato ai minori di anni 18». Eppure una collocazione diversa, o alme- no una nota introduttiva un po’ illuminata e illu- minante per questo testo, vergato nel 1969, la si potrebbe anche pretendere. Perché se nel libro di LaVey, scritto con tono che spazia senza soluzione di continuità dal ma- terialismo al delirio magico, sono presenti idee che erano controcultura negli anni ’60 e adesso sono poco più che iatture ideologiche - ribelli- smo anarcoide, individualismo esasperato, ma- terialismo cialtrone che aveva la pretesa di fare a pugni con il buonismo allora in voga -, le mo- dalità in cui sono espresse erano e restano di quelle di cui si deve diffidare. Basti un’incitazione all’odio costantemente ripetuta nel testo: «Se un uomo ti colpisce una guancia fracassagli l’altra». Oppure l’aggres- sione costante alle religioni che predicano l’amore: «Costrin- gerti a provare indi- scriminatamente amore è veramente innaturale». Un’ag- gressione che verso alcune fedi - tra cui il cristianesimo, l’ebraismo e l’Islam - va molto oltre il li- vello del buon gusto: «Io fisso il vostro ti- moroso Jahvè e lo prendo per la barba; e schianto con la scu- re il suo cranio...». E certo una perso- na normodotata si li- mita a girare pagi- na, a farsi due risa- te, quando scopre che la festività più importante per il sa- tanista egocentrico ed egoistone è il com- pleanno o che, grat- ta gratta, il risultato di tante formuline, da recitare in lin- guaggi inesistenti, è sempre la speranza che il sulfureo ci con- ceda magnanimo la possibilità di farci i comodacci nostri a spese altrui. Tutte cose a cui nei nostri momenti peggiori ar- riviamo - degeneria- mo - in solitaria, sen- za bisogno di istru- zioni per l’uso. Però poi ti torna in mente che questo è il Pae- se delle Bestie di Satana, che c’è gente che leg- ge un solo libro nella vita e potrebbe essere così sfortunata da incappare in questo, senza che nessuno nell’introduzione ci scriva almeno una parolina di avviso, di critica ragionata... Magari raccontando le falsità con cui LaVey ha costrui- to il suo personaggio ammaliando, agli inizi, quella parte di Hollywood (basti citare Jayne Mansfield e Roman Polanski) a cui la trasgres- sione piaceva per principio. Perché se è esistito un tempo, sbagliato, in cui imperava il piglio censorio, e il peggio l’ha fatto quella sinistra sempre pronta a definirsi libertaria, la smania di pubblicare tutto funziona solo a patto di met- tere nelle quarte di copertina le istruzioni per l’uso. Perché è vero che tutto è cultura, ma solo se si hanno i mezzi per etichettare, per discerne- re. E non basta giustapporre i libri, ammontic- chiarli nella babele libraria per farlo succede- re. ALBUM Cultura & Spettacoli INGANNEVOLE La copertina La locandina di «Cane di paglia» la rivincita dei IL LIBRO ANGELO ASCOLI Le rare virtù di chi vive in disparte N ell’epoca del chiasso e del- l’immagine, dell’apparire e della chiacchiera, nien- te è più arcaico, nel senso di anti- moderno, della timidezza. Impo- polare, anzi. Forse persino scor- retto. Un vizio di cui vergognarsi e dal quale guarire. Un difetto che ostacola. Un handicap. Se poi qualcuno, invece della sindrome di Erostrato, che bruciò il tempio di Artemide per rendere immorta- le il suo tempo e che oggi ci spinge in tv o, nel migliore dei casi, a cer- care la gloria, si insegue invece la sindrome di Cincinnato, la voglia «di gettare la spugna e di andarse- ne, lasciandoci alle spalle lacci di ogni sorta», inseguendo la solitu- dine, allora la malattia è proprio grave, forse inguaribile, addirittu- ra pericolosa. La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza (Raffael- lo Cortina Editore, pagg. 270, eu- ro 14) di Duccio Demetrio è l’elo- gio di ciò che fin dai tempi eroici e guerrieri è stato considerato una mancanza, l’elogio del rosso- re, della difficoltà di guardare dritto negli occhi, perfino di strin- gere la mano senza una maschia ruvidezza. E, invece, «la più vera, origina- ria, natura della timidezza è una pulsione di vita e non di morte», è la capacità di scorgere le sfuma- ture della vita e di infilarsi den- tro, il gusto della penombra e del silenzio, se volete dell’educazio- ne e del riserbo: «La timidezza è invece farsi domande, sul pro- prio conto e non solo; è rifuggire ogni aggressività e atletica diso- nesta competizione; è anomalia e scherzo di natura e può essere una solitudine (quasi) felice. Ed è l’unica chiave che ci permette di aprire le porte di una vita schiva e di scoprirvi ricchezze e tesori che non avremmo mai immagina- to, frastornati come siamo dal chiasso e dalla confusione della modernità». Dagli stoici antichi ai poeti mo- derni, dall’Antico testamento ai versi di Fernando Pessoa e di Emi- ly Dickinson, quello di Demetrio è un viaggio nei chiaroscuri del ca- rattere umano che si porta dietro il bagaglio di secoli e secoli di pa- role che il pensiero dominante ha dimenticato, oppure ha conserva- to, sotto una campana di vetro, come il libro dei desideri proibiti di ciascuno di noi, ma anche co- me il prontuario degli alibi che ci permettono di scendere a com- promessi con la nostra coscien- za. Perché tutti noi vorremmo, co- me Cincinnato, ritrovare la pace e il silenzio, lontani dal frastuono e dalle miserie della società, ma prima, appunto, vorremmo esse- re stati dei Cincinnato, e come ta- li goderci la serenità del tramon- to; mentre, invece, il vero Cincin- nato è colui che non si è mai trova- to sotto il mezzogiorno della glo- ria, che dalla penombra non è mai uscito perché non riuscireb- be a trovare un’altra luce sotto cui vivere. Il vero Cincinnato è il timido che non si rifugia nel buio e nel silenzio per paura, ma per- ché soltanto lì trova l’aria che gli permette di respirare, solo lì scor- ge «tracce invero del sacro, il più terribile e il più celestiale, nella storia di questo sentire, inquie- tante e sconvolgente». Infine, e non è poco: «I timidi tutto hanno potuto e saputo sop- portare, tranne il senso del ridico- lo». VIVERE SUL CONFINE DANIELE ABBIATI I migliori amici e i peggiori alleati di se stessi Abraham Lincoln (1809-1865) Emily Dickinson (1830-1886) Albert Einstein (1879-1955) Stanley Kubrick (1928-1999) Il bambino riflessivo ha una percezione complessa della realtà, ne coglie spessore e contraddizioni, la esplora con un innato senso di dignità e giustizia TIMIDI Dentro il guscio abita un genio Lo psichiatra e psicanalista Luigi Anepeta: «Gli introversi hanno corredi emozionali molto ricchi spesso associati a livelli intellettivi elevati» L’odierna ideologia della socializzazione è molto dannosa per quel 5-7 per cento di «sognatori indispensabili» Ma c’è un’associazione che li difende INTIMISTI DI SUCCESSO Quando la fortuna premia quelli che arrossiscono Loro arrossiscono e gli altri li prendo- no in giro. Loro stanno in disparte e gli altri si divertono in gruppo. Loro sono riflessivi e gli altri sono iperattivi. Loro sono i timidi e/o introversi. Una tribù silenziosa di cani sciolti, di solitari, a volte di autentici emarginati. Ma den- tro covano spesso un fuoco che alimen- ta la macchina delle loro facoltà. Così spesso «loro» riescono non di rado a eccellere nelle arti e nelle scienze, nel- la letteratura e addirittura nella politi- ca. Raggiungendo livelli tali da far ar- rossire gli altri, quelli che ridono di lo- ro, che si muovono in gruppo e che dal- l’iperattivismo ottengono poco o nulla. LA «BIBBIA» DI LAVEY Quel Satana fa ridere (ma è un trucco) __ __ VITA SULFUREA Anton Szandor LaVey (1930-1997) fondò la «Chiesa di Satana» trasformando il satanismo in una sorta di religione del consumismo. La dottrina ebbe qualche successo nell’America degli anni ’70, poi la «Chiesa» si sgretolò per una serie di scismi. Ora la sua «Bibbia» è tradotta in italiano e venduta con una copertina da fumetto.

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Eppure, quel balbettio, quella ritrosia,a volte fintamente burbera e misan-tropa, che etichettiamo come timi-

dezza è, spesso, tutt’altro che di ostacolo alsuccesso, alla fama. Anzi è un indizio di unadelle peculiari doti del genio: quella capacitàdi sapersi guardare dentro e da lì, dal profon-do di sé, guardare oltre. E gli esempi nellastoria, nell’arte e nella scienza non manca-no. Citiamo alcuni dei più noti in ordine spar-so e solo per dare l’idea di quanti timidi intro-versi abbiano contribuito a forgiare il desti-no dell’umanità, con buona pace dei chiac-chieroni amanti della ribalta sociale.

All’origine della cultura occidentale abbia-mo un timidone: Platone. La vulgata vuoleche balbettasse in pubblico. Molto diversodai sofisti, veloci di lingua, o dal più spigliatoSenofonte, allievo di Socrate che però, comefilosofo, si è rivelato non proprio geniale.Amante del pensiero solitario era anche Ar-chimede. Leggenda vuole che nel bel mezzodella distruzione di Siracusa se ne stesse so-lo e pensoso. Aggredito da un soldato roma-no, non trovò niente di meglio da dirgli che:«Non rovinare i miei cerchi». E la sua sde-gnosa riservatezza gli costò la vita. Ma chegli scienziati di genio siano così lo provanoanche infiniti aneddoti sulla timidezza di Al-bert Einstein (capace però anche di improv-vise burle e scherzacci)e di Ettore Majorana.Quest’ultimo, il più ge-niale degli allievi di Fer-mi, sfuggiva conferenzee concorsi accademici,viveva in un mondo tuttosuo scrivendo formule difisica supacchetti di siga-rette che poi gettava via.

Del resto anche in poli-tica il punto di partenzapuò essere un riservatointimismo. Uno dei casipiù noti è quello diAbrahamLincoln. Il pre-sidenteche meglio incar-nò la capacità di convin-cere,da giovane era timi-dissimo, incline alla soli-

tudine silenziosa dei boschi. E gli americanisu questo hanno costruito una leggenda. Delresto la rivincita del timido è alla base delloro immaginario. Un esempio filmico pertutti: il Dustin Hoffman di Cane di paglia.

Quanto alla letteratura... Be’ qui la ricercadi timidi di successo si fa facilissima. Quasiscontato citare Giacomo Leopardi, Fernan-do Pessoa con le sue «lettere a se stesso»,oppure Emily Dickinson che visse sempreisolata nella sua casa.

Ma se dai «letterati», in fondo, uno sel’aspetta, anche nel cinema e nella musica avolte, incredibilmente, a sfondare sono gliintroversi. Stanley Kubrick era un super in-troverso e Barbra Streisand si è sempre defi-nita una timidona. Come a dire: quando itimidi escono dal guscio non li ferma più nes-suno...

[MS]

TOMMY CAPPELLINI

Sono quelli che quando liinviti a cena - un’alle-gra tavolata tra amici -

stanno in silenzio. Sono quelliche quando arrivano in unnuovo ambiente di lavoro,non corrono certo il rischio diessere etichettati come «im-prenditori di se stessi», «ma-ghi dell’autopromozione»,ma nemmeno «scansafatichesenza obiettivi». Anzi: hannodella professione un’idea piut-tosto rigorosa, «nobile», seb-bene siano il contrario deiworkaholics, i dipendenti dallavoro.

Sono quelli di cui ci si inna-mora - sempre cheaccada - al secondoo forse al trentesi-mo sguardo, mamai al primo. Sonoquelli che quando livedi cenare in tratto-ria o al Grand hotel,quando leggi i lorolibri, quando glichiedi l’ora per stra-da, la vibrazione in-teriore che ti riman-dano è la stessa del-la voce da orso di Pa-olo Conte che - rivol-gendosi solo a sestesso in un teatrogremito di persone -riassume perfetta-mente l’argomentodi questo articolo:«Ma un uomo camion vive an-cora in me... ».

Insomma, parliamo degli in-troversi. È uscito per FrancoAngeli un libro dedicato a lo-ro: Timido, docile, ardente...Manuale per capire e accetta-re valori e limiti dell’introver-sione (propria e altrui) (pagg.128, euro 16) di Luigi Anepe-ta, psichiatra e psicanalistache da decenni studia i nessitra soggettività e storia socia-le, dopo aver lavorato in ambi-to accademico e - ai tempi diFranco Basaglia - in un ospe-dale psichiatrico. Gli abbiamochiesto se l’introversione è

una malattia - un po’ come ladepressione - o soltanto unmodo di essere divergente daquello predominante degliestroversi: «Questi ultimi» ciha spiegato, «sono caratteriz-zati dall’attrazione che il mon-do esterno esercita sulla loropersonalità. Gli introversi, in-vece, sono attratti dal mondointerno, vale a dire dal pensie-ro riflessivo, dalla meditazio-ne, dalle fantasie. L’introver-sione, ad ogni modo, non èuna malattia, ma uno spettrocaratteriale».Con quali connotati?«Un corredo emozionale mol-to ricco, spesso associato a unlivello intellettivo elevato. Ilmondo esterno, che noi rite-

niamo oggettivo e tangibile,ha una dimensione stratifica-ta: è una foresta di simboli edi significati. Gli introversihanno la capacità intuitiva dipenetrarne lo spessore, di “ve-dere” ciò che esso significa aldi là delle apparenze».Un esempio?«Un mio paziente riconduce-va il suo primo trauma all’es-

sere entrato, a tre anni, inuna macelleria e all’aver avu-to un attacco di panico alla vi-sta degli animali scuoiati esventrati. Egli ha visto ciò chenoi non riusciamo più a vede-re perché la nostra percezio-ne è assuefatta a qualcosache invece dovrebbe inquie-tarci».Quali origini può avere l’in-

troversione?«È decisa dalla natura: dallalotteria genetica, insomma.L’ambiente familiare e scola-stico può influenzare lo svilup-po di una personalità introver-sa a seconda che valorizzi ilsuo patrimonio interiore (vi-bratile, plastico, creativo) o,viceversa, lo drammatizzi inquanto diverso da quello del-la maggioranza. Il bambino in-troverso ha una percezionecomplessa della realtà, ne co-glie spessore e contraddizio-ni, la esplora sulla base di uninnato e spiccato senso di di-gnità e giustizia».Ed è quindi autorizzato astarsene per i fatti propri?«Anche. L’odierna ideologia

della socializzazione ritiene,per esempio, che tutti i bambi-ni abbiano bisogno di andarealla scuola materna per starecon gli altri. Ma questa èun’istituzione caratterizzatain genere dall’affollamento,da una certa agitazione moto-ria e da una rumorosità spes-so elevata. Per i bambini intro-versi, che odiano la confusio-ne, l’interazione fisica aggres-siva e il fracasso, è un’espe-rienza in genere terribile».Sognatori e solitari fin da pic-coli, si direbbe.«Sognatori indispensabili.Dall’inizio alla fine della vitaessi non possono prescinderedal “sogno” di un mondo uma-no solidale, delicato, nel qua-

le non si diano violenze, so-praffazioni, conflitti. È perquesto che non sono incorsi inun processo di selezione natu-rale e sociale: sono depositaridi un certo tipo di idea dell’uo-mo che anche la società piùutilitarista non può permetter-si o non è riuscita ad abbando-nare».Forse per questo la loro quo-tidianità è più difficile.«La nostra cultura è fondatasulla spigliatezza nell’agire,sulla parola pronta, sull’intra-prendenza, sulla capacità diessere sempre simpatici, bril-lanti. Squalifica gli introversi,

che sono il 5-7 percento della popola-zione, come “difetto-si” e anziché rispet-tarli li sollecita adessere come tutti.Tuttavia, due terzidei prodotti cultura-li nei campi della re-ligione, della filoso-fia, dell’arte, dellascienza è riconduci-bile a soggetti intro-versi. Non molti in-troversi sono geni,ma è un fatto chegran parte dei genisono introversi».Tutelarli, dunque?«Non occorrono leg-

gi a protezione degli introver-si, ma una rivoluzione cultura-le meritocratica che riabilitile loro qualità umane e profes-sionali ed eviti di privilegiarela tendenza narcisistica ad af-fermarsi ad ogni costo, ancheadottando strategie comporta-mentali asociali e amorali. Èquello che ho tentato di farefondando la Lidi (www.legain-troversi.it). Preso atto del di-sagio psichico che si manife-sta negli introversi soprattut-to tra i 15 e 25 anni di età, laLidi ha l’intento di aiutarli adare alla propria diversità unvalore».

Domenica30 dicembre 2007

Da bambini, eravamo tuttipiù o meno timidi. Poi mol-ti sono guariti, magari du-

rante il militare, o uscendo con laprima ragazzina, o facendo nuo-to, o in mille altri modi. Ma moltinon sono guariti del tutto, e cosìsono diventati adulti introversi.No, «guarire» non è il verbo giu-sto: la timidezza non è una malat-tia. Meglio usare il verbo «cresce-re».

Il timido ha paura degli altri.Questo però non lo dice lui, lo dico-no gli altri. Ma spesso il timido,quello destinato quasi genetica-mente all’introversione, gli altrinon li teme, bensì li esclude. È il«timido arrogante», il più perico-loso, soprattutto per se stesso. Ta-le ossimoro vivente arrossisce ag-gressivamente, covando, sotto lacenere della rassegnazione, il fuo-co dell’opposizione, se ne sta indisparte come il neutralista che di-chiara guerra a ogni schieramen-to, nemico della futile contesa, al-leato soltanto del proprio «io».

Non è bello, essere timidi arro-ganti. Quando gli altri capisconoche lo sei, si sentono esclusi da tee, naturalmente, ti considerano,appunto, un nemico, un hidalgoche taglia loro la strada in sella alronzino della presunzione. Chi sicrede di essere questo qua chenon ride alle nostre battute, chenon partecipa alle nostre riunio-ni, che si siede in ultima fila al ci-nema, che mangia da solo? Lascia-molo nel suo brodo, ’sto presun-tuoso della malora, tanto peggioper lui. Funziona così.

Poi a volte succede qualche cosadi anomalo. L’orso annusaun’aria strana ed esce dalla tana,guardandosi intorno con fare cir-cospetto. Uno strano odore lo hasvegliato dal letargo. Può esserel’odore di una parola amica, donoinatteso e realmente disinteressa-to. Può essere l’odore di unosguardo in cui splende una lucenuova, mai vista prima. Può esse-re un profumo di donna. Può esse-re la primavera, anche in pienoinverno. Può essere che l’orso in-troverso abbia esaurito le calorieautoprodottesi nell’isolamento edebba tornare a nutrirsi alla lucedel sole e degli altri.

La strada della timidezza, pertutti, a un certo punto si biforca.C’è un cartello con due frecce cheindicano due direzioni. Una portascritto «Mondo», l’altra «Te stes-so». Se andrai per il Mondo, do-vrai partecipare alla contesa, nonpotrai rimanere neutrale. Andraia votare e voterai il meno peggio,ballerai con fanciulle non propriobellissime, urlerai parole che nonti convincono appieno, fingerai diamare il tuo lavoro, la tua città etutto il resto. Se andrai verso TeStesso, farai tu l’andatura, macamminerai solo. Potrai correre ocamminare e persino fermarti inqualsiasi momento. Potrai farequasi tutto ciò che vorrai, e ciòche non potrai fare fingerai diaver scelto di non volerlo fare.

Ma, se vorrai sopravvivere, duesono le cose che non dovrai fare:raggiungere la meta del tuo viag-gio, cioè arrivare al capolinea diTe Stesso, e turarti il naso. Perchéquando sarai arrivato a Te Stessosarai finito. E quando nessun odo-re potrà risvegliarti dal letargo, iltuo corpo di orso introverso bruce-rà anche l’ultima caloria. Saraifreddo, anzi gelato come il cadave-re di un ex timido che ha sbagliatostrada.

MATTEO SACCHI

A vederla sugli scaffali della Feltrinelli odi qualunque altra libreria, mischiataai tomidi fedevariaetichettatidazelan-

ti librai sotto l’ecumenica definizione di «spiri-tualità», sipotrebbescambiarlaperun fumettofinitoalpostosbagliato.Nonfoss’altroperquel-la copertina con una diavolessa procace sullosfondo e Belzebù, disegnato in primo piano,con i tratti da Clark Gable e l’aria da piazzistad’antan.

EppureLabibbiadiSatanadi AntonSzandorLaVey (pagg. 253, euro 14), per la prima voltatradotta in italianodall’editoreArcana,ètutt’al-trochecosaperbambini.Questo libroèil fonda-mentodel satanismomoderno,diquellaChiesadi Satana che ha ispirato Charles Manson e hafornito un brodo di coltura, più millantato chereale, a una buona fetta di rock che si volevasulfureo e cattivello, mentre in realtà era so-prattuttobusiness.Così faunpo’ specievederlacampeggiare in mezzo a libri che, più o menoispirati, più o meno religiosamente convenzio-nali,parlanotuttidipace,amoree innalzamen-to dello spirito. Mal che vada di storia delle reli-gioni.Percarità,nientemoralismienientecen-sure,dei libri non bisogna aver paura, men chemeno scriverci sopra «vietato ai minori di anni18». Eppure una collocazione diversa, o alme-nounanota introduttivaunpo’ illuminataeillu-minante per questo testo, vergato nel 1969, lasi potrebbe anche pretendere.

Perché se nel libro di LaVey, scritto con tonochespaziasenzasoluzionedicontinuitàdalma-terialismo al delirio magico, sono presenti ideecheeranocontroculturanegli anni ’60eadessosono poco più che iatture ideologiche - ribelli-smoanarcoide, individualismoesasperato,ma-terialismocialtronecheaveva lapretesadi farea pugni con il buonismo allora in voga -, le mo-dalità in cui sono espresse erano e restano diquelle di cui si deve diffidare.

Basti un’incitazione all’odio costantementeripetuta nel testo: «Se un uomo ti colpisce unaguancia fracassagli l’altra». Oppure l’aggres-sione costante alle religioni che predicanol’amore: «Costrin-gerti a provare indi-scriminatamenteamore è veramenteinnaturale». Un’ag-gressione che versoalcune fedi - tra cui ilc r i s t i a n e s i m o ,l’ebraismo e l’Islam- va molto oltre il li-vello del buon gusto:«Io fisso il vostro ti-moroso Jahvè e loprendo per la barba;eschianto con la scu-re il suo cranio...».

E certo una perso-na normodotata si li-mita a girare pagi-na, a farsi due risa-te, quando scopreche la festività piùimportante per il sa-tanista egocentricoedegoistoneè il com-pleanno o che, grat-ta gratta, il risultatodi tante formuline,da recitare in lin-guaggi inesistenti, èsempre la speranzache il sulfureo ci con-ceda magnanimo lapossibilità di farci icomodacci nostri aspese altrui. Tuttecose a cui nei nostrimomentipeggiori ar-riviamo - degeneria-mo - in solitaria, sen-za bisogno di istru-zioni per l’uso.

Però poi ti torna in mente che questo è il Pae-se delle Bestie di Satana, che c’è gente che leg-geunsolo libronella vitae potrebbe essere cosìsfortunata da incappare in questo, senza chenessunonell’introduzioneci scrivaalmeno unaparolinadiavviso,dicriticaragionata...Magariraccontando le falsità concuiLaVeyhacostrui-to il suo personaggio ammaliando, agli inizi,quella parte di Hollywood (basti citare JayneMansfield e Roman Polanski) a cui la trasgres-sione piaceva per principio. Perché se è esistitoun tempo, sbagliato, in cui imperava il pigliocensorio, e il peggio l’ha fatto quella sinistrasempre pronta a definirsi libertaria, la smaniadipubblicare tutto funziona soloapatto di met-tere nelle quarte di copertina le istruzioni perl’uso. Perché è vero che tutto è cultura, ma solosesihannoimezziperetichettare,perdiscerne-re. E non basta giustapporre i libri, ammontic-chiarli nella babele libraria per farlo succede-re.

ALBUMCultura&Spettacoli

INGANNEVOLE La copertinaLa locandina di «Cane di paglia»

la rivincita deiIL LIBRO

ANGELO ASCOLI

Le rare virtùdi chi vivein disparte

Nell’epoca del chiasso e del-l’immagine, dell’appariree della chiacchiera, nien-

te è più arcaico, nel senso di anti-moderno, della timidezza. Impo-polare, anzi. Forse persino scor-retto. Un vizio di cui vergognarsi edal quale guarire. Un difetto cheostacola. Un handicap. Se poiqualcuno, invece della sindromedi Erostrato, che bruciò il tempiodi Artemide per rendere immorta-le il suo tempo e che oggi ci spingein tv o, nel migliore dei casi, a cer-care la gloria, si insegue invece lasindrome di Cincinnato, la voglia«di gettare la spugna e di andarse-ne, lasciandoci alle spalle lacci diogni sorta», inseguendo la solitu-dine, allora la malattia è propriograve, forse inguaribile, addirittu-ra pericolosa.

La vita schiva. Il sentimento ele virtù della timidezza (Raffael-lo Cortina Editore, pagg. 270, eu-ro 14) di Duccio Demetrio è l’elo-gio di ciò che fin dai tempi eroicie guerrieri è stato consideratouna mancanza, l’elogio del rosso-re, della difficoltà di guardaredritto negli occhi, perfino di strin-gere la mano senza una maschiaruvidezza.

E, invece, «la più vera, origina-ria, natura della timidezza è unapulsione di vita e non di morte», èla capacità di scorgere le sfuma-ture della vita e di infilarsi den-tro, il gusto della penombra e delsilenzio, se volete dell’educazio-ne e del riserbo: «La timidezza èinvece farsi domande, sul pro-prio conto e non solo; è rifuggireogni aggressività e atletica diso-nesta competizione; è anomalia escherzo di natura e può essereuna solitudine (quasi) felice. Ed èl’unica chiave che ci permette diaprire le porte di una vita schivae di scoprirvi ricchezze e tesoriche non avremmo mai immagina-to, frastornati come siamo dalchiasso e dalla confusione dellamodernità».

Dagli stoici antichi ai poeti mo-derni, dall’Antico testamento aiversi di Fernando Pessoa e di Emi-ly Dickinson, quello di Demetrio èun viaggio nei chiaroscuri del ca-rattere umano che si porta dietroil bagaglio di secoli e secoli di pa-role che il pensiero dominante hadimenticato, oppure ha conserva-to, sotto una campana di vetro,come il libro dei desideri proibitidi ciascuno di noi, ma anche co-me il prontuario degli alibi che cipermettono di scendere a com-promessi con la nostra coscien-za. Perché tutti noi vorremmo, co-me Cincinnato, ritrovare la pacee il silenzio, lontani dal frastuonoe dalle miserie della società, maprima, appunto, vorremmo esse-re stati dei Cincinnato, e come ta-li goderci la serenità del tramon-to; mentre, invece, il vero Cincin-nato è colui che non si è mai trova-to sotto il mezzogiorno della glo-ria, che dalla penombra non èmai uscito perché non riuscireb-be a trovare un’altra luce sottocui vivere. Il vero Cincinnato è iltimido che non si rifugia nel buioe nel silenzio per paura, ma per-ché soltanto lì trova l’aria che glipermette di respirare, solo lì scor-ge «tracce invero del sacro, il piùterribile e il più celestiale, nellastoria di questo sentire, inquie-tante e sconvolgente».

Infine, e non è poco: «I timiditutto hanno potuto e saputo sop-portare, tranne il senso del ridico-lo».

VIVERE SUL CONFINE

DANIELE ABBIATI

I migliori amicie i peggiori alleati

di se stessi

Abraham Lincoln (1809-1865) Emily Dickinson (1830-1886) Albert Einstein (1879-1955) Stanley Kubrick (1928-1999)

Il bambino riflessivoha una percezione

complessa della realtà,ne coglie spessoree contraddizioni,

la esplora con un innatosenso di dignità

e giustizia

TIMIDI

Dentro il guscioabitaungenio

Lo psichiatra e psicanalista LuigiAnepeta: «Gli introversi hanno corrediemozionali molto ricchi spesso associati

a livelli intellettivi elevati»

L’odierna ideologiadella socializzazioneè molto dannosaper quel 5-7 per centodi «sognatoriindispensabili»Ma c’è un’associazioneche li difende

INTIMISTI DI SUCCESSO

Quando la fortunapremia quelli

che arrossisconoLoro arrossiscono e gli altri li prendo-no in giro. Loro stanno in disparte e glialtri si divertono in gruppo. Loro sonoriflessivi e gli altri sono iperattivi. Lorosono i timidi e/o introversi. Una tribùsilenziosa di cani sciolti, di solitari, avolte di autentici emarginati. Ma den-trocovanospessounfuocochealimen-ta la macchina delle loro facoltà. Cosìspesso «loro» riescono non di rado aeccellere nelle arti e nelle scienze, nel-la letteraturae addirittura nella politi-ca. Raggiungendo livelli tali da far ar-rossire gli altri, quelli che ridono di lo-ro, chesimuovono ingruppoechedal-l’iperattivismo ottengono poco o nulla.

LA «BIBBIA» DI LAVEY

Quel Satanafa ridere

(ma è un trucco)

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VITA SULFUREA

Anton Szandor LaVey(1930-1997) fondò la«ChiesadiSatana»trasformando ilsatanismo inunasortadi religionedelconsumismo.Ladottrinaebbequalchesuccessonell’Americadeglianni ’70,poi la«Chiesa»sisgretolòperunaseriediscismi.Oralasua «Bibbia»ètradotta in italianoevendutaconunacopertinada fumetto.