La finestra n.35 dicembre 2012

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[email protected] (ovvero il giornalino dell’Associazione) WWW,APIETROMAROTTA.WEEBLY.COM Editoriale Manca pochissimo al Natale e la preoccupazione maggiore di ogni conduttore televisivo o editoriali- sta che dir si voglia è quella di evidenziare che sarà un Natale più povero, che i consumi sono in diminu- zione, che lo spred aumenta e il bund non si capi- sce che accidenti voglia fare (anche perché bisogna prima capire cos’è). Si scherza, è evidente, per non lasciarsi andare ad improperi che scandalizzerebbe- ro anche chi (come me) da anni non si scandalizza più di niente. Forse è arrivato il tempo di cominciare a rivedere certe cose che pensavamo fossero eter- ne, perché altrimenti sarà dura spiegare agli operai di Termini Imerese come mai dopo tante belle paro- le (e tanto sfruttamento) ormai non servono più e che comincino ad arrangiarsi in un altro modo. Termini Imerese è solo l’ultimo episodio, ma in que- sti ultimi anni c’è stato un peggioramento della vita in generale, questo sta a dimostrare che certe stra- tegie economiche hanno fatto il loro tempo e mi dispiace per chi pensava che il capitalismo fosse eterno, ma i fatti dimostrano che non è così. Il mondo è in mano a pochi delinquenti che non hanno scrupolo se milioni di bambini muoiono di fame e, se la cosa rende economicamente, sono pronti a scatenare l’ennesima guerra, tanto l’importante è guadagnare. Leggete la bellissima intervista allegata a queste pagine, su qualcosa sicuramente converrete al di là delle idee politiche più o meno condivisibili. Per quanto riguarda la nostra situazione è molto chiaro l’articolo di Lino a cui non si può aggiungere niente se non che, se avete veramente a cuore le sorti di questa Associazione, non voltate la testa dall’altra parte e non vi offendete per come ve lo dico in altra parte del giornale. Sono fatto così. Noi, fino a che ci sarà possibile, continueremo a fare la nostra parte, lo dimostra il fatto che, dopo tanto parlare, finalmente ci siamo decisi a fare un sito internet, che sicuramente è perfettibile, ma se ci date il tempo migliorerà sicuramente altrimenti vor- rà dire che non potrete rimproverarci nulla in quan- to noi ci abbiamo provato. Buon Natale amici miei, ricordateci nei vostri pen- sieri e partecipate alle nostre iniziative e forse, fra un anno, saremo ancora qui. (A. S.) WWW.APIETROMAROTTA.WEEBLY.COM Di seguito il nuovo codice IBAN, la banca è sempre IntesaSanpaolo p.zza Duca D’Aosta a Milano: IT75H0306909473100000102757 Numero 35dicembre 2011 1 NATALE DEI BAMBINI DOMENICA 18 DICEMBRE 2011 ORE 16 SALONE D.L.F. VIA SAMMARTINI 106 (non potete sbagliare: è la via che costeggia le mura della Stazione Centrale, e la Sala si trova proprio alla fine della strada) PROGRAMMA: proiezione di un film targato Disney; merenda per adulti e bambini; brindisi finale ed Auguri per tutti

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Il giornalino dell'Associazione A Pietro Marotta

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[email protected]

(ovvero il giornalino dell’Associazione)

WWW,APIETROMAROTTA.WEEBLY.COM

Editoriale Manca pochissimo al Natale e la preoccupazione maggiore di ogni conduttore televisivo o editoriali-sta che dir si voglia è quella di evidenziare che sarà un Natale più povero, che i consumi sono in diminu-zione, che lo spred aumenta e il bund non si capi-sce che accidenti voglia fare (anche perché bisogna prima capire cos’è). Si scherza, è evidente, per non lasciarsi andare ad improperi che scandalizzerebbe-ro anche chi (come me) da anni non si scandalizza più di niente. Forse è arrivato il tempo di cominciare a rivedere certe cose che pensavamo fossero eter-ne, perché altrimenti sarà dura spiegare agli operai di Termini Imerese come mai dopo tante belle paro-le (e tanto sfruttamento) ormai non servono più e che comincino ad arrangiarsi in un altro modo.

Termini Imerese è solo l’ultimo episodio, ma in que-sti ultimi anni c’è stato un peggioramento della vita in generale, questo sta a dimostrare che certe stra-tegie economiche hanno fatto il loro tempo e mi dispiace per chi pensava che il capitalismo fosse eterno, ma i fatti dimostrano che non è così.

Il mondo è in mano a pochi delinquenti che non hanno scrupolo se milioni di bambini muoiono di fame e, se la cosa rende economicamente, sono pronti a scatenare l’ennesima guerra, tanto l’importante è guadagnare. Leggete la bellissima intervista allegata a queste pagine, su qualcosa sicuramente converrete al di là delle idee politiche più o meno condivisibili.

Per quanto riguarda la nostra situazione è molto chiaro l’articolo di Lino a cui non si può aggiungere niente se non che, se avete veramente a cuore le sorti di questa Associazione, non voltate la testa dall’altra parte e non vi offendete per come ve lo dico in altra parte del giornale. Sono fatto così. Noi, fino a che ci sarà possibile, continueremo a fare la nostra parte, lo dimostra il fatto che, dopo tanto parlare, finalmente ci siamo decisi a fare un sito internet, che sicuramente è perfettibile, ma se ci date il tempo migliorerà sicuramente altrimenti vor-rà dire che non potrete rimproverarci nulla in quan-to noi ci abbiamo provato.

Buon Natale amici miei, ricordateci nei vostri pen-sieri e partecipate alle nostre iniziative e forse, fra un anno, saremo ancora qui. (A. S.)

WWW.APIETROMAROTTA.WEEBLY.COM

Di seguito il nuovo codice IBAN, la banca è sempre IntesaSanpaolo p.zza Duca D’Aosta a Milano: IT75H0306909473100000102757

Numero 35—dicembre 2011

1

NATALE DEI BAMBINI DOMENICA 18 DICEMBRE 2011

ORE 16

SALONE D.L.F.

VIA SAMMARTINI 106

(non potete sbagliare: è la via che costeggia le mura

della Stazione Centrale,

e la Sala si trova proprio alla fine della strada)

PROGRAMMA: proiezione di un film targato Disney;

merenda per adulti e bambini;

brindisi finale ed Auguri per tutti

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2 Gli appuntamenti dell’Associazione

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XXI° edizione

CONCERTO PER UN AMICO con la Band

NUVOLEINCANTO (ricordare Pietro attraverso De Andrè...ed altri)

Sabato 11 febbraio 2012 ore 21

Teatro S. Domingo

Via Rovigno, 11\a - Milano

(MM1 Turro) - parcheggio interno

Posto Unico: 12 €

INFO: 0290968865—3280723282

0227004417—3405534459 www.apietromarotta.weebly.com

Chi sono i NUVOLEINCANTO

Credo rientri nel gioco delle parti il fatto che quando un Personaggio ci lascia sono in molti a cavalcare l’onda

emotiva dell’accaduto per poter trarne vantaggio. E’ successo, ovviamente, anche con Fabrizio De Andrè, forse

il massimo poeta musicale che la nostra nazione abbia mai avuto; ciò non toglie che qualcuno che si salva da

certo sciacallaggio esiste ed allora ci siamo detti che era inutile farsi menate, bastava cercare.

Devo dire che internet da questo punto di vista è ormai un calderone dove risulta persino difficile muoversi, ma

abbiamo avuto fortuna e pazienza visto che ci siamo imbattuti in una Band che, sì riprende le canzoni di Faber,

ma lo fa in un modo nuovo nel senso che, innanzitutto, ci mette tanta umiltà, ma soprattutto lo fa con tanto

amore, cosa non sempre riscontrabile in band o cantanti (anche famosi) che continuano a riproporre De Andrè

con la speranza che le loro tasche si riempiano.

I NUVOLEINCANTO provengono, musicalmente, da un periodo dove era lecito aspettarsi dei cambiamenti nella

vita di tutti i giorni ed anche se questo non è avvenuto, loro sono ancora qui a cantare la speranza, la giusti-

zia, l’amore in tutte le sue forme e lo fanno concependo un disco dedicato a De Andrè dal titolo “Non per un

Dio (ma nemmeno per gioco)” ed un altro disco dal titolo (emblematico) “La 500 gialla”. Vi lascio immaginare a

quale periodo questo disco è dedicato.

Che altro dire? Che siamo di fronte a dei musicisti sopraffini a cui non manca di sicuro la tecnica, la bravura

ma soprattutto l’anima. Non vi resta che scoprirli di persona intervenendo al nostro Concerto.

Vi aspettiamo numerosi. Grazie!

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Intervista al Dottor Khader TAMIMI

Responsabile Palestinese della Lombardia

(23 novembre 2011)

Ho conosciuto il Dott. Tamimi in occasione della Cena Palestinese, organizzata da Salaam nell’aprile di quest’anno e, nonostante il breve intervento con cui ha salutato i presenti, ho subito capito che se riuscivo ad avere un incontro con lui, avremmo a-vuto maggiori notizie sulla situazione Palestinese piuttosto che farci abbindolare da tanta carta stampata o, ancora peggio, dai numerosi notiziari televisivi che ormai ripe-tono da anni le stesse cose. Così ho chiesto a Maria Carla e Maria Giulia (che ringra-zio con tanto affetto) se potevano combinare un incontro che, finalmente è arrivato verso la fine di novembre. Mi ritrovo davanti un uomo gentilissimo e cordiale che subito mi invita a dargli del “tu”, cosa che faccio con estremo piacere, e intanto lo osservo notando la sua dolcezza e semplicità, dolcezza che nel corso del nostro incontro spesso sembra trasformarsi in rabbia mentre parla dello stato in cui versa la sua gente, rabbia che nasconde un vero e proprio dolore. Il Dott. Tamimi, nel corso dell’intervista dirà cose che magari non tutti potranno condividere, ma non è questo lo scopo della pubblicazione sul nostro giornalino bensì è un invito a riflettere su come ci siano tanti paesi che, pur volendo vivere in pace la propria vita e la convivenza con gli altri, spesso ciò non gli viene permesso per meri calcoli dove gli interessi di pochi puntano ad annullare la libertà delle persone.

ANTONIO SAPONARA – Mi parli un pò di Lei KHADER TAMIMI – sono palestinese e sono nato proprio nel 1948 quando è cominciata la “Nakba” (corrispondente all’Esodo palestinese), anzi devo dire che ancora prima di nascere ero già un profugo in quanto la mia famiglia fu costretta a lasciare la propria casa nei pressi di Gerusalemme ed io ero già nel grembo di mia madre. Siamo tornati ad Hebron, in quanto ori-ginari di quel luogo, e più fortunati di chi necessariamente doveva andare in un campo profu-ghi; nel 1967 dovemmo trasferirci ad Amman perché la casa di mio nonno, dove abitavamo, fu confiscata dagli israeliani con la motivazione che era stata costruita su un cimitero ebraico vecchio di duemila anni. Dopo due mesi a mio nonno venne un infarto nel vedere lo scempio che veniva fatto della sua casa e della sua terra dove vi erano tantissimi alberi a cui mio non-no dava il nome di un nipote visto che ad ogni nascita corrispondeva il piantare un albero di fico. Nel 1969, dopo la maturità, decisi che dovevo andare via anche se le preoccupazioni di mio padre erano motivate perché non capiva come avrebbe potuto mantenermi, ma io venni lo stesso in Italia (a Perugia) e cercando di sopravvivere mi iscrissi alla facoltà di medicina e qui trovai un ambiente che a me piaceva perché si lottava per la libertà (di studio e quant’altro) ed io che di libertà non ne avevo mai avuta mi buttai nelle manifestazioni e devo dire che tutto questo mi piaceva molto. ANTONIO – qual’ è il Suo ruolo nell’ambito della Comunità palestinese? KHADER – non penso di avere un ruolo nel vero senso del termine. Sono solo un palestinese a cui è stato dato l’incarico organizzativo della comunità palestinese in Lombardia, ma è un compito che spero, prima o poi, di poterlo passare ad un giovane in modo che si possa conti-nuare a portare avanti le motivazioni della “causa palestinese”. Sai quando venni in Italia e sentivano che ero della Palestina, qualcuno diceva: ma dove si trova in Sudamerica? Allora mi chiedevo: ma come è possibile che fino al 1948 era Palestina ed era una nazione, e adesso addirittura non sanno più della nostra esistenza? Ma quanto forte è il sionismo anche in Euro-pa per far scordare alla gente della nostra esistenza? Ma poteva solo il sionismo cancellare un’identità culturale ed una nazione intera oppure si doveva, già allora, parlare di complotto?

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ANTONIO – secondo Lei cosa può aver spinto gli israeliani (considerando quello che hanno subito, soprattutto dai nazisti) ad accanirsi in modo così metodico contro i palestinesi? KHADER – purtroppo l’Olocausto è stato uno strumento usato dal sionismo per raggiungere il suo scopo. Sia ben chiaro che non sto negando i milioni di morti che l’Olocausto ha provocato, ma è un’arma in più per convincere gli stessi israeliani a stare dalla parte di chi li comanda motivando il tutto che se non dovessero fare così per proteggere le loro terre, la loro gente ecc. il rischio è quello che da parte altrui si possa pensare ad una distruzione del popolo israe-lita. Però attenzione, è giusto ricordare che durante la seconda guerra mondiale sono morti 6 mi-lioni di ebrei, ma è altrettanto giusto ricordare che durante la seconda guerra mondiale sono morti complessivamente 60 milioni di persone di ogni nazionalità, perché altrimenti corriamo il rischio di vedere le cose a senso unico.

ANTONIO – è angosciante il solo pensare ad una simile eventualità, però questo ragionamen-to mi porta ad un bruttissimo episodio accaduto nel 2001 e cioè l’attentato alle torri gemelle, dove da più parti si è ipotizzato che gli USA addirittura sapessero, sta di fatto che quell’episodio ha scatenato l’ennesima guerra che dura ancora oggi. KHADER – beh, fino ad ora nessuna commissione, neanche americana, è riuscita a scoprire veramente cosa è accaduto. E’ chiaro che nessuno può negare cosa è accaduto alle Twin To-wers, come nessuno può negare l’Olocausto, ma non possiamo negare che Hitler per ottenere quello che voleva arrivò a bruciare il parlamento tedesco e gli americani si inventarono un bombardamento ad una loro nave per invadere il Vietnam (anche se lo stesso comandante della nave in questione negò una simile circostanza). La storia purtroppo, è piena di simili epi-sodi e non sempre si riesce a sapere la verità.

ANTONIO – chiedo scusa per la domanda provocatoria, ma se Lei fosse dall’altra “parte”, qua-li gravi errori imputerebbe ai Palestinesi per giustificare un comportamento oppressivo nei loro confronti? KHADER – sarei come tutti gli israeliani che non sanno la verità, israeliani a cui viene impedito di andare a Ghaza o in Cisgiordania per non vedere con i propri occhi quello che realmente accade, e quelli che alzano la voce perché vogliono veramente capire, vengono trattati alla stregua di traditori; senza considerare poi che certe mistificazioni vengono insegnate ai bam-bini già nelle scuole.

ANTONIO – la prossima è una domanda un po’ pesante. Sono passati molti anni dal così detto “terrorismo scientifico” del Fronte Popolare, Le chiedo: aveva torto il Dott. George Habash? KHARED – no, non aveva torto perché a quell’epoca serviva alla causa palestinese, ma non bisogna dimenticare che l’idea iniziale era quella di fare atti dimostrativi e non di mietere vit-time come accadde a Monaco o altri posti; tutto doveva comunque servire a far ricordare che esisteva la Palestina perché non bisogna dimenticare che fino al 1965 gli stessi palestinesi non avevano la percezione della loro esistenza. La cosa che ho sempre imputato al Fronte Popola-re (di cui anch’io all’inizio facevo parte) era il linguaggio dogmatico con cui si rivolgevano ai profughi in quanto parlare loro di Marx, Lenin, proletariato o capitalismo non faceva lo stesso effetto del sentirsi dire invece che quelle lotte servivano per farli tornare a casa. Parlare di URSS, Cina o bandiere rosse provocava disorientamento tra la popolazione perché loro una bandiera ce l’avevano ed era quella palestinese.

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ANTONIO – forse questa forma di propaganda era inevitabile visto che il Fronte Popolare ac-cettava aiuti dall’URSS e dalla Cina, ma rifiutava quelli della comunità Araba accusata da Ge-orge Habash di fare affari con gli americani. KHARED – c’era una differenza sostanziale. Quando eravamo studenti arrivavano riviste dall’URSS ed erano molto scritte, molto politiche, erano fredde; quelle che arrivavano dalla Cina parlavano delle coltivazioni, di quello che riuscivano a fare con il lavoro, c’erano molte foto e c’erano molti colori. Noi che avevamo la fortuna di studiare ed eravamo considerati intellettuali, dovevamo interpretare e verificare quello che pensava la gente ebbene è chiaro che seguivano la seconda opzione perché era la più comprensibile ed era la più vicina a loro.

ANTONIO – attualmente come definirebbe la situazione politica in Palestina? KHARED – questa è una domanda molto complicata e molto difficile; ci vorrebbero sedute psico-analitiche di molte settimane per poter rispondere. Dobbiamo partire dalla conferenza di Oslo dove, a mio parere c’è stato l’ennesimo complotto, non certamente per colpa di Ara-fat che quegli accordi comunque li ha firmati. Bisogna considerare che tanti palestinesi non erano più nella loro terra e qualcuno ha pensato che rientrando potevano portare avanti una lotta dall’interno, ma si sapeva che la situazione era molto complicata tanto che un personag-gio importante che faceva parte della Delegazione palestinese, a chi gli chiedeva cosa ne pen-sasse di questo accordo, lui rispose così: è come essere in una foresta con un leone che ti sta inseguendo e tu, correndo, ti ritrovi davanti ad un fiume pieno di coccodrilli così, dovendo per forza scegliere, ti butti nel fiume augurandoti di arrivare dall’altra parte, coccodrilli permet-tendo. In definitiva pensavamo ad un complotto, ma dicevamo anche che dovevamo provare a fidar-ci. Il problema vero è che troppi vogliono metterci le mani, perché se fosse solo una questione interna tra Al Fatah ed Hamas tutto sarebbe già stato risolto, ma gli americani, gli israeliani, gli stessi europei tutti a dire: se sale un governo con dentro Hamas vi saranno sanzioni nei vostri confronti. Ma come, in Italia vince un governo di destra e va tutto bene, in Spagna ha appena vinto la destra e va tutto bene, in Palestina vince Hamas con il voto popolare e va tut-to male. E’ questa ingerenza che non è accettabile come quando costrinsero Arafat ad avere un vice quasi imponendo Abu Mazen che forse si è ritrovato in un ruolo che mai avrebbe volu-to avere. Per questo che dico: lasciate in pace il popolo palestinese e lasciatelo lavorare per-ché prima o poi sarà in grado di risolvere i suoi problemi.

ANTONIO – secondo Lei la Comunità Internazionale fa abbastanza o è la classica posizione di chi vuole sentirsi in pace con la propria coscienza pur non facendo nulla di importante? KHARED – sai, credo che nell’ambito della cosiddetta Comunità Internazionale si debbano fa-re dei distinguo tra la popolazione ed i governanti. Basti pensare che al momento della guerra in Irak, 120 milioni di persone sono scese in strada a protestare contro la guerra e chissà quanti, tra quelli rimasti in casa, la pensavano allo stesso modo, ma i governi sono andati a-vanti lo stesso per la loro strada. Quello che è triste è che non c’è differenza tra destra e sini-stra, purtroppo certi interessi sono di tutti e chi si vuole distaccare non può farlo come mi confessò tempo fa un alto dirigente politico dicendo che, anche volendo muoversi diversa-mente, non possono farlo perché hanno le mani legate. Si parla tanto ad esempio di crisi economica, ma proprio di recente il Dipartimento di Stato

americano ha pubblicato dei dati sconcertanti sulle spese di guerra dicendo che per le guerre

di Irak ed Afghanistan si spendono un milione di dollari ogni tre minuti. Questo significa, an-

cora una volta che il potere economico detenuto forse da un migliaio di persone (a livello

mondiale) od anche meno, non è interessato a nessuna crisi della fame, a nessuna crisi ecolo-

gica, né tantomeno al futuro dei nostri figli.

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Forse uno dei pochi che aveva capito come potevano funzionare le cose fu Enrico Mattei, ma forse le aveva capite troppo bene tanto che ancora oggi, non si è saputo o voluto dire, chi fu-rono i mandanti del suo omicidio. Bisogna mettersi in testa che non è con atteggiamenti o regimi dittatoriali che si può gestire il mondo, ma pensando ad una redistribuzione della ricchezza, altrimenti sempre di più ci sarà l’assalto da parte della gente più povera del pianeta verso le nazioni dove si pensa che ci sia modo di vivere in un modo più dignitoso.

ANTONIO – un’ultima domanda: come vede il futuro della Palestina? C’è speranza? KHARED – noi palestinesi non abbiamo mai perso la speranza. Noi usiamo un termine: pessot-timista (pessimista\ottimista), tu puoi essere pessimista in questo momento, ma devi essere ottimista per il futuro. Possono provare ad ammazzarci, distruggere le nostre case, prendersi la nostra terra, ma se il morale del nostro popolo è alto, beh, loro la guerra non l’hanno anco-ra vinta. Hanno cominciato nel 1917, nel 1948 è cominciata l’occupazione, siamo nel 2011 e la gente sia dentro i territori che fuori, ed anche negli altri paesi, non hanno mai smesso di cre-dere nella Causa palestinese e di lottare per essa. Ben Gurion nel 1948 diceva: cosa volete che accada, i vecchi moriranno ed i giovani dimenti-cheranno. Bene, dopo 63 anni (la mia età), io non ho dimenticato la Causa palestinese, come non l'han-no dimenticata i miei figli, né i miei amici e nessun palestinese, questo vuol dire che non han-no vinto la guerra, la stanno solo vincendo momentaneamente. La cosa che più mi dispiace è che tutto questo ha fomentato l’odio nei confronti di Israele da parte di tutta la comunità araba ed islamica, ma non per razzismo in quanto l’ebraismo è una religione e come tale va rispettata, ma se io fossi un ebreo mi rifiuterei di pensare alla Palesti-na come alla mia terra se per conquistarla, quella terra, ho dovuto provocare migliaia di vitti-me innocenti, soprattutto bambini. Noi non ci sentiamo sconfitti e continueremo a combattere per riprenderci quello che è no-stro e non per farci imporre una finta pace con le loro regole. Noi vogliamo la nostra terra, vogliamo le nostre frontiere, vogliamo il nostro cielo.

L’intervista finisce qui. Come ho detto all’inizio alcune cose si possono trovare discu-tibili, ma che si sia d’accordo o meno, queste sono le parole di un uomo a cui si impe-disce di aiutare la sua gente nella sua terra, pur essendo medico. Sono le parole di un uomo che sta cercando di far capire alla sua gente e soprattutto a chi ha cercato di por-targli via anche la dignità, che quello che sta accadendo non è la soluzione, ma sicura-mente la strada che porta all’annullamento di quello che ancora rimane di una uma-nità che forse, nonostante i secoli di vita, non ha ancora capito niente. Grazie Khared, spero che un giorno tu possa rivedere i tuoi alberi su quella che, giu-stamente, ritieni sia la tua terra.

(Antonio Saponara)

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7 L’approfondimento

NON SPARATE SUL PIANISTA (Lino Marinozzi)

I venti della crisi soffiano impetuosi sull’economia di tutto il mondo, anche se nel nostro paese qualcuno minimizza sostenendo che i ristoranti sono pieni,, le macchine sono rifornite di benzina, che non si trova un posto libero sugli aerei e treni, che nel periodo dei “ponti” è tutto prenotato. Purtroppo anche la nostra Associazione non sta vivendo un fulgido momento.

Nell’ultima riunione di Esecutivo abbiamo riscontrato, ma questo era già evidente, un mancato rinnovo da parte di molti soci con gravi ripercussioni sulla nostra cassa e, con una rapida analisi, abbiamo calcolato che su questa falsariga potremmo sopravvivere per non più di 3 anni nonostante la nostra immensa voglia di conti-nuare più possibile.

Con questo articolo non vogliamo analizzare l’eziologia, cioè la causa che ha generato questo calo, ma cercare di riportare nel giu-sto alveo i nostri obiettivi. Con la memoria non possiamo non ritor-nare agli albori della nascita dell’Associazione quando, sull’onda emotiva provocata dalla prematura scomparsa di Pietro, abbiamo scelto di unire il fare al dolore ponendoci nobili scopi che ritengo inutile ribadire. Il consenso e gli iscritti sono andati via via crescen-do fino ad arrivare ad oltre 200 soci i cui contributi ci hanno per-messo di operare in modo mirato fino ad aumentare il numero dei bimbi adottatati, di intraprendere varie iniziative (non solo culturali), tutto questo per ricordare un nostro caro Amico.

Nelle condizioni attuali, dovremmo attivarci come un governo che pone sul tavolo una finanziaria per ridurre costi e problemi. Che cosa si può fare? Se l’esperienza è una lampada fioca che illumina solo chi la sostiene, mi verrebbe da dire che, nonostante i 20 anni trascorsi non siamo forse riusciti a tracciare una linea univoca se non quella di procedere con i tagli qualora fosse necessario. Quindi tagliare il Concerto di febbraio? ma se è l’evento clou per ricordare Pietro; sforbiciare la grigliata o la gita primaverile? ma se a conti fatti sono le uniche iniziative dove non si riscontrano perdite (economiche, è ovvio). A questo punto non rimarrebbe che diminui-re il numero di adozioni che, a tutt’oggi, comportano un’uscita di 5500 euro all’anno.

E’ questo che vogliamo? Se la risposta è affermativa quale bambi-no subirà la dolorosa scelta? Forse non ci resta che proseguire su questo percorso ventennale ed aspettare la fine naturale per depau-peramento (???). Se mi posso permettere, una soluzione ci sareb-be, e qui sento il diritto-dovere di rivolgermi soprattutto ai soci che non hanno o non vogliono più rinnovare, esortandoli ed imploran-doli a farlo il più presto possibile, ringraziandoli anche in caso di risposta negativa, per tutti gli anni che ci hanno sostenuto, forse perché “la colpa” è anche nostra che non abbiamo fatto sentire la nostra presenza in modo più frequente. Per chiudere non mi resta che spiegare il titolo dell’articolo, che altro non è l’autore che sedu-to davanti al pianoforte suona, non “l’Inno alla gioia” di Beethoven o il “requiem” di Mozart, ma accompagnato dai nostri ragazzi adot-tati che con le loro fragili dita, pigiando sui tasti bianchi e neri, e-mettono un suono dolce e celestiale eppure malinconico che do-vrebbe arrivare attraverso l’aria alle corde più sensibili dei vostri cuori, così da farvi sentire più leggeri e più liberi.

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PREFERISCO LA CHITARRA ELETTRICA

(Antonio Saponara)

Credo che anche i più giovani hanno sentito parlare del Festival di Woodstock dove, all’interno del magnifico calderone di musicisti, ce ne fu uno, in particolare, che osò sfidare i benpensanti americani attaccandoli nel loro becero patriottismo suonando l’inno in un mo-do così diverso e straordinario tanto da far pensare che il ragazzo ce l’avesse con il mondo intero. No, il ragazzo ce l’aveva con le autorità del suo paese e quei suoni all’interno di quell’inno erano i suoni che rappresentavano i bombardamenti sul Vietnam. Alla fine della rap-presentazione il ragazzo, che si chiamava Jimi, bruciò la chitarra in segno di protesta, ma tutto il mondo capì che c’era un’intera genera-zione che credeva si potesse vivere senza guerra e quel ragazzo, che si chiamava Jimi Hendrix, rappresentò benissimo quelle idee tanto da diventarne una parte importante di esse.

Forse l’introduzione c’entra poco con quello che scriverò di seguito, ma è soltanto per far capire a chi ancora non ha capito, che ci sono tanti modi di rappresentare qualcosa in cui si crede, nel nostro caso, questo qualcosa è l’Associazione A PIETRO MAROTTA.

Nell’articolo qui a fianco, Lino ha ben rappresentato quelle che sono le difficoltà di questa Associazione ed il dolore che ognuno di noi avverte al solo pensiero che tutto questo possa finire; ma ci sono tanti modi di esternare quello che abbiamo dentro: Lino lo fa con pacatezza confidando, ancora una volta, nella sensibilità di quanti ci seguono, io, più pragmaticamente, evito di frustarmi addosso e pun-to il dito contro chi fa ancora finta di voler bene a questa Associazio-ne e ne sta provocando l’affossamento.

In fondo, io e Lino diciamo le stesse cose, solo che usiamo due stru-menti diversi: lui usa il pianoforte dove le note si alzano pulite e si spera che qualcuno, catturandole, le faccia sue; io preferisco quegli assoli lancinanti che sembrano sferzate che tendono a far male, ma se provate ad ascoltarli sono di una bellezza che solo chi ancora riesce ad avere la giusta sincerità, anche nell’ascoltare un presunto finto rumore, può capire.

Più volte, anche in un recente passato, ho espresso il mio disappun-to per un atteggiamento che non è conforme al valore di una Asso-ciazione come la nostra, ma, badate, al di là di vedute diverse, que-sto non significa voler costringere chi non ne ha più l’intenzione a rimanere in mezzo a noi perché un simile atteggiamento si scontre-rebbe con le nostre idee e il nostro modo di fare.

Ma proprio per questo non è più accettabile questo tira e molla da parte di alcuni, perché è anche ora di capire che un simile comporta-mento non fa altro che penalizzare le nostre iniziative, in primo luo-go, come dice Lino, le adozioni.

Ho sempre pensato, e non me ne vogliano i diretti interessati, che per alcuni diventare soci di questa Associazione è servito un po’ a farli sentire in pace con la loro coscienza in quanto non potendo, in prima persona impegnarsi in opere di Solidarietà, hanno delegato noi a farlo.

Noi, ancora una volta, ringraziamo, ma sarebbe anche ora che si abbia il coraggio delle proprie azioni dicendo molto tranquillamente che il loro interesse per quello che rappresentiamo, non è più tale.

Detto questo, è inutile negare che, come spesso accade, cambiano gli strumenti, cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa ed io e Lino continueremo a suonarla come il primo giorno fino a quando qualcuno, per farci smettere, proverà a romperci gli stru-menti in testa, ma attenzione perché abbiamo la testa dura e potrem-mo ricominciare.

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NOTIZIE DA SARAJEVO

Carissimo Tony, finalmente dopo le vacanze sco-

lastiche ti mando la documentazione che riguar-

da il bonifico da voi inviato per i mesi luglio-

dicembre 2011.

Allora, Koric Alzir ha finito la quarta classe e

non studia più, quindi la sua quota è terminata

da fine giugno; non sono riuscito a consegnare

subito il bonifico agli altri due ragazzi perché

all’arrivo dei soldi la scuola era già finita ed ho

dovuto aspettare settembre per poterlo fare. Nel

frattempo l’addetta ai casi sociali della scuola

(Signora Berminka) ha dovuto raccogliere i dati

per la scelta di un nuovo studente bisognoso a

cui versare la vostra donazione quindi, una volta

finita la ricerca, mi ha chiamato e mi ha parlato

di una famiglia di una studentessa della terza clas-

se, che versa in gravi situazioni economiche. Io

preferivo qualche studente della prima classe così

lo avremmo avuto per tutti i quattro anni della

durata della scuola, ma la situazione di questa ra-

gazza è molto brutta in quanto il padre ha lascia-

to questa famiglia dove la madre non lavora e dei

sei figli uno ha gravi problemi di salute.

La nuova studentessa si chiama Ramiza Kara-

hmet ed abita a 25 km da Sarajevo. E’ un ottima

studentessa come puoi vedere dalle copie delle

pagelle della prima e seconda classe che ti allego

dove ha ottimi voti (il 5 è lodevole e il 2 è insuffi-

ciente).

Oggi ho quindi consegnato le quote per tutti e tre

i ragazzi alla Signora Berminka che le farà avere

alle rispettive famiglie, intanto le ricevute le ha

firmate lei.

Credo di averti detto tutto però non sono ancora

riuscito a chiedere come state tutti quanti. Io so-

no nel mio nono decennio (ho compiuto 81 an-

ni) e credo di cavarmela ancora bene anche per-

ché riesco a fare delle cose molto belle ed utili

anche con il vostro aiuto.

Cari saluti a tutti dal tuo amico

Bruno Palestra

Sarajevo, 30 settembre 2011

Le parole che amiamo

Mi chiamo Ramiza Karahmet, nata il 25\01\1995

a Suhodolo, abito a Pazaric (dintorni di Sarajevo).

Ho fatto la scuola elementare e media a Pazaric,

ora frequento la terza classe della scuola Zelje-

znicki Skolski Centar a Sarajevo.

Sono stata promossa nelle due classi precedenti

con voti lodevoli; sono attiva nelle attività che or-

ganizza la scuola dopo le lezioni. In questo mo-

mento mi trovo in una situazione di vita molto dif-

ficile perché i miei genitori stanno per divorziare

e vivo con la mamma, quattro fratelli e una sorel-

la; un mio fratello ha una malattia permanente.

Mia madre non lavora, è disoccupata e il vostro

stipendio mi potrebbe aiutare a continuare gli

studi con migliore qualità.

Anticipatamente vi ringrazio

Karahmet Ramiza

MENTRE TU HAI UNA COSA, QUESTA PUO’ ESSERTI TOLTA.

MA QUANDO TU LA DAI, ECCO,

L’HAI DATA. NESSUN LADRO TE LA PUO’ RUBARE.

E ALLORA E’ TUA PER SEMPRE

(James Joyce)

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