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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 9OTTOBRE 2011
NUMERO 347
CULT
La copertina
BARTEZZAGHI E BOSMAN
Quando la culturanon ha più prezzogli autori danno gratisle opere sul web
Il libro
LEONETTA BENTIVOGLIO
Il destino segretodelle sorelle di Freudabbandonate a Viennadiventa un romanzo
All’interno
L’intervista
ANTONIO MONDA
Adam Mansbach“Il mio bestsellerfatto di ninne nannepoliticamente scorrette”
La mostra
CESARE DE SETA
L’arte degli Steingli americani a Parigiche amaronoi maestri del ’900
Il teatro
RODOLFO DI GIAMMARCO
Lo spettacolodell’Odinper l’Europaprossima ventura
Ilary Blasi“Ero una Letterinasono una vera iena”
L’incontro
SILVIA FUMAROLA
Vivere 100 +Oltre la sogliadella quarta età
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FEDERICO RAMPINIC
i siamoincontrati in Germania, a Weimar, dove JohnLe Carré si trovava per essere insignito della Meda-glia Goethe. Sapevamo che di regola non concedeinterviste; sostiene che quel genere di colloquio gli èvenuto a noia, e che se vuole dire qualcosa, lo fa neilibri. Alla cena di benvenuto ci siamo trovati allo stes-
so tavolo, e abbiamo cominciato a parlare. Il giorno dopo abbiamoripreso la nostra conversazione che, innaffiata da vino bianco e ac-qua con le bollicine, si è protratta per parecchi quarti d’ora.
Chi governa il mondo oggi?«Sarebbe più facile rispondere alla domanda chi non lo gover-
na. Non certo l’Europa, fino a ieri impegnata nella conquista delmondo, e che oggi si trova relegata al ruolo di spettatore. Né tan-to meno gli Stati Uniti che quotidianamente danno prova di nonessere in grado di governare nemmeno se stessi. Si direbbe unostato democratico rimasto prigioniero del suo democratico si-stema, incapace di funzionare se non mediante le lobby, che ge-
ADAM MICHNIK e PAWEL SMOLENSKI
nerano corruzione e immoralità. Tutto questo senza contare chei media, spalleggiati dal grande capitale privato, contraffanno larealtà, così che un vero dibattito pubblico viene progressiva-mente meno. Parecchi statunitensi, per dire, sono tuttora con-vinti che Saddam Hussein sia il responsabile dell’11 settembre.Di questo passo siamo giunti alla condizione — ben nota a voi,polacchi, che l’avete subita per decenni — in cui la verità è prero-gativa del potere o, per essere più precisi, il potere fa della veritàquello che vuole. L’America è in ginocchio, la Cina è ricca, l’Indiacresce rapidamente. Masse sempre più ingenti di denaro pro-vengono dallo sfruttamento di manodopera a basso costo. Il ca-pitale, ovunque arrivi, si lascia dietro terra bruciata. Le città siespandono a dismisura, l’agricoltura va a rotoli. Temo che la-sciando il capitale senza freni, ci siamo fottuti il mondo. Chi tie-ne le redini del pianeta? Domani ancora gli Stati Uniti, ma dopo-domani? Chi può saperlo».
(segue nelle pagine successive)
Le Carrédi
Tuttele vite
Diplomatico,agente segreto,
scrittoreIntervista
a un ottantenne
molto tenace
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DOMENICA 9 OTTOBRE 2011
La copertinaTutte le vite di Le Carré
“Mio padre era un truffatore, per questo me ne sono creatoun altro: l’agente segreto Smiley”. L’autore de “La talpa”,“Il sarto di Panama” e “Il giardiniere tenace”compie ottant’anni e si confessa
ad Adam Michnik: “Nei miei libriinvento tutto pur di raccontare la verità”
(segue dalla copertina)
a prossima guerra sarà combattuta per assicurarsi il con-trollo delle materie prime. Come si può pensare di produrrein India un milione di automobili in un mese o due, senzachiedersi con cosa riempirne i serbatoi? Né vedo come sipossa sviluppare l’economia cinese senza risolvere il pro-blema energetico, non mi pare che basti promettere generi-camente che questo e quel Paese potrebbe, semmai, fornirepetrolio. Il campo di contesa si va spostando sempre più ver-so l’Africa, dove si trovano giacimenti ancora intatti. Dio so-lo sa come andrà a finire tutto questo. E può anche darsi chenemmeno lui ne abbia la certezza».
Durante la Guerra fredda il mondo era più prevedibile?Più facile da spiegare?
«Era indiscutibilmente meno complesso, il che non signi-fica però che fosse più facile, perché allora bisognerebbe do-mandarsi: più facile per chi? Per me, cittadino dell’Ovest? Omagari per voialtri, dominati dai sovietici? Il mondo ruotavaattorno al conflitto ideologico. Era comodo, perché offrival’illusione che l’Occidente fosse perfettamente nel giusto, aldi là di ogni ragionevole dubbio. Mi è capitato di parlare conl’ultimo capo del Kgb all’epoca di Gorbaciov, Vadim Baka-tin, funzionario statale e scrittore a tempo perso, che non eracerto un uomo abbacinato dagli ambienti dei servizi segre-ti. Un giorno era andato a trovare l’allora ambasciatore ame-ricano a Mosca, Madox, e gli fece: “Le ho portato in regalo lamappa di dislocazione delle microspie che abbiamo instal-lato nella vostra ambasciata. Se vuole il mio parere, potete fi-darvi di questo disegno nella stessa misura in cui me ne fidoio stesso, cioè per niente. Sono infatti convinto che i mieiagenti mi abbiano sempre raccontato balle”. Bakatin era untipo conviviale, un interlocutore stimolante e un buon com-pagno di bevute, mi stava simpatico. Un giorno mi disse: “Cisiamo macchiati di tanti crimini, è vero, e abbiamo manda-to a puttane più cose del necessario, ma anche così eravamonoi dalla parte del giusto”. Lui ci credeva veramente. C’è dachiedersi se noi occidentali non siamo stati un po’ troppoprecipitosi nel convincerci di essere nel giusto. Abbiamo la-sciato per troppo tempo mano libera al capitale, e ora il ge-nio è uscito dalla bottiglia. In Inghilterra, nell’era di Marga-ret Thatcher, avremmo privatizzato anche l’aria se solo fos-se stato possibile. Idem sotto il governo Blair. Risultato? L’ac-cumulo di immensi patrimoni, l’arresto del processo di mo-dernizzazione dell’economia, disuguaglianze sociali. I poli-tici dicono: “Non siamo responsabili del denaro, è unafaccenda di competenza delle banche e della finanza”. I ban-chieri controbattono: “Non siamo mica qui per fare i santi.Servire la società non è compito nostro. Noi siamo qui permoltiplicare i quattrini”. Non essendo stati eletti da nessu-no, i banchieri non sono soggetti al giudizio sociale, ma incompenso esercitano un potere che esula da ogni controllo.E la cosa sta bene anche ai politici. Ma così non si va da nes-suna parte. Occorre fare marcia indietro e dare vita a un’e-conomia mista che lasci spazio al settore pubblico. «I citta-dini comuni — in Gran Bretagna, in Europa e dovunque nelmondo — non solo non si sentono rappresentati, ma sonoconvinti di essere tenuti all’oscuro delle questioni di rilievo.Basti guardare a ciò che succede nel mio Paese: lo scandalosulle intercettazioni, la corruzione nella polizia, l’affareMurdoch, i politici collusi con la finanza. Un pugno di na-babbi contro eserciti di emarginati. I recenti disordini a Lon-dra non sono stati che un grido di allarme per dire che ab-biamo un problema. Saccheggiare i negozi è insensato, mad’altro canto dobbiamo ringraziare Dio che qualcuno abbiafinalmente lanciato un grido».
Come è diventato un diplomatico?«Ho seguito un doppio percorso: da un lato quello ufficia-
le e dall’altro quello privato. Il primo richiedeva una buonaeducazione e la conoscenza di varie lingue, oltre che la ca-pacità di portare avanti una conversazione interessante o
che perlomeno potesse sembrare tale. E, non da ultimo, unadiscreta presenza. Il secondo, quello non ufficiale, era statosegnato da mio padre, che aveva trascorso in galera più tem-po di te, caro Adam, e ci era finito per motivi di gran lunga me-no nobili dei tuoi. Mio padre, per dirla in parole semplici, eraun comune truffatore, un delinquente di professione, un po’sulla falsariga dei tanti milionari di oggi non ancora cattura-ti dalla polizia. Salvo il fatto che lui aveva un vero talento perfarsi regolarmente acciuffare. Non sono quindi cresciuto inuna famiglia normale, conducevo un’esistenza solitaria,scissa tra due mondi paralleli: quello segreto e quello pub-blico. Una persona che sin da piccola vive in un mondo du-plice — e bada bene che non è una battuta — ha tutte le car-te in regola per diventare un perfetto diplomatico o un agen-te segreto».
E tuttavia lei ha lasciato la diplomazia per dedicarsi allascrittura.
«Scrivere libri era la mia valvola di sfogo. Avevo preso adalzarmi di buon mattino e a scrivere sul treno che mi porta-va al lavoro. Fu un atto di protesta contro l’ambiente in cuiero immerso a quel tempo. Ero riuscito addirittura a crear-mi il padre che non avevo mai avuto, un padre capace distemperare e risolvere problemi. Mi riferisco a George Smi-ley, il protagonista dei miei romanzi. I miei superiori di allo-ra, dell’ambasciata e dell’intelligence, si erano mostrati al-quanto tolleranti e addirittura contenti del mio scribacchia-re. Per me, pur continuando la vita di sempre, era una formadi dissenso. Fino al terzo libro, La spia che venne dal freddo.A quel tempo ero un giovane diplomatico a Bonn con inca-richi segreti. Mi trovavo in visita a Norimberga quando Wil-ly Brandt dichiarò in un discorso pubblico che l’intuito glisuggeriva che a Berlino stava per accadere qualcosa. Erava-mo nell’agosto 1961. Quarantotto ore più tardi mi trovavo dinuovo all’ambasciata. Potevano essere le due o le tre di not-te, tutte le luci erano accese e c’era un viavai frenetico lungoi corridoi, cosa insolita per i britannici. Ci giunse notizia chea Berlino erano stati dispiegati i primi rotoli di filo spinato. Inseguito trascorsi a Berlino alcuni giorni come osservatore.Tornato a casa, fui preso da un incontenibile accesso di rab-bia. Se credessi in Dio, avrei potuto convincermi che la miacollera fosse un dono della provvidenza. Avevo visto co-struire il muro di un nuovo conflitto sulle ceneri della guer-ra appena spenta. Scrissi il nuovo libro in cinque settimane,senza quasi dormire né pensare ad altro».
I suoi libri sono un avvincente racconto del mondo deiservizi segreti.
«Alla base dell’Impero britannico ci sono complotti e con-giure. La storia ufficiale e quella segreta si compenetrano,l’una è parte dell’altra. Secoli fa, quando gli inglesi sbarcaro-no sulle coste dell’India, il loro primo pensiero fu come se-minare discordia tra i vari maharaja, come metterli l’uno
“Così ho spiato il mondo”
ADAM MICHNIK e PAWEL SMOLENSKI
BRITISH
John Le Carré
nella brughiera
inglese
a passeggio
con il suo levriero
«L
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contro l’altro per indebolirne il potere prima, e tenerli sottocontrollo poi. Mettevano in atto tattiche e strategie degne dimanuali del Kgb. Bisognava controllare quanta più gentepossibile, tenendola legata con una sottilissima corda in-trecciata di forza e sotterfugi. Senza stare tanto a sottilizzaretra diplomazia e spionaggio».
Aveva mai messo in conto il tracollo dell’Impero bri-tannico?
«Verso la fine degli anni Cinquanta, ai tempi della docen-za a Eton, ne ebbi un vago presentimento. La mia situazioneera piuttosto inconsueta: figlio di un avanzo di galera, pro-veniente da una famiglia di umili condizioni e senza una so-la goccia di sangue blu nelle vene, mi trovavo a insegnare airampolli dell’élite britannica. Era un ottimo punto di osser-vazione dei meccanismi di forza e potere in Gran Bretagna.Vi si percepiva un odore molto simile a quello che avrei sen-tito nel 1988 per le strade di Mosca. Era il sentore che il mioPaese non funzionava come avrebbe dovuto. Insegnavo an-cora a Eton quando Anthony Eden pensò bene di regalare almondo la crisi di Suez. Il linguaggio adoperato a quel tempoper raffigurare Gamal Abdel Nasser, le distorsioni della men-talità coloniale, il ridicolo complottare con Israele: tutto ciòlasciava un forte retrogusto di vergogna. Mi risolsi a scriverein una lettera al Times: “Noi, giovani docenti di Eton, ripu-diamo ciò che la Gran Bretagna sta mettendo in atto oggi nelmondo”.
«Tutto questo per dire che dopo un’infanzia solitaria benpresto mi si era presentata l’occasione di osservare dall’in-terno i meccanismi del potere britannico prima, e quelli deiservizi di spionaggio poi. Questi ultimi di fatto sono lo spec-chio della condizione psichica di una nazione. I rapporti de-gli agenti segreti gettano luce su chi e cosa fa più paura allapopolazione, sugli incubi che turbano il suo sonno. E, nonda ultimo, dicono con chi la tua nazione vorrebbe andare aletto».
Che opinione si è fatto della politica britannica degli an-ni Trenta?
«Con l’Europa in ebollizione il premier britannico NevilleChamberlain prendeva gli accordi con Hitler perché, comeavrebbe spiegato più tardi, la pace andava salvaguardata atutti i costi. Tra Hitler e Chamberlain esisteva un abisso so-ciale. Quest’ultimo era un vero gentleman inglese, tenutosin da piccolo sotto una campana di vetro. Hitler invece eradi umili natali. Chamberlain non credeva che si potessementire fissando l’interlocutore negli occhi. Il Führer ne eramaestro».
Poi arrivò Winston Churchill, l’esatto opposto di Cham-berlain, sebbene anche lui fosse un aristocratico.
«Churchill era un personaggio di elevata estrazione socia-le, è vero, tuttavia amava andare a cavallo e in barca a vela, sidilettava a fare il giornalista e ficcava il naso dovunque. Ave-
va un temperamento simile a quello di Kapuscinski. Ap-prezzava la drammaturgia della vita, non si teneva alla largadagli estranei, si direbbe anzi che gli venisse più naturale par-lare con degli sconosciuti per strada che non con i compo-nenti del suo stesso rango».
Era stato Churchill a inaugurare la Guerra fredda control’Unione Sovietica.
«Nel 1946 aveva tenuto un discorso a Fulton, negli Usa.Disse che il mondo era stato diviso da una cortina di ferro.Cercò di far penetrare nella coscienza degli americani unmessaggio elementare: Stalin è un mostro, mettetevelo be-ne in testa. Va ricordato che negli Usa di allora l’ideologia co-munista aveva forti radici. La comunità ebraica americanaera scissa tra bolscevichi e menscevichi, esattamente comea Mosca. Durante la sua emigrazione in Messico, Trotskyaveva come guardaspalle dei menscevichi di New York. Da-ta la preminenza degli ebrei nel movimento comunista ame-ricano, il tentativo di convogliare la politica Usa verso l’anti-sovietismo veniva avvertito come molto affine all’antisemi-tismo».
Nei suoi libri, dove passa il confine tra la verità del mon-do spionistico e la finzione narrativa?
«Nelle vicende dei miei protagonisti non ci sono fatti sto-rici, non scrivo reportage. Nondimeno i miei libri, sebbeneinventati, raccontano la verità. Nella diplomazia le attivitàsvolte alla luce del sole s’intrecciano costantemente conquelle segrete. Si genera così il pensiero doppio e si finiscesempre col domandarsi che cosa, sotto sotto, Tizio o Caioavessero voluto dire veramente, dove intendessero andare aparare affermando o facendo questo o quest’altro. Nel girodi alcuni anni questo modo di ragionare si fissa definitiva-mente nella mente. Volevo raffigurare una collettività che vi-ve all’interno di un’altra collettività, osservando regole pro-prie e una propria etica».
Però Il giardiniere tenace non è più un romanzo di spio-naggio. Forse perché nel frattempo il mondo è cambiato?
«Senza dubbio. Ho sempre desiderato trovarmi nei luoghiin cui si generano conflitti. Per questa ragione sono andato aPanama e ho scritto Il sarto di Panama. Il generale ManuelNoriega era un cocco degli Usa, un individuo abominevolee ciononostante vezzeggiato. Aiutava gli americani a mette-re in piedi operazioni anticomuniste, cosa che non gli impe-diva di essere anche il loro migliore contatto con Fidel Ca-stro. Poi, di punto in bianco, l’avevano sbattuto in galera.Forse per aver falsato le elezioni, forse per traffico di droga, osemplicemente per aver mancato di rispetto al presidenteBush senior. Non credo però che nel giro di così poco tempol’indole di Noriega fosse drasticamente cambiata. Per scri-vere di una cosa bisogna farne l’esperienza diretta. Dopo es-sere venuto a conoscenza delle aberrazioni compiute dallemultinazionali farmaceutiche in Africa, sono subito andatoin Kenya. E quando decisi di occuparmi di Israele e della Pa-lestina, andai in Medio Oriente. Feci sosta a Gerusalemme,dato che il capo dell’intelligence mi aveva permesso di os-servare come lavoravano lo Shin Bet e le forze speciali. Da lì
mi diressi a Beirut, dove all’epoca aveva sede l’Olp, e il ca-so volle che proprio allora il Time avesse messo in co-
pertina una mia foto. Me ne andavo in giro con il set-timanale in mano e cercavo di spargere la voce di vo-ler incontrare Yasser Arafat. Nella città si respirava
una brutta aria, le sparatorie si susseguivano, dormi-vo sotto il letto. Una sera ero al ristorante dell’albergo,
quando un cameriere si accostò al mio tavolo e mi disse: “Ilnostro presidente vuole vederla subito”. Per buona metàdella notte continuarono a condurmi da una casa all’altra,mi coprivano e scoprivano gli occhi. Infine raggiungemmoil rifugio di Arafat. Nella stanza c’erano i suoi uomini coi fian-chi fasciati da cinture di proiettili, e splendide ragazze cheimbracciavano mitragliatici. Arafat mi chiese: “Perché vole-va vedermi, signor David?” [il vero nome di John Le Carré è
David Cornwell, ndr]. Ebbi la sensazione di far parte di unamessinscena, perciò recitai a mia volta: “Signor presidente,sono arrivato fin qui per posare la mano su un cuore palesti-nese”. Arafat mi afferrò la mano e se la premette sul petto: “Si-gnor David, qui batte un cuore palestinese”. Trascorsi conlui dieci giorni. Insisteva nel dire che dovevamo farci una fo-to insieme. Obiettai. Volle sapere perché. Risposi: “Qualco-sa mi dice che capiterò a Gerusalemme un po’ prima di lei”».
Crede che il conflitto tra israeliani e palestinesi possa es-sere risolto?
«Questi due popoli hanno sviluppato un’ostilità recipro-ca così accesa da non riuscire più a superarla. Hanno accu-mulato troppi brutti ricordi e ogni contrasto ne aggiunge dinuovi. I vincitori si lasciano i ricordi alle spalle. I vinti, al con-trario, conservano tutto nella memoria. Ciascun bambinopalestinese sa raccontare nei minimi dettagli il massacro diDeir Yassin avvenuto nel 1948. Ogni nuova vittima diventaun nuovo tassello di storia. Sono un ottimista atipico, forseper questo non vedo alcuna prospettiva di riconciliazionetra israeliani e palestinesi. Non è bene nutrirsi di vane illu-sioni».
Capita spesso che gli uomini impegnati sul fronte dellariconciliazione e della pace si autocondannino alla scon-fitta politica.
«Lo credo bene! Non appena si arriva a neutralizzare unnemico, ne viene prontamente tirato fuori dal cappello unonuovo».
Leggendo i suoi libri si ha la sensazione di entrare in con-tatto con il mondo di oggi per come è realmente, vale a direun mondo da cui il conflitto non può essere rimosso.
«Sento il bisogno di trovarmi nel cuore degli eventi. Di re-cente sono andato nell’est del Congo con due giovani gior-nalisti. Siamo incappati nel bel mezzo dei disordini e quan-do ho capito la gravità della situazione mi sono reso conto diaver raggiunto un punto limite. Un vecchio sulla soglia degliottanta e due ragazzini! Sono stato investito dal senso di re-sponsabilità per la loro sicurezza e dal peso della mia età. Contutti questi anni sul groppone non sono più in grado di reg-gere fisicamente la vita di prima, e non ci posso fare niente».
Eppure lei sa ancora raccontare quel mondo come nes-sun altro.
«Penso che dipenda dalla capacità di selezionare il mate-riale, la stessa che aveva Kapuscinski. Sono capace di indivi-duare un dettaglio emblematico di una determinata macro-realtà, un particolare che spiega l’universale. Ed è esatta-mente ciò che adoro di più nell’opera di Kapuscinski».
Il filosofo polacco Leszek Kolakowski disse che erano trei motivi per cui amava la Gran Bretagna: John Hume, Jo-nathan Swift, George Orwell.
«Niente male! Sono ragioni d’amore più che valide. Orwellè un grande, è straordinario. Aveva frequentato Eton, ed erarimasto a tal punto deluso dall’élite britannica da cambiarenome [quello vero era Eric Blair, ndr] per non farsi ricono-scere come allievo di quel college».
Ne Il giardiniere tenace, in una conversazione tra duefunzionari inglesi, compare l’espressione: “gettare merdanel ventilatore”. Che cosa vuol dire?
«Non è certo un’espressione raffinata. Ma dubito che siapossibile scrivere diversamente del mondo di oggi. Quel li-bro tratta del più ricco settore industriale del nostro pianetache, se da un lato sviluppa farmaci contro varie patologie,dall’altro genera nuove malattie. Non ho alcun dubbio chele case farmaceutiche usino degli esseri umani come cavieda laboratorio. In molte parti del mondo non si è ancora pre-sa coscienza del fatto che dalle multinazionali è possibile,anzi necessario difendersi. Quello che avviene in Africa suc-cede anche in Cina, in India e altrove. Gli schizzi di merdagettata nel ventilatore imbratteranno tutti quanti. Funzionacosì: per prima cosa bisogna mettersi a cercare il ventilato-re, e il resto si troverà facilmente».
Traduzione Marzena Borejczuk© Gazeta Wyborcza (pubblicata il 17 settembre 2011)
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‘‘C’è da chiedersi se noi occidentali non siamo statiun po’ troppo precipitosi nel convincerci di essere nel giustoAbbiamo lasciato per troppo tempo mano libera al capitale,e ora il genio è uscito dalla bottiglia
11 settembreParecchi statunitensisono convinti tuttorache il responsabiledell’11 settembresia Saddam HusseinPerché il poterefa della veritàtutto quello che vuole
Big PharmaIl più riccotra i settori industrialidel pianetada un lato sviluppafarmaci controvarie patologie,dall’altro generanuove malattie
Il MuroAvevo visto costruireil muro di un nuovoconflitto sulle ceneridella guerra appenaspenta. Scrissiun nuovo libroin cinque settimane senza quasi dormire
‘‘‘‘ ‘‘LA TALPA
1974
IL GIARDINIERETENACE2001
YSSA IL BUONO
2008
Repubblica Nazionale
NEOPADRE
Muhammar
Gheddafi
in tuta da ginnastica
tiene in braccio
uno dei suoi figli
appena nato
LA DOMENICA■ 30
DOMENICA 9 OTTOBRE 2011
L’attualitàDietro le quinte
Ritratto dell’uomo che non era il Colonnello
GHEDDAFI
Album di famigliaVITTORIO ZUCCONI
L’ATTENTATO IN NIGER
Nel 1989 un aereo francese
esplode mentre vola sopra
il Niger: muoiono 170 persone
CRONOLOGIA
brand alternato alle uniformi militari da operetta grondanti di fron-de, botte, nastrini di campagne mai fatte o vinte, ma con un placidocammello che bruca l’erba di primavera punteggiata di fiori gialli, ilpadre della Jamahiriya, della repubblica libica, torna a essere sol-tanto il padre di due ragazzini e il capo famiglia che li porta a passeg-gio, vestito con una felpa rossa da turista su calzoni bianchi. E le di-vise da generalissimo immaginario ridiventano il semplice kakimolto britannico da tenente, quale era uscito dall’accademia dopoquattro mesi di addestramento anche in Inghilterra, che guarda ilMediterraneo e un porto terminale del petrolio accanto a uno deisuoi innumerevoli figli, in una foto che deve risalire agli anni Ses-santa, prima del colpo di stato e della sua ascesa al trono. Forse unodei suoi tanti figli uccisi sotto le bombe.
Identificare chi sono quegli uomini e quelle donne ritratti nelmucchio di istantanee sparpagliate fra i detriti di Bab al-Aziziya, ilprincipale dei suoi rifugi privatissimi, a sud di Tripoli, è difficile, a vol-te impossibile, perché la feroce privacy che circondava la famiglia, il“cerchio magico” di mogli e figli di Gheddafi, aveva sempre impedi-to che la gente li vedesse. Neppure i capi ribelli, spesso uomini delvecchio regime prontamente passati dall’altra parte della barricata,sono riusciti a indicare i nomi, a riconoscerli, racconta il fotorepor-ter che aveva mostrato a loro l’album di famiglia.
Si vedono chiaramente, in una foto presa da un dilettante, forseda lui stesso, crudamente illuminata da un flash amatoriale, la se-
Nessuno le aveva mai viste, e come le orme di uomosulla sabbia del deserto anche questo album privatodi Muhammar Gheddafi in famiglia sarebbe statocancellato dalla “Tempesta” scatenata per deporlo.Le ha trovate per caso — come per caso tante imma-gini vengono strappate al vento della Storia dalla cu-
riosità di un fotografo o di un giornalista — Tyler Hicks, un fotore-porter del New York Times che annusava tra le rovine di uno dei ri-fugi del Colonnello demoliti dalle bombe della Nato e saccheggiatida uomini che portavano via materassi sporchi, cappelli, panni e rot-tami di mobilia. Sono “l’altra faccia del mostro” ufficialmente bolla-to e ricercato per crimini contro l’umanità, il rovescio umano di quel-l’icona grottesca, buffonesca, feroce e insieme ridicola che questodittatore divenuto, anche per propria scelta, la caricatura di se stes-so, aveva creato per il consumo dei libici e dei suoi untuosi adulato-ri nel mondo. Eccolo che palleggia su uno stento praticello che sem-bra periferia della Milano anni Cinquanta, ancora giovane, in cami-cia e jeans, con i figli, probabilmente con quel Saadi che decenni piùtardi sarebbe riuscito a comperarsi un pezzetto di illusione calcisti-ca in Italia versando soldi alla Juve e sfruttando le smanie del presi-dente del Perugia Gaucci.
Senza il burnus, il mantello con cappuccio che diventerà il suo
In tuta da ginnastica, con un impermeabile da impiegato, mentre tira calcia un pallone o solleva orgoglioso uno dei suoi figli. Un reporter americanoha ritrovato le fotografie intime del Raìs, da sempre tenute
nascoste dal regime. Ecco come davanti alla più normale quotidianitàsi sgretola la propaganda di un piccolo “grande dittatore”
LOCKERBIE
Il 21 dicembre 1988 un aereo
Pan Am esplode sulla cittadina
di Lockerbie: 270 i morti
IL LIBRO VERDE
Nel 1975 pubblica il manifesto
politico in tre volumi con le sue
teorie su economia e democrazia
IL COLPO DI STATO
Nel 1969 dopo aver deposto il re
Idris I, Gheddafi diventa il leader
della nuova Repubblica di Libia
REAGAN E IL CANE PAZZO
Dopo la bomba di Berlino,
nel 1986, Reagan lo definisce
«cane pazzo del Medio Oriente»
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Repubblica Nazionale
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■ 31LEGUIDEDIREPUBBLICA
LAURA LAURENZI
L’abito appartenuto alla contessa di Ca-stiglione, che Metternich definì «unastatua di carne», e quello di Lina Cava-
lieri, dai pregiati ricami floreali. Un vestito diEleonora Duse e uno uscito dal guardarobadella regina Margherita. Il vero problema èstato sceglierli. Questo sì e questo no. A rac-contare la mostra Moda in Italia, 150 anni dieleganza è la sua curatrice, la costumista Ga-briella Pescucci, un premio Oscar, due no-minations, sette Nastri d’argento, due Daviddi Donatello, un Bafta.
(segue all’interno dell’inserto)
“Il cinemaè la memoriadella moda”
SOFIA GNOLI
La moda è l’autoritratto di una società e l’oro-scopo che essa stessa fa del suo destino», di-ceva Ennio Flaiano. Sono circa duecento gli
abiti attraverso i quali una grande mostra alla reg-gia sabauda di Venaria, alle porte di Torino, rac-conta la storia d’Italia dall’Unità a oggi. Le curatricidell’esposizione, Gabriella Pescucci, costumista,premio Oscar per L’età dell’innocenza (1994), eFranca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, rico-struiscono le metamorfosi della moda negli ultimi150 anni. Un racconto che, abito dopo abito, svelauno squarcio di storia e di speranze. Dal vestito divelluto nero (1867) - di manifattura italiana mapresumibilmente copia di un modello francesedella maison Worth - appartenuto alla contessa diCastiglione, fino alle creazioni di Armani e Versa-ce, Fendi e Prada, ogni mise descrive un’emozio-ne, un’atmosfera, attraverso un accattivante giocodi specchi pensato da Michele De Lucchi.
I primi tentativi per l’affermazione di uno stileautonomo, svincolato dall’influenza francese ri-salgono all’atmosfera incandescente del Risorgi-mento. Già nel 1847 sul periodicoModa Nazionalesi legge: “guerra, guerra alla Senna.
(segue all’interno dell’inserto)
l’intervistaParla la Pescucci
l’evento
Una mostra alla reggia
sabauda di Venaria racconta
la storia dell’Unità attraverso
i cambiamenti del costume.
E mette in luce che i primi
tentativi di affermare uno
stile nazionale autonomo,
distinto dalla dominante
influenza francese, risalgono
proprio al Risorgimento
L’Italia è fatta Vestiamo gli italiani
*GRAN BALLO
Nella foto grande,
Alain Delon
e Claudia Cardinale
in una famosa scena
del film Il Gattopardo,
(1963) diretto
da Luchino Visconti
e tratto dal romanzo
di Giuseppe Tomasi
di Lampedusa.
In alto, il vestito
originale indossato
dall’attrice durante
le riprese e ora
in mostra a Torino
Una grande mostra
dal titolo Moda in Italia. 150 anni di eleganza è in corso
alle Sale delle arti della
reggia di Venaria a Torino,
confermato come
il quinto sito più visitato
d’Italia, per completare,
anche dal punto vista
della storia del costume,
le celebrazioni per i 150
anni dell’Unità d’Italia.
La mostra, aperta fino
all’8 gennaio, rientra
in Esperienza Italia,
il lungo appuntamento
che Torino e il Piemonte
hanno dedicato durante
il 2011 all’Italia e alle sue
eccellenze, sotto l’alto
patronato del presidente
della Repubblica.
Il percorso espositivo,
a cura di Gabriella
Pescucci e Franca
Sozzani, con la
consulenza di Dino
Trappetti, racconta
attraverso un itinerario
di stile, creatività
e capacità sartoriale,
la vicenda storica, sociale,
culturale e di costume
del nostro Paese.
Info: 011.4992333
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Repubblica Nazionale
(segue dalla prima dell’inserto)
Guerra ai nemici del figurino italiano». Aparte qualche altra sporadica iniziati-va, come quella di Rosa Genoni, la sar-
ta lombarda che nei primi del Novecento di-venne famosa per le sue collezioni ispirate al-l’arte del Rinascimento, la questione di unamoda indipendente venne ripresa durantegli anni del regime. Lo stesso Mussolini nel1932 dichiarò sul Popolo d’Italia: «Una modaitaliana non esiste ancora; crearla è possibile,bisogna crearla». Di lì a poco, oltre a istituireun apposito ente, il regime promosse la pub-blicazione del Commentario Dizionario ita-liano della moda (1936) che, in nome delle“sane voci italiane”, trasformava il tailleur in“completo a giacca”, le paillettes in” pagliuz-ze”, lo chignon in “cignone”.
Tutto questo, se da un lato dà la misura diun’Italia ebbra di propaganda nazionalista,
dall’altro prelude a una nuova autonomiacreativa. Tra i primi a dimostrarlo c’è Salvato-re Ferragamo che, nel 1938, per sopperire al-la mancanza di cuoio dovuta all’autarchia,cominciò a confezionare calzature con mate-riali inconsueti come sughero, paglia e rafia.Disdegnate sulle prime, le sue scarpe con lazeppa determinarono, come notò Irene Brin,«un’imperiosa rivoluzione del gusto e stranemetamorfosi nelle proorzioni». La Città eter-na, con la sua atmosfera fatata, fatta di tra-monti, rovine e basiliche si impose, nel dopo-guerra, come la terra di sogni impossibili, sipensi a Vacanze romane (1953), dove AudreyHepburn, principessa in visita ufficiale, di-mentica ogni dovere abbandonandosi tra lebraccia di un fascinoso Gregory Peck.
Approdate nella capitale per girare film-souvenir negli economici studi di Cinecittà,stelle e stelline iniziarono a frequentare gliatelier delle Sorelle Fontana e di Schuberth, diFernanda Gattinoni e di Roberto Capucci,rendendoli famosi. La moda italiana si stava
SOFIA GNOLI
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DOMENICA 9 OTTOBRE 2011 LEGUIDEDIREPUBBLICA
davedere
MANTO REGALEÈ appartenuto alla regina
Margherita di Savoia
questo manto di sartoria
italiana successivo
al 1878. Museo di Palazzo
Mocenigo di Venezia,
Collezione Grassi
TEMPO LIBEROUn abito da pomeriggio,
del 1872 circa (a sinistra)
e un tailleur da passeggio
di due anni dopo
(a destra), di manifattura
italiana. Fondazione Tirelli
Trappetti di Roma
Esposti i vestiti
che raccontano
storia e stile
nazionali
Eccone alcuni
L’Unità d’Italia raccontata attraverso gli abiti
A Torino, fino a gennaio, esemplari storici
come quelli della regina Margherita di Savoia
e della contessa di Castiglione; ma anche grandi
creazioni rese immortali dai film che hanno
saputo interpretare le nostre epoche chiave
L’allestimento della mostra è
arricchito anche da un originale
percorso olfattivo ideato da Laura
Tonatto, uno dei nasi più apprezzati
al mondo, imprenditrice torinese
e creatrice di essenze e profumi.
Un’installazione olfattiva, infatti,
accompagna il visitatore in una vera
e propria esperienza sensoriale
che lega ad alcuni abiti esposti
una molecola di profumo brevettata.
Tra i profumi che caratterizzano
la mostra, spicca quello di zagara
che accompagna il vestito indossato
da Claudia Cardinale nel Gattopardo.Luchino Visconti lo fece infatti
vaporizzare durante le riprese
del famoso ballo nell’estremo tentativo
di rendere tutto fedele alla realtà.
In mostra, anche la storia del profumo
il percorso
Dall’ambra
alla zagara,
quei profumi
da indossare
MANICHINI
IN PASSERELLA
Negli spazi
dell’antico teatro
delle Commedie
della reggia
è in scena una sfilata
dei giorni nostri,
curata da Franca
Sozzani, in cui
manichini curati
di tutto punto
indossano firme
di pregio degli ultimi
venti anni (foto sopra)
Un Paesetaglia e cuci
Repubblica Nazionale
affermando sotto i riflettori internazionali eGiovanni Battista Giorgini, forte di una lungaesperienza come compratore per i grandimagazzini americani, ne sarebbe stato il regi-sta. Fu lui nel 1951 a organizzare a Firenze, difronte a un pubblico internazionale, la primasfilata collettiva di moda italiana. Il successofu istantaneo. Firenze, con la passerella dellaSala Bianca di Palazzo Pitti, in un lampo di-venne il miglior trampolino di lancio per ogniesordiente: da Federico Forquet a Pino Lan-cetti, da Missoni a Valentino.
L’ascesa dello stile italiano non fu interrot-ta neanche dal 1968 quando uova marce e po-modori vennero scagliati contro pellicce eabiti sontuosi alla serata inaugurale della Sca-la. Allora si fece strada un nuovo concetto dimoda che, prese le distanze dai tradizionaliatelier dell’immediato dopoguerra, puntòsul binomio moda-industria. Stava nascen-do il prêt-à-porter e Walter Albini, stilistatroppo spesso dimenticato, ne sarebbe statoil pioniere. Fu lui a dare il la a quella grande av-
ventura che, nel giro di poco, avrebbe dato vi-ta al Made in Italy. Nel 1971 Albini abbandonògli stucchi e i lampadari di cristallo della SalaBianca per sfilare a Milano, città dell’indu-stria e del design. La stampa internazionale loacclamò come “Il nuovo Yves Saint Laurent”.Presto il suo esempio sarebbe stato seguito daKrizia, Missoni e molti esordienti, come Ar-mani e Versace. Milano era diventata la nuo-va capitale dello stile italiano. A proposito del-le sue peculiarità, Beppe Modenese, presi-dente onorario della Camera della moda, di-ce: «oltre alla compenetrazione tra industriae design non dobbiamo dimenticare la par-tenza artigianale del nostro lavoro».
E infatti, di fronte all’ascesa della fast fa-shionche, con vestiti a 12 euro, minaccia sem-pre più la moda, la risposta è, come stanno di-mostrando i nuovi astri dell’italian style inmostra - da Frida Giannini, direttore artisticodi Gucci, a Gabriele Colangelo -, artigianato ecreatività.
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(segue dalla prima dell’inserto)on quali criteri ha selezionato gli abiti?
«Abbiamo scelto i più rappresentativi. Natu-ralmente si tratta di vestiti autentici e la sele-
zione fra i tantissimi pezzi dell’immensa collezioneTirelli Trappetti non è stata certo facile. Li ho guarda-ti e riguardati almeno una ventina di volte, esami-nandoli, riconsiderandoli ed eventualmente sosti-tuendoli».
Con quale ragionamento avete mixato abiti au-tentici con abiti di scena?
«Per quanto riguarda il periodo di cui mi sono oc-cupata io, che va dal 1860 al 1960 - dopo, per la modacontemporanea, è subentrata Franca Sozzani - gliabiti cinematografici sono solamente due, ma en-trambi molto importanti: quello da ballo indossatoda Claudia Cardinale nel Gattopardo e un abito cheAlida Valli portava in Senso. Due film scelti non certo acaso, in quanto il tema sullo sfondo è l’Unità d’Italia».
Con Franca Sozzani vi siete mai sovrapposte? Cisono stati dissapori tra voi?
«Mai. La stimo moltissimo».Il cinema è l’archivio vivente della moda: concor-
da?«Certamente sì. Per secoli a rispecchiare e a rac-
contarci gli abiti è stata la pittura. Poi è venuta la foto-grafia e oggi sostanzialmente questo ruolo è svoltosoprattutto dal cinema».
C’è un abito fra quelli esposti che lei giudica parti-colarmente significativo?
«Forse l’abito che amo di più è quello, lungo, da se-ra, indossato da Lina Cavalieri: nero con dei fiori chesembrano giaggioli ricamati con le paillettes».
Solo nel secondo dopoguerra si può cominciare aparlare di moda italiana vera e propria. L’Italiadunque era un Paese provinciale?
«È un dato di fatto che fra l’Ottocento e il Novecen-to i sarti più famosi e più richiesti lavorassero a Parigie le signore ricche italiane si vestivano da loro. Masartorie importanti stavano nascendo anche nel no-stro Paese. Per il boom della moda made in Italy tut-tavia bisogna aspettare l’inizio degli anni Cinquantae la storica sfilata organizzata dal marchese Giorgininella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze».
Quanto tempo avete impiegato per realizzarequesta mostra?
«Ci stiamo lavorando, anche se non in modo con-tinuativo, da quasi due anni».
Dopo tante celebrazioni dell’Unità d’Italia si haforse l’impressione che la mostra dedicata ai 150anni della moda arrivi quasi fuori tempo massimo.È così?
«No, assolutamente no. Mi pare che siamo perfet-tamente in tempo. In Italia purtroppo c’è sempre lamania di bruciare gli anniversari troppo in anticipo».
Non sarebbe stato più indicato fare una mostra diquesto tipo a Roma o a Milano?
«Credo proprio di no. Torino è la città giusta: è sta-ta ed è tutt’ora una grande città, con un passato stre-pitoso e ancora oggi molto vivace culturalmente».
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C
“Le emozioni della modaaffidate al cinema”
l’intervistaLa costumista Pescucci, curatrice della mostra
LAURA LAURENZI
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@DOMENICA 9 OTTOBRE 2011 LEGUIDEDIREPUBBLICA
PER SAPERNE DI PIÙ
www.italia150.itwww.lavenariareale.it
POMERIDIANOContrasti cromatici
e ricche lavorazioni
per questo abito
da pomeriggio, del 1892
circa, di manifattura
italiana. Fondazione Tirelli
Trappetti di Roma
DA COCKTAIL A sinistra un abito da sera,
Myricae, del 1948 circa.
A destra, un abito
da cocktail, del 1955
circa, di Elvira Leonardi.
Firenze, Collezione
Massimo Cantini Parrini
DA SERAÈ datato 1867 l’abito
da sera, di manifattura
italiana, appartenuto
alla contessa
di Castiglione.
Fondazione Tirelli
Trappetti di Roma
La reggia di Venaria Reale
è stata dichiarata
patrimonio mondiale
dell’umanità dall’Unesco.
Dopo il cantiere durato
otto anni, il complesso
monumentale ha riaperto al
pubblico nell’ottobre 2007.
Gli ultimi restauri sono stati
realizzati in occasione
dei 150 dell’Unità d’Italia
il restauro
Una reggia
per ogni stagione
Michele De Lucchi
ha curato lo spettacolare
allestimento negli scenografici
ambienti della reggia sabauda.
Una magica combinazione
di specchi elimina la distanza
con gli abiti. Il visitatore si può
sentire parte della scena
e della storia rappresentata,
fra suggestioni artistiche,
fotografiche, musicali
l’allestimento
Il magico gioco
degli specchi
Ragazzia lezioneSono previsti,
durante il periodo
della mostra, appositi
laboratori tematici
e workshop rivolti
alle scuole di ogni
ordine e grado,
a cura dei servizi
educativi
della Venaria Reale.
Per informazioni:
011.4992355;
ANITA, AVA
E LE ALTRE STAR
A centro pagina, AnitaEkberg in una scena del film La Dolce Vita.
Qui sopra, Ava Gardnercon l’abito redingotecreato per lei, nel 1955,dalle sorelle Fontana(archivio FondazioneSorelle Fontana). A destra, una scena del film Senso (1954)
*
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DOMENICA 9 OTTOBRE 2011
BASTA CON IL TERRORISMO
Nel 1999 Gheddafi dichiara
di rinunciare al terrorismo e inizia
la riconciliazione con l’Occidente
I BAMBINI INFETTATI
Nel 2006 sei medici stranieri
condannati a morte con l’accusa
di aver infettato 400 bambini
“AMO LEEZZA RICE”
Nel 2007 a Al Jazeera dichiara
a proposito di Condoleezza Rice:
«Amo quella donna africana»
IL DISCORSO ALL’ONU
Nel 2009, durante il suo primo
discorso all’Onu, strappa
la Carta delle Nazioni Unite
IL MANDATO DI ARRESTO
La Corte internazionale dell’Aja
a marzo 2011 ne chiede l’arresto
per crimini contro l’umanità
IL VIDEO
IN POSA
Accanto, da sinistra
Saif al-Islam, Safiya
e altri membri
della famiglia
Gheddafi
IL BACIO
Sotto, Gheddafi
bacia il quarto figlio
Hannibal, seduto
tra il padre
e la madre Safiya
CERIMONIA
In basso, Safiya
alla cerimonia
musulmana
di circoncisione
di Saif al-Arab
SPOSI
Nell’altra pagina,
Gheddafi in gessato
chiaro con la moglie
Safiya che gli sorride
durante un viaggio
in aereo
PASSEGGIATA
A destra, un giovane
Colonnello
con un trench stile
inglese passeggia
accarezzando
uno dei suoi figli
DELFINO
Sotto, Saif al-Islam,
il secondogenito
di Gheddafi
e per lungo tempo
considerato
suo delfino, a cavallo
SCENE DI VITA
In questo video
amatoriale
girato nel rifugio
dove è rimasto
nascosto
dopo la fuga
da Tripoli,
Gheddafi
è ritratto
in momenti
di vita
quotidiana
con i suoi
familiari,
mentre
mangia e gioca
con i nipoti
conda moglie Safiya Farkash, la figlia Aisha grondante orecchini egioielli sopra un abito con grandi spalle a sbuffo e il figlio Saif al-Islam, in giubbotto di pelle da bullo camorrista, ripresi con una testadi leone alle spalle. Conforta sapere che quelle due donne sono datempo in salvo in Algeria, dove Aisha — l’unica figlia femmina — hapartorito un bambino il mese scorso. La figlia adottiva, Hana, fu da-ta per morta sotto le bombe del raid ordinato da Reagan nel 1986, manessuno lo confermò mai. Secondo la stampa tedesca, Hana è vivae adulta, e vive in Germania.
La dimensione politica e propagandistica creata da lui e ben vo-lentieri adottata dai suoi nemici per giustificare l’attacco si scompo-ne nelle tessere di un mosaico famigliare che quasi imbarazza os-servare. Ecco Safiya, la moglie, che guarda e consola orgogliosa e sor-ridente un neonato Saif al-Arab dopo la dolorosa ma inevitabile ce-rimonia musulmana della circoncisione. A quel neonato, vent’annipiù tardi, il padre avrebbe affidato la repressione della prima rivoltacontro il regime, a Bengasi, con risultati disastrosi. Ed è lo stesso neo-nato, stretto nelle fasce che un tempo stringevano tutti i piccoli, a es-sere esibito dal padre sorridente, in tuta Adidas sotto un cappellinobianco da golfista americano in Florida. Era il 1982, un’altra era. Seianni dopo avere sorretto quel neonato con giusto compiacimento,il padre, l’uomo in tuta sportiva e cappellino da golfista, avrebbe or-dinato l’attacco al Jumbo della Pan Am precipitato a Lockerbie, uc-cidendo 270 persone innocenti quanto quel bambino.
Eppure diventa impossibile voler male — non avendo mai assag-giato la frusta e le torture del regime libico — all’uomo che ci guardada foto che nessuno, oltre il cerchio della famiglia, avrebbe mai do-vuto vedere. Può essere il giovane uomo chiuso in un trench coat, inun impermeabilino grigio da impiegato di concetto, che accarezzaaffettuosamente uno dei suoi bambini riccioluti lo stesso che la Cor-te internazionale sta ricercando appunto per crimini contro l’uma-nità? Queste non sono le immagini private di Adolf Hitler, colto nel-la sua stupenda residenza bavarese di Berchtesgaden mentre giocacon la cagna Blondi o mentre la favorita Eva Braun — quella che mo-rirà suicida con lui nel bunker — sorride civetta all’obbiettivo, che cirimandano brividi di una normalità inquietante.
Il Gheddafi dell’album privato sottratto alle rovine è realmente unuomo qualunque sotto gli orpelli dei costumi di scena, anche ac-canto ad altri capi di stato (c’è anche Mubarak) o grandi personalitàcome Nelson Mandela, nei giorni dell’adulazione, quando il suo pe-trolio e i suoi dollari ingolosivano tutti. È il fatto che lui, e i suoi sico-fanti, le tenessero accuratamente nascoste, che non fossero mai sta-te destinate al consumo pubblico pur nella loro umana innocenza,a darcene la dimensione sinistra. Perché un uomo che si vergogna dimostrarsi in pubblico come padre che gioca a pallone coi figli, comemarito qualsiasi, come suocero a una cerimonia, già tradisce il so-spetto che non sia un uomo.
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Librie frullatori raramente vanno d’accordo, ma nel caso in cuiil vostro frullatore disponesse di un contenitore gigante e la-me ultraresistenti… beh, allora che il divertimento abbia ini-
zio! Nota bene: quando avrete finito di frullare — il che dovrebbe av-venire pochi secondi dopo l’avvio — le pagine sbriciolate potrannofungere da perfetto tappetino per la gabbietta del vostro criceto. Unlibro abbastanza voluminoso potrà fungere invece da tappeto idea-le per la gabbia di quel rinoceronte bianco che vostro figlio vi ha ap-pena portato in casa.
L’AUTORE
Bruce McCall,
canadese (1935),
è uno dei più famosi
illustratori
del New YorkerAutore comico, scrive
spesso nella rubrica
“Shouts & Murmurs”
Chene direste di fabbricarvi un paio di“libri alzatacchi”? È più semplice diquanto possa sembrare. Procuratevi
un rotolo di nastro adesivo e fissate due libridello stesso spessore — per esempio, duecopie identiche del Paradiso perduto — al-la pianta dei vostri piedi (potete indossare omeno le scarpe, a voi la scelta). Con questosistema, potreste guadagnare fino a quindi-ci centimetri in altezza. E non solo: grazie alcaratteristico passo strascicato dovuto aquei due libroni che vi portate sotto i piedi,avrete tutti gli occhi puntati addosso du-rante i rinfreschi all’aperto, le rimpatriatescolastiche, e persino durante i congressi!
Questo è un appello per tutti gli appassionati di modelli-smo militare! La copertina di un qualsiasi volume digrande formato, sia esso libro d’arte o catalogo di arre-
damento di interni, se sistemata di piatto, cosparsa di unostrato spesso di burro di arachidi in modo da simulare il fangodi un campo di battaglia, e punteggiata di modellini realisticidi artiglieria, carri armati in scala 1: 2 e soldatini morti riversisu un fianco sparsi qua e là (o addirittura, qualora si aspiri a ot-tenere un effetto ancora più realistico, tranciati a metà), po-trebbe rivelarsi un commovente diorama atto a rappresenta-re la vostra avversione nei confronti della guerra e dei suoi ter-ribili costi. Munitevi di pazienza: il burro d’arachidi irrancidi-sce, ma nel giro di un paio di giorni al massimo solidificherà,trasformandosi in un imperituro scenario di atroce carnefici-na assolutamente inodore.
Ilibri del poeta Robert Burns possono rivelarsi un prete-sto ideale per praticare quel bel gioco tradizionale scozze-se che è il “lancio del tronco”… con la sola differenza che, alposto della grossa pertica di rito, va sollevata un’enorme pila
di libri del nostro beneamato Robert. Reclutate cinque o seiamici e date vita alla competizione per scoprire chi è in gra-
do di lanciarla più lontano. Chi effettua il lancio più cor-to sarà costretto a farsi una bella scorpacciata di hag-
gis, le famigerate salsicce di frattaglie di pecora tan-to amate dagli scozzesi!
Facendo in modo di non leggerne anticipatamente il titolo,fasciate un libro qualunque con del nastro da imballaggioformando un motivo a croce e, dopo averlo gettato in pi-
scina o in un canale, tuffatevici dentro e provate a rimuovere ilnastro e a leggere il titolo prima di rimanere a corto di ossige-no. Pare che il grande Houdini amasse praticare questa at-tività come hobby serale, dopo cena, malgrado gli stori-ci più accreditati sostengano che il mago sapesse amalapena leggere l’inglese.
Prendete uno o due libri sulle esplorazioni artiche e ficca-teli nel freezer lasciandoveli per qualche settimana.Quindi tirateli fuori e premeteli sulle guance del primo
amico che verrà a farvi visita. Continuate a premere finché leguance del malcapitato non perderanno completamente lasensibilità. Il vostro amico vivrà sulla propria pelle la stessasensazione di agonia da congelamento provata dagli eroiciesploratori dell’Artico e difficilmente riuscirà a dimenticarla.
© 2009 Bruce McCallPublished by arrangement with Marco Vigevani Agenzia Letteraria
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La letturaVademecum
Guarire dalla letturacon il metodo McCall
Fabbricare un bel paiodi alzatacchi, preparareun frullato di pagine da usarecome tappetino per la gabbiadel criceto oppure realizzareil modellino di un carro armato:l’illustratoredel “New Yorker”dispensa con ironia i consigli per riciclaretutti i volumi inutili stipatisui nostri scaffali
AMacao, nell’Hindu Kush e naturalmente in Finlandia, è possibile scam-biare in qualunque libreria volumi in lingua finnica con coppie autenti-che di palchi di renna; ma da noi, ormai, i librai sono talmente ipersensi-
bili alle rese dei libri stranieri che, se solo vi azzardaste ad avanzare una propo-sta del genere, vi sbatterebbero subito fuori dal negozio. Niente paura, però: po-tete sempre ricorrere al consolato finlandese. Gran parte degli uffici consolarifinlandesi, infatti, sono provvisti di appositi sportelli elettronici per la restituzio-ne dei libri, situati di solito a non più di una quindicina di metri dall’ingresso: perottenere i vostri palchi basterà digitare il prezzo e premere un bottone (attenzio-ne, si accetta solo “valuta” finlandese!).
BRUCE MCCALL
Ritagliate la parte in-terna di un grossovolume e, nello spa-
zio libero che ne ricavere-te, inserite un libro più pic-colo. Quest’idea della“matrioska” può essere ri-petuta all’infinito finchél’ultimo libro della seriesarà piccolo così.
IL LIBRO50 cose che puoi farecon un libro di Bruce
McCall è in libreria
(L’ancora
del mediterraneo,
112 pagine, 10 euro)
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Pianse quando lesse della storia d’amore tra Frank e Ava Gardner,impotente assistette alla sbandata per Mia FarrowInfine riuscì a sposarlo e restargli accanto per tutta la vitaOra Barbara Blakeley compie ottantacinque annie vuota il sacco. In un libro racconta del suo prima,durante e, soprattutto, del suo dopo The Voice
SpettacoliLuce e ombra
NEW YORK
Ci mise trent’anni per acca-lappiarlo. Sospirava,guardando in tv le teena-ger che urlavano per lui
davanti al Paramount Theatre di NewYork allo spettacolo pomeridiano. Elvisera ancora alle elementari e i Beatles al-l’asilo, ma la frenesia del pop era giàesplosa. Le ragazze in lacrime entravanoe uscivano dal teatro, comprando un al-tro biglietto per lo spettacolo successivo(gli artisti di punta ne tenevano anchequattro al giorno). Erano gli anni Qua-ranta, l’immediato dopoguerra. A quel-l’epoca Frank Sinatra era proprietà dellamadre Dolly e della moglie, Nancy Bar-bato, sposata nel ’39. Di nessun’altra e ditutte. La piccola Barbara pianse rasse-gnata quando lesse sui rotocalchi dellatormentata storia d’amore con AvaGardner, la diva che mandò all’aria le pri-me nozze e in frantumi il cuore (e la voce)di Mr. Blue Eyes. Erano gli anni Cin-quanta. Assistette impotente alla sban-data che si prese per una ragazzina, MiaFarrow. Spavaldo, Frank la volle sposa inbianco per dimostrare a se stesso e almondo che non era perdente in amore.Erano gli anni Sessanta. Sinatra era già datrent’anni la Voce e il Volto più popolaridel mondo. Barbara Blakeley dovetteaspettare gli anni Settanta per avere quelFrank cui fin da piccola si sentiva desti-nata — ma che in più di un’occasione l’a-veva corteggiata anche in presenza delsuo secondo marito, Zeppo Marx, luna-tico, bizzarro e ricchissimo rampollodella celebre famiglia di comici. Avevacinquant’anni quando nel 1976 diventòla quarta e ultima signora Sinatra, quellache avrebbe resistito più a lungo persinodella povera Nancy — che ai tradimentie alle rivali aveva fatto il callo — restan-dogli a fianco fino alla morte (1998).
Barbara Sinatra, che il 16 ottobrecompie 85 anni, ora ha deciso di vuota-re il sacco e di far giustizia di tante «bio-grafie inesatte» pubblicando Lady BlueEyes. My life with Frank Sinatra (Ed.Crown Archetype), quasi quattrocentopagine in cui racconta i suoi primi cin-quant’anni — quando nella sua vita c’e-ra solo l’ombra di Frank, o almeno cosìlei con un pizzico di senile follia preten-de che sia — e gli anni del matrimonio,quando l’artista di Hoboken, passati isessanta, era in cerca di stabilità e avevamesso un freno alla sua attività di “con-fessore” di tutte le più belle di Hol-lywood, da Grace Kelly a Judy Garland,da Lana Turner a Marilyn Monroe (manon solo dive e non solo Hollywood, Jac-queline Kennedy compresa). Il raccon-to di Barbara è tenero e ingenuo, mafrancamente non c’era bisogno di que-ste pagine per capire che in suo marito«si nascondevano Dr. Jekyll e Mr. Hyde»né per sapere che il padre di Frank, An-
tonio Martino, arrivato nel 1903 da Pala-gonia, provincia di Catania, quando ave-va dieci anni, «parlava un inglese incom-prensibile al punto da aver bisogno di untraduttore». O che sua madre Dolly (Nata-lie Della Garaventa) era tremenda e pos-sessiva anche se il suo «bambino» avevapassato i sessanta (quando si rese contodella presenza di Barbara e annusò chec’era aria di un quarto matrimonio, lo ag-gredì: «Non ci sono già abbastanza putta-ne qui in giro?»).
«Quando il mio figlioletto Bobby festeg-giò il suo secondo compleanno», scriveBarbara raccontando le disavventure colprimo marito, «sapevo che io e suo padrenon saremmo stati insieme per il terzo.Avevo poco più di vent’anni, tutto era suc-cesso in fretta da quando avevo lasciatoBosworth. Nel giro di pochi anni mi ero
sposata, avevo sfilato, avevo fondato unascuola per fotomodelle ed ero diventatauna delle fondatrici di Miss Universo. C’e-ra anche in commercio un rossetto cheportava il mio nome. E già avevo una pra-tica di divorzio in corso. Non mi aspettavoniente dalla vita, tutto era accaduto per ca-so. Come tutto quello che sarebbe venutodopo». Agli occhi di una donna religiosa,intransigente e di sani principi come Dol-ly, Barbara era solo una poco di buono. Maè proprio la storia prima del matrimoniocon The Voice la parte più gustosa di My li-fe with Frank Sinatra. Raramente capita dileggere — proprio perché i protagonistinon hanno l’autorità e la statura per scri-vere un libro — le vicende di un’artista diserie B (e siamo generosi) raccontate inprima persona. La signora Sinatra narraonestamente la sua infanzia in uno degli
LadySinatra
GIUSEPPE VIDETTI
IERI
Qui sopra la copertina
del libro Lady Blue EyesMy Life With Frank SinatraA sinistra Frank e Barbara
il 13 luglio 1976,
freschi sposini
Quando la moglie non è in vacanza
OGGI
A destra, Barbara
Blakeley nel maggio
di quest’anno
con l’inseparabile
cagnolino
A sinistra,
memorabilia varia:
i lasciapassare
per il camerino
di Sinatra
Nella foto grande
un’immagine
degli anni Quaranta
di The Voice
con autografo,
“Con affetto,
Frank Sinatra”,
e il biglietto da visita
siglato Francis
Albert. Sullo sfondo,
alcuni biglietti
per i suoi show
nel mondo
Il materiale è tratto
da Sinatradi Charles Pignone,
edizione
White Star
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stati più poveri d’America, il Missouri, lesue velleità di fotomodella che non laportarono mai più lontano della passe-rella di un grande magazzino, gli anni incui fu showgirl di ultima fila a Las Vegas equelli in cui vagava negli atelier di Be-verly Hills, dove i sarti provavano su di leimodelli per Jayne Mansfield, DorothyLamour, Jane Russell, Lana Turner e Do-ris Day (di cui aveva esattamente la stes-sa taglia), prima di diventare la madrinadelle primissime edizioni di Miss Uni-verso. Dolly schiumò di rabbia quando sirese conto che il suo «piccolo» sarebbeconvolato con una che aveva avuto un fi-glio a vent’anni da un primo marito beo-ne e giocatore d’azzardo e che aveva spo-sato il comico Zeppo Marx («Troppobrutto per non essere stato un matrimo-nio di convenienza») perché tornata aLos Angeles da Las Vegas non aveva néun tetto né una scuola per il suo ragazzo(la tresca con Frank iniziò praticamentesotto gli occhi del povero Zeppo, la cuivilla di Palm Springs confinava con quel-la dei Sinatra).
Frank aggressivo con la stampa, Frank
che fa le ore piccole con il Rat Pack e mol-te bottiglie di scotch, Frank che preparala pasta al pesto, Frank più geloso di unmarito siciliano, Frank che borbotta per-sino contro Tony Bennett, il suo croonerpreferito («Diamine, un omone del ge-nere non regge l’alcol!»), Frank dalleamicizie pericolose «perché se sei unastar di Las Vegas è inevitabile che i ma-fiosi siedano al tuo tavolo». Ingenua Bar-bara, lo sapevamo già. Più divertente ilBolero Film che la quarta signora Sinatracuce intorno a se stessa, più spassoso ilGrand Hotel sulla vita matrimoniale conZeppo, quando la Little Miss Sunshinedel Missouri entra nel giro dei vip e di-venta protagonista della vita mondanadi Palm Springs. Esilaranti gli aneddotisui grandi couturier di Hollywood, un’al-legra brigata di sarti e sartini, «personag-gi colorati e tutti gay. Ma questo, anchese ero una che veniva dalla provincia,non m’infastidiva», scrive Barbara. «Miopadre ci aveva allevati con la massima“vivi e lascia vivere”» (ma tra le righe silegge che per lei — come anche per Frank— gli omosessuali erano delle buffe, e
qualche volta fastidiose, bestioline). Te-nera Barbara. Mentre è in giro per Be-verly Hills con la moglie di Gregory Peck,sua buona amica, incontra Greta Garboe nel libro racconta di quel vis à viscon laDea come se avesse incrociato la fioristadella porta accanto: «Scambiò un brevesaluto con Veronique. Peccato che aves-si tante commissioni da fare. Mi sarebbepiaciuto fermarmi a parlare con lei percapire se era veramente una donna cosìfredda». E di nuovo, tenera Barbara:«Ogni anno nel giorno dell’anniversariodella morte di mio marito, vado sulla suatomba. Ci sono sempre oggetti lasciatidai fan, bottigliette di Jack Daniel’s, pac-chetti di Camel, i suoi dolci preferiti, ban-dierine americane, mazzi di fiori. Prestosaremo di nuovo insieme come siamostati per trent’anni. Magari anche sullamia tomba qualcuno lascerà dolcetti. Ri-poserò accanto a lui. Tutti i nostri amicie la mia famiglia sono sepolti al DesertMemorial Park. Sarà come ritornare aibei vecchi tempi. Voglio che sulla mia la-pide ci sia scritto “Anche io!”».
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NANCYBARBATOÈ la prima moglie
di The Voice
Sposa Frank Sinatra
in New Jersey
nel 1939. Dalla loro
unione nascono
Nancy (1940),
Frank Jr. (1944)
e Tina (1948)
Si separano nel 1950
nel giorno
di San Valentino
AVAGARDNERSposa Sinatra
il 7 novembre 1951,
dieci giorno dopo
che Blue Eyes
aveva ottenuto
il divorzio
dalla prima moglie
Celebri le loro
scenate di gelosia
Si separano dopo
appena due anni,
nell’ottobre del 1953
MIAFARROWSi incontrano
sul set del film
Il colonnelloVon RyanQuando si sposano,
il 19 luglio 1966,
lei ha 21 anni, lui 50
La loro storia
finisce nel 1968
con una scenata
sul set del film Nastrorosso a New York
BARBARABLAKELEYSi converte
al cattolicesimo
per sposare Sinatra
Le nozze si celebrano
l’11 luglio 1976
Nonostante
il difficile rapporto
con i figli di Frank
e i ripetuti tradimenti,
resterà al suo fianco
fino alla morte
(il 14 maggio 1998)
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LA DOMENICA■ 40
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Grazie ai successi della medicina la tendenza è già in attoda tempo, ma il vero strappo deve ancora avvenireEd è proprio questo l’obiettivo dei centri di ricercadella California, dove sperimentandol’alterazione di due soli geni si programmala nuova frontiera della longevità
NextOltre Faust
avanti da rendere realistico un formidabileprolungamento della longevità umana.«Mettiamo pure che i mille anni per ora resti-no un obiettivo irrealistico — dice la futuro-loga Sonia Arrison del Pacific Research Insti-tute, in California — ma un’età media di 150anni è raggiungibile in un futuro vicino. E lamaggior parte di quegli anni li vivremo inbuona salute, vitali e produttivi».
In parte questa evoluzione è già in atto sot-to i nostri occhi. Quasi sei milioni di america-ni hanno più di 85 anni, diventeranno unaventina di milioni entro il 2050, passandodall’1,8 per cento al 4,34 per cento della popo-lazione. In quanto agli ultracentenari, eranoappena 2.300 negli Stati Uniti di mezzo seco-lo fa, oggi ce ne sono già ottantamila, a metàdel secolo saranno oltre seicentomila. Quindientro pochi decenni la popolazione oltre icento anni avrà le dimensioni della città di SanFrancisco. Ma queste sono tendenze estrapo-late da quanto sta accadendo da decenni, nontengono conto di nuovi balzi in avanti. Permolti esperti il vero strappo deve ancora avve-nire, grazie alle ricerche sul “gene della longe-vità”. Un esempio lo fornisce il lavoro dellascienziata biogenetica Cynthia Kenyon pres-so il policlinico della University of California aSan Francisco. La Kenyon ha scoperto che ba-sta disattivare un singolo gene, chiamato daf-2, per raddoppiare la durata di vita di un ver-me, il Caenorhabditis Elegans. Alterando unaltro gene, daf-16, la longevità del verme di-venta sei volte superiore alla media. «Tradot-to nella speranza di vita umana questo equi-varrebbe a farci arrivare all’età di 500 anni»,commenta Sonia Arrison. Lei ha fatto il puntosulle tante ricerche convergenti verso l’au-mento della speranza di vita, nel suo saggio in-titolato sinteticamente 100 Plus(appena usci-to da Basic Books). In Spagna il Centro di ri-cerca nazionale anti-cancro usando metodidiversi è riuscito a prolungare del 45 per cen-to la vita dei topi in laboratorio. La Arrison pre-cisa che nessuno di questi risultati si può tra-sferire automaticamente sugli esseri umani.Però la direzione delle ricerche è prometten-te. Altrettanto lo è la rapidità con cui si rag-giungono nuovi traguardi.
Sorge un’obiezione immediata, a cui è im-portante dare risposta: siamo sicuri di volersopravvivere così a lungo, se una vecchiaia in-
Quartaetà
La
FEDERICO RAMPINI
L’umanità è alla vigiliadi una rivoluzione
esaltanteLa prima persona
che vivràcentocinquant’anni
probabilmenteè già nata
Sonia Arrison
autrice di 100 Plus
‘‘
SAN FRANCISCO
“Loro” sono già tra di noi, simili a noi,destinati a sostituirci per sempre, oquasi. E se noi stessi fossimo lorosen-za saperlo? Loro non sono gli alieni
dell’Invasione degli ultracorpi, il classico filmdella fantascienza del 1956. Sono i futuri mil-lenari, che abiteranno questo pianeta per untempo interminabile in confronto alla nostrabreve vita. Il gerontologo Aubrey de Grey èconvinto che siano davvero in mezzo a noi: «Iprimi esseri umani destinati a vivere fino allasoglia dei mille anni sono quasi certamentegià nati». Non perché siano diversi dalla na-scita: è la scienza che sta facendo tali balzi in
Nei laboratoridella vita 100+
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terminabile dovesse trasformarsi in un calva-rio di malattie? La quantità della vita ci attrae,se è disgiunta dalla qualità? Non si può tra-scurare il fatto che l’aumento della popola-zione di ultra-85enni coincide in tutto l’Occi-dente con un parallelo incremento percen-tuale dei malati di Alzheimer. La voglia di vi-vere sempre più a lungo può diventare unaforma di hubris, castigata con altre sofferen-ze? La nostra cultura è piena di ammonimen-ti in senso contrario. Dal mito di Faust riela-borato da Marlowe, Goethe e Thomas Mann,fino al Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde,il desiderio di una longevità innaturale, o diuna vecchiaia giovanilistica e go-dereccia, viene considerato co-me un delirio di onnipotenza, unpatto col diavolo, di cui prima opoi si pagano dei prezzi terribili.
Anche qui secondo la Arrisonla scienza sta elaborando rispo-ste rassicuranti. Non si tratta so-lo di vivere di più, ma anche me-glio. A questo fine uno dei per-corsi di ricerca più interessantipunta alla riparazione o sostitu-zione di interi componenti delcorpo umano, via via che si logo-rano o si guastano. Il fatto che dei singoli pez-zi raggiungano la loro data di scadenza, in so-stanza, non deve più significare che la vita del-l’essere umano ha lo stesso limite. Uno dei la-boratori di avanguardia in questo campo è ilWake Forest Institute for Regenerative Medi-cine, a Winston-Salem nella North Carolina.Sotto la guida del professor Anthony Atala,questo istituto ha cominciato a creare dellevesciche artificiali, per sostituire l’organo inbambini che avevano un difetto congenito al-la nascita. La struttura di base della vescica ar-tificiale è costruita con materiale organico, sucui si innestano cellule staminali del pazienteper impedire il rigetto. Partendo da quell’e-
sperimento riuscito, oggi lo stesso Istituto la-vora alla produzione di trenta diverse tipolo-gie di organi e tessuti inclusi il fegato, il cuoree le ossa. È interessante sottolineare che laWake Forest School of Medicine fa capo allachiesa protestante battista, a riprova che leconvinzioni religiose non sono necessaria-mente un ostacolo a sperimentare il prolun-gamento della longevità. Dopotutto Matusa-lemme è un personaggio della Bibbia: sareb-be vissuto fino all’età di 969 anni, morì settegiorni prima del Diluvio universale.
Visto che la causa di mortalità prevalentenei paesi ricchi restano le malattie di tipo car-
diorespiratorio e vascolare,uno dei campi di ricerca cru-ciali è la fabbricazione in la-boratorio del cuore umano. Ilpoliclinico della Universityof Minnesota già nel 2008 riu-scì a costruire il primo cuoredi topo. Oggi sta lavorandosulla produzione di cuori dimaiale, un animale più simi-le all’uomo per le dimensionie i cui tessuti cardiaci sonogià ampiamente usati comecomponenti per trapianti
umani. Un altro istituto di medicina rigene-rativa, quello dell’università di Pittsburgh, inPennsylvania, lavora sulle matrici extracellu-lari per fare ricrescere tessuti amputati o lesi:per esempio falangi di dita tagliate. L’idea èquella trasformare il corpo umano in una sor-ta di cantiere permanente, con lavori di ri-strutturazione e restauro prolungabili permolti decenni o addirittura secoli. Resta dacapire se questo salverà anche i nostri tessuticerebrali, e come. Oltre i cento va benissimo,purché non ci si arrivi sotto forma di androidisenza memoria, o con una storia trapiantatacome i replicanti di Blade Runner.
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L’universitàdi Pittsburgh lavora
sulle “matriciextracellulari”:
il corpo umanodiventa autocantiere
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I saporiPoveri ma belli
naterra come un’arca salvifica, campagna fertile e mare abitato da mille pesci diversi, lucentebiglietto da visita della Campania Felix, dove convivono alici e bufale, capre e vacche podo-liche, cavalli bradi e scorfani che a condirci la pasta si fa scarpetta fino all’ultima mollica. Unaterra dove contadini e pescatori sono le stesse braccia calate sulle semine e sulle lenze, a vol-te in maniera intermittente, un po’ nei campi e un po’ sulle barche, a volte praticando uno ol’altro mestiere semplicemente perché si è nati nella parte alta o bassa dello stesso paese, aPisciotta o nella sua Marina, a Pollica o nella frazione di Acciaroli.
È grazie a questa millenaria commistione che il Cilento ha forgiato una cucina partico-lare, semplice e golosa, dove gli intrecci alimentari sono azzardi riusciti e mandati a me-moria: pesce e formaggio, carni e molluschi, il dolce che finisce dove comincia il salato eviceversa. Gustosa e sanissima, se è vero che Pioppi, borgo di Pollica, è stato il labora-torio a cielo aperto dove mezzo secolo fa il medico americano Ancel Keys, sbalorditodalla longevità dei cilentani a dispetto di povertà e ruvido stile di vita, ha stilato i co-mandamenti della dieta mediterranea. Un’intuizione straordinaria — carboidratinon raffinati, verdure, formaggi ovini e caprini, olio extravergine — che nessuna ri-cerca successiva ha potuto scalfire. Se Keys fosse vivo — è morto a cent’anni tondinel 2004 — troverebbe conforto alle sue teorie fra gli ultracentenari della campa-gna nuorese, che praticano da sempre la medesima dieta quotidiana. A completa-re un paradigma alimentare da Guinness dei primati, l’offerta ittica, primo fra tut-
ti il pesce azzurro, con i suoi potenti carichi di antiossidanti.Cucina semplice ma non facile. Intanto, perché praticamente irripetibile a di-
stanza. Non c’è osteria o ristorante nei confini del Parco del Cilento, ovvero dell’areatra Salerno e il confine calabrese, che prescinda dal proprio orto e dai pescatori delmare distante pochi chilometri. E poi, solo una sapienza antica permette di assemblarein maniera magistrale prodotti raccolti ai quattro angoli del parco. Per esempio, il ca-prino fresco e la scamorza di bufala, che sostituiscono la più soave (e ruffiana) ricotta nel-le farciture di alici, calamari e fiori di zucca. Oppure la carne di castrato, che potrebbe ur-tare naso e palato, e invece avvolge la pasta fresca con inaspettata eleganza. E ancora, i ma-gnifici fichi bianchi, che le donne cilentane in questi giorni farciscono con mandorle e noc-ciole, infilandoli come collanine tutte da mordere negli stecchi di legno.
Ma soprattutto, la cucina cilentana sarebbe più povera senza il pane secco. O’ vascuotto,la ciambellina di semola integrale alla maniera terragna, bagnata col brodo, o marina — l’ac-qua-e-sale dei pescatori, inzuppata d’acqua di mare — è la base su cui impilare olive e po-modori, capperi e alici, patate e melanzane. Se non vi basta, regalatevi un piatto di mesca fran-cesca, la pasta mista spezzata fatta cadere sui teli stesi sotto le cucine reali durante il dominionapoleonico, condita con fagioli di Controne e cozze. Chiusura in gloria con i fichi secchi.
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CianfottaUn trionfo di verdure di stagione
— zucchine, melanzane,
peperoni — da soffriggere
per poi completare la cottura
con poca acqua. Sul fondo
del piatto, il pan biscotto
FusilliFarina, acqua e uova per la pasta
fresca lavorata in cilindretti,
scavata e avvolta lungo un ferretto
sottile a sezione quadrata
Si condisce con sugo di pomodoro
o con ragù di castrato
LICIA GRANELLO
Cucinadel
Cilento
OliodopDuemila anni
di storia e 62
comuni ammessi
alla produzione
per l’extravergine
dalle note fruttate,
nato da un blend
di olive locali
raccolte a mano
Alicidi menaicaPer i pescatori
di Pisciotta, barche
e reti (menaiche)
che imprigionano
solo gli esemplari
più grandi, puliti
e messi in cassette
con sale marino
di Trapani
FichidottatiVarietà pregiata
per i frutti chiari,
asciugati al sole
e profumati
grazie a foglie
di alloro
o scorza di limone,
oppure farciti
con le nocciole
Cecidi Cicerale“Terra quae
cicera aliit”, la terra
che nutre i ceci,
recita lo stemma
del paese dove
si producono
questi legumi
piccoli, scuri
e biologici
Fagiolidi ControneRotondi e bianchi,
gusto intenso
e buccia
impercettibile
Cottura accurata,
aggiungendo
acqua calda
poco alla volta
a bollore lento
U
Alici e caprini, carne e molluschi e poi i magnifici“dottati” bianchi che in questi giorni vengono
farciti con mandorle e nocciole.Ingredientisemplici e golosi sono il biglietto da visita di questa fettadi Campania Felix, dove mezzo secolo fa nacquela superba intuizione della dieta mediterranea
Le nozze dei fichi secchi
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MARINO NIOLA
Spaghetti con alici di menaica
Ingredienti per 4 persone
400 gr. spaghetti artigianali
130 gr. extravergine
1 spicchio d’aglio
4 foglie di basilico
700 gr. pomodorini del Vesuvio
150 gr. alici di menaica a filetti
20 gr. prezzemolo tritato
un pizzico di origano
Mettere sul fuoco l’acqua leggermente salata
Far imbiondare l’aglio a pezzetti in extravergine,
poi aggiungere i pomodorini tagliati a pezzetti
e le foglie di basilico. Dopo averli fatti insaporire,
cuocere 2 minuti con un mestolo di acqua, incorporare
le alici precedentemente dissalate con un filo d’acqua
Altri 2 minuti di cottura, prima di rifinire a fuoco spento
con prezzemolo tritato grossolanamente e origano
Scolare la pasta ben al dente e saltarla in padella
prima di servire in tavola
Angelina Vassallo
è la vedova di Angelo,
il sindaco pescatore
di Pollica ucciso
un anno fa. Il suo locale
si affaccia sul porticciolo
della frazione di Acciaroli
Ne “Il Rosso e Il Mare”
(via Nicotera 26,
tel. 0974-904046),
la maestria di Angelina
e la modernità
di Salvatore Caracciolo
si uniscono interpretando
i piatti più gustosi
della cucina cilentana
LA RICETTA✃
Gli indirizzi
DOVE DORMIRE
AGRITURISMO AL SENTIERO
(con cucina e vendita)
Località Galdo
Pollica
Tel. 0974-901617
Camera doppia da 70 euro
colazione inclusa
MARULIVO DESIGN HOTEL
Via Castello 1
Pisciotta
Tel. 0974-973792
Camera doppia da 90 euro
colazione inclusa
HOTEL CALYPSO
Via Mantegna 63
Capaccio
Tel. 0828-811031
Camera doppia da 70 euro
colazione inclusa
DOVE MANGIARE
ANGIOLINA
Via Passariello 2
Marina di Pisciotta
Tel. 0974-973188
Sempre aperto da Pasqua
alla fine di ottobre
menù da 25 euro
IL GHIOTTONE
Via Nazionale 42
Tel. 0974-984186
Policastro Bussentino
Chiuso il martedì
menù da 40 euro
IL PAPAVERO
Corso Garibaldi 112
Eboli
Tel. 0828-330689
Chiuso domenica sera e lunedì
menù da 30 euro
DOVE COMPRARE
COOPERATIVA BIO AGRICOLA
NUOVO CILENTO
Località Ortale
San Mauro
Tel. 0974-903239
VINICOLA LUIGI MAFFINI
Frazione S. Marco
Cenito
Tel. 0974-966345
AZIENDA MICHELE FERRANTE
Via degli Orti 2
Controne
Tel. 0828-772122
OLEIFICIO MADONNA
DELL’OLIVO
Via Garibaldi 18
Serre -Controne
Tel. 0828-974950
Sulla strada
l Cilento è la terra più greca d’Italia. E Paestum, con isuoi templi dorici gettati come dadi nella pianura, è lasua porta ideale. Parte da qui il mio viaggio verso le sor-genti del mangiare mediterraneo. Da quello che untempo era il regno del divino Poseidone e che oggi è ilregno della non meno divina mozzarella. Si punta ver-so Sud e in pochi chilometri arrivo a Castellabate, altacome una tolda di nave a picco sul Tirreno. È sempreemozionante risalire i torrenti di pietra delle sue stra-dine e guardare dall’alto la costiera amalfitana e Capriperdute nell’azzurro. Plano verso Punta Licosa, un pa-radiso incontaminato dove l’automobile è bandita. Ilprofumo di macchia mediterranea e quello del maresono euforizzanti. E tra i pini d’Aleppo piegati dal ven-to qualcuno giura di aver visto le fate, eredi della sirenaLeucosia che abitò queste acque. Dai ricordi omerici aisapori omerici il passo è breve. E porta ad Acciaroli, unamezzaluna di sabbia su un mare cristallino dove è ob-bligatorio, almeno per me, fermarsi ad assaggiare l’ac-quasale della Lampara, un ristorantino che potrebbeessere a Kalamata. Un biscotto di grano scuro, condi-to con olio, sale e pomodoro accompagnato da un bic-chiere di aglianico. I simboli primordiali della triadealimentare mediterranea. Sulle alture di Casalvelino eAcquavella continuano a cagliarlo come al tempo diUlisse. E così questo cibo povero si trasfigura, diventadi un’eleganza assoluta, vertiginosa. Dopo non restache allungarsi al sole aspettando il tramonto. Quandoviene naturale rincorrere i pensieri. Che qui volano al-ti. Sarà il calore di un’ospitalità antica. O sarà invece lavicinanza di Elea, la città di Parmenide e Zenone, doveè nata la filosofia dell’essere. Certo è che questo ango-lo di mondo resetta la mente e il cuore.
Con Omero e Parmenidenel regno dell’acquasale
MelanzanembuttunateUova, formaggio
grattugiato e sale
per la farcitura
delle rondelle
doppie. Dopo
la frittura, seconda
cottura in sugo
di pomodoro
Basilico alla fine
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Se per molti resta “la moglie di Totti”lei fa spallucce: “Io sono io, Francescoè Francesco”. Se poi è la coppiaa essere presa di mira, allora risponde:“Siamo i Beckham de’ noantri?
Ma se alle dieci stiamogià a letto”. A tirare fuorile unghie ha imparatopresto: “Ero unaLetterina fidanzatacon un calciatore,
ci si aspettava poco da meOra invece sono una ienaCome tutti, chi più chi meno”
COLOGNO MONZESE
La iena in carriera, pantalonimilitari e diamanti alleorecchie, ha l’aria divertita
quando racconta che allo stadio chiac-chiera, si alza, si fa un giretto «e l’ultimavolta non mi sono neanche accorta cheda 2 a 0 stavano 2 a 1, perché, lo posso di-re?, qualche volta mi annoio». Si annoia-no in molte e sono in buona compagnia,nel gruppo c’è anche la moglie del capita-no della Roma Ilary Blasi, la signora Totti.Trent’anni, romana coi colori da svedese— per i tifosi Pupona, moglie del Pupone— è seduta come una studentessa in atte-sa dell’esame in una sala riunioni di Me-diaset, a Cologno Monzese, dopo le pro-ve. Da cinque anni è arruolata nel pro-gramma di Davide Parenti su Italia 1 e sicapisce che le piace moltissimo, perché,tra gattamorta e iena, non ha dubbi: «Lesembro una gattamorta?». È una gatta vi-vacissima, occhi turchesi e labbra alla An-gelina Jolie. «Parliamoci chiaro, tutti sia-mo iene, chi più, chi meno».
Simpatica, verace, è la classica roma-na che non si stupisce di niente. E chipensa che il ruolo della signora Totti sial’unico che è in grado di interpretare, oche sia la classica bionda stangona pre-stata alla tv, è fuori strada: l’Ilary che nonti aspetti fa svanire ogni pregiudizio.«Nasciamo individui, e io sono nata Ilary
(Milano)
non Francesco». Rivendica la sua auto-nomia, anche se si finisce spesso per par-lare di lui. Le carriere separate si sono in-crociate negli spot che interpretano in-sieme, come novelli Sandra e Raimon-do: «Una sit-com con Francesco? Mi di-vertirebbe ma non è il suo lavoro, in-somma, lui gioca a calcio... Però invece ame piacerebbe fare l’attrice. Magari inuna fiction. Ma nei cinepanettoni no».
Nozze in diretta tv, biondi, abbronza-ti, due figli coi nomi da soap, Cristiansenza l’h e Chanel, i Totti sono un po’ iBeckham de’ noantri, a portata di foto ri-cordo. «Il paragone mi diverte, li adoro.Ma il loro stile è opposto al nostro, fannovita mondana, escono tutte le sere. Noiceniamo prestissimo, andiamo a lettoalle dieci. Ne dicono di tutti i colori suiBeckham, ma alla fine stanno sempre in-sieme: hanno quattro figli, lanciano unmessaggio positivo, sono una bella fa-miglia. Anch’io alla famiglia do valore,l’ho voluta e me la sono costruita».
Si è costruita anche una carriera, daragazza ambiziosa ma con giudizio, sen-za sbagliare un colpo: da Letterina diPassaparola a Che tempo che fa, tra Fe-stival di Sanremo e Festivalbar in tv hadimostrato di sentirsi a casa. «Mi diver-to. Le ieneè tutto nuovo con Luca Argen-tero e Enrico Brignano, i tempi sono ser-rati, con la diretta ti giochi tutto. Menomale che ho una memoria di ferro, mibasta leggere una cosa una volta e me laricordo, ed è così che mi sono sempresalvata a scuola». Sta sempre al gioco, mase si mette in testa una cosa è quella, a co-sto di bruciare le tappe: «Non è vero, hoscelto passo dopo passo, però è vero cheè stato il programma di Fabio Fazio a “ri-pulirmi”; venivo da Passaparola e Cd li-ve, RaiTre mi ha fatto fare il salto. Dicia-mo la verità: ci si aspettava poco da me,un’ex letterina fidanzata con un calcia-tore al massimo partecipa a una tra-smissione sportiva. Poi Le iene ha datouna spinta forte alla mia carriera. Cosasogno ora? Di presentare, ma so che de-vo ancora crescere per avere un pro-gramma tutto mio. Ci vuole esperienza.Mi piacerebbe condurre un reality: sei lìda sola, devi tenere a bada tutti...».
Le brillano gli occhi, e si capisce chequella che abbiamo di fronte non è un’e-roina romantica, ma una domatrice dicirco. Il suo modello? «Mi ha sempre col-pito Simona Ventura, la sua irriverenza,il fatto che giochi a fare la ragazzacciacon battute fuori programma. Piace an-che a me uscire dagli schemi e non fare ilcompitino». Ecco, non è tipo da compi-
tini; ha la battuta pronta ma sa ascoltare:«La bellezza conta all’inizio, però poi de-vi dimostrare di saperle fare le cose, deviimpegnarti». Ripete e si ripete quanto èfortunata, consapevolezza che l’ha gui-data spesso nella vita: «Perché so da do-ve vengo: mio padre è impiegato, mam-ma casalinga che da cinque anni lavorae fa la vigilessa. Prima si è occupata dinoi, poi quando siamo cresciute ha fattoil concorso in Comune. Oggi è felice co-me una pasqua. Papà che era abituatobenissimo — lei sempre a disposizione,la cena pronta — un po’ meno».
Ilary è rimasta la pupona di famiglia,legatissima alle sorelle Silvia e Melory.«Sì lo so, quel nome fa sorridere tutti...L’ha voluto mamma. Però è musicale.Ilary, invece, l’ha scelto papà, l’ha presoda un film western. Quanto a me, hochiamato mia figlia Chanel perché trovoche leghi benissimo col cognome. No?Totti è un cognome duro, lo sente? Tot-ti. Invece Chanel, è così dolce. L’ho scel-
to per il suono, giuro, la moda non c’en-tra. Tanto anche se l’avessi chiamataGiulia o Maria avrebbero avuto da ridire.Non sa quante bambine adesso, anchefuori Roma, si chiamano Chanel». Nonsarebbe necessariamente una cosa dicui vantarsi, ma come puoi spiegarlo al-la iena faccia d’angelo, mentre inizia araccontarti come educa i figli? «Tra lamia famiglia d’origine e quella di adessonon si possono fare paragoni. La mia vi-ta era fatta di scuole pubbliche, sport,amici normali, quelli che vedo tuttora.Cristian e Chanel hanno un tenore di vi-ta diverso, abitano in una casa diversa.Ma ci tengo che capiscano il valore diquello che hanno, voglio che si rendanoconto di quanto sono fortunati. Unesempio? Regali solo a Natale e per icompleanni». Gli altri giorni sveglia allesette e mezza, pullmino per la scuolaamericana «e al pomeriggio sono io chevado a prenderli, ma spesso anche Fran-cesco. Sono una mamma presente, cre-sco insieme ai miei figli, ma non sonouna mamma chioccia. Non sono abba-stanza “fisica”, pochi abbracci, tendo aessere fredda. Francesco, lui sì che è uncoccolone». Oltre che geloso, pare. «An-ch’io», ammette Ilary, «ma dopo diecianni il rapporto cambia, non è più la ge-losia primitiva, quella dei primi tempi,della passione. Se no, come fai a vivere?Il rapporto evolve, nella mia piccolaesperienza ho capito che solo avendoobiettivi comuni si resta uniti. Non è mi-ca facile stare insieme, e se devi stare conuna persona deve valerne la pena». Co-sti quel che costi, anche se ti pedinano ifotografi e s’inventano perfidie di ogni ti-po. «’Sto gossip… “Ilary gesticola, hannolitigato”, ogni giorno ce n’è una. All’ini-zio le cattiverie mi colpivano, ora ho im-parato a non farmi fagocitare. Non leg-gere troppo è l’unico modo per soprav-vivere».
Indipendente e determinata, primispot da pupina a tre anni (Cicciobello efrollini per la colazione), sulle ragazzecoinvolte negli scandali sessuali ha leidee chiare: «Non mi sconvolgo, primaera tutto celato ora è più evidente. Ilmondo dello spettacolo ha sempre fun-zionato così, ma sei tu a creare il tuo de-stino. Nessuno ti obbliga a fare niente».Qualcuno si ricorda che quando andòospite a Porta a porta, Bruno Vespa lechiese: «Perché ti sei messa i pantalo-ni?». «È vero! Chissà, forse si aspettavache dovessi parlare con le gambe e noncon la bocca». Ride. «La tv è un po’ ma-schilista, come tutti i posti di lavoro… Si
sa che non è una società a misura di don-na, siamo ancora penalizzate, leggiamodi ragazze che vengono licenziate per-ché aspettano un figlio. Bisognerebbeaprire asili nido nelle aziende, perché seper lavorare devi dare il tuo stipendio al-la tata, è la fine».
La Ilary battagliera segue la politica?Sguardo perso. Lungo silenzio. «Oddio,dobbiamo proprio parlarne? Ci ha spo-sato Veltroni, lui è una brava persona,ma la politica oggi mi sembra ridotta a unbattibecco tra due sponde che non tro-vano mai un punto di incontro. L’anda-mento è questo, poi, per carità, ognunovede le cose a suo modo. Non guardotanta televisione, la tv è di Francesco, se-gue partite e sport, non sono io ad avereil monopolio del telecomando. Ora checi penso non ce l’ho mai avuto, anchequando dormivo in camera con mia so-rella decideva lei…».
Per il resto, vita da trentenne: figli, pa-lestra, aereo per Milano, prove, shop-ping con le amiche. «Cerco di fare una vi-ta normale, mantenendo un piede dal-l’altra parte. E per me l’altra parte è la tv.Con Francesco non ci portiamo il lavoroa casa, gli parlo delle mie cose, ma alla fi-ne decido da sola». Come a tavola: ienaanche come cuoca, sempre a dieta, Ilaryconta il numero di rigatoni da metterenei piatti, massimo otto. «Ma no, sonomolti di più», protesta, «ventiquattro indue, mi pare». Quindi dodici. «Insommaso’ sessanta grammi».
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L’incontroIn carriera
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Mio padre impiegatoe mamma casalingache ora fa la vigilessaSo da dove vengo, voglio che anchei miei figlisappiano quantosono fortunati
Ilary Blasi
SILVIA FUMAROLA
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Repubblica Nazionale