Il Sicomoro di Dicembre 2010
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“Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e
anche noi!” (Lc 23,39). Scelgo queste
parole della Santa Scrittura per parlarvi
della mia “Ammissione tra i candidati al
Sacro Ordine del Diaconato e del Pre-
sbiterato” e di questo tempo gravido di
attesa per la Chiesa tutta e per il mon-
do, alla vigilia del Natale. Queste paro-
le, che la liturgia di “Cristo Re dell’Uni-
verso” offriva il 21 novembre scorso,
quando con i miei compagni di classe
ho vissuto, il rito dell’”Ammissione”,
sono rivolte a Gesù da uno dei malfat-
tori appesi accanto a Lui: si fa portavo-
ce dell’ennesima tentazione subita da
Gesù, costantemente sfidato sulla veri-
dicità della sua identità… «Sei davvero
quello che credi d‟essere?»
Nel progressivo maturare della sua
coscienza di Figlio di Dio-Salvatore,
pronunciato il “Sì”, tra fermenti di se-
quele e delusioni d’abbandoni, giunse
al termine della sua vita terrena allo
stremo delle forze di fronte a chi anco-
ra una volta gli presentava l’atroce
dubbio: «Sei tu il Cristo?». A quella
domanda non rispose con parole, ma
con la fedeltà al progetto che il Padre
gli consegnò, donando la vita nell’o-
scurità di una notte di morte. Anche Lui
dovette misurarsi con la sua stoffa, con
le sua paure, col suo coraggio… e dis-
se “Sì”.
Azzardo a paragonare il mio “Sì” al
Suo non per vanagloria, ma perché è
tale il “Sì” di ogni credente, quello alla
vita, quello alla santità battesimale,
quello alla vocazione specifica. Si trat-
ta sempre di un’adesione che non ha
mai tutto chiaro, che è sempre in affan-
no, che è sempre innestata in un
“Altro”. Così per Abramo, così per Mo-
sè, così per i Profeti, così per Maria,
così per Gesù… per fede! Fede, parola
che sommamente ci decentra da noi e
ci libera dal desiderio di possedere e
dominare, ci spossessa dalle nostre
proiezioni.
Fede e speranza: questo abitava il
mio cuore quella sera, accanto a battiti
forti, nel sentire pronunciare il mio no-
me e quello della mia Comunità par-
rocchiale davanti alla Chiesa di Napoli.
Questa accoglieva e confermava la
mia vocazione, si sporcava le mani per
me. E così il mio ”eccomi”, PRESA DI
POSIZIONE per un sogno grande,
contro i tentennamenti e le mediocrità
che mi tormentano. Una presa di posi-
zione ispirata da quella di Gesù, che,
per amore e liberamente, si fa inchio-
dare ad una croce, assumendo per
sempre la collocazione dell’offerta…
che solo l’Amore potette trasfigurare in
vita nuova.
Se c’è una parola che posso conse-
gnarvi, Fratelli, è dunque questa:
«Prendiamo posizione di fronte all‟E-
vangelo», lo dico a me, ancora, lo dico
a voi… per lottare contro la tentazione
che ci rende ogni giorno abitanti di
confini fumosi e incerti tra uno slancio
che rinsecca e un rimorso che incom-
be. Scegliamo insieme il Cristo, quello
che sta per venire ancora, mai stanco
dei nostri vuoti: “Maranatha”.
Se c’è qualcosa che il Signore ci sta
chiedendo, e questa ci fa tremare, è
segno che il Suo passaggio ci smuove
ancora…approfittiamone! Non cedia-
mo alla tentazione che calunnia noi e
ancor di più la Volontà di Dio.
Non si tratta di imboccare vaghi sen-
timentalismi, ma di esprimere coscien-
temente la nostra scelta per Lui e per
le Sue vie. Tocca a me, a te, a te, non
ad un altro... È possibile…
CONTINUA A PAG. 5
Periodico del Gruppo Esperienza
Anno 14 - Dicembre 2010
Parrocchia S. Teresa di Gesù Bambino Via E. Nicolardi, 225 - Napoli
Qual è la mia attesa? Salmo 38, 8
PRENDERE POSIZIONE DI FRONTE ALL’EVANGELO Scegliamo Gesù, sempre! Contro la tentazione che ci rende abitanti di confini incerti tra uno slancio
che rinsecca e un rimorso che incombe di Paolo Flagiello
Il Sicomoro - Dic 2010 Pag. 2
L’ACCOGLIENZA DELL’AVVENTO
L‟Avvento, tempo propizio per fare spazio a
Cristo ed ai fratelli Dalla nostra inviata a Milano!
C arissimi fratelli, qui a Milano
siamo già in pieno periodo di
Avvento da due settimane;
infatti il calendario liturgico
ambrosiano prevede un periodo di Av-
vento lungo 2 settimane in più rispetto al
calendario romano. La prima volta che
l’ho scoperto mi sono detta: ”Possibile
che i milanesi debbano essere sempre
così avanti anche nei tempi liturgici?”,
ma poi ci ho riflettuto ed ho pensato che
aumentare il tempo dell’attesa per gli
abitanti di questa città - in cui il fare le
cose di fretta e con efficienza e con poco
spreco di tempo è il massimo della rea-
lizzazione - è sicuramente un segno
forte. L’attesa è l’antitesi del movimento,
del fare e della velocità, è costringersi a
fermare il vortice delle attività e prender-
si il tempo di aspettare, ascoltare, acco-
gliere ed amare, è il tempo forte della
preghiera.
La Liturgia della Parola di queste due
settimane presenta ai fedeli letture con
valore escatologico: sulla fine dei tempi, i
segni ad essa legati e la venuta di No-
stro Signore: non vi nascondo
che le accolgo con un pò di
inquietudine perché sono pas-
si che non troviamo nel rito
romano, non sempre sono di
immediata comprensione e
non sempre trovo risposte alle
mie domande nelle omelie. Ma
proprio per questo suscitano una serie di
riflessioni sulla grandezza della Sua Pa-
rola, sul bellissimo collegamento fra l’at-
tesa della Sua venuta alla fine dei tempi
e l’attesa, in ogni Avvento, della nascita
del piccolo Gesù nella Betlemme dei
nostri cuori.
Domenica scorsa mi ero preparata
all’ascolto di letture di questo tipo, quan-
do la mia attenzione è stata catturata da
un versetto della Lettera di San Paolo ai
Romani: ”Accoglietevi perciò gli uni gli
altri come Cristo accolse voi, per la
gloria di Dio”. Questo versetto mi ha
portato in tutt’altre riflessioni: ho gustato
la bellezza di questa Parola richiamando
alla memoria tutte le volte che mi sono
sentita accolta, tutte le volte che Cristo
ha preparato per me un abbraccio risto-
ratore, un nido accogliente nella sua
Chiesa e le volte in cui mi ha presentato
la possibilità di accogliere un fratello;
tutte esperienze che mi hanno arricchita
e guarita. Ma al di là di queste stupefa-
centi esperienze spirituali è a Milano che
Dio mi ha presentato le occasioni più
favorevoli di accoglienza in senso prati-
co: se è vero che tutte le strade portano
a Roma, è anche vero che altrettante ne
portano a Milano! Casa nostra è sempre
aperta ad accogliere fratelli e sorelle che
- in un modo o nell’altro - si trovano a
dover dimorare in questa città per un
giorno o più (chi per lavoro, chi per un
concorso, chi per studio, chi perché ha
sbagliato treno…) o che vogliono sempli-
cemente venire a salutarci. Tutte visite
molto gradite che in qualche modo ag-
giungono senso al nostro stare qui! È
vero che nella nostra promessa di matri-
monio abbiamo detto che volevamo una
casa aperta all’accoglienza dei fratelli….
ma Gesù Cristo ti prende proprio in paro-
la!
Ora dovete sapere che ogni martedì a
casa nostra si riunisce la Cellula (è chia-
mata così perché fa parte del Sistema
Internazionale delle Cellule parrocchiali
di Evangelizzazione, ma di questo ve ne
parlerò una prossima volta!) per un in-
contro di preghiera e di formazione, un
po' come il nostro Gruppo del Sabato
(ma molto “un pò”!). Ogni volta che pre-
sentiamo loro un nostro amico o una
nostra amica ospite ci guardano con
facce stralunate come se fossimo dei
marziani, anche perché questa cosa
capita abbastanza spesso e loro trovano
strabiliante che a casa nostra ci sia tutto
quest’andirivieni. Non mancano quindi
commenti di meraviglia, di entusiasmo
ma anche di perplessità; a volte ci fanno
notare che tutto questo non è nella
“norma”, e loro lo attribuiscono al nostro
essere napoletani: i nostri comportamen-
ti vengono visti cioè come qualcosa di
diverso che si distingue dal costume
comune milanese. Come avrete capito
l’accoglienza non è proprio il loro forte, o
meglio non è intesa nello stesso modo
nostro. Ci ho pensato un pò su e, anche
alla luce di questo versetto che ha guida-
to la mia preghiera domenica scorsa,
sono arrivata alla conclusione che Gesù
non ci richiede mai di fare cose di cui
non abbiamo avuto esperienza in prece-
denza: “Accoglietevi … come Cristo
accolse voi“.
Non è quindi la “napoletanità” a fare la
differenza, ma l’esperienza vissuta nella
nostra Comunità di Napoli, che è mae-
stra nel fare accoglienza (credetemi, lo
è!); è l’aver sperimentato nella nostra
vita con forza l’abbraccio d’Amore di Dio,
la Sua accoglienza nel Suo perdono; è
l’aver ricevuto accoglienza, comprensio-
ne, riconciliazione attraverso gli abbracci
dei miei fratelli e delle mie
sorelle. È la Grazia di Dio
nella nostra vita a fare la
differenza!
Spero e prego che tutto
questo vissuto trapeli dalle
nostre azioni “per la gloria
di Dio”, perché si può
essere testimoni di Cristo
in tanti modi ma anche nelle cose più
concrete della quotidianità, come l’ag-
giungere un posto a tavola o preparare
un letto in più. Questo allenamento
all’accoglienza prepara il nostro cuore ad
aprirsi ad un ben più grande Ospite, il cui
mistero del divenire carne indifesa di
bambino nel grembo di Maria contemple-
remo nei prossimi giorni. Ed allora il mio
avvento sarà davvero un tempo di Gra-
zia se avrò imparato innanzitutto ad ac-
cogliere e far dimorare nel mio cuore la
Sua Parola, ad accogliere il mio sposo, i
miei figli, i miei amici e ad aprire il cuore
- non solo la casa - ai nostri ospiti ina-
spettati, anche perché potremmo trovarci
un giorno ad ospitare Tre Angeli …
“Gli articoli dei fratelli "esteri" mi hanno profondamente commossa e mi
confermano ancora di più che siamo depositari di una inestimabile ric-
chezza che non va data per scontata, e che dobbiamo, e non solo do-
vremo, render conto dell'"uso" che ne facciamo. Tanti sono gli spunti di
riflessione... per cui voglio ringraziare te e i tuoi collaboratori del meravi-
glioso servizio che mi e ci state offrendo!” Loredana Campagnuolo
di Roberta Fattiboni
Il Sicomoro - Dic 2010 Pag. 3
Cari fratelli, mi è stato affida-to il duro compito di de-
scrivere tutto ciò che abbiamo fatto noi “romani” per ricordarci dei nostri 5 anni insieme. Spero in queste poche righe di farvi capire di i temi trattati e la felicità che abbiamo vissuto in questi giorni. Il primo momento di riflessione, guidato da Don Orazio, è stato su Memoria ed Identità, un racconto dei principali eventi della nostra storia “romana”, per ricordarci cos’è l’Esperienza per noi e da dove siamo partiti. Poi ci sono state le meditazioni di P. Gianpiero e di P. Fabrizio, rispettivamente su Parola, Eucarestia e Preghiera, e sulla Koino-nia: sono temi a noi molto cari perché rappresentano le nostre 4 ali... Ci sia-mo resi conto che tanta strada abbiamo fatto insieme ma non siamo neppure a metà della metà del nostro percorso! La strada è ancora molto lunga. Ultimo a prendere la parola è stato Don Mauro che ha chiuso il quinquennale lascian-doci con il tema della Missione. E’ stato molto chiaro su quanto sia importante mostrare il volto di Dio a chi ancora non lo ha conosciuto. Tra le relazioni ci so-no state poi delle testimonianze di alcu-ni nostri fratelli. Sono tornato a casa
con molti spunti di riflessione: il pensie-ro che più mi ha colpito è stato quello relativo al rapporto con i fratelli. L’estate scorsa ho partecipato al Cam-mino di Santiago, e nel corso del pelle-grinaggio sono stato colpito da questo Cristo che vedete nella foto accanto: questo Crocifisso si trova a Furelos e ha la particolarità di avere un braccio rivolto verso i fedeli come a prendere la loro mano per avvicinarli al Signore. Durante il quinquennale le parole che hanno fatto maggior eco dentro di me sono state proprio queste: “Bisogna vivere con una mano a Dio e una fratel-li”. Subito mi è tornata alla mente l’im-magine del Cristo vista solo pochi giorni prima.
Come mettere in pratica questa massi-ma così importate? P. Gianpiero è stato molto chiaro su questo punto: “Fuori dal triangolo Parola/Eucaristia/Preghiera non ci si può professare cristiani”: la Parola deve essere la spada a doppio taglio che trafigge i nostri cuori, la pre-ghiera ci mette a nudo davanti a Dio ed infine l’eucarestia è il luogo in cui Dio si dona a noi. Infine P. Fabrizio, nel met-tere in relazione l’eucarestia con la koi-nonia, ci ha chiarito come quest’ultima rappresenti un modo di vivere nuovo,
basato sulla gratuità, sull’attenzione e sull’amore nei confronti del prossimo; ricordandoci che questo obbiettivo è molto complicato da raggiungere, ma anche possibile solo grazie all’aiuto del Signore. Credo che personalmente per la mia misera esperienza l’unico modo per riuscire a vivere in koinonia è condi-videre con i fratelli vecchi e nuovi. Per questo ritengo veramente fondamenta-le continuare a portare l’Esperienza, un opera di grande evangelizzazione, pie-tra su cui fondare la continua crescita delle nostre Comunità.
Il Quinquennale della Comunità di Roma
Cari fratelli, l’idea di condividere con voi
il mio oggi in questo tempo di Avvento
riempie il mio cuore di calore e spazza
un pò via quella nostalgia che da circa 2
anni abita il mio quotidiano. Sì, una no-
stalgia che riesco a gestire, a contenere,
solo grazie a Dio nella mia vita. Grazie a
Lui, che si rende mio compagno di viag-
gio, mia forza, mio consolatore in questo
periodo di lontananza dalle mie radici.
Con Lui ho iniziato questa storia e conti-
nuo a viverla con Lui, in
particolar modo in questo
tempo di Attesa. Un tempo
ricco di Grazia, perché no-
nostante le mie dovute alla
lontananza, Egli mi rende
comunque vicina al mio
passato, che ritorna oggi nel mio presen-
te. Un tempo di Avvento addolcito e reso
gioioso dalla venuta, nelle mia nuova
terra, di due cari fratelli, Marco e Diego,
che contribuiscono a rendere la mia gior-
nata più serena e meno dura. Due fratelli
che mi donano un pezzo della mia ama-
ta Comunità, quel Volto di Cristo che
per anni ho vissuto, sostenuto ed amato.
Grazie a loro la mia Attesa è vissuta in
modo comunitario, e per questo ringrazio
il mio Signore, che mi dona sempre quel-
lo di cui ho bisogno e non quello che il
mio cuore desidera. È sicuramente un
tempo di Speranza questo, forza neces-
saria per ritrovare in Lui il vero e bello
della mia storia. Come si può essere dei
cristiani privi di
Speranza?...proprio non si può. Dio mi
attende perché io viva una vita vera, una
vita che tende verso Lui, verso l’altro,
con la gioia cristiana nel cuore. Grazie
Signore perché in questa nuova storia
ho imparato ad amare ancora di più la
tua Chiesa, la mia Chiesa, quel Volto di
Cristo che tanto mi manca, ma che al-
trettanto mi rende parte di essa. Grazie
Signore perché oggi mi doni una piccola
parte di essa. Grazie Signore perché mi
hai voluto qui, e perché solo attraverso il
dolore della separazione ho compreso
quanto era prezioso ciò che sempre ho
avuto. Grazie Signore perché vieni an-
che quando non ci sono. Grazie Signore
perché ti Sei fatto uomo per me. Con
affetto, uniti sempre!
TEMPO DI AVVENTO...TEMPO DI SPERANZA
Grazie Signore….
di Daniela Lubrano
di Luca Fiorenzo
Un articolo….meglio
tardi che mai!!!
Il Sicomoro - Dic 2010 Pag. 4
Quest’anno il mio tempo di Avvento è cominciato con la giornata di spiritualità ad Alvignanello ed è proseguito con quella parrocchiale. Nel primo caso le meditazioni presentavano il vertiginoso tema dell’ecumenismo a partire dal bra-no dei Magi (Mt 2, 1-12), mentre quelle parrocchiali partivano da un impegnativo testo di Isaia (Is 40,1-11). Nei giorni successivi, riflettendo su alcuni passaggi delle meditazioni, mi sono ricordato del contrasto dei miei pensieri attuali con quelli che vivevo negli anni passati, quando in giro, aspettando il Natale, si canticchiava una vecchia canzoncina di
Renato Carosone: “Mo‟ vene Natale/nun tengo denare/me leggo „o giurnale/e me vaco a cuccà”. Ricordo tutti i desideri che avevo per il Natale e fra questi c’era-no innumerevoli voglie di spensieratez-za, di possesso, di materialità, insomma, solo di avere. Non c’era la voglia di Gesù nella mia vita, non c’era voglia di essere, di essere altro. Sì, al limite c’era voglia di essere, ma di essere colui che possede-va, colui che aveva, e la canzoncina fischiettata non era altro che la conferma subliminale di un modello di vita promos-so a tutti i livelli e per tutti i ceti sociali. Certo, poi, a Messa si doveva andare: “jamm è Natale, almeno pe‟ fa vedè…” Insomma, per me e quelli come me, Ge-sù non veniva preso in considerazione, non era nemmeno una opzione prima analizzata e poi scartata. Ora mi rendo conto che si utilizzava la Sua nascita solo per creare altre situazioni al contor-no, mille necessità che innescavano una dinamica di spasmodica attesa. E nell’at-tesa scattava la compulsiva liturgia dell’analisi dei gusti, dei prezzi, dell’ac-quisto, del rito pagano del consumo, seguito dallo svuotamento energetico dell’individuo che arrivava alla fine delle festività scarico, spossato, nervoso, ma-gari con tante tensioni accumulate in famiglia e con amici nelle occasioni d’in-contro spesso forzate, talvolta vuote. E proprio a questo punto si doveva ripartire subito, con studio, lavoro e stagione dei saldi…Oggi riesco a riflettere maggior-mente rispetto ad allora, e mi rendo con-to che a Natale ormai si fa veramente di tutto, ma non si fa ciò per cui questa festa è nata. Le pubblicità in televisione,
ad
esempio, ne sono un tangibile e incon-trovertibile segno. Ho provato a immagi-narmi come avrei vissuto il Natale di quest’anno essendo la persona che ero qualche anno fa. Magari la domenica prima di Natale qualche conoscente mi avrebbe telefonato ed esortato a passa-re qualche minuto in Chiesa per una riflessione sul tema ed io, sicuramente, avrei snobbato l’invito dicendogli che avrei dovuto fare altro. Da solo, poi, avrei deriso la proposta considerando la domenica bestiale che mi preparavo a vivere meravigliandomi di come il mio conoscente, fra le tante cose che ci sa-
rebbero state da fare, andasse a perdere tempo proprio in Chiesa…Quindi mi sarei preparato, sarei corso al supermer-cato pensando alla canzoncina della Bauli, quando ci ricorda che “a Na-
tale puoi fare quello che non hai fatto mai”: ed io perciò avrei comprato un panettone. Poi sarei passato a pensare al ritornello che fa “E‟ Natale, è Natale, si può dare di più”: e a questo punto avrei comprato anche il pandoro. Finito con il supermercato, sarei passato al centro commerciale a cambiare il contratto del telefono solo perché Totti, in TV, mi ave-va avvisato cha a Natale “conviene, c‟è pure internet incluso”. Nello stesso Cen-tro un cartello mi avrebbe ricordato che Fiorello, insieme alla talpa, è felice per-ché a Natale dal cielo fioccano calciato-ri…ed io sarei stato lì, fermo a sogna-re…”che bello”….Mio figlio, più concreto, mi avrebbe strattonato…ed io infastidito gli avrei detto ”fammi vedere adesso chi fiocca, non mi scocciare”…ma lui avreb-be incalzato: “Papi!”. Al Papi senz’altro avrei ceduto: “Cosa vuoi?”. Lui: ”Mi com-pri l‟ovetto Kinder con la sorpresa di Na-tale?”. Ed io, consumatore tradizionale: “Ah, Vincenzo, non lo sai che l‟ovetto con la sorpresa si compra a Pasqua?”. E lui triste e confuso, si sarebbe rassegna-to. Poi a pranzo, avrei notato, in televi-sione, che Panariello cerca di convincere il figlio di Babbo Natale che lui esiste… (senza capirne il nesso con la compa-gnia telefonica che pubblicizza). Alla successiva pubblicità avrei scoperto che era vero, c’era qualcuno che ti invitava a comprare l’uovo Kinder chiedendoti: “Che sorpresa inventerete a Natale?”. E va bene, mi sarei compiaciuto che met-tono tutto e sempre, ovunque e comun-que, ed a quel punto sarei risceso e avrei comprato anche l’ovetto a Vincen-zo. Una volta fuori avrei fatto un passag-
gio al concessionario: Chiambretti pro-metteva per Natale una Panda speciale, ma io l’avrei vista sempre uguale. Final-mente sarebbe arrivata l’ora del cinema e quindi l’ora della più difficile fra le deci-sioni: andare in Sudafrica a ballare waka-waka o a Saint Moritz per sciare? Dopo la faticosa scelta, la calca, qualche risati-na e costose patatine, sarebbe arrivata finalmente l’ora della nanna. All’indoma-ni, di buon ora, ci avrebbe aspettato Ikea con tutti i suoi elfi, le sue renne, forse anche Odino. Nulla che ricordasse il Natale tranne la scritta Buon Natale. Anche il presepe lì ormai l’hanno tolto da anni. Sarebbe stata una buona scusa per passare anche a San Gregorio Ar-meno. Pant.. Pant… di corsa, a vedere i pastori. Finalmente, quelli del Natale. E quindi un’altra calca per vedere Gianna Nannini incinta, Fabio Fazio e Roberto Saviano, Giancarlo Tulliani e Julian As-sange, Maradona e Berlusconi con Ru-by. E Benino non c’è? E chi è Benino? Nel frattempo, nell’euforia collettiva, tutti a fare gli auguri a chiunque. Non si capi-sce bene perché e per cosa, però va bene lo stesso. Finito l’arrembante vai e vieni con i regali, non si poteva non man-dare un anonimo ma doveroso messag-gino collettivo di Auguri. Di buone Feste. E, soprattutto, di un sereno Natale. Il Natale, nell’immaginario collettivo delle persone per bene, deve essere augurato sereno. Chissà, quando si aggiunge l’aggettivo sereno, cosa si pensa di au-gurare…Dopo il messaggino, mentre riepilogavo gli acquisti, mi sarei ricordato di passare in profumeria. Avrei scelto di passare da quelle che avevo visto su un cartellone pubblicitario, che mi invitava-no a scoprire il lato B del Natale. Cosa c’entra con il Natale questo cartello pub-blicitario? Domanda che non mi sarei mai posto qualche anno fa e che oggi invece faccio. Per Grazia di Dio questo tempo di Avvento non lo vivo così come l’ho descritto, il dono che il Signore mi ha fatto facendo ingresso nella mia vita vale troppi regali di Natale, ed il mio vecchio io lo sa bene. Oggi nella mia vita c’è il primato di Gesù e per me è questo l’unico lato del Natale e non esistono altre malintese interpretazio-ni. Non voglio giudicare nes-suno, anzi credo che queste sono dovu-te più ad una anestetizzazione delle co-scienze che non ad una sincera consa-pevolezza. So solo che, a partire dal primato di Gesù, posso anche fare tutte le cose che avrei fatto qualche anno fa ma restituendo a ciascuna di loro il giu-sto peso e, soprattutto, inserendole in un diverso ordine di priorità. D’altra parte lo sanno bene anche le pubblicità, ci sono cose che non si possono comprare, per tutte il resto c’è MasterCard. Buon lato unico del Natale!
IL LATO B DEL NATALE
La consapevolezza del “lato unico” del Natale
di Gino Pagliara
Il tempo di Avvento è un tempo che ci porta a vivere il nostro “stare nel tempo” . È
importante che ci chiediamo come stiamo vivendo in questo tempo di Attesa.
Attendere significa “incamminarsi verso”, “desiderare”; dunque è qualcosa che va
ben al di là del semplice aspettare! Troppo spesso - infatti - il nostro attendere è
tradotto con una staticità che annoia: aspettare senza far nulla, oppure aspettare
affannandoci a fare di tutto, e dimenticando che siamo in attesa non di qualcosa ma
di Qualcuno. I nostri peccati non si riducono solo al male che facciamo o al bene che
non facciamo nella nostra vita: un male grande è proprio il nostro vivere male!
CONTINUA DA PAG. 1
“Prendere posizione di fronte all’evan-
gelo” di Paolo Flagiello
Mentre scrivo si fa notte. Qualche minuto
fa, nella cappella a due passi dalla mia
stanza, che don Mimmo ha addobbato
con moquette rossa e cuscini, di fronte al
tabernacolo aperto, sfilavo dalla mia
camicia blu-scuro quel piccolo colletto di
plastica bianca, segno visibile della mia
Ammissione, lo guardavo, toccavo e
pensavo alle volte che lo vedevo al collo
di Fabrizio, di padre Luigi, dei preti che
incontravo, pensavo alle emozioni e al
solenne rispetto che provavo, immagi-
nando che quel piccolo segno diceva in
un povero uomo la possibilità di essere
di Dio, di consegnare a Lui tutto, di veder
fiorire grazie a Lui immensi spazi di gioia
e libertà, di amore puro. Forse è solo
plastica, forse già è sporco di peccato,
ma dice ancora e dirà, oltre me, oltre le
mie infedeltà, lo spazio che in ciascun
uomo, prima che di ciascun prete, può
essere incarnazione di Vita e Comunio-
ne divine. Quest’Avvento porti per noi
verità e coraggio, ma soprattutto sia il
prendere “posizione” e “carne” delle no-
stre parole, dei nostri progetti, delle no-
stre promesse, nel momento in cui il
Signore Gesù in tutto questo verrà a
piantare la sua tenda: “Il verbo di Dio
divenne carne e pose la sua tenda in
mezzo a noi” (Gv 1,14). Il Signore viene,
davvero!
Il Sicomoro - Dic 2010 Pag. 5
Cari Seminaristi…voi, cari amici, vi siete decisi ad entrare in seminario, e vi siete, quindi, messi in cammino verso
il ministero sacerdotale nella Chiesa Cattolica… Avete fatto bene a farlo. Perché gli uomini avranno sempre
bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che si è mostrato
in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale, per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per
tenere presenti e rendere efficaci i criteri della vera umanità. Dove l’uomo non percepisce più Dio, la vita diventa
vuota; tutto è insufficiente. (Lettera ai Seminaristi di Papa Benedetto XVI)
C i sono diversi tipi di maternità. Io ho avuto la “Grazia” di provare quella
nella carne, con Samuele, e quella nello spirito, con i miei figli/fratelli della 35^ Esperienza. Da 2 anni sono “madre” di un gruppo di fratelli dai 20 ai 50 anni. Sia chiaro, non sono una madre single: con-divido questa maternità con Marco, Mar-gherita, Giovanna e, ovviamente, con Vittorio: un affido condiviso, insomma!
Ma che è vera maternità. Non è facile essere Catechista in
un Gruppo come il mio: i miei “figli” sono grandi, a volte più di me e vengono da storie diverse, da modi di pensare diver-si. Molti hanno lottato con barricate co-struite negli anni, con un muro di raziona-lità enorme, ma non invalicabile. Ma io ho avuto davvero la Grazia di assistere allo schiudersi dei cuori, sono stata testi-mone di cambiamenti radicali, tutti opera-ti dalla Parola. Vedo, oggi, tanti cuori
nei quali iniziano a spuntare le ali, per volare alto sulla via Cristo. Vedo…e rin-grazio il Signore per ciascuno di loro. Ogni madre dà tanto ai propri figli, ma riceve altrettanto: oggi molti di questi figli sono davvero per me fratelli, ed anche amici, con i quali condivido la mia vita. Una delle gioie più belle di una madre è vedere come i propri figli crescono e scelgono la “via giusta”: vedere che alla Redditio anche loro sceglievano la “via di Cristo”, rinnovando il loro “SI” al nostro cammino insieme è stata una gioia gran-de. Mi ha ripagato di tanti dubbi sul mio
essere in grado di porta-re avanti questi figli, delle tante incertezze e sofferenze. Mi ha fatto sentire davvero madre. Oggi i miei figli/fratelli stanno mettendo le ali: tra un pò andranno via da casa, ma spero non dalla mia vita; spero di poter camminare ancora e sempre con tutti loro. Spero che un giorno, quando l’Altissimo mi
chiederà: «Dov‟è tuo
fratello?», potrò rispon-
derGli «È qui accanto a
me, Signore».
di Antonella Pennarola DAL CUORE DI UNA MAMMA
I miei figli, i miei fratelli sono qui con me!
Il Sicomoro - Dic 2010 Pag. 6
di Marco Ironico
PREPARIAMOCI AD ACCOGLIERE IL SIGNORE GESÙ
Eccoci giunti al tempo forte dell'Avvento: viene il Signore Gesù!
Chi di noi dovendo ricevere in casa un amico o un ospite non la riordinerebbe, preparando fin nei minimi dettagli ogni cosa, pran-zo compreso? Tutti ci daremmo da fare per rendere gradita la
visita dell'amico. Ecco, viene Gesù. Che facciamo?
"A te Signore, elevo l'anima mia, Dio mio in te confido; che io non sia confuso" (Salmo 24,1). Fissiamo lo sguardo su Gesù, lo accogliamo nella nostra vita, nella nostra interio-rità. Importante è creare silen-zio in noi, silenzio di intimità,
silenzio di ascolto della Parola, silenzio per il Signore.
"Tu vai incontro a quanti praticano la giustizia e si ricordano delle tue vie" (Isaia 63, 16). Pratichiamo, dunque, la giustizia, in noi e attorno a noi. Camminiamo sulle vie del Signore, con rettitu-dine, con amore. Il cambiamento inizia in noi, dentro di noi. Da
noi, non dagli altri!
Rientrare in noi, custodire la Parola, fare silenzio, convertirsi...con
animo lieto, vigilanti, con buona volontà, cambiamo il cuore, le
abitudini i pensieri e le convinzioni che ci allontanano da Dio.
Concedici, Signore la perseveranza, la fedeltà, la costanza. Da Te ogni dono di grazia, di sapienza, di scienza per vigilare, per amare, per ascoltare, per servire. Tu vieni, vieni sempre, e ci prendi per mano, ci conduci, ci porti a Te. Tu ci metti a custodire la casa in attesa del tuo ritorno: che non ci si addormenti in que-sta attesa perché Tu torni, tu vieni, vieni sempre. Donaci uno sguardo di fede, uno sguardo lungimirante per vedere lontano,
per leggere la storia, questa storia che viviamo, con Te presente.
Ogni anno, per quattro settimane,
la Chiesa ci fa rivivere questo tem-
po, quello dell’Avvento, perché ri-
scopriamo in noi, sempre senza
mai dimenticarcene, l’attesa del
“Messia” nella nostra vita, di colui
che si è rivestito della fragilità della
nostra carne affinché noi non aves-
simo paura di essere quello che
siamo; così come fu per i nostri pa-
dri che vissero prima della sua ve-
nuta, accompagnati dal lento ma
progressivo crescere del desiderio
di Dio nei loro cuori. Ma perché è
così importante questa attesa an-
che per noi che l’abbiamo già in-
contrato?
Se per un attimo immaginassimo di
vivere la nostra vita senza nessuna
attesa, interiormente convinti che
nulla, né di positivo né di negativo
possa più sconvolgere la nostra
esistenza, e come se “ormai i giochi
fossero fatti” (e chi ha provato que-
sta sensazione, almeno una volta,
sa benissimo l’angoscia che si spe-
rimenta)….allora capiremmo subito
che attendere vuol dire sperimenta-
re il gusto di vivere, credere che
prima o poi arriverà qualcuno che
sarà in grado di risollevarti, come
un figlio che attende per un giorna-
ta intera il ritorno del padre o della
madre dal lavoro. Nella nostra vita
quindi, non c’è atte-
sa quando non c’è
più Speranza, quan-
do anche senza
esserne consapevo-
li, dentro di noi ci
siamo arresi a quella situazione, a
quel dolore; c’è chi dice che la san-
tità di una persona si misura dallo
spessore delle sue attese, e se
davvero è così, dobbiamo quindi
concludere che Maria è la più San-
ta di tutte le creature, con le sue
mille attese: per Giuseppe suo pro-
messo sposo, per la venuta dello
Spirito, per la nascita di suo figlio,
per il giorno in cui Egli sarebbe
uscito di casa senza più farvi ritorno
e poi ancora per l’attesa dell’ultimo
respiro di Cristo Crocifisso, del ter-
zo giorno. Perciò, se crediamo in
Lui, se vogliamo porre le basi per
una fede più salda dobbiamo asso-
lutamente riscoprire in noi il deside-
rio di Lui, e ripartire
sempre da lì, perché
lo spirito con cui vi-
viamo questo perio-
do non sia mai quel-
lo frenetico della so-
cietà in cui viviamo, o peggio anco-
ra quello di chi già sa cosa lo atten-
de, ma al contrario, siamo chiamati
a sperimentare sempre nuove atte-
se, quelle di chi non vivrà mai lo
stesso Natale due volte.
L’ATTESA DEL VERBO CHE SI È FATTO CARNE
Non c‟è attesa quando non c‟è più speranza
Il Signore Gesù è venuto in passato,
viene nel presente, e verrà nel futuro.... È
"carne" come noi ed è "roccia" come Dio.
Benedetto XVI
AUGURI SCOMODI
di Don Tonino Bello
Carissimi, non obbedirei al mio dovere di Vescovo se vi dicessi “Buon Na-tale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirit-tura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazio-ne, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guan-ciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitali-tà a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri gior-ni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate. Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a so-spendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscien-za ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa. Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delu-sioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corto-circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti geni-tori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
CONTINUA A PAG. 7
Il Sicomoro - Dic 2010 Pag. 7
"Il tempo liturgico dell’Avvento celebra la venuta di Dio,
nei suoi due momenti: dapprima ci invita a risvegliare
l’attesa del ritorno glorioso di Cristo; quindi, avvicinando-
si il Natale, ci chiama ad accogliere il Verbo fatto uomo
per la nostra salvezza. Ma il Signore viene continuamen-
te nella nostra vita. […] "Vegliate!" (Mc 13, 33.35.37)
…..è l’invito rivolto ai discepoli, ma anche ad ognuno di
noi, perché ciascuno - nell’ora che solo Dio conosce -
sarà chiamato a rendere conto della propria esistenza.
Questo comporta un giusto distacco dai beni terreni, un
sincero pentimento dei propri errori, una carità operosa
verso il prossimo e soprattutto un umile e fiducioso affi-
damento alle mani di Dio, nostro Padre tenero e miseri-
cordioso.
Icona dell’Avvento è la Vergine Maria,
la Madre di Gesù. InvochiamoLa per-
ché aiuti anche noi a diventare un pro-
lungamento di umanità per il Signore
che viene". (Papa Benedetto XVI).
ATTESA E AMORE INCARNATO
Vivere l‟attesa nella riscoperta della famiglia, dei fratelli e della Chiesa
È domenica, la prima di Avven-
to. È sera ed un altro giorno,
un’altra settimana finiscono; un
momento per fare un breve bilancio,
per tirare le somme della giornata
prima di andare a riposare. Mi si
scalda il cuore perché so che questa
è stata per me una domenica spe-
ciale in cui il mio ordinario è divenuto
straordinario.
Un giorno speciale dicevo, prima di
tutto perché trascorso quasi per inte-
ro con la mia amata famiglia d’origi-
ne che oggi non è più piccola picco-
la, ma anzi allargata
grazie alla presenza
dei familiari di Loreda-
na, prima su tutti sua
madre Maria, e a Ma-
rina la fidanzata di mio fratello.
Non solo questo, chiaramente, ha
reso speciale questo mio giorno ma
il Signore che ha voluto inondarmi di
“segni” continui di un tempo di Gra-
zia. Dio parla a ciascuno in modo
diverso e oggi lo ha fatto con me
durante la celebrazione eucaristica
che io ho percepito come particolar-
mente bella, forte di una bellezza
che non è solo quella umana, del rito
e del canto, ma che diviene attraver-
so di essi trascendente.
Così oggi il Signore ancora una volta
mi ha emozionato sorprendendomi.
Una breve, piccola frase risuonava e
si amplificava martellante nel mio
cuore: il Signore viene, il Signore
viene, il Signore viene. Un tempo
quindi in cui Dio si preannuncia, si
lascia intravedere per dirmi e per
dirci che questo è solo l’inizio, che
qualcosa di grande è alla porta.
Ma non solo. È un tempo questo in
cui, a dispetto delle difficoltà e delle
incertezze pratiche della vita quoti-
diana, riesco a per-
cepire l’Amore di
Dio per me in ma-
niera tenera e com-
movente. Un Amore
che mi protegge e mi dona calore e
luce, ma che è lungi dall’essere
astratto ed immateriale quanto piut-
tosto concreto fino ad essere materi-
co. Un Amore cioè che non è un
“concetto” o “un’emozione” e che
invece si incarna nelle persone che
mi sono accanto, volti, sguardi, sto-
rie e mani che quell’Amore lo rendo-
no vero, e - vorrei dire - persino ope-
rativo, e non un semplice spettatore
silenzioso. Su tutti, per prima, mia
moglie Loredana, volto della Chiesa
e con lei le nostre famiglie: queste
due madri sempre in prima linea nel
donare e nel donarsi. Poi la Chiesa
stessa a partire dai nostri Monaci; e
poi un elenco che si dipana dal mio
cuore e che preferisco celare perché
intimo e, mi sia consentito, anche
tanto lungo a ben pensarci.
Quindi la mia giornata finisce col
rendere grazie, ancora una volta, a
questo Dio che è Amore e che per
amore mio e nostro ha preso la mia
e la nostra carne attraverso il “sì” e
la materia di Maria di Nazareth, e
che dal dolore
della Croce ha
dato senso alla
Storia e ad ogni
storia. Un amore
che si incarna ancora se gli diamo
spazio nel nostro cuore e che co-
stantemente e senza mai stancarci
ci chiama anche solo per dirci che ci
ama. Allora buon Avvento, fratelli, e
buon Natale, tempo di incarnazione
dell’Amore nella mia e nelle nostre
vite.
L’attesa del Signore è qualcosa di
molto concreto:
questa attesa è fatta di ritmi diversi
dai nostri ritmi abituali.
di Claudio Campagnuolo
CONTINUA DA PAGINA 6 - “Auguri scomodi“ di don T. Bello
Gli Angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonno-
lenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna,
con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si
sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si con-
dannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la
città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete
vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.
Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella
figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacri-
legio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte “facendo la guardia al gregge”, e scrutano
l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio
dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri, che
è poi l’unico modo per morire ricchi.
Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.
Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva
a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse in avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul
luogo. Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. (Lc 19, 1-6)
Il sicomoro è l’albero su cui sale Zaccheo; è ciò che gli permette di vedere oltre il proprio punto di vista e i propri limiti e di lasciarsi “guardare” e scegliere
da Gesù.
e-mail: [email protected]
Il Sicomoro - Dic 2010 Pag. 8
Un passo molto noto, letto chissà quante volte, quello del profeta Isaia, cap. 40, 1-11. In Avvento usiamo intonare un canto che riporta le parole di questo passo della Scrittura, eppure non mi ero mai soffermata sul suo significato. In occasione della Gior-nata di Spiritualità che si è tenuta in Par-rocchia il 28 novembre (per la I domenica di Avvento) con l’aiuto di P. Angelo, questo passo mi è entrato nel cuore, riscaldandolo di quel calore che solo la Parola di Dio sa e può donare. «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalem-me e gridatele che è finita la sua schiavi-tù…» (Is 40, 1-2) Un Dio che consola il nostro, un Dio che per consolare il suo popolo che è nella desolazione, nella tri-stezza, nella tribolazione, si fa uomo, si fa carne. È questo il mistero che celebriamo a Natale, quello del Verbo eterno di Dio che si fa carne, che assume la nostra umanità, fatta di tante bellezze ma anche di tanto marciume. Ed è proprio lì, in quel marciu-me, che la Parola di Dio si è incarnata per portare all’uomo la salvezza. “Dio si è fatto uomo perché l‟uomo diventasse Dio” scrive Sant’Agostino. Ma come la attua questa consolazione il nostro Dio? Parlando al cuore del suo po-polo, a quel nostro cuore che quasi sempre è sordo e duro come una pietra, a quel nostro cuore che sempre si ribella a Dio, allontanandosi da Lui e dai fratelli.
Una voce grida: «Nel deserto
preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati…» (Is 40, 3-4) Il nostro Dio viene a cercarci proprio nei deserti della nostra vita, nei momenti bui, difficili, tristi, nei quali ci lasciamo sedurre dalle tentazioni, abban-donandoci al male. Lì il Signore ci viene a cercare offrendoci la sua consolazione e, se noi lo accogliamo, se siamo attenti al suo passaggio e docili alla sua Parola, Lui entra nei nostri inferni con la sua luce, e ci salva. Ma affinché Dio trasformi la nostra vita, perché le nostre tenebre possano essere inondate da quella luce, è necessa-ria la nostra collaborazione; noi dobbiamo consentirgli di salvarci, non avendo paura di guardare in faccia le nostre miserie e avendo il coraggio di far entrare Dio in esse, desiderando di rialzarci dalle nostre mediocrità e di abbassare i monti del no-stro orgoglio. Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. … Secca l'erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura sempre. (Is 40, 6-8) All’ori-gine della consolazione di cui parla il profe-ta Isaia c’è una voce, la voce di Dio che richiama, la Parola di Dio che ogni uomo è chiamato ad ascoltare. L’uomo è fragile, è
debole, proprio come l’erba, ma la Parola di Dio che è per sempre viene e rinnova tutte le cose. Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio!...» (Is 40, 9) Chi ha fatto l’esperienza della conso-lazione di Dio, chi lo ha sentito parlare al cuore, non deve temere di uscire dal torpo-re e dall’appiattimento, deve salire sul mon-te e gridare con forza la venuta del Signo-re, annunciare, con la sua vita (e non solo con le parole…) che la forza di quell’incon-tro ha trasformato proprio quel cuore duro e sordo. Chi sa che la sua vita è stata sal-vata dal passaggio di Dio non può non annunciare agli altri che proprio quella nostra vita piena di miserie e contraddizioni è amata da Dio e può essere da Lui trasfor-mata in una vita “altra”, perché Lui è un Dio pieno di amore per noi. «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri». (Is 40, 11) E’ bellissima questa immagine finale nella quale Isaia presenta Dio come il buon pastore che si prende cura del suo gregge e ci dice tutta la tenerezza di Dio per noi, ricordandoci che abbiamo bisogno delle sue cure amo-revoli e che non possiamo vivere lontani da quell’Amore e dalla sua infinita misericor-dia.
IL DIO CHE CONSOLA Una riflessione sul Cap. 40 di Isaia
di Imma Cristarella Orestano