DevelopMed n. 27

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Web Magazine sulle relazioni economiche euromediterranee

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Newsletter n. 27 – giugno 2012

Scambi Italia-Med

• Turchia - Vent'anni di buone intenzioni ITA-ENG dal nostro corrispondente Giuseppe Mancini Il 26 giugno, a Istanbul, la cooperazione istituzionale nella regione del mar Nero – dal 1999 nella forma dell'Organizzazione della cooperazione economica del mar Nero – ha festeggiato il suo secondo decennio di vita in un vertice tra i capi di stato e di governo dei 12 paesi che ne fanno parte, più alcuni osservatori, tra cui l'Unione europea, che sostiene lo sviluppo nell'area attraverso la “Sinergia del mar Nero”.

• Tunisia - III Congresso sul Dialogo Sud-Nord del Mediterraneo ITA-FR dal nostro corrispondente Abdellatif Taboubi “La società civile, poteri pubblici: quale partenariato?”, questo è stato il tema del terzo congresso sul dialogo Sud-Nord mediterraneo, che Tunisi ha ospitato dal 7 al 9 giugno. Più di 300 personalità rappresentanti di 24 paesi delle due rive del Mediterraneo hanno preso parte a questo incontro, organizzato dal Comitato Tunisia sul dialogo Sud-Nord del Mediterraneo e il Movimento internazionale europeo.

Med Flash

• Piano strategico per l’internazionalizzazione del Piemonte: parte la prima azione • UNDP - Le sfide del mondo arabo • Ocse - immigrazione riprende ma evita Italia • Comunità dell’Energia Med 2020 • L'Egitto firma un accordo con la Banca Islamica di Sviluppo • L'Upm rilancia il Piano solare

Crisi ed economia mediterranea

• La fotografia dell’Italia che esporta di Marcella Rodino Negli ultimi due anni il sistema imprenditoriale italiano sembra aver mosso alcuni passi importanti in termini di competitività internazionale, nonostante l’avvento di nuovi competitor provenienti dai Paesi emergenti. Da un'indagine del Centro studi Unioncamere risultano diverse le modalità di accesso ai mercati esteri a cui corrispondono differenti performance, strategie e fabbisogni.

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• Quando internazionalizzare è un’attitudine di Marcella Rodino DevelopMed intervista Nanni Bianchi, geologo della Sea Consulting, micro impresa torinese che ha fatto dell’internazionalizzazione la sua vocazione. Oggi è una piccola impresa con il 65% del fatturato ottenuto dal lavoro all’estero.

Sviluppi partenariato mediterraneo

• ITW Niccolò Rinaldi - Per "liberare" l'economia di Claudio Tocchi DevelopMed intervista Niccolò Rinaldi, membro della Commissione per il Commercio Internazionale, relatore della Risoluzione del Parlamento europeo del 10 maggio 2012 "Commercio per il cambiamento: la strategia commerciale e di investimento dell'UE per il Mediterraneo meridionale dopo le rivoluzioni della primavera araba". Quali le strategie UE sui rapporti commerciali con l'altra sponda del Mediterraneo?

• Euromed: azione dell'UPM insufficiente L'Unione per il Mediterraneo non ha ancora risposto alle aspettative di un ruolo attivo per contribuire alla stabilità e al progresso nella regione e la sua azione nel 2011, l'anno della Primavera Araba, è considerata insufficiente. E' quanto emerge dall’inchiesta Euromed, commissionata dalla Commissione Europea all'Istituto Europeo per il Mediterraneo (IEMed), che riflette l'opinione di 700 esperti ed attori politici delle due sponde del Mediterraneo sulla Primavera araba, i successi e le carenze della politica della Ue nella regione e le sfide e i possibili scenari futuri.

• L'UE rafforza il sostegno ai processi di riforma PEV A maggio 2011, quando nel vicinato meridionale erano in atto mutamenti epocali, l'Unione europea ha concluso una revisione approfondita della sua politica europea di vicinato (PEV). Secondo il principio "more for more", i paesi del vicinato meridionale e orientale dell'UE che danno prova di un deciso impegno a livello di riforme riceveranno dall'Unione un sostegno più ampio e consistente.

Approfondimenti

• Osservatorio Mediterraneo Il nuovo numero dell’Osservatorio Mediterraneo di Paralleli offre una panoramica sulle reazioni dopo le elezioni presidenziali in Egitto, raccogliendo testimonianze e opinioni della società civile. Il numero si occupa poi degli esiti delle elezioni in Algeria, analizzandone i risultati da un punto di vista sociologico e fornendo un quadro sintetico dei partiti e delle figure chiave dello scenario politico. Completano il quadro un’intervista esclusiva a Moustafa Barghouti e un’analisi dei riflessi della crisi siriana sul Libano.

• Turchia: crescita e integrazione economica Pubblichiamo un interessante paper di Franco Zallio, presentato in occasione della Conferenza organizzata da Cipmo a Milano il 12 giugno 2012, dal titolo “Turchia: l'integrazione economica in Europa e in Medio Oriente”.

Palestra mediterranea

• La transizione in Egitto: verso una nuova governance per uno sviluppo sostenibile di Wafik Grais Se la rivoluzione di gennaio 2011 è stata uno spartiacque nella storia recente egiziana

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che ha creato aspettative e speranze, più di anno dopo il sentiero verso la creazione di uno stato democratico resta incerto e pieno di rischi. Paralleli e German Marshall Fund pubblicano un nuovo policy brief a firma Wafik Grais, consulente economico e finanziario per diverse istituzioni internazionali ed ex collaboratore della Banca Mondiale.

Segnalazioni

• 05-07-2012 Quello che i mercati emergenti ci chiedono • 07-07-2012 Expo Médicale • 09-07-2012 Mostra "Il Palazzo della Farnesina e le sue Collezioni" • 10-07-2012 Invest in Lombardy • 12-07-2012 East Forum 2012. La sfida della crescita economica

Paralleli - Istituto Euromediterraneo del Nord-Ovest - www.paralleli.org

Responsabile: Marcella Rodino

Redazione e Traduzione: Claudio Tocchi

Hanno collaborato: Wafik Grais, Giuseppe Mancini, Abdellatif Taboubi

tel. 011 5229810 - [email protected]

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Turchia - Vent'anni di buone intenzioni ITA-ENG dal nostro corrispondente Giuseppe Mancini Il 26 giugno, a Istanbul, la cooperazione istituzionale nella regione del mar Nero – dal 1999 nella forma dell'Organizzazione della cooperazione economica del mar Nero – ha festeggiato il suo secondo decennio di vita in un vertice tra i capi di stato e di governo dei 12 paesi che ne fanno parte, più alcuni osservatori, tra cui l'Unione europea, che sostiene lo sviluppo nell'area attraverso la “Sinergia del mar Nero”. Il 26 giugno, a Istanbul, la cooperazione istituzionale nella regione del mar Nero ha festeggiato il suo secondo decennio di vita in un vertice tra i capi di stato e di governo dei 12 paesi che ne fanno parte,, con la defezione scontata del presidente dell'Armenia e quella politicamente più sorprendente – uno sgarbo per i contrasti tra Turchia e Russia sulla Siria? - di Vladimir Putin. Vent'anni fa, all'indomani della dissoluzione dell'Unione sovietica e della nascita di nuovi stati e di spinosi problemi politici (tra tutti, la guerra tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh oggi solo congelata), l'iniziativa fu dell'allora presidente turco Turgut Özal, sensibile al risveglio geopolitico del suo paese: creare forme avanzate di solidarietà regionale attraverso progetti economici sostenibili e condivisi, una base comune per affrontare congiuntamente i fattori d'instabilità dal separatismo al terrorismo, dalla povertà all'inquinamento. “Pace e stabilità attraverso la cooperazione economica”: questa la formula utilizzata nella dichiarazione di Istanbul del 25 giugno 1992. Nonostante la dichiarazione finale del vertice di vent'anni dopo affermi il contrario, i risultati conseguiti finora sono modesti: nessun progetto infrastrutturale portato a termine, neanche quelli a cui nel 2007 è stata formalmente data la massima priorità come l'autostrada circolare di 7700 chilometri attorno al mar Nero o la rete di collegamenti merci e passeggeri attraverso il mar Nero; nessuna ricaduta benefica sul piano politico: e anzi, fonti diplomatiche – e domande impertinenti in conferenza stampa – hanno rivelato anche durante la riunione sul Bosforo schermaglie mediate a fatica tra Azerbaigian e Armenia, i cui rapporti burrascosi hanno pessime ricadute su quelli tra Yerevan e Ankara, non ancora normalizzati (la frontiera rimane chiusa). In compenso, la Turchia – presidente semestrale di turno dal 1° luglio – ha puntato tutto sull'approvazione di un secondo documento: un'agenda economica – Vision 2020 – che tratteggia però in modo eccessivamente dettagliato e poco credibile i passi in avanti da fare in termini di funzionalità e visibilità dell'organizzazione, di commercio e investimenti su base regionale, di ambiziosi progetti nel campo dell'energia, della comunicazione, della scienza e della tecnologia, del turismo e della formazione. L'obiettivo, come ha affermato il presidente Abdullah Gül, è di “sfruttare al meglio le ricche risorse umane e naturali della regione, sulla base dello sviluppo sostenibile e di una cooperazione più funzionale”; solo buone intenzioni: perché i fondi messi a disposizione dai singoli membri su base volontaria continuano a latitare. Trans-Anatolian Pipeline Un risultato storico è stato in effetti raggiunto, ma in separata sede e quasi a oscurare i lavori del summit: nell'ufficio del primo ministro nel poco lontano palazzo ottomano di Dolmabahçe, infatti, il presidente azero Ilham Aliyev e Recep Tayyip Erdoğan hanno firmato il trattato che dà vita alla Trans-Anatolian Pipeline (Tanap) per il trasporto del gas naturale del Caspio – del gigantesco giacimento Shah Deniz – in Europa, oltre all'accordo commerciale che ne regola la futura gestione. Già in occasione del Consiglio di cooperazione strategica turco-azero di Izmir, il 25 e 26 ottobre dello scorso anno, era stato siglato un primo documento preliminare: ma quello definitivo – apparentemente per contrasti sul management del progetto – ha tardato ad arrivare; i problemi sono però stati superati, il presidente della compagnia petrolifera azera Socar, Rövnag Abdullayev, ha rivelato alla stampa tutti i dettagli: il gasdotto verrà costruito e poi gestito da un consorzio tra la Socar (80%) e le turche Botaş e Tpao (10% ognuna); il tracciato attraverserà – dopo aver lasciato il territorio azero – prima la Georgia e poi la Turchia da est a ovest, fino al confine con la Grecia e la Bulgaria; l'investimento complessivo sarà di 7 miliardi di dollari e la prima fase del progetto verrà completata nel 2018; la capacità passerà –

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attraverso 4 fasi – da 10 miliardi di metri cubi all'anno nel 2020 a 31 nel 2026 (in parte venduto in Turchia, in parte in Europa): ma potrà essere portata in futuro fino a 50- 60 miliardi di metri cubi, così da poter trasportare gas proveniente da ulteriori giacimenti azeri o dal Turkmenistan. L'atto ufficiale di nascita della Tanap equivale a un certificato di morte per il Nabucco: il gasdotto di 4000 chilometri – sponsorizzato dall'Unione europea e inserito nella lista dei Trans-European Networks – che il gas dello Shah Deniz avrebbe dovuto portarlo fino in Austria dopo esser passato anche per Bulgaria, Romania e Ungheria, di fatto accantonato per le difficoltà logistiche e i costi proibitivi: come ha spiegato con compiacimento il premier Erdoğan dopo la cerimonia , “il Tanap è un progetto che appartiene solo ai nostri due stati”. Ma il gasdotto trans-anatolico, nei fatti, rende però possibile un Nabucco in forma ridotta, il Nabucco ovest: un progetto meno ambizioso, 1300 chilometri dal confine bulgaro all'hub di Baumgarten nei pressi di Vienna, accettato due giorni dopo l'ufficializzazione della Tanap dal consorzio per lo sviluppo dello Shah Deniz come possibile via di trasporto (è stata invece eliminata dalla competizione la South-East Europe Pipeline – Seep – proposta dalla British Petroleum). La decisione definitiva su come collegare la Tanap all'Europa verrà presa solo nel 2013: scegliendo tra il Nabucco ovest verso l'Europa orientale che sembra il super-favorito e il gasdotto trans-adriatico (Trans-Adriatic Pipeline, Tap), 500 chilometri da Komotini nella Tracia greca a Brindisi – attraverso l'Albania e il mar Adriatico – con una portata di 20 milioni di metri cubi all'anno. Le stesse autorità europee, con in testa il commissario per l'energia Günther Oettinger, hanno pubblicamente apprezzato questa doppia opzione Tanap-Nabucco ovest – pur senza esprimere preferenze tra Nabucco ovest e Tap – come primo e concreto elemento del “corridoio meridionale” per il trasporto di fonti energetiche, merci e persone; e non è un caso se, il 14 giugno a Stoccarda (città natale e feudo politico di Oettinger), l'Ue e la Turchia hanno lanciato la “cooperazione rafforzata” in campo energetico che ha come primo e principale punto proprio le pipelines trans-europee. La grande sconfitta è invece la Russia, che vede in prospettiva attenuarsi il suo monopolio energetico sull'Europa (il premier turco ha espressamente parlato di “indipendenza energetica dell'Europa”): è forse questa la reale ragione – al di là della questione siriana – dell'assenza di Putin al vertice dell'Organizzazione della cooperazione economica del mar Nero a Istanbul, proprio nel giorno in cui Turchia e Azerbaigian hanno dato vita alla Tanap? Twenty years of good intentions On June, 26, in Istanbul, the institutional cooperation in the Black Sea region (started with the signature of the Istanbul Declaration in 1992 and institutionalized in 1999 in the Organization

of the Black Sea Economic Cooperation) celebrated its 2nd decade of existance in a summit among Chefs of State and Government from the 12 member-countries and a bunch of observers (among them the European Union, which sustains the development in the area through the “Black Sea Synergy”). Armenia President was predictably absent; more surprising was Vladimir Putin's defection, probably due to the contrasts between Turkey and Russia over Syria. 20 years ago, in the aftermath of the USSR dissolution and the rise of new states as well as ticklish political problems (on top, the war between Armenia and Azerbaijan over Nagorno Karabakh, today freezed but not resolved), Turkish President Turgut Özal, sensitive to his country's geopolitical awakening, took the initiative to create new forms of regional solidarity through sustainable and shared economic projects. A common ground to deal together with instability factors such as separatism and terrorism, poverty and pollution. “Peace and stability through economic cooperation”: this was the word of the Istanbul declaration on June, 25 1992. Despite what the summit final declaration states, results have been mediocre: none of the infrastructural projects has been completed, not even the high-priority ones (like the 7.700 km-long circle highway around the Black Sea, or the goods and people network through the Black Sea). Also on the political level there have been small results: on the contrary, diplomatic sources (as well as bold questions during press conferences) revealed the hardly-mediated skirmishes between Armenia and Azerbaijan, whose stormy relations have terrible fallouts on the relations between Armenia and Turkey (which have not been normalized yet

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and whose border is closed). On the other side, Turkey (which will take over the six-month presidency on July, 1) staked all on the approval of a second document: an economic agenda (Vision 2020) outlining in a very much detailed and very less credible way the steps forward to increase the organization's functionality and visibility and the trade and investment volume in the region and to start ambitious projects in the energy, communication, scientific, technology, tourism and education fields. The goal, as stated by the Turkish President Abdullah Gül, is to “exploit at best the human and natural resources of the region through sustainable development and functional cooperation”. So far, however, it is just about good intentions: funds provided (voluntarily) by single members are still missed. An historic goal was nonetheless achieved, but in a different place and almost eclipsing the summit works. In the Turkish PM's office, Azerbaijani President Ilham Aliyev and Recep Tayyip Erdoğan signed the creation treaty of the Trans-Anatolian Pipeline (Tanap) for the transport to Europe of natural gas coming from the Caspian Sea and the giant gasfield Shah Deniz, and regulating its future commercial managing. A preliminary document had already been signed during the Council of Strategic Cooperation between Turkey and Azerbajan, last year in October; the draft of the definitiv version was delayed, apparently because of contrasts on the project management. The problems now have been solved and the President of the Azerbaijani oil company Socar, Rövnag Abdullayev, revealed all details to the press: the gas pipeline will be constructed and managed though a joint venture between Socar (80%) and the Turkish companies Botaş and Tpao (10% each). The pipeline's route will start from Azerbaijan and cross Georgia and Turkey westwards to the Greek and Bulgarian border. The total investment will be $7 billion; the first phase will be completed in 2018. The transport capacity will be increased from 10 billions cubic metre at year in 2020 to 31 in 2026 (partially sold in Turkey, partially in Europe), with the possibility to further increase it to 50-60, in order to transport other gas from new fields in Azerbaijan or Turkmenistan. The official birth-act of Tanap is equal to a death certificate for “Nabucco”, the 4.000 km-long gas pipeline sponsored by the EU and belonging to the Trans-European Networks list, which should have brought the Shah Deniz gas to Austria across Bulgaria, Romania and Hungary and which was left apart due to logistic problems and high costs. As PM Erdoğan complacently stated after the ceremony, “Tanap is a project belonging only to our two states”. The Trans-Anatolian pipeline, however, allows the construction of a smaller-sized Nabucco: West-Nabucco would be a less ambitious project (1.300 km) connecting the Bulgarian border to the Baumgarten hub close to Vienna. West-Nabucco was officially recognized, 2 days after the official signature of the Tanap treaty, by the joint group for the development of the Shah Deniz as a possible transport line (the other project, British Petroleum's South-East Europe Pipeline Seep, was canceled). The definitive decision on the way to connect Tanap to Europe will be taken only in 2013, choosing between (the most favored) West-Nabucco to Eastern Europe and the 500 km-long Trans-Adriatic pipeline (Tap) connecting Greece (from Komotini) and Italy (Brindisi) across Albania and the Adriatic Sea, with a 20 million cubic metre-capacity per year. The European authorities, headed by Commissioner for Energy Günther Oettinger, publicly appreciated the double option Tanap-West Nabucco (without expressing preferences between Nabucco and Tap) as a first and concrete element of the “Southern route” for the transport of energetic resources, goods and people. It was not by accident that, on June, 14 in Stuttgart (Oettinger's hometown and political stronghold), EU and Turkey launched a “strengthened cooperation” in energetic field, mainly focusing on the trans-European pipelines. The game's main loser is Russia, whose energetic monopoly on Europe is weakened. Turkish PM clearly talked about an “European strategic independence”. Might that be the real reason (a part from Syria) for Putin's absence from the summit?

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III Congresso sul Dialogo Sud-Nord del Mediterraneo ITA-FR dal nostro corrispondente Abdellatif Taboubi “La società civile, poteri pubblici: quale partenariato?”, questo è stato il tema del terzo congresso sul dialogo Sud-Nord mediterraneo, che Tunisi ha ospitato dal 7 al 9 giugno. Più di 300 personalità rappresentanti di 24 paesi delle due rive del Mediterraneo hanno preso parte a questo incontro, organizzato dal Comitato Tunisia sul dialogo Sud-Nord del Mediterraneo e il Movimento internazionale europeo. Gli avvenimenti registrati soprattutto in Tunisia e in Egitto e il nuovo orientamento politico di alcuni paesi europei nel corso del 2011 hanno rivelato l’importanza dello sviluppo di una società civile autonoma. Il Dialogo Sud-Nord mediterraneo riunisce attori della società civile e autorità pubbliche dei paesi del Mediterraneo, dall’Egitto al Marocco, con l’obiettivo di favorire il miglioramento del dialogo tra società civile e le autorità pubbliche, quindi approfondire la loro collaborazione nella regione euromediterranea. Il processo del dialogo Organizzando questo congresso, il comitato Tunisia sul dialogo Sud-Nord mediterraneo e il Movimento internazionale europeo intendono riaccendere questo processo di dialogo tra le società del Sud e del Nord del Mediterraneo in questo contesto storico eccezionale di rivolte arabe. Mustapha Ben Jaafar, presidente dell’Assemblea nazionale costituente, ha dato il via ai lavori di questa terza edizione del congresso, perorando la causa della promozione del ruolo della società civile nella vita politica, tenendo conto del suo contributo alla costruzione di uno spazio euromediterraneo. Gli incontri di approfondimento che hanno arricchito il congresso di Tunisi sono stati animati da esperti internazionali di una e l’altra parte del Mediterraneo. I dibattiti e le riflessioni hanno permesso l’elaborazione di un piano d’azione per apportare risposte concrete alla problematica delle relazioni tra la società civile e i poteri pubblici e per formulare una dichiarazione che sarà chiamata Dichiarazione di Tunisi. Se le organizzazioni della società civile da un lato sono considerate “come attori chiave nella promozione della democrazia partecipativa, continuano però ad affrontare numerosi ostacoli che bloccano il loro sviluppo. Per citare i più eclatanti: la mancanza di libertà, l’assenza di cooperazione con le autorità pubbliche, la mancanza di risorse…”. I seminari hanno sollevato problematiche inerenti allo sviluppo della società civile, come per esempio la promozione del suo ruolo e il miglioramento delle reti mediterranee delle diverse organizzazioni che ne fanno parte. La presidente del comitato Tunisia del dialogo sud-nord mediterraneo, Fatima Z. Malki Ben Soltane, ha indicato che la società civile tunisina si impone sempre più come una forza propulsiva in materia di sviluppo. Ha ricordato che dopo la rivoluzione il numero degli organismi della società civile è aumentato e che il loro ruolo si è esteso in modo significativo. Verso la Dichiarazione di Tunisi La lettura delle raccomandazioni da parte dei relatori dei sei seminari in presenza dei rappresentanti delle autorità pubbliche delle due sponde del Mediterraneo, ha avuto luogo sabato 9 giugno. La proposta è stata di prenderle in considerazione nel quadro della dichiarazione di Tunisi. Eccole: - I recenti cambiamenti nei paesi del Sud devono essere presi in considerazione come del resto la necessità di inserire la società civile nei loro programmi e agende; - i relatori intervenuti hanno sottolineato che il sentimento generale di incomprensione reciproca continua a esistere su entrambe le sponde del Mediterraneo; - si rivela ancora una politica insufficiente nella gestione delle relazioni tra società civile e autorità pubbliche, poiché quest’ultima risulta ancora poco aperta al dialogo. Le organizzazioni internazionali sono chiamate a proporre la società civile nel dialogo istituzionalizzato con i governi;

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- alcuni dei partecipanti intervenuti al Congresso ritengono che la responsabilità di rendere la società civile più attiva sia competenza dei poteri pubblici. Il suo rafforzamento permetterà di coinvolgere i giovani nel processo democratico con l'obiettivo di diventare attori politici attivi; - le associazioni della società civile sono chiamate a diventare più professionali, a formarsi, a scambiarsi buone pratiche ed esperienze sul campo, e a mantenere i contatti con le reti delle diaspore presenti nei paesi del Nord. Ciò consentirà alla società civile di avere la fiducia dei poteri pubblici e di porsi a fianco del potere decisionale; - «la relazione società civile- poteri pubblici deve essere basata sull’ascolto e il rispetto reciproco»; - la questione migratoria dovrà essere al centro delle tematiche affrontate nei diversi seminari. In questo contesto, è particolarmente consigliato rivedere l'attuale sistema di gestione dei flussi migratori, che è ben lungi dal facilitare la mobilità delle persone tra le due sponde del Mediterraneo. Ed è stato sottolineato come elemento di degrado per il richiedente la formula del visto; - nel corso dei seminari, i rappresentanti della società civile hanno espresso le loro aspettative nei confronti delle autorità pubbliche e delle ONG del nord, e hanno esposto le loro idee circa le forme possibili di partenariato tra le due sponde; - il Vice Presidente del Movimento europeo Francia, responsabile delle relazioni internazionali, attesta che "l'UE deve mettere tanta energia nello sviluppo del partenariato con il Sud quanta ne ha impiegata con l'Europa dell'Est". Un tunisino nel suo intervento ha affermato che "noi vorremmo essere più che semplici spiagge per una vacanza", precisando che "in molti casi al posto del dialogo sperato, abbiamo avuto un monologo". In risposta a questa provocazione, un membro del Parlamento europeo ha rinnovato la disponibilità della sua istituzione a cooperare”; - per quanto riguarda l'accusa mossa contro l'Europa di aver appoggiato le dittature in vigore prima dell'avvento della "primavera araba", i deputati europei e i rappresentanti ufficiali della Commissione europea si sono difesi affermando: "si intende compensare nel futuro questa défaillance". Un certo numero di congressisti crede che la riva Nord trovi ancora difficoltà a concretizzare i suoi impegni nella misura in cui il Congresso di Tunisi non è riuscito a passare a un livello superiore dopo la sinergia siglata nel 2006 durante il Congresso Algeri. Secondo uno di loro "il Congresso non ha mirato ai problemi e su questo non esistono statistiche”. A suo avviso, questo è il minimo per una valutazione oggettiva. Un’altra partecipante rileverà l’incomprensione dell’Europa e la vaghezza che circonda il concetto di partnership tanto sospirata dalla società civile della Riva Sud. Essa affermerà che "l'Europa vuole imporre soprattutto al Sud una politica basata sulla sicurezza”. Il co-presidente del congresso e ministro di Stato belga, Charles-Ferdinand, ha dichiarato: "Abbiamo bisogno di un’iniziativa comune tra i paesi del Sud e del Nord del Mediterraneo essendo nostro obiettivo quello di instaurare un reale e aperto dialogo senza tabù". Il primo ministro tunisino, Hamadi Jebali, intervenuto a fine lavori, ha ribadito l'interesse del paese all'idea di un partenariato tra l'Europa e la società civile di questa parte del Mediterraneo. Il cammino che conduce alla sua realizzazione è certamente disseminato di difficoltà, ma l'accordo è unanime sulla necessità di continuare sulla strada del dialogo. Tra tre anni l’organizzazione della quarta edizione del Congresso sul dialogo Sud-Nord mediterraneo avrà luogo in un paese della sponda Nord. Jo Leinen, presidente del Movimento Europeo Internazionale, ha dichiarato nel suo intervento di chiusura, che dovrebbe essere proclamata giornata del dialogo quella del 26 febbraio, data di adozione della Dichiarazione di Algeri. La société civile, pouvoirs publics: quel partenariat?», tel est le thème du 3e congrès du dialogue Sud-Nord méditerranéen, que Tunis vient d'abriter les 7,8 et 9 juin. Pus de 300 personnalités représentant 24 pays des deux rives de la Méditerranée, ont pris part à cette rencontre. Les événements survenus surtout en Tunisie et en Égypte et l'amorce de réorientations politiques dans d'autres pays européens en 2011, ont révélé l'importance du développement

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d'une société civile autonome. Le Dialogue Sud-Nord Méditerranée rassemble des acteurs de la société civile et les autorités publiques des pays de la Méditerranée, de l’Égypte au Maroc, vise à contribuer à l'amélioration du dialogue entre la société civile et les autorités publiques afin d'approfondir leur collaboration dans la région euro-méditerranéenne. Le processus du dialogue En organisant ce congrès, le comité Tunisie du dialogue Sud-Nord méditerranéen et le Mouvement européen international, visent à réactiver le processus de dialogue entre les sociétés du Sud et du Nord de la Méditerranée, dans ce contexte historique exceptionnel des révolutions arabes et l'engagement du dialogue Sud-Nord méditerranéen. Mustapha Ben Jaafar, le président de l'Assemblée nationale constituante, à donné le coup d'envoi des travaux de cette troisième édition du congrès du dialogue sud-nord méditerranéen. Le président de l'ANC a plaidé en faveur de la promotion du rôle de la société civile dans la vie politique, tout en tenant compte de sa contribution à l'édification d'un espace euro-méditerranéen. Les débats et les réflexions ont œuvré à élaborer un plan d'action en mesure d'apporter des réponses concrètes à la problématique des relations entre société civile et pouvoirs publics et formuler par la même une déclaration qui sera appelée Déclaration de Tunis. Si ils sont considérés «comme des acteurs-clés dans la promotion de la démocratie participative, les organisations de la société civile continuent de faire face à de nombreux obstacles qui entravent leur développement dont on peut citer les plus importants, à savoir le manque de liberté, l'absence de coopération avec les autorités publiques, le manque de ressources, etc». Les ateliers de réflexion qui ont enrichi le congrès de Tunis, étaient animés par des experts internationaux de part et d'autre de la méditerranée. Les ateliers ont soulevé aussi des problématiques inhérentes aux missions de la société civile telques : comment développer le rôle de la société civile, comment améliorer les réseaux méditerranéens des organisations de la société civile? Ce congrès sud-nord méditerranéen pour le partage des mêmes valeurs et une vision commune, constitue une véritable opportunité pour développer une approche commune sur les relations entre la société civile et les autorités publiques dans les deux rives de la Méditerranée. La présidente du comité Tunisie du dialogue sud-nord méditerranéen, Fatima Z. Malki Ben Soltane, a indiqué que la société civile Tunisienne s'impose de plus en plus, comme une force de proposition et d'initiative en matière de développement. Elle a mentionné également qu’après la révolution le nombre des organisations de la société civile, a augmenté et que leur rôle s'est élargi considérablement. Déclaration de Tunis:Vers une approche commune sur les relations entre la société civile et les autorités publiques dans les deux rives de la Méditerranée La lecture des recommandations par les rapporteurs des six ateliers en présence de représentants des autorités publiques des deux côtés de la Méditerranée, a eu lieu le samedi 9 juin, et ont proposé de prendre en considération dans le cadre de la déclaration de Tunis: - Les changements récents dans les pays du Sud, doivent être pris en compte ainsi que la nécessité d'unir la société civile dans leurs programmes et agendas, -Les congressistes intervenants, ont souligné que le sentiment général d’incompréhension mutuelle, continue à subsister de part et d’autre de la Méditerranée, - L'insuffisance du politique dans la gestion des relations autorités publiques – société civile, car la politique est peu ouvert au dialogue. Les organisations internationales sont amenées à proposer la société civile dans le dialogue institutionnalisé avec les gouvernements, - Des participants intervenants au cours du Congrès, croient que la responsabilité de dégager une société civile plus active, est de ressort des pouvoirs publics. Le renforcement de cette société civile, permettra d’impliquer les jeunes dans le processus démocratique dans l'objectif de devenir des acteurs politiques agissants, - Les associations composantes de la société civile, sont appelées en vue de se professionnaliser d'avantage, de se former, d’échanger les bonnes expériences et pratiques, et d’entendre leurs réseau aux différentes diasporas dans les pays du Nord. Cela permettra à la société civile d'avoir la confiance des pouvoirs publics et de s’ériger en partenaire au pouvoir décisionnel,

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- «La relation société civile-pouvoirs publics dot être basée sur l’écoute et le respect mutuel», - La question migratoire, aura été au cœur des sujets délibérés au niveau de tous les ateliers. Dans ce contexte, la recommandé est notamment de revoir le système en vigueur de gestion des flux migratoires, est loin d’être fait pour faciliter la mobilité des personnes entre les deux rives de la Méditerranée. Et une forte remise en cause de la formule du visa a été soulignée en raison de son aspect dégradant pour le demandeur, - Lors des ateliers, les représentants de la société civile ont également exprimé leurs attentes vis-à-vis des autorités publiques et des ONG du nord, et ont livré leur conception des formes que pourraient prendre le partenariat en construction entre les deux rives, - Le vice président du Mouvement européen France, en charge des relations internationales, atteste que «l’Union européenne doit mettre autant d’énergie à développer son partenariat avec le Sud qu’elle en a mis avec l’Europe de l’Est». Un intervenant tunisien a affirmé que «nous ne voulons plus être que des plages pour des vacances» précisant que « dans bien des cas au lieu et place du dialogue espéré, nous avons eu un monologue». En réponse à cette interrogation, un membre du Parlement européen a renouvelé la disponibilité de son institution à coopérer et qu’elle «tâchera de répondre à l’espoir de l’avenir». - Pour ce qui de l’accusation formulées à l’égard de l’Europe d’avoir soutenu les dictatures en place avant l'avènement du «printemps arabe», les députés européens et les représentants officiels de la commission européenne, se sont défendus en affirmant «qu’elle saura compenser dans le futur cette défaillance quand bien même estimeront-ils l’Europe n’était pas absente». Un nombre de congressistes, croit toujours que la rive nord, prouve encore des difficultés à concrétiser ses engagements dans la mesure où le Congrès de Tunis, n’aura pas réussi à passer à un pallier supérieure après le synergie engagé en 2006 pendant le Congrès d’Alger. Selon l’un d’eux, «le Congrès n’a pas ciblé les problèmes et aucune statistique n’existe. Or de son avis, c’est le minimum pour une évaluation objective». Une autre participante relèvera l’incompréhension de l’Europe et le flou qui entoure le concept de partenariat souhaité par la société civile de la Rive Sud. Elle affirmera que «l’Europe veut imposer surtout au Sud une politique sécuritaire». Le co-président du congrès et ministre d’État belge, M. Charles-Ferdinand, déclare: « nous avons besoin d'une initiative commune issue des pays du sud comme du nord de la Méditerranée, l'objectif étant d'instaurer un véritable dialogue ouvert et sans tabous ». Le Premier ministre tunisien, Hamadi Jebali, qui est intervenu à la fin du congrès, a réitère l’intérêt du pays à l’idée d’un partenariat entre l’Europe et la société civile de ce côté de la Méditerranée. Le chemin aboutissant à la mise en place d’un partenariat avantageux aux deux rives de la méditerranée, est certes parsemé des difficultés, mais l'accord de la nécessité qu’il faille continuer le dialogue entre tous les participants à ce congrès, est exprimé par l'unanimité. Dans trois ans l’organisation du 4e Congrès du dialogue Sud-Nord Méditerranée, aura lieu dans un pays de la rive nord. Jo Leinen, président du Mouvement européen international, a déclaré dans son allocution de clôture, que l’idée de déclarer une journée du dialogue qui sera célébré chaque 26 février, en référence à la date de l’adoption de la déclaration d’Alger, doit être proclamée.

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Med Flash

Piano strategico per l’internazionalizzazione del Piemonte: parte la prima azione L'annuncio dell'apertura di un bando di concorso per la concessione di 132 voucher (per un importo di 3.000 o 5.000 euro a impresa) inaugura ufficialmente l'azione regionale per favorire l'export delle aziende piemontesi. Per iscriversi c'è tempo fino al 12 luglio. Presentato lo scorso febbraio, il Piano strategico per l'Internazionalizzazione del Piemonte prevede un'azione congiunta di Regione Piemonte e Unioncamere per favorire lo sviluppo di una dimensione internazionale per le aziende del territorio. 20 i milioni di euro (10 a carico della Regione Piemonte e 10 a carico del Sistema camerale) da stanziare attraverso una serie di interventi mirati: multivoucher (contributo o fondo di garanzia per l'acquisto di beni e servizi), progetti integrati di filiera, progetti integrati di mercato, progetti che coinvolgono singole imprese e "ijv parternship" (progetti di conclusione di equity partnership e di equity joint venture tra imprese piemontesi e di altre regioni o paesi). Dopo quattro mesi di tavoli di discussione e preparativi tecnici, parte la prima azione del piano, con l'istituzione di un fondo per garantire voucher alle piccole e medie imprese che intendano partecipare a fiere internazionali. 132 voucher da 3.000 euro (per fiere in paesi europei) e 5.000 euro (per fiere in paesi extra-europei). La presentazione delle domande sarà possibile dal 3 luglio 2012 fino alle ore 13,00 del 12 luglio 2012, previa reigistrazione all’indirizzo web http://www.sistemapiemonte.it/bandi/industria/jsp/controller/swhttpcontroller.jsp (a partire dalle ore 9,00 del 25 giugno 2012). Per maggiori informazioni: http://www.regione.piemonte.it/affari_internazionali/bandi.htm Le sfide del mondo arabo La primavera araba, che ha sconvolto l'assetto politico e sociale di Tunisia, Egitto e Libia e ha condizionato l'intera regione, finora non ha portato un miglioramento delle condizioni di vita delle persone. I cittadini si troveranno a dover affrontare un lungo periodo di instabilità, prima di poter vedere dei cambiamenti nel loro stile di vita. Queste sono alcune delle considerazioni contenute nel 'Rapporto 2011 sulle sfide per lo sviluppo del mondo arabo', realizzato dal Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Undp). Il secondo "Report sulle Sfide per lo Sviluppo dei Paesi Arabi" del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), pubblicato lo scorso febbraio, si inserisce nel dibattito sui cambiamenti in corso nei paesi MENA e sulle prospettive per il loro sviluppo. Cercando di superare l'approccio meramente quantitativo adottato negli anni precedenti, che si concentrava sulle performance macroeconomiche (positive) dei vari stati e non riusciva a comprendere le profonde divisioni sociali che ne stavano alla base, il nuovo report scava più a fondo nelle dinamiche politiche fondamentali. Povertà, disoccupazione, sicurezza alimentare e climatica, acqua e responsabilità dei governanti sono alcuni dei temi affrontati, di cui si delineano aspetti problematici e si suggeriscono policies adeguate alla loro risoluzione. Aldilà delle risposte specifiche per ogni problema e per ogni singolo paese, il report propone un nuovo modello per gli stati della regione, il "Developmental State", basato su un nuovo tipo di contratto sociale in cui il governo sia maggiormente responsabile di fronte ai cittadini e in cui questi ultimi possano giocare un ruolo più attivo all'interno delle dinamiche politiche ed economiche. “È iniziato un lungo processo di trasformazione – spiega Paolo Lembo, direttore del centro regionale dell'Undp al Cairo, che ha curato la redazione del rapporto – per una regione ricca di risorse ma dove il livello di sviluppo è basso”. Il rapporto evidenzia che nei paesi arabi la disoccupazione è calata dal 12% del 1990 al 9,3% del 2010, ma il tasso di persone senza lavoro resta il più alto tra le aree in via di sviluppo. Le più esposte sono le donne: meno del 20% ha un lavoro che non sia legato all'agricoltura. Le cause? Il rapporto delle Nazioni Unite ne individua due: il basso livello di istruzione e la

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mancanza di incontro tra domanda e offerta di lavoro. La sfida per i nuovi governi del mondo arabo, si legge nel documento, sarebbe quella di creare oltre due milioni di posti entro il 2030, per raggiungere alti livelli di occupazione e per far sì che il 35% delle donne lavori. Inoltre gli esperti sostengono che la politica clientelare diffusa nella regione abbia indebolito le relazioni tra stato e cittadini e che abbia annullato i tentativi di creare equilibri tra le sfere economica e politica. “Occorre ripensare il modo in cui le persone interagiscono con il governo” commenta Lembo. Il documento si conclude con una riflessione su cinque azioni che vengono proposte come possibili strade da percorrere verso lo sviluppo. Le proposte sono: realizzare riforme reali e non di facciata; creare una costituzione forte; combattere la corruzione; garantire la libertà di informazione; riformare i governi locali per aumentare il grado di fiducia tra istituzioni e cittadini. Il rapporto, che è alla sua seconda edizione. Il testo può essere scaricato dal sito internet: http://www.undp.org/. Ocse - immigrazione riprende ma evita Italia L'immigrazione nei paesi dell'Ocse è continuata a calare nel 2010 (-3%) a causa della crisi, ma nel 2011 con il miglioramento delle condizioni economiche è cominciata a risalire ''nella maggior parte dei paesi europei tranne che in Italia''. Lo segnala il rapporto Ocse 2012 sull'immigrazione, presentato il 27 giugno dal segretario generale Angel Gurria, dal quale emerge anche che ''in Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna'' è ''aumentata, anche se modestamente'' l'emigrazione. Il rapporto dell'Ocse, 399 pagine, indica che per il terzo anno consecutivo nel 2010 i flussi migratori sono diminuiti ed hanno riguardato, in 23 paesi piu' la Russia, un totale di 4,1 milioni di persone. Nella 'fotografia' statistica sull'Italia l'immigrazione permanente al primo gennaio 2011 ammonta a 4,57 milioni di persone. I residenti di origine straniera sono il 7,5% dell'intera popolazione italiana. Di essi circa un quarto sono romeni (969.000), il gruppo piu' numeroso davanti a albanesi (483.000) e marocchini (452.000). I permessi di soggiorno rilasciati a cittadini extraeuropei nel 2010 (599.000) sono saliti del 16,4% rispetto all'anno precedente. Il 62% di essi ha avuto durata superiore ai 12 mesi. Il rapporto Ocse registra anche il flusso di 60.300 migranti clandestini tra gennaio ed agosto 2011. Inoltre il rapporto registra che ''il nuovo governo formato nel novembre 2011 ha messo tra le sue priorita' la riforma della legge di cittadinanza, ferma in Parlamento dal dicembre 2009, specialmente per quanto riguarda gli stranieri nati in Italia''. Comunità dell’Energia Med 2020 Creare una Comunità dell'Energia del Mediterraneo entro il 2020. E' in vista del conseguimento di questo ambizioso obiettivo che la XIII Assemblea Generale di Medreg (network delle Autorità dell'Energia dei Paesi del Mediterraneo), ha approvato il 12 giugno scorso a Istanbul il piano d'azione 2012-2014. Un piano, spiega la nota diffusa dall'associazione dei Regolatori, che prevede una visione strategica di lungo termine (2015-2020), proprio nella prospettiva di creare una Comunità dell'energia del Mediterraneo. Per giungere allo scopo, raccomandano le Autority dell'energia, serve l'impegno di tutti i Regolatori dei Paesi che si affacciano sul Bacino e che aderiscono a Medreg, nonché il sostegno dell'Unione europea, del Consiglio europeo dei Regolatori dell'Energia e di tutti partner strategici di Medreg. Importanti, poi, torna a ribadire il network riunito a Istanbul: il rafforzamento ulteriore del coordinamento e della cooperazione nel Mediterraneo, la promozione del dialogo fra istituzioni e privati per sostenere il rilancio degli investimenti e degli scambi commerciali. Di vitale importanza, sottolinea Medreg, la promozione di nuovi investimenti destinati alla realizzazione di infrastrutture in campo energetico. A tal fine, l'Assemblea ha presentato un nuovo documento che sottolinea l'importanza che gli stessi Regolatori avranno nello sviluppo dei progetti ritenuti strategici per la nascita di nuove infrastrutture. Durante la riunione, infine, e' stato fatto anche il punto sulle

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interconnessioni infrastrutturali per il gas nella regione e sulla situazione relativa alla sicurezza dell'approvvigionamento nei Paesi mediterranei. Nato nel 2006, il progetto Medreg riunisce le Autorità regolatrici dell'energia elettrica e del gas di 20 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e beneficia del sostegno dell'Unione europea e del Consiglio europeo dei Regolatori dell'Energia. Obiettivo strategico è quello di armonizzare i framework legislativi dei vari Paesi che vi aderiscono al fine di integrarli con quello europeo. L'Egitto firma un accordo con la Banca Islamica di Sviluppo L'Egitto si allea con la Banca Islamica di Sviluppo (BID)con sede in Arabia Saudita, domenica 1 luglio 2012. L'accordo, firmato il 1° luglio 2012, del valore di 790 milioni di euro (1 miliardo di dollari), porta all'acquisto di "petrolio e prodotti alimentari". L'Egitto sta attraversando una difficile crisi economica, legata a un calo degli investimenti esteri, un deficit di bilancio e un netto calo del turismo. Firmato dal ministro della Cooperazione Internazionale, Fayza Aboul Naga, e una filiale dell'istituto finanziario islamico, la somma sarà messa a disposizione degli organismi pubblici egiziani incaricati delle importazioni di prodotti petroliferi e alimentari. L'Egitto sta anche negoziando da qualche mese un prestito di 2,53 miliardi di euro (3,2 miliardi di dollari) con il Fondo Monetario Internazionale. L'Upm rilancia il Piano solare Con il piano solare per il Mediterraneo la Commissione europea vuole promuovere progetti pilota nella sponda Sud. Promuovere progetti pilota “da qualche parte e mostrare che funzionano”, lo ha detto Michael Koehler, capo di gabinetto del commissario Ue all'energia, Gunther Oettinger, dopo aver ricevuto lo studio ''Desert power 2050'' a Bruxelles. Secondo Koehler “il piano solare per il Mediterraneo fornisce un quadro di riferimento per lo sviluppo di solare, eolico e altre rinnovabili, ma anche di altri tipi di energia nei paesi del Sud, fra i paesi del Sud e anche per la cooperazione fra Nord e Sud”. L'idea di Bruxelles, che attualmente guida la copresidenza Nord dell'Unione per il Mediterraneo, è quella di cominciare la cooperazione sul fronte dell'energia con progetti pilota in paesi che hanno le condizioni necessarie, come Marocco e Tunisia. Il motivo è che qui “ci sono linee di trasmissione elettrica, - ha spiegato Koehler - una situazione relativamente stabile e una lunga tradizione nelle relazioni, oltre al fatto che esistono professionisti nel settore”. Sulla partenza di progetti pilota dell'Upm “siamo relativamente ottimisti”, ha detto il responsabile della Commissione Ue, sottolineando come la richiesta principale da parte dei paesi della sponda Sud sia quella di creare posti di lavoro. “Per questo - ha concluso Koehler - a un certo punto non dovremo parlare solo di progetti pilota, ma di soluzioni integrate, che includano anche i servizi, la manutenzione, la formazione”.

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Crisi ed economia mediterranea

La fotografia dell’Italia che esporta di Marcella Rodino Negli ultimi due anni il sistema imprenditoriale italiano sembra aver mosso alcuni passi importanti in termini di competitività internazionale, nonostante l’avvento di nuovi competitor provenienti dai Paesi emergenti. Da un'indagine del Centro studi Unioncamere risultano diverse le modalità di accesso ai mercati esteri a cui corrispondono differenti performance, strategie e fabbisogni. Esportatrici occasioni, abituali e prevalenti. In Italia sono queste le tre categorie di imprese esportatrici secondo il Rapporto Unioncamere 2012 che riporta i risultati di un’indagine sul mondo delle imprese manifatturiere esportatrici italiane (fonte Istat-Asia), svoltasi su un campione di 2700 imprese a cui è stato somministrato un questionario. Nel 2009, il comparto era di circa 85mila unità, ossia il 19% dell’intero settore della trasformazione industriale. Al fine di individuare le possibili leve da attivare per sostenere una più ampia e diffusa proiezione internazionale, è stata inoltre realizzata, in parallelo, una specifica indagine campionaria relativa a un universo di altre 73mila imprese definite come “potenziali esportatrici”. Negli ultimi due anni il sistema imprenditoriale italiano sembra aver mosso alcuni passi importanti in termini di competitività internazionale, nonostante l’erosione di quote di mercato globale in seguito all’avvento di nuovi competitor provenienti dai Paesi emergenti. Un’analisi più attenta consente tuttavia di evidenziare diverse modalità di accesso ai mercati esteri, alle quali corrispondono differenti performance, strategie e fabbisogni. Ecco perché sono state create le tre categorie di imprese esportatrici, che possono essere così sintetizzate:

• Esportatrici occasionali: imprese che accedono non sempre continuativamente a uno o al massimo a pochi mercati di riferimento, spesso senza una vera e propria strategia di internazionalizzazione e personale dedicato ma affidandosi, laddove possibile, a canali distributivi consolidati nel tempo. Acquistano pochi servizi all’internazionalizzazione, per lo più rivolgendosi a Istituzioni pubbliche e accedendo con minor frequenza alla fornitura privata. Il loro fatturato estero non supera il 10% del totale delle vendite e, all’interno del campione riportato all’universo, rappresentano il 31,5% delle esportatrici.

• Esportatrici abituali: imprese che accedono con una diffusa continuità a più mercati di riferimento, attraverso strategie consolidate che permettono di stringere legami duraturi con la committenza internazionale. Acquistano in outsourcing molti servizi dedicati servendosi sia di Istituzioni pubbliche che dell’offerta di società private. Il loro fatturato estero incide tra il 10 ed il 50% del totale delle vendite e rappresentano, secondo stime, il 40,1% delle imprese manifatturiere esportatrici.

• Esportatrici prevalenti: imprese per cui i mercati esteri sono il principale obiettivo. La loro struttura organizzativa è spesso orientata all’internazionalizzazione e l’acquisto dei servizi in outsourcing risulta meno intenso che nelle imprese esportatrici abituali, in quanto alcuni, se non molti, sono internazionalizzati nella struttura aziendale. Il loro fatturato estero copre la maggior parte e, in alcuni casi, tutte le vendite effettuate nell’anno; dal riporto all’universo del campione, si stima esse siano oltre 25mila, ovvero il 28,5% delle imprese esportatrici.

Questione di fatturato L’andamento del fatturato evidenzia come, nel 2011, si sia registrato un netto divario in termini di performance tra le imprese esportatrici e quelle che accedono esclusivamente al mercato domestico. Infatti, confrontando il campione di imprese esportatrici con quello delle imprese potenziali (che di per sé rappresentano una classe ‘premiante’ per ciò che riguarda la struttura dimensionale ed organizzativa nell’insieme delle non esportatrici), emerge chiaramente una maggior capacità di competere delle prime: quasi un terzo delle aziende che già operano sui mercati esteri dichiara una crescita del fatturato totale (32,4%), a fronte di un

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17,1% per ciò che riguarda quelle potenzialmente esportatrici. Nonostante le difficoltà ultimamente emerse nel panorama internazionale, le imprese esportatrici italiane continuano diffusamente a rafforzare la loro presenza all’estero. Il 45,2% intende infatti intensificare la propria presenza commerciale in uno o più Paesi di riferimento, con quote più elevate per quelle abituali e prevalenti (rispettivamente 48 e 51,6%). Solo una quota molto ridotta delle imprese, il 5,7%, ha invece intenzione di diminuire la propria presenza sui mercati internazionali. Tra le imprese che hanno espresso la volontà di intensificare la propria attività di esportazione, l’area geografica privilegiata risulta l’Unione Europea (per il 48,4%); al contempo, tra quelle che dichiarano di voler ridurre l’esposizione verso uno o più Paesi, oltre i due terzi affermano di farlo a partire proprio dai Paesi comunitari. Tale dinamica si inserisce all’interno del processo di sostituzione della domanda di beni manifatturieri dai Paesi ad economia avanzata verso le nuove economie emergenti. Non a caso, il 20% delle imprese che dichiarano di voler intensificare la propria attività esportativa indica i Bric come area di riferimento. L’unione fa la forza Il superamento dei limiti dimensionali e il rafforzamento di accordi commerciali con altre aziende può avvenire anche attraverso un più diffuso utilizzo dello strumento del Contratto di rete. Già oggi, oltre un quarto delle imprese esportatrici intervistate afferma di essere interessato o addirittura di essersi già attivato per partecipare a filiere organizzate giuridicamente attraverso tale formula. La maggior parte di queste dichiara di voler attivarsi in tal senso con altre imprese già presenti sui mercati esteri, il che non fa che amplificare la centralità che tale strumento potrebbe occupare nelle strategie future di internazionalizzazione. A conferma dell’utilità che tale strumento esprime per le piccole imprese, va evidenziato che ben il 29,6% delle imprese con un numero di addetti compreso tra 10 e 49 dichiara di essere interessato o avvalersi già di tale strumento. Chi sostiene l’internazionalizzazione Le Camere di commercio, insieme alle associazioni di categoria, sono le istituzioni la cui offerta di servizi a sostegno dell’internazionalizzazione è più di frequente nota presso le imprese potenzialmente esportatrici. Il 77,5% delle imprese potenziali interpellate, infatti, conosce i servizi forniti dalle Camere di commercio, mentre quelli offerti dalle associazioni di categoria sono noti al 66,2% degli intervistati. Seguono le banche, le Regioni e gli Enti locali, le società private e gli studi professionali, tutti con quote intorno al 50%. Più distanziate, in base al grado di conoscenza da parte degli imprenditori, sembrano essere la SACE, i cui servizi sono noti al 18,6% degli intervistati, la SIMEST (15,1%) e le Camere di commercio estere in Italia (12,3%). (Fonte: Centro Studi Unioncamere, Rapporto Unioncamere 2012) Quando internazionalizzare è un’attitudine di Marcella Rodino DevelopMed intervista Nanni Bianchi, geologo della Sea Consulting, micro impresa torinese che ha fatto dell’internazionalizzazione la sua vocazione. Oggi è una piccola impresa con il 65% del fatturato ottenuto dal lavoro all’estero. Quando nasce la Sea Consulting e di che cosa si occupa? La Sea Consulting nasce nel 1995 su iniziativa di tre persone. E’ una società di geologi che si occupa di consulenze in geologia applicata, dalla progettazione e supporto alla costruzione di grandi opere, alla pianificazione territoriale, alla ricerca e gestione delle risorse idriche ai problemi di dissesto idrogeologico, sia verso amministrazioni, quindi enti pubblici locali e regionali, sia verso privati. Tre anni fa è confluita in una holding internazionale leader nella progettazione di infrastrutture, la GEODATA S.p.A.

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A quando risalgono le vostre prime esperienze all’estero? I primi lavori all’estero risalgono al 1998, quando lavoravano in Sea Consulting otto persone. Volontà, attitudine e know how sono stati i tre elementi che hanno segnato la strada della società, che oggi conta 35 persone e ha circa il 65% del fatturato che arriva dal lavoro all’estero.ù Cosa vi ha mosso all’internazionalizzazione in tempi non sospetti? La prerogativa di Sea è che tra i fondatori o comunque gli animatori principali della società quasi tutti venivano da un’esperienza di dottorato all’estero e questo ha creato le condizioni di base per orientarsi su altri mercati. Mi riferisco alla conoscenza delle lingue straniere, requisito essenziale e necessario, e all’interesse di confrontarsi con altri mercati. E’ una questione di attitudine. Che cosa intende per attitudine? L’attitudine consiste innanzitutto nel fatto di essere disposti a muoversi, cosa che noi oggi viviamo in maniera quotidiana: fare la valigia per me è come fare la cartella, è un atto giornaliero. L’attitudine è data anche dalla voglia di confrontarsi con realtà diverse dalle proprie e di mettersi in gioco. Certo, sarebbe più semplice agire nel proprio territorio, in ambito conosciuto, in un contesto normativo noto. All’estero ci vuole un impegno maggiore. Si tratta di acquisire un diverso stato mentale, non scontato. Esistono traduttori e interpreti… La conoscenza delle lingue è fondamentale, ognuno di noi parla almeno due lingue straniere, dato questo non proprio comune in Italia. Se parli una sola lingua straniera non sempre riesci a trovare un modo per comunicare. Per esempio, per rispondere a una Manifestazione di Interesse per gare internazionale i tempi sono estremamente ristretti (pochi giorni). Quindi non c’è il tempo materiale per passaggi dal traduttore (cosa che aumenterebbe anche i costi per un’attività puramente commerciale il cui ritorno è molto incerto). Oppure può essere necessario semplicemente prendere il telefono per contattare possibili partner stranieri, cercare su internet delle società e contattarle per fissare un appuntamento. Qui, per esempio, la barriera linguistica è importante. Idem per l’attitudine a muoversi, per cui se non è nelle tue abitudini dover prendere un aereo con 12 ore di preavviso, è difficile che tu lo faccia da un giorno all’altro. In che cosa consiste il vostro lavoro all’estero? Noi ci siamo mossi all’estero dal 1998, inizialmente a supporto di imprese italiane che acquisivano lavori in paesi stranieri. Quindi da un certo punto di vista eravamo facilitati, dall’altro però l’impresa non offriva nessun supporto organizzativo. Quindi, partendo da Torino, con una società di dimensioni estremamente limitate, dovevamo organizzare tutto il supporto logistico, il che vuol dire avere per esempio tre persone in pianta stabile in Sud Africa, organizzare voli, spostamenti, permanenza in sito e gestire tutta la documentazione burocratica. Tutto fatto in casa, praticamente. Significa cercare quali sono le procedure, seguirle, andare nei consolati, bussare alle porte. Noi, con una laurea in geologia, dovevamo occuparci anche di questi aspetti, in maniera inizialmente molto naif, migliorando con l’esperienza. L’attitudine mentale vuol dire proprio questo: non spaventarsi, andare al consolato sudafricano a Milano per capire cosa ci vuole per avere un permesso di lavoro, cercare traduttori in Sud Africa riconosciuti dal ministero… seguire iter che esulano completamente dal “normale” campo di attività. Oggi Sea Consulting è sul mercato estero a tutti gli effetti? Nel 2008 Sea inizia a lavorare per ampliare la sua presenza all’estero, non solo a seguito di imprese italiane, ma anche direttamente per committenze straniere. L’idea era di partecipare a bandi di gara delle varie banche, quindi Banca mondiale, Banca interamericana di sviluppo, ecc. Per fare questo era necessaria una competenza specifica o comunque indicazioni e supporto anche solo di ricerca di bandi. Da qui la nostra partecipazione ai programmi del Centro estero per l’Internazionalizzazione della Camera di Commercio di Torino che offriva proprio questo supporto, e la partecipazione a una serie di incontri e seminari volti

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all’internazionalizzazione con le rappresentanze di paesi stranieri, piuttosto che una missione a Washington per incontrare i rappresentanti della Banca Mondiale. Quindi per conoscere più da vicino gli apparati che stanno dietro a questa tipologia di lavori. Come fate a creare partnership all’estero? Il supporto del Ceip riguarda anche la ricerca di partner in loco. Con la Camera di commercio abbiamo partecipato a una fiera in Marocco, a diverse missioni in Albania per incontrare rappresentanti delle città locali. Abbiamo avuto più di un’esperienza con questa realtà e abbiamo seguito anche alcuni dei seminari che organizza mensilmente con rappresentanti di paesi emergenti. Fra le opportunità che l’Italia mette a disposizione, questa è quella che ci è stata più utile e che si è rivelata efficace. Il Ceip è costituito da persone molto giovani e dinamiche, interessate al proprio lavoro. Ho avuto un feed back estremamente positivo con questa realtà, assolutamente rispondente a quello che è il suo mandato teorico. L’aiuto del Ceip non può però rimpiazzare quella forma mentis di cui parlavamo prima. L’attitudine. Vi siete appoggiati anche all’Ice? Anche il supporto del'Ice e dei loro desk in loco danno un buon supporto nel trovare i riferimenti e creando il primo contatto con potenziali partner. Abbiamo partecipato, per esempio, a una gara in Armenia. In questo caso l’Ice ci aveva dato i contatti con due o tre società locali potenzialmente interessate a una partnership, che ho poi contattato e conosciuto personalmente. L’intervento dell’Ice è stato solo iniziale, ma questo è quello di cui avevamo bisogno. Ci fa un esempio di come si crea un partenariato dal nulla? Nel 2010 abbiamo individuato l’India come paese per noi interessante. Sono andato alla Camera di commercio di Torino, dove mi hanno messo in contatto con il loro desk officer indiano, in quei giorni casualmente in Italia. Gli ho mandato una breve descrizione delle caratteristiche delle società con cui auspicavamo di entrare in contatto, e dopo una ricerca locale, dal desk indiano mi hanno fissato nell’arco di una settimana una serie di appuntamenti. Insieme al desk officer ho quindi incontrato queste imprese. Posso affermare che la presenza dei desk del Ceip o dell’Ice nei paesi stranieri agevola l’incontro con le realtà locali, offre una prima scrematura e fornisce un po’ più di supporto logistico nel caso in cui si organizzi una missione. Per chi non ha esperienze di questo tipo, tale supporto può rappresentare la discriminante. Per chi come noi ha un background ormai decennale, rappresenta un’agevolazione. In India sarei andato comunque. Sea Consulting ha esperienze di lavoro nei paesi MENA? Personalmente è dal 2001 che seguo progetti in Algeria in maniera continuativa. E’ chiaramente un paese non semplice per questioni legate alla sicurezza. Nell’ultimo decennio le condizioni sono cambiate, prima in meglio poi di nuovo in peggio. La situazione è variabile. Quanto pesa la situazione politico-sociale nella scelta dei paesi dove andate a lavorare? Recentemente ci è stata fatta un’offerta per supporto alla progettazione di una breve galleria per una basa militare americana in Afghanistan. Abbiamo risposto che avremmo dato il supporto, ma che in Afghanistan non ci saremmo mai andati. Chiaramente noi seguiamo le indicazioni della Farnesina, quindi in linea di massima evitiamo di recarci in paesi con condizioni considerate a rischio, questo perché non vogliamo mettere a repentaglio l’incolumità dei nostri collaboratori. L’Algeria fa un po’ eccezione, perché è un paese che, pur non essendo proprio agevole, conosciamo molto bene. Diversi di noi hanno seguito svariati progetti, quindi sappiamo valutare meglio quali sono le condizioni oggettive. Altre esperienze in paesi emergenti dell’area mediterranea? Abbiamo lavorato a Doha, a Dubai così come in Turchia, da dove ci ha contattato un’impresa di costruzione per chiederci rapporti di collaborazione per gare in Turchia e altrove. Si tratta di economie emergenti e come tali le infrastrutture rientrano nei programmi di sviluppo legati ai trasporti urbani, metropolitane piuttosto che ferroviarie, e molto anche all’energia. Per

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esempio in Turchia, ma anche in Albania, paese in via di sviluppo in aria balcanica, ci sono diversi progetti di infrastrutture, strade, autostrade e soprattutto impianti idroelettrici… molti di questi finanziati da Banca Mondiale, Banca Europea, da Fondi tedeschi, austriaci e norvegesi o da consorzi privati che ottengono delle concessioni di sfruttamento di aste fluviali per la realizzazione di impianti idroelettrici. Sono tutte aree che fanno gola a società di progettazione e imprese di costruzione italiane, ma non solo. In questo periodo stiamo partecipando a un bando per un impianto idroelettrico in Albania con imprese turche e i maggiori competitors sono imprese italiane e consorzi turchi e italiani, i vicini di casa più prossimi e maggiormente in grado di operare con costi ridotti. Come vede il futuro delle imprese italiane che stanno iniziando a internazionalizzare? Ci vogliono dai tre ai cinque anni da quando si è iniziato a internazionalizzare per poter vedere dei risultati concreti. Noi abbiamo iniziato a prendere lavori all’estero nel 1998, dal 2008 abbiamo più fatturato all’estero che in Italia. Chi ha iniziato nel 2008 e ha insistito per tutto questo tempo, oggi forse inizia a vedere i primi risultati. Chi in tempi non sospetti ha avuto modo di crearsi il know how, il bagaglio di esperienze in anni di maggiore sviluppo, è avvantaggiato. Quello che abbiamo osservato è che negli ultimi tempi anche all’estero la concorrenza è sempre più agguerrita, sia da parte di società italiane che cominciano a internazionalizzare, sia da parte di società, gruppi stranieri che hanno acquisito know how, tecnologie e che hanno disponibilità economiche e finanziarie più forti delle nostre e che quindi operano più agevolmente di noi. Si tratta di economie che hanno alle spalle possibilità di credito maggiori e che tendono a essere più aggressive, forse perché hanno meno l’acqua alla gola. O perché magari l’approccio verso l’estero è di tipo sistemico. Cosa intende per sistemico? L’impressione è che in questi ultimi tre-quattro anni l’Italia si stia muovendo un po’ di più come sistema paese quando va all’estero. Ci sono le missioni delle Camere di Commercio con imprenditori, ma anche del Presidente della Repubblica e di personaggi politici. Penso che per paesi come l’India, la Cina, il Giappone, la Corea, l’Australia, ma anche la Francia e la Germania sia così da sempre. Quando tu sei una società, anche grande ma singola, e sei in competizione con altre imprese che hanno a fianco una sponda politica ed economica, la possibilità che hai di aggredire il mercato è ovviamente inferiore. La novità positiva, dunque, degli ultimi anni in Italia in tema di internazionalizzazione è che stiamo scoprendo i vantaggi e la possibilità di operare in modo più strutturato, invece che sulla singola iniziativa.

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Sviluppi partenariato mediterraneo

ITW Niccolò Rinaldi - Per "liberare" l'economia di Claudio Tocchi DevelopMed intervista Niccolò Rinaldi*, membro della Commissione per il Commercio Internazionale, relatore della Risoluzione del Parlamento europeo del 10 maggio 2012 "Commercio per il cambiamento: la strategia commerciale e di investimento dell'UE per il Mediterraneo meridionale dopo le rivoluzioni della primavera araba". Quali le strategie UE sui rapporti commerciali con l'altra sponda del Mediterraneo? Onorevole Rinaldi, partiamo dal documento approvato dal Parlamento Eurupeo lo scorso maggio di cui Lei è stato relatore. Nella relazione ci si sofferma sulla necessità di approfondire i rapporti commerciali con i paesi del Sud del Mediterraneo, concentrandosi però quasi esclusivamente sulla dimensione bilaterale. Dobbiamo dedurne che lo spirito di Barcellona e il progetto di creare un'area di libero scambio comune a tutti i paesi Med sono stati definitivamente accantonati? Con la strategia di Barcellona l'UE aveva puntato a una sorta di partenariato-quadro con tutti i paesi del Mediterraneo. Ci sono state però molte difficoltà nel realizzare un sistema che funzionasse per tutti. Il ritorno della dimensione bilaterale ne è una diretta conseguenza. Di che natura sono state le difficoltà incontrate? Innanzitutto, differenze di tipo normativo e politico. Alcuni paesi MENA fanno parte dell'OMC e possono integrare alcune clausole nei trattati commerciali (meccanismi di arbitrato in casi di dispute commerciali fra aziende, quote commerciali, ecc); con i non-membri diventa più difficile farlo. Lo stesso vale per le convenzioni sul lavoro (dagli standard ambientali ai diritti sindacali alla sicurezza), ratificate solo da alcuni stati. Infine, i regimi politici stessi variano molto, a prescindere dal loro livello di democrazia: mentre in certi paesi il parlamento può giocare un ruolo nei processi di politica commerciale, in altri esso ne è largamente escluso (o non esiste); in alcuni sistemi il commercio è competenza ministeriale, in altri è sono il primo ministro o lo stesso presidente ad occuparsene. Senza contare che alcuni paesi hanno autorità doganali efficaci ed altri no. Queste sono difficoltà, per così dire, “tecniche” o politiche. Ve ne sono anche di altra natura? Sì, ci sono dei problemi politici e culturali su entrambe le sponde. In tutta l'Europa (per molti aspetti anche negli stati del Sud) non si è ancora riconosciuto ai paesi MENA una vera importanza geo-strategica. I rapporti con USA, BRICS e paesi emergenti sono prioritari, anche perché da un punto di vista commerciale il mercato dei paesi MENA è poca roba. Inoltre va detto che questi ultimi hanno mandato messaggi molto diversi. C'è il Marocco che chiede più Europa e chi, come la Siria, guarda altrove (all'Iran) e rimane scettica nei confronti di un'Europa in cui ritroverebbero la Turchia; ci sono paesi come l'Egitto che mirano a un ruolo di leadership dei paesi arabi nel loro complesso e chi ha una politica tutta sua come la Libia. L'Algeria poi è un paese con una sua stampa libera e una sua forma di democratizzazione, ma in cui le leve economiche sono tutte nelle mani dei militari e di clan legati agli apparati governativi. Una vera oligarchia che controlla la ricchezza del paese e che non ha nessun interesse ad aprirsi. Ogni paese rappresenta quindi un caso a sé, e questa è una realtà che abbiamo sbagliato ad interpretare. Quando il Muro di Berlino è caduto, abbiamo considerato i paesidell'Est come un unicum. E, in effetti, essi condividevano un passato comune e avevano tutti la stessa aspirazione di una maggiore integrazione nell'UE. Nel Sud del Mediterraneo, invece, questo schema non ha funzionato. Allora si è cominciato a riapprofondire i rapporti bilaterali. E funzionerà nel modo in cui li stiamo applicando?

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Partiamo con una grande lacuna: non siamo stati capaci di creare un organismo euromediterraneo che vada aldilà di semplici rapporti politici come la conferenza dei ministri di Barcellona o l'assemblea parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo (UpM). Un organismo, quindi, con funzioni economiche e di sicurezza, un po' come il consiglio d'Europa o l'OSCE, che fornisca un quadro istituzionale allargato. Poteva essere l'UpM, ma negli eventi recenti è praticamente scomparso. E che ne è di altri progetti che, in misura meno ambiziosa, potrebbero dare impulsi positivi a questa “integrazione multidimensionale”? L'Alta Rappresentante Ashton e il Parlamento avevano presentato già un anno fa una serie di proposte che interessavano il Mediterraneo: un'allargamento del campo d'azione della BERS, nuovi strumenti commerciali o progetti d'investimento. Pare però che in questo campo siamo ancora molto in ritardo. Come mai? Ci sono ragioni diverse. Il ritardo nella ratifica della BERS per certi aspetti non è nemmeno un ritardo, è purtroppo parte della farraginosità della macchina europea. Alcune decisioni devono essere ratificate da 27 paesi, una cosa lunghissima ed esasperante. Si tratta forse anche di una volontà da parte di alcuni stati di non modificare dei rapporti di forza di cui sono i maggiori artefici o beneficiari? Io non ho riscontrato difficoltà politiche, nessuno è contrario a questa evoluzione della BERS. La Commissione sta insistendo molto sugli stati per la ratifica e non mi pare che ci sia qualcuno che nicchia o che prende tempo. La prossima presidenza cipriota, per ovvie ragioni, farà di tutto perché si giunga a una conclusione nei sei mesi del suo mandato. Mi pare un po' ottimista, ma vediamo. E lo stato d'avanzamento degli altri progetti? Ce ne sono molti. Per quanto riguarda una seconda fase del programma InvestInMed non c'è, al momento, nessuna novità. C'è anche da dire che, incontrando vari imprenditori della sponda sud, i commenti erano solo parzialmente positivi: il programma è difficile, burocratico, comunque da rivedere. In fase di studio ci sono alcune misure di cooperazione tecnica per delocalizzare i controlli di qualità ambientali, di sicurezza e veterinari, evitando ai produttori della sponda MENA l'onere di una certificazione in Europa. Ciò è già possibile per i prodotti provenienti dalla Turchia; per quanto riguarda Egitto e Tunisia, tutto è bloccato a causa della lentezza dei progressi politici, mentre qualcosa potrebbe muoversi già nei prossimi mesi per il Marocco. Con il Libano abbiamo avviato una cooperazione tecnica e politica per aiutarlo nel suo ingresso all'OMC. Sono tutte misure molto buone, ma scontano un problema fondamentale: la mancanza di una visione di base. In che senso? Facciamo un esempio: un piccolo o medio imprenditore tunisino che voglia venire in Italia (magari per conoscere un partner, discutere un contratto, proporre i suoi prodotti), generalmente non ottiene il visto. Deve entrare con un visto turistico. Se lavora per una multinazionale può avere una specifica categoria di visto prevista dai trattati di Schengen; altrimenti, anche se dimostra di lavorare o di possedere un'azienda con tutte le credenziali, avrà al massimo un permesso da turista. Ho recentemente discusso di un nuovo schema di visti per i paesi MENA con il Commissario Cecilia Malstroem (Commissario per gli Affari Interni, NdR) che si è mostrata in sintonia con le mie proposte e ha assicurato che porterà la questione sul tavolo del Consiglio e del Parlamento. Ma il problema è strutturale: non ci si può basare su iniziative personali. I ministeri, e quindi le responsabilità, sono divisi, e manca una struttura che riunisca vari aspetti della politica europea e funga da coordinamento. Poi naturalmente viene tutto il resto: gli strumenti finanziari, la BERS, il microcredito, le risorse per le PMI... Tutte cose molto utili. Ma non senza una strategia coerente. E su cosa dovrebbe concentrarsi questa strategia? Su quello che è finora rimasto fuori dal processo di Barcellona e dal rapporto fra UE e singoli paesi MENA: la società civile o, per usare un termine più desueto, il popolo. Le nostre politiche

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commerciali dovevano da una parte soddisfare i nostri bisogni primari (penso al gas algerino oppure alle delocalizzazioni in Egitto, Tunisia e altri paesi), e dall'altra parte preservare gli equilibri interni dei paesi MENA. Un commercio molto conservatore, quindi: se oggi abbiamo un'oligarchia economica al potere in Algeria, così come ne avevamo fino a ieri in Tunisia ed Egitto, è perché l'Europa ne ha creato le premesse, lasciando fuori dai rapporti commerciali i piccoli imprenditori, gli studenti, tutti coloro con un certo talento imprenditoriale e che vogliono avere un accesso al mercato dell'UE che gli è finora sempre stato negato. La soluzione è una liberazione dell'economia. Che non è liberismo: è liberazione di emergere al di fuori delle caste e delle corporazioni che detengono il potere economico dei propri paesi. Come abbiamo assistito a forme di democratizzazione della società (con elezioni, multipartitismo, ecc), pur con tutte le normali contraddizioni che occorrerà tempo per superare, bisogna analogamente creare dei meccanismi di liberazione dei sistemi economici nella sponda Sud. Anche perché non dobbiamo dimenticare una dimensione cruciale: quella demografica. L'Europa, volente o nolente, dovrà investire in modo efficace nei paesi del Sud per compensare i suoi squilibri demografici. Basta qualche dato a chiarirlo: oggi, nel solo Egitto, la popolazione degli under 15 corrisponde a quasi i 2 terzi dei pari età dell'intera EU. Considerando i paesi dalla Turchia al Marocco, più della metà della popolazione è sotto i 17 anni, in Europa siamo all'incirca al 30%. Presto saremo investiti da una profonda crisi delle risorse umane e il primo bacino cui attingere sarà proprio il Mediterraneo, anzi, di fatto lo è già. Occorrerà integrare le nostre economie, rendendo la circolazione più chiara e più lineare; la stessa scelta che a un certo punto gli Stati Uniti hanno compiuto nei confronti del Messico – con dati, oltretutto, molto migliori di quelli che ha l'Europa. Questo riguarda il campo dell'analisi dei problemi. Quali strategie possiamo mettere in pratica come soluzioni? L'esempio della politica dei visti è uno fra tanti. Un altro sono le borse di studio per studenti: possibile che l'Europa le abbia sostanzialmente bloccate per i giovani dei paesi MENA? Questi studenti hanno delle opportunità nei paesi del Golfo (Arabia Saudita, Qatar), in Cina e negli USA, da noi poche. Abbiamo il programma Erasmus Mundi, che però non è propriamente un programma di borse di studio e che in ogni caso riguarda tutto il mondo. Dobbiamo avere un programma Erasmus-Med per la circolazione degli studenti nell'area del Mediterraneo. E ancora: è possibile che non ci siano camere di commercio congiunte fra EU e i paesi arabi? Infine, c'è un'enorme lacuna nelle nostre relazioni commerciali con il Sud: la cultura. L'industria culturale di fatto non rientra mai nei nostri progetti, nonostante si parli di popoli vicini, che hanno condiviso secoli di storia e che vivono nelle stesse società in seguito alle migrazioni. Eppure alcuni settori di punta dell'espressione creativa sono stati molto importanti nella Primavera araba, guidando e organizzando le proteste di piazza. Questo ambito è fondamentale: se vogliamo maggiore integrazione dobbiamo prepararla, anche attraverso una mutua conoscenza. Ecco, queste sono alcune delle cose che dovremmo realizzare per generare occupazione e uno sviluppo economico diffuso, e non solo uno concentrato nelle mani di poche, grandi compagnie. Potremmo per esempio basarci sull'esperienza italiana, la cui colonna economica sono proprio le PMI; questi paesi non sarebbero molto diversi, vi si trova, a differenza dei paesi ex-sovietici dall'economia pianificata, un talento imprenditoriale molto diffuso. E qui torniamo al discorso sulle varie forme di finanziamento e investimento al Sud: si tratta di reinventarle e di democratizzarle, per far in modo che l'accesso sia possibile a tanti altri e non soltanto ai soliti pochi. Ovviamente si tratta anche di un adeguamento delle risorse, ma la vera sfida sarà modificare le regole del loro utilizzo.

*Niccolò Rinaldi - Fiorentino, classe 1962, laureato in Scienze Politiche, Niccolò Rinaldi è stato a lungo responsabile dell'informazione per l'ONU in Afganistan. Nel 1991 ha lasciato le Nazioni Unite per il Parlamento Europeo, di cui è divenuto parlamentare nel 2009 nelle fila dell'Italia dei Valore. È vicepresidente del gruppo ALDE (Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa) e membro della Commissione per il Commercio Internazionale.

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Euromed: azione dell'UPM insufficiente L'Unione per il Mediterraneo non ha ancora risposto alle aspettative di un ruolo attivo per contribuire alla stabilità e al progresso nella regione e la sua azione nel 2011, l'anno della Primavera Araba, è considerata insufficiente. E' quanto emerge dall’inchiesta Euromed, commissionata dalla Commissione Europea all'Istituto Europeo per il Mediterraneo (IEMed), che riflette l'opinione di 700 esperti ed attori politici delle due sponde del Mediterraneo sulla Primavera araba, i successi e le carenze della politica della Ue nella regione e le sfide e i possibili scenari futuri. I risultati dell’inchiesta a cura di IEMed, assieme all'Annuario del Mediterraneo 2011, sono stati presentati al Parlamento Europeo, in un atto presieduto dal commissario europeo di Ampliamento e Politica europea di Vicinato Stefan Fule, al quale hanno preso parte l'eurodeputato Salvador Sedó e il direttore generale dell'IEMed, Andreu Bassols. Il 93% degli intervistati, fra il dicembre 2011 e il gennaio 2012, reclama un maggiore coinvolgimento dell’Ue nella soluzione di conflitti nella regione. L'inchiesta Euromed, alla sua terza edizione - edita in inglese, francese, spagnolo, catalano e arabo - evidenzia che l'UpM è vista come uno strumento con potenzialità per contribuire alla stabilità e allo sviluppo nel Mediterraneo dalla maggioranza degli intervistati (5,2 su 10), anche se la sua azione durante il 2011 è bocciata, con un risultato di 3,8 su 10. Significativo anche l'appoggio dato dalla maggioranza dei consultati all'assunzione della presidenza nord dell’Upm da parte dell’Ue, che nel marzo scorso ha sostituito quella francese. Così come la gran parte degli esperti si è detta favorevole alla creazione di uno strumento finanziario europeo per i Paesi del Sud del Mediterraneo. Quanto all'opinione sulla Primavera Araba, i risultati del sondaggio indicano che la Turchia viene identificata come il Paese più attivo, davanti agli Stati Uniti e all'Europa. E pongono in evidenza la percezione di una differenza di approcci da parte dell’Ue al momento di reagire alle rivolte nell'area, a seconda dei Paesi interessati. Sul piano generale, sia i cambi nella politica di vicinato dell’Ue come le risposte finanziarie ai Paesi che hanno vissuto la Primavera Araba sono visti di buon occhio. In particolare, il programma Spring e altre iniziative per migliorare la mobilità e lo sviluppo rurale, l'accesso all'acqua potabile, a sanità ed educazione D'altra parte, le aspettative di risoluzione prossima dei conflitti nella regione sono basse (da 2 a 4 su 10), secondo gli esperti, attori politici, istituzionali, diplomatici, membri di Ong, imprenditori, giornalisti e sindacalisti delle sponde del Mediterrano intervistati.

L'UE rafforza il sostegno ai processi di riforma PEV A maggio 2011, quando nel vicinato meridionale erano in atto mutamenti epocali, l'Unione europea ha concluso una revisione approfondita della sua politica europea di vicinato (PEV). Secondo il principio "more for more", i paesi del vicinato meridionale e orientale dell'UE che danno prova di un deciso impegno a livello di riforme riceveranno dall'Unione un sostegno più ampio e consistente. Il pacchetto sulla PEV presentato il 15 maggio scorso da Catherine Ashton, Alta rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente della Commissione, e da Štefan Füle, Commissario UE per l'Allargamento e la politica di vicinato, valuta il primo anno di attuazione del nuovo approccio e propone una roadmap per dare ulteriore slancio all'attuazione del partenariato orientale. Negli ultimi dodici mesi l'UE ha risposto con determinazione al rapido evolversi della situazione nei paesi del vicinato. La comunicazione congiunta valuta i risultati della nuova politica:

• L'UE ha riorientato i programmi di assistenza mettendo a disposizione un importo supplementare di 1 miliardo di euro da erogare nel 2011-2013 attraverso due programmi innovativi: SPRING per il vicinato meridionale e EaPIC per il vicinato orientale; ha portato a 1,15 miliardi di euro i massimali di prestito della Banca europea per gli investimenti; ha proposto e ottenuto l'estensione del mandato della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ai paesi del vicinato meridionale e orientale.

• In applicazione del principio “more for more”, che ricompensa le riforme, l'Unione ha sostenuto i partner che hanno intrapreso riforme politiche. L'assistenza finanziaria

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dell'UE alla Tunisia è raddoppiata, passando da 80 a 160 milioni di euro nel 2011. L'Unione è stata inoltre tempestiva nel ridurre le relazioni con i paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e nell'imporre una vasta gamma di sanzioni contro i regimi in questione, dirigendo invece il proprio sostegno verso la società civile e le popolazioni colpite.

• Parallelamente alla ripresa dei colloqui ufficiali “5+2” per la risoluzione del conflitto transnistriano nella Repubblica moldova, è stata intensificata la cooperazione con il governo moldovo, sono state varate misure UE di rafforzamento della fiducia su larga scala e sono state rivedute di volta in volta le sanzioni contro la Transnistria.

• A settembre è stato introdotto uno strumento per la società civile – con una dotazione iniziale di 26 milioni di euro per il 2011 e importi di simile entità previsti per il 2012 e il 2013 – a beneficio di tutti i paesi PEV.

Una volta terminata la valutazione, l'Alta rappresentante Catherine Ashton ha dichiarato: "L'anno scorso abbiamo rilanciato la nostra politica di vicinato per tener conto dei cambiamenti epocali in atto nei paesi attorno a noi. Questo riesame, il cui scopo era aumentare l'assistenza in funzione dei progressi compiuti in termini di riforme democratiche e economiche, sta dando i primi risultati. In alcuni paesi i progressi sono considerevoli. In altri, invece, dobbiamo incoraggiare i dirigenti politici ad adottare misure coraggiose sulla via delle riforme. Ho sempre detto che saremo giudicati in base al nostro operato nei confronti del vicinato diretto e sono convinta che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Continueremo ad aiutare i nostri partner a integrare i valori fondamentali e a rafforzare le riforme economiche necessarie per creare quella che chiamo "democrazia profonda". Štefan Füle ha aggiunto: “Pur evitando di autoincensarci, e ferma restando l'esigenza di una verifica oggettiva dell'efficacia della nostra nuova politica, è innegabile che essa poggia su solide basi e che ha sviluppato numerose iniziative le quali, ne sono certo, stanno già dando i loro frutti.” Vi sono stati notevoli progressi per quanto riguarda l'associazione politica con i paesi partner. Sono in corso negoziati per un accordo di associazione con la Repubblica moldova, la Georgia, l'Armenia e l'Azerbaigian. Si registrano passi avanti anche in termini di integrazione economica (le cosiddette zone di libero scambio globali e approfondite, parte integrante degli accordi di associazione); i negoziati sono stati avviati con la Moldova e la Georgia e inizieranno a breve con l'Armenia. Entro la fine dell'anno saranno probabilmente intavolati negoziati analoghi con la Giordania, il Marocco e la Tunisia. Nonostante il completamento dei negoziati su un accordo di associazione con l'Ucraina (comprendente una zona di libero scambio globale e approfondita) e la successiva sigla dell'accordo a marzo, le preoccupazioni che rimangono in merito alla situazione politica interna del paese potrebbero rallentare il processo di firma e ratifica, a meno che tali preoccupazioni non vengano fugate. Si osservano progressi considerevoli anche a livello di mobilità, con l'adozione di misure finalizzate alla liberalizzazione del visto con i partner orientali (Repubblica di Moldova, Ucraina e Georgia), la recente creazione di un partenariato per la mobilità con l'Armenia e il possibile avvio, a breve, di negoziati con l'Azerbaigian sullo stesso tipo di partenariato. Alla Bielorussia è stata fatta una proposta speciale in questo campo. Per quanto riguarda il vicinato meridionale, sono in corso dialoghi su migrazione, mobilità e sicurezza con il Marocco e la Tunisia, che spianeranno la via ai partenariati per la mobilità. La comunicazione propone di avviare un dialogo con la Giordania. Come richiesto dal Consiglio europeo del marzo 2012, il documento di lavoro su un "partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa" propone una roadmap che individua gli obiettivi, gli strumenti e gli interventi necessari per l'attuazione delle politiche dell'UE nei confronti dei partner del Mediterraneo meridionale. Come stabilito in occasione del vertice del partenariato orientale tenutosi a Varsavia nel 2011, una distinta comunicazione congiunta propone una roadmap fino al vertice del partenariato orientale dell'autunno 2013. La comunicazione descrive per la prima volta tutte le attività bilaterali e multilaterali svolte nell'ambito del partenariato orientale. La roadmap conferma l'impegno comune dell'UE e dei paesi partner dell'Europa orientale nei confronti delle riforme democratiche e della trasformazione economica e definisce un ambizioso programma di lavoro in previsione del vertice che si terrà l'anno prossimo a Vilnius. Essa darà slancio al

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conseguimento degli obiettivi del partenariato orientale, cioè accelerare l'associazione politica e intensificare l'integrazione economica dei paesi partner con l'UE, aumentare la mobilità dei cittadini in un ambiente sicuro e ben gestito e promuovere la cooperazione in un'ampia gamma di settori. "Il partenariato orientale affronta il problema delle trasformazioni incomplete" ha commentato l'Alta rappresentante Ashton. "Sono certa che la roadmap aiuterà i paesi partner ad accelerare la transizione verso la democrazia e l'economia di mercato fornendo uno strumento di monitoraggio a sostegno dei loro processi di riforma. Il sostegno dell'UE ai paesi partner sarà commisurato ai progressi tangibili da essi conseguiti in termini di riforme. È fondamentale, inoltre, che i partner si adoperino con rinnovato vigore per risolvere i conflitti che da troppo tempo devastano la regione. L'UE è pronta ad aumentare il sostegno ai paesi disposti a prendere decisioni coraggiose e a voltare pagina." Il Commissario Füle ha aggiunto: “Sono lieto di constatare che questo strumento strategico è stato elaborato in consultazione con gli Stati membri dell'UE, i nostri partner dell'Europa orientale e la società civile. La roadmap illustra chiaramente gli obiettivi del partenariato orientale a tutti i partner, le misure strategiche che essi dovrebbero adottare, il modo in cui l'UE contribuirà al conseguimento di questi obiettivi e i risultati che ci si possono aspettare dal prossimo vertice del partenariato orientale, che si terrà nell'autunno 2013."

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Approfondimenti

Osservatorio Mediterraneo Il nuovo numero dell’Osservatorio Mediterraneo offre una panoramica sulle reazioni dopo le elezioni presidenziali in Egitto, raccogliendo testimonianze e opinioni della società civile. Il numero si occupa poi degli esiti delle elezioni in Algeria, analizzandone i risultati da un punto di vista sociologico e fornendo un quadro sintetico dei partiti e delle figure chiave dello scenario politico. Completano il quadro un’intervista esclusiva a Moustafa Barghouti e un’analisi dei riflessi della crisi siriana sul Libano. Scarica il pdf (http://www.paralleli.org/allegati/approfondimenti/osservatorio_mediterraneo/Osservatorio_5.pdf) Vai all'archivio (http://www.paralleli.org/approfondimenti_elenco.php?cat=2) Turchia: crescita e integrazione economica Pubblichiamo un interessante paper di Franco Zallio, presentato in occasione della Conferenza organizzata da Cipmo a Milano il 12 giugno 2012, dal titolo "Turchia: l'integrazione economica in Europa e in Medio Oriente". Leggi il paper (http://www.paralleli.org/allegati/news/paper-zallio-1.pdf)

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Palestra Mediterranea

La transizione in Egitto: verso una nuova governance per uno sviluppo sostenibile Se la rivoluzione di gennaio 2011 è stata uno spartiacque nella storia recente egiziana che ha creato aspettative e speranze, più di anno dopo il sentiero verso la creazione di uno stato democratico resta incerto e pieno di rischi. Paralleli e German Marshall Fund pubblicano un nuovo policy brief a firma Wafik Grais, consulente economico e finanziario per diverse istituzioni internazionali ed ex collaboratore della Banca Mondiale. Scarica il Policy brief (http://www.paralleli.org/allegati/approfondimenti/policy_briefs/Policy_Brief_Grais.pdf)

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Segnalazioni

07-07-2012 Expo Médicale Tripoli La première Expo médicale est un rassemblement important pour les hommes d'affaires, les décideurs et les secteurs gouvernementaux dans le monde, y compris tous les secteurs médicaux sous un même toit, de présenter les dernières technologies et de participer à des projets de reconstruction de la Libye, qui couvre leurs besoins immédiats et urgents au cours des trois prochaines année. L'exposition Un vaste répertoire de salons professionnels médicaux et pharmaceutiques, la médecine / chirurgie de drogues des expositions, des foires commerciales, des équipements médicaux expos équipement périphérique et l'hôpital, le salon professionnel pharmaceutique, les soins dentaires foire commerciale de soins, salons de matériel de laboratoire et chirurgicale et tous les autres événements B2B ou Foires liées aux soins de santé et de l'industrie Pharma. Ce catalogue le plus à jour et contient des informations détaillées systématique de médicaments vitaux, produits de beauté et de fitness, des équipements hospitaliers, des instruments pharmaceutiques, accessoires de soins de santé, les cliniques d'équipements produits, de sauvetage et d'urgence, médicaux jetables, la conception et la construction l'hôpital, la gestion des déchets médicaux et les textiles médicaux les événements basés sur comme leur lieu, la date, l'organisateur et les profils de l'événement. Le comité préparatoire et d'organisation de l'exposition met l'accent sur l'importance de cet événement dans le développement de la réalité économique des pays; après que la Libye est venu de l'arrière pour s'engager dans le processus économique mondial. Grâce à ces expositions de la situation économique en Libye sera développé, car il est une méthode efficace et indispensable pour connaître les besoins de projets de reconstruction de la Libye. Contact : [email protected] / [email protected] More info: http://www.invest-in-med.eu/fr/agenda/fiche-Expo-M-dicale-2326.html

09-07-2012 Mostra "Il Palazzo della Farnesina e le sue Collezioni" Algeri, Palazzo del Rais, Bastion 23 Il Palazzo dei Rais - Bastion 23 ad Algeri ospiterà fino al prossimo 9 luglio la mostra "Il Palazzo della Farnesina e le sue Collezioni", promossa dall'Ambasciata d’Italia in collaborazione con il locale Istituto Italiano di Cultura ed il Centro delle Arti e della Cultura del Palazzo dei Rais. L'esposizione si propone di mostrare l'eccellenza del Made in Italy rivelandosi come un’irrepetibile opportunità per scoprire ed ammirare il design italiano. Quindici installazioni di design italiano, messe a disposizione da quattordici imprese fra le più conosciute del settore (Alessi, Fratelli Guzzini, Cerruti, Metalco, Venini…), trenta pannelli fotografici, storici e contemporanei del Palazzo della Farnesina, ed undici quadri di Domingo Notaro, pittore astratto e sperimentale, potranno essere ammirati sotto le volte suggestive e storiche delle sale del Palazzo 18. Le opere esposte fanno parte della “Collection Farnesina Design”, situata all’interno del Palazzo Farnesina di Roma, attuale sede del Ministero italiano degli Affari Esteri dal 1959. L'immenso Palazzo Farnesina, alto di 51 metri, dalle facciate in marmo di Carrara ed in travertino, costruito nel 1938 dagli architetti Enrico Del Debbio, Arnaldo Foschini e Vittorio Ballio Morpurgo, rappresenta uno stile architettonico razionalistico dalle forme geometriche e definite. Durante l'esposizione i visitatori potranno anche scoprire il design dell’automobile e delle moto italiane grazie ad una presentazione degli ultimi modelli delle marche

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Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Vespa e Piaggio che contribuiranno a valorizzare l'eccellenza del Made in Italy. L’Ambasciatore italiano Michele Giacomelli ha sottolineato che la mostra è una vetrina della creatività e dell'eccellenza italiana, ma anche una passerella ideale, un ponte tra due culture riunite grazie alla scelta felice del luogo, concesso gentilmente dal Ministero della Cultura. L’evento s'inscrive nella continuità ideale delle celebrazioni per il 150 anniversario dell'Unità d'Italia e vuole anche essere un omaggio italiano alle celebrazioni del 50° anniversario dell'indipendenza algerina, i cui festeggiamenti inizieranno il 5 luglio prossimo.

10-07-2012 Invest in Lombardy Milano, via Meravigli 9/b - ore 9,00 Il 10 luglio a Milano (ore 9, via Meravigli 9/b) incontro organizzato da Promos di Milano per presentare il progetto Invest in Lombardy “Attrarre nuovi investimenti esteri in Lombardia per migliorare la competitività dell’Italia”. Gli investimenti esteri sono una leva di sviluppo fondamentale: creano posti di lavoro, portano nuova liquidità all’economia, incrementano le relazioni commerciali con l’estero, aumentano la produttività delle imprese e favoriscono la circolazione di know how. Le aziende multinazionali interessate ad investire all’estero cercano di insediare il proprio headquarter nelle migliori aree di eccellenza a livello globale. La Lombardia e Milano rappresentano la porta d’accesso principale degli investimenti esteri in Italia (il 70% dei capitali stranieri diretti nel nostro Paese passa da questa regione). Portare nuove imprese e nuovi capitali in Lombardia significa creare le basi per ulteriori investimenti in Italia. Questa consapevolezza ha spinto Unioncamere Lombardia, le Camere di Commercio lombarde e Promos, con il supporto di Regione Lombardia, a dare vita al progetto Invest in Lombardy. Questa iniziativa ha lo scopo di:

• promuovere la Lombardia come destinazione del business internazionale con vantaggi competitivi comparabili a quelli dei principali gateway europei (Parigi, Londra, Francoforte e Madrid)

• intercettare i progetti di investimento delle aziende estere e indirizzarli verso la Lombardia

• assistere l’investitore straniero in tutte le fasi del processo di investimento, in collaborazione con società e professionisti privati lombardi.

L’incontro del 10 luglio - che si terrà a Palazzo Turati (sala Conferenze) - offre l’occasione per presentare l’iniziativa con il contributo di autorevoli rappresentanti del mondo delle imprese, delle istituzioni, della finanza e dell'università, insieme a imprenditori che hanno deciso di investire in Italia. Programma: http://www.mglobale.it/ImagePub.aspx?id=106709 Informazioni: Tel. 02 8515.5150 – 5151 [email protected]

12-07-2012 East Forum 2012. La sfida della crescita economica Roma, Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane 13 Il tema della politica industriale ha suscitato negli anni un acceso dibattito a livello internazionale spesso segnato da posizioni ideologiche che contrapponevano diverse visioni del ruolo dello stato e del mercato. Nella riflessione su come rispondere oggi alla sfida per una crescita economica sostenibile e duratura, East forum, promosso da Unicredit e OCSE, propone un confronto aperto sul tema della politica industriale, volto ad individuare nuovi modelli, priorità e strumenti capaci di portare sviluppo e crescita economica.

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La settima edizione dell’East Forum approfondirà una serie di temi urgenti relativi alla politica industriale e, grazie al prezioso contributo di esperti nazionali ed internazionali, offrirà un’occasione di dibattito e di confronto articolato in tre sessioni di lavoro. More info: http://www.eastforum.it/ita/index.php