Dante i De vulgari eloquentia / Dante e il De vulgari ...

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Dante i De vulgari eloquentia / Dante e il De vulgari eloquentia Rapo, Dragana Undergraduate thesis / Završni rad 2017 Degree Grantor / Ustanova koja je dodijelila akademski / stručni stupanj: University of Pula / Sveučilište Jurja Dobrile u Puli Permanent link / Trajna poveznica: https://urn.nsk.hr/urn:nbn:hr:137:601593 Rights / Prava: In copyright Download date / Datum preuzimanja: 2022-02-15 Repository / Repozitorij: Digital Repository Juraj Dobrila University of Pula

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Dante i De vulgari eloquentia / Dante e il De vulgarieloquentia

Rapo, Dragana

Undergraduate thesis / Završni rad

2017

Degree Grantor / Ustanova koja je dodijelila akademski / stručni stupanj: University of Pula / Sveučilište Jurja Dobrile u Puli

Permanent link / Trajna poveznica: https://urn.nsk.hr/urn:nbn:hr:137:601593

Rights / Prava: In copyright

Download date / Datum preuzimanja: 2022-02-15

Repository / Repozitorij:

Digital Repository Juraj Dobrila University of Pula

SVEUČILIŠTE JURJA DOBRILE U PULI

FILOZOFSKI FAKULTET

UNIVERSITÀ “JURAJ DOBRILA” DI POLA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Dragana Rapo

DANTE E IL DE VULGARI ELOQUENTIA

ZAVRŠNI RAD

TESI DI LAUREA TRIENNALE

PULA, 2017.

POLA, 2017

SVEUČILIŠTE JURJA DOBRILE U PULI

FILOZOFSKI FAKULTET

UNIVERSITÀ “JURAJ DOBRILA” DI POLA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

DANTE E IL DE VULGARI ELOQUENTIA

TESI DI LAUREA TRIENNALE

JMBAG / Numero matricola: 0303055555

Redoviti student / Studente regolare: Dragana Rapo

Studijski smjer / Corso di laurea: Latinski jezik i rimska književnost i talijanski jezik i

književnost / Lingua e letteratura latina e italiana

Predmet / Materia: Povijest talijanskog jezika / Storia della lingua italiana

Znanstveno područje: Humanističke znanosti

Znanstveno polje: Filologija

Znanstvena grana: Romanistika

Mentor / Relatore: dr. sc. Goran Filipi

Sumentorica / Correlatrice: dr. sc. Martina Damiani

PULA, 2017.

POLA, 2017

IZJAVA O AKADEMSKOJ ČESTITOSTI

Ja, dolje potpisani _________________________, kandidat za prvostupnika

______________________________________________ovime izjavljujem da je ovaj

Završni rad rezultat isključivo mojega vlastitog rada, da se temelji na mojim

istraživanjima te da se oslanja na objavljenu literaturu kao što to pokazuju korištene

bilješke i bibliografija. Izjavljujem da niti jedan dio Završnog rada nije napisan na

nedozvoljen način, odnosno da je prepisan iz kojega necitiranog rada, te da ikoji dio

rada krši bilo čija autorska prava. Izjavljujem, također, da nijedan dio rada nije

iskorišten za koji drugi rad pri bilo kojoj drugoj visokoškolskoj, znanstvenoj ili radnoj

ustanovi.

Student

______________________

U Puli, _________, ________ godine

IZJAVA

o korištenju autorskog djela

Ja, _______________________________________ dajem odobrenje Sveučilištu

Jurja Dobrile

u Puli, kao nositelju prava iskorištavanja, da moj završni rad pod nazivom

___________________________________________________________________

___________________________________________________________________

________________ koristi na način da gore navedeno autorsko djelo, kao cjeloviti

tekst trajno objavi u javnoj internetskoj bazi Sveučilišne knjižnice Sveučilišta Jurja

Dobrile u Puli te kopira u javnu internetsku bazu završnih radova Nacionalne i

sveučilišne knjižnice (stavljanje na raspolaganje javnosti), sve u skladu s Zakonom o

autorskom pravu i drugim srodnim pravima i dobrom akademskom praksom, a radi

promicanja otvorenoga, slobodnoga pristupa znanstvenim informacijama.

Za korištenje autorskog djela na gore navedeni način ne potražujem naknadu.

U Puli, _______________ (datum)

Potpis

___________________

INDICE

1. INTRODUZIONE......................................................................................................1

2. DANTE ALIGHIERI..................................................................................................3

2.1. La vita di Dante...................................................................................................3

2.2. Le opere.............................................................................................................5

2.3. Il «Padre della lingua»........................................................................................8

3. IL TRECENTO........................................................................................................10

3.1. La lingua italiana nel Trecento.........................................................................10

3.2. Il latino e il volgare............................................................................................12

4. IL DE VULGARI ELOQUENTIA.............................................................................14

4.1. Il progetto..........................................................................................................14

4.2. La sintesi del De vulgari eloquentia..................................................................16

4.3. Il volgare secondo Dante..................................................................................20

4.4. Una critica al De vulgari eloquentia..................................................................22

5. CONCLUSIONE.....................................................................................................24

6. BIBLIOGRAFIA......................................................................................................26

7. SITOGRAFIA.........................................................................................................27

8. DANTE E IL DE VULGARI ELOQUENTIA (RIASSUNTO IN ITALIANO).............28

9. DANTE I DE VULGARI ELOQUENTIA (SAŽETAK NA HRVATSKOM)...............29

10. DANTE AND DE VULGARI ELOQUENTIA (SUMMARY IN ENGLISH).............30

«Di questo si parlerà altrove più compiutamente in uno libello ch'io intendo di fare,

Dio concedente, di Volgare Eloquenza»

Dante Alighieri, Convivio, I, V, 9

1

1. INTRODUZIONE

Dante Alighieri è un letterato che ha dato un contributo molto importante alla lingua

italiana.

Dante comincia a dare vita alle sue teorie linguistiche, interessandosi al volgare e

uguagliandolo per prestigio al latino. Il suo interesse per la lingua volgare Dante lo

esprime nel trattato intitolato il De vulgari eloquentia che è il tema principale della

presente tesi.

Il trattato è stato studiato da vari critici e storici della lingua italiana tra cui Bruno

Migliorini, Claudio Marazzini, Vittorio Coletti e Mirko Tavoni; si metteranno qui in luce

le varie teorie sorte finora e si esamineranno le caratteristiche del De vulgari

eloquentia, cioè la struttura dell’opera e il modo in cui Dante percepisce il volgare.

Nel primo capitolo si inizierà a parlare di Dante e di come è stato costretto a lasciare

la sua città natale, Firenze. Poi si analizzeranno brevemente le sue opere, dove non

si può dimenticare La Divina Commedia con la quale l'autore ha impostato la base

della lingua italiana così come la conosciamo oggi. Mentre alla fine di questo capitolo

si tenterà di spiegare perché Dante è stato definito il «padre della lingua» italiana.

Nel secondo capitolo si entrerà nella sfera del Trecento prendendo in considerazione

la lingua e nominando gli autori che hanno dato un importante contributo al volgare.

Naturalmente, si parlerà soprattutto di Dante e delle sue opere, in prosa e in poesia,

che hanno arricchito la lingua e la storia della letteratura italiana. In questo paragrafo

si inserirà inoltre una correlazione tra il latino e il volgare per approfondire le

concezioni sulle due lingue nel XIV secolo.

L'ultimo capitolo della tesi, che è quello più rilevante, sarà interamente incentrato sul

De vulgari eloquentia in cui Dante offre tante spiegazioni non solo per quanto

riguarda la lingua e le sue origini, ma anche sul volgare che deve essere usato in

letteratura.

Nella prima parte di questo grande capitolo si parlerà in generale del De vulgari

eloquentia considerando anche il progetto dell'opera. Poi seguirà una sintesi in cui si

2

specificherà la struttura dell'opera e gli argomenti trattati, per determinare su quali

punti l’autore si voleva soffermare.

Si tenterà, quindi, di esaminare la visione di Dante su quello che doveva essere il

volgare illustre usato dai letterati.

Nell'ultima parte di questo capitolo saranno messe in risalto le critiche rivolte al De

vulgari eloquentia inerenti alle difficoltà incontrate da Dante nel definire il volgare

illustre che doveva essere utilizzato dagli intellettuali italiani, ma anche sulle

incoerenze presenti nel primo rilevante trattato sul volgare.

3

2. DANTE ALIGHIERI

2.1. La vita di Dante

Dante Alighieri (il nome è la forma accorciata del vero nome di battesimo che è

Durante di Alighiero degli Alighieri) è nato a Firenze nel 1265, da una famiglia della

piccola nobiltà guelfa1.

Ha studiato grammatica e filosofia a Firenze, probabilmente presso i francescani di

S. Croce, retorica forse con Brunetto Latini e infine a Bologna, dove si trovava nel

1287 circa. Iniziò a comporre versi in giovane età, tanto che risalirebbe ai suoi 18

anni il primo sonetto che ci è pervenuto nella Vita Nova, scritto in onore di Beatrice2

che viene tradizionalmente identificata con l’omonima figlia di Folco Portinari, data in

sposa a Simone de’ Bardi, e morta di parto nel 12903.

Dopo Bologna, si iscrisse alla corporazione dei medici e degli speziali per iniziare la

carriera politica4. Nel 1300 le sue responsabilità politiche aumentarono, e Dante

divenne uno dei Priori di Firenze, dedicando la maggior parte delle sue energie a

contrastare i piani espansionistici di papa Bonifacio VIII. Questi infatti, approfittando

del conflitto presente a Firenze fra i guelfi che si erano divisi in Bianchi, capeggiati

dalla famiglia dei Cerchi, e i guelfi Neri guidati da quella dei Donati, cercava di

estendere la sua autorità su tutta la Toscana. Nell’ottobre del 1301 il papa inviò a

Firenze Carlo di Valois, fratello del re di Francia, apparentemente come paciere: ma

in realtà Carlo aveva l’incarico di debellare i Bianchi (di cui faceva parte anche

Dante). Mentre Dante si trovava a Roma come ambasciatore del comune di Firenze

presso il Pontefice, i Neri conquistarono, con uccisioni e violenze, il potere,

cacciando diverse famiglie avversarie. Dante stesso fu «condannato all’interdizione

1 E. Cerchi – N. Sapegno, Storia della letteratura italiana, Garzanti, Milano, 1965, p. 7. Della madre,

morta prematuramente, non sappiamo che il nome, Bella, mentre il padre, Alighiero di Bellincione di Alighiero, è morto intorno al 1283. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/dante-alighieri (Consultato il 10/8/2017). 2 Ibid.

3 https://www.liberliber.it/online/autori/autori-a/dante-alighieri/ (Consultato il 10/8/2017)

4 Si ricorda che «gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella riservavano il governo del comune

solo ai cittadini iscritti a una delle corporazioni d’arti e mestieri». Ibid.

4

perpetua dai pubblici uffici, a una multa e all’esilio per due anni, per furto del denaro

pubblico, azioni ostili verso il papa e la città (non essendosi presentato a discolparsi

fu condannato ad essere bruciato vivo se fosse caduto in mano al Comune)». Dal

1302 comincia, quindi, il periodo dell’esilio, durante il quale comporrà le sue opere

maggiori, che durerà fino alla morte del poeta. Non mancano i tentativi di essere

riamesso a Firenze, e con le sue opere tentava di acquisire maggiori meriti di fronte

all’opinione pubblica (per lungo tempo coltivò l’illusione di poter essere richiamato

nella sua città come riconoscimento della sua grandezza culturale). Inoltre, nel 1310

il nuovo imperatore Arrigo VII scese in Italia e Dante scrisse delle lettere per esortare

i potenti ad accogliere colui che poteva riportare la pace. Ma nel 1313 Arrigo morì

improvvisamente e Dante abbandonò ogni speranza di tornare a Firenze. Nei suoi

pellegrinaggi per l’Italia, fu ospite di diverse influenti famiglie, tra cui negli ultimi anni,

ricorderemo l’aiuto che gli è stato dato da Can Grande della Scala a Verona e da

Guido Novello da Polenta a Ravenna. Qui portò a termine l’ultima parte della

Commedia, di cui era già stata pubblicata prima del 1315 la prima cantica, l’Inferno.

Lo scrittore muore a Ravenna nel 13215.

5 https://www.liberliber.it/online/autori/autori-a/dante-alighieri/ (Consultato il 10/8/2017)

5

2.2. Le opere

Per quanto riguarda le maggiori opere di Dante, è necessario iniziare dalla Divina

Commedia, il suo capolavoro che è costituito da tre cantiche (Inferno, Purgatorio,

Paradiso), della quale è difficile stabilire con esattezza l’anno in cui è iniziata la sua

stesura.

Secondo alcune ipotesi la stesura del poema sarebbe iniziata prima dell’esilio, con la

composizione dei primi sette canti dell’Inferno, è poi proseguita dopo il 1306. Le

ipotesi più verosimili fanno risalire l’avvio della stesura agli anni 1304-5 o 1306-7,

quando Dante lasciò incompiuti il Convivio e il De vulgari eloquentia per dedicarsi

alla sua Commedia. A quanto pare, le tre cantiche, composte in periodi differenti,

furono comunque difuse separatamente6.

L’aggettivo Divina fu usato per la prima volta da Boccaccio nella sua biografia

dantesca (Trattatello in laude di Dante). Il titolo originale è semplicemente Commedia

e nella forma più antica Comedia7.

Dante, nell’opera, racconta, in prima persona, il suo viaggio oltremondano che per lui

è anzitutto un percorso di redenzione e riscatto, un’operazione ascetica che conduce

alla verità e alla salvezza. Nello stesso tempo vuole offrirsi, secondo i canoni della

letteratura morale medievale, come immagine esemplare di ogni esperienza umana.

In questo senso la Commedia è un’opera dottrinale, che trasmette verità religiose,

morali e filosofiche8.

Ricorderemo, invece, solamente le caratteristiche principali delle altre sue opere, tra

cui: Le Rime, La Vita Nova, Il Convivio, il De vulgari eloquentia, trattato che sarà

approfondito nei capitoli successivi di questo lavoro, ed il De monarchia.

All’interno delle Rime sono state fatte confluire tutte le liriche di Dante non comprese

nella Vita nova o nel Convivio, e riunite secondo determinati nuclei tematici che

6 G. Ferroni - A. Cortellessa - I. Pantani - S. Tatti, Storia e testi della letteratura italiana, La crisi del

mondo comunale (1300-1380), Mondadori Università, Milano, 2007, p. 19. 7 Per il significato del titolo dell’opera e altri approfondimenti vedi Ivi, p. 21.

8 Ivi, p. 22.

6

evidenziano anche un diverso stile poetico dell’autore: abbiamo così le «liriche

giovanili» che si richiamano a Guittone d’Arezzo, quelle «stilnoviste» il cui modello è

rappresentato da Guinizelli e Cavalcanti, le «rime nove» che presentano un

allontanamento dal modello stilnovistico, altre liriche che si richiamano alla poesia

comico-realistica, le «canzoni dottrinali» e, infine, le così dette «rime petrose»

caratterizzate dall’asprezza dello stile e dedicate alla crudele donna Pietra che non

ricambia il suo amore9.

Al suo prosimentro, la Vita nova, che presenta le rime dedicate a Beatrice, Dante

lavorò probabilmente tra il 1292 e il 1293. Alle poesie si accompagna una prosa che

narra vicende, descrive situazioni e fornisce commenti dei testi stessi. L’intento di

Dante è quello di presentare una vicenda autobiografica, quella del suo amore per

Beatrice, ma anche la sua «avventura intellettuale». Dante cerca anzitutto nella

scrittura una «consolazione» per la morte e la perdita del suo amore10.

Il Convivio doveva essere composto di quindici parti: una di introduzione generale e

quattordici di commento ad altrettante canzoni. Dante ne porta a termine solamente

quattro: quella introduttiva e altri tre commenti dedicati a tre delle sue rime di

contenuto filosofico. Il titolo Convivio, che significa «banchetto», si riferisce

all’intenzione di offrire il cibo della sapienza a quanti ne erano privi: l’opera vuole

inquadrare in un organismo unitario tutti i temi della cultura del tempo, dalla teologia

alla filosofia alla politica, secondo la mentalità enciclopedica tipica della letteratura

didattica medievale11.

Il De vulgari eloquentia, il trattato scritto tra il 1303 e il 1305 è un’opera incompiuta in

quanto si ferma al capitolo XIV del secondo dei quattro libri di cui doveva essere

formato12, come si vedrà in manierà più approfondita nel terzo capitolo.

Si terminerà questo elenco con un altro trattato in latino, strutturato in tre libri, il De

monarchia, di data incerta ma probabilmente scritto dopo la discesa in Italia di Arrigo

VII. In esso Dante affronta il tema, già toccato nel Convivio, della monarchia

9 http://www.museocasadidante.it/dante/le-altre-opere/ (Consultato il 12/8/2017)

10 G. Ferroni - A. Cortellessa - I. Pantani - S. Tatti, Storia e testi della letteratura italiana, La crisi del

mondo comunale (1300-1380), Mondadori Università, Milano, 2007, pp. 8-9. 11

G. Armellini - A. Colombo, Letteratura Letterature, Guida storica dal Duecento al Cinquecento, Zanichelli, Bologna, 2005, p. 46. 12

http://www.museocasadidante.it/dante/le-altre-opere/ (Consultato il 12/8/2017)

7

universale, e sffera un appassionato attacco alle tesi teocratiche formulate da quello

che era diventato il suo nemico, Bonifacio VIII, che volevano l’imperatore subordinato

al papa.

Poco dopo la morte di Dante, nel 1329, il De monarchia sarà bruciato pubblicamente

come libro eretico, per essere stato concepito come uno scritto che aveva l’intento di

«distruggere con la frode la verità salvifica»13.

13

G. Armellini - A. Colombo, Letteratura Letterature.Guida storica dal Duecento al Cinquecento, Zanichelli, Bologna, 2005, p. 48.

8

2.3. Il «Padre della lingua»

Dante è stato il più grande poeta che l’Italia abbia mai avuto, ed è stato il primo a

credere nell’italiano, motivo per cui è definito il «padre della lingua italiana». Nel XIV

secolo, cioè nel periodo in cui lui è vissuto, si considerava il latino una lingua perfetta

con la quale non potevano confrontarsi le lingue romanze. Dante, invece, ha

dichiarato che il volgare valeva quanto il latino, e poteva servire anche per scrivere

opere di alto valore letterario: ed è per questo che proprio in volgare ha scritto l’opera

più nota della letteratura italiana: la Divina Commedia. Dante l’ha scritta nella sua

lingua materna, cioè il fiorentino del Trecento, e l’ha fatta «funzionare» in tutti i livelli

stilistici, usando espressioni elegantissime ma anche espressioni basse (in certi punti

della Divina commedia Dante adopera perfino parolacce). La Divina Commedia ha

avuto così tanto successo che il fiorentino di Dante, con qualche trasformazione, è

diventato la base dell’italiano attuale. Come afferma il linguista Tullio De Mauro14

addirittura l’81,5% delle parole che usiamo oggi, nell’italiano di tutti i giorni, sono già

presenti nella Divina Commedia. Certo, alcune di questi termini col tempo hanno

cambiato significato. Per esempio, la parola «gentile» per Dante significava «nobile

di sentimenti», oggi invece indica una persona cortese e ben educata. Comunque

una vasta gamma di parole e dei loro significati è rimasta la stessa15.

Per tale motivo due affermazioni in particolare sull’italiano sono indiscutibili e

universalmente accettate, e cioè che l’italiano (al pari delle altre lingue romanze,

dette inoltre neolatine) derivi dal latino e che Dante ne sia appunto il padre. La lingua

è certamente l’elemento di più sicura identità per la fisionomia storica dell’Italia, e il

tentativo di unificazione linguistica teorizzato da Dante nel suo trattato precede di

almeno cinque secoli la nascita dello Stato italiano16.

Secondo Bruno Migliorini, «tutta l’opera di Dante ha una carica spirituale nuova e

potente, che in breve tempo opera un rivolgimento nell’opinione pubblica in Toscana

e fuori, e fa d’un balzo assurgere l’italiano al livello di grande lingua, capace di alta

14

T. De Mauro, La fabbrica delle parole, Il lessico e problemi della lessicologia, UTET Libreria, Torino, 2005, p. 125. 15

http://www.italiano.rai.it/articoli/dante-padre-della-lingua-italiana/20298/default.aspx (Consultato il 13/8/2017) 16

http://www.altritaliani.net/spip.php?article949 (Consultato il 13/8/2017)

9

poesia e di speculazioni filosofiche». Nonostante il pensiero di Dante risulta ancora,

per tutti i suoi elementi, intimamente legato al pensiero medievale, egli è sicuramente

il primo laico che nell’Europa cristiana assurge a dominare tutta la cultura del

tempo»17. Si può asserire, come sostenuto da Francesco Bruni, che Dante «ha

inventato l’italiano», prima della composizione dell Commedia e molto prima rispetto

ai due altri grandi trecentisti, Petrarca e Boccaccio18.

17

B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1978, p. 179. 18

F. Bruni, L’italiano letterario nella storia, il Mulino, Bologna, 2002, p. 33.

10

3. IL TRECENTO

3.1. La lingua italiana nel Trecento

«Il Trecento è uno dei periodi più importanti nella storia della lingua italiana»: non

solo perché in questo secolo la lingua e la letteratura hanno «toccato il culmine della

perfezione», come ritennero, autori come il Bembo, il Salviati e il Cesari, ma perché

effettivamente nel Trecento «vissero e operarono i tre scrittori che furono i principali

modelli linguistici» per l’italiano19.

Nel trecento il fiorentino si affermò come lingua italiana e a ciò contribuì

soprattutto Dante Alighieri, non solo per le teorie espresse nel De vulgari eloquentia,

ma soprattutto per il successo della sua Divina Commedia. Nel De vulgari eloquentia

dimostra che nessun dialetto può assurgere a lingua nazionale, ma gli pare che tale

lingua debba ricercarsi in un linguaggio a cui partecipino tutte le parlate italiane e

che non risieda, però, in nessuna di esse nello specifico. Una lingua, quindi, diversa

qualitativamente da ciascuna delle parlate in Italia, che sarà «costruita» dai letterati

stessi. Insomma il linguaggio letterario deve essere un «linguaggio unitario elaborato

dagli scrittori, che prenderanno dai diversi volgari gli elementi per costruirlo»20.

Secondo Dante, per uno stile sublime ed elevato bisogna usare la lingua dei poeti

siciliani perfezionata poi nel Dolce Stil Novo, consacrando così anche la preminenza

del fiorentino, usato da quest’ultima scuola poetica. Prima della Commedia la lingua

letteraria era caratterizzata dalla preminenza del latino, dall'uso sporadico del

francese e del provenzale e dai vari tentativi dei volgari italiani di elevarsi al disopra

della «rozzezza del parlato». Con la Commedia nasce un'opera di notevole pregio

artistico, che eleva la rilevanza del volgare e in particolare del fiorentino, offrendo un

reale modello di lingua capace di “funzionare” a tutti i livelli stilistici21.

Hanno avuto un’enorme influenza sulla nostra lingua pure due altri grandissimi

fiorentini del Trecento: Petrarca e Boccaccio. Essi verso la fine del Cinquecento

19

B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1978, p. 195. 20

http://win.robertopolito.it/lingua_italiana/TRECENTO.htm (Consultato 15/8/2017) 21

Ibid.

11

furono indicati dal Bembo, nel trattato dialogico Prose della volgar lingua (1525),

come modelli rispettivamente per la poesia e per la prosa. Petrarca nelle sue due

uniche opere in volgare, il Canzoniere e i Trionfi, usò pochissimi neologismi e invece

molti latinismi e i termini più elevari del fiorentino, permettendo alla sua opera di

diventare un modello per tutti i letterati italiani. Il Boccaccio invece nel Decameron

fece notevole uso della lingua parlata, usando nelle sue novelle un volgare che ben

rappresentava la società composita del Medioevo22.

22

http://win.robertopolito.it/lingua_italiana/TRECENTO.htm (Consultato il 15/8/2017)

12

3.2. Il latino e il volgare

Dante sceglie di esprimersi in alcuni suoi scritti, come il De vulgari eloquentia, in

latino (la lingua grammaticale per eccellenza) per rivolgersi a un pubblico colto,

quello che appunto usava ancora il latino e dare così al volgare (che non aveva

ancora una sua grammatica scritta) una maggiore dignità. Il latino nel Trecento

aveva già subito una semplificazione e iniziava ad essere utilizzato soltanto per

scrivere argomenti della massima importanza (tra cui opere di medicina, giustizia e

religione) o per i trattati internazionali (dal momento che poteva arrivare a un

pubblico più vasto, non limitato alla sola Italia).

La forte tendenza ad estendere l’uso del volgare ad argomenti per cui prima si

adoperava solo il latino rappresenta senza dubbio un notevole vantaggio per la

«lingua nuova», ma in un certo modo sminuisce la rilevanza e l’egemonia linguistica

che il latino aveva avuto fino a quel momento23.

L’importanza del volgare rispetto al latino aumenta decisamente nel Trecento, sia

negli usi pratici sia in quelli letterari, però la corrispondenza di carattere pubblico

continua in generale in latino: la tradizione è assai forte nelle cancellerie, ma anche

nei diversi saperi, come la scienza24. Quindi accanto al latino, l’uso del volgare si

estende largamente in questo secolo in tutta la legislazione statutaria, dove «è

sempre vivo l’uso di leggere in volgare le deliberazioni proposte all’approvazione e,

dopo, di comunicarle al pubblico. Ma ciò non basta: si sente anche il bisogno che le

versioni siano messe per iscritto»25.

Il latino, considerato una lingua «perfetta, artificiale e immutabile», era molto più

sofisticato del volgare, ma era ormai conosciuto a ottimi livelli soltanto da pochi

privilegiati. Il volgare, invece, era usato da tutti, e gli scrittori avrebbero potuto

contribuire a migliorarlo. Infatti, questo, secondo Dante, sarebbe diventato molto

presto un «sole nuovo» «capace di oscurare il latino, destinato a un tramonto

inarrestabile»26.

23

B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1978, p. 198. 24

Ivi, p. 199. 25

Ibid. 26

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm

13

Nell’uso letterario, il volgare acquista nuovi campi sul latino e sempre più autori

scelgono di comporre in volgare. Per esempio, il Convivio è una conscia

affermazione della maturità del volgare per difficili trattazioni filosofiche, proprio con

l’intento che il sapere venga diffuso anche a coloro che non conoscevano il latino27.

27

B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1978, p. 200.

14

4. IL DE VULGARI ELOQUENTIA

4.1. Il progetto

Il De vulgari eloquentia rappresenta sicuramente il trattato con cui Dante dichiara che

il suo intento è quello di cercare giovare alla lingua delle genti volgari, precisamente

«prodesse locutioni vulgarium gentium»28 e di illuminare il discernimento di coloro

che come ciechi si aggirano per le piazze, nell’originale «discretionem aliqualiter

lucidare illorum qui tanquam ceci ambulant per plateas»29. Quindi nella sua opera

l’autore si propone di insegnare, ad uso e beneficio dei più, una «dottrina del parlare

non a caso, ma con discernimento e a regola d'arte»; fornire un mezzo espressivo,

analogo a quello già esistente e minutamente svolto per le lingue dei dotti,

«nell'ambito di quell'eloquenza volgare, che è patrimonio di tutti gli uomini». Nello

specifico: «Il procedimento di cui l'autore si serve per svolgere il suo assunto è quello

proprio della scienza medievale: ricondurre i dati della storia e dell'esperienza attuale

ai principi logici che fornisce l'analisi deduttiva, attingendo a tutte le fonti della

dottrina biblica, filsofica, grammaticale e rettorica, fino alle artes dictaminis e alle

poetriae medievali e ai trattati di stilistica e di versificazione della tarda cultura

provenzale, ma rielaborando poi tutto questo cumulo di nozioni e rifondendolo al

lume di una visione organica e personale»30.

L'opera, o perlomeno gran parte del I libro è stato probabilmente composto verso il

mese di febbraio del 1305, e risale quindi al primo periodo dell'esilio31.

Alla fine del primo libro, Dante espone sinteticamente il programma degli «inmediatis

libris» [libri seguenti]: si tratterà dei «quos», cioè coloro che reputo degni di usare il

volgare; i «propter quid» [per quali], cioè i contenuti ammessi, quindi il «quomodo»

[in che modo]. Si esamineranno quindi altri argomenti come il metro, fino

all'interruzione del quattordicesimo capitolo. Dante specifica poi «ubi» [dove],

28

V. Coletti, Introduzione, traduzione e note, in D. Alighieri, De vulgari eloquentia, Garzanti, Milano, 2011, p. 2. 29

Ibid. 30

E. Cerchi - N. Sapegno, Storia della letteratura italiana, Garzanti, Milano, 1965, pp. 47-48. 31

Ibid.

15

«quando», «ad quos», e quindi a chi sono dedicati i temi previsti per la parte

mancante del secondo libro e forse anche di altri «immediatis» [seguenti]32. Ma

Dante pensava di procedere ancora oltre, per toccare l’«inferiora vulgaria» [i volgari

inferiori], discendendo «gradatim», gradualmente, da quello illustre «ad illud quod

unius solius familie proprium est»33 [fino a quello che è proprio di una sola famiglia]34.

Difficile dire in quanti libri fosse immaginato un progetto così vasto che comprendeva

tante varietà e svariati usi del volgare. E forse non lo sapeva neppure l'autore, che

esponeva in quel luogo quella che sembra essere «più un'idea che un ben delineato

pogramma di lavoro»35.

All'inizio del secondo libro, invece, dopo aver osservato che il volgare illustre italiano

è degno sia della poesia, sia della prosa, Dante precisa che, vista una certa

superiorità della poesia, procederà dalla metrica, «primo secundum quod metricum

est»36 [a partire dal linguaggio in versi], mentre di seguito avrebbe parlato della prosa

in volgare «secundum quod prosaycum est»37: sarà stato forse questo l'argomento

del terzo libro, invece mai composto? Conosciamo in realtà il tema previsto per il

quarto libro visto che a questo si fa riferimento in varie parti dell'opera, in cui

annuncia che tratterà «de mediocri vulgari»38 [di mezzi volgari], dello stile «comice»

[comico] in cui si usa «quandoque mediocre quandoque humile vulgare»39 [ora un

volgare mezzano ora quello umile]. Di più non è dato ipotizzare su un progetto

rimasto così bruscamente interrotto40.

32

V. Coletti, Introduzione, traduzione e note, in D. Alighieri, De vulgari eloquentia, Garzanti, Milano, 2011, p. 14. 33

Ivi, p. 50. 34

Ivi, p. 14. 35

Ibid. 36

Ivi., p. 52. 37

Ivi, p. 26. 38

Ivi, p. 64. 39

Ibid. 40

Ivi, pp. 14-15.

16

4.2. La sintesi del De vulgari eloquentia

Per Dante è più «nobile» la lingua parlata che quella scritta, perché risulta più antica

e naturale, mentre la grammatica (il latino) è artificiale ed è disponibile a un gruppo

ristretto di persone colte. Mentre la lingua orale «si apprende per imitazione», quella

scritta solo dopo lungo studio. La grammatica allora coincideva con il latino e in

occidente serviva a distinguere gli intellettuali dagli analfabeti, in grado di parlare solo

in volgare. Oggi tuttavia sappiamo che il latino non è affatto una lingua artificiale, ma

una lingua storico-naturale come i tanti «volgari» parlati in Europa nel Medioevo, con

la differenza che il latino, diversamente dai volgari d'Europa, aveva avuto da secoli

una fissazione scritta (attraverso la stesura di importanti opere letterarie) e una

sistemazione (grazie alla pubblicazione di numerosi trattati grammaticali). Per gli

intellettuali europei del tempo di Dante, invece, il carattere artificiale del latino era un

fatto certo. Ma mentre per loro questo era un pregio, Dante lo giudicò un limite che

permetteva di ritenere il volgare all'altezza del latino41.

Un’altra questione di cui si occupa Dante nel trattato è l’origine della parola, in

quanto questa permette di distinguere l'umano da tutti gli altri esseri viventi. Ogni

altro essere vivente al massimo imita il suono della parola umana, senza

comprendere il vero significato, se non in una maniera molto elementare. La parola

serve per permettere agli uomini di comprendersi, e per farlo «si serve del suono che

viene percepito attraverso la ragione e i sensi»42.

Dante si chiede ancora, chi fu il primo umano a parlare e, leggendo la Genesi, reputa

che sia stata una donna, Eva, prendendo in considerazione l'episodio del serpente.

In seguito però fa capire che un'azione così nobile non può essere stata compiuta

dalla donna prima che dall'uomo, per cui dichiara: «Et sic patet soli homini datum

fuisse loqui»43 [È dunque chiaro che la facoltà di parlare è stata data solo all’uomo].

Influenzato inoltre dalla cultura religiosa del tempo, Dante sostiene che la prima

41

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017) 42

Ibid. 43

D. Alighieri, De vulgari eloquentia, Traduzione e saggi introduttivi di C. Marazzini e C. Del Popolo, Oscar Mondadori, Milano, 1990, p. 10.

17

parola di senso compiuto detta dall'uomo deve essere stata certamente «El», cioè

Dio, come si riporta nel seguente passo:

Quid autem prius vox primi eloquenti sonaverit, viro sane mentis in promptu

esse non titubo ipsum fuisse quod «Deus» est, scilicet El, vel per modum

interrogationis vel per modum responsionis44. [Quanto poi a ciò che la voce

del primo parlante abbia fatto risuonare per la prima volta, non esito ad

affermare che chiunque sia sano di mente capisce che questa parola fu «Dio»,

cioè El, pronunciato in forma di domanda o in forma di risposta]45.

Nella ricostruzione della storia dell’umanità da Adamo alla confusione babelica,

Dante rielabora argomentazioni che rinviano ai classici commenti alla Genesi diffusi

nel Medioevo, tra cui i testi di Sant’Agostino. In questo e in altri autori era

consuetudine impostare la ricerca sulle origini del linguaggio e sulla storia degli

idiomi assumendo l’autorità della Genesi come punto di riferimento46.

Dante precisa inoltre, che è sicuramente la religione a qualificare l'essere umano,

come lo dimostrerebbe il fatto che gli animali, non essendo a immagine divina, non

hanno alcuna religione. Proprio per percepirsi diverso dall'animale, per l'uomo è più

importante «essere sentito» che «sentire», cioè, «sentirsi in correlazione con

qualcuno, che non avere semplicemente l'udito per ascoltare i suoni. Il dono più

importante che Dio fece all'uomo, nel giardino dell'Eden, fu proprio il linguaggio»47.

Un’altra domanda rilevante che affronta Dante è legata alla prima lingua usata

dall’uomo che, secondo lui, fu quella della Bibbia, e cioè l'ebraico. La nascita della

varietà linguistica sarebbe invece dovuta all’episodio biblico della costruzione della

torre di Babele, con la considerazione però che la diversità era dovuta alla varietà dei

mestieri e della provenienza geografica dei lavoratori. La sua idea è quindi innovativa

44

Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, Traduzione e saggi introduttivi di C. Marazzini e C. Del Popolo, Oscar Mondadori, Milano, 1990, p. 14. 45

Ivi, p. 15. L’autore precisa inoltre che Dio non può aver parlato all'uomo così come l'uomo gli ha risposto, proprio perché se l'uomo avesse potuto ascoltarlo nella stessa maniera degli angeli, Dio non avrebbe neppure avuto bisogno di parlargli. http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017). 46

Ibid. 47

Ibid.

18

in quanto prende in considerazione l’esistenza di una «naturale instabilità delle lingue

nello spazio e nel tempo, a causa dalla mutabilità delle convenzioni umane»48.

L’attenzione di Dante si concetra poi sull’Europa e sul tenativo di fornire una

classificazione linguistica a seconda delle varie zone geografiche. Nei paesi del Nord

e del Nord-Est (germanici e slavi) ritiene che si parlino lingue in cui l’affermazione

«sì» si dice iò; nei paesi del Centro-Sud invece si userebbe la lingua d’oil

(l'attuale oui) che è l'idioma della Francia settentrionale (esclusa la Bretagna)49, la

lingua d’oc (hoc est = questo è) che è l'idioma della Francia meridionale (provenzale,

l’occitanico) che arriverebbe sino a Genova50, mentre in Grecia e nelle zone orientali

invece era diffuso il greco. La parte centrale del suo trattato è invece focalizzata su

quello che lui definisce il volgare del sì (sic est = così è) che è l'idioma italiano.

Questa, in breve, è l’Europa linguistica secondo Dante, il quale, «sempre

procedendo dal generale al particolare e avendo come obiettivo una trattazione

approfondita dell’area italiana», approfondisce le sue analisi incentrandole nello

specifico su quel gruppo linguistico costituito dal francese, dal provenzale e

soprattutto dall’italiano, del quale presenterà la vastità e la diversità tra volgari della

Penisola51.

Tra questi volgari, si riassumono a grandi linee le caratteristiche di quelli

maggiormente citati. Dante si chiede infatti quale sia il volgare più colto e illustre

d'Italia e dopo aver distinto i quattordici gruppi principali di volgare li identifica in due

singoli gruppi secondo i due versanti tirrenico e adriatico dell'Appennino. Tra questi

nomina il romano, il siciliano, importantissimo perché qui è nata la prima scuola

poetica, anche se lo ritiene «illustre al tempo di Federico II di Svevia e di Manfredi»

mentre poi si è «imbarbarito»52.

48

Ibid. 49

Lungo una linea di demarcazione linguistica estesa da Amiens a Lione (come noto alle varietà della lingua d'oil occorre aggiungere l'anglo-normanno, introdotto in Inghilterra dalla conquista normanna del 1066 come lingua letteraria e dell'amministrazione). 50

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017) 51

C. Marazzini, La lingua italiana.Profilo storico, il Mulino, Bologna, 2002, p. 205. Secondo Dante i tre principali idiomi europei hanno una medesima radice. Però questo non significa che ogni idioma, preso singolarmente, sia rimasto sempre immutato; al contrario, esso si è continuamente evoluto. 52

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017)

19

Fra i toscani, in particolare, sono nominati eccellenti letterati in volgare, come Guido

Cavalcanti, tuttavia il toscano parlato non è definito certo illustre, anzi lo definisce un

«turpiloquium»53. Opinioni altrettanto negative sono date al volgare romagnolo che

«contiene aspetti troppo femminili», un altro giudizio negativo è espresso anche nei

confronti di tutti i dialetti veneti54.

Dante elogia però il bolognese e lo definisce una «leggiadra loquela», ma comunque

non lo ritiene né aulico né illustre, tanto che non può essere utilizzato in letteratura.

Senza addentrarci in un’analisi troppo vasta, possiamo affermare che Dante

insomma ritiene che «nessuno dei volgari italici possa aspirare a diventare il

linguaggio eletto, illustre, comune a tutti i letterati italiani, e tuttavia bisogna avere sul

piano linguistico un punto di riferimento comune, onde permettere ad ogni lingua di

confrontarsi»55.

53

Ibid. 54

Ibid. 55

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017)

20

4.3. Il volgare secondo Dante

Nel suo trattato Dante si preoccupa di fornire tutte le indicazioni utili a individuare e

ad adoperare efficacemente il volgare letterario che egli definisce con quattro

aggettivi: «illustre», «cardinale», «aulico» e «curiale»56.

Il termine illustre è legato alla luce in quanto la luminosa perfezione del volgare

avrebbe dovuto eliminare la rozzezza degli idiomi parlati, assicurando la fama agli

autori. Il concetto di cardinale ricorda la porta che gira sui cardini, così il volgare

dovrebbe essere il punto di riferimento per gli italiani. Dev’essere aulico, nel senso

che dovrebbe risiedere nell’aula o meglio nella corte imperiale, non essendo il paese

governato né da un re né da un imperatore. Infine, dev’essere curiale perché la curia,

doveva essere la sede dell’amministrazione della giustizia, ed è anch’essa un luogo

istituzionale57.

Per quanto riguarda solamente il volgare illustre non si può concretamente trovare in

questo o quel luogo, tra i termini elencati, ma «solo in quei luoghi in cui l’unità

dell’insieme è istituzionalmente rappresentata e realizzata: per Dante non poteva che

essere la reggia, la curia del principe degli italiani». Ma poiché, nella difficile

situazione politica italiana del XIV secolo, non c’erano né principe, né aula regia, né

curia, il volgare «cardinale», cardine su cui girano e si misurano tutti i volgari italiani,

il volgare «illustre», che illumina chi lo sa usare, si poteva trovare soltanto presso i

suoi «familiares et domestici» [le corti nobili], gli «illustres viri» [gli uomini illustri] e più

precisamente i «doctores illustres» [i dottori illustri], insomma i poeti che lo avevano

elaborato in letteratura58. Gli unici che, secondo Dante, si sono avvicinati al volgare

illustre sono i migliori poeti italiani della sua generazione e delle precedenti cioè

quelli della scuola siciliana e gli esponenti del Dolce stil nuovo (movimento poetico

che si sviluppò soprattutto a Bologna e a Firenze).

56

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017) 57

F. Bruni, L’italiano letterario nella storia, il Mulino, Bologna, 2002, p.36. 58

D. Alighieri, De vulgari eloquentia, Introduzione, traduzione e note di Vittorio Coletti, Garzanti, Milano, 2011, p. 44.

21

La lingua nazionale si sarebbe potuta facilmente avere in Italia se si sarebbero

idealmente riuniti gli ingegni migliori di tutta la nazione, e dal loro contatto quotidiano

sarebbe nata una lingua che, senza identificarsi con un dialetto particolare, avrebbe

unito il meglio dei vari volgari59.

Dante non manca di nominare quali erano i poeti che dovevano essere presi a

modello, e quando deve fare un esempio che valga per tutta la nazione, propone

come sempre, «Cynus Pistoriensis et amicus eius»60, Cino di Pistoia e, soprattutto,

se stesso61.

59

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017) 60

D. Alighieri, De vulgari eloquentia, Introduzione, traduzione e note di V. Coletti, Garzanti, Milano, 2011, p. 44. 61

Ivi, p. 21.

22

4.5. Una critica al De vulgari eloquentia

Dante, per dimostrare la rilevanza del volgare illustre, scrive il suo trattato in latino

dal momento che egli intende rivolgersi alle persone colte. Alcuni critici hanno

giustificato la scelta del latino sostenendo che Dante, in realtà, era incerto su quale

tipo di volgare proporre agli intellettuali per poter scrivere in particolare nella poesia,

senza porsi il problema dell'unificazione linguistica. Questa interpretazione è

alquanto riduttiva. Dante, infatti, non era solo uno scrittore, ma anche un politico e

se, come politico, aspirava all'unificazione territoriale era impossibile che non

avvertisse, come letterato, il problema dell'unificazione linguistica (che il latino da

tempo non era più in grado di garantire, se non a livello di ceti intellettuali molto

ristretti)62.

Un'altra caratteristica particolarmente curiosa del trattato è che Dante sottopone a

critica serrata tutti i volgare della penisola, senza salvarne alcuno in particolare.

Invece di mostrare agli intellettuali i meriti e i pregi dei volgari, presenta i difetti di

ognuno. Persino il toscano (cioè la sua lingua madre, quella che aveva usato nelle

sue opere) viene definita col termine di «turpiloquium». Egli però riteneva

un turpiloquium, il toscano usato dal popolo, escludendo da tale considerazione la

produzione letteraria degli stilnovisti e, ovviamente, la propria63.

Il giudizio di Dante nasce dunque, «oltre che da una fiducia profonda nelle possibilità

della nuova lingua, da un’istanza di divulgazione o comunicazione più larga ed

efficace»64. Quindi, occorreva scegliere un volgare piuttosto che un altro rispettando

le condizioni politiche della «curialità» e dell’«aulicità». Dante mescolava di continuo i

piani «letterario» e «politico», oppure li distingueva tenendoli ben presenti nelle sue

trattazioni. Inoltre, a causa delle esigenze democratiche del suo tempo egli non

poteva sostenere che il suo volgare letterario era il migliore di tutti (a causa dei

risentimenti personali dovuti all'esilio egli non volle neppure affermare che il fiorentino

62

http://www.homolaicus.com/letteratura/questione_lingua.htm (Consultato il 20/8/2017) 63

Ibid. 64

C. Marazzini, La lingua italiana.Profilo storico, il Mulino, Bologna, 2002, p. 205.

23

fosse il migliore di tutti, come sosterrà più tardi anche il Machiavelli nella sua opera

Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua65.

Dante, in quest'opera, non sembra voler aprire un dibattito su quale volgare meriti

l'“onore” di essere utilizzato in letteratura, ma si chiede soltanto in che maniera sia

possibile che il volgare illustre usato dagli stilnovisti e, in particolare, da lui, possa

ottenere un simile prestigio, considerando che sul piano politico non esisteva alcuna

condizione per renderlo tale. Molti critici, invece, ritengono che Dante cercasse un

volgare italiano come principio ideale, senza riscontri storici, anche perché non

poteva averli, visto che queste si formano con le tre corone del Trecento. Cioè la sua

intenzione non poteva ancora essere esattamente quella di vedere nel fiorentino la

lingua che la futura nazione avrebbe dovuto usare66.

Il volgare illustre da lui cercato viene trovato solo in parte in molti volgari italiani (che

lui sottopone a critica) e integralmente in nessuno, proprio perché questa lingua

ideale non poteva allora esistere, se non a livello teorico, ma ha dovuto ancora

formarsi per altri cinque secoli67.

65

http://www.homolaicus.com/letteratura/questione_lingua.htm (Consultato il 20/8/2017) 66

Ibid. 67

Ibid.

24

5. CONCLUSIONE

Il De vulgari eloquentia si presenta come un trattato che avrebbe dovuto essere

formato da almeno quattro libri, mentre è stato interrotto al XIV capitolo del secondo

libro. In quest’opera, come si è visto, Dante affronta le origini e la storia del

linguaggio umano, elenca le varie lingue d’Europa e si occupa delle caratteristiche

principali dei vari volgari d’Italia. Per rivolgersi agli intellettuali e convincerli così del

valore del volgare, scrive l’opera interamente in latino.

Il primo libro inizia affermando proprio la superiorità del volgare sopra il latino e per

giustificare la sua considerazione, Dante traccia una breve storia dell’evoluzione

linguaggio umano: dalla prima parola pronunciata da Adamo o da Eva alla

costruzione della Torre di Babele e alla conseguente varietà degli idiomi.

Tra i linguaggi di origine latina, l’autore si concentra in particolare sulle lingue d’oc, il

d’oil e la lingua del sì, l'italiano, per dimostrare quanto quest’ultima presenta

differenze a livello regionale, distinguendo ben quattordici volgari (dialetti).

Nella sua ricerca di un modello di eloquenza volgare, Dante non prende in

considerazione tanto il parlato, ma la varietà letteraria impiegata dai pochi scrittori

che facevano parte della scuola siciliana e di quella del Dolce stil novo. Analizzando

le caratteristiche principali dei vari volgari, Dante ritiene che nessuno, nemmeno il

toscano, sia abbastanza dignitoso da diventare il linguaggio letterario dell'Italia. Il

volgare «illustre», non potrà essere rappresentato quindi da un solo volgare, ma

dovrà formarsi dai vari idiomi locali e diventare una lingua comune, che lui definisce

ancora con gli aggettivi di «cardinale», «aulico» e «curiale.

Nel secondo libro, Dante esamina le diverse forme metriche, considerando che il

volgare illustre sarà adatto solamente per i poeti più eccellenti che esprimeranno nei

loro versi gli argomenti più nobili.

Anche se il trattato è rimasto, come si è detto, incompiuto, questo è rilevante per

studiare le teorie espresse sul volgare da parte del Padre della lingua italiana; un

altro merito dell’opera è quello di aver dato la base per gli studi successivi e

25

influenzato la «questione della lingua», visto che il De vulgari eloquentia è stato

volgarizzato e attribuito a Dante proprio nel Cinquecento68.

68

Si ricordi solamente che nel XVI secolo G. G. Trissino tradussee il De vulgari eloquentia e lo stampò nel 1529, proponendo le sue idee nella questione della lingua. Cfr. F. Bruni, L’italiano letterario nella storia, il Mulino, Bologna, 2002, p. 38.

26

6. BIBLIOGRAFIA

Alighieri D., De vulgari eloquenzia, Traduzione e saggi introduttivi di C. Marazzini e

C. Del Popolo, Oscar Mondadori, Milano, 1990.

Armellini G. - Colombo A., Letteratura Letterature, Guida storica dal Duecento al

Cinquecento, Zanichelli, Bologna, 2005.

Bruni F., L’italiano letterario nella storia, il Mulino, Bologna, 2002.

Cerchi E. – Sapegno N., Storia della letteratura italiana, Garzanti, Milano, 1965.

Coletti V., Introduzione, traduzione e note, in D. Alighieri, De vulgari eloquentia,

Garzanti, Milano, 2011.

De Mauro T., La fabbrica delle parole, Il lessico e problemi della lessicologia, UTET

Libreria, Torino, 2005.

Ferroni G. - Cortellessa A. - Pantani I. - Tatti S., Storia e testi della letteratura

italiana, La crisi del mondo comunale (1300-1380), Mondadori Università, Milano,

2007.

Marazzini C., La lingua italiana. Profilo storico, il Mulino, Bologna, 2002.

Migliorini B., Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1978.

27

7. SITOGRAFIA

Dante Alighieri,

http://www.treccani.it/enciclopedia/dante-alighieri (Consultato il 10/8/2017)

Dante Alighieri,

https://www.liberliber.it/online/autori/autori-a/dante-alighieri/ (Consultato il 10/8/2017)

Dante – Le altre opere,

http://www.museocasadidante.it/dante/le-altre-opere/ (Consultato il 12/8/2017)

Dante padre della lingua italiana,

http://www.italiano.rai.it/articoli/dante-padre-della-lingua-italiana/20298/default.aspx

(Consultato il 13/8/2017)

Dante Alighieri, padre della lingua italiana?,

http://www.altritaliani.net/spip.php?article949 (Consultato il 13/8/2017)

Nascita della lingua italiana, Il Trecento: Dante – Petrarca – Boccaccio,

http://win.robertopolito.it/lingua_italiana/TRECENTO.htm (Consultato 15/8/2017)

Dante e il De vulgari eloquentia,

http://www.homolaicus.com/letteratura/de-vulgari.htm (Consultato il 19/8/2017)

La questione della lingua italiana,

http://www.homolaicus.com/letteratura/questione_lingua.htm

(Consultato il 20/8/2017)

28

8. DANTE E IL DE VULGARI ELOQUENTIA (RIASSUNTO IN ITALIANO)

Nella presente tesi sono state presentate la vita e le opere di uno dei più celebri

letterati d’Italia ma anche a livello mondiale, Dante Alighieri. L'attenzione si è

focalizzata sul progetto e sulla sintesi del primo trattato sul linguaggio volgare, il

De vulgari eloquentia (L’eloquenza del volgare). Il trattato è stato scritto durante

l'esilio del poeta, tra il 1303 e il 1305, quindi prima della Divina Commedia. Dei

quattro libri previsti, solo due hanno visto la luce e questi sono stati esaminati

prendendo in considerazione le teorie dei principali linguisti.

Nella parte introduttiva è stato spiegato il significato del termine "padre della lingua

italiana" che si attribuisce all'autore principalmente perché è stato tra i primi a

credere veramente nella lingua italiana, usando, nelle sue opere, il volgare nei vari

livelli stilistici.

Inoltre, viene approfondita l’attenzione verso il volgare nel XIV secolo, il rapporto

tra il latino e la lingua volgare, ma vengono anche presi in considerazione gli autori

che, insieme a Dante, hanno contribuito allo sviluppo della lingua e della letteratura

italiana.

Le parole chiave: Dante, latino, volgare, De vulgari eloquentia

29

9. DANTE I DE VULGARI ELOQUENTIA (SAŽETAK NA HRVATSKOM)

U ovome radu prikazani su život i djela jednog od vodećih talijanskih, ali i svjetskih

pisaca, Dantea Alighierija. Pažnja se pridaje osobito projektu i sintezi prvog

traktata o vulgarnom jeziku, O umijeću govorenja na pučkom jeziku. Traktat

napisan tijekom progonstva, između 1303. i 1305., prije Komedije. Od predviđene

četiri knjige, samo dvije su ugledale svijetlo i ispitivane su uzimajući u obzir teorije

vodećih lingvista.

U uvodnome dijelu rada objašnjeno je značenje naziva “otac talijanskog jezika”

koje se autoru pripisuje prvenstveno jer je bio među prvima koji je najviše vjerovao

u talijanski jezik koristeći u svojim djelima vulgarni u različitim stilskim razinama.

Nadalje, pozornost je pridana vulgarnosti 14. stoljeća, odnosu latinskog i

vulgarnog, ali i autorima koji su zajedno s Danteom pridonijeli razvoju talijanskog

jezika i književnosti.

Ključne riječi: Dante, latinski, vulgarni, O umijeću govorenja na pučkom jeziku

30

10. DANTE AND DE VULGARI ELOQUENTIA (SUMMARY IN ENGLISH)

In this thesis were presented the life and works of one of the most famous Italian

writers but also worldwide, Dante Alighieri. The attention is especially focused on

the project and the synthesis of the first treaty about vulgar language, On the

Eloquence of Vernacular. The treaty, written during the exile, between 1303 and

1305, before the Comedy. Of the four books envisaged, only two have seen the

light and these have been examined taking into account the theories of the main

linguists.

In the introductory, it is explained the meaning of the term ‘father of the Italian

language’ which attributes to the author primarily because he was among the first

who truly believed in Italian language using, in his works, the vulgar in the various

stylistic levels.

Furthermore, the attention is drawn to the vulgarity in the 14th century, the

relationship between Latin and vulgar language, but also to the authors who,

together with Dante, have contributed to the development of Italian language and

literature.

Keywords: Dante, latin, vulgar, On the Eloquence of Vernacular