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Rapporto paese SENEGAL A cura di Eleonora Castagnone Capitolo I Il contesto socio-economico del Senegal Il Senegal ha assistito, negli ultimi decenni, a una costante crescita economica: l’economia del paese ha registrato da metà degli anni ’90 fino al 2005 un tasso annuo medio di crescita attorno al 5%. Con il ricorso a numerose riforme strutturali, che hanno avuto pesanti costi sociali, due terzi del debito pubblico sono stati rimossi, con un aumento delle entrate tributarie del 138% negli ultimi 5 anni e un’inflazione a livelli contenuti. A partire dal 2006 l’economia del paese ha tuttavia fortemente risentito dell’aumento dei prezzi del petrolio e dei beni alimentari e, dal 2008, degli effetti della crisi globale. Le performance positive dell’economia negli ultimi anni non hanno tuttavia avuto effetti significativi sulle condizioni di vita della popolazione: quasi la metà dei Senegalesi vive ancora sotto la soglia di povertà, la disoccupazione è alta (pari al 49% secondo l’Agence Nationale de la Statistique et de la Démographie du Sénégal, 2010), l’accesso ai servizi rimane problematico, la disparità del livello di vita tra le popolazione rurali e quelle urbane è elevata. Il tasso di alfabetizzazione rimane al di sotto del 40%, con una forte discrepanza tra il dato riguardante i maschi e le femmine (50% contro 30%). Le stime indicano che un terzo della popolazione senegalese (circa il 33,5%) è al di sotto della soglia di povertà nazionale e che due terzi (60,3%) vive con meno di 2 dollari al giorno (UNDP, 2009). L’indice Gini che misura il grado di diseguaglianza nella distribuzione del reddito famigliare, in Senegal è pari al 39,2 (l’indice è compreso fra 0, che indica la perfetta uguaglianza, e 100, la perfetta ineguaglianza – globalmente i paesi hanno un valore compreso fra 25 e 75). Nell’ultimo Rapporto Mondiale sullo Sviluppo Umano dello PNUD (2011), il Senegal è classificato alla 155a posizione sulla base dell’indicatore di sviluppo umano (ISU o HDI). Il 44% del PIL continua a essere rappresentato dal settore terziario e il 18% dalla Pubblica Amministrazione, con i settori primario e secondario invece ridotti rispettivamente al 15% e al 21%. In tutti i comparti, il 90% delle aziende registrate è di piccole dimensioni, con una proporzione di attività del settore “informale” (non registrato) pari al 60%. Circa il 30% della popolazione attiva è impiegata a tempo pieno nel settore agricolo, con una parte rilevante della produzione destinata alla sussistenza delle famiglie (ANSD 2009: 97). L'Agricoltura non riesce tuttavia ancora a produrre l'autosufficienza alimentare o considerevoli introiti commerciali a causa soprattutto di difficili condizioni ambientali e idriche, della scarsità di mezzi tecnologici a disposizione e dell'esodo rurale. Iniziative del Governo come la GOANA (Grande Offensiva Agricola per la Nutrizione e l'Abbondanza) lanciata nel 2008 e il piano REVA (Ritorno all'Agricoltura), non hanno prodotto ancora risultati determinanti, nonostante una performance positiva nel 2010, grazie a favorevole pluviometria. L'eccessiva importanza di pochi prodotti come l'arachide, ancora ad oggi la principale produzione agricola, espone a notevoli rischi di mercato questo settore, che dal 2000 ha registrato un dimezzamento della produzione. La pesca occupa attualmente in Senegal il primo posto del settore primario ed occupa, direttamente o indirettamente, 600.000 persone. In seguito alla crisi in agricoltura, alla riduzione delle esportazioni dei prodotti agricoli (in particolare dell’arachide), lo Stato senegalese accorda sempre 141

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Rapporto paese

SENEGAL

A cura di Eleonora Castagnone

Capitolo IIl contesto socio-economico del Senegal

Il Senegal ha assistito, negli ultimi decenni, a una costante crescita economica: l’economia delpaese ha registrato da metà degli anni ’90 fino al 2005 un tasso annuo medio di crescita attorno al5%. Con il ricorso a numerose riforme strutturali, che hanno avuto pesanti costi sociali, due terzi deldebito pubblico sono stati rimossi, con un aumento delle entrate tributarie del 138% negli ultimi 5anni e un’inflazione a livelli contenuti. A partire dal 2006 l’economia del paese ha tuttaviafortemente risentito dell’aumento dei prezzi del petrolio e dei beni alimentari e, dal 2008, deglieffetti della crisi globale.

Le performance positive dell’economia negli ultimi anni non hanno tuttavia avuto effetti significativisulle condizioni di vita della popolazione: quasi la metà dei Senegalesi vive ancora sotto la soglia dipovertà, la disoccupazione è alta (pari al 49% secondo l’Agence Nationale de la Statistique et de laDémographie du Sénégal, 2010), l’accesso ai servizi rimane problematico, la disparità del livello divita tra le popolazione rurali e quelle urbane è elevata. Il tasso di alfabetizzazione rimane al di sottodel 40%, con una forte discrepanza tra il dato riguardante i maschi e le femmine (50% contro30%).

Le stime indicano che un terzo della popolazione senegalese (circa il 33,5%) è al di sotto dellasoglia di povertà nazionale e che due terzi (60,3%) vive con meno di 2 dollari al giorno (UNDP,2009). L’indice Gini che misura il grado di diseguaglianza nella distribuzione del reddito famigliare,in Senegal è pari al 39,2 (l’indice è compreso fra 0, che indica la perfetta uguaglianza, e 100, laperfetta ineguaglianza – globalmente i paesi hanno un valore compreso fra 25 e 75). Nell’ultimoRapporto Mondiale sullo Sviluppo Umano dello PNUD (2011), il Senegal è classificato alla 155aposizione sulla base dell’indicatore di sviluppo umano (ISU o HDI).

Il 44% del PIL continua a essere rappresentato dal settore terziario e il 18% dalla PubblicaAmministrazione, con i settori primario e secondario invece ridotti rispettivamente al 15% e al 21%.In tutti i comparti, il 90% delle aziende registrate è di piccole dimensioni, con una proporzione diattività del settore “informale” (non registrato) pari al 60%.

Circa il 30% della popolazione attiva è impiegata a tempo pieno nel settore agricolo, con una parterilevante della produzione destinata alla sussistenza delle famiglie (ANSD 2009: 97). L'Agricolturanon riesce tuttavia ancora a produrre l'autosufficienza alimentare o considerevoli introiticommerciali a causa soprattutto di difficili condizioni ambientali e idriche, della scarsità di mezzitecnologici a disposizione e dell'esodo rurale. Iniziative del Governo come la GOANA (GrandeOffensiva Agricola per la Nutrizione e l'Abbondanza) lanciata nel 2008 e il piano REVA (Ritornoall'Agricoltura), non hanno prodotto ancora risultati determinanti, nonostante una performancepositiva nel 2010, grazie a favorevole pluviometria. L'eccessiva importanza di pochi prodotti comel'arachide, ancora ad oggi la principale produzione agricola, espone a notevoli rischi di mercatoquesto settore, che dal 2000 ha registrato un dimezzamento della produzione.

La pesca occupa attualmente in Senegal il primo posto del settore primario ed occupa, direttamenteo indirettamente, 600.000 persone. In seguito alla crisi in agricoltura, alla riduzione delleesportazioni dei prodotti agricoli (in particolare dell’arachide), lo Stato senegalese accorda sempre

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di più la priorità alle esportazioni legate alla pesca, che nel 2007 hanno registrato il 22% del totaledelle esportazioni del Paese (US Dos, 2010). Negli ultimi anni, tuttavia, anche questo settore hasubito un forte declino e il suo contributo al PIL del paese è sceso dal 2,7% nel 1997, all’1,5% nel2008. La pesca in Senegal soffre di un approccio ancora tradizionale che tende a depauperare leacque costiere senza sfruttare le acque aperte, ove invece operano indisturbati forti contingenti dibattelli stranieri non efficacemente controllati. La mancanza di strutture adatte alla refrigerazionerende inoltre consistente lo spreco di prodotti non venduti immediatamente.

La trasformazione artigianale e il piccolo commercio dei prodotti ittici costituiscono poi una dellefonti di reddito più importanti per le donne dei villaggi della costa senegalese. Il pesce essiccato,salato o affumicato, oltre ad essere un sistema semplice che permette di conservare il pesce,valorizzare gli scarti e le quantità non vendute, è la base alimentare e la fonte proteica piùeconomica per gran parte delle popolazioni più povere. Circa il 12% del prodotto trasformato èdestinato all’esportazione verso i Paesi della sub-regione (Mali, Burkina Faso, Ghana).

In Senegal consistente è anche l'allevamento di bovini, caprini e ovini. Da un’indagine recenterisulta che l'80% degli uomini e il 70% delle donne possiede bestiame che costituisce inoltre il beneprincipale offerto come garanzia per i prestiti. Lo sviluppo delle attività di allevamento è favorito dauna disponibilità relativamente importante di pascoli e dall’esistenza di una forma dicomplementarietà tra attività agricole e allevamento.

Per quanto riguarda l’artigianato, esso è prevalentemente artigianato di servizio, come riparazione efabbricazione di utensili agricoli e ora anche artigianato d’arte grazie allo sviluppo delle attivitàlegate al turismo.

Il comparto industriale è ancora limitato a poche aziende che operano in quasi monopolio, ma privedi prospettive di investimento e ostacolate da discontinue forniture energetiche e scarsicollegamenti interni. Performances negative nei settori di trattamento dei generi alimentari e delcotone ad uso tessile, sono state in qualche modo compensate dalla tenuta dei settori estrattivo(fosfati e minerario), edile, metallurgico, delle bevande non alcooliche e dello zucchero. Lepromesse del comparto estrattivo sono state in qualche misura frenate dal blocco prolungato dellaminiera d'oro di Falèmè. La prossima espansione del settore dei cementi, nonostante un boomedilizio che dura ormai da anni, potrebbe determinare una saturazione del mercato interno, giàdominato dalle principali aziende locali, a meno di un'espansione sui mercati limitrofi (Ministerodegli Affari Esteri, Ministero dello Sviluppo Economico, 2011).

Il settore terziario (commercio, trasporti e telecomunicazioni, locazioni e ristorazione, serviziimmobiliari, formazione) continua invece a rivelarsi l'elemento trainante dell’economia senegalese.

Il turismo, pur godendo di alcune potenzialità, è in qualche modo ostacolato dall'assenza dicollegamenti agevoli, dagli alti costi dei viaggi aerei dovuti ad una tassa aeroportuale destinata inparte a coprire i costi del nuovo aeroporto internazionale, e naturalmente dagli effetti della crisiglobale sulla domanda. Nel 2011 è stato avviato un parziale abbassamento dell'aliquota IVA per gliesercizi alberghieri, dal 18% al 10%, ritenuto necessario per l'avvio di nuovi investimenti nelsettore, per ora quasi tutti concentrati a Dakar o in poche altre località. Ancora in espansione,nonostante i primi segni di maturazione, il settore delle telecomunicazioni, dominato dallasenegalese Sonatel (partecipata da France Telecom al 42,3%) (ibid.).

Il settore finanziario è abbastanza sviluppato per lo standard regionale, con 19 banche e oltre 300istituzioni di microfinanza, per un giro d'affari di 4 miliardi di euro nel 2009, secondo solo alla Costad'Avorio tra i Paesi UEMOA (Unione Economica e Monetaria dell'Africa Occidentale), ma il tasso didiffusione dei conti bancari tra la popolazione attiva è ancora un limitato 7% e il credito alle impreseè ancora poco diffuso e poco incentivato, in ragione dell'elevato rischio del credito e della mancanzadi meccanismi di riassicurazione adeguati. Il Governo da alcuni anni sta provando a rimediaretramite la costituzione di Fondi speciali e l'opera della Cassa Depositi e Crediti (CDC). Lo stesso tipodi dinamiche influisce sul settore assicurativo, che raggiunge solo circa il 2% della popolazione(ibid.).

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Dal punto di vista del mercato del lavoro, il Senegal è fortemente polarizzato fra l’economia rurale equella urbana. A ciò corrisponde una distribuzione disomogenea della popolazione all’interno delpaese, con una concentrazione di quasi metà della popolazione nelle regioni centrali e occidentali(Dakar, Kaolack et Thies), e in particolare nei centri urbani. A partire dall’inizio degli anni ’70 inparticolare si è sviluppato un esodo rurale, fenomeno che è ancora oggi in corso: il tasso diurbanizzazione è passato dal 40,7 % nel 2002 (ANSD, 2006), al 46,8 % nel 2008 (ANSD, 2009).

In ambito rurale, il 59% della popolazione attiva è occupata, principalmente nel settore primario,nell’agricoltura e nell’allevamento, soprattutto nell’ambito a destinazione di consumo famigliare oindividuale (ANSD, 2004; World Bank, 2007).

In ambito urbano, la regione di Dakar rappresenta la maggiore densità abitativa, con una stima di2,5 milioni di abitanti nel 2008, e una densità media di 4.545 abitanti/km2, a fronte di unaconcentrazione abitativa complessiva nel paese di 63 abitanti/km2. Dakar è caratterizzata da unapersistente disoccupazione e sotto-occupazione e, in prospettiva l’aumento crescente dellapopolazione, il di cui tasso di crescita è pari al 2,5% annuo, continuerà a generare alti livelli diofferta difficilmente assorbibili dal mercato del lavoro.

In particolare nel 2002, l’agglomerato urbano di Dakar contava 668.000 attivi occupati, distribuitiin 3 principali poli di attività, in base alla struttura dell’impiego, il reddito e le condizioni di lavoro:

� in primo luogo il settore statale e para-statale (amministrazioni e imprese pubbliche), cheimpiega il 7,5% degli attivi occupati. Qui si concentra la maggior parte degli impiegati dipendentiqualificati, con livello scolastico elevato e il cui impiego è stabile.

� in secondo luogo, il settore delle imprese private formali e il settore sociale, che raggruppano il16,1% della manodopera. I servizi costituiscono il settore di impiego dominante (più del 52%),seguiti dall’industria, che rappresenta più del 36% dell’impiego.

� infine il settore delle imprese private informali, costituisce di gran lunga la prima fonte diimpiego, con circa 510.000 persone in attività, cioè il 76,4% degli attivi occupati. Ladimensione delle imprese informali è ridotta (l’88% dell’impiego è presso unità di produzione dimeno di 6 persone, circa la metà è auto-impiego) e le condizioni di lavoro sono estremamenteprecarie. Gli impieghi informali sono distribuiti fra servizi (34,9%), commercio (32,9%) eindustria (28,8%). Meno di un quinto di queste attività opera in locali aziendali, mentre circa il40% è costituito da operatori che lavorano da casa e un altro 40% per strada (DPS, 2003).Questo è il segmento del mercato che occupa la manodopera più giovane, la meno scolarizzata econ un maggior tasso femminile (45,9% delle donne in questo segmento, contro il 28,8%nell’amministrazione e il 22,3% nel settore privato formale).

I settori ritenuti come prioritari negli investimenti dei migranti di ritorno sono “l’agricoltura el’agro-industria; la pesca; il turismo e l’industria culturale e artigianale; il tessile; e il settore dellenuove tecnologie e dei tele-servizi” (DSRP-Document de stratégie de réduction de la pauvreté,2002).

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Rapporto paeseSENEGAL

Capitolo IILa migrazione senegalese

2.1 La migrazione senegalese: una progressiva diversificazione delledestinazioni e del profilo dei migranti senegalesi in Europa

Mentre le migrazioni dal Senegal verso altre destinazioni africane sono un fenomeno antico,precedente all’epoca del colonialismo, l’Europa è divenuta una meta rilevante solo a partire deglianni ’70, in corrispondenza della crisi agricola, che da questo periodo colpisce l’area saheliana. Lacrisi dell’economia rurale, e con essa del delicato sistema di sussistenza su cui si basava gran partedel paese, in aggiunta a una crescita costante della popolazione, ha spinto i giovani a spostarsi incerca di lavoro e di opportunità nelle città, prima fra tutte Dakar, dove però il mercato del lavoro èstato in grado di soddisfare solo una parte della crescente offerta di manodopera. A partire dalla finedegli anni ’80, inoltre, i piani di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo MonetarioInternazionale hanno aggravato ulteriormente le condizioni di vita della popolazione, imponendotagli drastici al sistema educativo, sanitario e sociale.

In questo contesto, sempre più famiglie cominciarono così a investire nella migrazione, inviandopropri membri all’estero, alla ricerca di lavoro o di un lavoro migliore. Per ragioni storiche elinguistiche, la migrazione senegalese fu inizialmente diretta verso la Francia, fino agli anni ’80.

A partire dagli inizi degli anni ’90, tuttavia, si comincia ad assistere a una graduale diversificazionedelle destinazioni, con una conversione in particolare verso i paesi del sud Europa, primi fra tuttil’Italia e la Spagna. Fra gli anni ’70 e ’80, infatti, la migrazione senegalese si trovò per le prima voltaal centro di due fenomeni contrastanti: da un lato la crisi economica e l’arresto degli incentivi politiciall’immigrazione in Francia portarono a una chiusura delle frontiere; dall’altro, diverse ondate disiccità che avevano già cominciato a colpire il Senegal fin dagli inizi degli anni ’70, accrescevano ilnumero di candidati all’emigrazione.

In questo stesso periodo alcuni paesi del sud Europa, Italia e Spagna in particolare, presentavanosistemi di ingresso più flessibili e tolleranti, grazie a campagne di regolarizzazione e a sanatorie dellapopolazione straniera. Inoltre un forte fattore di attrazione in questi paesi era costituito da unmercato del lavoro favorevole all’impiego informale di lavoratori non qualificati e a prezzicompetitivi, soprattutto nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia.

La transizione dalla Francia ai nuovi paesi di destinazione in sud Europa ha luogo alla fine degli anni’80. Inizialmente i senegalesi arrivarono in Italia soprattutto attraverso migrazioni di sponda apartire dalla Francia; successivamente stabilirono canali migratori diretti a partire dal Senegal,costituendovi reti sociali che chiamavano e accoglievano direttamente membri dal paese di origine.

Nel corso degli anni si è anche assistito a una diversificazione del profilo dei senegalesi diretti inEuropa. I primi migranti erano toucouleur e soninké originari della valle del fiume Senegal, poco oper nulla istruiti, principalmente impiegati in Francia nel settore industriale e in quello edile. Questiprimi migranti erano fortemente strutturati in reti sociali organizzate all’estero, a loro voltastrettamente connesse alle comunità di origine.

Progressivamente spinte dalla globalizzazione dell’economia e da un accelerato impoverimento, unnumero crescente di famiglie cominciò a investire nella partenza di membri, diffondendo la strategiadella migrazione internazionale ad altre regioni del paese e ad altri gruppi etnici (Adepoju, 2004:73). Con la crisi del bacino arachidiero, i Senegalesi del Baol (Touba, Diourbel), Ndiambour(Louga), Cayor (Kebemer), Sine (Kaolack) e di Dakar cominciarono a partire per l’Europa (Riccio,2005). Cominciarono a partire migranti anche con un livello di istruzione elevato, alcuni dei qualicon l’obiettivo di terminare gli studi all’estero, soprattutto in Francia.

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La migrazione senegalese si configura così sin dalle sue origini come una migrazione maschile dilavoro52. Le donne e i figli tendono a rimanere in Senegal, rappresentando un legame strutturale e lapiù forte motivazione al ritorno. La resistenza della società senegalese alla migrazione dei membrifemminili della famiglia, soprattutto nelle aree rurali, è stata ed è ancora in parte funzionale aun’esigenza di conservazione della comunità tradizionale. Le donne infatti garantisconosopravvivenza economica, organizzativa, sociale e culturale in quei villaggi dove gli uomini sonopressoché assenti. Inoltre esse sono incaricate dei ruoli riproduttivi all’interno della famiglia, comebase della struttura sociale ed economica. Inoltre la debole tendenza alla migrazione femminile èstata associata a un comportamento di resistenza ai pericoli della “modernità” e all’esposizioneall’immoralità occidentale in termini di mancanza di fede, lassismo sessuale, razzismo e ignoranza(Riccio, 2004; Castagnone et al, 2005). Anche nei confronti dei figli è stata evidenziata un’enfasinell’evitare loro le difficoltà associate all’integrazione in Europa, con una preferenza ad assicurareuna prima socializzazione e un’educazione nel paese di origine (Benenati, 2002), raggiungendoeventualmente i padri in un’età più avanzata.

Nonostante il forte carattere maschile della migrazione senegalese, si sta tuttavia evidenziandonegli ultimi anni un processo di femminilizzazione dei flussi, sia attraverso un gradualericongiungimento delle donne agli uomini all’estero e alla stabilizzazione di nuclei famigliari adestinazione, sia attraverso la diffusione di percorsi migratori autonomi di donne, in particolare apartire da contesti urbani, come quello di Dakar.

La presenza dei Senegalesi in Italia

Secondo le statistiche ufficiali dell’ISTAT, nell’ultimo ventennio la presenza senegalese in Italia èquasi triplicata, passando da quasi 25.000 individui nel 1992 a più di 70.000 nel 2011. In terminirelativi essi rappresentano il 2,6% della popolazione extra-EU totale, e la prima comunitàsubsahariana in Italia (34,5% del totale sub-regionale) seguita da quella nigeriana e ghanese(rispettivamente 21,9% e 19,8%).

Senegalese soggiornanti in Italia (al 1° gennaio 2011)

MF % F

1992 24.194 2,9

1997 31.543 5,2

2002 37.806 8,8

2007 49.805 13,7

2011 71.081 29,1Fonte: ISTAT

La comunità senegalese in Italia è prevalentemente composta da individui di sesso maschile e in etàattiva: gli uomini sono infatti circa il 70% del totale, contro un 30% circa di donne; oltre l’80% deititoli di soggiorno rilasciati a cittadini senegalesi nel 2008 erano motivati dal lavoro e di questiquasi il 95% è stato rilasciato a persone di sesso maschile.

Al tempo stesso si nota un’accelerazione della presenza femminile nella comunità immigrata inItalia, soprattutto nell’ultimo decennio. È in effetti in crescita l’aumento degli ingressi di donnesenegalesi in Italia dopo l’anno 2000: in base ai dati Istat sui permessi di soggiorno, le presenzefemminili sono aumentate dal 2000 al 2008 del 145%. Attualmente circa un terzo delle donnesenegalesi è in Italia per motivi di lavoro (28,7%), con i restanti due terzi per motivi familiari(66,8%).

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52 Comparativamente agli altri paesi della zona, il Senegal ha mantenuto nel corso degli anni una situazione politica relativamentestabile, come anche le recenti elezioni presidenziali hanno confermato. La regione della Casamance, che dall’inizio degli anni ‘80 è statoteatro di un conflitto prolungato fra i rebelli secessionisti del Movimento delle Forze Democratiche del Senegal (MFDC) e il governo, hagenerato oltre 64.000 rifugiati, che si sono però spostati soprattutto all’interno del paese e nei paesi confinanti (Guinea Bissau eGambia).

Queste sono concentrate nella fascia d’età compresa tra i 25-34 anni, e sono giunte in Italiasoprattutto negli ultimi dieci anni (Ceschi, Frigeri, Giangaspero, 2009). Le senegalesi sono moltopiù indietro nell’inserimento nel mercato del lavoro, scontando il ritardato arrivo nel mercato dellavoro italiano e la minore propensione per i lavori domestici. I lavori svolti sono: impiegate disupermercato, cameriere full o part-time, addette nelle imprese di pulizia, piccoli lavori di cateringsenegalese agli eventi della comunità, impieghi vari ottenuti attraverso agenzie interinali, definiti divolta in volta (ibid.).

Sebbene non esistano dati statistici affidabili sull’origine regionale ed etnica dei migranti senegalesiin Italia, le numerose ricerche svolte finora hanno fatto emergere come una forte maggioranza diindividui sia di etnia wolof, affiliati alla confraternita murid (Mboup, 2000; Riccio, 2001), eoriginari delle regioni del centro-ovest del paese, coincidenti con il bacino della cultura arachidiera ezona d’origine del gruppo etnico wolof (Devey, 2000; Turco, 1986). Le aree di partenza piùimportanti per l’emigrazione verso l’Italia sono quelle dell’area metropolitana di Dakar e delle regionidi Louga (Cayor e Ndjambour), di Djourbel (Baol) e di Kaolack (Sine-Saloum) (Perrone, 2001).Questa caratterizzazione dell’immigrazione senegalese in Italia, wolof e murid, ha avuto importantieffetti sulle modalità di inserimento dei migranti nella società di approdo, per il ruolo assunto dallereti confreriche nel plasmare la coesione interna al gruppo, nel fornire sostegno e aiuto reciproconella ricerca del lavoro e della casa, e nel mantenere forti legami simbolici e affettivi, ma ancheeconomici e sociali con il Senegal. Le reti della confraternita (Tall, 2002), si sono infatti dimostratele più dinamiche ed efficienti nel fornire quelle reti di supporto indispensabili tanto per la partenzaquanto per superare le difficoltà del soggiorno all'estero (ibid.).

Questi tratti della comunità senegalese italiana la distinguono inoltre da quella insediata in Francia,che invece si compone soprattutto di persone di etnia soninké e haalpoular originarie della vallatadel fiume Senegal, nelle regioni nord-orientali del paese (Quiminal, 1991; Quiminal e Timera,2002; Tall, 2002).

Tuttavia è importante sottolineare che gli studi più recenti rilevano che oramai l’emigrazionecontemporanea coinvolge tutte le regioni del paese e anche in Italia si rileva la presenza, minoritariama significativa, di persone appartenenti agli altri gruppi etnici del paese (haalpoular, sereer e djolain particolare) (Elia, 2006, Riccio, 2002b).

L’integrazione socio-economica dei senegalesi in Italia

Con il cambiamento del profilo dei senegalesi in Italia, anche le traiettorie e le strategie diintegrazione socio-economica sono mutate. Nei primi anni di immigrazione in Italia, soprattuttonegli anni ’80, la confraternita murid ha svolto un ruolo centrale nel finanziamento del viaggio deitalibé (discepoli) nell’accesso al lavoro e al reperimento di alloggio in Italia, grazie a un’efficiente ecoesa rete di supporto. Anche gli investimenti immobiliari in patria e in particolare a Touba, capitaledella confraternita murid, durante la migrazione o al momento del ritorno, sono stati parteintegrante del progetto migratorio per una parte importante di senegalesi in Italia. Secondo Lalou etal. (1996), all’inizio degli anni ’70, i murid rappresentavano circa il 10% dei migranti senegalesi inEuropa, mentre negli anni ’80 avevano raggiunto circa il 40%.

In anni più recenti, tuttavia, la diversificazione dei profili dei migranti giunti in Europa (in baseall’area di origine, livello di istruzione, etnia, affiliazione religiosa ad altre confraternite, ecc.), haincoraggiato anche la diversificazione dei percorsi di integrazione, promuovendo traiettorie piùindividualizzate e più eterogenee. Benenati (2002) ha illustrato come i primi senegalesi a Torino,giunti negli anni ’80, originari soprattutto della regione di Louga e membri della confraternita murid,adottassero la soluzione residenziale delle “case di villaggio”: gruppi di uomini provenienti dallostesso villaggio, e spesso imparentati fra loro, condividevano alloggi sovraffollati basati su unastruttura organizzativa interna, con orari per le preghiere comuni, turni per la preparazione dei pasti,per la spesa e le pulizie, la rotazione dei letti, in base ai diversi orari di lavoro. Queste forme abitativeerano funzionali al mantenimento di una rete coesa di connazionali, e alla preservazione di stili divita, tradizioni e valori conformi alla società di origine.

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A questo primo gruppo, che già pure includeva individui con percorsi più autonomi, si sonoprogressivamente aggiunti e sostituiti migranti più giovani, con livelli di istruzione più elevati,provenienti da contesti urbani, la cui strategia di integrazione prevalente combinava elementiculturali, stili di vita e relazioni affettive (dando luogo a numerosi matrimoni misti) fra la cultura diorigine e quella di destinazione. Nel corso degli anni la comunità senegalese si è inoltrecaratterizzata non solo per una buona integrazione socio-economica nel territorio di residenza, maanche per una vivace propensione all’associazionismo, come si vedrà meglio oltre.

In termini di integrazione economica, il gruppo senegalese ha sperimentato fin dalle primemigrazioni in Europa, da un lato un accesso a lavoro non qualificato nelle industrie locali, e dall’altrouna forte propensione al commercio, sia formale che informale. Una strategia comune fra iSenegalesi in Europa, è stata inoltre l’opzione della pluri-attività (Castagnone, 2007), secondo laquale i lavoratori spesso associano all’impiego dipendente nel tempo libero, nei weekend o neiperiodi estivi, attività di commercio, spesso informale, con l’obiettivo di diversificare e moltiplicarele fonti di reddito. Questa strategia è stata evidente, per esempio, nel caso dei senegalesi che sispostavano nelle coste romagnole nel periodo estivo, esercitando soprattutto il commercioambulante (Riccio, 2008).

Quest’ultima attività, in particolare, è stata nell’immigrazione senegalese in Italia fin dai primi anni’80, un’àncora di salvezza per coloro che non avevano formazione professionale, e in particolare pergli irregolari, assicurando un’attività autonoma, alla quale i migranti potevano facilmente accedereanche grazie alla precedente esperienza personale o famigliare acquisita nel settore informale nelpaese di origine. L’opzione stessa del commercio presso i senegalesi è stata associata a una benprecisa strategia di integrazione nel mercato del lavoro, in grado di favorire libertà di movimento eautonomia nella gestione dei tempi di lavoro. In questo quadro la scelta dell’auto-impiego nel paesedi destinazione può anche essere letta come funzionale a una mobilità circolare (il “vai e vieni”)(Riccio, 2007; Castagnone et al., 2005), che consenta prolungati e frequenti viaggi fra il paese diorigine e quello di destinazione.

Oggi i senegalesi sono spesso impiegati come operai, generici o specializzati, nelle industriemanifatturiere del lombardo - veneto, nelle concerie in Toscana o nell’industria agroalimentare inEmilia- Romagna. Se prendiamo in esame l’esempio della Lombardia qui circa un terzo (33,6%) deisenegalesi residenti è occupato come operaio generico nel settore industriale, un ulteriore 10%come operaio generico nel settore dei servizi, rispettivamente il 6% e il 5% come operaiospecializzato o nell’edilizia. Nella stessa regione il 20% si dichiara addetto alle attività commerciali(ORIM Lombardia, 2009).

È inoltre importante sottolineare come la comunità senegalese sia inoltre una delle prime in Italia perlivello di concentrazione in forme di lavoro autonomo e imprenditoriale. Malgrado quella senegalesesia soltanto la 16ª comunità per numero di residenti in Italia, essa è la 5ª (la 4 ª considerando solo lenazionalità extra-europee) per numero di titolari di imprese individuali nel 2008, preceduta solo daMarocco, Cina e Albania. La quasi totalità di queste imprese individuali (oltre il 90%) si colloca nelsettore del commercio all’ingrosso o al dettaglio. Altri settori investiti sono quelli delle attivitàmanifatturiere (427 imprese, ovvero il 3,2%), dei trasporti e della logistica (265 imprese, ovvero il2%) e delle costruzioni (232 imprese ovvero l’1,7%) (Navarra, Salis, 2010).

L’associazionismo senegalese

La diaspora senegalese ha dimostrato poi una straordinaria propensione all’associazionismo,arrivando a costituire una realtà straordinariamente ricca e complessa di gruppi che coordinanoattività e mettono in comune risorse, con lo scopo di raggiungere obiettivi comuni di natura sociale,culturale e finanziaria. Come riportato dal dossier Caritas del 2005, la comunità senegalese risultala prima per “tasso di associazionismo”, con un’associazione ogni 682 soggiornanti (Caritas diRoma, 2005). Nel 2001 sono state rilevate 51 associazioni di senegalesi in Italia, ovvero il 5,7%del totale delle associazioni di cittadini stranieri (Fondazione Corazzin, 2001); nel 2011 uncensimento su Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, svolto nell’ambito del

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Rapporto paeseSENEGAL

progetto GLAMMS coordinato in Italia da FIERI53, ha indicato la presenza di 270 associazionisenegalesi (a membership totalmente o prevalentemente senegalese) solo in queste cinque regioni.

Queste associazioni nascono con una duplice vocazione, la prima rivolta al contesto di destinazione,per favorire la solidarietà fra i membri che risiedono all’estero, per conservare, valorizzare ediffondere la propria cultura e le proprie tradizioni presso la società ospite, per rendersi soggettiattivi nel panorama istituzionale nel territorio di approdo; la seconda rivolta al contesto di origine,per promuovere iniziative di sviluppo locale, soprattutto di natura sociale, nel paese di origine(Castagnone, 2006).

A questi due obiettivi corrispondono idealmente due tipi rispettivi di associazioni: quelle cheraggruppano senegalesi di comune destinazione, sulla base cioè della residenza in uno stessoterritorio in Italia, città, provincia o regione, e quelle che raccolgono associati provenienti dallastessa zona di origine in Senegal (le cosiddette hometown associations - associazioni di migrantidello stesso villaggio o quartiere). Nei fatti i due tipi di associazioni vedono una sovrapposizione diobiettivi e di attività, svolgendo sia attività relative alle problematiche di integrazione nella societàricevente, sia promuovendo iniziative di sviluppo collettive presso il paese di origine. In particolarel’apertura di bandi di finanziamento al co-sviluppo da parte dei diversi soggetti della cooperazionedecentrata italiana, attraverso programmi di organizzazioni internazionali, o per iniziativa diistituzioni private, ha promosso una convergenza delle attività delle associazioni di comunedestinazione (del primo tipo) con gli interventi di sviluppo nel paese di origine.

La distribuzione territoriale dei senegalesi in Italia

Le prime aree di insediamento dei senegalesi in Italia sono state le zone costiere delle regionimeridionali e le isole, dove i primi arrivati trovavano condizioni favorevoli per il commercioambulante, grazie allo sviluppo turistico, e per le attività stagionali nel settore agricolo.Progressivamente, grazie anche alle successive ondate di regolarizzazione nel corso degli anni ’90, imigranti senegalesi hanno cominciato a spostarsi verso le regioni del centro-nord del paese, attiratidalle opportunità di lavoro offerte dal tessuto di piccole e medie imprese attive soprattutto in questearee.

Al 1° gennaio 2011, il 70% circa della popolazione senegalese è insediata nelle regioni del nordItalia. Le regioni che attualmente ospitano il maggior numero di migranti senegalesi sono laLombardia (che da sola ospita il 42,8% del totale), seguita da Veneto (12,5%), Emilia Romagna(11,4%), Toscana (8,8%) e Piemonte (7.7%). In queste regioni i senegalesi, così come i migranti dialtre nazionalità, sono stati attirati dall’offerta di lavoro nel settore industriale manifatturiero o nelcampo dei servizi alle imprese (logistica, pulizia, manutenzione etc.) in forte espansione durantetutti gli anni ’90.

Inoltre è possibile individuare, alla scala sub-regionale, alcuni territori specifici dove si concentranoquote significative di cittadini senegalesi. Le provincie di Bergamo e Brescia in Lombardiaaccolgono quasi il 60% dei residenti dell’intera regione, in Veneto si tratta invece delle provincie diTreviso (40% ca) e Vicenza (24,4%). Le provincie di Torino e Novara, Pisa e Firenze, Ravenna eParma sono invece quelle che accolgono la maggioranza dei senegalesi residenti nelle rispettiveregioni, nell’ordine Piemonte, Toscana e Emilia-Romagna (Navarra, Salis, 2010).

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Progetto VolverRICERCHE

53 www.fieri.it

Distribuzione dei Senegalesi soggiornanti per regione (1° gennaio 2011)

n.a. %

LOMBARDIA 8.875 42,8

VENETO 2.596 12,5

EMILIA-ROMAGNA 2.355 11,4

TOSCANA 1.833 8,8

PIEMONTE 1.596 7,7

MARCHE 649 3,1

LIGURIA 419 2,0

SARDEGNA 403 1,9

PUGLIA 345 1,7

LAZIO 297 1,4

ABRUZZO 297 1,4

CAMPANIA 296 1,4

FRIULI-VENEZIA GIULIA 266 1,3

TRENTINO-ALTO ADIGE 158 0,8

SICILIA 153 0,7

CALABRIA 99 0,5

UMBRIA 39 0,2

VALLE D'AOSTA 16 0,1

MOLISE 13 0,1

BASILICATA 7 0,0

ITALIA 20.712 100

Fonte: ISTAT

La distribuzione territoriale (a livello comunale) dei cittadini senegalesi varia significativamente aseconda dell’area di insediamento: mentre in alcuni territori della Lombardia e del Veneto si rilevaun’accentuata dispersione su un gran numero di piccoli comuni, in Piemonte, Emilia-Romagna eToscana appare più accentuata la tendenza a concentrarsi nei comuni capoluogo o nei centri ditaglia media (spesso sede di attività industriali o importanti centri turistici). All’interno delle diversearee territoriali è possibile dunque sottolineare alcune caratteristiche peculiari dell’immigrazionesenegalese nei contesti numericamente più rilevanti:

� nella provincia di Milano per esempio si è assistito nel corso degli ultimi anni ad una mobilitàsignificativa dal comune metropolitano verso i piccoli comuni della provincia, legata alconsolidarsi di specifiche catene migratorie verso aree industriali specifiche e al difficile accessoal mercato immobiliare.

� nella provincia di Bergamo (dove si trova il numero più alto di senegalesi in tutta Italia)l’insediamento si concentra nel comune di Bergamo e nei centri limitrofi; il modello migratorioprevalente è caratterizzato dall’occupazione stabile nelle piccole e medie industrie del territorio enel settore dei servizi all’impresa: queste condizioni hanno favorito le condizioni per una crescitadei ricongiungimenti familiari. Sul territorio bergamasco, in misura maggiore che in altre zone, sirileva una presenza più consistente di senegalesi di etnia haalpoular, originari della regione diMatam.

� il territorio bresciano, secondo per importanza quantitativa a quello della limitrofa Bergamo,presenta caratteristiche simili al precedente: alcune peculiarità specifiche sono legate allamaggiore capillarità residenziale e al maggiore peso delle reti murid nell’organizzare e sostenerela comunità (ibidem).

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Rapporto paeseSENEGAL

Capitolo IIIProspettive sui processi di rientro

Il ruolo del ritorno nel progetto migratorio dei senegalesi

Vari studi sulle migrazioni senegalesi hanno illustrato come il ritorno permanente in Senegal siaparte integrante del progetto migratorio per questo gruppo. Diversi elementi incidono in particolaresul ruolo del ritorno, sulla sua percezione e sulla sua organizzazione nell’ambito del progettomigratorio.

Il primo è legato alla struttura organizzativa della migrazione senegalese che, come è statoevidenziato, è ancora prevalentemente basata su flussi di migrazioni maschili di lavoro. Nonostantestiano infatti aumentando i ricongiungimenti di donne senegalesi in Italia (assieme ad alcunipercorsi di migrazione femminile autonoma), permane infatti un modello di migrazione ancoramaschile. Questo ha implicato la formazione di nuclei famigliari transnazionali, con mogli e figliresidenti in Senegal e i padri all’estero. In questo senso il ritorno definitivo è strettamente legato aragioni famigliari e a un ricongiungimento “al contrario”. Gli uomini, capi famiglia, mariti e padri,che hanno cioè lasciato indietro (left behind) mogli e figli, oltre a parenti del nucleo allargato, permigrare, hanno una forte propensione al rientro vissuto come riunificazione alla famiglia al paese diorigine.

Anche dal punto dell’immaginario collettivo, un potente apparato simbolico (costituito di miti,narrazioni e riti propedeutici) da un lato fonda e celebra la migrazione come un’impresa eroica;dall’altro implica e integra necessariamente il ritorno alla società di origine come consacrazione delsuccesso e come naturale esito del progetto migratorio. Un proverbio senegalese dice: “È il carattereche ti porta ad andare alla ricerca, però è il coraggio che ti farà ritornare” (Fulla mooy wutti, waayefayda mooy gnibbisi); ed uno dei tanti proverbi wolof che parla di emigrazione: “Chi nel suo espatriosi comporta da laborioso, tornerà a vivere da re a casa sua” (Ku tuki di badolo, bo ngibe don bur)(Castagnone et al., 2005).

La stessa terminologia usata, mostra come la migrazione sia un percorso da guerriero al termine delquale si riceve la consacrazione e come le prove e sofferenze dello spazio migratorio siano accettatein anticipo poiché il ritorno è “teatralizzazione del successo” nello jang, cerimonia da cui si evincel’immagine dell’emigrato nella società, quella che lui stesso mostra e che gli altri recepiscono; cisono jang che radunano intere famiglie che hanno al loro interno degli emigrati: è una nuovadimensione dell’epopea che grazie ai successi ottenuti e mostrati stimola il desiderio di imitarli edemigrare (Dieng, 2001, 56; Castagnone et al., 2005). Il migrante che ha superato le diverse provee accede alla consacrazione non è più modou modou, ma goulu, una persona completa che hacompiuto il suo rito iniziatico (Fall, 1998). Nel sentimento del ritorno di cui s’è detto, l’epopea dàsenso all’emigrazione come ricerca iniziatica, e se l’esilio ha sostituito l’iniziazione nel bosco sacro,l’emigrazione è la strada per l’acquisizione di competenze, per ottenere maturità, esperienza,coraggio (Dieng, 2001, 55). Inoltre nei murid questa autorappresentazione è più forte perchéconoscenza spirituale e lavoro sono uniti (Riccio, 2001b, 591).

Il fenomeno dei ritorni nelle migrazioni senegalesi: chi, quanti e perché rientrano

Una recente inchiesta sulle migrazioni dal Senegal, denominata MAFE54, ha permesso di fare lucesul fenomeno delle migrazioni senegalesi di ritorno. In particolare i dati mostrano come circa il 50%dei migranti censiti presso le famiglie intervistate a Dakar, siano tornati al paese di origine dopo 10

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Progetto VolverRICERCHE

54 MAFE (Migration between Africa and Europe) è un progetto internazionale di ricerca sulle migrazioni fra Africa ed Europa, e inparticolare fra il Senegal e l’Italia, la Francia e la Spagna; la Repubblica Democratica del Congo e il Belgio e il Regno Unito; e fra il Ghanae i Paesi Bassi e il Regno Unito. La ricerca ha raccolto dati biografici sui migranti, gli ex migranti e i non migranti, in ognuno di questipaesi di provenienza e di destinazione, fra il 2008 e il 2010 attraverso una survey individuale e una survey svolta presso le famiglieresidenti nei paesi di origine. Si veda a proposito il sito del progetto: www.mafeproject.com. I dati usati in questo documento sonorelativi all’inchiesta svolta sulla migrazione senegalese nel 2008, che è stata realizzata dall’INED di Parigi in Francia, dall’IPDSRdell’Università Cheikh Anta Diop in Senegal, da FIERI in Italia e dall’Università Pompeu Fabra in Spagna.

anni di assenza. Tuttavia il fenomeno varia moltissimo a seconda che si tratti di ritorni dalledestinazioni africane o da quelle europee. Mentre infatti, dopo 10 anni all’estero, circa 7 migranti su10 sono rientrati dall’Africa, solo 2 su 10 sono rientrati da paesi Occidentali, e dall’Europa inparticolare (Flahaux et al., 2010).

Inoltre più le partenze dei migranti sono antiche, più i ritorni sono frequenti e veloci. Dopo 10 anni diassenza dal Senegal, quasi tre quarti dei migranti partiti tra il 1975-1982 in Europa sono rientrati.La percentuale scende al 40% per coloro che sono partiti tra il 1982 e il 1991, e al 30% per isoggetti emigrati tra il 1992 e il 2001. Al contrario, la probabilità di ritorno per coloro che sonopartiti in Africa non variano in base ai periodi di partenza (ibid.).

Il fatto che i ritorni siano meno frequenti dalle destinazioni europee, e in particolare negli ultimidecenni, rafforza l’ipotesi, avanzata da diversi studi sulle migrazioni, che la propensione al rientrosia strettamente correlata alla condizione giuridica dei migranti.

Mentre infatti entro lo spazio africano e in particolare nella zona ECOWAS (Economic Community ofWest African States) vige un regime di libera circolazione e insediamento degli individui dei paesimembri, fra cui il Senegal, in Europa il regime migratorio, che regola le barriere all’ingresso e lecondizioni per il rinnovo dello status di coloro che già vi risiedono, sono diventate sempre più severee vincolanti nel corso degli anni. Queste stesse restrizioni legali nei paesi europei portano i migrantia rinviare o annullare i loro progetti di rientro.

Per i migranti, il ritorno al paese di origine è infatti fortemente vincolato alle condizioni dire-inserimento e ai rischi a questo associati. Le risorse finanziarie possono essere insufficientiall’avvio di un’attività imprenditoriale, possono essere mal gestite ed esaurite in tempi brevi; ilegami sociali al paese di origine possono essere indeboliti a causa di una prolungata assenza e puòcosì venir meno la rete di conoscenze funzionale all’avvio di un’attività o alla ricerca di impiego.Inoltre spesso le competenze acquisite all’estero possono non essere funzionali e direttamentespendibili al momento del ritorno, soprattutto per coloro che sono stati impiegati in lavori pocoqualificati oppure in mansioni tecniche troppo specifiche.

In questa situazione di insicurezza e instabilità, la possibilità di ripartire in caso di difficoltà o difallimento del progetto di rientro è perciò una strategia comunemente adottata per compensarequesta incertezza. Di conseguenza, più i costi associati alla partenza sono elevati (in terminieconomici, psicologici, e di rischi di vario tipo), meno è facile decidere di rientrare, a causa deltimore di dover riaffrontare gli stessi ostacoli e di vedere disperso l’investimento iniziale (Flahaux etal., 2010; Castagnone, 2011).

In questo quadro, politiche sempre più restrittive di ingresso e di regolarizzazione invece chedisincentivare l’arrivo dei migranti o portarli ad abbandonare l’avventura migratoria,paradossalmente hanno avuto l’effetto di spingerli a stabilirsi definitivamente a destinazione(Entzinger, 1985; Fargues, 2004; de Haas, 2009; Castagnone, 2011).

I motivi dei rientri

La letteratura sulla decisione al ritorno volontario suggerisce che fattori non-economici (legamifamigliari, desiderio di ricongiungersi alla propria terra di origine, ecc.) tendono ad avere un pesomaggiore sulla possibilità di rientrare, rispetto a quelli economici. I fattori pull (di spinta) nel paesedi origine sembrano inoltre essere più rilevanti dei fattori push (di attrazione) nel paese didestinazione. Nel complesso, la letteratura sottolinea la complessità insita nella decisione delritorno in cui elementi determinati dalla “scelta razionale individuale” si confrontano con discussionie confronti a livello familiare e di comunità, oltre ad elementi di contesto (socio-politico-economico,in patria e nel paese di accoglienza) entro cui prende forma tale decisione (King, 2000; Black et al.2004, in Ferro, 2011).

I dati MAFE forniscono qui una prospettiva soggettiva, anche se alquanto semplificata (i motivi sonopiù complessi e articolati soprattutto, spesso si sovrappongono, concorrendo alla decisione delritorno) delle ragioni relative al ritorno, dichiarate dagli ex migranti intervistati in Senegal.

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Rapporto paeseSENEGAL

Se la partenza è strettamente legata alla necessità di assumere i propri doveri verso la famiglia e ilgruppo di origine, spinti da un senso di dovere e di onore (jom), la ragione principale del ritorno(38%) continua a essere riferita alla famiglia.

Questa può poi assumere diverse valenze e sfumature. Può riferirsi alla scelta di rientrare persposarsi e costituire una famiglia, oppure, più spesso, per ricongiungersi a moglie e figli lasciati inSenegal, o, ancora, per accompagnare il rientro del proprio coniuge con cui risiedeva all’estero. Vi èpoi chi rientra in coincidenza di eventi famigliari imprevisti, come la malattia o il decesso di unparente, che richiedono la presenza e l’assistenza da parte del membro della famiglia all’estero.

Il lavoro viene solo al secondo posto (22%) e riguarda sia chi è rientrato a lavorare in Senegal, dopoesser stato inviato dal proprio datore di lavoro all’estero, oppure in seguito alla decisione di cercarelavoro in Senegal e in alcuni casi avendolo già trovato; sia chi si è ritrovato prolungatamentedisoccupato all’estero e si è visto costretto a tornare.

Il terzo motivo più spesso citato è l’ambizione di avere una maggiore qualità della vita (14%), sia inrelazione alle difficoltà di inserimento socio-culturale, sia al desiderio di ritornare a vivere inSenegal.

Motivi di rientro dei migranti senegalesi

Fonte: Elaborazioni su dati MAFE a cura di Flahaux (2009:76)

Vi sono poi coloro che, dopo un periodo di studio o di formazione all’estero, rientrano per motivilegati agli studi (10%), decidendo di portarli a termine o di cercare lavoro dopo il periodo svoltoall’estero nel paese di origine.

Vi sono poi coloro che hanno dichiarato di essere rientrati per motivi amministrativi (5%),soprattutto legati alla difficoltà di rinnovare il permesso di soggiorno all’estero, o perché espulsi dalpaese di destinazione.

Altri sono rientrati per motivi di salute (4%), a causa cioè di una malattia, che si è voluta trattare nelpaese di origine, oppure in seguito a una cura seguita nel paese di residenza all’estero.

E’ sorprendente notare come una proporzione minima (3%) rientri esplicitamente per investimenti,fra cui l’avvio di impresa, nel paese di origine.

Anche i ritorni legati al pensionamento e alla chiusura dell’età produttiva corrispondono solo all’1%,a dimostrazione del fatto che la migrazione di ritorno senegalese prevede comunque un progetto dirientro in età produttiva, e dunque un re-inserimento economico.

Per un ultimo gruppo, infine, il ritorno ha corrisposto a un tentativo fallito (1%) di migrazione, cioèalla difficoltà di raggiungere la destinazione desiderata, oppure ha svolto la funzione di

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Progetto VolverRICERCHE

riformulazione del progetto migratorio, è cioè servita a riprogrammare una nuova partenza (1%) peruna nuova destinazione.

L’esito dei rientri volontari: i fattori che incidono sulla re-integrazioneeconomica in patria

I risultati di diverse indagini sugli esiti dei rientri di migranti al paese di origine mettono in evidenzacome i migranti di ritorno globalmente raggiungano livelli di occupazione più elevati e riescano ainserirsi maggiormente in posizioni lavorative qualificate rispetto al resto della popolazione (i “nonmigranti”) (Metzger, Flahaux, 2010; De Vreyer, Gubert, Robillard, 2009).

I migranti di ritorno mostrano inoltre una particolare propensione all’auto-impiego. Questa puòessere spiegata come risultato di un capitale umano ed economico acquisiti attraverso lamigrazione. Tuttavia è stato anche sottolineato come la scelta del lavoro autonomo possa essere unripiego in settori dalle basse soglie di ingresso, in relazione all difficoltà di accedere al mercato dellavoro dipendente, dove probabilmente serve anche un capitale sociale specifico, che spessodurante il periodo di emigrazione si è disperso.

I fattori che incido sull’esito del ritorno, in termini di re-integrazione (socio-)economica sono:

� l'esperienza lavorativa all’estero: l’esperienza lavorativa acquisita all’estero può tradursi inmodo funzionale all’avvio di attività produttive in patria attraverso l’acquisizione di nuovecompetenze, di capitale sociale o la stimolazione di nuove idee (Ferro, 2011). Tuttavia,l’acquisizione di queste risorse nel corso dell’esperienza migratoria non è scontata e rimanda alpresupposto per cui il migrante: 1) sperimenti una reale socializzazione nel sistema di relazioniindustriali e lavorative nel paese di destinazione 2) spendibili e applicabili al contesto direinserimento nel paese di origine. Complessivamente, infatti, la segmentazione e segregazionedel mercato del lavoro nel paese di destinazione (in particolare in Italia) tendono a relegare laforza lavoro immigrata in nicchie occupazionali del terziario o del manifatturiero di bassaqualifica, che poco contribuiscono a sviluppare un innovative capacity building (Brydon, 1992;Enchantuegui, 1993). I modelli culturali ed economici con i quali il migrante si relazionarispecchiano spesso questa segregazione ed emarginazione sociale e occupazionale (oltre ad unafrequente negazione dei diritti), non rappresentando sempre degli utili valori d’innovazione ed’esportazione. Diverse sono poi le risorse acquisite, in termini di capitale umano e di “culturaaziendale”, di coloro che abbiano avuto prevalentemente impiego come operai in una fabbrica digrandi dimensioni - dove la divisione/segmentazione del lavoro risulta molto accentuata, dacoloro che abbiano invece lavorato in imprese di piccole dimensioni, dove vi è un maggioreaccesso a conoscenze di organizzazione del lavoro, forse in parte riproducibili nel paese di origine(Ferro, 2011).

L’occupazione in mansioni di bassa qualifica (per esempio, operaio in una fabbrica), verso lequali l’investimento di capitale umano è minimo e la socializzazione di una cultura organizzativaè ridotta, dimostrano tuttavia di non precludere la possibilità di valorizzazione e trasferimentodell’esperienza lavorativa nel paese d’origine, ove la ricchezza del capitale sociale e relazionalecompensino altre debolezze (ibid.).

Inoltre, in un recente studio effettuato sui migranti di ritorni in Senegal (Fall, 2010), sono ancheemerse capacità dei migranti di valorizzare i capitali – in particolare sociali e relazionali –accumulati durante l’esperienza migratoria, nonostante il lavoro di bassa qualifica svoltoall’estero. La potenzialità dell’impatto produttivo e di sviluppo dei ritorni dei migranti si può cosìanche esprimere nella capacità di interiorizzare aspetti dell’esperienza migratoria, che possonoquindi includere non solo competenze tecniche, ma anche cultura lavorativa, contatti e capitalesociale ecc., e di applicarli in patria (Ferro, 2011). Ciò viene rilevato frequentemente nellapossibilità di coinvolgere il precedente datore di lavoro in Italia (o nel paese di immigrazione)come partner in affari o finanziatore della propria impresa in Senegal.

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Rapporto paeseSENEGAL

� Il livello di istruzione: un livello di istruzione elevato aumenta la possibilità di trovare un lavoroqualificato e diminuisce le possibilità di essere sotto-impiegati o auto-impiegati una voltarientrati in Senegal (Mezger, Flahaux, 2010). D’altro canto è stato anche dimostrato che lacapacità di accumulare risparmi e relazioni non è preclusa a coloro che non hanno raggiunto unlivello di istruzione elevato in partenza (Black et al., 2003) e che i progetti imprenditoriali deisoggetti meno scolarizzati, seppur meno articolati e improntati a una conduzione familiare,talvolta risultano anche più concreti e meno ideali rispetto a quelli dei loro connazionali piùscolarizzati (Gelpi, 2010).

� la durata della migrazione: la durata dell’esperienza migratoria può avere effetti contrastantisull’esito del ritorno imprenditoriale: da un lato una lunga permanenza all’estero aumenta lapossibilità di accumulare maggiori esperienze e competenze lavorative, di risparmiare maggiorisomme e di inviare più rimesse nel tempo; i migranti di ritorno con più di quattro anni diesperienza migratoria raggiungono infatti redditi sensibilmente più elevati di coloro che sono statiper un periodo breve all’estero (Mezger, Flahaux, 2010). D’altro canto la prolungata assenza dalpaese di origine può anche produrre uno “scollamento” dal contesto di provenienza, allentandole relazioni con il network di parenti, amici, conoscenti, e rendendo meno diretto l’accesso ainformazioni funzionali a un re-inserimento economico in patria.

� Le relazioni con il paese di origine: il mantenimento di relazioni (economiche, sociali, famigliari)con il paese di origine è dunque uno degli elementi essenziali per il successo del reinserimentosocio-economico dei migranti che progettano dei rientri permanenti. L’approccio transnazionaleallo studio delle migrazioni ha aiutato a comprendere come i migranti mantengano legami erelazioni di varia natura nel corso dell’esperienza migratoria, sia attraverso i ritorni temporanei ele visite frequenti, o i nuovi mezzi di comunicazione a basso costo (e-mail, videochiamate, ecc.),ma anche attraverso i rapporti stabiliti con altri membri della diaspora, costruendo un capitalesociale transazionale.

� La costituzione di risparmi e l’invio delle rimesse: entrambi questi elementi risultano essenzialinell’avvio di impresa al momento del ritorno, dal momento che fra gli elementi cruciali dello startup di un’attività, l’accesso al credito risulta una delle principali difficoltà per i potenzialiimprenditori. I dati mostrano come i migranti di ritorno che hanno trasferito denaro durante il loroperiodo all’estero e hanno in questo modo mantenuto contatti con la famiglia (i quali sono spessoi collaboratori principali nelle attività avviate dai migranti di ritorno, vedi Gelpi, 2011), hannomaggiori opportunità di essere lavoratori autonomi rispetto ai non migranti (Mezger, Flahaux,2010). E’ d’altro canto stato messo in evidenza come le rimesse siano soprattutto destinate acolmare bisogni di consumo presso le famiglie di origine e non costituiscano necessariamenteuna forma di risparmio finalizzato a obiettivi produttivi. Secondo un’indagine condotta dallaBanca Africana dello Sviluppo (BAD, 2007) sulle rimesse inviate in Senegal, il 60,9% degli inviidi denaro è destinato alle famiglie (spese di consumo, educazione, salute, ecc.), mentre il 33,8%degli investimenti sono destinati al settore immobiliare e solo il 5,3 % al finanziamento di attivitàproduttive.

La preferenza da parte dei migranti per gli investimenti immobiliari è riconducibile a ragioni diordine sia economico, che sociale. Questi sono considerati innanzitutto come investimenti sicuri,che richiedono un minore capitale finanziario, umano e sociale, rispetto ad attivitàimprenditoriali e un minore carico amministrativo. Il settore immobiliare ha inoltre ricevutodiversi incentivi a livello istituzionale, attraverso l’accesso a piani finanziari agevolati. L’acquistodi immobili o di terreni viene inoltre ritenuto una buona forma di risparmio, nonché di garanziaper futuri prestiti presso le banche, e come una fonte di reddito attraverso la loro locazione.L’acquisto di terreni o case è infine ritenuto un segno tangibile di stato sociale elevato e disuccesso, costituendo così un investimento anche in termini di prestigio e di capitale sociale, suicui poter contare successivamente al momento del ritorno.

� Il contesto istituzionale del paese di origine è un elemento cruciale per la costituzione diimpresa e può avere un impatto decisivo sulla decisione del ritorno e sul suo successo.Nonostante il governo senegalese abbia varato nel corso degli anni delle misure di agevolazione

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Progetto VolverRICERCHE

agli investimenti produttivi55 dei migranti (di ritorno e non), tuttavia permangono ancora fortidifficoltà legate all’avvio di attività produttive/imprenditoriali al rientro in Senegal. I migrantistessi considerano infatti grave e limitante, ancor più della mancanza di capitale finanziario, lapresenza di normative restrittive o la mancanza di sostegno e assistenza pubblica. I risultati diuna ricerca condotta dalla Banca Mondiale sul clima di investimento in Senegal hanno inoltreevidenziato, fra i principali ostacoli nell’apertura e nella gestione di attività, la corruzione delleistituzioni e degli enti con i quali l’attività imprenditoriale si trova in relazione, e una scarsa onulla assistenza pubblica (Gelpi, 2010).

Quello delle infrastrutture è un altro problema rilevante, in particolare in relazione ai trasporti ealle continue interruzioni di corrente che si sono verificate negli ultimi anni, creando notevolidanni alle imprese.

Il ritorno come progetto differito

Tuttavia, anche se il ritorno è inscritto nel progetto migratorio, e per la maggior parte dei migrantiquesto rappresenta l’obiettivo ultimo dell’esperienza migratoria, secondo Robin et al. (2000), 96%dei migranti che pianificano il rientro, non hanno ancora stabilito la data nella quale in cui questodovrebbe avere luogo.

Se la condizione della maggior parte dei senegalesi all’estero è quella di vivere la migrazione comeun’esperienza temporanea, con un sentimento permanente di ritorno futuro (Castagnone et al.,2005; Mboup, 2000; Sinatti, 2010), tuttavia, continuamente prorogato, il ritorno definitivoacquisisce lo status di un mito, assumendo le caratteristiche di un obiettivo costante, macontinuamente rimandato e non ben definito. Questo sentimento, che è stato definito “desideriolento” (Castagnone et al, 2005), è uno stato d’essere che accompagna le vite quotidiane deimigranti all’estero, orientati verso un futuro indefinito e idealizzato.

Come già accennato, per i migranti la decisione del ritorno può essere condizionata dalla possibilitàdi effettuare una nuova partenza. La metà dei ritorni è infatti considerata non definitiva dai migranti,che sono potenziali candidati per nuove partenze (Flahaux, 2010). Il re-inserimento in patria puòrivelarsi fallimentare o problematico dal punto di vista economico, sociale o culturale, spingendo auna nuova partenza, come già detto. Inoltre è stato da più parti sottolineato come il ritorno al paesedi origine spesso non implichi comunque una rottura definitiva con l’esperienza migratoria. Ancheper coloro che investono in un progetto imprenditoriale associato al rientro, questo si delinea, nellamaggior parte dei casi come uno spostamento del baricentro fra Italia e Senegal a favore del paesedi origine, e raramente come un ritorno definitivo e una recisione dell’esperienza migratoria(Castagnone, 2006).

Coloro che optano per un rientro definitivo cercheranno di sfruttare il titolo di soggiorno acquisitoall’estero per mantenere contatti, soprattutto di natura commerciale, con l’Italia e, più in generale,l’Europa. Di fatto il permesso di soggiorno continua a rappresentare un’ancora di salvezza alla qualeaggrapparsi qualora i progetti in Senegal non vadano a buon fine, o, comunque, una “carta”indispensabile per mantenere i rapporti con l’Italia e quindi garantire la sostenibilità dell’impresatransnazionale (Gelpi, 2011).

Il ritorno mantiene dunque una forte reversibilità e le risorse attivate tramite la migrazione, soprattuttoin termini di reti sociali, ma anche di competenze professionali, sono un capitale da riattivare in casodi bisogno, all’occorrenza attraverso nuove partenze all’estero. Chi rientra si trova dunque ad attuareuna continua mediazione fra i benefici potenziali del rientro (in termini di riavvicinamento alla famigliae alla società di origine, di realizzazione di un progetto imprenditoriale in patria, ecc.) e le opportunitàofferte dalla condizione di migrante (possibilità di avere un lavoro stabile e meglio retribuito, dirisparmiare e inviare soldi a casa, di accedere a servizi di welfare, ecc.).

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55 Alcuni esempi di politiche attive sono : i Fonds d’appui à l’investissement des Sénégalais de l’extérieur (FAISE) o il piano Retour versl’agriculture (REVA) finalizzato a contenere l’emigrazione dei giovani e a favorire il ritorno dei migranti che intendono avviare imprese nelsettore agricolo, favorendo la creazione di impiego.

Sempre secondo la ricerca MAFE, il 15,8% dei migranti senegalesi intervistati hanno compiutoritorni prolungati (della durata superiore a un anno) seguiti da nuove partenze; fra questi prevalgonoi migranti di ritorno intervistati in Senegal (individui che avevano soprattutto migrato in paesidell’Africa Occidentale), con un 28% di individui che hanno compiuto ritorni e successive nuovepartenze. Il campione intervistato in Europa (Spagna, Francia, Italia) mostra un tasso assai inferioredi individui che siano rientrati almeno una volta in Senegal e poi ne siano nuovamente partiti: il13,5% degli intervistati in Francia, il 12,5% in Spagna, e solo il 7,9% in Italia. La maggior parte deirientri (71%) dura meno di cinque anni, mentre i dati mostrano come circa nel 30% di casi ancherientri molto lunghi, della durata superiore ai dieci anni, possono poi portare a nuove successivepartenze.

Durata totale dei periodi di ritorno in Senegal per individui, per paese di residenza al momento

dell’inchiesta (2008)

Anni diritorno56 Spagna Francia Italia Senegal Totale %

1-5 17 17 13 44 91 71.1

6-10 5 7 2 7 21 16.4

+11-20 3 3 1 9 16 12.5

Totale 25 27 16 60 128 100

% 12,5 13,5 7,9 28,8 15,8

N 200 200 201 208 209

Fonte: MAFE-Senegal Survey

Siccome alcuni hanno compiuto più ritorni e successive nuove partenze, cambiando anchedestinazione nel corso della propria “carriera” migratoria, il seguente grafico permette di visualizzarepiù chiaramente da quali destinazioni migratorie il campione complessivamente intervistato inMAFE è tornato a un certo punto dell’esperienza migratoria, per poi ripartire successivamente.

Zone da cui i migranti senegalesi rientrano per ritorni lunghi (1 anno) e poi ripartono

Source: MAFE-Senegal Survey

Come il grafico mostra, che la grande maggioranza dei ritorni di lungo termine (superiori a un anno)avvengono da destinazioni migratorie intra-africane (58%), principalmente dall’Africa Occidentale(45%).

I ritorni seguiti da nuove partenze avvengono poi dalla Francia (21%), anche se in tempi nonrecenti. In particolare i ritorni dalla Francia hanno avuto luogo fra la fine degli anni ’70 e l’inizio deglianni ’90, un periodo caratterizzato da un inasprimento delle leggi migratorie in Francia e da

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56 Gli anni di ritorno indicano il totale degli anni che ogni individuo può aver compiuto con uno o più ritorni in Senegal, in diversimomenti della vita.

politiche di promozione del ritorno (Mezger, 2008). Solo il 7% dei ritorni, infine, ha avuto luogodall’Italia, che, assieme alla Spagna, è una destinazione migratoria più recente.

Nelle nuove partenze, i tempi svolgono infatti un ruolo importante, come evidenziano i dati MAFE(Flahaux et al. 2010). Conta innanzitutto l’età dei migranti: coloro che hanno sorpassato l’età di 35anni al momento del primo ritorno in Senegal hanno una probabilità di dieci volte inferiore diripartire, rispetto a coloro che sono rientrati più giovani (fra i 18 e i 24 anni). Coloro che rientrano aun’età più avanzata hanno infatti modo di preparare meglio il loro rientro, elemento che è statodimostrato essere essenziale nei processi di reinserimento socio-economico nel paese di origine(Cassarino 2004).

Anche il tempo passato all’estero contribuisce a determinare le nuove partenze: gli individui chehanno passato più di dieci anni fuori dal Senegal hanno una probabilità quattro volte superiore diripartire rispetto a coloro che hanno avuto un soggiorno all’estero inferiore ai dieci anni. Anche quiprevale la logica secondo la quale le lunghe assenze dal paese di origine possono contribuire adaccrescere l’attaccamento al paese di destinazione e ad allentare i legami con il paese di origine,rendendo più complesso il reinserimento economico nella società di origine.

Nelle pratiche circolatorie, risulta infine determinante la destinazione migratoria. Come indicanoinfatti i dati MAFE, la migrazione di ritorno è una strategia adottata soprattutto da coloro chemigrano verso paesi africani, soprattutto della zona ECOWAS, dove vige un regime di liberacircolazione, e in misura molto inferiore da destinazioni europee. I ritorni (con successive ripartenze)sono un fenomeno poi identificabile anche a partire dalla Francia, ma soprattutto fra gli anni ’70 e’90, e sempre meno negli anni successivi, cioè a partire da quando si registra un inasprimento dellepolitiche di ingresso e di soggiorno dei migranti in questo paese.

Il “vai e vieni” fra Europa e Senegal: i ritorni di brevi periodo

Accanto a una mobilità circolare composta da rientri di lunga durata e nuove partenze, che sisviluppa principalmente entro lo spazio dell’Africa Occidentale (e, come abbiamo visto, in misuramolto più ridotta a partire da destinazioni europee), si osserva una vivace mobilità circolare di brevedurata, composta di numerosi e ripetuti rientri a partire dalle destinazioni europee verso il Senegal(e molto meno rilevante a partire dalle destinazioni africane).

Fra il campione italiano troviamo il numero più basso (56,7%) di soggetti che hanno compiuto unoo più ritorni temporanei della durata inferiore a un anno al Paese, ma con un numerocomparativamente alto di ritorni per individuo. I migranti in Spagna che hanno fatto rientri brevi inSenegal sono più numerosi (60,5%), ma un numero inferiore di visite pro-capite. Il campionefrancese è quello con il numero maggiore di individui (77,5%) che hanno effettuato visite al paese diorigine.

Numero di ritorni individui che sono rientrati una o più volte per periodi brevi in Senegal, in base

al Paese di residenza al momento dell’inchiesta (2008)

Numero diritorni perindividuo

Spagna Francia Italia Senegal Totale

1-5 108 82 67 17 274

6-10 10 34 21 1 66

11-20 3 28 19 0 50

21-40 0 11 7 0 18

Total 121 155 114 18 408

% 60.5 77.5 56.7 8.6 50.4

N 200 200 201 208 209

Fonte: MAFE-Senegal Survey

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Se il ritorno definitivo è infatti l’orizzonte comune, spesso questo viene rimandato per periodi lunghie indefiniti. In questo contesto, i brevi ritorni periodici, svolti una o più volte all’anno, evocati anchecome shuttle mobility (Pastore, 2008), servono a mantenere e a rinnovare i legami famigliari,sociali, economici, culturali con il paese di origine, funzionali anche alla preparazione dell’eventualefuturo ritorno.

Inoltre i ritorni temporanei svolgono la funzione essenziale di riproduzione simbolica. Servono amantenere il prestigio sociale, rappresentano la ricompensa per lo sforzo all’estero, rinnovando ilsenso della migrazione, che è fondato su basi materiali (il lavoro, il reddito), ma anche su radicisimboliche (il prestigio, l’accresciuto status sociale). Questa condizione di privilegio va peròrinnovata e rinegoziata ad ogni ritorno, attraverso la redistribuzione di denaro e regali, attraverso levisite, ecc. (Castagnone et al., 2005). Questi stessi ritorni alimentano a loro volta l’immaginario dicoloro che sono rimasti, attraverso l’ostentazione del benessere, creando uno stimolo alla partenza ealimentando una cultura collettiva della migrazione. E’ proprio grazie ai ritorni che i migranti sonoemersi come nuove figure sociali di successo (Riccio, 2007), “eroi contemporanei che incarnano lenuove forme di mobilità sociale, diffondendo modelli di esistenza e stili di vita che vanno oltre ilmero successo materiale”.

Il ben noto transnazionalismo della diaspora senegalese, che si nutre in larga misura di questatensione fra paese di destinazione e paese di origine e di questa forte propensione a un ritornodefinitivo in patria, tuttavia difficile da effettuare, trova una forma alternativa di organizzazione e disostentamento attraverso una mobilità intermittente e di breve durata. I periodi di rientro annuale,che talvolta posso durare anche diversi mesi, assumendo i connotati di una sorta di mobilitàcircolare a breve termine fra l’Europa e il Senegal, possono essere in questa logica interpretati comeun compromesso, una scelta di ripiego, in relazione alle difficoltà già menzionate di realizzare unrientro definitivo.

La condizione transnazionale, il restare cioè fra i due mondi, può essere tuttavia una carta giocatafunzionalmente sia durante la migrazione (attraverso i ciclici “vai e vieni”), sia al momento delritorno in Senegal, soprattutto in termini di ottimizzazione del capitale sociale transnazionale.Questo stesso capitale si rivela decisivo al momento del ritorno definitivo, nella costruzione di unprogetto di re-integrazione economica attraverso la ricerca di un lavoro o l’avvio di un’attivitàeconomica. Non va inoltre sottostimato il ruolo economico che la shuttle migration può svolgere inrelazione alle attività commerciali attivate dai migranti fra il paese di origine e quello didestinazione, che si alimentano proprio di questa capacità di muoversi fra vari paesi, un vero eproprio “capitale spaziale” (Castagnone, 2011). Quest’ultimo può essere inteso come la capacità dicapitalizzare in termini economici (ma non solo) la competenza alla mobilità, attraverso la creazionedi reti sociali ed economiche, funzionali ad attività di tipo transnazionale.

Nell’analisi dei ritorni non vanno infatti sottostimati i benefici che una élite transnazionale (capacecioè di destrarsi fra più paesi, sia attraverso strategie residenziali multi-locali, che attraverso lacreazione di legami mantenuti a distanza fra più paesi) ha saputo cogliere attraverso una“globalizzazione del basso”. In questa prospettiva i movimenti pendolari fra una o più destinazionimigratorie e il paese di partenza possono essere anche il risultato di una strategia ben calcolata chepermetta di accumulare e re-investire relazioni, capitali, competenze.

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Capitolo IVIl ritorno e l’impatto sullo sviluppo del paese di origine:un binomio dagli esiti controversi

Il dibattito sulle migrazioni di ritorno è stato associato negli ultimi anni alla prospettiva dimigrazione-sviluppo (M&D), basata sulla considerazione che i migranti di rientro siano in grado ditrasferire e valorizzare i vari capitali (culturale, economico, sociale, umano) accumulati durantel’esperienza all’estero. Questa prospettiva vede in particolare la migrazione di rientro come unprocesso di re-inserimento socio-economico virtuoso, attraverso la creazione di impresa, che a suavolta genererebbe creazione di lavoro e sviluppo locale (Ferro, 2011; Cassarino, 2004), o attraversola riacquisizione di lavoratori altamente qualificati (brain re-gain).

L’evidenza empirica sulla relazione fra migrazioni e sviluppo è tuttavia ancora troppo frammentariae contradditoria per poterne delineare delle tendenze generali e certe. L’impatto delle migrazioni diritorno in termini di sviluppo è poi soggetto a diversi fattori, fra cui il volume delle migrazioni diritorno, le caratteristiche dei migranti di ritorno, le ragioni del ritorno e la situazioni socio-economicaed istituzionale nel contesto di origine (De Vreyer, Gubert, Robillard, 2009).

Alcune osservazioni, già argomentate in questo paper, hanno messo in evidenza opportunità, maanche limiti e aspetti critici dei processi di re-inserimento economico dei migranti in patria e di comenon vi sia un nesso meccanico e univoco fra ritorni e sviluppo nei paesi di origine, ridimensionandovisioni troppo ottimistiche e semplicistiche.

Dal punto di vista del capitale umano, si è infatti argomentato come l’esperienza lavorativa all’esteronon apporti necessariamente capitale umano e competenze direttamente spendibili al momento delrientro in patria. Mentre, poi, l’assenza prolungata dal paese di origine può impoverire il capitalesociale “locale” (riferito cioè alle relazioni in patria, e, fra queste, soprattutto quelle funzionali a unre-inserimento economico), mentre le relazioni stabilite nel paese di destinazione da un lato, e ilegami transnazionali intrattenuti nel corso della migrazione (in gran parte grazie a una mobilitàcircolare) dall’altro, possono costituire un nuovo capitale sociale “transnazionale” che può esserere-investito e messo a profitto al momento del ritorno.

Va infine ri-dimensionato il “mito del ritorno imprenditoriale”, come esito ideale “win-win-win”, cheproduca cioè un beneficio contemporaneamente per il paese di origine, quello di destinazione e per imigranti stessi, alla luce di alcune considerazioni critiche. Quelle avviate dai migranti di ritornorisultano infatti essere soprattutto micro e piccole imprese nate con l’obiettivo di garantire un lavoroautonomo e familiare, dai ridotti margini di profitto e dal debole valore innovativo, limitando inverogli effetti catalizzatori per lo sviluppo economico ad attività poco modernizzatici e innovatrici. Inoltrel’avvio di imprese autonome, che viene spesso visto come un processo di investimento produttivo edi creazione d’impiego, quando si sviluppa all’interno del settore informale è spesso associato alavoro e condizioni di lavoro precari (Mezger, Flahaux, 2010).

L’orientamento del ritorno a un impatto sullo sviluppo del paese di origine non è poinecessariamente perseguito dai migranti stessi come un obiettivo in sé.

Come Ferro (2010) ricorda, le condizioni per agevolare un ritorno costruttivo (produttivo o dicambiamento e innovazione) sono identificate (Marta, 2009) nella presenza di:

� un interesse individuale per un proprio miglioramento socio-economico nel paese di origine;� un interesse per il miglioramento del paese di origine;� una propensione a definire un progetto di ritorno e a mettere in pratica attività di preparazione del

ritorno stesso;� modalità di ritorno (provvisorio o permanente) che variano a seconda della motivazioni/progetti

che spingono il migrante a tornare.

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Soprattutto nei casi dei soggetti meno scolarizzati, alla realizzazione del progetto non siaccompagna necessariamente una finalizzazione del proprio ritorno imprenditoriale allo sviluppolocale o del paese. Per questo gruppo il progetto imprenditoriale rappresenta piuttosto unostrumento per sanare il disagio migratorio il più velocemente possibile, attraverso l’avvio diun’attività autonoma, in grado di garantire nell’immediato i mezzi per la sussistenza (Gelpi, 2010).Fra i soggetti più scolarizzati la ricaduta di un proprio ritorno in termini di sviluppo del paese e dellacomunità di origine diventa più esplicitamente un obbligo morale, nonché una responsabilitàsociale, connesso, alla valorizzazione dell’esperienza migratoria e dei capitali acquisiti (ibidem).

A partire da metà degli anni 2000 crescente attenzione è stata posta alle migrazioni di ritorno, ediversi programmi sono stati concepiti con l’obiettivo di promuovere e sostenere i flussi di rientro.Fra i diversi attori che si sono mobilitati in questa direzione vi sono i governi europei (fra cuisoprattutto la Francia, la Spagna e l’Italia), le organizzazioni internazionali (fra le quali OIM, UNDP,ILO), ONG (organizzazioni non governative) nazionali e internazionali e alcune amministrazionilocali (nel quadro di accordi di cooperazione decentrata)57.

In particolare, come osservano Kabbanji e Flahaux (2011), i programmi orientati al sostegno dellemigrazioni di ritorno sono così classificabili:

1. I programmi inter-governativi di assistenza al ritorno volontario

I programmi inter-governativi di assistenza al ritorno volontario vengono normalmentefinanziati dai governi dei paesi di destinazione e si rivolgono a diverse categorie di migrantiche intendono rientrare in patria in modo volontario e spontaneo attraverso un aiuto logisticoe finanziario: migranti regolari o irregolari (o con permesso di soggiorno scaduto); specificigruppi individuati come “vulnerabili” (rifugiati, richiedenti asilo, vittime della tratta, ecc.).

Questi programmi hanno evidenziato una serie di criticità:

� il contributo economico concesso ai migranti che rientrano, che assume un peso diverso aseconda del paese considerato, risulta comunque pressoché irrisorio se riferito alle risorsenecessarie all’avvio di attività produttive, anche di piccola (micro) entità e portata (Ferro,2011; Kabbanji, Flahaux, 2011), soprattutto in assenza di risparmi individualiconsistenti.

� al momento del ritorno, non tutti i beneficiari si sono rivelati in grado di avviare l’attivitàscelta al momento della definizione del progetto di rientro. Il piano previsto inizialmente siè rivelato inappropriato o non realizzabile.

� al momento del ritorno, l’avvio dell’attività imprenditoriale spesso non si rivela redditizianell’immediato. La pressione sociale e le aspettative economiche esercitate dal gruppo diappartenenza sui migranti di ritorno costituiscono un forte freno alla costituzione e allagestione di impresa, con il rischio di disperdere il capitale iniziale e gli investimentisuccessivi (Kabbanji, Flahaux, 2011).

� I programmi di assistenza al ritorno volontari possono includere servizi di sostegnologistico e assistenza alla gestione dell’impresa, che però spesso si esaurisco in brevetempo, al rientro dell’assistito (ibidem).

2. Gli “expert programs”:si rivolgono e si concentrano sul trasferimento e la valorizzazione delle competenze e delleconoscenze dei migranti altamente qualificati, mitigando così gli effetti del brain drain neipaesi in via di sviluppo. Un esempio di programmi di questo tipo in Senegal è il TOKTEN(Transfer of knowledge through expatriate nationals), sviluppato in Senegal fra il 2002 e il2006, e poi nuovamente a partire dal 2010, dall’UNDP.

3. i programmi di supporto all’imprenditoria e alle iniziative economiche dei migranti chetornano al paese di origine:questi programmi si fondano sull’assunto che il nesso fra migrazioni e sviluppo può essere

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57 Per una rassegna su queste iniziative di vedano: Ferro (2011) e Kabbanji, Flahaux (2011).

rafforzato dagli investimenti economici dei migranti. Un caso di programmi di questo tipo è ilPLASEPRI (Piattaforma d’appoggio al settore privato e alla valorizzazione della diasporasenegalese in Italia)58. Questi programmi generalmente offrono ai beneficiari formazionesull’avvio e la gestione di impresa, assistenza tecnica (studi di fattibilità, ricerche di mercato,formazione, ecc.) e assistenza finanziaria. In alcuni casi, i migranti ricevono dei finanziamentidiretti, per l’avvio dell’impresa che andranno a realizzare in Senegal.

4. I programmi che sostengono l’imprenditorialità transnazionale, attraverso forme di sostegnoagli investimenti produttivi della diaspora nel paese d’origine, senza vincoli al rientrodefinitivo. E’ il caso del programma MIDA promosso da OIM Italia59, finanziato dallaCooperazione Italiana (Ministero Affari Esteri) e rivolto alla diaspora dell’Africa Sub-Saharianain Italia. MIDA ha coinvolto attivamente le comunità immigrate nella pianificazione diinterventi e investimenti produttivi nelle aree di origine, identificando nuove opportunità,costruendo le condizioni per consentire agli immigrati di creare piccole e medie imprese neirispettivi paesi di provenienza e facilitando il loro accesso a strumenti finanziari innovativi,senza vincolo al rientro in patria da parte dei beneficiari del programma. Qui non vi è priorità ovincolo al ritorno “fisico”, mentre si punta al coinvolgimento del migrante/della diaspora informe di investimento e trasferimento trasnazionale di competenze, saperi e idee, mettendo inmoto ritorni provvisori e circolari, attraverso la costruzione di partenariati fra istituzionipubbliche, locali e nazionali, soggetti economici e società civile organizzata (fra cui leassociazioni della diaspora in Italia, le comunità nel paese di origine, le organizzazioni nongovernative, ecc.).

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58 http://www.dakar.cooperazione.esteri.it/utldakar/IT/plasepri/intro.htm59 Si veda il sito del programma: http://www.italy.iom.int/index.php?option=com_content&task=view&id=36&Itemid=61 e idocumenti di ricerca prodotti dal CeSPI: http://www.cespi.it/MIDA.html.

Considerazioni finali

Sulla base della letteratura esistente, emerge come ritorni di successo siano ritorni: 1) preparati e2) sostenibili.

1) Cassarino (2004) enfatizza come la preparazione del ritorno sia un elemento cruciale neldeterminarne il successo, indipendentemente dalla specifica esperienza migratoria. Lo studiosomette in evidenza come i migranti siano più o meno preparati o “pronti” al ritorno, sulla base delleloro capacità di mobilitare risorse sociali, finanziarie e umane, prima, durante e successivamentealla migrazione. L’essere preparati (preparedness) richiede anzitutto che il ritorno sia frutto di unadecisione volontaria del migrante stesso. Se il ritorno è deciso da altri, per esempio il coniuge, oavviene sulla circostanze esterne, come il decesso di un membro della famiglia o l’aggravamento dicondizioni economiche, legali, ecc., nel paese di destinazione, il migrante di ritorno dispone piùdifficilmente delle informazioni circa le opportunità a disposizione in patria, o delle risorseeconomiche necessarie al rientro in patria.

Va poi tenuto conto che la preparazione del rientro è preliminare ed è, per sua natura, in gran misura“transnazionale”, si nutre cioè del mantenimento e della costruzione di reti fra il paese didestinazione (con connazionali e con soggetti italiani) e quello di origine.

Sostenere la preparazione di progetti di rientro si concretizza dunque nell’offrire servizi di sostegno edi accompagnamento alla raccolta di informazioni e alla realizzazione di studi di fattibilità, nellarealizzazione di visite al paese di origine, e nella (ri-)attivazione dei contatti necessari a ottenereinformazioni, servizi, relazioni funzionali allo start up e al funzionamento dell’attività nel paese diorigine o al reperimento di lavoro dipendente al momento del rientro, nella creazione di legami conle istituzioni e nella ricerca di fondi in Italia e nel paese d’origine.

Il rientro necessita in quest’ottica di partenariati allargati fra istituzioni governative e economiche,organizzazioni internazionali, istituzioni locali, società civile e migranti stessi, del paese didestinazione e del paese di origine, per la costruzione di percorsi accompagnati fra le due sponde,cioè nelle fasi di preparazione, di effettuazione e della fase successiva al rientro. La convergenza dipolitiche correlate e che agiscano in maniera transnazionale è un processo complesso, ma quantomai necessario nella gestione di un fenomeno che già spontaneamente si sviluppa fra i due contesti.La creazione di queste alleanze permette inoltre di inserire gli interventi entro prospettive dicooperazione decentrata e di co-sviluppo che legittimano e rafforzano le azioni intraprese dai singolie i risultati raggiunti (Ferro, 2010).

L’analisi di buone pratiche di programmi di sostegno alle migrazioni di rientro (Ferro, 2011) mettein luce la necessità di strutturare percorsi di medio-lungo periodo di formazione eaccompagnamento individuale per assicurare una migliore e maggiore sostenibilità e durata delleimprese avviate. Una politica di aiuto allo sviluppo che preveda il coinvolgimento dei migranti nelruolo di imprenditori e innovatori economici deve necessariamente prevedere la presenza di percorsicomplessi e articolati (che includano aspetti di empowerment, formazione, tutoraggio, assistenza alcredito, networking etc.) che comincino nel paese di immigrazione e proseguano nel paese didestinazione.

Va inoltre sottolineato come la maggior parte dei programmi in questo settore, non sono concepiti esviluppati in maniera congiunta alle autorità senegalesi, ma da soprattutto da organizzazioni (OIM,ILO, UNDP ecc.) o istituzioni esterne (governi dei paesi di destinazione migratoria) e sono finanziatida linee Europee o da paesi europei. Un coinvolgimento istituzionale e progettuale congiunto frapaesi di ricezione delle migrazioni e paesi di origine dei migranti, nel processo di formulazione e digestione di questi programmi sarebbe auspicabile e indubbiamente giocherebbe a favore di unamaggiore sostenibilità istituzionale di questo tipo di iniziative.

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