APPUNTAMENTO IN LAGUNA PER I CINQUE SECOLI DEL GHETTO Venezia, Storia … · 2016. 7. 30. ·...

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Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 8 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 8 - agosto 2016 | סיוון5776 SHABBAT NACHAMU 20 AGOSTO 2016 MILANO 19.21 21.08 | FIRENZE 19.54 20.57| ROMA 19.44 20.46 | VENEZIA 19.53 20.57 Il direttore del prestigioso appuntamento Jean Paul Montanari racconta il suo lavoro fra i protagonisti del balletto a pag. 31 ----------------------------------- A PAGG. 29-30 ----------------------------------- Giorgio Albertini “Eccomi”, Jonathan Safran Foer rompe il silenzio Ogni cosa è ancora sfrontatamente illuminata Dopo 10 anni di silenzio l’enfant prodige della letteratura americana torna con un libro travolgente che apparirà in Italia alla fine d’agosto. Pagine Ebraiche ne racconta in anteprima i temi complessi, fra Israele e Diaspora, fra identità, passione e disperazione. Fra Parola biblica e sfacciato umorismo. pagg. 32-33 OPINIONI A CONFRONTO L’attacco del terrorismo islamico colpisce la popolazione civile. Dopo Nizza l’Europa si interroga e guarda all’esperienza di Israele per difendersi senza perdere il gusto di vivere / pagg. 2-5 BUIO SULL’EUROPA Sergio Della Pergola/ a pag. 29 Donatella Calabi artefice e guida d’eccezione alla mostra Venezia 500 La mia città per capire tutte le città MONTPELLIER-TEL AVIV LA DANZA ABITA QUI MEMORIA David Bidussa DEMOCRAZIA Gadi Luzzatto Voghera ISRAELE Francesco Lucrezi APPUNTAMENTO IN LAGUNA PER I CINQUE SECOLI DEL GHETTO Venezia, Storia e futuro Dalla mostra di palazzo Ducale alle rappresentazioni di Shakespeare, dalla riscoperta dell’alba dei primi libri, ai giardini segreti, a una autentica conoscenza del quartiere ebraico più famoso del mondo. Un dossier per raccontare i segreti di Venezia, una storia lunga cinque secoli e una comunità che continua nonostante tutto ad accogliere visitatori da tutto il mondo e a progettare l’avvenire. / pagg. 11-25 Giorgio Albertini ORIZZONTI Da Parigi a Londra il mondo politico a confronto su come combinare la sfida dell’integrazione con l’esigenza di sicurezza / pag. 28 © Kichka pagg. 6-7 Medio Oriente, la sbadata missione dei grillini FESTIVAL La nuova guida dell’Unione Assieme alla presidente Noemi Di Segni la nuova Giunta è già al lavoro pagg. 2-3

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Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 8 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461

euro 3,00

n. 8 - agosto סיוון | 2016 5776

SHABBAT NACHAMU 20 AGOSTO 2016MILANO 19.21 21.08 | FIRENZE 19.54 20.57| ROMA 19.44 20.46 | VENEZIA 19.53 20.57

Il direttore del prestigioso appuntamento Jean Paul Montanari raccontail suo lavoro fra i protagonisti del balletto

a pag.

31

----------------------------------- A PAGG. 29-30 -----------------------------------

Gior

gio

Albe

rtini

“Eccomi”, Jonathan Safran Foer rompe il silenzioOgni cosa è ancora sfrontatamente illuminata

Dopo 10 anni di silenzio l’enfant prodige dellaletteratura americana torna con un libro

travolgente che apparirà in Italia alla fine d’agosto.Pagine Ebraiche ne racconta in anteprima i temicomplessi, fra Israele e Diaspora, fra identità, passionee disperazione. Fra Parola biblica e sfacciato umorismo. pagg. 32-33

OPINIONI

A CONFRONTO

L’attacco del terrorismo islamico colpisce lapopolazione civile. Dopo Nizza l’Europa si interroga eguarda all’esperienza di Israele per difendersi senzaperdere il gusto di vivere / pagg. 2-5

BUIO SULL’EUROPA

Sergio Della Pergola/a pag. 29

Donatella Calabi artefice e guida d’eccezione alla mostra Venezia 500

La mia città per capire tutte le città

MONTPELLIER-TEL AVIV

LA DANZA ABITA QUI

MEMORIADavid Bidussa

DEMOCRAZIAGadi Luzzatto Voghera

ISRAELEFrancesco Lucrezi

APPUNTAMENTO IN LAGUNA PER I CINQUE SECOLI DEL GHETTO

Venezia, Storia e futuroDalla mostra di palazzo Ducale alle rappresentazioni di Shakespeare,

dalla riscoperta dell’alba dei primi libri, ai giardini segreti, a

una autentica conoscenza del quartiere ebraico più

famoso del mondo. Un dossier per raccontare i segreti di

Venezia, una storia lunga cinque secoli e una comunità

che continua nonostante tutto ad accogliere visitatori da

tutto il mondo e a progettare l’avvenire. / pagg. 11-25

Gior

gio

Albe

rtini

ORIZZONTI Da Parigi a Londra il mondo politico aconfronto su come combinare la sfida

dell’integrazione con l’esigenza di sicurezza / pag. 28

© K

ichk

a

pagg.

6-7

Medio Oriente, la sbadata missione dei grillini

FESTIVAL

La nuova guida dell’UnioneAssieme alla presidente Noemi Di Segni la nuova Giunta è già al lavoro pagg. 2-3

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Nata a Gerusalemme, 47 anni, responsabile

dell'ufficio Attività internazionali del Con-

siglio nazionale dei commercialisti, la ro-

mana Noemi Di Segn è da inizio luglio pre-

sidente dell’Unione delle Comunità Ebrai-

che Italiane. Un incarico conferitole nel

corso della prima riunione del nuovo Con-

siglio dell’Unione, formatosi in seguito alle

designazioni dei singoli Consigli comuni-

tari e alle consultazioni elettorali svoltesi

nelle Comunità di Roma, Milano, Firenze,

Livorno e Trieste in data 19 giugno.

“Rimarcare ancora di più il contributo va-

loriale che l’ebraismo italiano offre e con-

divide con la società esterna e il modo in

cui l’ebraismo stesso è riconosciuto e tu-

telato. Ma la sfida è anche verso l’interno,

il reciproco rispetto e la capacità di ascol-

to. È fondamentale – ha spiegato Di Segni

in un recente intervento sul mensile UCEI

Pagine Ebraiche – mantenersi ed evolversi

nel rispetto e nella valorizzazione delle

peculiarità culturali e ritualistiche di ogni

comunità esistente, dell’emergente pre-

senza ebraica nel Meridione, al contempo

ridefinendo modelli di gestione e di go-

vernance che siano in grado di offrire e

sostenere le molteplici esigenze”

Presentatasi al voto in qualità di capolista

del gruppo “Benè Binah”, formazione che

un significativo consenso ha ottenuto tra

gli ebrei romani, Noemi Di Segni succede

a Renzo Gattegna, per 10 anni al vertice

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche

Con grande commozione e conprofonda consapevolezza di quan-to sia importante questo momentoe questo snodo istituzionale, rivol-go un saluto a tutti, e in particolareai Consiglieri che per la prima vol-ta partecipano a questa assise. Eallora il mio primo pensiero va alleparole di una canzone di Sarit Ha-dad, cantante israeliana, bellissimae innovatrice della musica orien-tale: Un albero si trova solo nel-l’autunno / Non ha calore né om-bra / Anche lui a volte vuole sen-tirsi al sicuro / E non come un fio-re che appassisce / E a volte i tem-pi ci mettono sotto esame / Cipongono le loro sfide e i loro in-tralci / Ma noi abbiamo le nostreforze. Facciamo vedere che noipossiamo. / Vedere il dolore eguardarlo negli occhi / Attaccarsialla vista forte e non arrendersi /Credere con tutto il cuore che an-drà bene “yehye tov” e che nono-stante tutto noi ce la faremo.Si rivolge a noi – come singoli –come Popolo. Forse anche comeComunità.Essere una cittadina italiana / L’es-sere ebrea cresciuta in un ambientereligioso / L’essere israeliana, diGerusalemme, e con l’incisivaesperienza del servizio militare /L’essere donna. Madre di tre figli,avviati due di loro a una vita inIsraele / L’essere figlia di italiani eparte di una comunità antica e

proiettata con energia verso il fu-turo Mi portano a stare qui convoi e a condividere un percorso,anzi il percorso, che abbiamo tuttiintrapreso assieme.Viviamo la nostra vita quotidianacorrendo e curando i nostri affettipersonali, ma sappiamo già – daipiù piccoli ai più grandi – che ladensa nuvola nera è arrivata anchesui cieli dell’Europa. E le sfide cheabbiamo da anni imparato ad af-frontare, come israeliani, comeebrei e come Comunità, sono di-venute sfide anche dei governi edelle Istituzioni europee.L’Europa, dopo la tragica esperien-za della seconda guerra mondiale,aveva finalmente capito la neces-

sità di agire all’unisono per difen-dere i valori fondamentali di liber-tà, democrazia, uguaglianza e ri-spetto dei diritti umani. La cronacadi questi giorni dimostra purtrop-po che è entrata in crisi la stessaidentità dell’Unione Europea, al-l’interno della quale, ormai, nessu-no può più dirsi al sicuro. Oggi piùche mai dobbiamo riaffermare ivalori di democrazia e convivenzacivile e sviluppare una strategiavincente per difendere le nostreComunità dalla minaccia terrori-stica e da un antisemitismo semprepiù aggressivo e subdolo. Sicurezzache va “gestita” – informando masenza generare panico e terrore divivere le nostre vite. Approntando

ulteriori sistemi e misure di pre-venzione con attenzione e di rac-cordo con le forze dell’ordine.L’Europa e Israele. Israele e l’Italia.Un rapporto a cui tutti noi tenia-mo immensamente.Lo Stato di Israele si difende conla sua anima, con le sue istituzionidemocratiche con e il suo incre-dibile esercito e afferma il suo di-ritto ad esistere, difendendo l’esi-stenza fisica e combattendo la di-storsione mediatica, i tentativi diboicottaggio e i continui attacchie isolamento. Sappiamo quanto lasopravvivenza di Israele rappre-senti una garanzia per l’esistenzae aggiungerei oggi, resistenza, del-l’Intera compagine europea. Siamo

e dobbiamo essere al suo fianco,come sempre. Continueremo a di-fenderlo, mirando a farlo conosce-re nelle sue molteplici realtà, comeun luogo di eccellenza nello svi-luppo etico, scientifico e tecnolo-gico, culturale e sociale, unico nelMedio Oriente e con una sola ca-pitale – Gerusalemme.I nostri giovani: le Comunità chedomani lasceremo loro dipendedalle nostre scelte di oggi. Tutti,ne sono certa, ci rendiamo contodi quanto sia urgente affrontare iltema dell’identità ebraica, da ma-turare e rafforzare in tutte le fasievolutive. Con la formazione reli-giosa, con la scuola e con la socia-lizzazione. Con l’ascolto dei gio-

Piedi per terra, sguardo lontanoI primi temi da affrontare per tutelare l’ebraismo italiano nell’intervento della Presidente al Consiglio UCEI

Noemi Di Segni, le sfide in agenda

LA DIRETTA NEGLI STUDI RAI

La vita in Europa ai tempi del terrorismoislamico. Come reagire davanti all’ondatadi ultimi attacchi? Quale il giusto approcciodavanti a una minaccia che si fa semprepiù presente nel quotidiano di milioni dicittadini, puntando a distruggere tutti i va-lori delle società democratiche e progre-dite? Per affrontare il tema, il direttore diRainews24 Antonio Di Bella ha voluto al suofianco la presidente dell’Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni,ospite a Saxa Rubra di uno spazio di ap-profondimento dedicato alla lezione da trarre, in questo senso, dal-l’esperienza israeliana. “Vivere con un doppio binario. Vivere sapendoche il rischio sta dentro l’angolo e quindi saperlo intercettare e altempo stesso sempre accettare di vivere la massima quotidianità conla massima spensieratezza”. Così la presidente dell’Unione ha illustratol’approccio di Israele verso questo tema così doloroso ma anche cosìattuale, come ha dimostrato il recente attacco sventato a Gerusa-lemme. “L’invito – ha osservato Di Segni in un passaggio del suo in-tervento – è a non avere il timore di insegnare oggi ai nostri figli in

Europa di saper leggere questi segnali, disaper partecipare alla lettura di questi rischie di questi pericoli. Si impara a vivere conla paura ma senza generare terrore. La sfidaè sapere che esiste un rischio, ma non ave-re il terrore addosso”. All'indomani dell'at-tentato a Nizza la presidente UCEI aveva tral'altro dichiarato: “Piangiamo le vittime diquesta orrenda strage, avvenuta non a casonel momento di massima celebrazione deivalori universali per cui anche molte gene-razioni ebraiche hanno con dolore com-

battuto. Ma non rinunciamo a vivere la nostra quotidianità comequalsiasi altro giorno. Noi siamo più forti di chi semina qualsiasi formadi odio e di chi, quelle conquiste, le vorrebbe distruggere con la vio-lenza, con la barbarie, con il lucido assassinio di vittime innocenti.Ancora una volta lo dimostreremo restando uniti e combattendo perun futuro migliore”. “È però fondamentale – aveva poi aggiunto – una reale presa di co-scienza del pericolo. Una minaccia che da tempo colpisce Israele eche nelle stesse dinamiche viene oggi replicata in Europa”.

ú–– Noemi Di Segnipresidente dell’Unione delle ComunitàEbraiche Italiane

Israele, modello e scudo contro il terrore

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dell’ebraismo italiano.

“Questo Ente, a cui tengo e al quale ho de-

dicato giornate, lunghe notti di Giunte e

riunioni assieme a tutti i Consiglieri uscen-

ti e le loro Comunità – ha sottolineato Di

Segni – deve essere a mio avviso governa-

to con la consapevolezza che la rappre-

sentanza dell’ebraismo intero, i rapporti

con le Comunità e le Istituzioni richiedono

impegno quotidiano, fatica e serietà. Ri-

chiedono ascolto attento e rispettoso.

Pragmatismo abbinato ad una visione di

medio lungo termine. Richiedono vicinan-

za non solo con le parole. Questo credo di

poter fare mettendo a disposizione tutto

il mio essere”. Accanto a Di Segni, all'in-

terno della Giunta, agiranno due vicepre-

sidenti, il Consigliere torinese Giulio Dise-

gni (delega al Patrimonio) e il Consigliere

milanese Giorgio Mortara (delega alle Po-

litiche sociali). In Giunta anche il rabbino

Giuseppe Momigliano, che eserciterà la de-

lega al Culto, il Consigliere bolognese Da-

vid Menasci (Rapporti con le Comunità), il

Consigliere milanese Guido Guetta (Bilan-

cio), i Consiglieri romani Livia Ottolenghi

(Scuola, formazione e giovani), Gianni

Ascarelli (Beni culturali) e Franca Formig-

gini Anav (Personale e affari legali). Asses-

sorati fuori Giunta per Giacomo Moscati

(Rapporti internazionali), David Meghnagi

(Cultura) e Jacqueline Fellus (Casherut). Il

nuovo Collegio Sindacale UCEI, votato dal

Consiglio, risulta composta da Riccardo

Bauer, Cesare Cava e Roberto Busnach. Nel

nuovo Collegio dei Probiviri sederanno in-

vece Giacomo Saban, Enzo Ottolenghi,

Claudia De Benedetti, Fabiana Di Porto,

Franco Pavoncello, Ugo Limentani e Giu-

ditta Servi.

POLITICA / SOCIETÀ / P3

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

vani e con l’attenzione a coinvol-gerli nelle scelte rendendoli capacidi rapportarsi con un mondo sem-pre più complesso e pieno di sfide.Trasmettiamo loro fiducia tenen-doli per mano o a volte facendocianche guidare da loro. Trasmet-tiamo, con l’ausilio dei nostri Ra-banim e Maestri, i valori e la co-noscenza della nostra millenariacultura. Della nostra storia, la me-moria e il vissuto della Shoah. C’èun rischio di una banalizzazionedi quanto appartiene alla nostramemoria, di volgarizzazione dellacultura ebraica e dei suoi simboliportati all’esterno e vissuti comefestival. Pensiamo in primis noistessi, per noi e per i nostri figli, acostruire una forte identità ebraica,conoscere i nostri testi sacri e saperbene la nostra lingua (pare siano80.000 i vocaboli, molti ma menodi altre lingue). Ritengo varati gliarticoli 29 e 30 dello Statuto, con-divisi dal precedente Consiglio contutta la Rabanut, e quindi ribadiscomio auspicio a darne concreta at-tuazione. Le 21 Comunità, rappre-sentate tutte dall’Unione, formanoil tessuto dell’ebraismo italiano,con propri Minaghim, tradizionie impronte culturali, arricchiteinoltre, negli anni, dalla presenzadi iscritti provenienti da altre partidel mondo, in particolare dalla Li-bia e della Persia; ogni Comunitàsia essa grande, media, piccola ominuscola ha una specifica esigen-za da soddisfare, una peculiare ca-pacità e ricchezza culturale da va-lorizzare. Nel riaffermare la pienaautonomia gestionale di ogni Co-munità, credo si debbano definiremodelli nuovi, di networking peruna organizzazione sostenibile esinergica dei servizi intra-comuni-tari. Il sistema di riparto dell’Ottoper mille attualmente adottato èsolo una parte di un’articolazionefinanziaria che va ulteriormenterafforzata. Le nostre Comunità ri-sentono faticosamente della crisi

economica del Paese e dell’Euro-pa: nuove povertà e nuovi bisognisi affiancano a quelli del passato.È necessario che l’ebraismo interosi mobiliti perché questa situazioned’emergenza venga affrontata e su-perata. Questo ente è governatoin base allo Statuto dal suo Con-siglio. Sarà governato da questoConsiglio neo eletto, organizzatoin diverse commissioni, che riten-go debbano essere ridotte da diecia sei, e concretamente amministra-to da una Giunta. Ma tutti i nostriprogetti e le nostre iniziative pren-

deranno corpo e concretezza gra-zie alle persone che ci lavorano.Sono 30 dipendenti e collaboratoriche ho avuto l’onore di conosceree con i quali ho lavorato in questianni. A tutti i livelli ho riscontratonon solo il senso di responsabilitàe impegno, rispetto alla posizionelavorativa ricoperta, ma consape-volezza e rispetto per l’ente inquanto ente ebraico. Per la missio-ne che siamo chiamati a realizzare,guardando vicino ma anche lon-tano. A loro va la mia stima, il mioringraziamento per quanto fatto e

per quanto si adopereranno di fareaffiancando tutti noi. Per far frontecon efficacia a quanto appena ac-cennato e che farà parte del nostroimpegnativo percorso, è fonda-mentale che all’interno dell’ebrai-smo italiano, e dell’UCEI stessa visia unità, competenza, tenacia,energia e volontà di agire con one-stà e spirito di servizio. Questo en-te, a cui tengo e al quale ho dedi-cato giornate, lunghe notti diGiunte e riunioni assieme a tutti iConsiglieri uscenti e le loro Co-munità, deve essere a mio avviso

governato con la consapevolezzache la rappresentanza dell’ebrai-smo intero, i rapporti con le Co-munità e le istituzioni richiedonoimpegno quotidiano, fatica e se-rietà. Richiedono ascolto attentoe rispettoso. Pragmatismo abbinatoa una visione di medio lungo ter-mine. Richiedono vicinanza nonsolo con le parole. Questo credodi poter fare mettendo a disposi-zione tutto il mio essere.

(Intervento tenuto davantial Consiglio UCEI, 3 luglio 2016)

GIORNALI, RADIO, TELEVISIONE - L’ATTENZIONE DEI GRANDI MEDIA

Un ruolo da protagonisti per gli ebrei italianinel quadro della società di cui sono da sem-pre componente determinante. Un modellodi famiglia inclusiva e responsabile. Un passoulteriore nella conquista della piena respon-sabilità e del pieno impegno professionale epolitico del mondo femminile. Il riconosci-mento e la valorizzazionedi ognuna delle 21 comu-nità ebraiche locali. Unforte appello all’unità diintenti nel più rigoroso ri-spetto delle differenze. Eancora valori democratici,cultura, scuola, lotta al-l’antisemitismo e all’intol-leranza, sicurezza, Israele.A tutta pagina sul Corrie-re della Sera le prime ri-flessioni della presidentedell’Unione delle Comu-nità Ebraiche Italiane Noe-mi Di Segni all’indomanidella sua elezione. “Anchele più piccole tra le 21 Co-munità che compongonol‘Italia ebraica, sono state o sono dirette dadonne. Ed è doveroso sottolineare l’impor-tanza che hanno le comunità più piccole, incui è magari più difficile mantenere la pecu-liarità e l’identità per la mancanza di scuole.Sono comunità diverse tra loro, con tradizioni

spesso differenti. Un valore – osserva Di Segnicon il Corriere – che va tutelato e protetto”.Numerosi gli interventi sui media - giornali,radio, televisione - che hanno segnato le pri-me giornate del nuovo mandato. Tra cui unaampia intervista a Repubblica a mar-gine della controversa missione dei

parlamentari grillini in Israele, unconfronto con la Radio Vati-cana sulla sfida del dialogo,l'urgenza di un impegno nellalotta all'odio davanti alle tele-camere di Rai Parlamento.Uniti per la libertà e la demo-crazia. Questo il titolo sottocui l’Osservatore Romano, ilquotidiano della SantaSede, racconta l'insedia-mento della neo presi-dente. “Assessore al Bi-lancio nel passato qua-driennio, la nuova presi-dente UCEI si era presen-tata al voto in qualità dicapolista del gruppo Be-nè Binah, ponendosi in

sostanziale continuità con unalinea moderata” spiega il gior-nale vaticano ai propri lettori. “Dobbiamo ri-conoscere il problema prima delle soluzioni– ha spiegato Di Segni a Repubblica – e temoche nelle parole dei 5Stelle vi sia una sotto-

valutazione del rischio terrorismo. La que-stione è italiana, non solo di quel Movimento:c’è un disagio nel riconoscere il problema.Noi possiamo essere d’aiuto nella soluzione,ma è arrivato il momento per la società ita-

liana di maturare questa con-sapevolezza”. “La presidenza chesi apre – afferma DiSegni all'emittenteradiofonica dellaSanta Sede – è unfrutto, se voglia-mo, un primo frut-to di un impegnoche abbiamo por-tato avanti per

quattro anni, di atten-zione alle persone, allesingole comunità, perla loro esistenza comepunti di riferimento eevidenze di un ebrai-smo che si è sviluppatoed è maturato sul ter-ritorio nazionale, valo-rizzando le peculiarità

di ciascuna comunità. L’ideaè quella di valorizzare quello che è comunetra le diverse collettività e comunità, sianoesse ebraiche, cattoliche, cristiane e musul-mane”.

“Valorizziamo ciò che avvicina e unisce”

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to anche per la nomina del nuovoCollegio Sindacale dell’ente, cherisulta composto da Riccardo Ba-

uer, Cesare Cava e Roberto Bu-snach. Nella precedente riunioneera stato invece designato il nuovo

Collegio dei Probiviri, di cui fannoparte Giacomo Saban, Enzo Ot-tolenghi, Claudia De Benedetti,

Fabiana Di Porto, Franco Pavon-cello, Ugo Limentani e GiudittaServi.

La nuova Giunta è già al lavoro Designato l’organo esecutivo dell’Unione, che agirà con il supporto delle diverse Commissioni strategiche

GIUNTANoemi Di Segni - PRESIDENTE

Giulio Disegni - VICEPRESIDENTE (Patrimonio)

Giorgio Mortara - VICEPRESIDENTE (Politiche sociali)

Gianni Ascarelli (Beni culturali)

Guido Guetta (Bilancio)

Franca Formaggini Anav (Personale e affari legali)

Giuseppe Momigliano (Culto)

David Menasci (Rapporti con le Comunità)

Livia Ottolenghi (Scuola, formazione e giovani)

ASSESSORATI FUORI GIUNTAJacqueline Fellus (Casherut)

David Meghnagi (Cultura)

Giacomo Moscati (Rapporti internazionali)

A seguito della prima riunione del nuovo Consigliodell’Assemblea Rabbinica Italiana (Ari), il presidentedell’Assemblea rav Alfonso Arbib, rabbino capo diMilano, ha inviato il seguente messaggio:Riteniamo sia utile condividere alcuni punti che sonoemersi dalla prima riunione del nuovo consiglio del-l’Ari. Siamo dell’idea che l’ebraismo italiano si troviin un momento di svolta. La situazione delle comunitàè in alcuni casi estremamente pre-occupante e in altri profonda-mente contradditoria. Preoccu-pante la situazione di alcune pic-cole comunità che anche se spes-so fanno sforzi straordinari permantenere le attività ebraiche so-no, per motivi demografici, a ri-schio di sopravvivenza. Contrad-ditoria è invece la situazione diRoma e Milano: se da una partevede uno sviluppo di molte atti-vità ebraiche e la moltiplicazionedei battè knesset, dall’altra si as-siste a una crescita dell’assimila-zione. Credo che tutti noi dobbiamo impegnarci inquesto campo molto più di quanto abbiamo fatto inpassato. Dovremmo svolgere un’opera costruttiva diautocritica e provare a intervenire. Per poterlo faredovremmo analizzare la situazione, studiare eventualisoluzioni che sono state sperimentate da altre parti,elaborare dei progetti di intervento molto concretisenza dilungarci in interminabili discussioni. Questi

progetti potranno avere successo completo, parzialeo non averlo affatto. Ma credo che sia doveroso pro-varci.Dice R. Tarfòn nei Pirkè Avòt: “Non spetta a te portarea termine l’opera e neppure sei libero di esentartene”(2, 16). Il secondo elemento per cui è necessario farescelte precise è la centralità dell’educazione ebraica.Le scuole e i talmudè Torà non sono soltanto gli ele-

menti centrali di ogni comunitàma sono anche il punto di aggre-gazione da cui possono partire lealtre attività. Dobbiamo fare ognisforzo per rafforzare le nostrescuole e per sostenere l’educazio-ne ebraica.Ci sono molti altri ambiti che so-no competenza dell’AssembleaRabbinica in cui ci proponiamodi essere fortemente presenti. Ri-teniamo però doveroso in questonuovo inizio di mandato metterel’accento sul problema dramma-tico dell’assimilazione. Dichiaria-

mo fin d’ora di essere pronti a dare il nostro contributoe a collaborare ovviamente con il Consiglio dell’UCEIma anche con chiunque voglia dare una mano peraffrontare questi problemi. Che D. voglia far risiederela Shekhinà nell’opera delle nostre mani.

Rav Alfonso Arbib presidente Assemblea Rabbinica Italiana

“Educazione ebraica al centro”

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Libri, musica, autori, progetti e

soprattutto incontri attorno al-

l’ebraismo e agli ebrei d’Italia.

L’appuntamento è a Ferrara, sa-

bato sera 3 settembre e domeni-

ca 4 per la Festa del Libro Ebraico,

che quest’anno diventa anche un

laboratorio del nascente Museo

nazionale dell’ebraismo italiano

e della Shoah, presieduto da Dario

Disegni e diretto da Simonetta

Della Seta. L’evento è organizzato

dal Meis con il patrocinio del mi-

nistero dei Beni e delle attività

culturali e del turismo, della Re-

gione Emilia-Romagna, del Comu-

ne di Ferrara, dell’Unione delle

Comunità Ebraiche Italiane e della

Comunità ebraica di Ferrara.

A inaugurare la Festa, la sera di

sabato 3 settembre, le note del

quartetto israelo-americano Avi-

shai Cohen Quartet, in collabora-

zione con il Jazz Club Ferrara, in-

vitato a suonare nel Giardino di

Palazzo Roverella. Sempre la sera,

visite gratuite agli attuali spazi

temporanei del Museo per fami-

liarizzare con la mostra “Torah

fonte di vita”, dove è esposta par-

te della collezione del Museo della

Comunità ebraica, ma anche per

vedere il nuovo allestimento dello

studio di Giorgio Bassani e la sala

Subito al lavoro la nuova Giuntadell’Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane, che ha avviato il pro-prio corso al termine dell'ultimariunione del Consiglio svoltasi aRoma con, primo punto all’ordinedel giorno, la nomina del nuovoorgano esecutivo. Un primo pro-ficuo confronto che ha visto al ta-volo, accanto alla presidente Noe-mi Di Segni, i due neo vicepresi-denti Giulio Disegni (delega al Pa-trimonio) e Giorgio Mortara (de-lega alle Politiche sociali), oltre alrav Giuseppe Momigliano (Culto)e agli assessori David Menasci(Rapporti con le Comunità), Gui-do Guetta (Bilancio), Livia Otto-lenghi (Scuola, formazione e gio-vani), Gianni Ascarelli (Beni Cul-turali) e Franca Formiggini Anav(Personale e affari legali).Quattro i romani in Giunta: oltrea Di Segni, espressione del gruppoBenè Binah, la capolista di Meno-rah (Ottolenghi) e due esponentidi Kol Israel (Ascarelli e Formig-gini Anav). Per Milano inveceMortara (Milano per l'Unione -L'Unione per Milano) e Guetta(Wellcommunity per Israele). Per le piccole e medie Comunitàil torinese Disegni, già vicepresi-dente nel passato quadriennio, eil bolognese Menasci. Presidenteuscente dell'Assemblea RabbinicaItaliana, rav Momigliano svolge damolti anni la funzione di rabbinocapo a Genova. Ampia la maggio-ranza, all’interno del Consiglio (34i voti favorevoli), che ha determi-nato la formazione dell’esecutivooltre che dei tre assessorati cheagiranno esternamente alla Giunta,assegnati ai Consiglieri romaniGiacomo Moscati (Rapporti inter-nazionali), David Meghnagi (Cul-tura) e Jacqueline Fellus (Casherut).Tra i temi all’ordine del giorno del-la seconda seduta del Consiglio,convocata a due settimana dallaprima riunione del nuovo parla-mentino dell'ebraismo italiano eapertasi con un invito del rav Ro-berto Della Rocca “a vincere il sen-so di sfiducia” che talvolta si re-spira in alcuni ambienti e a ripar-tire “con la speranza”, anche lacomposizione delle commissioniincaricate di affiancare i singoli as-sessori per il raggiungimento degliobiettivi strategici. A coordinare i vari gruppi di la-voro, come stabilito dalla Giunta,sarà il Consigliere milanese GuidoOsimo. Assemblea chiamata al vo-

Il nuovo esecutivo

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POLITICA / SOCIETÀ / P5

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

“Fatti recenti di cronaca impongono achiunque abbia una responsabilità istitu-zionale e di leadership una riflessione an-cora più approfondita sulla consistenza diquell’odiosa e terribile minaccia che va sot-to il nome di razzismo. Una minaccia cheè ancora viva in determinate fasce dellanostra società e che si articola in varie for-me, tra cui quella storica e radicata da mil-lenni dell’antisemitismo”. Così la presidentedell’Unione Noemi Di Segni durante laconferenza stampa di presentazione delrapporto sull’antisemitismo in Italia delCentro di Documentazione Ebraica Con-temporanea di Milano, svoltasi alla Cameradei deputati grazie all’iniziativa della par-

lamentare Milena Santerini. A destare pre-occupazione è un dato: un italiano su cin-que avrebbe pregiudizi, più o meno accen-tuati, nei confronti degli ebrei. Un fenome-no che risulta particolarmente significativoin rete e sui social network, dove aumen-tano esponenzialmente le manifestazionidi odio. “Non esiterei a parlare di vera epropria emergenza verbale. Oggi il linguag-gio ha superato ogni sorta di accettazioneumana” ha commentato la ricercatricedel Cdec Betti Guetta. Ad intervenire ancheMarilisa D’Amico, presidente di Vox-Os-servatorio sui diritti; la presidente della Co-munità ebraica romana Ruth Dureghello;il parlamentare Pd Emanuele Fiano.

I nuovi numeri dell’odio

u Nell’immagine un momento della conferenza stampa alla Camera dei deputati

dedicata al Rapporto Antisemitismo 2015, realizzato dalla Fondazione CDEC di Milano

Si è parlato molto in questi giorni, e giusta-mente, del modello Israele. Avanguardia tec-nologica, nervi saldi, investimenti, prepara-zione, raccolta professionale delle informazio-ni. Certo la sicurezza non è un gioco, e nonpuò essere affidata ai dilettanti. Israele lo sa.E ora che appare sempre più chiaro come loStato ebraico non sia un altro pianeta, daguardare a distanza e magari talvolta con unimbarazzato fastidio, ma solo l’avamposto ditutto quello che ci è caro, il presidio dei valoridi convivenza e di democrazia che accomuna-no tutti i cittadini di buona volontà, moltecose possono cambiare. La logica mostruosadel massacro di Nizza è precisamente la stes-sa che troppe volte ha visto prendere di mira,con il coltello o con autoveicoli trasformati instrumenti di distruzione di massa, civiliisraeliani inermi che attendevano l’autobusper tornare a casa o che passavano per strada.Israele lo sa. E ora, chi può ancora fingere dinon saperlo? Perché le preoccupazioni e i va-lori degli ebrei in Israele e nel mondo sonoprecisamente le stesse e gli attacchi a Israele eal mondo ebraico sono gli stessi rivolti infineanche a tutta la popolazione civile del mondoprogredito. Ma non basta evocare il modelloIsraele. Bisogna anche conoscerlo, compren-derlo nel suo vero significato. Perché, al di làdelle interpretazioni di comodo, Israele non èsolo dolorosamente e necessariamente forte insicurezza. È soprattutto forte in tutto quelloche i terroristi, ora accaniti contro la Francia,

ci vogliono rubare. L’amore per la vita, per lalibera espressione e per la libera stampa, perla tolleranza nei confronti delle altrui opinio-ni, la gioia di stare insieme, il gusto di ridere,di fare due passi lungo la riva del mare, diportare all’aria aperta i nostri figli, di pren-dere un gelato, di stare bene assieme, di am-mirare le pirotecniche scintille di luce nelbuio, di cantare la Marsigliese e gli altri cantiche significano fratellanza, pace e pari diritti.Per questo, certo, “Allons enfants”. E perquesto, certo, “Aux armes citoyens”. E anchemolta attenzione a non lasciarci suggestiona-re, perché chi semina morte lungo la sua follestrada non agisce a caso, lavora per conto dichi vorrebbe attuare un progetto ben definito.La predominanza dei movimenti xenofobi epopulisti che manderebbe l’Europa in frantu-mi e ruberebbe ogni speranza di futuro allanostra gioventù. L’evocazione di una nostrareazione di chiusura, della paura di essere, diesistere così come ci sentiamo di esistere, delpiacere di stare assieme. Se questi sentimentidovessero retrocedere, se cedessimo alla pau-ra, al pregiudizio e alla paranoia, allora nes-suna tecnologia, nessun servizio di sicurezzapotrebbe salvarci. E la nostra guerra alla bar-barie che pretende di trasformarci, sarebbegià perduta. Israele lo sa. È per questo che do-po sette decenni senza pace risplende ancoraincessantemente fra le democrazie. Ora cer-chiamo di non dimenticarcene neanche noi.

g.v.

Livelli di guardia - Israele lo sa

che raccoglie gran parte della col-

lezione di Gianfranco Moscati. La

visita notturna al cantiere del

Meis, a cura del Segretariato re-

gionale del ministero dei Beni e

delle attività culturali e del turi-

smo per l’Emilia-Romagna, si re-

plica alle 10 della domenica mat-

tina. Con il supporto di Coopcul-

ture, ma anche in collaborazione

con la Comunità ebraica, la mo-

stra e gli itinerari della Ferrara

ebraica potranno essere percorsi

anche per tutta la giornata di do-

menica, dalle 9 alle 12 e dalle 16

alle 18. L’agenda del 4 settembre

apre nel Giardino con il dialogo

sugli Stampatori ebrei a Ferrara

tra il rabbino capo di Ferrara, Lu-

ciano Caro, e il direttore della re-

dazione giornalistica UCEI Guido

Vitale, mentre la tavola rotonda

su La partecipazione degli ebrei

italiani alla Prima guerra mondia-

le vede confrontarsi Alberto Ca-

vaglion (Università di Firenze),

Carlotta Ferrara degli Uberti (Uni-

versity College London), Gadi Luz-

zatto Voghera (Fondazione Cen-

tro di Documentazione Ebraica

Contemporanea) e Anna Quarzi

(Istituto di Storia Contemporanea

dell’Università di Ferrara). Il Giar-

dino di Palazzo Roverella ospita

poi, alle 12, l’incontro Il Talmud

torna italiano, con la presenta-

zione del primo volume del Pro-

getto Talmud da parte di Clelia

Piperno, direttrice del progetto;

rav Gianfranco Di Segni, coordi-

natore della traduzione; e Shulim

Vogelmann, l’editore. Si passerà

quindi a celebrare il Premio di

Cultura Ebraica Pardes, istituito

dalla Fondazione Meis per valo-

rizzare e diffondere la conoscenza

della cultura e della tradizione

ebraiche. A partire dalle 15, il pre-

sidente Disegni assegna il ricono-

scimento allo scrittore e storico

Riccardo Calimani per la Saggisti-

ca, a Ernesto Ferrero come pre-

mio alla carriera e all’autore Emi-

lio Jona per la sezione Letteratu-

ra. A presentare i premiati, il

giornalista Alberto Sinigaglia. La

Festa prevede quindi un appun-

tamento internazionale: la tavola

rotonda sulla missione de I musei

di storia ebraica, nel pomeriggio

di domenica, al Ridotto del Teatro

Comunale di Ferrara. L’incontro

chiama a raccolta i direttori di al-

cuni dei più importanti musei

ebraici: da Paul Salmona del Mu-

seo d’Arte e di Storia dell’Ebrai-

smo di Parigi ad Emile Schrjver

del Museo Ebraico di Amsterdam,

da Dariusz Stola del Museo della

Storia degli Ebrei Polacchi di Var-

savia a Orit Shaham Gover dal

Museo delle Diaspore di Tel Aviv,

fino alla direttrice del Meis Simo-

netta Della Seta. Il giro di tavola,

introdotto dal presidente Dise-

gni, sarà moderato da Maurizio

Molinari. Gli Incontri con l’autore,

in calendario tutta la giornata di

domenica alla Sala Estense di Pa-

lazzo Roverella, sono animati da

autorevoli ebraisti e nomi illustri

della cultura, quali Riccardo Ca-

limani, rav Roberto Della Rocca,

Simon Levis Sullam, Donatella Ca-

labi, Mauro Perani e Sergio Mi-

nerbi. Nell’ambito del ciclo Guar-

dare e ascoltare, una storia da

imparare, vengono invece proiet-

tati alla videoteca e biblioteca Vi-

gor il video Il ghetto di Venezia,

500 anni di vita, diretto da Ema-

nuela Giordano, e un’intervista

impossibile a Donna Gracia Men-

des Nasi, per la regia di Carlo Ma-

gri, mentre alle 19, nella sede del-

l’Associazione “Rrose Sélavy”, vie-

ne inaugurata la mostra Alef-

beth. Segni dell’alfabeto ebraico,

a cura di Gloria Soriani. Queste

intense giornate ferraresi prose-

guono poi il 5 settembre con un

tavolo di confronto di idee ed

esperienze, a porte chiuse, tra

tutti i direttori di musei, archivi,

progetti, festival, centri culturali

dell’Italia ebraica. Molte le pre-

senze qualificate che si annuncia-

no intanto in queste ore, dal Go-

verno alle massime istituzioni

ebraiche.

Ferrara, la Festa torna e diventa grande

u Ferrara: Consiglio e professionisti al lavoro per il MEIS

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraicheINTERVISTA

ú–– Guido Vitale

La prima volta in Laguna, appenascesi dal treno due ragazzi ameri-cani si guardano intorno. Poi in-tuiscono che lei deve saperne qual-cosa, e prima di perdersi in un flus-so interminabile di visitatori in-consapevoli la fermano e le chie-dono: “Ci scusi, ma c’è qualcos’al-tro da vedere, in questa città, oltrea quella grande piazza San Mar-co”? Donatella Calabi, una cattedradi Storia della città e del territorioal prestigioso Istituto universitariodi architettura di Venezia, una vitadi studi per spiegare la complessitàdi Venezia e del modello della cittàitaliana, non fa una piega, non siscompone, e comincia paziente-mente a spiegare che sì, certo, esi-ste molto altro da vedere, per chivuole davvero conoscere la cittàsull’acqua.Molti altri, alcuni più consapevoli,altri appena sottratti alla folla di-stratta e disordinata che percorrela riva degli Schiavoni e camminasul selciato rovente della piazzapiù celebrata del mondo, si met-tono intanto in fila per entrare apalazzo Ducale. Il simbolo del po-tere della Serenissima ospita inquesti mesi, fino al 13 novembre,una mostra memorabile, “Venezia,gli ebrei e l’Europa 1516-2016”,curata proprio da Donatella Calabie dedicata ai cinque secoli che ciseparano dall’apertura del primoghetto della storia. L’itinerario, at-traverso i saloni spettacolari di unodegli edifici più affascinanti di Ve-nezia, coglie di sorpresa il visita-tore. Non solo rigorosa ricostru-zione storica di cosa è stato il ghet-to e poi il quartiere ebraico, maanche una riflessione sull’identitàdella città, una lezione per capireil senso dello sviluppo urbano, ilproblema dell’integrazione e dellasegregazione, la potenziale ricchez-za della convivenza fra culture di-verse e apparentemente inconci-liabili. Una lezione di storia e diurbanistica che accomuna rigoree amore per un luogo unico almondo, indissolubilmente legatonelle sue vicende secolari, ai destinidegli ebrei che lo hanno abitato econtinuano a frequentarlo.

Tutti vogliono visitarla, pochi la com-

prendono davvero. Ma in realtà Ve-

nezia che cosa rappresenta? Un

mondo alternativo, un luogo unico

e irripetibile che appartiene ad altri

pianeti, oppure un modello che ci

aiuta a comprendere i destini e le

potenzialità della città italiana?

Venezia è soprattutto una città.Una città tutta speciale, determi-nata dalle difficoltà e dalle carat-teristiche ambientali della laguna

in cui si trova, circoscritta dall’ac-qua e dalla sua natura ben nota atutti. Sempre diversa, mai parago-nabile ad altri luoghi, ma pur sem-pre una città. La specificità fisicomorfologica non esclude il suo ca-rattere di città.

Da dove prendono avvio le tue ri-

cerche su Venezia?

Ho molto lavorato sugli sviluppidegli spazi mercantili, che costi-tuiscono il cuore di una città. Lelogiche di organizzazione deglispazi, il tentativo di regolamenta-zione degli scambi e dei compor-tamenti. Il percorso di Venezia èautonomo, ma fra il quindicesimoe il diciassettesimo secolo procede

in parallelo con quello conosciutodalle altre grandi città mercantili,come Anversa, Siviglia, Londra,Parigi.

Comprendere Venezia significa allo-

ra acquisire gli strumenti per com-

prendere più in generale corretta-

mente lo sviluppo di tanti modelli di

città?

Credo che Venezia possa costituireun banco di prova importante percomprendere i problemi delle città.

Da dove cominciare, per capire, se

non si fa parte del mondo degli ad-

detti ai lavori, ma non ci si vuole ri-

durre alle brutalità del turismo di

massa?

Tanto per cominciare vorrei con-sigliare la lettura di un piccolo librodell’archeologo e storico dell’arteSalvatore Settis, Se Venezia muore.Leggendolo si comprende benecome Venezia possa essere il casoemblematico e contemporanea-mente il caso estremo di cosa èoggi una città e di quali sono i li-miti e le minacce che un centrostorico si trova oggi a fronteggiare.Venezia è emblematica proprio daquesto punto vista.

Nelle scorse settimane si è giudicato

da diversi punti di vista il significato

delle manifestazioni culturali attor-

no a questo cinquecentenario del

ghetto di Venezia. Alcuni hanno ma-

nifestato fastidio nei confronti di av-

venimenti culturali che rischiereb-

bero di apparire come una involon-

taria celebrazione di una pagina

buia della storia ebraica, quella della

separazione forzata. Ma la mostra

mette l’accento su una lettura più

complessa. Come dobbiamo leggere

l’istituzione del ghetto?

Venezia deve essere guardata comeluogo di pluralismo e questo ci in-segna la storia lunga del ghetto diVenezia, la cui istituzione rivelauna volontà, giusta o sbagliata chefosse, di organizzazione della città.Gli stranieri, le minoranze, eranonecessari alla crescita della Repub-blica, e Venezia ha trovato le suerisposte per far convivere nello

Donatella Calabi ha insegnato Storia della città e del territorio all’Università IUAV di Venezia (1974-2014). È stataDirecteur d’études invité all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, Visiting Professor dell’UniversitàCattolica di Lovanio, della British Academy di Londra, Honorary Fellow dell’University of Leicester; ha insegnatoe tenuto corsi a Harvard, al MIT, all’Université de Paris VIII, all’Ecole de Architecture de Paris la Villette, all’InstitutFrançais d’Urbanisme, all’Escuela Tecnica Superior de Arquitectura de Madrid, alle università di Sâo Paulo e di

Sâo Carlos del Brasile e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Culturelles deTokyo. Presidente onorario della European Association of Urban Historians(EAUH) e dell’Associazione Italiana di Storia Urbana (AISU), dirige la collana«Storia della città» edita da Laterza ed è membro del board editoriale dellarivista «Planning Perspectives» e condirettore di «Città e storia». Tra le suenumerose pubblicazioni ricordiamo Rialto. Le fabbriche e il ponte: 1514-1591(con P. Morachiello, 1987); La città degli ebrei (con E. Concina e U. Camerino,1991, 1996), Les Étrangers dans la ville (con J. Bottin, 1999); Storia dell’urba-nistica europea (2000, 2004); La città del primo Rinascimento (2001); Storiadella città. Età moderna (2001); Storia della città. Età contemporanea (2005);con S.T. Christensen ha curato Cities and cultural Exchanges, 1400-1700 (2007).(Nell’immagine parole in fiamme nell’antico canto yiddish dedicato all’incendiodi Rialto riscoperto in occasione della grande mostra a palazzo Ducale)

“Venezia, la mia città speciale”A colloquio con Donatella Calabi, una delle anime delle iniziative sui 500 anni del Ghetto

Cinquecento anni fa, il 29 marzo

1516, il Senato della Serenissima Re-

pubblica di Venezia deliberò che gli

ebrei di diverse contrade cittadine

si trasferissero «uniti» (cioè tutti)

nella corte di case site in Ghetto,

presso San Girolamo. Nasceva così il

primo «recinto degli ebrei». Si trat-

tava in origine del «geto de rame»,

il luogo in cui venivano riversati

(«gettati») gli scarti della lavorazio-

ne delle fonderie presenti nella zona.

Nel corso dei secoli, e su tutti i con-

tinenti, questa parola veneziana sa-

rebbe presto diventata sinonimo di

segregazione. Nato come misura di

confinamento, il Ghetto diviene in

breve un luogo effervescente e co-

smopolita, che accoglie gli ebrei pro-

venienti dai luoghi più diversi, oltre a

rappresentare uno dei centri di commer-

cio fondamentali della Repubblica vene-

ziana. La struttura architettonica delle

sue case, inusuale per Venezia – con i

suoi caseggiati stranamente sviluppati

in altezza per far posto al numero cre-

scente di abitanti confinati nel luogo –

si intreccia alla vicenda storica del luo-

go, decisamente centrale per l’Italia e

per l’Europa. Qui sorgono i banchi di pe-

gno dai quali passerà buona parte del

prestito di denaro della potenza lagu-

nare, ma nel Ghetto non mancano le

professioni liberali e la cultura, che fan-

no di Venezia una delle capitali indiscus-

se del mondo ebraico e non solo. “È il 27

marzo 1516: il nobile veneziano Zaccaria

Dolfin – scrive Donatella Calabi nell’in-

Alle origini del primo Ghetto del mondo

Gior

gio

Albe

rtini

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

ú– DONNE DA VICINO

Ruth Ruth Calderon è la fondatrice e di-rettrice del centro di studi ebraiciAlma di Tel Aviv. Mi aspetta diprima mattina per strada davantialla porta del suo ufficio con inmano l’immancabile tazza di poli-stirolo stracolma di caffè americanobollente. Senza tante formalità miinvita a presentarle i giovani leaderdegli enti ebraici europei che sonocon me. Parla di sé brevemente,non vuole rubare tempo allo studio:“La mia è una famiglia moltoebraica e molto sionista: ho papà se-fardita e mamma ashkenazita, nonsono religiosa, non appartengo aiconservative, né ai reform, il miogrande amore è il Talmud, è l’es-senza del mio essere parte del po-polo d’Israele, la mia voce, la miamusica.”

Ruth è stata membro della Knesset,il parlamento israeliano, dal 2013al 2015 per il partito Yesh Atid.Per il suo insediamento ha scelto dipresentarsi utilizzando tutti i 10minuti a sua disposizione per par-lare di Talmud, scontata la protestadei rappresentanti dei partiti reli-giosi che non hanno per nulla gra-dito la sua incursione in un ambitoconsiderato di pertinenza maschile.Il suo discorso ha raggiunto oltre170.000 visualizzazioni su Youtubein poche ore. Settimana dopo setti-mana, forte del suo PhD in studitalmudici e del suo contagioso en-tusiasmo per le interpretazioni chenascono dal testo biblico, ha coin-volto i colleghi scettici e trasmessopassione. “Ignoranza è povertà” esordisce ri-cordando i 18 anni trascorsi a lavo-rare alla National Library d’Israele.E continua: “Pensate di tuffarvi inun mare amico, questa è l’essenzadel brano del Talmud che vi hoconsegnato”. È bello vedere uominie donne di ogni età e provenienze,poco avvezzi allo studio, scoprire ilproprio patrimonio, impadronirsene“come chi impara ad andare in bici-cletta e si ritrova a pedalare in sa-lita, senza sforzo”. Questa è Ruthcon i suoi straripanti scaffali dilibri sopra cui crea la linea dell’arte,appendendo opere degli artistiisraeliani che predilige.

ú–– Claudia De BenedettiProbiviro dell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

stesso spazio esigenze diverse. Cer-to la mia lettura delle vicende delghetto non è convenzionale. Manon credo che quando si parla delghetto di Venezia sia né ragione-vole né utile evocare il ghetto diVarsavia. Non mi sembra che servaper chiarire i grandi problemi diintegrazione e di separazione checi troviamo ad affrontare ancoraoggi.

Il modello del ghetto di Venezia, il

primo ghetto della storia, non è ap-

plicabile altrove?

Il caso di Venezia è ben diversodal caso del ghetto di Roma, o diFirenze, o di Siena, o di Modena.A distanza di 30 o 50 anni sono

stati costituiti sul territorio italianoe proprio noi italiani abbiamo l’oc-casione di studiare perché il mo-dello di Venezia fu un modellomolto avanzato. Il modello di Venezia è chiaramen-te un modello di città nella città,un microcosmo organizzato al suointerno, e il Campo di GhettoNuovo è il luogo della conserva-zione dell’identità. Un esperimentoche né a Padova né a Modena siè mai riusciti a realizzare compiu-tamente. Gli spostamenti degliebrei nel bacino del Mediterraneoa partire da Venezia hanno con-sentito, del resto, anche l’esporta-zione di modelli e ragionamentimolto importanti nella logica di

organizzazionedelle città. Le vi-cende del ghetto

di Venezia derivano dallaforte volontà, nel bene e nelmale, di organizzare la città.L’espulsione degli ebrei dalmercato di Rialto non cor-risponde solo alla volontà diseparare, ma anche a quelladi classificare e di organiz-zare nuovi spazi economicinel tessuto urbano.

In questa stagione gli esiti di

alcune significative prove

elettorali, dalle elezioni am-

ministrative nelle grandi cit-

tà italiane al referendum in-

glese sulla Brexit, sono stati

letti sulla base della distri-

buzione geografica del

consenso e hanno evocato

una contrapposizione fra

aree urbane e aree non ur-

bane. Le città, dove talvol-

ta il disagio sociale e la

sofferenza sono più inten-

si, sono tuttavia davvero il

laboratorio dell’innovazione?

Le città, soprattutto le città capitali,sono il luogo dell’innovazione, del-la sperimentazione. E non mi sen-to nemmeno di condividere l’ideache le città siano necessariamenteuno spazio di sofferenza, quandoin realtà negli spazi urbani stori-camente si è sempre stati meglioche nelle campagne. Ma genera-lizzare ovviamente non è possibile.

Venezia, gli ebrei, il ghetto. Questa

grande mostra di palazzo Ducale ser-

ve anche per ragionare di una città

che è stata grande e di una città

ebraica nella città generale. Ma in

una Venezia di oggi, minacciata, as-

sediata, svuotata di tanti suoi abitan-

ti, serve anche per ragionare di cosa

rende un luogo una città. Il numero

dei suoi abitanti, un criterio numerico

che ridurrebbe la Venezia di oggi alla

stregua di un piccolo centro? I criteri

organizzativi dello spazio? La capa-

cità di creare cultura?

Le città vere non sono solo unasomma di abitanti. Le città sonoun progetto, una politica del ter-ritorio, sono una rete di servizi,una somma di opportunità e dimodelli diversi, la ricchezza dellapluralità dei modelli, delle idee edelle risposte. E si misurano perla diversità che riescono a conte-nere, per le diverse opzioni che so-no capaci di offrire. Proprio l’Italia,se studiata a fondo, è il territoriodi piccoli centri che noi chiamia-mo città a pieno titolo, perché nonè il numero dei loro abitanti, mala ricchezza di infrastrutture, diservizi, di scambi che le fa grandi.Penso a luoghi come Mantova,Ferrara, Urbino, Siena e tanti altri.Il modello della città italiana haancora molto da dire al mondo.

Quella di cui parli è la geografia del-

l’Italia dei comuni, proprio la stessa

geografia su cui si dipana da molti

secoli l’identità degli ebrei italiani e

in particolare la distribuzione delle

21 comunità che fanno l’Italia ebrai-

ca di oggi.

Nel video che accoglie i visitatoridella mostra di palazzo Ducale simostrano proprio i flussi migratoridegli ebrei nel Mediterraneo. I cen-tri di insediamento ebraico con-fermano la geografia urbana dellaPenisola. La città di tutti e la cittàdegli ebrei, attraverso mille diffi-coltà, progressi e incertezze, ingiu-stizie e conquiste, attraversano undestino parallelo che non può es-sere disgiunto.

Ritratti di Giorgio Albertini

INTERVISTA

Gior

gio

Albe

rtini

troduzione al suo Venezia e il Ghetto (Bollati

Boringhieri editore) - propone al Collegio della

Repubblica Serenissima, di cui è membro illu-

stre, di mandare «tutti» i giudei di Venezia in

Ghetto Nuovo, «che è come un castello». Bi-

sogna costruire dei ponti levatoi – aggiunge

– e chiudere l’area con un muro.

Quando il Doge comunica la decisione al ban-

chiere Anselmo e ad altri due capi della Co-

munità, costoro lamentano l’ingiustizia: al-

lontanarsi dalle botteghe acquistate con spesa

ingente nel centro mercantile di Rialto, pri-

vandosi della sorveglianza che lì è garantita,

e abbandonare i luoghi tradizionalmente fre-

quentati dai gentiluomini li mette in pericolo.

Il rischio di essere derubati («messi a sacho»)

è alto. E come potrà allora, chiede Anselmo,

assicurare alla Repubblica i denari di cui si era

fatto garante qualche anno prima, denari che

la Comunità ebraica si era impegnata a paga-

re? Non solo: i suoi correligionari potrebbero

abbandonare la città – e questo suona un po’

come una minaccia – e trasferirsi a Mestre,

dove già erano stati costretti ad abitare in

precedenza malgrado non ci fossero case suf-

ficienti. Nonostante la vibrata protesta di un

personaggio che evidentemente aveva un ruo-

lo importante nelle trattative fra il governo

della Repubblica e la Comunità ebraica, due

giorni dopo, il 29 marzo, il Senato deliberò

che «per ovviar a tanti desordeni et inconve-

nienti» gli ebrei di diverse contrade cittadine

si trasferissero «uniti» nella corte di case site

in Ghetto, presso San Girolamo. La Repubblica

aveva scelto di destinare alla minoranza ebrai-

ca, anche nella città capitale, un luogo deli-

mitato da due porte che – come aveva preci-

sato il Senato – sarebbero state aperte la mat-

tina al suono della «marangona» (la campana

di San Marco che dettava i ritmi dell’attività

cittadina) e richiuse la sera a mezzanotte da

quattro custodi cristiani, pagati dai giudei e

tenuti a risiedere nel sito stesso, senza fami-

glia per potersi meglio dedicare all’attività di

controllo. Inoltre si sarebbero dovuti realiz-

zare due alti muri a serrare l’area dalla parte

dei rii che la circondavano, murando tutte le

rive che vi si aprivano. Due barche del Consi-

glio dei X, con guardiani pagati dai nuovi «ca-

stellani», sarebbero circolate di notte nel ca-

nale intorno all’isola per garantirne la sicu-

rezza. Il Primo aprile successivo, la stessa «gri-

da» venne proclamata a Rialto e in corrispon-

denza dei ponti di tutte le contrade cittadine

in cui risiedevano i giudei. Il decreto riguar-

dava anche coloro che intendessero raggiun-

gere Venezia in futuro ed evocava una deci-

sione precedente che vietava agli ebrei di so-

stare in città più di quaranta giorni all’anno.

Vi erano già stati, insomma, diversi ordini tesi

a scansare «la perfidia hebraica »: ora era con-

cesso ai giudei di abitare a Venezia affinché

fossero preservate le proprietà dei cristiani

finite nelle loro mani attraverso i pegni”. (Do-

natella Calabi: Venezia e il ghetto - Bollati Bo-

ringhieri)

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stanziale pericolo la sicurezza delloStato, della popolazione o dei sin-goli privati”. “Facebook lavora re-golarmente con gli enti di sicurez-za e i responsabili politici di tuttoil mondo, inclusa Israele, per ga-rantire che le persone sappianocome fare un uso sicuro della piat-taforma”, la risposta al WashingtonPost del gigante di Palo Alto, ri-

spetto alla battaglia politica avviatain Israele. Intanto negli Stati Uniti, alcune fa-miglie di vittime di attentati inIsraele e Cisgiordania, tra cui quelladi Hallel, hanno fatto causa a Fa-cebook per un un miliardo di dol-lari, “per aver fornito deliberata-mente servizi al gruppo palestinesedi Hamas”, nonostante sia nella li-

sta delle organizzazioni terroristi-che d'Israele e Stati Uniti. Secondogli analisti, difficilmente l'istanzaverrà accolta visto che negli Usac'è una legge che protegge i socialnetwork da casi simili: Dafne Kel-ler, dello Standford Center for in-ternet and society, ha spiegato aBloomberg che la normativa ame-ricana non prevede la responsabi-lità legale dei social network ri-spetto a quanto pubblicato dai pro-pri utenti. Altrimenti, sottolineavaKeller, “per le società sarebbe in-credibilmente costoso e al con-tempo controproducente metterea disposizione una piattaforma gra-tuita. Inoltre li porterebbe a can-cellare anche post perfettamentelegittimi per evitare di correre ri-schi”. Facebook, come dichiarato al Wa-shington Post, ha affermato di dia-logare con tutti i governi. Ai primidi luglio, poi, diverse pagine e pro-fili di esponenti di Hamas sonostati cancellati. “È la prova chepossono farlo, se vogliono”, ha di-chiarato Nitsana Darshan-Leitner,a capo di Shurat Hadin, ong di de-stra impegnata tra le altre cose aportare avanti azioni legali controi terroristi. “Condanno Facebookper aver chiuso per la settima voltail mio account”, il commento in-

Il 30 giugno scorso un terroristapalestinese si è introdotto nella ca-sa della famiglia Ariel, nell'insedia-mento di Kiryat Arba, in Cisgior-dania. È entrato nella camera daletto di una delle figlie degli Ariel,Hallel, di soli 13 anni, e l'ha accol-tellata a morte. Prima di compierequesto efferato crimine, il terrori-sta, proveniente dal villaggio di Ba-ni Na’im (8 chilometri da Hebron),ha scritto su Facebook di pianifi-care di “suicidarsi o essere uccisocompiendo un attentato” perchéera suo diritto farlo. Si tratta di unodei tanti casi di attentatori palesti-nesi che negli scorsi mesi hannousato i social network come ma-cabro testamento per poi compiereattacchi terroristici contro civili osoldati israeliani. Hallel è stata latrentacinquesima vittima israelianadi questa ondata di violenza ini-ziata nell'ottobre scorso che ha vi-sto molti attacchi dei cosiddetti“lupi solitari”: terroristi più o menoimprovvisati, non direttamente le-gati a organizzazioni terroristiche,sui cui profili social spesso capeg-giavano post in cui piangevano pa-renti uccisi mentre aggredivanoisraeliani e post o simili che invo-cavano il martirio. Da qui l'accusa mossa in partico-lare a Facebook da alcuni membridel governo israeliano, secondocui il social network non fa abba-stanza per bloccare i profili di chisulla sua piattaforma istiga all'odioe a compiere attacchi terroristici.Il ministro della pubblica sicurezzaGilad Erdan ha dichiarato che Fa-cebook e il suo fondatore, MarkZuckerberg, dovrebbero prendersila responsabilità dei contenuti cheappaiono sul social network e la-vorare con le autorità israelianeper frenare la violenza e rintrac-ciare le persone che istigano al-l'uccisione di innocenti. Erdan, inun'intervista alla televisione israe-liana, ha dichiarato che la societàdi Palo Alto si rifiuta di consegnaregli indirizzi IP o informazioni ingrado di identificare i palestinesiche vivono in Cisgiordania, dicen-do che l'area non è sotto la giuri-

sdizione israeliana (come il terro-rista di Kiryat Arba, diversi atten-tatori palestinesi provengono dal-l'area di Hebron, in Cisgiordaniaappunto). Secondo il ministro, su74 richieste fatte negli ultimi mesiper la cancellazione di pagine opost considerati problematici, solo23 sono state accolte dalla societàamericana con la conseguente ri-mozione dei contenuti. Se Face-book ha algoritmi in grado di in-dirizzare la pubblicità sui profilidelle persone in base ai contenutiche pubblicano, allora perché nonpuò monitorare e rimuovere i con-tenuti negativi, l'interrogativo po-sto da Erdan, che si è spinto finoad accusare Zuckerberg di esserecorresponsabile degli attentati, de-finendolo un “mostro” con “le ma-ni sporche di sangue”. Il braccio di ferro si è poi inaspritocon la proposta di Erdan, formu-lata assieme al ministro della Giu-stizia Ayelet Shaked, di introdurreuna legge che permetta a Israeledi presentare ai propri tribunali pe-tizioni per ordinare a Facebook –o ad altri social media o provider– di rimuovere entro 24 ore “i con-tenuti illeciti che mettono in so-

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche

IL COMMENTO “HARDAL”, L’UNIONE TRA ANIME DIVERSE D’ISRAELE

Il movimento Hardal è in ascesa inIsraele. Per chi non fosse familiarecol termine, “Hardal” è una crasi

di “haredì” e “datì leumì”, cioè na-zional religioso, e la parola sta aindicare i cosiddetti “ultra-orto-dossi sionisti”, sebbene a me il ter-mine “ultra-ortodossi” non piace a

causa dell'accezione negativa chetalvolta comporta. Si tratta di unagalassia assai sfaccettata compostasia da haredì veri e propri che negliultimi anni hanno iniziato non

solo ad accettare il sionismo (que-sta non è poi una novità) ma anchea farne un cardine della loro iden-tità, sia da membri del campo na-zional-religioso, insomma quelli

noti come “datì leumì”, come iBenè Akiva (movimento religiosogiovanile), che per una ragione oper l'altra stanno incorporando al-cuni elementi della cultura haredì.

ANNA MOMIGLIANO

Quando la guerra si fa social

Il viaggio in Africa del Premier

israeliano Benjamin Netanyahu

dello scorso luglio e la visita del

ministro degli Esteri egiziano Sa-

meh Shoukry a Gerusalemme so-

no il segnale della direzione che

ha preso la strategia israeliana a

livello internazionale. Lo sguardo

dello Stato ebraico è rivolto ver-

so paesi diversi dagli alleati e

partner tradizionali (Europa e

Stati Uniti), con il continente

africano a giocare un ruolo sem-

pre più importante sia sul fronte

della sicurezza sia su quello com-

merciale. Etiopia, Kenya, Ruanda,

Sud Sudan, Tanzania, Zambia e

Uganda sono i paesi che Netanya-

hu ha visitato nel corso del suo

viaggio africano (criticato in pa-

tria a causa del costo complessi-

vo della missione – 12milioni di

shekel, 3 milioni di euro), segnan-

do di fatto un momento storico

nei rapporti tra l'Africa Sub-Sa-

hariana e Israele: erano infatti

trent'anni che un capo di gover-

no dello Stato ebraico non si re-

cava nell'area.

Se negli anni ‘60 i rapporti tra le

due realtà erano improntate ver-

so la collaborazione, negli anni

'70, con l’influenza di Gheddafi e

la pressione dei paesi arabi (as-

sieme ai poco apprezzati rappor-

ti tra Gerusalemme e il Sud Afri-

ca dell'apartheid), la situazione

si modificò drasticamente, se-

gnando decenni di gelo quando

non di aperta ostilità, come nel

caso dell'Uganda. Qui il dittatore

Idi Amin negli anni Settanta cam-

biò la sua politica nei confronti

di Israele, diventandone un fero-

Bibi e i ponti per l’Africa

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Una revisione, non una rivoluzione.È quello che il presidente del-l’Agenzia ebraica Nathan Sharan-sky chiede al Rabbinato centraledi Israele. Una revisione delle pro-cedure, per fare sì che la massimaistituzione religiosa del paese ac-quisti maggiore trasparenza eobiettività nei criteri con cui si rap-porta alle altre autorità rabbiniche,e in particolare quelle che appar-tengono all’ebraismo Modern Or-thodox, in Israele ma soprattuttodella Diaspora. L’occasione per lan-ciare il messaggio è stato un casoche ha suscitato grande interessemediatico: il mancato riconosci-mento, da parte del tribunale rab-binico della città di Petah Tikvah,cittadina a nord est di Tel Aviv, diuna conversione effettuata da unnoto rabbino newyorkese, HaskelLookstein. Lo stesso che ha segui-to e certificato il passaggio all’ebrai-smo di Ivanka Trump, figlia delcandidato repubblicano alla presi-denza americana Donald.“Sono qui come capo dell’Agenziaebraica per combattere una batta-glia per rafforzare il rapporto traDiaspora e Israele”, ha dichiaratoSharansky partecipando alla dimo-strazione organizzata per sostenererav Lookstein davanti alla sede del-la Corte suprema rabbinica di Ge-

rusalemme all’inizio di luglio (nel-l'immagine). “Mandiamo i nostrishlichim (emissari che l’Agenziaebraica - ente governativo - inviapresso le varie comunità nel mon-do ndr) e giorno e notte spieghia-mo come gli ebrei della Diasporadebbano sentirsi orgogliosi del lorolegame con Israele. E poi Israelearriva e dice ‘I vostri leader nonsono i nostri leader, i vostri rabbini,persino i più sionisti di tutti, coloroche portano avanti la più strettaosservanza della Halakhah (la leggeebraica ndr), non sono i nostri rab-bini, non li riconosciamo’.” Un pro-blema che diventa particolarmente

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

Chi vuole cambiare il rabbinato

ce critico fino a permettere nel

1976 a un gruppo di terroristi pa-

lestinesi e tedeschi, che avevano

dirottato un aereo partito da Tel

Aviv, di atterrare nel suo Paese,

a Entebbe. In una missione incre-

dibile quanto eroica, un com-

mando israeliano riuscì a salvare

e riportare a casa gli oltre cento

ostaggi coinvolti. Quel comman-

do era guidato da Yonathan Ne-

tanyahu, fratello di Benjamin,

che morirà nella missione. Qua-

rant'anni dopo, proprio a Enteb-

be l'attuale Primo ministro ne ha

ricordato l'eroismo, sottolinean-

do anche come da allora i rap-

porti con il paese siano cambiati.

“Oggi in Uganda c'è un presiden-

te impegnato a combattere il

terrorismo”. Con l'avanzare del-

l'Isis, infatti, la minaccia terrori-

stica ha permesso a Israele di

consolidare nuovi rapporti in

tutto il continente africano,

l'Uganda ma anche il citato Egit-

to di Al-Sisi, impegnato nel Sinai

contro le fazioni jihadiste del Ca-

liffato. L'arrivo di Shoukry a Ge-

rusalemme è la dimostrazione

che i rapporti tra i due paesi so-

no solidi ma anche un passaggio

importante per Israele per allar-

gare la frangia dei suoi alleati.

profondo nel caso della comunitàstatunitense, tradizionalmente unodei pilastri del sostegno allo Statosia in termini economici sia in ter-mini politici. Che si fa ancora piùcomplicato andando oltre il casospecifico di rav Lookstein, membrodella Rabbinical Council of Ame-rica, la più importante associazionerabbinica ortodossa americana, egià guida dell’antica sinagoga Ke-hilath Jeshurun di Manhattan, fon-data proprio dalla famiglia di Lo-okstein nel 1872. La maggior partedegli ebrei d’America infatti non siriconosce nell’ebraismo ortodosso,ma in quello portato avanti da altredenominazioni, in particolare con-servative e reform. In Israele essenon hanno formale riconoscimen-to. Il che comporta per esempio ilnon poter celebrare matrimoni va-lidi. Nello Stato ebraico non esisteinfatti la possibilità di sposarsi ci-vilmente, ciascuno può rivolgersialle strutture della propria confes-sione religiosa, ma per gli israelianidi religione ebraica l’istituzione inquestione è necessariamente quelladel Rabbinato centrale, ortodosso.Con alcuni nodi da non sottova-lutare, persino per chi nell’ortodos-sia si riconosce: in particolare il fat-to che la maggioranza dei suoi fun-zionari appartengono al mondoebraico haredì. Un mondo che rap-presenta circa il 10% dei cittadiniisraeliani, il cui stile e scelte di vitasono però separate da quelle del

resto del paese da una profondafrattura, che si sta accentuando an-che verso la comunità Modern Or-thodox (o datì leumi, nazional-re-ligiosa), come sottolineato dalledure parole contro la decisione diPetach Tikvah pronunciate dal mi-nistro dell’Istruzione Naftali Ben-nett, leader del partito nazional-re-ligioso Habayt Hayehudì (La Casaebraica).Anche se il caso di rav Looksteinpuò probabilmente considerarsichiuso (il Rabbinato centrale hainfatti rilasciato un comunicato incui si specificava come i dubbiavanzati dalla corte di Petah Tik-vah e reiterati nella decisione del-l’istanza di appello riguardino solola singola persona coinvolta, rico-noscendo però in via generale l’au-torità del rabbino), il tema rimanequanto mai attuale: dal funziona-mento della controversa piattafor-ma davanti al Kotel che dovrebbegarantire lo svolgimento di funzionireligiose ebraiche non ortodossedavanti al Muro che fu del Tempiodi Gerusalemme, ai diversi tentatividi cancellare il monopolio del Rab-binato centrale in fatto di matri-monio e casherut, i fronti apertisono tanti. Per trovare una solu-zione che, come auspicato da Sha-ransky, aiuti a rafforzare il legametra lo Stato d’Israele e gli ebrei.Quelli che vivono fuori, ma ancheall’interno, dei suoi confini.

Rossella Tercatin

vece di Ezzat al-Rishq, uno deimembri di Hamas a cui è statocancellato il profilo, e che ha ac-cusato la società americana di es-sere dalla parte di Israele. Rispetto alle dure parole di Erdan,la collega Shaked ha deciso diadottare un tono più conciliantenei confronti di Facebook, soste-nendo che la legge proposta saràattuata solo in casi "estremi". Peril ministro della Giustizia poi il co-ordinamento di Israele con Face-book è buono e, in generale, la so-cietà ha rimosso il 50% dei postdenunciati. Ma il progetto di leggeShaked-Erdan, su cui da Palo Altonon sono arrivate reazioni ufficiali,preoccupa alcuni esperti tra cuiTehila Shwartz Altshuler, dell'IsraelDemocracy Institute. A suo direcostringere le compagnie interna-zionali a condividere le proprie in-formazioni con gli Stati potrebbecreare un precedente pericoloso.Parlando con il Times of Israel, lastudiosa ha affermato che la normaproposta alla Knesset potrebbecompromettere la privacy e la li-bertà di parola. Il paradosso dellanostra privacy, afferma, è che ciaffidiamo a società di raccolta diinformazioni a livello mondiale mavogliamo che queste rimanganodistinte dagli Stati. Ovvero, unalegge ideata per contrastare il ter-rorismo, potrebbe aprire più portesulle vite degli utenti di quanto ne-cessario.

Daniel Reichel

Ha fatto discutere, nelle scorse set-timane, la notizia riportata dallastampa israeliana secondo cui ilnumero di scuole “hardal” sarebbein netto aumento, a discapito delle

scuole nazional-religiose. La noti-zia è stata commentata con un'ac-cezione critica, sia perché le scuolenazional-religiose sono un'eccel-lenza del sistema scolastico israe-

liano, sia perché qualcuno teme, eforse non del tutto a torto, che gliistituti “hardal” possano bypas-sare i regolamenti mantenendo lostato delle scuole pubbliche. Sul

tema specifico delle scuole, la que-stione non è facile. Ma più in ge-nerale si può auspicare che ilmovimento “hardal” rappresentiun'opportunità per la società

israeliana. Un ponte tra due mondinon sempre andati molto d'accordofra loro, quelli “haredì” e “datìleumì”, che forse può essere unpunto di partenza anche per altro.

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche/ P10 CULTURA EBRAICA

u דנפיק מינך, טעמא מלפךCIÒ CHE ESCE DA TE, TI INSEGNA QUALCOSA DI BUONO

Come genitore riconosco che tra le cose più complicate nell’educazione dei figlic’è il giusto equilibrio tra gli elogi e le critiche. Entrambi gli atteggiamenti hannoa monte propositi positivi, le lodi servono a imprimere sicurezza, gli appunti mi-rano a correggere atteggiamenti sbagliati, stimolando, si presume, uno sviluppoe una crescita. Anche nel rapporto esterno alla famiglia è facile distinguere frachi esalta sempre e comunque l’operato dei propri figli e chi “di default” ridi-mensiona sempre i loro successi, minimizza la portata delle loro imprese e nonnasconde al prossimo le ombre e i loro difetti in un atteggiamento di falsa mo-destia personale, come se i figli rimanessero per sempre e comunque una ap-pendice di se stessi. Se è questo secondo aspetto a prevalere c’è bisogno diqualcuno che ricordi come si potrebbe prendere un abbaglio, che il punto divista può risultare parziale e impreciso e non fa cogliere l’acutezza dei figli che,non di rado, supera la presunta esperienza e saggezza dei genitori. Un raccontodel Talmud ci propone uno spaccato familiare in cui i rapporti tra moglie e maritosono difficili, un ragazzo si fa grande e con la sua intraprendenza cerca di limaregli scontri fra i genitori ma dove l’educazione al valore della sincerità prevale suogni altro aspetto. Rav aveva una moglie che gliene faceva di tutti i colori. Se lechiedeva di cucinargli le lenticchie, stai pur sicuro che gli dava humus e viceversa.Loro figlio Hiyya, una volta cresciuto, riportava alla madre le richieste culinariedel padre, ma scambiava deliberatamente il nome delle pietanze in modo da ri-cevere il cibo che desiderava. Il padre gli fece notare che finalmente la madreaveva cambiato atteggiamento e Hiyyah gli disse la verità. Rav vide realizzate inquesto le parole popolari secondo cui quanto esce da te ti insegna qualcosa,alludendo alla scaltrezza del figlio ed al fatto che lui, da principio, non avevapensato all’espediente di chiedere il contrario per ottenere quanto voleva. Maaggiunse pure che il giovane non avrebbe dovuto continuare a tenere un simileatteggiamento, ricordando che già Geremia censurava senza riserve coloro che“hanno addestrato la lingua a dire menzogna”. Quindi, per quanto valide lefinalità di Hiyyah doveva prevalere il principio per cui è vietato riportare una cosafalsa a nome di un altro. Un discorso profondo che spinge a interrogarsi sul rap-porto tra la pace e la verità alla vigilia del digiuno del 17 di Tammuz e del periododi ben ha-mezarim, annunciato con le parole del profeta. Zaccaria garantisce alpopolo la trasformazione dei digiuni in giorni lieti quando si realizzerà la sintesitra questi due supremi valori. Basterebbe riconoscere che i figli stanno proce-dendo in questa direzione per dirsi orgogliosi di loro.

Amedeo Spagnolettosofer

ú– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

Alla ricerca dell’unità perduta

ú– STORIE DAL TALMUDu LA TORAH DEI NIPOTIRabbì Yehoshùa ben Levì era uso sentire dal figlio di suo figlio la parashà (il branodella Torah settimanale) a ogni vigilia di Shabbat. Una volta se ne dimenticò edentrò per fare il bagno in uno dei bagni pubblici di Tiberiade. Mentre si appoggiavasulle spalle di rabbi Chiyà bar Abbà, si ricordò che non aveva sentito la parashàda suo nipote. Tornò quindi indietro e uscì dal bagno. E dove stava mentre sene ricordò? Secondo rabbi Derossì era appena entrato nei locali, ma non avevainiziato a fare il bagno; secondo rabbi Elazàr figlio di rabbi Yosè, invece, si eragià spogliato dei vestiti quando se ne ricordò e dovette rivestirsi di nuovo. Glidisse rabbì Chiyà bar Abbà: Ma non ci hai insegnato, o Maestro, che se si è giàiniziato il bagno non lo si interrompe neanche per recitare la Tefillà (la preghieraquotidiana)? A maggior ragione la regola dovrebbe valere per lo studio dellaTorah! Gli rispose rabbì Yehoshùa ben Levì: Chiyà figlio mio, ti sembra una cosada poco questa, che chiunque ascolta la parashà da suo nipote è come se laascoltasse dal Monte Sinai? Infatti è scritto: “E le farete conoscere (queste cose)ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli; quel giorno cioè in cui tu stavi davanti al Signoretuo Dio a Chorev…” (Deuteronomio 4:9-10): questo versetto ci insegna chequando si fa conoscere al figlio del proprio figlio la Torah è come se ci si trovassedavanti al Signore a Chorev, il Monte Sinai (Adattato dal Talmud di Gerusalemme,Shabbat 1:2).

Gianfranco Di SegniCollegio rabbinico italiano

ú– LUNARIOu DIGIUNO DI TISHÀ BE-AVIl 9 del mese di Av (quest’anno il 5 di agosto) per gli ebrei è giorno di lutto e di di-giuno. In questa data a distanza di molti secoli furono distrutti sia il primo che ilsecondo Tempio di Gerusalemme. Il 9 di Av si ricorda anche la cacciata degli ebreidalla Spagna nel 1492.

ú–– Rav Alberto Moshe Somekh

Uno degli elementi che tiene unito il popoloebraico da secoli a dispetto di dispersioni epersecuzioni è l’uniformità delle regole di scrit-tura e di lettura del Sefer Torah. Mentre i nonebrei azzardano ipotesi e contro ipotesi sullacomposizione del Pentateuco, noi ebrei siamoferrei: una lettera in più, in meno o differenteinvalida l’intero rotolo finché non si provvedaa correggerlo. Insomma, è affidata ai Maestrila facoltà di interpretare la Torah a patto chenon si giunga a intaccarne il testo consegna-toci dalla Tradizione (Massorah). Anche lalettura pubblica della Torah segue criteri ri-gorosamente unitari. Se il lettore sbaglia unasola vocale, che peraltro nel testo non figura,viene prontamente ripreso. E il brano letto divolta in volta è identico in tutte le Comunitàdel mondo. Vero, ma fino a un certo punto.Ci sono degli anni in cui per un certo periodoin Israele e nella Diaspora non si legge la stessaParashah settimanale. Per l’esattezza in EretzIsrael sono avanti di unaParashah rispetto aChutz la-Aretz. Ciò ac-cade allorché il secondogiorno di Shavu’ot o, co-me quest’anno, l’ottavogiorno di Pesach cade diShabbat. È noto il fattoche fuori da Israele si ag-giunge un giorno diMo’ed in più rispetto allamadrepatria. In Israelequesta giornata è lavo-rativa a ogni effetto, ameno che non cada diShabbat. In tal caso vi silegge la prima Parashahsettimanale disponibile,mentre in Diaspora sarànecessario attendere altrisette giorni. La compensazione avrà luogonon appena giungeranno due Parashot cheper tradizione si prestano a essere unite: inIsraele si leggeranno separatamente, mentrein Golah saranno lette di seguito nella stessagiornata consentendo in tal modo il “congua-glio”. Le coppie di Parashot unibili sono settein tutto, perlopiù concentrate da Pesach inavanti. Ci aspetteremmo che la scelta ricadasulla coppia più prossima, in modo da limitarenel tempo il più possibile l’effetto della discre-panza: eppure non è sempre così. Il problemaè ulteriormente amplificato quest’anno dal fat-to di essere un anno embolismico, dotato cioèdi 13 mesi. Il mese aggiunto richiede già didover separare almeno quattro delle sette cop-pie. Ciò circoscrive fortemente il numero dicoppie disponibili per il “conguaglio”. Per unatradizione che risale, a quanto pare, al Me-dioevo, in un anno come il nostro, emboli-smico e con l’ottavo giorno di Pesach di Shab-bat, la discrepanza si protrae per oltre tre mesi.Per l’esattezza il “conguaglio” è previsto av-venire solo con le Parashot di Mattot e Mas’è,che in Diaspora si leggeranno unite a metàdel periodo “fra i due digiuni” commemoratividella distruzione di Yerushalaim. Ciò sebbene

nel frattempo si siano lette diverse altre Pa-rashot considerate unibili. Perché attenderetanto?È molto raro in genere che Mattot e Mas’èsi leggano separatamente. Fra i due digiunidel 17 Tammuz e del 9 Av intercorrono tresettimane esatte. Al terzo Shabbat è destinataper definizione la Parashat Devarim, in cuiMoshe rimprovera al popolo le sue malefattenel deserto e in particolare la “trasgressionedegli esploratori” avvenuta il 9 Av: il tristeepisodio che impedì alla generazione uscitadall’Egitto di entrare in Israele. Le due Para-shot precedenti sono Mattot e Mas’è. Se noile leggessimo separate, ecco che Pinechas,quella che giunge ancora prima, verrebbe lettafuori dalle tre settimane. Ma noi abbiamo unvalido motivo per fare invece in modo di leg-gerla subito dopo il 17 Tammuz. In che modo?Unendo Mattot e Mas’è nello stesso Shabbat!Il valido motivo è il seguente. La Parashat Pi-nechas parla della Chaluqqat ha-Aretz, la sud-divisione di Eretz Israel fra le varie tribù de-

lineata in prospettiva al-l’epoca di Moshe Rabbe-nu. A distanza di secolie in particolare dopol’esilio e la distruzionedel Tempio di Yerusha-laim, ecco che la letturadi questo brano dopo ildigiuno del 17 Tammuzfu sentita come una fon-te di consolazione: nontutto è definitivamenteperduto, fa tornare le tri-bù al possesso della terra,“rinnova i giorni nostricome in antico”! Com-prendiamo a questopunto perché si vogliaattendere proprio la cop-pia Mattot-Mas’è per

compiere il “conguaglio” di quest’anno nellaDiaspora. Anche a costo di prolungare la di-screpanza nella lettura settimanale della Torahfra Eretz Israel e Golah per alcuni mesi.Dicevamo all’inizio che la lettura della Torahè un fattore unificante del popolo ebraico. Èlecito domandarsi perché nel nostro casoquesta argomentazione passi apparentementein secondo piano. Il messaggio che si vuoldare in realtà è chiaro. La sequenza delle Pa-rashot è costruita in maniera per cui Pinechasla “consolatrice” quest’anno viene letta dopoil digiuno proprio in Diaspora, mentre in Israe-le lo si farà lo Shabbat precedente. È la Dia-spora che in primis ha bisogno di essere con-solata. Ricordiamoci peraltro che la Golah èsì causa di disgregazione, ma ne è anche l’ef-fetto. Il secondo Tempio fu distrutto, diconoi Maestri (Yomà 9b), per l’odio immotivatofra gli individui. Se fossimo davvero rimastiuniti, non saremmo stati esiliati! Trovarci pertre mesi in ritardo sulla lettura della Parashahrispetto a Eretz Israel ce lo vuole rammentare.E chissà che proprio questo fattore non ci sti-moli a un ripensamento? Chissà che questatemporanea disunità non ci porti essa stessaa ricercare l’antica unità perduta?

u Torah, Libia, XIX-XX secolo,

The Jewish Museum, London

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

DOSSIER /Venezia - I 500 anni del ghettoVenezia, lo spazio degli ebrei. E il futuroUn anno straordinario, in cui la ri-correnza dei cinquecento anni dal-l'istituzione del ghetto diventato sim-bolo di tutte le esclusioni coincidecon i quattrocento anni dalla mortedel drammaturgo che ha creatol'ebreo veneziano più famoso. Il cin-quecentenario è una grande occa-sione di riflessione, arricchita da uncalendario di manifestazioni culturaliin cui a un seminario segue un sim-posio, a una mostra si aggiunge unospettacolo, senza soste. Il primo dos-sier dedicato all'anno eccezionaledegli ebrei veneziani, uscito con ilnumero di marzo di Pagine Ebraichein occasione del grande concertoche alla Fenice ha segnato l'aperturaufficiale del programma, raccontavail Ghetto prendendo le mosse da co-loro che lo vivono tutti i giorni, abi-tandovi, lavorandovi, o giocando inCampo come la bimba ritratta in co-pertina. Agli interventi istituzionaliavevamo fatto seguire il confrontofra posizioni differenti sulle manife-stazioni per il cinquecentenario, in-sieme alle riflessioni degli studiosi,per chiudere con la grande musica.Torniamo ora a Venezia raccontandoil ritorno di Shylock che, come haspiegato Shaul Bassi, è anche unriappropriarsi senza timore di unostereotipo che ha pesato come un

macigno sulla comunità, sfruttando-ne ora la notorietà per dare un segnopositivo di fiducia nel futuro. La re-gista della Compagnia de' Colom-bari, che porta per la prima volta IlMercante di Venezia nello spazio incui è stato immaginato dialoga conFrank London, il compositore cheper "The Merchant in Venice" stascrivendo musica nuova. Il Mercan-

te, scrive Dario Calimani nell'intro-duzione alla sua nuova traduzionedell'opera di Shakespeare, pone unasfida alla capacità di comprensionee all'onestà degli interpreti, una sfidacomplicata dalla storia dell'antise-mitismo. Sono così i testi di Susan-nah Heschel, James Shapiro e Ste-phen Greenblatt che spiegano cosaverrà dibattuto nel corso del proces-

so d'appello intentato da Shylockcontro Antonio, la repubblica di Ve-nezia e Porzia, accusata di aver ve-stito i panni del giudice pur essendoparte interessata. Un processo chesi aggiunge alle rappresentazioni inGhetto, in cui la giuria presiedutada Ruth Bader Ginsburg, giudicedella Corte Suprema degli Stati Uni-ti, concluderà con le sue delibera-

zioni un pomeriggio d'eccezione. Alcentro del dossier abbiamo volutooffrire un regalo ai lettori di PagineEbraiche: il disegno di Giorgio Al-bertini, infatti, è pensato per esseresfilato dal giornale, a memoria di unanno straordinario, in cui gli spaccatidi tre delle cinque Scole di Venezianarrano una stratificazione di storie,visione di un presente vivo e riccodi cultura e suggestioni e augurio diun futuro pieno e consapevole. Lamostra dedicata ai cinquecento annidel ghetto - curata da Donatella Ca-labi, protagonista della grande inter-vista di questo mese - offre a PalazzoDucale una visione di cinque secolistraordinari, e si propone come fontedi una ricchezza di percorsi e di stru-menti che resteranno parte di un pa-trimonio comune. Così come le fo-tografie straordinarie di Peggy Gug-genheim e di Ferdinando Sciannache in due mostre solo apparente-mente molto diverse offrono una vi-sione di quella che è davvero l’es-senza di Venezia. E a Venezia duegiardini segreti torneranno a vivere,mentre la storia del libro ebraico,con il suo peso e il suo valore, rac-conta ancora oggi di un retaggio dicultura e tradizioni che sono un pa-trimonio vivente per tutti. E l'anno non è ancora finito.

Cinque secoli di futuro pagg. 20-21 Giardini segreti, ora ritrovati pag. 24 Venezia e il libro ebraico pag. 25

Il ritorno di Shylock pagg. 12-15 Processo all’antisemitismo pagg. 16-17 Le Scole illustrate pagg. 18-19

a cura di Ada Treves

foto

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Una discussione, un gesto di sfida.Nell'impeto, al testo di Shakespea-re si aggiungono o forse sostitui-scono una sfilza di parolacce, pro-nunciate con un evidente accentotoscano. Fino alla fine della scenala tensione resta altissima, gli at-tori nella parte. Karin Coonrod,la regista che porterà in Campodel Ghetto Novo per la prima vol-ta Il mercante di Venezia non solonon è minimamente infastidita,ma mostra di aver apprezzatol'uso di un'altra lingua, l'aggiuntadi sonorità inaspettate. No, le pa-rolacce non resteranno, non ver-ranno integrate nel testo, ma pergli attori della Compagnia de' Co-lombari mescolare lingue e lin-guaggi è parte della normalità. Ol-tre all'inglese, dal 26 agosto al pri-mo luglio in Campo risuonerannoanche tedesco, francese, spagnoloe italiano, lingue parlate dagli at-tori di una compagnia davvero in-ternazionale fin dalla sua costitu-zione, che del mescolare e rime-scolare lingue, generi e propositiha fatto uno dei suo tratti distin-tivi. Le prove, nel teatro di SantaMarta, mostrano un gruppo chesi sta integrando, che lavora e fa-tica, e anche che si diverte, in ma-niera evidente, spronato da unaregista che moltissimo pretende,e che altrettanto riesce a dare aisuoi attori, con una passione im-possibile da nascondere. Gestico-la, animata, e solo quando la mac-china fotografica la inquadra im-provvisamente si trasforma in unapersoncina composta. Ma durapoco, il suo spirito riprende subitoil sopravvento, per spiegare comemescolare i linguaggi sia una scel-ta di cui è assolutamente convinta:"Alla peggio nessuno capirà nulla- ride - ma davvero questo lavoro

è tutto sull'alterità, e se un perso-naggio improvvisamente passa dauna lingua all'altra allora è comeuna frattura, come uno slittamen-to di senso. Siamo una compagniainternazionale, lo siamo semprestati, e per il Mercante questo èparticolarmente importante. Ave-

vo già messo in scena un EricoVIII plurilingue, e la stessa cosaaveva funzionato bene, credo, conla mia Giovanna D'Arco che im-provvisamente ritornava alla lin-gua materna. Del resto ora si 'vaa vedere' uno spettacolo, mal'espressione originaria era 'to hear

a play’, ossia andare a sentire unospettacolo". Al tavolino del barpieno di studenti, nel campielloassolato che si trova a pochi passidal teatro, ad ascoltare attenta-mente ogni parola di Karin Co-onrod c'è anche Frank London.Musicista e compositore, noto in

Italia soprattutto per il suo lavorocon i Klezmatics, London sta la-vorando con la compagnia e com-pone la musica per il Mercanteman mano che le prove procedo-no. Suonerà anche, in scena, epresto il dialogo diventa conti-nuazione del lavoro del mattino.E Frank London, altro personag-gio vulcanico e inarrestabile, pre-sto sbotta: "Lo so già, fra la messain scena in ghetto e il mio lavorosul klezmer tutti si aspettano uncerto tipo di musica ebraica. Lesolite cose note, sentite mille volte.Beh, saranno delusi". Pare quasidivertito, e spiega che neppure lamusica di Salomone Rossi, peresempio, che potrebbe sembrareuna suggestione obbligata, corri-sponde alle scelte che si stannoimponendo durante il lavoro. Echi dalla chazanut risuonerannoinvece in un assolo di tromba, chearriverà ad accompagnare la fugadi Jessica. Musica disperata, gridodi dolore. Un altro scambio diidentità, in cui un allontanamentodall'ebraismo corrisponde aun'emozione ispirata dalla tradi-zione. Ma gli scambi sono parteintegrante di tutto il Mercante:"Ora mettere uomini nelle partidelle donne e viceversa è di moda,spiega Coonrod, ma la fluidità frai generi c'era già in Shakespeare.L'attore shakespeariano ideale èandrogino". La domanda con cui devono con-frontarsi gli attori è impegnativa:chi sono io? Come arrivo a defi-nire la mia identità? Un solo Shy-lock non basta a rispondere, cosìin Ghetto se ne vedranno cinque.Quattro uomini e una donna.Contraddizioni, scelte inaspettate.Il monologo più noto avrà vocedi donna.

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche

DOSSIER /Venezia - I 500 anni del ghetto

Cinquecento anni dall'istituzione del Ghetto di Venezia. Quattrocento anni dalla morte di Shakespeare. Un'occa-sione unica, che sarebbe stato impensabile mancare. In questa occasione l'ebreo vene-ziano più famoso torna nel luogo in cui la sua storia è ambientata. Il mercante di Venezia viene messo in scena per la prima volta in Ghetto: dal 26 luglio alprimo agosto il Campo del Ghetto Novo risuonerà delle voci della Compagnia de' Colom-bari. È arrivato il momento. Il valore simbolico di un'occasione a lungo preparata e stu-diata sin nei minimi dettagli è tale che l'emozione, palpabile, arriva a influenzare il lavorodi tutti coloro che vi si stanno dedicando. Con l'anima e con il corpo. Col cuore e con latesta, e con l'appoggio e la piena fiducia di una comunità che ha potuto contare anche sulsostegno delle grandi istituzioni cittadine e non solo.

Contraddizioni e sorprese, dal testo alla scena Karin Coonrod e il coraggio di osare, per una regia che punta al cuore del Mercante

u In alto Frank London in ghetto.

A sinistra Jennifer Newman,

manager della Compagnia de’

Colombari e Karin Coonrod,

regista storica della compagnia.

Dal 26 luglio al 1 agosto THE MERCHANT IN VENICE Campo del GhettoNuovo

Il Mercante in Ghetto, la sfida sul Campo

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Docente di Ca' Foscari, ideatoredell'intero programma "The Mer-chant in Venice" - che comprendela rappresentazione in ghetto, ilprocesso, la Summer school dedi-cata a Shakespeare così come lapartecipazione al progetto che haportato all'Università Ca' Foscarie alla Fondazione Cini un finan-ziamento nell'ambito del program-ma "Creative Europe", Shaul Bassiè anche il direttore di “Beit Venezia- casa della cultura ebraica”, uncentro studi di forte impronta in-ternazionale nato nel 2009, chemira creare a Venezia una nuovafucina di creatività ispirata alla Ve-nezia ebraica, attraverso residenzed'artista, eventi e appuntamenti ac-cademici. E non basta: è membrodel Comitato "I 500 anni di Vene-zia" che lavora di concerto con laComunità ebraica per comporreun calendario di eventi il più pos-sibile ispirato ai veri principi ispi-ratori del cinquecentenario - nonfesteggiamento, ma un'occasionedi riflessione e crescita culturale.Bassi si è sforzato insieme al Co-mitato di "orchestrare" la serie de-gli eventi in programma, cercandodi creare una linea comune, un col-legamento con il tema e collabo-rando a modulare le tante propo-ste arrivate in modo che fossero ilpiù possibile utili a stabilire un nes-so con il cinquecentenario tramiteil tema ebraico, senza fare com-promessi.Grande creatore di reti, capace diuno sguardo lucido e lungimiranterivolto anche all'esterno, è stato inquesti mesi capace di intercettareuna moltitudine di risorse intellet-tuali, creative e artistiche che han-no reagito entusiasticamente al-l'idea di portare un contributo alprogramma, spronando anche iveneziani ad aprire gli occhi su unpatrimonio di storia, tradizioni ecultura straordinario, spingendolia mettersi in moto per valorizzarloe renderlo vivo. "Living Heritage",cioè patrimonio vivo, espressionespesso usata da Bassi in riferimentoal Ghetto, non è uno slogan vuoto,usato ad effetto: racchiude sensodi appartenenza e un'idea, un so-gno che si sta facendo sempre piùconcreto col trascorrere dei mesie l'accumularsi di conferenze, se-minari, incontri.

È un fiume in piena, Shaul Bassi,capace contemporaneamente digodersi uno spritz al sole, in unCampo in cui l'aria è resa bollentedall'afa estiva, non perdere una so-la parola pronunciata da suo figlio- concentratissimo nella lettura maanche capace di intervenire, maia sproposito, nella conversazionedegli adulti - e anche di raccontarecome si è arrivati a "The Merchant

in Venice". Aggiunge alla storiamille aneddoti, divagazioni, risatee un entusiasmo assolutamente tra-volgente, che porta a pensare chetutto sia possibile, e che senza dilui forse questo anno dedicato alcinquecentenario dell'istituzionedel ghetto sarebbe molto diverso.Continua a citare le tante personeche hanno lavorato con lui in que-sti mesi, collaboratori, studiosi, col-

leghi e amici che hanno reso pos-sibile quella che parecchie testatesalutano da tempo come "la setti-mana del mercante". Non si pren-de nessun merito, ma racconta co-me la strada sia stata lunga: "Giànel 1988 avevo scritto una cosasul Mercante, che è stata pubbli-cata sul giornalino di un'organiz-zazione giovanile ebraica, ma a di-re il vero il testo non l'avevo letto.

Ora, con la messa in scena in ghet-to, il luogo in cui Il mercante di Ve-nezia è ambientato, è come se sug-gellassimo la rinascita di un luogoche solo negli ultimi due decenniè tornato a vivere, dopo essere sta-to per lunghi anni ambivalente,non desiderato". Il progetto hapreso forma già nell'estate del2015, quando una prima SummerSchool dedicata al Mercante - duesi tengono quest'anno - ha vistoquaranta studiosi di tutto rispettoportare avanti un programma se-guito da ricercatori arrivati a Ve-nezia da tutto il mondo. Al pianodi sotto, nello stesso palazzo, gliattori provavano. E Shylock, cheBassi definisce "indubitabilmentel'ebreo veneziano più famoso ditutti i tempi", si trasformava len-tamente da spettro da esorcizzarein un personaggio concreto cheviveva il ghetto. Uno spettro, però,talmente forte e riconoscibile daaver rubato la scena ad Antonio,il vero mercante che compare neltitolo di Shakespeare. Già, perchéanche se pochi se ne rendono con-to non è Shylock il personaggio acui fa riferimento il Bardo dandonome a una delle sue opere piùnote. Shylock, spiega ancora Bassi,è come un macigno che grava sullamemoria del ghetto, "ma per unavolta noi ebrei veneziani non neabbiamo paura. Non abbiamo pau-ra di te, mercante, perché sappia-mo che porti il nostro nome in gi-ro per il mondo". Una rivalsa, e lanotorietà e l'importanza che la rap-presentazione sta avendo si tra-sforma nelle parole di un ebreo ve-neziano di oggi in uno sberleffoironico e in una vendetta: "Siamonoi, adesso, che ti sfruttiamo, eusiamo la tua immagine per por-tare nuova vita e nuova linfa a unacomunità ebraica che molto sta in-vestendo per garantirsi un futuroin cui non essere ripiegata su sestessa e sul proprio passato. La co-sa più importante - continua - nonè che si tratti di una messa in scenamemorabile, anche se sono con-vinto che lo sarà, ma che l'atmo-sfera che si sta creando in questacomunità non vada perduta, chela vivacità e la vita che animano ilghetto in queste settimane si tra-sformino in un vero e proprio in-vestimento sul nostro futuro".

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

Conferenze, mostre, spettacoli. Patrimonio di tutti Shaul Bassi: “Il Mercante rivalsa e simbolo di un futuro ricco di vita e di progetti”

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Due chiavi permettono di apprezzareappieno la nuova traduzione de Ilmercante di Venezia ad opera diDario Calimani, da poco uscita peri tipi di Marsilio. Il noto anglista veneziano chiude lasua introduzione al volume con un'af-fermazione pesante: dopo aver scrittoche il Mercante "non è un'allegoriache oppone Antico e Nuovo Testamen-to. La lettura medievaleggiante è unaresa di fronte alla lettera del testo ealla sua modernità" aggiunge che"ebraismo e cristianesimo sono qui dueideali mancati, privi di un modellodi valori positivi: come nell’ Ebreodi Malta di Marlowe, la verità nonè appannaggio di nessuno. Il drammaasseconda le attese del suo pubblico egli offre un villain che corrobori ilpregiudizio storico, ma sovverte manmano i propri significati stimolandouna partecipazione dialogica e pro-blematica di spettatore e lettore cheapre non a verità ultime ma a ulte-riori interrogativi. La conclusione ac-cetta la realtà com’è, irriconciliata esospetta". Ogni lettore o spettatore ha il compitodi cercare un proprio percorso inter-pretativo, non è ammissibile porsi inmaniera passiva di fronte a un'operache impone molte domande, e non offrerisposte. Per Calimani, "nessuna mes-sinscena e nessuna critica esaurisconoun testo in cui ogni significato è siste-maticamente contraddetto".In apertura - questa la seconda chiave- una citazione che si spiega da sola: "Belle massime, e ben enunciate an-che". "Sarebbero più belle se venissero

seguite." viene proprio da Il mercantedi Venezia, i.2.10-11.In conclusione del testo, inoltre, vienefatto notare come alla fine dell'operarimanga una sensazione amara di in-completezza, dovuta - scrive Calimani- all'incapacità di tutti i personaggidi armonizzare la necessità con il ri-conoscimento e con la riconoscenza,l’amore con il disinteresse, il doverecon il diritto, la giustizia con l’uma-

nità, la misericordia con la giustizia,la società con il diverso, l’uomo conl’uomo.

Riproponiamo qui la prima parte del-l'introduzione.

Complicata dalla storia dell’anti-semitismo, la rappresentazione ela lettura del Mercante di Veneziasono, oggi più che mai, una sfida

alla capacità di comprensione eall’onestà degli interpreti. Nella figura dell’usuraio ebreo, chechiede al mercante cristiano unalibbra di carne a garanzia di unprestito, Il mercante di Veneziacompendia secoli di pregiudizioantiebraico: l’ebreo, discendentedi deicidi, estraneo per eccellenzae disumano profittatore, è l’essereper il quale qualsiasi vessazione

non è che giusta punizione; un’im-magine dell’ebreo che, per oltrequattrocento anni, il Mercante hacontribuito non poco a trasmette-re. Non sorprende che l’epoca mo-derna, con censure mirate, pietoseriletture o ignominiose strumen-talizzazioni, abbia fatto pagare aldramma la spinosità del soggettoe di una figura che ha sempre co-stituito per la storia un problemain sé; da un lato, l’imbarazzo del-l’Ottocento dava rilievo alla trage-dia dell’ebreo omettendo il quintoatto, dall’altro, la propaganda na-zista proponeva rappresentazionirepellenti.Sospeso fra storia e finzione, ilMercante riflette e rappresenta lacrisi culturale dell’Inghilterra eli-sabettiana nel suo rapporto con lostraniero. Shylock è in effetti il frut-to, forse avvelenato, di una culturache con ebrei dichiarati non ha piùcontatti dal 1290, anno della lorocacciata dal paese. Al tempo diShakespeare, il centinaio di ebreiche vivono a Londra sono con-versos, ebrei fattisi cattolici dopol’espulsione dalla penisola iberica(nel 1492 dalla Spagna, nel 1497dal Portogallo in seguito a unaconversione di massa forzata), ri-convertiti al protestantesimo an-glicano, e praticanti il criptogiu-daismo dei marrani. A tener vivo il pregiudizio antie-braico, se non la presenza di unacomunità palese, ci pensa una lun-ga tradizione letteraria – drammiallegorici medievali, ballate, Il rac-

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche

DOSSIER /Venezia - I 500 anni del ghetto

L'autore è noto, il titolo suggestivo. E basta-

no poche righe per restare spiazzati. Non

che da Howard Jacobson ci si potesse aspet-

tare un testo scontato o banale, ma il con-

trasto tra il titolo del volume appena tra-

dotto da Rizzoli - Il mio nome è Shylock - e

le prime righe è fulminante.

Il mercante di Venezia (Atto

quarto, scena 1) compare

nel prologo:

“Porzia: Quale dei due è il

mercante e quale il giudeo?

Doge: Antonio e il vecchio

Shylock si alzino in piedi!

Porzia: Ti chiami Shylock?

Shylock: Mi chiamo Shy-

lock”.

Poi si volta pagina.

L’incipit: “È uno di quei giorni in cui è meglio

esser morti che vivi come ci sono nel Nord

dell'Inghilterra a febbraio, lo spazio tra terra

e cielo una mera buca da lettere di luce pres-

sata, il cielo in sé insondabilmente insulso.

Un palcoscenico inappropriato alla tragedia

anche lì, dove i morti riposano in pace. Ci so-

no due uomini al camposanto, occupati in

compiti del cuore. Non

alzano lo sguardo. Da

quelle parti devi di-

chiarare guerra al

tempo, se vuoi evitare

di ritrovarti in una far-

sa”. Non c'è Shylock, ma compare presto Si-

mon Strulovich, "filantropo ricco, uomo fu-

rioso, facile all'offesa, dagli entusiasmi vo-

lubili, proprietario di una collezione consi-

derevole di opere d'arte angloebraica". E su-

bito scopriamo che ha una figlia "che sta

uscendo dai binari", e che si trova al cimitero

per controllare la pietra posata sulla tomba

di una madre che non ha pianto "coscienzio-

samente". E che ha una passione per Shake-

speare, di cui un tempo pensava che genialità

e aria da spaccone sefardita - così viene de-

scritto nel testo - potessero essere spiegate

solo dalla presenza di antenati che prima di

cambiare nome si chiamavano Shapiro. Ma

ora non ne è più sicuro. Come non è più si-

curo di altre cose. Per Strulovich, il cui padre

ha pianto per un breve tempo per via della

religione della moglie, "noi" è un'idea di ap-

partenenza da sottoscrivere, a volte. A volte

no. Il tradimento dei figli - Shakespeare, di

nuovo? - è naturale, così come la capacità

di sopravvivere: "Arriviamo, fortunati di

essere vivi,

con tutti i

nostri averi

in un fagot-

to s un ba-

stone, e su-

bito ci met-

tiamo in

cerca di un

posto dove

seppellire i

figli che ci

tradiscono".

Shylock compare nel cimitero, diventando

così a sua volta un personaggio del libro di

Il mio nome è Shylock

HowardJacobsonIL MIO NOMEÈ SHYLOCK Rizzoli

Il Mercante di Venezia, tra storia e finzione Dario Calimani: “In Shakespeare ogni significato è sistematicamente contraddetto”

26 luglio, 17.00HOWARDJACOBSON IL MIO NOME È SHYLOCKFondazione GiorgioCini, Isola di SanGiorgio Maggiore,Venezia

u Riva degli Schiavoni, opera di Leandro di Ponte Bassano (1557-1622). Un particolare si vede in copertina

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Ci saranno molte telecamere a riprendere la sera della prima di “The

Merchant in Venice”, la rappresentazione che riporta l'ebreo veneziano

più famoso della storia nel luogo in cui è ambientato Il mercante di

Venezia. L'opera, infatti, non era mai stata messa in scena nel Ghetto,

e il lavoro di Karin Coonrod e della Compagnia de’ Colombari sta at-

tirando sempre più attenzione, sia in Italia che in tutto il mondo. Sia

l'informazione che i film maker indipendenti, però, potranno contare

sul prezioso lavoro che da settimane sta portando avanti una casa di

produzione di Chicago che da circa quindici anni si dedica a raccontare

luoghi e comunità con particolare attenzione a questioni razziali e

di genere. Per Ted Hardin e Elizabeth Coffman riprendere le prove del

mercante, seguire gli attori e intervistarli, lavorare con la regista,

Karin Coonrod, capirne le intenzioni e carpirne i segreti significa con-

tinuare a lavorare su un progetto che da mesi li ha portati ad esplorare

Venezia, e in particolare il Ghetto, per raccontarne la vita, le storia,

la rinascita e le difficoltà, senza scordare il peso di 500 anni di Storia

e di storie.

Il loro lavoro nelle ultime settimane si è concentrato sul Mercante, e

questa parte specifica di riprese andrà a formare sicuramente un do-

cumentario, che per ora viene chiamato amichevolmente "The making

of", la cui forma finale però ancora non è definita. Parte delle riprese

è già stata richiesta dall'MIT, il Massachusset Institute of Technology

per "MIT Global Shakespeare Video & Performance Archive", il portale

collaborativo che raccoglie materiale da tutto il mondo. E la dispo-

nibilità nei confronti degli operatori che avranno

bisogno delle loro riprese è massima. Perché la

messa in scena de Il mercante di Venezia in Ghetto

sia veramente patrimonio di tutti.

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Jacobson, e si trasforma preso nell'interlo-

cutore naturale di Strulovich. Entrano in gio-

co ovviamente le domande sull'identità - co-

sa significa essere ebreo - e in comune c'è

l'avere una "figlia errante". Contemporanea-

mente si sviluppa un "mondo cristiano", in

cui i personaggi sono un esteta gay di nome

D'Anton - che assume il ruolo di Antonio - e

un'ereditiera alla guida di una Porsche, Por-

zia, e un giocatore di calcio senza cervello

con un debole per le ragazze ebree che in-

carna Graziano. Nessuno di loro ha bisogno

di farsi prestare denaro da Shylock, ma i le-

gami fra i due mondi vanno ugualmente a

costruire una trama intrigante e inquietante,

che riesce a non allontanarsi mai dalle do-

mande di fondo che il testo originale del

Mercante impone. E a dare risposte impre-

vedibili. Va ricordato anche che in una vita

precedente, quando

faceva lo studioso e

l'accademico, Jacob-

son ha scritto un libro su Shakespeare insie-

me a Wilbur Sanders, grande esperto del Bar-

do - a cui dedica Shylock è il mio nome, rim-

piangendo di non aver mai con lui parlato

del Mercante "nei molti anni di amicizia e di

corsi su Shakespeare tenuti insieme".

E la figura dell'ebreo che non si assimila, che

sfida il mondo con il suo essere altro, dopo

aver messo in difficoltà i lettori per secoli

ricompare qui attualizzata con tutte le do-

mande che porta con sé. Lo stesso Jacobson

sarà a Venezia per presentare il suo libro, ed

è nel comitato organizzatore di "The Mer-

chant in Venice". Risponderà forse alla do-

manda più difficile: il Mercante è un testo

sull'antisemitismo, o è un testo antisemita?u Howard Jacobson (a destra), uno dei protagonista della Summer School 2015, in ghetto

Dietro le quinteLa nuova edizioneDario Calimani insegna Letteratura inglese all’Università Ca’Foscari di Venezia. Si occupa di letteratura elisabettiana,di teatro e poesia del Novecento, di cultura ebraica. Hascritto, fra l’altro, su Pinter, T.S. Eliot, sul teatro moderno(inglese e anglo-irlandese), sui sonetti di Shakespeare (Wil-liam Shakespeare: i sonetti della menzogna, Carocci 2009).

Per Marsilio, ha curatodue volumi di Yeats,Il figlio di Cuchulain(2011) e Verso Bisanzio.Poesie (2015).

conto della priora (ca.1387) di Geoffrey Chaucer, L’ebreo(1579), un dramma anonimo per-duto, le Cronache (1587) di RaphaelHolinshed, L’Ebreo di Malta(1589?) di Christopher Marlowe,Il viaggiatore sfortunato (1594) diThomas Nashe, oltre all’onnipre-sente leggenda dell’ebreo errante. Fa eccezione The Three Ladies ofLondon (1583), un dramma di Ro-bert Wilson sullo scontro fra ungeneroso prestatore ebreo e unavido mercante italiano e cristiano.Le rare figure di ebrei positivi sonoin genere le remote figure dei pa-triarchi biblici lette come prefigu-razione del Nuovo Testamento.Ma anche la cronaca fa la sua par-te, con il caso del medico Roderi-go Lopez, ebreo convertito di ori-gine portoghese, accusato di avertentato di avvelenare la regina Eli-sabetta.Lo sfondo del Mercante è la Ve-nezia mitizzata dei commerci (ineffetti, già messa in crisi dalle nuo-ve rotte atlantiche) e della giustiziaimparziale, accogliente e tollerantecon gli stranieri.

Nulla nel testo, tuttavia, rispecchiala realtà storica di Venezia: gli ebreipotevano esercitare solo attività“inferiori”; era impedito loro il pos-sesso di beni immobili; l’usura eraun’attività imposta e il tasso d’in-teresse era regolamentato dalla Re-pubblica, che a scadenza regolareprivava gli ebrei di ogni proventocon l’imposizione di tasse esose,com’era accaduto del resto in In-ghilterra: un’estorsione legalizzataben rappresentata nell’Ebreo diMalta di Marlowe.In assenza di particolari quali ca-nali, ponti, Piazza S. Marco, l’Ar-senale, le famose cortigiane, i ban-chi di pegno e il primo Ghetto del-la storia (1516), il realismo d’am-biente del dramma è un mito ba-sato su congetture non verificabili.A parte una «sinagoga», Rialto(«Ryalta»), una gondola («gondy-lo»), una mascherata in tempo(forse) di Carnevale, ogni collega-mento con la Serenissima è dovutoall’ansia di riconoscimento dellacritica biografica. Il dramma, infatti, ha al centrol’estraneo nel suo rapporto con lasocietà veneziana, e riverbera l’in-quietudine di un mondo disorien-tato dalle scoperte geografiche,

dalla nuova economia mercantile,dalla rivoluzione copernicana, dallaRiforma anglicana, dal relativismoculturale di Montaigne, dallo spe-rimentalismo induttivo di Bacone. È un clima culturale inglese, piùche veneziano, di un’Inghilterrache, mentre guarda a Venezia co-me a un modello da imitare, è agi-tata dai dibattiti sull’usura, sui proe i contro del nascente capitalismo,sullo straniero, sull’opposizione cit-tà-campagna, sullo scontro gene-razionale, sul matrimonio, sull’ap-plicazione della legge. Un mondo in crisi di identità, peril quale gli ebrei, «nazione» senzaterra e dall’identità sfuggente, sonomotivo d’ansia quanto cattolici epuritani, e più dei mori, distingui-bili quanto meno dai tratti soma-tici. Questo turbamento delle co-scienze traspare in un testo chesmentisce man mano i propri si-gnificati, costruendo una trama diverità parziali e discordanti che de-stabilizza ogni facile interpretazio-ne e rende il dramma non menodialettico e problematico di Troiloe Cressida, Misura per misura, Tuttoè bene quel che finisce bene, e di untardo romance quale Il raccontod’inverno.

WilliamShakespeareIL MERCANTE DI VENEZIAa cura di DarioCalimaniMarsilio

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C'è qualcosa di molto particolare

nell'assistere a una rappresenta-

zione de Il mercante di Venezia,

sapendo che in qualche maniera

la propria immaginazione verrà

messa in discussione non solo

nella storia romantica dell'eroe

e dell'eroina ma anche, in misura

ancora maggiore, in quella del

suo personaggio negativo.

Si ride quando il servo di Shylock,

il pagliaccio di nome Gobbo,

scappa dal suo avaro padrone.

Si sorride quando la figlia di Shy-

lock, Jessica, dopo essere fuggita

dall'oscura casa paterna per ri-

fugiarsi tra le braccia del suo

amato, dichiara: "Ma sarò salvata

grazie a mio marito. Ha fatto di

me una cristiana".

Si rabbrividisce quando l'impla-

cabile Shylock affila il coltello

sulla suola dello stivale. Si ap-

plaude alla risoluzione del dilem-

ma, quando l'ingegnosa Porzia

riesce a escogitare il cavillo le-

gale che smonta il piano omicida

messo a punto da Shylock. Colui

che aveva insistito sulla necessità

di applicare alla lettera la legge

viene smontato dalla stessa let-

tera della legge. Ma, allo stesso

tempo, ci si sente a disagio. Cosa

stiamo applaudendo esattamen-

te, cosa ci fa sorridere? Con che

occhi osserviamo la figlia ebrea

che deruba il proprio padre e af-

fida il denaro al suo spasimante

cristiano, che è un cacciatore di

dote? Ci uniamo alla risata rauca

dei cristiani che disprezzano

l'ebreo e su di lui sputano?

Da che parte stiamo, alla fine del-

la tormentata scena nella corte

d'appello, quando Porzia chiede

all'uomo che ha rovinato se ac-

cetterà le condizioni da lei det-

tate, condizioni che prevedono

che l'uomo diventi immediata-

mente cristiano:"Ti sta bene, giu-

deo? Che hai da dire?".

E cosa pensiamo senta davvero

l'ebreo quando risponde:

"Mi sta bene"?

(traduzione di Giulia Castelnovo,

studentessa della Scuola Supe-

riore per Traduttori di Trieste e

tirocinante presso la redazione

giornalistica UCEI)

"Chi è il mercante qui? E chi èl'ebreo?, chiede Porzia quando en-tra in aula travestita, ovviamente,da Baldassarre, dottore in legge.Il travestimento da uomo di Porziaè assimilabile alla sua confusione:possibile che non riesca a indivi-duare l'ebreo a prima vista? Attraverso i testi, meravigliosa-mente sottili e impliciti, Shake-speare sta suggerendo che Porziaopera anche un travestimento re-ligioso: parla forse in nome delCristianesimo quando parla di mi-sericordia, o in aula le sue mano-vre legali provengono dalle argo-mentazioni rabbiniche (o quanto-meno così percepite dai cristiani)ma mascherate da ragionamenticristiani? Porzia proclama qualedeve essere la natura universaledel perdono: "La natura della misericordia non sipuò forzare, cade come la pioggia gentile dal cielosulla terra in basso: è due volte be-nedetta;benedice colui che la esercita e coluiche la riceve" (IV,1)Esaminando l'accordo di Shylockcon Antonio, Porzia sembra sulpunto di accordargli la sua libbradi carne. Shylock accoglie la suasentenza con gioia: "O nobile giu-dice! O giovane eccellente! O saggioe retto giudice! O giudice colto!" Maarriva poi il climax quando Porziaannuncia, con voce indubitabil-mente traboccante di sadica sod-disfazione: "Aspetta un momento, c'è qualcos'altro:

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DOSSIER /Venezia - I 500 anni del ghetto"Complicata dalla storia dell’antisemitismo, la rappresentazione e la lettura del Mercante sono, oggi più che mai, una sfida alla capacità di comprensione e

all’onestà degli interpreti. Nella figura dell’usuraio ebreo, che chiede al mercante cristiano una libbra di carne a garanzia di un prestito, Il mercante di Venezia

compendia secoli di pregiudizio antiebraico: l’ebreo, discendente di deicidi, estraneo per eccellenza e disumano profittatore, è l’essere per il quale qualsiasi

vessazione non è che giusta punizione". Una realtà, descritta da Dario Calimani nell'introduzione alla nuova traduzione del Mercante appena pubblicata da

Marsilio, cui il processo alla Scuola Grande di San Rocco, a latere delle rappresentazioni in Ghetto proverà a rispondere. Sarà molto più di un processo simulato:

la giuria sarà composta da Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti insieme alla giurista internazionalista Laura Picchio Forlati

(Università di Padova), con John R. Philips, Ambasciatore americano in Italia, Richard Schneider (Wake Forest University), e con l'avvocato Fabio Moretti. Così

come avvenuto per la giuria, anche nel ruolo di procuratori e avvocati difensori sono stati invitati professionisti di chiara fama, e ci saranno gli interventi di

James Shapiro e Stephen Greenblatt, i due grandi studiosi di Shakespeare rispettivamente da Harvard e dalla Columbia University. E sarà F. Murray Abraham a leggere

e commentare il Mercante, mentre il processo farà il suo corso, per fare chiarezza in una vicenda ingarbugliata, così come spiegato anche nel libretto prodotto dall'Università Ca'

Foscari insieme alla Compagnia de Colombari in occasione della rappresentazione in Ghetto. Vi sono inclusi il testo di Susannah Heschel approfondisce il tema del conflitto fra

legge e misericordia e fra ebraismo e cristianesimo, così come quelli di James Shapiro e Stephen Greenblatt dedicati al senso di disagio e all'irrequietudine che Shakespeare, col

Mercante, è capace di suscitare ancora oggi. Perché, come scrive Shapiro, "a quattro secoli dalla stesura e dalla sua prima rappresentazione, Il Mercante di Venezia continua ad

essere un'opera complessa ed enigmatica, da cui scaturiscono più domande che risposte".

ú–– Stephen GreenblattHarvard

Cosa applaudiamo, cosa ci fa sorridere

questa obbligazione non ti concedeneanche una goccia di sangue; le pa-role dicono espressamente 'una libbradi carne'. Prendi dunque la tua pe-nale, prendi la tua libbra di carne; ma se, nel tagliarla, versiuna goccia di sangue cristiano (le tueterre e i tuoi averi sono, per le leggidi Venezia, confiscati dallo stato diVenezia)."Il discorso di Porzia sulla miseri-cordia è molto bello, ma ciò chela corte applica al caso di Shylockè legge, non misericordia. Shake-speare non sta svolgendo una fun-zione didattica dal punto di vistateologico, usa l'ironia per chiamarein causa le varie categorie. Porzia,il presunto avvocato della miseri-cordia diventa l'ebreo intelligentee legalista - ma travestito, col suoabito da uomo. Sconfigge Shylockattraverso un metodo ebraico, noncristiana, utilizzando il pilpul, ilmeticoloso metodo talmudico ca-pace di spaccare un capello in

quattro, una strategia rabbinica uti-lizzata frequentemente. La meti-

colosità può rivelarsi uno strumen-to ottimale per vincere una causa

legale, ma ha finito per esemplifi-care la critica che il cristianesimofa all'ebraismo, visto come osses-sionato dalla parola della Legge,che lo porterebbe a trascurare lospirito della religione. Nel Vangeloe nelle lettere dell'Apostolo Paoloviene condannato il legalismoebraico; ipocrisia, la chiama Gesùquando i Farisei - guai a loro! - sipreoccupano della lunghezza dellefrange rituali e dell'ampiezza deiloro filatteri. Shylock, in quantouomo di religione ebraica, rappre-senta la vecchia legge, mentre Por-zia, donna cristiana, ritrae verosi-milmente la nuova legge. Eppure,

Misericordia contro Legge: la risposta dell’ebraismoL’intento di Shakespeare non è didattico, ma ci sentiamo tutti chiamati in causa

ú–– Susannah Heschel,Dartmouth College

27 luglio, 17.00 IL PROCESSOScuola Grande di SanRocco, Campo SanRocco, Venezia

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l'appello alla misericordia invo-cato da Porzia, in risposta allavendetta di Shylock verso An-tonio, si annulla nel momento incui la corte cristiana esercita lapropria rivalsa contro Shylock. Letensioni esistenti tra vendetta eperdono, tra legge e amore: si trat-ta di clichés che Shakespeare staforse chiedendo a noi di metterein discussione. Dopotutto Porzia dimostra comelo spirito cristiano di cui si fa por-tavoce trasformi rapidamente lamisericordia in pedanteria e ven-detta contro l'ebreo. È veramentel'ebraismo una religione di legali-smo, insensibile alla misericordiae desiderosa di vendetta? È vero,i profeti biblici urlano di rabbia,ma la loro è una forma d'indigna-zione nei riguardi dell'insensibilitàe della crudeltà degli esseri umani.L'indignazione morale dei profetiè "bruciante compassione verso glioppressi." (Profeti, 256). Nel cuoredella teologia ebraica risiede la fi-ducia nel pathos divino, nella con-sapevolezza che Dio ha bisognodi noi ed è profondamente toccatodall'agire umano. Abraham JoshuaHeschel scrive: "Vivere da Ebreo

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

A quattro secoli dalla stesura e

dalla sua prima rappresentazio-

ne, Il Mercante di Venezia conti-

nua ad essere un'opera comples-

sa ed enigmatica, da cui scaturi-

scono più domande che risposte.

Il quesito posto sotto mentite

spoglie da Porzia al suo ingresso

nel tribunale - "Chi è il mercante

qui, e chi l'ebreo?"- deve essere

inteso letteralmente o preso per

una battuta? Seguiamo la versio-

ne in Folio del 1623, quando Gob-

bo dice a Jessica:

“Se un cristiano non fa il furfante

per prenderti, mi sbaglio di grosso”

o il testo del 1632 dove il tempo

verbale è diverso (“ha fatto”, in-

vece di “fa”, la lettura preferita

da molti editori moderni, sugge-

risce Shylock sia stato tradito e

il vero padre di Jessica fosse un

cristiano)?

Porzia è razzista quando dice del

suo corteggiatore deluso, un

principe del Marocco musulmano

e dalla pelle scura:

“Che tutti coloro che sono del

suo colore mi scelgano così”?

Antonio è "così triste" a causa

delle sue preoccupazioni per i

soldi o perché il suo amore non

autorizzato per Bassanio non è

corrisposto? L'opera è problema-

tica perché il ritratto di Shylock

è brutalmente antisemita? O, in-

vece, risulta sconcertante per-

ché mostra come orrendi pregiu-

dizi condizionano il pensiero o

l'azione di coloro che hanno in-

certezze sulla propria identità -

gentili o ebrei - quando si trova-

vano sotto minaccia? O, forse, lo

è perché evidenzia come l'ostili-

tà nei confronti di ogni tipo di

differenza (razziale, nazionale,

sessuale o religiosa) sfigura gli

intolleranti e inasprisce qualsiasi

società che la legittimi? Ogni

produzione e ogni rilettura di

quest'opera inquietante ci sfida

a confrontarci con queste e mol-

te altre domande che continua-

no a dare fastidio.

(traduzione di Ilaria Modena, stu-

dentessa della Scuola Superiore

per Traduttori di Trieste e tiro-

cinante presso la redazione gior-

nalistica UCEI)

ú–– James ShapiroColumbia

Quelle domande che danno fastidio

L’affascinante ricostruzione delle pa-

gine 18 e 19, firmata da Giorgio Al-

bertini, colloca fra l’altro lo spaccato

di tre delle cinque sinagoghe vene-

ziane nel contesto del ghetto.

1 SCOLA SPAGNOLA

(PONENTINA)

Fondata nel

1582 dagli ebrei

ponentini (se-

farditi), è la più

grande delle cin-

que Scole. Ristrut-

turata nel XVII sec. e

poi a fine 1800, ha finestre dai vetri

colorati e un grande portone in le-

gno che porta a uno spazio dall'im-

pianto bifocale, con matroneo ellit-

tico. I banchi posti sui lati lunghi

giungono quasi fino al centro della

sala il cui soffitto è riccamente la-

vorato.

2 SCOLA CANTON

Di rito askenazi-

ta, fu costruita

nel 1531-32. Si

trova al piano in-

feriore della Scola

Grande Tedesca, ha

visto la ricostruzione

dell’Aron nel 1670 e della Bimah nel

1730. I banconi sono a ridosso delle

pareti lunghe, mentre il matroneo

è sopra l’entrata. Dall’esterno è ri-

conoscibile per un’iscrizione in ebrai-

co e la cupola in legno.

3 SCOLA GRANDE TEDESCA

La prima sinagoga veneziana è

ashkenazita e fu

fondata nel

1528. Diver-

si inter-

venti l’-

h a n n o

p o r t a t a

all’attuale

pianta trapezoi-

dale, il matroneo ellittico è sette-

centesco. L’impostazione bifocale ve-

de la Bimah (pulpito) contrapposta

all’Aron (armadio sacro). Il palazzo,

in campo del Ghetto Novo è distin-

guibile dall’esterno per le cinque

grandi finestre e per una scritta in

ebraico.

Le Scoleu Particolare del figurino di

Shylock per Il mercante di Venezia

1934. Titina Rota, collezione di

Silvia Blanchaert Rota, Milano

significa vivere in armonia il rap-porto tra la buona condotta di unessere umano e l'Infinita Santità,tra la compassione di un essereumano e la misericordia dell'Eter-no." Dio viene messo in discussionedai rapporti tra esseri umani.La battaglia all'interno dellacorte veneziana sorge perchéla misericordia viene contrap-posta alla giustizia, e nessunadelle due può esistere da sola.Heschel scrive che nell'ebrai-

smo "Dio governa il mondo at-traverso la giustizia e la compas-

sione, attraverso l'amore." (Profeti,280). Giustizia senza misericordiapuò portare all'austerità etica edarrivare a giustificare l'indifferenzacon troppa facilità. D'altro canto, una misericordiasenza giustizia può menare allabontà, ma a una bontà che nonallevia la sofferenza. Nell'ebraismo,Dio non è semplicemente confor-to ma una sfida, e per un ebreol'indifferenza è il più grande deipeccati. Così come gli stessi Van-geli, Il mercante di Venezia puòessere interpretato come testo an-tisemita o come una critica del-l'antisemitismo cristiano. Esplorale straordinariamente complesserisonanze che risultano dalla con-figurazione teologica idiosincraticadel complicato intreccio esistentetra Cristianesimo ed Ebraismo.Siamo così chiamati, delicatamen-te, a non vedere le religioni comeantagoniste ma, piuttosto, a con-durre i differenti sguardi sul mon-do verso l'armonia.

(traduzione di Giulia Castelnovo, studentessa della Scuola Su-

periore per Traduttori di Trieste e tirocinante presso la redazione

giornalistica UCEI)

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di Giorgio Albertini

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far passare altrimenti, se non condecine di pannelli esplicativi e testidi impegnativa lettura. Sono i puntidi luce colorata che sul plastico

candido mostrano dove si trova-vano esattamente i cancelli delghetto, così come i video dedicatialla meravigliosa storia della stam-

pa ebraica, fra cui fa capolino unrogo, in memoria di quando nel1553 furono bruciati in Piazza SanMarco numerosi libri di argomen-to talmudico. Incanta l'animazioneche mostra ilprocedere diuna delle duebarche delConsiglio deiDieci che cir-colavano dinotte nel ca-nale intornoall’isola delghetto pergarantirne lasicurezza, e l'installazione mul-timediale che all'inizio del per-corso dona nuova vita al “getto”di rame e alla fonderia esistentea Cannaregio prima del recintodegli ebrei – da cui sarebbe de-rivato anche il toponimo “ghetto”– si riflette in chiusura. Prima diuscire, il visitatore incontra una se-conda installazione, che invita a

farsi parte del percorso: ponendola propria mano sull'apposita for-ma si permette a una fotocameradi scattarne un'immagine che vie-

ne immediatamente proiettatasulla montagna di sale che rac-coglie il segno tangibile del pas-saggio, sovrapposto all'immaginedi decine di altre mani. Qui, l'in-canto: bisogna essere bambini

come i nipotidi DonatellaCalabi peravere l'istintodi farsi foto-grafare il vol-to, invece del-la più scontatamano, e di-chiarare conla propria fac-cia che sì, a

Venezia gli ebrei ci sono ancora.La mostra rende giustizia a cin-quecento anni di storia, e a unghetto in cui gli ebrei non hanno

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DOSSIER /Venezia - I 500 anni del ghettoStoria di cinque secoli, guardando al futuroCalabi: “La cosa più importante è che questo lavoro si trasformi in patrimonio vivo”

Venezia ebraica, non solo in GhettoChi pensa che la storia del ghet-

to di Venezia riguardi solo quella

parte della città in cui gli ebrei

abitarono per cinque secoli, sarà

stupito quando vedrà la mappa

elaborata in occasione dell'an-

niversario dei 500 anni dalla sua

istituzione. Punti rossi che indi-

cano i luoghi legati alla storia

degli ebrei nella città compaio-

no infatti su tutta la superficie

di Venezia, specchio di una real-

tà che ne è davvero parte inte-

grante ed entra fisicamente nei

suoi immortali vicoli e canali. In

verità più che di una mappa si

dovrebbe parlare di una sorta di

mini guida, che è nata dalla col-

laborazione tra la Comunità

ebraica della città, il Museo

ebraico, Coopculture, Beit Vene-

zia, la Fondazione per i Beni Cul-

turali Ebraici in Italia e la Com-

missione europea.

Grazie a essa, i visitatori ma an-

che gli stessi veneziani potranno

visitare una Venezia forse meno

conosciuta ma certo non meno

affascinante, grazie a sette iti-

nerari tematici,

per cui l'impor-

tante è essere

armati di grande

curiosità e di

scarpe comode. Si può dunque

andare alla scoperta del ghetto

cosmopolita con i suoi tesori na-

scosti, le sinagoghe o 'Scole', ma

anche della Venezia cosmopoli-

ta, una realtà legata ai traffici

mercantili che risale ai tempi

della sua fondazione. "La coesi-

stenza di gruppi nazionali e di

minoranze etniche diverse è sta-

ta voluta e attuata dalla Repub-

blica attraverso una serie di leg-

gi e norme a garanzia e tutela

dei singoli interessi politici, fi-

nanziari e religiosi", si legge sul-

la mappa. "Ciò ha trovato preci-

sa corrispondenza

anche nell’orga-

nizzazione del tes-

suto urbano e del-

le modalità abita-

tive". E un itinerario è dedicato

nello specifico proprio ai traffici

mercantili, legati strettamente

alla realtà ebraica veneziana dal

momento che con l’istituzione

del Ghetto Novissimo nel 1633

giunsero a Venezia alcuni impor-

tanti mercanti levantini che por-

tarono grande fermento ai com-

merci, di cui nonostante le re-

strizioni imposte alla minoranza

ebraica questa tenne le redini.

Più spostato geograficamente

ma degno di una visita è anche

il cimitero del Lido, la cui storia

inizia addirittura nel 1386, e poi

ancora è possibile ammirare le

dimore ebraiche fuori dal ghet-

to costruite tra Otto e Novecen-

to, dopo che con l'arrivo di Na-

poleone iniziò l'emancipazione,

e alcuni di quei palazzi diventa-

rono "luoghi di scambio cultu-

rale e teatro di storia civile", e

poi scoprire lo stretto rapporto

degli ebrei con la salute e la be-

neficenza, legato al fatto che fin

dall’Istituzione del Ghetto essi

potevano esercitare come pro-

Tre anni di lavoro e ricerche. L'ap-poggio di un gruppo di collabora-tori competenti ed entusiasti i cuiocchi sorridono al solo nominarla,e l'esperienza di anni di ricerca einsegnamento hanno sostenutol'impegno e la passione con cuiDonatella Calabi ha curato la gran-de mostra "Venezia, gli ebrei el’Europa (1516-2016)", allestita aVenezia in quello stesso PalazzoDucale da cui cinquecento anniaddietro uscì il decreto di istitu-zione del primo ghetto della storia.Appuntamento centrale del pro-gramma che lungo tutto l’anno of-fre numerosi spunti per approfon-dire la storia del Ghetto diventatosimbolo di tutte le esclusioni, sichiude con un richiamo alla ne-cessità ebraica di costruire memo-ria viva. La dimostrazione di comenon sia un richiamo solo ideale èimmediata: visitare con DonatellaCalabi le sale dell'Appartamentodel Doge, dove la mostra è stataallestita - in una scelta non casualeche sta fra la vera e propria riap-propriazione di uno spazio alta-mente simbolico e lo sberleffo cheproclama come gli ebrei non sianostati sconfitti - è un viaggio nellastoria, la possibilità di condividerenon solo la soddisfazione di unacuratrice, ma anche l'emozione diuna veneziana che ha avuto l'oc-casione di disseminare lungo il per-corso espositivo frammenti dellapropria storia familiare, in una ul-teriore rivendicazione di apparte-nenza e orgoglio. È forte il filo chelega i gesti con cui i suoi nipoticon incantevole pazienza assumo-no il ruolo di guide esperte nell'at-tivare e mostrare il ricco apparatomultimediale che accompagna leopere esposte e la scultura in bron-zo che raffigura una giovane don-na veneziana, che - rivela la cura-trice in un sussurro da cui traspa-iono pudore ma anche molto or-goglio - altri non è che sua nonna. Secoli di storia, opere importanti,quadri di valore inestimabile chesono riuniti in una mostra che dif-ficilmente sarà possibile riproporrenella sua interezza così come è sta-ta pensata, dialogano in un rap-porto vivo e fecondo con installa-zioni multimediali capaci di sor-prendere, emozionare e renderevive nozioni che sarebbe difficile

u Sezioni di immobile in ghetto

nuovo, 1777, Archivio di Stato -

Opera di Giorgio Fossati e Pietro

Checcia mostra gli effetti della

sovrappopolazione in ghetto.

In basso “Abiti de’ veneziani” di

Giovanni Grevembroch, (1731-

1807), Museo Correr.

Fino al 13novembre VENEZIA, GLI EBREI EL’EUROPA (1516 - 2016)Palazzo Ducale,Venezia

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nessuna intenzione di farsi nuova-mente rinchiudere. Il programmache ne ricorda l'istituzione non hanulla della festa, ma propone pertutto l'anno occasioni di conoscen-

za e di approfondimento di unaricchezza ineguagliabile. Gli ebreinon se ne sono mai andati. Riven-dicano una storia tutta da cono-scere, e non hanno nessuna inten-

zione di abbandonare la città. An-zi, fra mostre, convegni, corsi espettacoli stanno offrendo a Vene-zia una dimostrazione di come laloro presenza sia una enorme ric-chezza. Come in quel passato chenon deve essere dimenticato. Suun famoso e grande plastico dellacittà realizzato nel 1961 per unamostra a Palazzo Grassi un altrodispositivo multimediale va a crea-re una sorta di atlante luminosodelle abitazioni ma anche delle ar-chitetture realizzate su committen-za ebraica o direttamente dai moltiprofessionisti ebrei, che hanno ope-rato in tutta la città. Un segno im-portante, che non va scordato. Pro-prio per non dimenticare e per la-sciare un segno tangibile anchequando la mostra avrà chiuso lesue porte, Donatella Calabi ha la-vorato a un insieme di progetti chegià vivono di vita propria e che po-tranno continuare a crescere in fu-turo: dalle app alla mappa che, co-me spiegato in questa pagina, ac-compagnano i visitatori fuori daPalazzo Ducale alla scoperta deiluoghi reali evocati nella mostra aun progetto di archivio che nel-l'Appartamento del Doge raccogliegià le storie di tanti ebrei veneziani.Fotografie, documenti e immagininarrano vite belle e vite tristi, storiedi personaggi famosi così come diumili sconosciuti, ad aprire una fi-nestra su quelle donne e quegli uo-mini che hanno permesso e per-mettono ancora oggi a Venezia difiorire, in una enorme ricchezza distorie e di cultura.

fessioni la mercatura, il prestito

di credito e l’arte della medici-

na. Infine, un ultimo percorso è

quello dedicato al teatro e alla

musica, che passa anche dal tea-

tro La Fenice, dove si è inaugu-

rata questa ricca stagione cul-

turale del Cinquecentenario del

ghetto, chiudendo idealmente il

cerchio di un percorso all'inse-

gna della storia e della convi-

venza.

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

Due app in LagunaCosa hanno in comune la super tecnologica realtà aumentata e un'af-

fascinante e finemente decorata antica mappa del Cinquecento? La ri-

sposta è il Ghetto di Venezia, protagonista oltre che di una grande

mostra e di tante iniziative che rendono il suo Cinquecentenario un

evento da ricordare, anche di due applicazioni, che elaborate per l'oc-

casione resteranno ai turisti e ai cittadini veneziani come guida digitale

della mostra a cielo aperto che già di per sé il ghetto costituisce. Si

chiamano "MAPPOT. Venezia ebraica" e "GHETT | APP", e nascono a mar-

gine della mostra "Venezia, gli Ebrei e l'Europa. 1516-2016", di cui con-

sentono di rivivere e ampliare i contenuti esposti e la cui curatrice

Donatella Calabi ha gui-

dato entrambi i proget-

ti, sviluppati da istituti

ed enti differenti.

MAPPOT significa, come

è facile intuire, "mappe"

in ebraico, ma quello

che si trova aprendola è

uno strumento di navi-

gazione nel tempo oltre

che nello spazio. Ben

sette diversi itinerari

tematici – gli stessi della

mappa cartacea distri-

buita per il Cinquecen-

tenario – vengono visua-

lizzati per mezzo di al-

cune delle splendide

mappe storiche della

città, una prima risalen-

te al Cinquecento, una al

1729 e una al 1846. Questa visualizzazione è stata scelta per permettere

al visitatore di associare il luogo individuato a un particolare periodo

storico e di leggere in tal modo anche le trasformazioni urbane e ar-

chitettoniche occorse. MAPPOT è il risultato della ricerca condotta da

CoopCulture e dal Laboratorio di Cartografia e Gis del Sistema dei La-

boratori dell’Università Iuav di Venezia e ha visto il sostegno del Museo

Ebraico, della Comunità ebraica, del Comitato "I 500 anni del Ghetto di

Venezia" e della Fondazione Musei Civici. GHETT | APP nasce invece come

prodotto del gruppo internazionale di ricerca Visualizing Venice i cui

partner sono l'Università Iuav di Venezia, l'Università degli Studi di Pa-

dova e la Duke University. Questa volta, anche se si parla sempre di sto-

ria, il salto temporale è nel futuro, poiché la realtà fisica del ghetto è

resa visibile ed esperibile attraverso immagini panoramiche, ricostru-

zioni digitali, video multimediali e brevi approfondimenti testuali. Anche

in questo caso ci sono vari percorsi tematici tra cui scegliere,e l'app

permette così di passeggiare e soffermandosi nei punti di interesse di

rivisitare i luoghi del passato attraverso diversi prodotti di realtà au-

mentata, tra cui filmati, disegni d'archivio, modelli tridimensionali e

nuvole di punti frutto di un rilievo laser scanner.

u Ritratto del doge Leonardo Loredan - Il quadro, attribuito a Vittore

Carpaccio (1465 circa - 1525/26) è fra le opere esposte a Palazzo Ducale e

ritrae colui che nelle stesse sale dove è allestita la mostra, firmò il

decreto di istituzione del Ghetto di Venezia.

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Che indossasse un abito disegnatoda Mariano Fortuny o gli orecchi-ni, uno di Calder e l’altro di Tan-guy per mostrare la sua imparzia-lità tra l’arte astratta e quella sur-realista, Peggy Guggenheim hasempre vissuto non tanto d’Artequanto con l’Arte. La sicurezzaeconomica della famiglia paterna(un impero basato sull’estrazionee lavorazione dei metalli) e di quel-la materna (i famosi banchieriamericani Seligman) le avevanogarantito un’educazione di alto li-vello e una cultura internazionale.A Parigi, dove si trasferisce con ilprimo marito Laurence Vail nel1921, entra in contatto con gli ar-tisti bohémienne e frequenta amicidal nome di Brancusi e Duchampe capisce la sua aspirazione. Lasvolta avviene nel 1938 quando aLondra apre la galleria Guggen-heim Jeune che fin da subito si im-pone per la sua qualità e innova-zione: la prima mostra espone leopere di Jean Cocteau, la secondaè la prima personale in Inghilterradi Vasily Kandinsky. Dall’esperien-

za londinese nasce l’idea di realiz-zare una galleria-museo dove rac-cogliere e poter far conoscere l’Ar-te moderna. Il progetto curatodall’amico e collaboratore HerbertRead doveva raccogliere le operedei principali esponenti delle nuo-ve avanguardie e comprendeva,tra i tanti, opere di George Braque,

Salvador Dalì, Piet Mondrian. Il Progetto non vedrà mai la lucema questa raccolta andrà a com-porre il primo nucleo della sua col-lezione.Gli eventi storici, con l’occupazio-ne nazista in espansione, spinge-ranno Peggy a lasciare l’Europaper rientrare a New York con i figli

e con Max Ernst, suo futuro se-condo marito. Nella città ameri-cana si dedica all’apertura della gal-leria Art of This Century che rac-coglie l’eredità culturale dell’espe-rienza europea ma intende pro-muovere giovani talenti statuni-tensi come Mark Rothko e Jack-son Pollock, all’epoca due perfetti

sconosciuti. Dietro all’avanguardianewyorkese dell’EspressionismoAstratto americano ci sono la suaguida e il suo sostegno.Il rientro in Europa è segnato dallapartecipazione alla Biennale di Ve-nezia del 1948 dove espone nelpadiglione Greco (immortalata nelritratto di Dino Jarach mentre al-lestisce una scultura di Calder) par-te della sua collezione presentando

Dopo aver dichiarato che "La fo-tografia era, è un ponte fra noi ela realtà. Per fissare l’istante. Oggiè un muro (di immagini) che pa-radossalmente non ci fa più vedereil mondo. Sommersi da milioni difoto, abbiamo perso la memoria"Ferdinando Scianna ha accolto l'in-vito della Fondazione di Venezia eaccettato la sfida. Raccontare ilGhetto, a cinquecento anni dallasua istituzione, catturare l'animacontemporanea del luogo simbolodi tutte le esclusioni, era cosa chelo preoccupava profondamente. Viha passato una decinadi giorni indagandospazi, luoghi e persone,con uno spirito "dacacciatore", come ha raccontatoDenis Curti, curatore della mostrache si aprirà a fine agosto alla Casadei Tre Oci alla Giudecca. "Con ildirettore della Fondazione, Fabio

Achilli, abbiamo voluto Sciannaper proporre una lettura attuale diuno spazio in cui ogni angolo è ca-rico di Storia, di storie e di Memo-ria. Scianna ci è parso perfetto an-che per un'altra coincidenza tem-porale: sono passati cinquant'annida quando poco più che ventennepubblicò il suo primo libro, Festereligiose in Sicilia, cui LeonardoSciascia volle scrivere l'introduzio-ne". Oltre all'appoggio della Fon-

dazione di Venezia e delcuratore dei Tre Oci,Scianna ha potuto conta-re sulla comunità ebraica

veneziana e su Živa Kraus, l'artistadi origini croate che proprio inGhetto ha aperto Ikona Gallery edi cui si è occupato il dossier Ve-niceGhetto500 uscito con il nume-

ro di marzo di Pagine Ebraiche, eche ospita ora la mostra su PeggyGuggenheim. "L'ho visto aspettareanche ore per uno scatto - ha rac-contato Curti - per luce e inqua-

dratura, certo, ma soprattutto perottenere la fiducia delle persone ri-tratte". Nel testo per il catalogo(Marsilio), Donatella Calabi ha sot-tolineato come "Attraverso la sen-

sibilità personale, l’occhio dellamacchina fotografica mantiene l’at-tenzione su ciò che ritiene essen-ziale, manifestando così un'attitu-dine antropologica straordinaria".E, aggiunge: "Ferdinando Sciannacoglie il presente con lo sguardodi un narratore abilissimo, ma cipropone anche un lavoro sistema-tico di chi sta costruendo un ar-chivio, particolarmente attento allestratificazioni della storia".

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DOSSIER /Venezia - I 500 anni del ghettoPeggy Guggenheim, una vita insieme all’ArteRitratta dai grandi fotografi, ritorna in Laguna e si svela nella mostra di Živa Kraus

ú–– Susanna Scafuriphoto editor

Immagine, ponte fra noi e la realtà

u Le due autobiografie sono

ancora un punto di riferimento

per conoscere la vita di Peggy

Guggenheim, Out of This Century:

the Informal Memoirs of Peggy

Guggenheim, New York (1946) e

Confessions of an Art Addict,

Londra (1960). Esiste una versione

italiana nel volume Una Vita Per

L’Arte (Milano, 1982). Lo scorso

anno la regista Lisa Immordino

Vreeland ha realizzato il

documentario Art Addict sulla

figura della collezionista.

u Peggy Guggenheim sulla sua gondola (Stefan Moses, 1974)

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26 agosto 2016 -8 gennaio 2017FERDINANDO SCIANNA.IL GHETTO DI VENEZIA500 ANNI DOPOCasa dei Tre Oci, Venezia

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di fatto una delle più complete de-scrizioni del Modernismo mai rea-lizzate in Italia. L’esperienza vene-ziana è folgorante e decide di ac-quistare casa, la scelta cade su Pa-lazzo Venier dei Leoni, strutturatasecondo la tradizione venezianacon la facciata sul Canal Grandee un bel giardino sul retro. Nonsarà una comune abitazione. Sarà,come dice Živa Kraus, curatricedella mostra “Peggy Guggenheimin Photographs”, una Biennale per-manente. Il contesto e il contenuto

sono di tale livello che già pochianni dopo la collezione sarà visi-tabile dal pubblico dapprima solodurante i mesi estivi, poi ininter-rottamente fino ad oggi. Non una semplice collezionista mauna vera e propria connoisseur,talvolta mentore altre sostenitrice,talent scout degli artisti che hannodato vita alle avanguardie artistichedel secolo scorso. Di questa im-portante presenza nel panoramadell’Arte internazionale vuole darecontezza la bella mostra Peggy

Guggenheim in Photographs, visita-bile fino al 27 novembre a Venezia.L’esposizione raccoglie i ritratti chegrandi fotografi come BereniceAbbott, Gianni Berengo Gardin,Nino Migliori e molti altri hannodedicato alla collezionista e cheguardati in successione ci restitui-scono una biografia per immaginidi grande qualità. La mostra siapre con un ritratto ad opera diMan Ray, studiato fin nei minimitermini secondo lo stile tipicodell’artista e che ci presenta una

Peggy in veste teatrale in stile De-cò. Della fuga dall’Europa nazistaè significativa l’immagine di Her-mann Landshoff che ritrae in posaparatattica gli esiliati a New Yorknel 1942. Stefan Moses ha avutola capacità di cogliere nel suo scat-to alcuni degli elementi essenzialidella vita di Peggy Guggenheim:rilassata con i suoi occhiali strava-ganti tra due dei suoi numerosi ca-ni, mentre solca placidamente lalaguna di una città dove si sentivaveramente a casa.

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FONDAZIONE DI VENEZIA La mostra “Ferdinando Scianna. Il Ghetto

di Venezia 500 anni dopo” è frutto del la-

voro fotografico realizzato su idea e inca-

rico di Fondazione di Venezia, apposita-

mente per i Tre Oci, lo spazio espositivo di

sua proprietà interamente dedicato alla fotografia. Giampietro Bru-

nello, presidente di Fondazione di Venezia, ha spiegato che nono-

stante il grande interesse per ciò che è avvenuto nei cinque secoli

dall'istituzione del Ghetto "deve essere oggetto continuo di appro-

fondimento anche l’analisi del suo presente, attraverso lo sguardo

del fotografo, capace di fornire una lettura originale della dimensione

contemporanea del Ghetto”. La comunità ebraica di Venezia, infatti,

è ancor oggi uno dei capisaldi della internazionalizzazione della città

e contribuisce con continuità al suo ruolo di baricentro culturale,

“crocevia delle conoscenze tra nord-sud e est-ovest." La Fondazione

ha anche collaborato alla realizzazione del progetto multimediale

della mostra “Venezia, gli Ebrei e l’Europa” curata da Donatella Calabi

per il Palazzo Ducale, e pubblicherà con le edizioni Toletta il volume

“Al termine del binario Auschwitz”, viaggio fotografico nella memoria

di Auschwitz oggi che sarà distribuito agli studenti.

info: www.fondazionedivenezia.org

LA MOSTRA

Peggy Guggenheim in PhotographsLa mostra, curata da Živa Krausper la sua Ikona Gallery di Campodi Ghetto Nuovo raccoglie unaventina di immagini fotografichead opera di Berenice Abbott,Man Ray, Gisèle Freund, Rogi An-dré, Hermann Landshoff, GeorgeKarger, André Kertész, Dino Ja-rach, Nino Migliori, Ida Kar, RoloffBeny, Gianni Berengo Gardin, Ste-fan Moses, Robert E. Mates, cheritraggono la figura della colle-zionista nei momenti salienti del-

la sua vita. ikonavenezia.com

PALAZZO VERNIER

Salotto con vista su Picasso e BraqueLa Peggy Guggenheim Collectionè ospitata all’interno di PalazzoVernier dei Leoni dove dal 1948la collezionista abitò e visse finoalla sua morte nel 1979. Nel pa-lazzo è esposta la collezione diopere d’arte raccolte durante lasua intera vita e che offre capo-lavori di Picasso, Calder, Braque,Rothko e di diverse avanguardie(Cubismo, Futurismo, pittura Me-tafisica, Astrattismo europeo,scultura d’avanguardia, Surreali-smo e Espressionismo Astrattoamericano). Le opere si armoniz-zano particolarmente bene comenel caso della terrazza con MarinMarini e alcuni angoli offronoscorci privati come le sepolturedei suoi adorati cani nel meravi-glioso giardino. Nel museo sonoesposte anche opere donate dallaFondazione Salom R. Guggen-heim di New York che gestiscedalla morte della collezionista ilmuseo veneziano. Inoltre sono raccolte altre duecollezioni e si tratta delle operedi arte italiana e americana del se-condo dopoguerra donate daHannelore B. e Rudolph B. Schul-hof e della collezione Patsy R. andD. Nasher Sculpture garden conopere di Arp, Duchamp, Giaco-metti, Moore e Paladino. Dorsoduro 701-704, 30123Guggenheim-venice.it

u In alto: Artisti a casa di Peggy Guggenheim a New York, (Hermann

Landshoff, 1942). In alto a destra Peggy Guggenheim a Parigi (Man Ray, 1924).

A destra Peggy Guggenheim con Arco di petali di Alexander Calder alla

Biennale di Venezia, Venezia (Dino Jarach, 1948).

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Fino al 27novembre 2016

PEGGY GUGGENHEIMIN PHOTOGRAPHSIkona Gallery, Venezia

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Emozione e orgoglio. Le parolescorrono veloci nel raccontare unprogetto a lungo sognato. Le manicombattono con una serratura chenon vuole cedere. Dall'alto si senteuna voce. Chiede se si riesce adaprire, con il tono consueto di chiin ghetto vive e dalle finestre os-serva la vita che scorre, senza stu-pirsi di nulla, senza che quello chepotrebbe benissimo apparire comeil tentativo di scassinare una portaantica arrivi neppure a incresparela voce dell'uomo che si affacciadall'alto. Gaia Ravà, la veneziana testardache sta portando avanti con grintae tenacia il progetto che vedrà igiardini del ghetto arrivare a unavera e propria rinascita non molla,e nonostante si sia già tagliata in-siste nel cercare di obbligare laporta ad aprirsi. E intanto raccon-ta. Dietro alla porta - alla provadei fatti aprirla si dimostrerà im-

possibile, e per passare sarà neces-sario attraversare la Scuola Levan-tina, la sinagoga il cui portone è apochi metri - si nasconde uno de-gli spazi destinati a quello che saràallo stesso tempo una rivoluzionee il ritorno all'antico. "I Giardini Segreti", infatti, è il no-me di un progetto che punta al re-cupero e alla valorizzazione di spa-

zi per troppo tempo trascurati. Ogni spazio dei Ghetti di Veneziava considerato con la massima at-tenzione e può rivelarsi preziosoper la riqualificazione e per la va-lorizzazione dell’area. Ma ancheper donare occasioni di stare in-sieme che sono allo stesso temponuove e antiche. L'orto chiusoadiacente alla Scuola Levantina

ora profuma di basilico e lavanda,e vi si trova effettivamente un orto,con file di piantine di pomodoroe melanzana che si affiancano aun'ortensia rigogliosa e a quelloche forse era un melograno. Ma ilresto è ghiaia. E sono erbacce, eragnatele e sicuramente qualchetopolino. Nulla che possa fermarel'impeto e l'entusiasmo di Gaia Ra-

và, ma sicuramente non uno spa-zio in cui fermarsi a chiacchierareall'uscita del tempio, non un giar-dino in cui mandare i bambini agiocare quando la funzione si fatroppo lunga. Il campo posto al centro dell'isolache sta alle spalle del tempio Spa-gnolo, tra il vecchio forno, il tem-pio e quell'aula didattica che in

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DOSSIER /Venezia - I 500 anni del ghettoNuova vita per i giardini segreti della LagunaIl progetto portato avanti da Gaia Ravà restituisce alla funzione originale spazi preziosi

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L’alba dei libri, una vicenda ebraicaNational Library of Israel e Biblioteca Marciana, unite in convegnoUna passeggiata da Rialto a SanMarco, percorrendo una stradachiamata Mercerie: oggi dalle ve-trine occhieggiano i beni per cuil’Italia va famosa ma - come scriveAlessandro Marzo Magno in L'albadei libri (Garzanti) - "Se facessimoun viaggio nel tempo e percorres-simo quella stessa strada nel 1520la riconosceremmo senza difficoltà:in cinque secoli è cambiata poco esoprattutto è rimasta identica la suavocazione commerciale. Se oggi leMercerie sono una vetrina del ma-de in Italy, allora lo erano del madein Venice che, fatte le proporzioni,era ben più importante: se ora l’Ita-lia è la sesta o settima potenza in-dustriale del mondo, mezzo mil-lennio fa Venezia stava sul podio.Nell’Europa di quel tempo c’eranosoltanto tre megalopoli, tre cittàche superavano i centocinquanta-mila abitanti: Venezia, per l’appun-to, Parigi e Napoli”. Le merci espo-ste, però, erano diverse, e oltre allestoffe, alle armi e al cuoio prezio-samente lavorato nelle Merceriecinquecentesche a colpire i visita-tori erano i libri. Decine di botteghelibrarie avevano allora in quel luogouna concentrazione che attirava ve-ri e proprio tour di shopping, EMarzo Magno racconta di quellodescritto dallo storico MarcantonioSabellico (che sarà beneficiario del-la prima forma conosciuta di co-pyright) quando due amici si muo-vono dal fontego dei Tedeschi, aipiedi del ponte di Rialto, diretti aSan Marco e non riescono ad ar-rivare alla meta, divorati dalla cu-riosità di leggere le liste di libri af-fisse fuori delle botteghe. "Nemme-no la Germania di Gutenberg, dovela stampa a caratteri mobili era sta-ta inventata più o meno sessanta-

cinque anni prima, tra il 1452 e il1455, era in grado di intaccare ilprimato: a Venezia, nella prima par-te del Cinquecento, si stampava lametà di tutti i libri pubblicati in Eu-ropa. E il primato non era soloquantitativo, ma anche qualitativo,'per la ricchezza e la bellezza deivolumi che i suoi stampatori pro-ducevano'. Senza l’editoria vene-ziana di quel secolo non esistereb-bero il libro comenoi lo conoscia-mo e nemmenola lingua italianacome la parlia-mo oggi. L’italia-no è sì basatosull’opera dei to-scani Dante e Pe-trarca, ma sono le edi-zioni veneziane curate dall’umanistaPietro Bembo e stampate dal re de-gli editori, Aldo Manuzio a impor-ne il successo che dura ancora ainostri giorni".E proprio a Venezia contempora-neamente due mostre e un conve-gno permettono di ammirare ecomprendere meglio il ruolo della

città nello sviluppo incredibile del-l'arte della stampa: le Gallerie del-l'Accademia ospitano un'esposizio-ne dedicata proprio ad Aldo Ma-nuzio che racconta come il librocambiò il mondo e come e perchéquesto avvenne a Venezia. Manuziotra il 1495 e il 1515 stampò un cen-tinaio di edizioni di una bellezzasenza pari, che crearono di fatto illibro e l’editore moderno e soprat-tutto inventarono il pubblico, pro-prio per la sua capacità di pubbli-

care sia i gran-di classici dellacultura greca elatina, ma an-che i "bestsel-ler" della lette-

ratura in volgare, facendo uscire ilibri dai circoli degli studiosi di pro-fessione, così trasformando il con-cetto stesso di cultura. Di enormevalore anche le preziose edizioniesposte a Palazzo Ducale, dove lamostra "Venezia, gli ebrei e l'Euro-pa. 1516 - 2016" dedica spazio alracconto di come Venezia divennela fucina dei modelli tipografici giàalla fine del Quattrocento, con Ma-

nuzio e la Introductio perbrevis adHebraicam linguam da lui pubbli-cata. Fu poi il fiammingo DanielBomberg, a trasformare la città incentro d’eccellenza: dopo essersigarantito il privilegio di pubblica-zione con caratteri ebraici mandòalle stampe opere che sarebbero di-ventate modello di riferimento pergran parte delle edizioni successive.L’era di Bomberg si chiuse nella me-tà del Cinquecento con la rivalitàfra due tipografi veneziani, Mar-c’Antonio Giustiniani e Alvise Bra-gadin, e con la bolla papale che por-tò al rogo dei Talmud del 1553. LaBiblioteca Nazionale Marciana, poiha organizzato con la National Li-brary of Israel "Venezia e il libroebraico", convegno dedicato allastoria culturale e sociale della stam-pa del libro ebraico a Venezia, pro-ponendo una riflessione sulle dina-miche che portarono l’industria ti-pografica della Serenissima ad af-fermarsi non solo come principalemotore di produzione di libri ebraicima anche come luogo di incontroculturale. Un confronto fra studiosiprovenienti da Europa, Stati Unitie Israele sulle dinamiche culturali esociali che hanno contribuito a rea-lizzare un’esperienza di lungo pe-riodo che ha segnato profondamen-te sia la storia dell’ebraismo moder-no, sia i percorsi di confronto framondo ebraico e mondo cristiano.

u Il Sefer Maíaseh Tuvya di Tobia Coen pubblicato a Venezia nel 1708

dalla Stamperia Bragadina, parate della Collezione della National Library

of Israel, è ora esposto nelle sale di Palazzo Ducale

AlessandroMarzo MagnoL’ALBA DEI LIBRI Garzanti

L'infanzia nel ghetto, e poi l'impegno per la ricostruzione della comunità, a partire dall'immediato dopoguerra,

come segretario del Circolo Ebraico Veneziano Cuore e Concordia e assiduo frequentatore della Scola Spagnola,

di cui divenne in seguito anche parnas. Il Cavalier Emilio Pardo più di cinquanta anni fa scrisse Luci ed ombre,

volumetto ripubblicato dalla casa editrice Il Prato in cui si narrano le storie del Ghetto e della sua rete di

supporto e mutuo soccorso che, seppure non riuscì mi a livellare completamente le differenze culturali ed eco-

nomiche a volte molto marcate, riuscì per secoli a mantenere viva una realtà così piccola e allo stesso tempo

freneticamente vitale. La scuola e le sinagoghe, la Casa d’Industria divenuta poi di Ricovero, le riunioni in Sukkah,

Purim e il seder di Pesach in sala Montefiore, mentre le istituzioni di beneficenza aiutavano i più poveri, in una

rete di rapporti intrecciati parte di un mondo scomparso, travolto dalla deportazione ma rimasto indelebile

nella memoria di chi vi aveva vissuto gli anni della sua fanciullezza, come il cavalier Pardo.

Luci e ombre, storie in ghetto

queste settimane si è trasformatanel laboratorio in cui vengonoospitati e adattati i costumi che laCompagnia de Colombari utiliz-zerà per la messa in scena de Ilmercante di Venezia in Campo delGhetto è in condizioni di abban-dono ancora peggiore. Entrare si-gnifica vedere piccole ombre chescappano fra le erbacce, e fare at-tenzione a non inciampare in qual-che erba trasformatasi in liana ne-gli anni. Ghiaia e ragnatele e qual-che cartaccia fanno il resto.Sarà così ancora per poco, però,perché in quell'area ben delimitatada confini nettamente marcati al-cuni spazi saranno trasformati inveri e propri giardini segreti, luoghiaccoglienti e magici non solo davisitare, ma da donare nuovamentealla vita sociale di una comunitàche ne ha perso l'uso da troppotempo. Luoghi di incontro, per ac-cogliere e intrattenere visitatori at-tenti e interessati a scoprire vita eabitudini storiche degli ebrei di Ve-nezia, in cui inizialmente, seguendoiniziative analoghe sorte un po’ovunque in Europa, si era pensatodi costruire un "orto biblico", fattodi erbe e piante nominate nella To-rah, previste espressamente nellericette proposte dalla "Scuola diCucina". Poi sono arrivate altreidee, e il giardino della SinagogaLevantina probabilmente ospiteràuna Sukkah e Cuppah, mentre ilgiardino della Sinagoga Spagnolasarà arricchito dai simboli florealipresenti negli stemmi delle famiglieprovenienti dalla Spagna. Interven-ti di artisti noti, e il tema dell'acqua,con la creazione di fontane e pic-coli canali sono parte integrantedi un progetto che ha dovuto es-sere modificato alcune volte in cor-so d'opera ma che mantiene tuttele qualità dell'idea originale. Unospazio adatto a esposizioni o con-certi di fianco alla Sinagoga Spa-gnola si andrà ad aggiungere algiardino, che vedrà olivi, rose sel-vatiche e gelsomini sostituirsi alleerbe infestanti che negli anni si so-no appropriate dello spazio. E aldi sopra del forno antico uno spa-zio da usare come laboratorio di-dattico prenderà il posto della salaper assemblee attualmente da re-cuperare, insieme a una serra. E lepiccole porte che conducono aigiardini dovranno arrendersi a unuso intenso, e cedere all'affetto deiveneziani, pronti a riappropriarsidi spazi magici. Due "Giardini se-greti".

28 luglioVENEZIA E ILLIBRO EBRAICOLibreria Sansoviniana,Piazzetta San Marco 13/aConvegno organizzato dalla BibliotecaNazionale Marciana in collaborazionecon la National Library of Israel

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ECONOMIA / P27

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

IL COMMENTO QUANDO L’ENERGIA DIVENTA SISTEMA

A chi credesse ancora che l’economiasia soprattutto una questione di nu-meri e quantità bisognerebbe contro-battere da subito che invece ècomposta essenzialmente da ambientie relazioni. Da ciò si originano idee,manufatti e scambi. La stessa parolamagica “credito”, che si ricollega, inquesto caso, al sostegno finanziariodei processi di produzione, implica ilcredere in qualcosa e in qualcuno,quindi investire in un processo fidu-ciario che si basa su aspettative, ri-scontri e reciprocità. Così nel caso diEnel, la multinazionale italiana del-l’energia con 61 milioni di clienti e unfatturato di quasi 76 miliardi al-l’anno. In queste settimane ha decisodi aprire un hub, uno snodo di rac-colta, elaborazione e smistamento dimerce-informazione, a Tel Aviv, nelSilicon Wadi, il distretto tecnologico

della metropoli che “non dorme mai”,dove esistono e operano almeno 1.200aziende dell’hi-tech. Saranno quindiselezionate una ventina di start-up lo-cali in base al criterio della miglioreinnovatività nei processi di valorizza-zione, diffusione, “efficientamento” erisparmio energetico. Il gruppo faràquindi da partner industriale alle ini-ziative imprenditoriali più efficaci.Non investirà denaro ma indirizzeràcapitali a loro favore, orientandole poiverso sbocchi di mercato profittevolinon solo dal punto di vista economico.L’obiettivo di lungo periodo è il riu-scire ad intervenire rispetto a queimercati potenziali, molto estesi, pre-senti un diverse parti del mondo, lad-dove le persone non hanno ancorasufficiente accesso all’energia elet-trica. Detto questo, per quale ragioneIsraele? Intanto perché da una ven-tina d’anni il paese è diventato unmoltiplicatore di redditività degli in-

vestimenti nei settori ad alto tassod’innovazione. Poi perché, seconda lavecchia regola per cui il denaro buonone attira dell’altro (così come il cat-tivo lo scaccia), l’area dell’hi tech, chenon corrisponde solo alla somma delleaziende ma ad un vero e proprio peri-metro di individui in costante rela-zione, è un concentrato di intelligenzee di eccellenze in perenne riprodu-

zione. La nozione di habitat è capitalea tale riguardo. Si tratta dell’ambienteche permette all’innovazione di autoa-limentarsi, creando tuttavia anchestrumenti di governo dei processi inatto. Non si tratta solo di produrreenergia ma di capire, nel mentre, cosaessa sia divenuta nelle nostre società,legandosi alle loro trasformazioni, sol-lecitandole ma, in un rapporto di evo-

luzione continua, venendone essastessa modificata. L’energia, infatti, èin questo caso essenzialmente una“capacità” dai valori mutevoli e daglieffetti disparati. Conta quindi la fan-tasia individuale ma affinché essa di-venti operativa necessita lacooperazione dei sistemi di rete. Ilpartenariato e i cofinanziamenti sonoquindi due elementi nella responsabi-lizzazione degli startupper, affinchénon si riducano a fare la parte dei ci-nici broker della speculazione, quelliche vincono al banco e poi spariscono.Un indice significativo, al riguardo èl’età media degli abitanti di Tel Aviv,che si aggira intorno ai 27 anni. Unnuovo mondo, per molti aspetti, e nonsolo generazionali, sta operando unarivoluzione silenziosa, destinata acambiare i termini di molte questionia tutt’oggi aperte perché irrisolvibilicon gli abituali, e usurati, strumentidella contrapposizione a prescindere.

CLAUDIO VERCELLI

Sarà Yenetics, start-up dedicata allarealizzazione di test prenatali noninvasivi, a partecipare dal 25 al 29settembre al bootcamp di Tel Aviv,organizzato in concomitanza conla Did Conference, evento inter-nazionale dedicato alla vita digi-tale. Yenetics, fondata dall'econo-mista cagliaritana Chiara Saba as-

sieme al fisico indiano AmitKumar, ha infatti vinto la quin-ta edizione della Start Tel AvivBoot-Camp, concorso destina-to a giovani startupper pro-mosso dall’ambasciata d’Israelein Italia e la Municipalità di TelAviv. Il progetto di Saba e Ka-mir prevede di identificare fino

a cento malattie genetiche conun test non invasivo, disponi-bile in sette giorni e con ungrado di precisione del 99 percento, affermano dalla start-up. Oggi il test più conosciutoè l’amniocentesi, che è un esa-me invasivo che si effettua tra-mite prelievo di liquido am-

niotico, con un ago. Yenetics in-vece è “uno strumento di scree-ning costruito in base al personalee specifico corredo genetico delfeto” affermava Saba in una recen-te intervista. “Inutile spendere soldiper verificare la presenza di ma-lattie per cui non c’è il campanellod’allarme”. Secondo l'Osservatoriodelle malattie rare, “al momentoesistono alcune tipologie di testprenatali sul mercato: quelle inva-sive come l’amniocentesi, tendonoad essere più rischiose per il na-scituro e stressanti per la madre ealtre non invasive che sono stati-sticamente meno precise nel rin-tracciare le malattie (con tassi del60-90%)”.Il dispositivo della Yenetics sarà ilprimo a proporre di testare ancheil padre, “così da ridurre drastica-mente stress e complicazioni dellagravidanza e migliorare il tasso diattendibilità del test”. Il progetto èin fase di ricerca e Tel Aviv puòessere una buona opportunità pertrovare ulteriori finanziatori. Bastipensare che nel 2014 sono stati in-vestiti in Israele 801 milioni di dol-lari in 167 compagnie del settoredelle scienze biologiche, stando aidati dell'Israel Venture Capital Re-search Center. Nello stesso perio-do nel 2013, erano stati investiti516 milioni in 142 società, ovveroin un anno è stato registrato unincremento del 55 per cento degliinvestimenti.

Nelle scorse settimane il Fondo mo-netario internazionale (FMI) ha cri-ticato aspramente il progetto diriforma del sistema bancario israe-liano voluta dal ministro Kahlon,riforma imperniata sulla separa-zione tra attività bancaria e gestionedelle carte di credito. Nonostantetale parere negativo il ministro hatrasmesso la bozza di legge al Parla-mento. In cosa consiste la proposta eperché il FMI è preoccupato?La proposta di riforma è scaturitadai lavori di una apposita Commis-sione (“Strum”) e la legge di ri-forma è fortemente voluta dalministro delle Finanze Moshe Ka-hlon, leader del nuovo partito Ku-lanu ("tutti noi"), entrato nella

Knesset con un programma eletto-rale di difesa dei consumatori e del"popolo del cottage cheese", quelloche nel 2011 aveva manifestatonelle piazze contro l'elevato costodella vita. L’obiettivo della riforma èdi aumentare la concorrenza tra lebanche israeliane (attualmente le 5maggiori banche controllano il 95%del mercato), al fine di ridurre ilcosto del credito bancario per le im-prese e le famiglie. Uno degli stru-menti con cui si vuole aumentare laconcorrenza è rappresentato dal-l'imposizione di un divieto alle ban-che di gestire anche le carte dicredito, un business che verrebbeesercitato solo da società specializ-zate. Vale la pena di notare che inIsraele le carte di credito sono moltopiù diffuse che in Italia e rappresen-tano sia uno strumento di paga-mento sia, in misura massiccia, unaforma di credito alle famiglie: tipica-mente l'acquisto con carta di credito

si associa a una rateizzazione del-l'acquisto fino a 12 mesi. Ebbenel'obiettivo ultimo della riforma è diaumentare la concorrenza nel set-tore delle carte di credito e ridurre ilcosto dei finanziamenti rateali per lefamiglie. La preoccupazione delFMI è legata al fatto che una proli-ferazione "selvaggia" di carte dicredito potrebbe danneggiare sia lefamiglie sia le società finanziare chele emettono. Da un lato il timore èche una eccessiva concorrenza traemittenti di carte di credito le in-duca a rilasciare troppe carte, anchea chi non ha reddito sufficiente, einduca le famiglie a indebitarsitroppo, col rischio che non siano ingrado di ripagare il debito. L'altrotimore è che un eccessivo indebita-mento, a cui si associ un aumentodelle insolvenze delle famiglie,metta a repentaglio le società finan-ziarie emittenti, provocando falli-menti a catena. Le finanziarie che

emettono carte di credito ed eroganocredito al consumo sono tipicamentepiù fragili delle banche, avendo po-chissimo capitale che possa assorbirele perdite. In sintesi, vi è un chiarodilemma: se privilegiare l'esigenzadelle famiglie israeliane di finan-ziare a basso costo i propri consumioppure, al contrario, cercare di pre-venire la possibilità che un eccessivoindebitamento e insolvenze delle fa-miglie provochino a loro volta insol-venze nel settore finanziario, conreazioni a catena. Il ministro Ka-hlon, che è stato eletto con un pro-gramma elettorale di tutela deiconsumatori, si preoccupa di questiultimi, mentre il FMI fa il suo me-stiere di guardiano della stabilitàdel sistema finanziario. Il Parla-mento israeliano è sovrano e, vistal'elevata frequenza con cui il paeseva alle urne, con ogni probabilitàfarà gli interessi delle famiglie e ap-proverà la legge.

ú–– Aviram Levyeconomista

Israele e la battaglia delle carte di credito

La genetica al servizio delle madri

Le percentuali di dipendenti e aziende nel settore tech nelle regioni israeliane

Dipendenti (%) Aziende (%)

Sud Regione di Gerusalemme Nord Tel Aviv-Jaffa Centro (eccetto Tel Aviv-Jaffa)

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18%

4%

48%

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Page 28: APPUNTAMENTO IN LAGUNA PER I CINQUE SECOLI DEL GHETTO Venezia, Storia … · 2016. 7. 30. · Venezia, Storia e futuro Dalla mostra di palazzo Ducale alle rappresentazioni di Shakespeare,

Unire le forze. È questa la

ricetta del successo per

quanto riguarda la lotta

contro il razzismo in Euro-

pa, e a farlo devono essere

le varie anime della società

civile per implementare

l'attività dei governi. Lo ha

spiegato a Pagine Ebraiche

Melissa Sonnino, curatrice da sette anni a questa

parte di "Facing Facts. Make Hate Crime Visible", un

progetto di monitoraggio dei crimini d'odio e del-

l'incitamento. A promuoverlo

è il CEJI – A Jewish Contri-

bution for an Inclusive Eu-

rope, una no-profit con se-

de a Bruxelles che propone

programmi educativi al fine di combattere ogni

tipo di intolleranza. Grazie al lavoro di molti anni,

il CEJI è riuscito a coinvolgere alcuni dei principali

attori nel campo del monitoraggio, tra cui la FRA,

l'Agenzia dell'Unione euro-

pea per i diritti fondamen-

tali, e l'Odhir, l'ufficio del-

l'OSCE per i diritti umani, ed

è dunque proprio grazie a

una collaborazione con 11

partner di nove paesi euro-

pei che ha ora ottenuto per

il progetto un finanziamen-

to dall'Unione Europea, che permetterà di svilup-

pare un nuovo corso online specificamente desti-

nato alle forze dell'ordine. L'idea nasce dal fatto

che per poter trovare soluzioni contro il razzismo

è necessario partire da una registrazione più effi-

cace degli episodi, a sua volta possibile solo met-

tendo al centro le vittime. "Solo così – spiega Son-

nino – si riesce ribaltare il circolo vizioso per cui le

vittime non si sentono sicure nell'andare a denun-

ciare gli attacchi alla polizia, che a sua volta non

conosce il fenomeno e dunque non può elaborare

soluzioni".

Il 15 luglio per l'ennesima volta ilmunicipio di Tel Aviv in piazzaRabin si è illuminato di blu, biancoe rosso. Come per le stragi di Pa-rigi, Charlie Hebdo, Hypercasher,Bataclan, da Israele arriva la pienasolidarietà al popolo francese al-l'indomani dell'attentato terroristi-co di Nizza che ha causato oltreottanta vittime e decine di feriti.Dobbiamo “aprire gli occhi: conquasi 250 morti in poco più di unanno, l’Islam radicale ha dichiaratoguerra a tutti noi! Dopo il tempodel lutto, verrà il momento perl’analisi e la risposta. La nazione èin guerra contro il jihadismo”, hadichiarato il deputato franco-israe-liano Meyer Habib, membro delpartito francese Unione dei De-mocratici e degli Indipendenti. DaMilano, dove aveva partecipato aifesteggiamenti del 14 luglio al con-solato francese, Habib ha lanciatoun appello contro il terrorismo.“Vinceremo – affermava il depu-tato – ne ho la certezza. Ma pervincere, smettiamo di essere pri-gionieri di schemi errati. Questo èlo stesso terrorismo che colpiscea Gerusalemme, Istanbul, Bruxel-les, Parigi, Nizza! Come con i na-zisti, mai la barbarie metterà in gi-nocchio la Repubblica. Mai. Cer-chiamo di essere uniti, forti, deter-minati”.A Nizza, dopo l'attentato, la pre-occupazione della comunità ebrai-ca (25mila persone) è cresciuta: lapaura è di essere i prossimi obiet-

tivi di un attentato. "Il governo de-ve fare qualcosa di molto forte, al-trimenti è finito", dichiara allastampa locale Gilbert, 55 anni. “Ilmotivo per andare in Israele nonè solo per il pericolo ma per unaconnessione particolare”. Ma c'èanche chi come Pierre, 70 anni faresistenza all'idea di lasciare il pae-se e afferma che “la vita deve con-tinuare”. A Newsweek AlexandreAimo-Boot, presidente di Licra (laLega internazionale contro il raz-zismo e l'antisemitismo), ha di-chiarato che lui e sua figlia sentono“più sicuri in Israele” che a Nizzama rimarranno in città nonostanteil crescente estremismo. “Il nostrocuore è in Israele ma amiamo que-sta città. Vogliono impaurirci, e noiabbiamo paura. Stiamo perdendo”.La preoccupazione di Aimo-Bootcosì come del rabbino Jeremy Za-

oui, guida della sinagoga sefarditadi Corniche Fleurie, è l'emargina-zione in cui vive una buona partedella comunità musulmana in città.In particolare, vere e proprie ban-lieues come L’Ariane, ad alta con-centrazione di migranti. “I musul-mani si sentono isolati - affermaAimo-Boot - Abbiamo cercato dientrare in contatto con loro mapreferiscono starsene per contoproprio. Dobbiamo trovare unasoluzione, perché abbiamo biso-gno di stare insieme e combattereinsieme il terrorismo”.“La comunità ebraica di Nizza hastoricamente sempre avuto un ruo-lo importante nella coesione socia-le, nello sviluppo economico dellacittà e nel portare un messaggio dipace” ha dichiarato Christian Estro-si, presidente della regione Proven-za-Alpi-Costa Azzurra..

/ P28 ORIZZONTI

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"Je suis juif", si legge sul cartello tenuto alto da Theresa May, la nuova

prima ministra inglese, all'epoca ancora Segretario di Stato per gli

Affari interni, mentre manifestava per i valori della democrazia e

della libertà nelle ore successive agli attentati terroristici dello scorso

gennaio alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi e all'Hypercacher di

Porte de Vincennes. Theresa May in realtà non è 'juive', ma vicina agli

ebrei del suo paese e non solo lo è stata in tante occasioni nel corso

della sua carriera politica, in nome di una libertà religiosa che passa

anche attraverso la sconfitta del razzismo e dell'antisemitismo. Per

questo motivo il suo nuovo incarico, assunto dopo le dimissioni di

David Cameron nei concitati giorni post-Brexit, è stato accolto con

favore dalla Comunità ebraica britannica e in generale europea, da

cui ha ricevuto numerosi messaggi di sostegno. Il Board of Deputies

of British Jews ha inoltre particolarmente apprezzato, definendolo

un "gesto straordinario", il fatto che abbia inaugurato il suo mandato,

proprio nelle ore in cui stava lavorando alla scelta del suo nuovo go-

verno, con una cena insieme rabbino capo del Commonwealth Ephraim

Mirvis, nella sua casa londinese. Sessantenne, originaria del Sussex,

figlia di un prete anglicano, Theresa May è entrata nel parlamento

inglese nel 1997, come deputata del partito conservatore dei Tory.

Segretario di Stato dal 2010, è stata una tiepida sostenitrice di 'Re-

main' durante la campagna referendaria per la Brexit ed è ora favo-

revole a un'uscita senza troppi strappi ma seguendo la volontà espres-

sa dal popolo britannico. Ricordando alcuni provvedimenti da lei nel

corso degli ultimi sei anni nel campo della sicurezza, tra cui lo stan-

ziamento di 13.4 milioni di sterline per l'intensificazione delle misure

preventive, Gillian Merron, presidente del Board of Deputies, ha di-

chiatato che la neo premier "ha preso posizione in modo migliore

della gran parte dei suoi colleghi di Westminster nel valutare le mi-

nacce poste di fronte agli ebrei britannici". E in effetti nel corso di

un recente evento del movimento giovanile Bnei Akiva svoltosi a Lon-

dra in occasione di Yom Haatzmaut, la festa d'indipendenza di Israele,

May aveva detto di sentirsi "costernata" di fronte alla crescita del-

l'antisemitismo in Europa e nel Regno Unito, poiché "nessuno dovrebbe

vivere nella paura per la sua fede”. Non avrei mai pensato – aveva

proseguito – di vedere un giorno in cui membri della Comunità ebraica

britannica avrebbero detto di essere spaventati di restare a vivere

qui". E rievocando le parole del suo collega Manuel Valls, primo mini-

stro francese, ha concluso: "Consideriamo prezioso il contributo enor-

me che date alla società... senza gli ebrei la Gran Bretagna non sarebbe

la Gran Bretagna".

GRAN BRETAGNA - IL PRIMO MINISTRO

May, l’amicizia sincera

Come smascherare l’odio online

“Francia, apri gli occhi”I timori degli ebrei nelle città che chiedono una maggiore integrazione dei musulmani

Page 29: APPUNTAMENTO IN LAGUNA PER I CINQUE SECOLI DEL GHETTO Venezia, Storia … · 2016. 7. 30. · Venezia, Storia e futuro Dalla mostra di palazzo Ducale alle rappresentazioni di Shakespeare,

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

Manlio Di Stefano è un attivista filo-palestinese trentacinquenne che at-tualmente lavora alla Camera dei De-putati come Parlamentare eletto peril Movimento Cinque Stelle. È mem-bro della Commissione Affari Esteri eComunitari e fa parte della Delega-zione italiana al Consiglio d'Europa.In un possibile governo monocoloreM5S dopo le prossime elezioni sareb-be uno dei candidati principali allaFarnesina, insidiato nel prestigiosoruolo dal compagno di partito Ales-sandro Di Battista. Già tre anni faDi Stefano aveva compiuto un viag-gio in Palestina e aveva esternato ilsuo non equivoco e unilateriale tifopropalestinese e antiisraeliano. Dopol'eccidio di Dacca il 2 luglio, il depu-tato M5S ha pubblicato questo deli-zioso post: "Il terrorismo islamiconon esiste. Spegnete la TV e la radio,chiudete i siti web della stampa detta‘main stream’ e prendetevi qualcheminuto per svuotare la testa dalle im-magini viste in questi ultimi anni esoprattutto delle parole sentite. Il da-to di fatto incontrovertibile degli at-tentati di [Dacca] è che non possonoessere di matrice islamica anzi, anco-ra di più, non esiste un Islam terrori-sta". Ora, dopo la strage del 14 lu-glio – giorno della presa della Basti-glia – sulla Promenade des Anglais aNizza, le parole di Di Stefano assu-mono un rilievo ancora maggiore. Dilui si può pensare solo che sia unsemplice oppure un fiancheggiatore.In questo piccolo esempio sta il noc-ciolo del rebus M5S. Va subito chia-rito che l'atteggiamento e le scelte deipartiti politici nei confronti di Israelee Palestina costituiscono una que-stione alquanto marginale nel com-plesso dei problemi che deve affronta-re chi opera al fine di guidare o diorientare la società italiana. La primadomanda che va posta ai pentastellatie alla quale non mi sembra abbianodato finora risposta intelligibile èsemmai e soprattutto questa: "Checos'è per voi l'Italia, dov'è l'Italia,dove e come vi ricollegate alla storiadell'Italia, dove deve andare secondovoi l'Italia?" Dalle volgarità, dallecontumelie, dalle mezze frasi tronchee grondanti polemica espresse dal"comico" Grillo e da altri esponentidel partito è facile capire la critica nei

confronti di molti aspetti dell'attualecondizione del paese, e a volte è anchepossibile condividere alcune di questecritiche. Ma non è facile scorgere lacapacità di costruire un serio proces-so di riforma politica, economica e so-ciale nel generico populismo degliesponenti più in vista, nel loro rifiutodi comunicare normalmente con ilpubblico e con altre formazioni politi-che, nel segreto ermetismo nel qualevengono prese le scelte del movimen-to. In un paese con tali e tanti dram-matici ritardi di sviluppo come èl'Italia, anche rispetto ad altri paesiEuropei sia pure anch'essi colpiti dal-la crisi globale dell'economia e daisuoi contraccolpi, la semplice questio-ne delle priorità fra le diverse necessi-tà richiederebbe grandi ed esperti sta-tisti al di là degli attuali volonterosiattivisti M5S che sono stati scelti do-po elezioni primarie in rete in cui èpossibile che il vincitore abbia avutoun plebiscito di ben 56 voti. Tantoper dare pochi esempi scelti a caso, èpiù urgente per l'Italia raddoppiare ibinari delle linee ferroviarie seconda-rie e dotarli di moderni apparati dicontrollo automatico; o dotare il paesedi un'autostrada che ancora non esi-ste lungo la costa orientale da Civita-

vecchia a Rosignano, oppure allarga-re l'Autostrada del Sole sul tratto daFirenze Sud a Orte dove si guida sul-le stesse due corsie che esistevano cin-quant'anni fa (non mi sono mai av-venturato sulla medesima autostradaa sud di Napoli); oppure fare in modoche i migliori laureati prodotti dalleuniversità italiane non debbano emi-grare in cerca di fondi e di posti di la-voro all'estero; oppure combatterecon maggiore serietà e determinazio-ne la corruzione che continua a pene-trare i più svariati livelli dell'ammi-nistrazione locale e nazionale; o infineevitare il fallimento di una grandebanca che causerebbe grave disagio amolti piccoli risparmiatori? Per farequesto ed altro – inclusa la scelta del-le priorità – serve una approfondita eobiettiva prospezione dei fatti e dellenecessità, occorrono dei piani di azio-ne basati sulla conoscenza volti a ot-tenere obiettivi realisticamente realiz-zabili e svincolati da idee preconcette,e occorre una leadership coraggiosa,professionale e onesta. È precisamentein questo senso che l'atteggiamentonei confronti di Israele, Palestina eMedio Oriente – che ripeto è questio-ne relativamente secondaria nel qua-dro dei problemi totali dell'Italia –

fornisce un test interessante e inquie-tante delle capacità conoscitive e ese-cutive dei M5S. Il M5S se vuole ave-re una credibilità e un ruolo in politi-ca estera deve cominciare praticamen-te da zero ad apprendere i fondamen-tali del problema del Medio Oriente ei rudimenti di come si conduceun'azione politica nei confronti deiprincipali attori della complessa re-gione. Nelle ultime esternazioni deirappresentanti del M5S, segnatamen-te durante l'ultima visita nella regio-ne degli On. Luigi Di Maio e Di Ste-fano, e della Sen. Ornella Bertorotta,predomina l'unilateralità del giudizioe lo scarso interesse nei confronti del-la storia. Il conflitto israelo-palestine-se sembra sia iniziato il 5 giugno1967, da quel momento inizia l'occu-pazione israeliana dei territori e conessa la violazione della legalità – in-crementata dalla costruzione di inse-diamenti nei territori e del "muro" diseparazione. Le reazioni armate diHamas e di altri movimenti e singolipalestinesi, ma anche di Daesh, nonsarebbero altro se non la legittimamanifestazione di chi aspira a realiz-zare il diritto del popolo palestineseall'autodeterminazione. Il boicottag-gio dei prodotti provenienti dagli in-

sediamenti sembrerebbe, in questa ot-tica, un legittimo strumento punitivo– dimenticando scioccamente che allafine della filiera del prodotto boicotta-to si trovano un operaio palestineseche lo ha impacchettato e un murato-re palestinese che ha costruito il ca-pannone dove questo è stato fabbrica-to. Un partito che voglia avere unruolo credibile di mediazione sullascena mediorientale deve ricordareche la guerra del 1967 non iniziò perliberare i territori occupati da Israele,ma per liberare l'intero territorio dal-la presenza di Israele; non può – comeinvece hanno fatto i M5S – esprimeresolidarietà a chi a sua volta ha espres-so solidarietà all'autore dell'orrendoassassinio della tredicenne Hallel-Yaffa Ariel nel suo letto in un inse-diamento nei pressi di Hebron; nonpuò limitarsi a generiche condannedel terrorismo, ma deve esprimere ipropri chiari e non equivoci senti-menti di ripugnanza; non può limi-tarsi ad affermare il logoro slogan suldiritto di esistenza di Israele (che, adire il vero, non abbiamo nemmenosentito pronunciare dai M5S), ma de-ve leggere e memorizzare la carta diHamas, il cui articolo 7 richiama aduccidere ogni ebreo che si nascondadietro a un albero e dietro a una pie-tra; deve riconoscere che la contin-genza che portò a creare la (antieste-tica) barriera di sicurezza fu il mas-sacro di decine e il ferimento di centi-naia di persone riunite per la cena diPesach in un albergo di Netanya, asoli 15 km. dal confine palestinese; einfine, al di sopra di tutto, deve am-mettere che anche il popolo ebraico enon solo quello palestinese ha il pienodiritto all'autodeterminazione e allasovranità sulla base della propriaidentità nazionale e dei propri e unicivalori culturali. Un partito serio conambizioni di governo deve saper pro-muovere lo sviluppo di una piattafor-ma negoziale che riconosca le legitti-me aspirazioni delle due parti e favo-risca la creazione di meccanismi di fi-ducia reciproca. Non è semplice, ma èdimostrato che questo è possibile. In-vece, purtroppo, oggi è quasi impos-sibile distinguere la retorica del-l'odierno M5S da quella dei gruppet-tari degli anni '70.Oggi, se ci fossero elezioni per la Ca-mera, tra i cittadini italiani in Israelei M5S riceverebbero ben pochi voti.Non è molto, ma Israele come mag-giore comunità italiana in Asia hapur sempre un suo peso nell'elezionedel deputato della circoscrizioneAsia-Africa-Oceania-Antartide. Ilquale, col suo voto, potrebbe deciderese Luigi Di Maio sarà il prossimoPremier italiano.

Medio Oriente, i grillini ripassino i fondamentali OPINIONI A CONFRONTO

ú–– Sergio Della PergolaUniversitàEbraica di Gerusalemme

“Il carnefice uccide sempre due volte.La seconda con l’oblio”. È una frasedi Elie Wiesel che sarebbe facile frain-tendere. Il rapporto tra memoria eoblio nella sua scrittura, è più com-plicato rispetto a quanto questa frasesembrerebbe suggerire. È un tema sucui Wiesel è intervenuto varie volte,ma soprattutto in un testo che haavuto scarsa eco che qui vorrei consi-derare. Il testo si intitola Oblio(Bompiani) ed esce in Italia nel 1991.Il problema della memoria, ammoni-sce Wiesel in Oblio, non sta nel no-stro racconto, ma negli atomi che locompongono, nella miscela chimicache determinano, nel meccanismo se-mantico a cui danno luogo. Quandonoi abbiamo ascoltato e letto qui inItalia Elie Wiesel e il suo richiamo al-la memoria dello sterminio e dellaguerra che cosa abbiamo assimilato?Che memoria abbiamo noi qui della

guerra? Quando diciamo questa pa-rola a che pensiamo? Che immaginiabbiamo in testa? Quale “vissuto”attiviamo? Dato il fatto che per noi laguerra è la guerra della generazioneche ci ha preceduto, proviamo a chie-derci come pensiamo noi il vissutodella guerra? Probabilmente attra-verso due procedure: o come memoriagià confezionata e trasmessa genera-zionalmente, o comesistema memoriale(in termini di sacra-ri, film documentari,fiction, letteratura).Che cosa è la memo-ria allorché le fonticomparative dellanostra memoria sono spesso filtri vi-suali, “montaggi”. Che cosa è la me-moria collettiva se questa si costrui-sce come montaggio di “trailer”?Questione che ne apre a un tema ul-teriore. Memoria in opposizione aoblio è una delle chiavi di lettura ob-bligate allorché si affronta la questio-ne della memoria, ma in realtà an-drebbe affrontata come questione del-la costruzione della storia pubblicaovvero dell’uso pubblico della storia.

Questo perché oblio e memoria sonoparte di un identico processo e sonoprocedure di costruzione della memo-ria. Il problema dell’oblio va alloravisto non come una contro-memoria,ma come una procedura di costruzio-ne per la storia. Memoria e oblio sonoil prodotto di un testo, fuoriescono daun dialogo. Wiesel riporta un mi-drash nel corso del suo testo: “Nelle

nostre preghiere dellegrandi feste imploria-mo il Signore di ricor-darsi del mancato sa-crificio di Isacco. IlDio di Abramo, unsemplice smemorato, èconcepibile? In verità

noi gli indirizziamo le nostre richie-ste in nome del ricordo per dimo-strarGli che anche noi ce ne ricordia-mo” (p. 154). Dimenticare e non ri-cordare sono due processi distinti co-me ricordare e non dimenticare. Tut-ti e quattro questi stati della menterinviano a un’identica condizione,l’attivazione concreta di un attorerappresentato dalla catena delle paro-le. Tutti e quattro aprono all’interro-gativo sul loro uso.

Elie Wiesel e il senso della Memoria ú–– David Bidussa

Storico sociale delle idee

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Page 30: APPUNTAMENTO IN LAGUNA PER I CINQUE SECOLI DEL GHETTO Venezia, Storia … · 2016. 7. 30. · Venezia, Storia e futuro Dalla mostra di palazzo Ducale alle rappresentazioni di Shakespeare,

/ P30 OPINIONI A CONFRONTO

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche

Pagine Ebraicheil giornale dell’ebraismo italiano

Pubblicazione mensile di attualità e cultura

dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane

Registrazione al Tribunale di Roma numero218/2009 – Codice ISSN 2037-1543

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Com'è noto, quando un partito di op-posizione - soprattutto se di opposi-zione "dura e pura" - senteavvicinarsi la stanza dei bottoni, devecominciare ad adeguarsi, a cambiarealmeno un po' il linguaggio, a impa-rare a usare le buone maniere e iguanti bianchi. Non è un esercizio fa-cilissimo, perché ci vuole una buonadose di equilibrismo, di accortezza edi prudenza: se cambi troppo rapida-mente e troppo radicalmente, la base(soprattutto i militanti storici, quellipiù fedeli e agguerriti), potrebbe aver-sene a male, pensando che i loro di-venteranno come tutti gli altri. Ma senon cambi per nulla, si rischierebbe dicompromettere il risultato finale, per-ché la "maggioranza silenziosa",quella dei benpensanti, dei pantofolai,degli uomini della strada, che magariti hanno votato una o due volte perrabbia, noia o curiosità, potrebbero,nel vederti alle soglie del potere, spa-ventarsi, e non votarti più. Una cosa

è applaudire a chi urla contro i poli-tici ladri, altra cosa mandare a gover-narti chi sa soltanto urlare. E poi, sesi dovesse davvero vincere, e si do-vesse poi andare a frequentare mini-stri e capi di stato, papi eambasciatori, venendo invitati a ban-chetti eleganti e cerimonie paludate,bisogna saper dare un'immagine ras-sicurante, imparare le regole dellabuona società, senza fare sempre lafaccia feroce e senza bere l'acqua deilavadita. Secondo un vecchio slogan,sempre attuale: "Dalla protesta allaproposta".Sono le considerazioni che mi sonovenute in mente nel leggere e ascol-tare i resoconti della recente missionein Medio Oriente di una delegazioneparlamentare del Movimento 5 stelle,salutata dai nostri organi di stampacome un importante test di un pro-cesso di evoluzione in senso istituzio-nale ormai evidente, e consacratodalla conquista della guida di alcunedelle più importanti città italiane. Fi-nora l'approccio alle problematichedell'area da parte del Movimento ap-pariva piuttosto confuso, ma comun-que segnato da una forte animositànei confronti dello Stato ebraicoespressa dai militanti, che in genere

inondano la 'rete' di ogni genere diinsulti e contumelie in quella dire-zione (su ispirazione del loro 'guru',che, fra le mille esternazioni in mate-ria, ha paragonato le vittime del nazi-smo a quelle di Equitalia, coprendopoi di maleparole il Presidente del-l'UCEI, che si era permesso di giudi-care il paragone leggermenteinappropriato). Ma, si sono detti igrillini, per governare non baste-ranno più le boccacce e il dito medioalzato, occorrerà fare politica, mo-strare di essere in grado di fare sceltechiare e precise. E va dato merito alladelegazione di averlo fatto, di averefatto una scelta chiara e precisa, che,a loro dire, permetterà al futuro go-verno italiano, da loro guidato, di in-tervenire attivamente nel processo dipace. E la scelta è questa: nei con-fronti della Palestina, sostegno e soli-darietà "senza se e senza ma", conpromessa di immediato e incondizio-nato riconoscimento, senza nessunoscomodo riferimento a negoziati di-retti, sicurezza, rinuncia alla vio-lenza, tunnel, razzi ecc. Nei confrontidi Israele, invece, lo slogan "dallaprotesta alla proposta" si traduce in"dall'insulto alla reprimenda", o, me-glio ancora, "dal dito medio alzato al

dito indice puntato" (l'indice è piùadatto all'area governativa). Israeledovrà faro il bravo e comportarsibene, rispettando quel diritto interna-zionale che finora ha sempre violato(a differenza, aggiungiamo noi, deisuoi vicini, che lo hanno sempre scru-polosamente rispettato, sia pure conle guerre: ma è noto che la guerra èlegge di natura e fonte di diritto, lohanno detto già Aristotele, Tito Livio,Grozio e tanti altri), e dovrà restituiresubito tutto il maltolto, smantellandotutti gli insediamenti, lasciandoanche il Golan ecc. Anche in questocaso, "senza se e senza ma". Il tuttotra lagnanze di essere stati impediti,chi sa perché, di andare a visitare ilparco-giochi di Gaza, annunzi di fu-ture cancellazioni di collaborazionicon aziende israeliane "cattive" ecc.ecc. E in risposta a una nota di prote-sta dell'Ambasciata italiana di questostato discolo, la maestra pentastellataha replicato, in linea con il "nuovocorso", senza insulti e intemperanze,ricordando al reprobo - puntandoglicontro il dito indice "governativo" -che lei, equanime e imparziale, lo hariconosciuto, ma lui, il discolo, deverammentarsi di non avere soltanto di-ritti, ma anche doveri. Era giustodirlo, dirlo a Israele, e solo a lui: anchenella classe scolastica del Cuore di DeAmicis, di Franti ce n'è uno solo.

M5S, dall’insulto alla reprimendaú–– Francesco

Lucrezi storico

Quattromila like, 661 condivisioni,oltre 854mila mi piace sulla sua pa-gina Facebook. Il cittadino Luigi diMaio potrà anche essere antipatico, ele sue tesi sul futuro politico del con-flitto mediorientale saranno pure in-genue e utopistiche, se non azzardatee serenamente partigiane, ma di certola sua visita a capo di una delegazioneM5S in Israele e nella futura Pale-stina non può esser solo oggetto discherno. La narrazione, forzatamentesobria, che accompagna la sua visita, èpiuttosto interessante. Segue i canaliistituzionali incontrando in amba-sciata italiana a Tel Aviv esponentidell'imprenditoria (start-up) e delleassociazioni ong che combattono per idiritti umanitari in Israele. Si reca poia Yad Vashem e al cimitero dove sonoricordate le vittime israeliane del ter-rorismo. Quindi va a Hebron a far vi-sita al contingente italiano, poi aBethlehem dove incontra la sindaca eapprezza il modello di "convivenza"fra le tre comunità religiose (musul-

mani, cristiani ed ebrei). Ignoro cosagli è stato mostrato e di cosa parli ilsuo collega Manlio Di Stefano, maparlare di “convivenza modello” daquelle parti è per lo meno problema-tico: è proprio sul nodo della convi-venza che si gioca la trattativa politicainterrotta. Comunque, prosegue lasua visita e incontra altri gruppi mistiarabo-ebraici che manifestano legitti-mamente contro l'occupazione in ma-niera pacifica. Quindi va a incontrarelo scrittore Etgar Keret per sentire ilpolso degli intellettuali ebrei, e ne esceun godibile articolo di quest'ultimosul Corriere del 10 luglio. Compie poilo scivolone di chiedere(senza aver prima con-cordato la visita) di en-trare a Gaza perverificare come ven-gano spesi i denaridella cooperazione. Egli dicono di no, permotivi di sicurezza (sa, onorevole,non è come qui in Europa che se de-cido di prendere la macchina e andareovunque, almeno per il momento nes-suno mi chiede nulla: lì sono cen-t’anni che si combatte, e prima dipassare un confine...). Ma bastavadirgli che al momento a Gaza il go-verno è nelle mani di Hamas, che è

nella lista delle organizzazioni terrori-stiche internazionali, e che neppureMahmud Abbas ci si avventura da di-verso tempo. Infine si reca alla Knes-set, dove incontra esponenti di tutte leforze politiche. La narrazione, dicevo.Ne viene fuori un giro conoscitivo ditre giorni, a metà fra l'istituzionale eil militante (non scevro da pregiu-dizi), forse specchio della confusione edella mancanza di una strategia di po-litica estera coerente all'interno delmovimento grillino. Non penso che cisi potesse aspettare di più. In effettiun movimento politico che si ponecome obiettivo di principio quello di

combattere la corruzione edi dare la voce ai cittadinidifficilmente potrebbe pro-durre una strategia chenon sia ispirata a generi-che parole d’ordine legali-stiche. L’unica opzionepolitica di principio uscita

nei comunicati ufficiali parla infatti dirispetto delle risoluzioni delle NazioniUnite, una generica enunciazione chesembra non tenere conto della storiapluridecennale di risoluzioni contrad-dittorie, guerre, attentati e trattativeche si sono susseguite nel corso dioltre mezzo secolo. Non basta, e nonbasterà, se mai quel movimento do-

vesse assumere la guida politica inItalia. Quello che colpisce, tuttavia, aldi là della narrazione ufficiale di que-sta visita, sono i commenti dei simpa-tizzanti pentastellati, e la loro visionedi Israele e del conflitto. Ne emergeuna pancia grillina brulicante di unantisemitismo atavico nelle forme enel linguaggio, che giudica le politichemediorientali attraverso le lenti di-storte di una propaganda antiebraicaa tratti violenta e apparentemente ir-refrenabile. Colpisce in tutto questo lavisibile assenza di un intervento mo-deratore, se necessario censorio, daparte di chi – come il cittadino DiMaio – ha responsabilità politiche ep-pure ospita nella sua frequentatissimapagina Facebook espressioni che nonsolo distorcono pesantemente la realtàmediorientale, ma rischiano di inqui-nare in maniera definitiva qualsiasiaspirazione ad affermarsi come forzadi governo. Se il concetto di democra-zia considerato dal M5S risiede nel-l’idea che in rete ognuno sia libero discrivere tutto quel che pensa (com-prese espressioni cariche di pesantipregiudizi antisemiti, fra l’altro perse-guibili per legge), allora dovrà esserechiaro che è su questo punto che sigiocherà nel prossimo futuro la veraguerra di civiltà.

Il Movimento in Israele e quella strana idea di democraziaú–– Gadi Luzzatto

Voghera Boston University

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

ú–– Andrea Finzi

Gioviale, imponente, una somi-glianza con l’attore Philippe Noiret,Jean Paul Montanari è un mito nelmondo della danza che lo identi-fica con il Festival di Montpellier,il più importante di Francia insie-me alla Biennale di Lione e fra iprimi al mondo. Direttore dal1983, ha proseguito l’opera del co-reografo e amico Dominique Ba-gouet che grazie al sindaco Geor-ges Frêche aveva fondato nel 1980il Centro Coreografico Nazionaledi Montpellier e nel 1981 il Festi-val. Era quello un momento nelquale la città usciva dal suo lungoletargo (“Montpellier, la bella ad-dormentata” si diceva) e si avviavaad uno straordinario sviluppo de-mografico (popolazione triplicatain 40 anni), urbanistico, industrialee culturale, soprattutto grazie alladanza. Nato ad Algeri nel 1947,padre corso e madre sefardita (dicognome Betoun), è cresciuto nel-la cittadina di Boufarik frequen-tando l’ambiente ebraico del luogo,tradizionalista e discreto. Nel 1962il trasferimento con la famiglia aLione, il facile inserimento nellascuola, una laurea in filosofia e let-tere moderne, l’interesse per cine-ma, teatro letteratura e danza, lacampagna per la lotta all’Aids, l’in-contro con Dominique Bagouet,che lo chiamerà pochi anni dopoa installarsi stabilmente a Mon-tpellier. E qui il rinato interesse perl’ebraismo. Jean Paul ci riceve nelsuo vasto ufficio all’ultimo pianodell’Agorà, quartier generale delFestival, ex convento, ex prigione,ex caserma della Wehrmacht, cheil sindaco Frêche ha acquisito efatto ristrutturare fra il 2000 e il2010 con una spesa di 20 milionidi euro. L’Università che a partiredal X secolo ha visto fiorire la me-dicina ebraica fianco a fianco diquella musulmana e cristiana, levie del centro medievale, centrodella Gallia Judaica dove hannovissuto i grandi maestri come Sa-muel Ibn Tibbon, divulgatore delpensiero di Maimonide, il mikvé

del XII secolo riscoperto e restau-rato nel 1985 sono qui a due passi.“In effetti – esordisce - mi sembradel tutto naturale e simbolica que-sta vicinanza, al cuore di una cittàche ancora oggi, con tutto quelloche avviene in Francia, vede unapacifica coesistenza fra i 5-6000ebrei e i musulmani, anche se mol-ti stanno facendo aliyah. Tutte leamministrazioni municipali hannosempre ripetuto in centinaia di oc-casioni pubbliche che la fortuna diMontpellier è dovuta anche allacultura e all’operosità della suacomponente ebraica. E questo èentrato nel dna. D’altra parte, il Fe-stival è un bel momento di unione

e puoi immaginare la partecipa-zione ebraica quando è di scenala Batsheva di Tel Aviv”.Hai sempre voluto che il tuo Festival

gettasse dei ponti fra tutte le cultu-

re del Mediterraneo, dal Marocco a

Israele e ancora più in là, fino all’Iran.

Hai avuto delle difficoltà?

L’essere nato in Algeria da famigliain parte ebraica mi ha molto faci-litato nel comprendere i diversi mo-di di pensare e stabilire sintonie contutti. Gravi difficoltà non ne ho maiavute e il mio Festival è sempre sta-to un luogo di incontro e di scam-bio proficuo: coreografi israelianicelebri come Ohad Naharin e Im-manuel Gat si incontra”no amiche-

volmente con i colleghi dei Paesiarabi. Sì, qualche volta la propa-ganda politica ha cercato di distur-bare questo clima pacifico, ma sonostati episodi isolati. Io dico sempre:la danza ha due capitali, Tel Avive Montpellier! In questi decenni hai visto succeder-

si profondi cambiamenti nel mondo

della danza. Cosa resta degli elemen-

ti originari del Festival? E del Jean

Paul dei tempi eroici?

“Ogni anno riguardo tutti i pro-grammi passati e non c’è più nulladi quello con cui abbiamo iniziatosalvo l’entusiasmo, lo spirito po-polare e cittadino della manifesta-zione con il 70% del pubblico che

è di qui; e poi il sostegno delle am-ministrazioni. Per il resto tutto èingigantito, due settimane di spet-tacoli in otto teatri diversi, lezionidi danza in piazza, conferenzestampa. Per me è cambiato poco.La mia vita è da 35 anni dedicataal festival con disponibilità al 100%sia qui che in giro per il mondoalla ricerca di nuovi artisti con lacuriosità dei primi tempi.Hai vissuto il periodo della splendida

maturità dei grandi maestri della co-

reografia moderna ma Bejart, Merce

Cunningham, Pina Bausch non ci so-

no più, altri, come Mats Ek e Jiri Ki-

lian, hanno lasciato. E hai a preso

parte attiva nello sbocciare della

“nouvelle danse française” negli anni

‘80. Ma come vedi la situazione at-

tuale della danza contemporanea?

Siamo alla fine di un ciclo e qual-cosa di nuovo appare. Negli anni‘70 i valori principali erano la ri-scoperta del corpo, la sensualitàelevata ad estetica. Tutto finito, ilcorpo non interessa più, le dissa-crazioni di allora fanno ridere. Gliallievi e continuatori dei grandi co-reografi non riescono a staccarsidai loro modelli e a creare qual-cosa di veramente originale. Daloro non mi aspetto nulla ma allafine verranno fuori dei giovani cherivoluzioneranno tutto, come èsempre successo. Sì, sono ottimistasul futuro della danza. Ma non losono su quello dell’umanità.In tempi di budget risicati, come rie-

sci a far quadrare i conti? E i rapporti

con l’attuale sindaco sono buoni co-

me con Frêche, scomparso nel 2010?

Certo si fa fatica, il Festival costa3-4 milioni che sono coperti al50% dalla città, al 25% da Regionee Stato, il 20% dalla vendita dei bi-glietti e solo il 5% da sponsor pri-vati, fra i quali il più generoso è ilgruppo BNP Paribas che sostienemolti artisti che risiedono a Mon-tpellier tutto l’anno. Con il sindacoSorel c’è stato un avvio difficile,era un avversario politico di Frêchecon cui avevo collaborato anchein campagna elettorale. Poi le cosesi sono aggiustate. Sono insostituibile, sai.

pagine ebraicheu /P35SAPORI

u /P34SPORT

u /P32-33LETTERATURA

“Non dormo molto, ma in compenso sogno a occhi aperti tutto il tempo. Quando sono sveglio, quando creo attraverso il lavoro” (Ohad Naharin)

“Tel Aviv e Montpellier, la vera danza abita qui”

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

È una presenza sempre più apprezzata quella della danza israeliana

al Festival Montpellier Danse, dove la Batsheva Dance Company da

vari anni è protagonista. L'anno scorso la coreografia intitolata “Last

Work” a cura Ohad Naharin aveva attratto l'attenzione dei media e

del pubblico, guadagnandosi una lunga standing ovation grazie a una

performance composta dai brevi assoli di diciotto ballerini con le

quali si ritraevano attraverso le immagini evocate dai loro movimenti diverse dimensioni dell'interiorità.

Ma il grande successo della danza israeliana è stato testimoniato anche l'anno prima dalla prima dello

spettacolo del coreografo Emanuel Gat intitolato “Romantic Beach”, creato per il cortile interno del mo-

nastero medievale che ora ospita il centro di danza Agora. Il suo gruppo internazionale di dieci ballerini

era riuscito a insinuarsi nella struttura creando un'atmosfera poetica senza perdere velocità e leggerezza.

FESTIVAL MONTPELLIER DANSE

Israele ancora protagonista

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Piccoli occhiali tondi sul naso, unaricca collezione di camicie a quadrie quadretti, sguardo meditabondo,battaglie ecologiste, una discretaspocchia. Jonathan Safran Foer,giovane e schiva star della lettera-tura contemporanea, incarna inmodo ineccepibile l'esempio mas-simo di newyorkese, di Brooklyn.Autore nel 2002 del best sellerOgni cosa è illuminata all'età di soli25 anni, seguito tre anni dopo dal-l'altrettanto acclamato Molto forte,incredibilmente vicino, e poi per 11anni più di nessun romanzo ma Seniente importa, un saggio sulla realtàdegli allevamenti americani che hafatto diventare vegetariano mezzomondo, e qualche altra stravaganteopera, sulla sua carriera le idee deicritici e del pubblico sono general-mente molto chiare, molto in po-sitivo o molto in negativo. Qual-cuno vede in lui una figura geniale,faro di una nuova generazione digiovani letterati che si affranca daglistandard del secolo scorso e trovanuovi strumenti espressivi innova-tivi e post-moderni. Qualcuno in-vece pensa che al contrario sia unabbaglio, uno che si crede il nuovoPhilip Roth senza essere PhilipRoth, nettamente sopravvalu-tato. Quanto alla sua persona,quello che invece in pochi ap-parentemente si sono chiesti èse questa sua figura di quasiquarantenne dalla vita in modotanto perfettamente e ostenta-tamente radical chic da sem-

brare quasi irreale sia autentica oun personaggio raffinatamente co-struito. Si può scavare quanto si vuole nellavita di Safran Foer, ma anche quan-do sembra che si stia per coglierloin fallo, lui non si contraddice mai.Iniziando dalla famiglia. Jonathanè nato a Washington nel 1977, en-fant prodige in una famiglia di en-fant prodige. I suoi due fratelli, figlidi Albert Foer, avvocato, e Esther

Safran Foer, figlia di unsopravvissuto alla

Shoah arrivato negli Stati Uniti dal-la Polonia, sono infatti il più grandeFranklin Foer, giornalista di TheNew Republic e il più piccolo Jo-shua Foer, giornalista scientifico ecampione di memoria, che ha scrit-to pure un manuale su come ricor-dare tutto. Alla fine degli anni '90Safran Foer non poteva che iscri-versi alla facoltà di filosofia di Prin-ceton, dove ha frequentato un cor-so di scrittura creativa che lo ha –

verbo quanto maiadatto – illumi-

nato. La sua maestra nonché sco-pritrice è stata nientemeno che Joy-ce Carol Oates, la quale dopo qual-che settimana dall'inizio del seme-stre gli ha detto che la sua scritturaaveva "la più importante delle qua-lità, l'energia". "Fu una rivelazione",ha detto Safran Foer in un'intervistarilasciata al New York Times nel2005. "Non mi era mai passato perla testa che esistesse qualcosa chesi potesse definire come 'la mia

scrittura'". E

così la 'sua scrittura' è diventataanche la 'sua carriera', ma anchelì, a quanto afferma non è mai statatanto un lavoro (e del resto ha ri-fiutato il compenso di diversi premiletterari) quanto una sorta di ricer-ca del senso della vita. "Perché scri-vo? Non è che voglia che le per-sone pensino che sono intelligente,o nemmeno un bravo scrittore.Scrivo – aveva affermato – perchévoglio porre fine alla mia solitudine.I libri rendono meno soli. Ci mo-

strano che le conversazionisono possibili anche attra-verso la distanza".Per passare quindi alleopere di Jonathan SafranFoer, Ogni cosa è illuminataracconta in forma compli-catamente romanzata –

/ P32 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche

Il nostro orizzonte è lontano, talvoltaincerto. Eppure è anche terribilmentevicino, lo possiamo raggiungere conle mani. E a volte ci opprime. Perchél’orizzonte ebraico non è mai la pro-spettiva dell’isolamento volontario,ma prende il nome della prima ag-gregazione sociale, la famiglia. E ciparla di famiglia, ancora di famiglia,forse sempre di quella a lui vicina, for-se di quella di tutti noi, forse dellagrande famiglia allargata in cui sonoimmersi insieme i destini di tutti co-loro che con l’identità ebraica colti-vano un legame, il nuovo grande ro-manzo di Jonathan Safran Foer cheattende il lettore italiano al rientrodalle vacanze.Tutto lascia pensare che quando en-trerà nelle librerie il prossimo 29 ago-sto, gli italiani reduci dall’ultimo finesettimana del grande esodo dalle cittàe ancora desiderosi di quel ristoro che

solo la letteratura è capace di donaresi troveranno a un avvenimento. Jo-nathan Safran Foer, il giovanissimoenfant prodige che aveva fatto sogna-re la generazione di un mondo interocon il suo memorabile Ogni cosa è il-luminata, poi ancora con la felice ri-duzione cinematografica della suastessa opera prima, poi ancora per ilsuo impegno civile e sociale nel rac-contare i dilemmi del mondo occi-dentale di fronte al terrorismo e allosfacelo ambientale dell’alimentazionemassificata e alla crudeltà dei mattatoi,ha atteso dieci lunghi anni di silenzioprima di riprendere la parola. Un di-vario temporale enorme, per un gio-vane, geniale scrittore. Proprio il tem-po per domandarsi se alle prime stra-ordinarie opere uscite di getto dallaprima età consapevole sarebbe segui-to qualcosa di proporzionato, oppure,come talvolta avviene, se il genio di

una volta non si sarebbe stemperato,dissolto nella banalità della riprodu-zione di se stessi e delle proprie ma-niere narrative, ridotto al solo desi-derio frustrato di mantenersi all’altezzadella propria fama. Con il suo Eccomi,che l’editore Guanda ha il privilegio

di mandare in libreria, nella sensibileversione italiana di Irene Abigail Pic-cinini, prima ancora della grande pas-serella nelle librerie anglosassoni e suimercati di tutto il mondo, Safran Foerriesce nel piccolo miracolo di nonraccontarci niente di nuovo e di sov-

vertire, di risvegliare in un diverso for-mato, di donare una dimensione ul-teriore a tutto quello che già sapeva-mo.C’è l’idea di essere ebrei. Lo stesso ti-tolo non è altro che una citazione bi-blica e rende in una sola parola di tresillabe tutto il dramma della rispostadi Abramo chiamato dal Cielo e scon-volto nel suo ruolo di padre, lacerato,infine travolto e abbandonato nell’as-sumersi una responsabilità in ogni ca-so più grande di lui: quella del figlio,di Isacco che per primo dona al pri-mo ebreo il primo significato di unadiscendenza ebraica.C’è la famiglia, nelle vicende di fami-glie a noi terribilmente vicine, divisefra un Israele perpetuamente minac-ciato dalla guerra e dalle catastrofi(nel romanzo l’ambientazione fanta-stica si spinge a prefigurare guai moltograndi in Medio Oriente) e una quo-

ú– LETTERATURA

Ogni cosa è sfrontata. E Safran Foer rompe il silenzio

JonathanSafran FoerSE NIENTEIMPORTAGuanda

JonathanSafran FoerOGNI COSA È ILLUMINATAGuanda

JonathanSafran FoerMOLTO FORTE,INCREDIBILMENTEVICINO Guanda

Dopo 15 anni Ogni cosa è ancora illuminata

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tidianità nel mondo occidentale per-petuamente minacciata dall’inconsa-pevolezza edalla superfi-cialità.C’è il passag-gio obbligato,inevi tabi le ,necessario eal tempo stes-so insopporta-bile attraverso i le-gami della famiglia e del clan.C’è il sesso, la morte, la passione, ildisgusto, l’esasperazione, il riso, la spe-ranza. E più di tutto c’è quello cheforse ci aiuta a sopravvivere, ad assu-mere su di noi con una certa legge-rezza responsabilità schiaccianti, adaccettare il destino: quel senso dellospirito, quella capacità di vedere i fattie le situazioni dall’esterno e al tempostesso dall’interno, di ironizzare, di ri-dere, che secondo alcuni resta la pie-tra angolare della capacità di ridereanche delle tragedie, di tollerare le in-finite differenze, le situazioni e le per-

sone che non ci è dato comprenderecon l’intelletto. Forse è proprio questo, ciò che ci fasopportare la sofferenza e che ci fasopportare la capacità di far soffrire,

consapevolmente o inconsapevol-mente, gli altri. Non è necessario sve-lare molto di più di un romanzo po-deroso (oltre 660 pagine, che i cura-tori italiani hanno dotato di un op-

portuno e ricco glossario delle ter-minologie ebraiche e yiddish trasci-nate nel fiume del racconto). Basti dire che ci attende un libro co-munque importante, sul quale sarà

necessario tornare ancora più voltee a più voci, e anche che risulta con-troverso. Forse il libro di una nuovagenerazione che attendeva l’arrivodel proprio turno per prendere il po-sto di quei lettori inevitabilmente se-gnati dal Lamento di Portnoy di PhilipRoth. Proprio di Roth, Safran Foerricorda a suo modo e senza mai pie-garsi agli stereotipi di un identitari-smo ebraico americano manieratonon solo la vivacità, l’oscuro lato disofferenza che si nasconde dietro unsenso dell’umorismo incontenibile,ma anche e soprattutto la sfrontatez-za, l’impudicizia di dire al lettore:adesso parliamo di noi e di quelloche è vero per noi. E ridiamoci sopra per poter andareavanti. Proprio come Roth, SafranFoer pretende a suo modo di chia-mare ogni cosa con il proprio nomesenza spiegare nulla. Perché l’identitàe la memoria, in definitiva, così comela letteratura, sono solo una manieraper rimettere in ordine le idee.

g.v.

nel senso che coinvolge quattro di-versi piani narrativi – la storia disuo nonno materno, e tra l'altrouna prima versione ne era la suatesi di laurea a Princeton. La tramasi sviluppa a partire dalle ricerchedel personaggio dello scrittore Jo-nathan di uno shtetl perduto del-l'Ucraina – che corrispondono aquelle dell'omonimo autore – pertrovare una donna che crede abbiasalvato suo nonno dai nazisti. "De-ve esserci una parola che indicaquello che uno sente di aver sem-pre saputo ancor prima di averloimparato. E una per quelle coseche sono centrali nella propria vitasenza averle mai pensate o prova-te", affermava Safran Foer spiegan-do la rivelazione che ha costituitola scoperta della storia di suo non-no Louis Safran, mai conosciuto,che perse la sua prima moglie euna figlia piccola durante la Shoah. Così riflessivo Jonathan lo è diven-tato, come i più freudiani avrannopredetto, dopo un trauma infantile,un esperimento nell'aula di scienzedelle elementari esplosogli in fac-cia, in seguito al quale ha avuto unesaurimento nervoso. Se la storiasuona famigliare è perché ricordaquella di Oskar Schell, il novenneprotagonista del suo secondo ro-manzo, Molto forte, incredibilmentevicino. Dopo la morte del padre alWorld Trade Center l'11 settem-bre, Oskar si rifugia nel suo mondodi creative invenzioni per proteg-gersi da ognuna delle sue molte

fobie. Nel processo diventa unaspecie di artista dai sogni comples-si e fantasiosi, che si riflettono nellastruttura del romanzo stesso, con-tenente foto e giochi tipograficiche vogliono ribaltare un po' i tra-dizionali rapporti tra immagine etesto. Il libro nasce da un'insoddi-sfazione dell'autore sul modo diraccontare gli eventi del mondo:"Scrivo sempre per il bisogno dileggere qualcosa, più che di scri-vere qualcosa. Con l'11 settembrein particolare avevo bisogno dileggere qualcosa che non fosse po-liticizzato o commercializzato, chenon avesse messaggi ma soloumanità". Ma anche in questi apparentemen-te meno produttivi 11 anni, Jona-than Safran Foer non si è maismentito. La pubblicazione dellasua edizione della Haggadah di Pe-sach, ad esempio, è legata un po'all'ideale della libertà che essa rap-

presenta, ma anche a una sua per-sonale concezione della religione."Sono interessato al tipo di reli-gione che rende la vita difficile,non a quella che conforta. Una re-ligione che mi obbliga a pormi do-mande difficili: 'Chi sono davvero?Sono la persona che volevo esse-re'?". E del resto anche Se nienteimporta non dice esplicitamente ai

suoi lettori di diventare vegetariani,ma interpella le loro coscienze.Inoltre, rientrano perfettamentenel quadro anche la compilazionedel libretto diun'opera e lacreazione diuna specie dil i b r o - o p e r ad'arte, Tree ofCodes (2010),nata dal taglio,in senso lettera-le, delle parole del suo libropreferito, Le botteghe color cannelladi Bruno Schulz. Persino nei dettagli apparentemen-te più insignificanti Safran Foer rie-sce a non smentirsi. Il suo ufficioa Brooklyn ad esempio, oltre a es-sere privo di qualsivoglia telefono,è da lui enigmaticamente conside-rato "un posto dove posso nonscrivere". E non ha deluso neanche nella

svolta della sua vita sentimentale,cioè il divorzio con la collega scrit-trice Nicole Krauss con cui sem-brava avere la vita perfetta, con ilmondo che sognava, immaginan-doseli a bere tisane organiche al-

l'alba (la suasveglia suonaalle quattro tut-te le mattine)sulla loro ter-razza di Broo-klyn mentre

creavano le loro opere su vecchiemacchine da scrivere e i loro duepargoletti se ne stavano quieti coni loro giocattoli di legno. Quandoè stato visto in coppia con la bellaattrice Michelle Williams sembravaproprio che avesse cambiato rotta,e invece niente, sono stati nominatila "most bobo Brooklyn coupleever" da Vanity Fair. Per non par-lare della sua misteriosa relazioneepistolare con Natalie Portman ap-pena venuta alla luce. E poi nonsi può non citare la sua collezionedi fogli bianchi provenienti dallescrivanie di vari scrittori. E insom-ma, è facile rimanere imbrigliatinel fascino intellettualoide di Jo-nathan Safran Foer. Ma lui mette in guardia: "Non so-no simpatico. Le persone immagi-nano che dal momento che i mieilibri sono divertenti, lo sarò anchenella vita vera. È inevitabile la de-lusione nell'incontrarmi".

Francesca Matalon

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P33

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

JonathanSafran FoerTREE OF CODESVisual Editions

JonathanSafran FoerECCOMI Guanda

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ú–– Adam Smulevich

La differenza dovrebbe essere tan-gibile, mettendo al riparo da nuoviimbarazzanti equivoci e parole nondette per convenienza politica estrategica. Perché in un'epoca ca-ratterizzata da nuove terribili mi-nacce, in particolare quella del ter-rorismo islamico, nessuno può per-mettersi di chiudere gli occhi e ditacere. Anche i vertici mondialidello sport, che hanno già pagatoun prezzo di sangue molto altoper la scarsa consapevolezza e pre-parazione nel loro passato. Per questo, l'edizione dei GiochiOlimpici di Rio che prenderà av-vio il 5 agosto, dovrebbe segnareun importante e atteso ritorno.Quello della coerenza di chiamarele cose con le proprio nome, ren-dendo il giusto omaggio a chi, ri-tenendosi immune da qualsiasi mi-naccia dall'esterno perché protettodalla bandiera universale a cinquecerchi, la più inviolabile e sacradelle bandiere sin dai tempi dellaGrecia antica, fu barbaramente uc-ciso per il semplice fatto di avereuna precisa connotazione identi-taria. Non sarà un evento marginale, esoprattutto non passerà nel silen-zio dei media, la cerimonia che ilcomitato organizzatore dei Giochidi Rio de Janeiro allestirà con imassimi onori in ricordo degli atle-ti e allenatori israeliani trucidatidai terroristi palestinesi di Settem-bre a Monaco '72. Quattro anni fa, a Londra, nel qua-rantesimo esatto dalla carneficina,fu scelto il basso profilo. Arrivandonon solo a negare il minuto di si-lenzio chiesto incessantementedalle vedove e da una buona partedi opinione pubblica internazio-nale, ma anche a calpestare in altreforme richieste di inequivocabilebuon senso. Stavolta, a meno di sorprese del-l'ultimo minuto, il registro sarà bendiverso. Il merito è anche di Carlos ArthurNuzman, presidente del comitatoorganizzatore dei Giochi. Una fi-gura che abbiamo già presentatonello scorso numero di PagineEbraiche, all'interno del dossierSport, e che continua a dimostrare,giorno dopo giorno, una grandecapacità di tenere insieme i moltitasselli di un mosaico per lungotempo apparso decisamente com-plesso. Tanto che in molti tra gliaddetti ai lavori, negli scorsi anni,e fino a poche settimane fa, hannoimmaginato un esito diverso per

il torneo, fino all'ipotesi di una cla-morosa sospensione senza egualinella storia. Troppi i ritardi, troppe le difficoltàlogistiche che hanno rischiato difar naufragare ogni buona inten-zione. Ma se la sfida di Rio ha te-nuto, nonostante alcuni evidentiproblemi strutturali e nonostantele forti perplessità di alcuni (in par-te, certamente non disinteressati),il merito è anche suo. "Il mio rapporto con l'ebraismo econ Israele inizia attraverso losport, e nello specifico attraversola pallavolo praticata sia con ilClub Israelo-Brasiliano che con il

Maccabi, con cui ho vinto nume-rose medaglie" ha raccontato Nuz-man in una recente intervista conla stampa israeliana. Un legameche l'ha portato lontano visto cheè stato tra i protagonisti del quin-tetto nazionale verdeoro che hapartecipato alle Olimpiadi nel1964, la prima edizione in cui que-sta disciplina ha iniziato a far partedel programma di gare dei Giochi. Nipote di un ebreo russo emigratoin Sud America in cerca di fortuna,Nuzman è membro attivo e diri-gente della sinagoga conservativeCongregacao Judaica do Brasil.Suo padre Izaak, attivo a Rio e nel-

la sezione cittadina dell'organiz-zazione filantropica Keren Haye-sod, ebbe inoltre il merito di con-tribuire all'organizzazione di unavisita in Brasile dei due storici pre-sidenti israeliani David Ben Gurione Golda Meir. "Un grande sionista,un grande leader" il ricordo del fi-glio nel corso dell'intervista. Curiosamente, all'interno del co-mitato organizzatore la presenzaebraica è molto significativa. Af-fiancano Nuzman tra gli altri i cor-religionari Sidney Levy, che dirigel'esecutivo, e Leonardo Gryner, unesperto di comunicazione e dimarketing. Sono loro tre (nell’im-

magine in alto, con Nuzman alcentro), insieme ad alcuni stretticollaboratori, i principali arteficidella cerimonia in ricordo dei fattidi Monaco che avrà luogo nel mu-nicipio di Rio il 14 agosto. Comea Londra non ci sarà un minutodi silenzio, perché così ha decisoil Comitato Olimpico Internazio-nale. Ma l'atmosfera sarà comun-que solenne e partecipata. E le ve-dove di Yossef Romano e AndreSpitzer, tra le più attive nel ricordodi quelle ore terribili, vere e proprieambasciatrici di una sfida di me-moria portata avanti con coraggionelle diverse sedi, potranno com-memorare tutte e undici le vittimecon una candela accesa per cia-scuno dei caduti e con parole chesaranno condivise con una ampia

e qualificata platea di istituzioni,delegazioni, atleti. Una data, quella del 14 agosto,che non è casuale. Cade infattiin quelle ore il digiuno di TishàBe Av, uno dei momenti piùluttuosi del calendario ebraicoin cui si commemora la distru-

zione del Secondo Tempio di Ge-rusalemme e un’altra serie di eventinefasti. “Il sindaco aprirà le portedel municipio in un gesto di gran-de amicizia con la comunità ebrai-ca brasiliana e con tutto il popolod'Israele. Un gesto che apprezzia-mo e che ci commuove, anche perla scelta della data in cui questoavverrà” ha sottolineato il consoleonorario dello Stato ebraico a Riode Janeiro. Una nuova importantepagina di Memoria per un mondo,quello dello sport, che mai comeoggi è chiamato a ritrovare le pro-prie radici etiche e valoriali percontinuare ad essere un punto diriferimento credibile per milionidi persone in tutto il pianeta. Unasfida che passa anche da brevi mafondamentali iniziative simboliche.

/ P34 SPORT

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n. 8 | agosto 2016 pagine ebraiche

Rio guarda a Monaco. Senza imbarazzi

C'è grande attesa per i Giochi di Rio, i primi nella storia organizzati in Sud America. Le

gare della trentunesima edizione delle Olimpiadi saranno concentrate in poco più di due

settimane, dal 5 al 21 agosto. Oltre 10mila gli atleti partecipanti, in rappresentanza di

207 paesi. I Giochi utilizzeranno una serie di strutture, in parte esistente e in parte co-

struite da zero. La maggior parte degli eventi si terrà a Barra da Tijuca, che ospiterà

anche il villaggio olimpico. Gli altri eventi saranno concentrati in tre diverse zone: Co-

pacabana, Maracana e Deodoro. Gli unici eventi a svolgersi fuori città saranno alcune partite di calcio. Ceri-

monia di apertura e chiusura si svolgeranno entrambe al Maracana, un luogo foriero di grandi suggestioni

per milioni di appassionati di pallone.

207 paesi, 10mila atleti in gara

u Le vedove di Yossef Romano e Andre Spitzer, da anni impegnate in prima linea; una panoramica sul villaggio olimpico di Rio 2016

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SAPORI / P35

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pagine ebraiche n. 8 | agosto 2016

“Ecco come ho insegnato il gusto agli israeliani”È la curiosità nei confronti di tuttele culture il punto forte degli israe-liani, quello che li porta anche avoler scoprire sempre di più anchela cucina italiana. Lo racconta aPagine Ebraiche Ever Cohen, chela scena gastronomica del paeseha avuto modo di conoscerla afondo nei dodici anni passati allaguida della delegazione dell'Acca-demia italiana della cucina, l'isti-tuzione riconosciuta dal ministerodei Beni e delle Attività culturalinata per promuovere l'aspetto cul-turale del cibo in generale e dellacucina italiana in particolare, tu-telandone l'autenticità e propo-nendo varie attività divulgative co-me convegni, pubblicazioni, ricer-che storiche, istituzioni di premi eborse di studio. L'Accademia hapiù di duecento delegazioni in tut-te le province italiane, ma anche69 all'estero in cinque continenti,nate per fare sì che la cucina ita-liana mantenga la sua autenticitàanche fuori dai confini nazionali.Cohen spiega infatti che spessoaccade che le ricette vengano rein-terpretate secondo il gusto locale,"ma i risultati sono spesso incom-patibili con il nostro, a causa delletroppe alterazioni"."Valorizzare i prodotti tipici, farliconoscere, divulgare la prepara-zione e la degustazione di quelloche l'Italia ha saputo produrre incampo gastronomico vuol dire an-che difendere la propria identitàculturale, poterne esigere il rispettoe rafforzarne l'immagine di quali-

tà", si legge dunque sul sito del-l'Accademia. Per farlo, in Israelela delegazione organizza vari even-ti, tra gli altri anche in collabora-zione con l'Istituto di cultura ita-liana di Tel Aviv, e soprattutto girai ristoranti, per valutarne la qualità,controllare che rispettino alcunistandard e recensirli sui canali del-l'Accademia. Tra gli errori più fre-quenti, spiega Cohen, vi è quellodi buttare nel sugo della pasta conuna quantità eccessiva di ingre-dienti, che creano sofisticazioniche sono lontane dalla semplicitàdei sapori italiani. Nonostante questo, nell'ambito diuna crescita generale dell'interesseper la cucina e la gastronomia, Co-hen rileva anche un miglioramentoin quelli che sono i tentativi deglichef israeliani di portare nel paeseuna cucina italiana più autentica.

"Negli ultimi vent'anni è stato unfenomeno molto rilevante – osser-va – e la grande intelligenza deglichef israeliani è stata quella di riu-

scire a coinvolgere le cucine di tut-te le culture". Del resto, la rivistadi viaggi Traveler, ha nominatoTel Aviv tra le cinque città con la

migliore cucina al mondo, e par-lando di questo boom Cohen faad esempio notare che alla televi-sione sono sempre più numerosi italent e i programmi di cucina. Inquesto contesto in costante evo-luzione si sono così moltiplicatianche i ristoranti italiani, anche senon sono ancora moltissimi, masoprattutto è notevolmente au-mentata l'importazione di prodottiitaliani, come la pasta, il che perCohen è specchio del fatto che gliisraeliani amano cucinarli. Tripolino, spostatosi poi a Roma,Ever Cohen è arrivato in Israeleperché è "cresciuto con il sioni-smo". Eclettico imprenditore diprofessione, all'alimentazione si èsempre interessato come sportivoe negli anni ha approfondito quellache è diventata una vera e propriapassione. Per contrastare la sba-gliata interpretazione della tradi-zione culinaria italiana all'estero,per lui lo strumento più efficacesono i corsi di cucina, di cui c'èsempre maggiore richiesta, e chesono tra i suoi progetti per il fu-turo. Ma per quanto riguarda lacucina italiana, esiste già un mi-glioramento: "Io penso che sia le-gato al fatto che molti israelianihanno finalmente scoperto chel'Italia non è solo Roma, Firenzee Venezia. Un tempo andavano so-lo lì – le sue parole – però manoa mano grazie al loro spirito d'av-ventura hanno scoperto anche ilsud dell'Italia e soprattutto le cu-cine territoriali”.

u Nell’immagine in alto Ever

Cohen, per 12 anni alla guida della

delegazione dell’Accademia

italiana della cucina.

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