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G. MORCALDO - S. ROSSI - M. LOSSANI “LA CONGIUNTURA ITALIANA E INTERNAZIONALE NELLA PROSPETTIVA DELL’ALLARGAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA” Interventi tenuti nellʼambito del Seminario su “Banche e mercati italiani nella prospettiva internazionaleS. Marco - Perugia, 19 Marzo 2004 Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa Università Cattolica del Sacro Cuore Facoltà di Scienze Bancarie Finanziarie e Assicurative QUADERNO N. 213

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G. MORCALDO - S. ROSSI - M. LOSSANI

“LA CONGIUNTURA ITALIANA E INTERNAZIONALENELLA PROSPETTIVA DELL’ALLARGAMENTO

DELL’UNIONE EUROPEA”

Interventi tenuti nellʼambito del Seminario su“Banche e mercati italiani nella prospettiva internazionale”

S. Marco - Perugia, 19 Marzo 2004

Associazioneper lo Sviluppodegli Studi diBanca e Borsa

Università Cattolicadel Sacro Cuore

Facoltà di Scienze Bancarie

Finanziarie e Assicurative

QUADERNO N. 213

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G. MORCALDO - S. ROSSI - M. LOSSANI

“LA CONGIUNTURA ITALIANA E INTERNAZIONALENELLA PROSPETTIVA DELL’ALLARGAMENTO

DELL’UNIONE EUROPEA”

Interventi tenuti nell’ambito del Seminario su“Banche e mercati italiani nella prospettiva internazionale”

S. Marco - Perugia, 18 Marzo 2004

Associazioneper lo Sviluppodegli Studi diBanca e Borsa

Università Cattolicadel Sacro Cuore

Facoltà di Scienze Bancarie

Finanziarie e Assicurative

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Dott. Giancarlo MORCALDO,Direttore Centrale per la Ricerca Economicadella Banca d’Italia

L’ASSETTO PRODUTTIVO ITALIANO NELL’ATTUALEFASE CONGIUNTURALE

I fattori sottostanti ai forti divari di crescita delle varie economie

Nell’attuale contesto di globalizzazione dei mercati e dirapida evoluzione tecnologica alcuni paesi stanno sperimen-tando un rapido sviluppo; in altre economie il potenziale dicrescita si va riducendo. Nell’ultimo decennio gli Stati Unitihanno realizzato tassi di crescita elevati; l’Europa continenta-le ha registrato un aumento del prodotto interno lordo mode-sto; in Giappone l’economia ha ristagnato. Dalla liberalizza-zione degli scambi commerciali e dei movimenti di capitalehanno tratto beneficio soprattutto i paesi emergenti dell’Asia.

I divari nella capacità di innovare e nell’andamento dellaproduttività dei vari paesi sono all’origine della divergenza neirisultati.

Negli Stati Uniti l’aumento della produttività del lavoroha registrato un forte innalzamento: fra il 1995 e il 2001 l’in-cremento medio annuo è stato pari al 2,4 per cento, a frontedell’1,5 del periodo 1973-1995; nel settore manifatturiero,sempre fra il 1995 e il 2001, l’aumento della produttività èstato ancor più elevato e pari in media al 3,7 per cento.Nonostante il rallentamento della crescita del prodotto neglianni più recenti, la produttività del lavoro è cresciuta in misu-ra ancor più ampia: del 5,0 per cento nel 2002, del 4,4 nel2003.

I risultati conseguiti negli ultimi due anni appaiono sor-prendenti in quanto il tasso di crescita dell’economia è stato

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contenuto. L’incremento della produttività rimarrà per unlungo periodo su livelli elevati, che potrebbero risultare supe-riori a quelli registrati nella seconda metà degli anni novanta.

I risultati in termini di produttività confermano che il pro-cesso di innovazione dell’assetto produttivo statunitense èancora lungi dall’essere compiuto. La crescita potenziale del-l’economia statunitense è attualmente stimata, prudenzialmen-te, nel 3-3,5 per cento annuo.

L’innalzamento intervenuto nel tasso di crescita dellaproduttività del lavoro è riconducibile al rilevante aumentodella produttività totale dei fattori, cioé all’aumento del pro-dotto non spiegato dall’incremento dell’input di lavoro e dicapitale in termini di quantità e di qualità; l’innalzamentonella crescita della produttività totale dei fattori è il risultatodei guadagni di efficienza determinati dall’innovazione tecno-logica e dall’introduzione di nuovi modelli organizzativi.

Il Giappone ha risentito della concorrenza degli altri paesiasiatici, di un eccesso di investimenti in settori tradizionali, diinadeguatezze nell’assetto finanziario e produttivo. Nel 2003l’economia di questo paese ha conseguito risultati positivi,beneficiando delle ristrutturazioni e delle riorganizzazioniavviate dalle imprese nella seconda metà degli anni novanta:la crescita del prodotto ha raggiunto un valore inatteso, il 2,7per cento, soprattutto per effetto del forte aumento delle espor-tazioni. I guadagni di produttività e di efficienza hanno con-sentito all’economia del Giappone di rispondere alla sfidaconcorrenziale e di trarre vantaggio dalla forte crescita deipaesi emergenti dell’Asia. Le grandi imprese, esposte allaconcorrenza internazionale, hanno adeguato i loro sistemi diproduzione al nuovo contesto; ridotto l’occupazione; ridimen-sionato l’indebitamento.

Nell’economia cinese le riforme introdotte negli ultimidecenni hanno consentito di realizzare tassi di crescita molto

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elevati. Tra il 1980 e il 2003 il ritmo di aumento del prodottointerno lordo è risultato pari in media al 9,0 per cento. I posi-tivi risultati raggiunti sono da ricondurre, anche in questocaso, al forte innalzamento della produttività del lavoro; que-sta per l’economia nel suo complesso negli anni novanta è cre-sciuta a un tasso medio annuo di quasi l’8 per cento; per il set-tore manifatturiero l’aumento è stato di circa il 13 per cento.

In Europa il tasso di sviluppo ha subito un ridimensiona-mento; tra il 1989 e il 2003 il prodotto interno lordo è cre-sciuto in media a un tasso di poco inferiore al 2 per cento. InItalia il ritmo di crescita è risultato più basso di circa mezzopunto percentuale.

Dalla seconda metà dello scorso anno l’economia euro-pea ha iniziato una fase di ripresa; essa è tuttavia ancora debo-le. Fattori di natura strutturale limitano la capacità di trarrevantaggio dalla ripresa internazionale. In Italia, dopo una lieveespansione nel terzo trimestre, la produzione ristagna.

L’invecchiamento demografico e la prevalenza nell’offer-ta di beni a medio contenuto tecnologico sono alla base delledifficoltà che l’economia europea sta attraversando. Da unlato la domanda interna sta rallentando. Dall’altro le economieeuropee non riescono a competere né con i paesi emergenti,dove si concentra la produzione di beni a media e bassa tec-nologia, né con gli Stati Uniti, che hanno il predominio nel-l’innovazione tecnologica e nei prodotti avanzati.

La scarsa competitività delle economie dell’area dell’eu-ro è da ricondurre alla limitata capacità di innovare nei pro-cessi e nei prodotti. La produttività del lavoro ha subito un ral-lentamento; tra il 1995 e il 2003 è cresciuta in media dello 0,8per cento per l’economia nel suo complesso e dell’1,6 percento nel settore manifatturiero. I progressi compiuti nei set-tori ad alto contenuto tecnologico sono modesti.

Per l’area dell’euro nel suo complesso la quota delle

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esportazioni sul commercio mondiale, valutata a prezzicostanti, è scesa in misura significativa. Le importazioni inrapporto al prodotto interno sono aumentate. L’Europa non hasaputo mettersi in condizione di beneficiare della forte espan-sione del commercio internazionale degli anni novanta, risul-tato della progressiva liberalizzazione dei movimenti di capi-tale.

Le difficoltà competitive dell’economia italiana

Per il nostro paese la capacità di competere sul mercatointerno e su quello internazionale è ancor più scarsa. Il saldodelle transazioni con l’estero nell’ultimo decennio ha avuto uneffetto negativo sulla crescita del prodotto pari in media acirca mezzo punto percentuale l’anno. Valutata a prezzicostanti, la quota delle esportazioni italiane sul commerciomondiale ha registrato, dalla seconda metà degli anni novan-ta, un continuo calo: dal 4,5 per cento nel 1995 al 3,0 nel 2003.Nello stesso periodo la quota delle importazioni sul prodottointerno lordo si è innalzata dal 23 al 27,5 per cento. Le caren-ze dell’assetto produttivo, venuta meno la possibilità di aggiu-stamenti del cambio, si riflettono sulla produzione e sull’oc-cupazione.

La perdita di quote di mercato delle merci italiane derivada vari fattori: la specializzazione del nostro assetto produtti-vo nei beni a media e bassa tecnologia, la minore competiti-vità di prezzo, l’affacciarsi sui mercati di nuovi paesi.

Il prevalere nell’ambito della nostra produzione di beni amedio-basso contenuto tecnologico produce di per se stessouna consistente riduzione delle nostre quote di mercato: ladomanda internazionale di questi beni cresce da anni a tassipari alla metà di quelli relativi alla domanda di beni a maggiorcontenuto tecnologico. Il divario tra il nostro assetto produtti-vo e quello dei paesi emergenti si va riducendo rapidamente in

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conseguenza della maggiore dinamicità di questi ultimi.

In conseguenza del rallentamento della produttività, l’au-mento del costo del lavoro per unità di prodotto in Italia èmaggiore rispetto agli altri principali paesi industriali; in baseai prezzi alla produzione dei manufatti, nell’ultimo triennio laperdita di competitività è stata pari al 9,2 per cento.

In Italia la produttività del lavoro tra il 1995 e il 2003 èaumentata in media dello 0,75 per cento all’anno per l’econo-mia nel suo complesso e dello 0,5 per cento nel settore mani-fatturiero; negli ultimi due anni la produttività del lavoro perl’intera economia ha segnato una riduzione. In Germania, inFrancia e in Spagna la produttività del lavoro nello stessoperiodo è cresciuta dell’1,0 per cento all’anno per l’intera eco-nomia e del 2,0 per cento nel settore manifatturiero.

Alla base dei deludenti risultati della produttività dellavoro si ritrova il rallentamento della produttività totale deifattori; quest’ultima nel settore industriale dalla metà deglianni novanta ha in media registrato un’apprezzabile riduzione.

Nello scorso anno la competitività di prezzo ha risentitoanche dell’apprezzamento dell’euro, pari tra gennaio 2003 egennaio 2004 al 12,3 per cento in termini effettivi nominali.

Anche l’ingresso sui mercati internazionali di produttorilocalizzati in paesi emergenti, dove il costo del lavoro è infe-riore e i vincoli all’attività d’impresa sono meno stringenti, hacontribuito alla riduzione delle nostre quote di mercato. Glieffetti della maggiore concorrenza assumono intensità cre-scente in quanto le imprese di questi paesi stanno migliorandola qualità delle merci prodotte. Le economie emergenti,soprattutto quelle asiatiche, hanno saputo conseguire un’ele-vata capacità produttiva nei settori tradizionali e stanno oraaccrescendo anche l’offerta di beni ad elevato contenuto tec-nologico.

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I risultati negativi conseguiti in Italia in termini di quotedi mercato sono da ricondurre a ritardi nell’introduzione dellenuove tecnologie produttive che impiegano l’informatica e lamicroelettronica e a una più bassa qualificazione media dellaforza lavoro. Essi sono a loro volta connessi con la strutturadel nostro assetto produttivo costituito in gran parte da picco-le imprese. Queste, nell’attuale contesto, trovano difficoltà aintrodurre tecniche produttive avanzate e a innovare i prodot-ti.

Le dimensioni d’impresa

In gran parte dei paesi industriali la ricerca di più elevatilivelli di produttività ha condotto sino alla fine degli anni ses-santa a un accrescimento delle dimensioni delle imprese: iguadagni di efficienza erano soprattutto il risultato di unampliamento della scala produttiva. Successivamente l’intro-duzione di nuove tecnologie e di nuovi modelli organizzativiha prodotto una riduzione delle dimensioni delle imprese: leaziende di più piccole dimensioni sono caratterizzate da unamaggiore flessibilità nell’utilizzo dei fattori produttivi.

Il calo delle dimensioni medie delle aziende osservatonegli ultimi decenni in Italia è stato più accentuato; il divarioesistente rispetto agli altri paesi industriali si è ampliato.

In Italia, in base ai dati dei censimenti del settore indu-striale, il numero medio di addetti per impresa, tra il 1951 e il1971, ha segnato un modesto aumento, da 4,5 a 5 unità; suc-cessivamente esso è fortemente diminuito, a 3,9, nel 1996 enel 2001.

In Italia le imprese con più di cinquecento addetti, fra l’i-nizio degli anni settanta e la metà degli anni novanta, hannodimezzato il loro peso in termini di occupazione, dal 30 al 15per cento. In Francia l’analoga quota è diminuita in misura

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minore, dal 55,2 al 42,8 per cento. La riduzione è stata ancorpiù contenuta negli Stati Uniti e nel Regno Unito; è risultatatrascurabile in Germania.

Al contrario, la quota degli occupati presso imprese conmeno di cento addetti è cresciuta in tutti i paesi industriali;l’aumento più elevato ha interessato l’Italia (dal 48,8 al 68,6per cento); incrementi di rilievo si sono registrati in Francia,nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Germania.

La riduzione delle dimensioni d’impresa è innanzitutto ilrisultato dell’espansione del settore dei servizi caratterizzatoda piccole unità produttive. Anche le grandi imprese del setto-re manifatturiero hanno sperimentato una riduzione dell’occu-pazione.

In base al censimento del 1996 l’assetto produttivo delnostro paese appare caratterizzato da un numero assai elevatodi aziende di piccole dimensioni: il 95 per cento delle impre-se ha meno di dieci addetti. I lavoratori che prestano la loroopera presso queste imprese rappresentano il 47 per cento deltotale; la quota di occupazione assorbita da questa classedimensionale di imprese è pari al 27 per cento nel RegnoUnito, al 22 in Francia, al 21 in Germania.

Analisi del Servizio Studi relative alla distribuzionedimensionale e settoriale delle imprese nei paesi europei allametà degli anni novanta indicano che la peculiarità italiananon riflette una diversa specializzazione produttiva nel nostroPaese. La quota delle imprese di piccole dimensioni risulta inItalia superiore a quella degli altri paesi in quasi tutti i settori.Nel nostro sistema produttivo il processo di riduzione dellascala di produzione si accompagna a un maggiore ricorso allavoro autonomo che non ha riscontro in nessun altro paeseavanzato.

La forte pressione fiscale, la normativa stringente che

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regola i mercati dei prodotti e del lavoro, la struttura proprie-taria delle imprese incentrata sulle famiglie costituiscono i fat-tori alla base della limitata dimensione delle imprese italiane.

Il nostro assetto produttivo

Nel corso degli ultimi decenni, importanti aziende sonostate cedute a gruppi stranieri; alcuni comparti manifatturieri,quali ad esempio la chimica fine o l’industria informatica sonostati costretti a chiudere.

L’industria automobilistica nazionale ha visto ridurre for-temente le proprie quote di mercato. Sul mercato interno laquota della Fiat pari negli anni ottanta al 60 per cento si èridotta nello scorso anno al 27 per cento. Sul mercato europeola quota della stessa azienda è passata dal 15 per cento dellafine degli anni ottanta all’8 per cento. La politica di diversifi-cazione dell’attività messa in atto dal gruppo ha ridimensiona-to le risorse destinate al comparto automobilistico e in parti-colare quelle finalizzate alla ricerca. Il recente rilancio del-l’attività del gruppo, realizzato con l’ausilio del sistema ban-cario, sta producendo risultati positivi; buona parte delle atti-vità non strategiche sono state dismesse; l’indebitamento èstato ridotto; il management è stato rinnovato; la capacità dipenetrazione dei mercati è stata accresciuta con la creazione dinuovi modelli. Nei mesi scorsi la Fiat è tornata ad avere unaquota del mercato italiano pari al 30 percento.

La fiducia delle famiglie e degli operatori del nostropaese ha risentito negativamente anche della crisi di impor-tanti aziende del comparto alimentare.

La storia della Parmalat è la storia di una impresa indu-striale cresciuta fino a diventare il quarto gruppo alimentareeuropeo. La fase espansiva è stata realizzata mediante un pro-gressivo ampliamento delle produzioni e soprattutto medianteuna lunga politica di acquisizioni in Italia e all’estero. Nel

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2002 il gruppo Parmalat era strutturato in 213 società distri-buite in 50 paesi; con complessivi 37.000 dipendenti di cuisolo 4.000 impiegati in stabilimenti localizzati in Italia. A pre-scindere dall’innumerevole serie di irregolarità, di abusi, direati commessi dai vertici aziendali, le origini della crisiappaiono legate ai ridotti margini di profitto delle lavorazioniche costituivano il core business, al fallimento di alcune stra-tegie di diversificazione produttiva e alla politica di continuaespansione industriale perseguita attraverso acquisizionifinanziate ricorrendo all’indebitamento. Prima ancora che lafrode, alla radice della crisi si ritrovano gravi errori imprendi-toriali.

In presenza di dissesti finanziari di importanti gruppiindustriali, c’è il rischio che si diffonda un pessimismo gene-ralizzato circa la qualità delle imprese che formano l’industrianazionale. È cruciale ricordare che l’Italia è dotata di un vastoe robusto tessuto di imprese sane in grado di cogliere, se aiu-tate da una adeguata politica economica, le possibilità di svi-luppo offerte dalla ripresa internazionale. Il cuore del nostrosistema industriale è costituito da alcuni grandi gruppi masoprattutto da migliaia di imprese piccole e medie.

Una parte importante del settore produttivo italiano facapo a distretti industriali; il loro peso complessivo può esse-re stimato pari a circa il 41 per cento dell’occupazione nel-l’industria e al 45 per cento di quella manifatturiera. Le impre-se distrettuali sono prevalentemente imprese esportatrici e sicaratterizzano per peculiari soluzioni organizzative, incentratesul binomio cooperazione-concorrenza, che consentono disuperare alcuni dei limiti dovuti alla ridotta dimensione mediae di raggiungere elevati livelli di innovazione e di efficienza.

Le prospettive: la necessità di una nuova politica economica

La piccola impresa assicura la capacità di tenuta dellanostra economia consentendole di far fronte alle varie diffi-

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coltà. Nell’attuale contesto, essa non riesce ad assicurare l’e-spansione della produzione e dell’occupazione. Occorre favo-rire la crescita delle dimensioni delle imprese e la loro aggre-gazione, in modo da consentire loro un proficuo utilizzo del-l’innovazione tecnologica.

In un’economia di mercato le opportunità di sviluppodipendono in ultima istanza dalle capacità imprenditoriali.Nonostante la congiuntura sfavorevole, sia interna sia interna-zionale, nel 2003 la base imprenditoriale ha continuato aespandersi, seppure a ritmi leggermente più contenuti rispettoagli anni precedenti. Nel corso del 2003 il saldo annuale traiscrizioni e cessazioni di attività è stato pari a circa 94 milaimprese. Il numero di imprese attive nel 2003 ha quasi rag-giunto i 5 milioni: il 2 per cento in più rispetto all’anno prece-dente. Le regioni del Centro e del Mezzogiorno, continuano amostrare tassi di crescita dell’attività imprenditoriale nettasuperiori alla media nazionale.

Le condizioni di redditività delle imprese rimangonofavorevoli. Nel settore privato, nel decennio 1991-2001 laquota del capitale sul valore aggiunto è cresciuta in Italia a untasso superiore a quello registrato in Francia, in Spagna e inGermania. La quota dei profitti lordi, pur in una fase negativadel ciclo, nella distribuzione del valore aggiunto ha continua-to nel 2002 a mantenersi sul 42,8 per cento, valore storica-mente elevato che era stato raggiunto nel 2000 al culmine del-l’ultima fase espansiva. Questo andamento è dipeso da unaripresa dei margini di profitto in quasi tutti i settori e non dauna riallocazione settoriale verso comparti a più alta intensitàdi capitale. Secondo i conti dei settori istituzionali dell’Istat,nelle società non finanziarie la quota dei profitti sul valoreaggiunto è aumentata nel periodo 1990-2000 di più di duepunti; se si aggiungono gli altri introiti e si sottraggono glioneri finanziari e le imposte, l’incremento è di oltre sei puntipercentuali (cinque punti al netto degli ammortamenti).

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Le difficoltà delle piccole imprese ad espandere la loro attivitàe a competere si ritrovano anche nella redditività. Permane undivario di efficienza tra grandi e piccole imprese.

Sotto il profilo dimensionale, nel 2000 le imprese più pic-cole presentavano una quota di profitti pari a quasi la metàrispetto a quella delle grandi imprese (19,7 contro 39,5 percento). È noto come le piccole imprese abbiano un costo dellavoro più basso e oneri finanziari più elevati in connessionecon il più ampio grado di indebitamento. Il differenziale diredditività è da attribuirsi soprattutto ai modesti risultati in ter-mini di produttività del lavoro delle imprese di dimensioniminori. Dalla fine degli anni ottanta alla metà degli anninovanta il tasso di crescita medio annuo della produttivitàdelle grandi imprese manifatturiere, misurata dal valoreaggiunto per addetto a prezzi costanti, è stato quasi doppiorispetto a quello delle piccole imprese (3,9 contro 2,3 percento), presumibilmente a causa del diverso grado di utilizzodelle nuove tecnologie e della differente qualificazione mediadella forza lavoro.

Per superare le difficoltà dell’attuale contesto è necessa-rio rinsaldare la fiducia tra banche e famiglie e tra banche eimprese.

L’Italia possiede le risorse e le capacità necessarie pertrarre vantaggio dalla ripresa della domanda internazionale.Affinché esse possano essere messe a frutto, la politica eco-nomica deve essere diretta ad accrescere la produttività e lacompetitività del sistema economico. A tal fine, occorronointerventi in grado di favorire la crescita dimensionale delleimprese, l’impiego di nuove tecnologie e il rafforzamentodella capacità innovativa del sistema. A questi interventi deb-bono affiancarsi il potenziamento delle infrastrutture e unariforma della pubblica amministrazione che contribuiscano adaccrescere l’efficienza dell’apparato produttivo.

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Dott. Salvatore ROSSI,Capo del Servizio Studi della Banca d’Italia

LA CONGIUNTURA REALE NELL’ECONOMIAMONDIALE E IN ITALIA

1. Il diverso passo della crescita negli Stati Uniti e in Europa

Il mondo, sia quello sviluppato sia quello emergente, haconosciuto nel 2001 una pausa nella crescita economica; si èrimesso in cammino dal 2002; a metà dell’anno scorso hapreso un’andatura, se non di galoppo, almeno di trotto. Manon l’Europa. L’Europa cammina ancora a passo lento, perchéè appesantita da un bel po’ di sassi nelle tasche. Il più recentenel suo formarsi è l’apprezzamento dell’euro: un sasso abba-stanza pesante. Ci sono poi gravami più antichi: quelle rigiditàstrutturali su cui tanto è già stato detto e scritto, anche in que-sta sede; il ritardo nell’adozione e nello sfruttamento dellenuove tecnologie; fatti demografici ancor più di lungo perio-do.

Fra l’anno scorso e quest’anno, facendo riferimento perquest’anno alle più recenti previsioni del Fondo MonetarioInternazionale, l’economia americana viaggia a tassi in pro-gressione dal 3 al 4,5 per cento. Il Giappone procede a tassiintorno al 3 per cento, ed è anch’esso in accelerazione. L’Asiaemergente (la Cina, l’India, le Tigri Asiatiche, ecc.) si svilup-pa a ritmi vicini all’8 per cento, una velocità alta e costante.L’Europa, l’area dell’euro in particolare, l’anno scorso è quasirimasta ferma, avanzando di un modestissimo 0,4 per cento.Quest’anno il Fondo Monetario Internazionale la accredita diun tasso di crescita un po’ sotto il 2 per cento, ma previsioniancora più recenti si orientano al ribasso, verso l’1,5-1,7 percento. Un andamento molto lontano da quello americano,giapponese e del resto dell’Asia.

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Taluni sostengono che ad appesantire il cammino europeoverso la crescita economica vi sia, oltre ai gravami strutturaliprima ricordati, anche un problema di politica economica. Pervalutare la fondatezza e la rilevanza di questa proposizione,concentriamoci sul confronto Europa-Stati Uniti.

Nell’arco di tempo che va dal 2000 al 2003 si è aperto trale due aree un divario di crescita di 6 punti percentuali. NegliStati Uniti sono state prese in questi anni misure di politicaeconomica più aggressivamente espansive che in Europa: ilsaldo del bilancio pubblico è stato peggiorato, quindi mano-vrato in senso espansivo, di oltre 6 punti di PIL, muovendo daun avanzo di 1,4; in Europa di meno di 3 punti, muovendoperaltro non da un avanzo, ma da un saldo in equilibrio.Quanto alla politica monetaria, i tassi a breve negli Stati Unitinei tre anni dal 2000 al 2003 sono stati ribassati di 5,5 puntipercentuali, soltanto di 2,5 nell’area dell’euro. Anche in que-sto caso il livello iniziale era diverso, gli Stati Uniti partivanoda tassi di 2 punti più alti di quelli europei.

Quanto può spiegare del differenziale di crescita la diver-sa intensità della politica economica, di segno espansivo inentrambe le aree? Si possono tentare delle quantificazioniusando stime delle elasticità di entrambe le leve di politica eco-nomica. Le stime variano molto a seconda dei modelli che siusano, ma procedendo con larghe approssimazioni si puòragionevolmente affermare che circa 2 punti sui 6 del differen-ziale siano spiegabili con la diversa intensità delle politiche.Un altro punto è spiegabile con l’apprezzamento dell’euro e laconseguente perdita di competitività. Restano da motivare ben3 punti percentuali di minor crescita europea rispetto agli StatiUniti, metà del divario. Essi sono residualmente ascrivibili alladiversità delle condizioni strutturali nelle due aree.

Pur così ridimensionato, il deficit di crescita europeaattribuibile alla presunta “timidezza” della politica economicapotrebbe comunque essere giudicato un’occasione mancata.

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Vanno tuttavia attentamente vagliati due fatti, che contrastanoentrambi con questa tesi.

Da un lato, l’aggressività della politica economica perse-guita negli Stati Uniti trova forti ragioni negli shock straordi-nari che hanno colpito quell’economia più duramente di quan-to non abbiano fatto con l’economia europea: innanzitutto, labolla speculativa sul mercato azionario, più ampia e rischiosache da noi; poi, gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.

Dall’altro lato, i costi di medio-lungo periodo di questapolitica così aggressiva sono ancora tutti da accertare. Si pro-filano almeno due rischi a cui l’economia americana è espo-sta: 1) l’alto debito estero, spesso citato nella pubblicistica, sucui non mi diffonderò; 2) l’alto indebitamento delle famiglieamericane.

Su quest’ultimo punto, la Fig.1 mostra con chiarezza lostato delle cose. Nella parte alta della figura sono documenta-ti gli andamenti della ricchezza delle famiglie nelle due com-ponenti immobiliare e finanziaria. A seguito dello scoppiodella bolla speculativa azionaria il valore della ricchezzafinanziaria si è molto ridotto, mentre quello della ricchezzaimmobiliare sta salendo a forte velocità, tanto da alimentare lapreoccupazione che si stia formando negli Stati Uniti unanuova bolla speculativa, questa volta sul mercato immobilia-re. Ma l’evidenza più interessante è contenuta nella partebassa della Fig.1: vi è rappresentato il livello del debito finan-ziario delle famiglie (mutui ipotecari più credito al consumo)in rapporto al reddito disponibile; esso è giunto a sfiorare il110 per cento del reddito di un anno.

E’ l’onere del servizio di questo debito a porre unrischio macroeconomico, pur se la sua crescita si è fermatanegli ultimi anni grazie a tassi di interesse bassi e calanti: ipagamenti superano comunque il 13 per cento del redditodisponibile ormai da tre anni. C’è da chiedersi se e come

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possano cambiare i comportamenti delle famiglie america-ne di fronte a improvvisi mutamenti degli scenari attesi, peresempio se il mercato del lavoro non si riprendesse in mododuraturo, o in presenza di un deciso mutamento di imposta-zione della politica economica in senso restrittivo. Un para-cadute di cui le famiglie americane dispongono (a differen-za di quelle italiane, come vedremo poi) è che il grosso diquesto debito finanziario è a tasso fisso, quindi è relativa-mente al riparo da rialzi dei tassi di interesse. Tuttavia, peruna peculiarità istituzionale tutta americana, il rischio d’in-teresse sui mutui è integralmente in capo a due agenziefederali, il cui equilibrio finanziario è esposto a rischi disostenibilità che potrebbero avere anch’essi riflessimacroeconomici.

2. Il ritardo italiano

Se l’Europa cammina piano, l’Italia si è quasi fermata,dal quarto trimestre dell’anno scorso. Fino all’estate del 2003gli andamenti macroeconomici in Italia erano grosso modoallineati con quelli dell’Europa continentale, in particolare conquelli francese e tedesco. Nel quarto trimestre si è aperto undivario fra noi e il resto dell’area.

Nella Fig.2 si osserva l’andamento della produzioneindustriale, principale fra gli indicatori congiunturali.Nonostante la riduzione del peso dell’industria sul prodottocomplessivo, l’output industriale rimane il più efficace e tem-pestivo degli indicatori di ciclo economico in un paese avan-zato. La produzione industriale sembrava, la scorsa estate,finalmente in ripresa, ma ora sta piegando di nuovo. Anchel’ultimo dato, relativo al mese di marzo, stimato sulla base deiconsumi elettrici nella prima metà del mese, è in riduzione. Sela nostra stima fosse confermata, si tratterebbe della quartariduzione mensile di seguito, l’ottava se si parte dal picco diluglio dell’anno scorso.

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Un secondo segnale congiunturale poco entusiasmante èmostrato nella Fig.3, dove l’indicatore ciclico “coincidente”(cioè quello che registra il momento ciclico presente) vienemesso a confronto con l’indicatore “anticipatore” costruitodalla Banca d’Italia, che ha la proprietà di anticipare di cinqueo sei mesi l’andamento di quello coincidente. Gli ultimi datidisponibili dell’indicatore anticipatore a fine 2003 proiettanodi nuovo una fase ciclica di sostanziale stagnazione nel primosemestre di quest’anno.

Nell’intero anno 2004 il Fondo Monetario Internazionalee il Consensus (che raccoglie il grosso delle previsioni priva-te e ne fa la media), assegnano all’Italia un tasso di cresscitadell’1,4 per cento. Tuttavia, come è stato messo in evidenzanello scorso Bollettino economico del Servizio Studi dellaBanca d’Italia, le previsioni diffuse dai centri privati nei primigiorni di marzo puntano verso un tasso intorno all’1 per centoo anche meno. Esse tengono conto dell’ulteriore apprezza-mento dell’euro e dei risultati cattivi del quarto trimestre chenon erano probabilmente noti nel momento in cui le previsio-ni del Fondo Monetario Internazionale venivano formulate, infebbraio. Anche solo per registrare un 1 per cento di crescitadel PIL nella media del 2004 occorrerebbe che, dalla prima-vera, si osservassero tassi di crescita fra il 2 e il 2,5 per centoal trimestre in ragione d’anno, una performance decisamenteimpegnativa, ancorché non impossibile.

La domanda è: e la domanda? Cioè, c’è domanda abba-stanza, interna ed estera, per sostenere ritmi di crescita di que-sta portata nel prosieguo dell’anno?

Guardiamo brevemente alle tre grandi voci della doman-da aggregata, cominciando dai consumi. I consumi delle fami-glie nel 2003 sono cresciuti dell’1,3 per cento; previsioni coe-renti con una crescita del PIL dell’1 per cento quest’anno licollocherebbero su una dinamica di circa l’1,5 per cento. Iconsumi dipendono fondamentalmente dal reddito disponibile

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reale, che l’anno scorso è cresciuto di un punto. Tuttavia, die-tro quel risultato complessivo si nascondeva probabilmenteuna ridistribuzione tra fasce di reddito. Come è noto, la Bancad’Italia conduce ogni due anni una indagine sui redditi e sullaricchezza delle famiglie italiane basata su un campione alta-mente rappresentativo della popolazione. Dall’ultima indagi-ne, relativa all’anno 2002, i cui risultati stanno per essere dif-fusi, emerge che rispetto al 2000 i redditi delle famiglie aven-ti come capo famiglia un operaio o un impiegato hanno subi-to una perdita di reddito disponibile reale di un punto e mezzo.Hanno invece goduto di guadagni in termini reali, ancheingenti, altre fasce professionali come i lavoratori autonomi ei dirigenti.

L’andamento dei redditi, e l’impatto macroeconomicoche se ne può attendere, vanno valutati con cautela, guardan-do anche alla loro distribuzione. Permangono incertezze,soprattutto alla luce del dibattito ancora in corso sui disegniriformatori del sistema di welfare, che i consumatori possonotemere alterino il loro reddito permanente. Il clima di fiduciadelle famiglie italiane, rilevato dall’ISAE, resta orientato alpessimismo, come può vedersi dalla Fig.4, in controtendenzarispetto al resto d’Europa. Le tre componenti dell’indicatoremostrate nella parte bassa della figura (attese di aumento delladisoccupazione, convenienza attuale del risparmio e possibi-lità futura di risparmio) sono tutte in caduta, in particolare laterza. Si tratta evidentemente di un riflesso dei dissesti Cirio eParmalat.

A parziale consolazione, per chiudere il discorso sui con-sumi, va notato che le famiglie italiane sono ancora poco inde-bitate, pochissimo se il confronto viene fatto con gli StatiUniti, anche se l’indebitamento finanziario è in crescita. Illivello attuale si situa intorno al 24-25 per cento del PIL, moltolontano dai valori americani. Il fatto che i mutui ipotecari(parte prevalente di questo indebitamento crescente) siano,diversamente dal caso americano, in larghissima misura a

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tasso variabile può configurare un rischio macroeconomiconella prospettiva di un mutamento in senso restrittivo dellastance di politica monetaria.

Veniamo agli investimenti. L’anno scorso l’accumulazio-ne di capitale fisico è diminuita, per la prima volta dalla reces-sione del ’93. Gli investimenti in macchinari e attrezzaturesono caduti del 5 per cento. Grazie alla buona tenuta del set-tore delle costruzioni, stimolato dalla forte domanda di abita-zioni, la riduzione degli investimenti complessivi è stata con-tenuta in un 2 per cento.

Quest’anno la previsione coerente con uno sviluppo delPIL dell’1 per cento è di una modesta ripresa, dell’1 per centocirca, con le due componenti - costruzioni e macchine e attrez-zature - che tornano a bilanciarsi.

Desta preoccupazione il fatto che i margini di utilizzo dellacapacità produttiva siano bassi, come si vede dalla Fig.5, in par-ticolare nei settori esportatori. Questo non è un buon segnale,nella prospettiva di una ripresa del processo di accumulazione.

I profitti delle imprese si sono lievemente ridimensionatisia nel 2002 sia nel 2003, ma restano su livelli storicamente alti.Si è ridotto l’autofinanziamento; l’indebitamento finanziario èsalito portandosi in linea con quello dell’area dell’euro (Fig.6).

Le esportazioni sono la vera nota dolente del quadro italia-no. Nel 2003 sono cadute del 4 per cento circa; sono previsteaumentare del 3,5-4 per cento quest’anno, anche se proiezionipiù recenti tendono a rivedere al ribasso questa stima. Le quotedi mercato misurate a prezzi costanti sono scese al 3 per cento,un terzo in meno rispetto alla metà degli anni novanta. NellaFig.7 la quota del mercato mondiale coperta dalle esportazioniitaliane è messa a confronto con quelle tedesca e francese, deci-samente più alte e meno cedenti della nostra. Ad esempio, che

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la Germania abbia una quota pari a quattro volte la nostra nonsi giustifica in termini di dimensione relativa dei due paesi.

Un’altra cattiva notizia è riportata nella Tav.1: ad andareparticolarmente male sono state proprio le esportazioni deinostri settori di specializzazione: tessile e abbigliamento,cuoio e prodotti in cuoio, minerali non metalliferi (che inclu-dono, tra l’altro, le piastrelle), apparecchi elettrici e di preci-sione e i cosiddetti prodotti delle altre industrie manifatturiere(inclusi i mobili). Il nostro modello di specializzazione paredavvero entrato in crisi, a eccezione della meccanica.

3. Competitività e nuove tecnologie

Che cosa penalizza le nostre esportazioni? Un difetto dicompetitività in senso lato: competitività di prezzo, certamente,perché l’euro si è apprezzato. Ma l’euro si è apprezzato per tutti,anche per francesi e tedeschi che ne hanno risentito meno di noi.

La Tav.2 illustra bene la natura del problema. Nel 2003l’Italia, unico fra i quattro grandi paesi dell’area dell’euro incui il fenomeno si sia prodotto, ha visto cadere la produttivitàmedia del lavoro nel suo apparato produttivo. La riduzione diefficienza si è riflessa direttamente sul costo del lavoro perunità di prodotto, determinandone una dinamica fuori linearispetto a quella dei principali concorrenti. Una dinamica,quindi, che non può essere attribuita all’andamento dei reddi-ti: quest’ultimo, come si può vedere nella Tav.2, non appareinfatti disallineato rispetto agli altri paesi. Questo non è sor-prendente, visto che, esaminando la questione dal lato dei con-sumi, abbiamo notato come i redditi delle famiglie italianestentassero a progredire, segnatamente quelli di operai eimpiegati.

Pertanto, all’euro apprezzato si è aggiunto nel caso italia-no, a determinarvi una maggior perdita di competitività di

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prezzo, un divario nei costi unitari relativi. Hanno anche pre-sumibilmente giocato svantaggi nelle componenti non di prez-zo della competitività, ascrivibili in senso ampio ai difettistrutturali della nostra economia, a cui ha già fatto menzionechi mi ha preceduto.

Aggiungo solo che c’è ormai in Italia un nesso chiaro frastruttura economica e congiuntura. Intendo dire che nodi strut-turali antichi stanno venendo al pettine e, nello svelarsi,influenzano l’evoluzione congiunturale: le inadeguatezze distruttura rischiano di farci perdere il treno della ripresa inter-nazionale, che è partito.

E’ ineludibile una radicale riallocazione delle risorse pub-bliche. Il bilancio pubblico va modificato nella sua articola-zione. Bisogna reperire risorse, risparmiando sulla spesa cor-rente, per porre riparo alle inadeguatezze di fondo dell’econo-mia, in particolare per incentivare l’innovazione tecnologica el’adozione delle nuove tecnologie nella generalità delle impre-se italiane, di ogni dimensione, anche piccola. E poiché le pic-cole imprese presentano una difficoltà intrinseca a riorganiz-zarsi in funzione delle nuove tecnologie, bisogna al contempoincentivare la loro crescita dimensionale.

Più in generale occorre far ripartire l’accumulazione dicapitale, sia fisico, segnatamente tecnologico, sia umano, siaanche organizzativo. Va cioè stimolata la capacità delle impre-se di riorganizzarsi per farsi permeare da questa autenticarivoluzione industriale, basata sulle tecnologie dell’informa-zione e della comunicazione, che è in atto nel resto del mondo,specialmente negli Stati Uniti d’America e in Asia. Ne abbia-mo diffusamente parlato l’anno scorso in questa stessa sede,anche perché era fresca di stampa una ricerca condotta sultema nel Servizio Studi della Banca d’Italia.

Occorre un rilancio e un riordinamento dell’azione dipolitica economica.

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Fig. 1

Condizioni patrimoniali delle famiglie statunitensi(dati trimestrali di fine periodo; in percentuale del reddito disponibile)

Fonte: Riserva federale.(1) Scala di sinistra. – (2) Per il reddito disponibile si è usata la media mobile dei 4 trimestri terminanti in quelloindicato. – (3) Scala di destra.

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Indice generale

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Prof. Marco LOSSANI,Associato di Economia Politica nell’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Milano

LE ECONOMIE DEI PAESI DELL’ACCESSO ELE PROSPETTIVE PER IL REGIME DI CAMBIO

Introduzione

Il 1 Maggio 2004 verrà definitivamente completata l’ulti-ma fase del processo di allargamento dell’Unione Europea(UE). Otto paesi dell’Europa centro-orientale (PECO)(Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca,Slovacchia, Ungheria e Slovenia) e due paesi dell’area medi-terranea (Malta e Cipro) entreranno a pieno titolo a far partedella UE. A seguito dell’allargamento si verrà a creare un mer-cato interno con 450 milioni di cittadini che contribuirà perquasi il 25% alla formazione del Pil mondiale e conterà per il18% del commercio mondiale di beni.

Nonostante la dimensione della loro popolazione (oltre70 milioni di abitanti), i paesi dell’area centro orientale hannoun peso economico modesto: il reddito aggregato da loro pro-dotto ammonta a meno del 7% del Pil della UE 15. Tuttavia,la loro entrata provocherà conseguenze rilevanti sul funziona-mento della stessa UE (Tab.1), dovute essenzialmente alloscarso grado di sviluppo economico – il loro PIL pro-capitemedio si aggira attorno al 40% di quello medio della UE 15–unito al peso ancora notevole giocato dal settore agricolo – lamanodopera impiegata in agricoltura rappresenta una quotacompresa tra il 5 e il 10% della forza lavoro in quasi tutti ipaesi – e alla crescente interdipendenza sul piano commercia-le e finanziario – come testimoniato dai volumi crescenti diimport-export (sia di beni, che di servizi che di capitali) tra ledue aree. Peraltro il processo di allargamento potrebbe pro-durre conseguenze degne di nota anche per il funzionamentodell’Unione Monetaria Europea (UME), per via della revisio-

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ne dell’architettura istituzionale resa necessaria dal maggiornumero di paesi che entro pochi anni potrebbero essere mem-bri dell’UME; e anche in conseguenza del funzionamento del-l’accordo di cambio SME II in presenza di notevoli afflussi dihot money verso le regioni centro-orientali.

In questo breve intervento ci proponiamo di illustrare leorigini, le pre-condizioni e le conseguenze del processo diallargamento attualmente in corso - concentrando la nostraattenzione sulle prospettive per il regime di cambio vigente tragli 8 paesi dell’area centro-orientale e il resto della UE 15.

Tab. 1 L’Unione Europea prima e dopo l’allargamento

EU 15 EU 25Popolazione (mil.) 379 455PIL (mld. Euro) 8.827 9.576PIL pro-capite (Euro) 24.100 21.100Commercio estero (mld. Euro) 1.977 1.799Grado di apertura al commercio 28,6% 26,9%estero (% del Pil UE)Quota % del commercio mondiale di beni 19,4% 17,7%

1. La transizione verso la UELa Comunità Economica Europea viene istituita nel 1958

da 6 Stati membri aventi allora 170 milioni di abitanti. Adistanza di 45 anni l’Unione Europea si appresta ad esserecostituita da 25 Stati nazione aventi nel complesso una popo-lazione di oltre 450 milioni di abitanti. La realizzazione di unmercato unico di dimensioni maggiori di quello statunitensecostituisce il punto di arrivo di un processo di integrazione chedopo aver portato la Comunità ad espandersi sia verso Nord –con l’adesione nel 1973 di Irlanda, Regno Unito e Danimarca– che verso Sud – con l’allargamento nel corso degli anni ’80verso Spagna Portogallo e Grecia – ha interessato i paesidell’Europa Centro-Orientale, a partire dalla caduta del Murodi Berlino.

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Le fondamenta di questo processo di ulteriore amplia-mento vengono poste al Consiglio di Copenhagen del 1993 –in occasione del quale sono definite le condizioni politiche,giuridiche ed economiche, che i paesi candidati devono soddi-sfare per potere entrare a far parte della UE - e sono ulterior-mente rafforzate in occasione del Consiglio di Essen alla finedel 1994 - quando viene ufficializzata la strategia di pre-ade-sione basata sui cosiddetti Accordi Europei (EuropeanAgreements). Tali Accordi forniscono il quadro di riferimentolegale entro cui vengono avviate le relazioni bilaterali tra ognisingolo paese candidato e l’Unione Europea riguardanti aspet-ti commerciali, industriali e doganali. Mediante gli EuropeanAgreements si pongono inoltre i presupposti per la costituzio-ne di un’area di libero scambio1 e per l’adozione di una legi-slazione simile a quella comunitaria all’interno dei paesi can-didati. Al fine di favorire il raggiungimento di questi obiettiviviene contemporaneamente definito un programma di assi-stenza finanziaria dedicato alla erogazione di fondi a vantag-gio dei paesi candidati2 e viene assunto l’impegno a mantene-re vivo un dialogo strutturato tra le parti. Al termine del 1997in occasione del Consiglio di Lussemburgo viene rafforzata lastrategia di pre-adesione con riferimento a 6 degli attuali 10paesi candidati, senza però precludere la possibilità che altripaesi – come in effetti è stato - possano successivamenteavanzare la loro candidatura. Nel dicembre del 2002 - in occa-sione del Summit di Copenhagen - il Consiglio Europeo chiu-de le negoziazioni con i paesi candidati e dà l’avvio alla ulti-ma fase dell’allargamento.

1.1 La condizionalità dell’UENel Consiglio di Copenhagen del giugno 1993 gli Stati

1 La costituenda area di libero scambio è caratterizzata dall’adozione del principiodi reciprocità in presenza di trattamento asimmetrico; in altri termini, l’UnioneEuropea realizza la liberalizzazione commerciale più velocemente di quanto nonfacciano i PECO.2 Tale programma di assistenza finanziaria viene definito in occasione del Consigliodi Berlino del 1999.

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allora membri della Comunità hanno definito i criteri (di carat-tere politico, giuridico ed economico) utilizzati nel processo diselezione dei paesi che nel corso degli anni hanno presentatoformale richiesta di adesione all’Unione Europea.

Secondo i criteri di condizionalità politica, un paese can-didato può entrare a far parte della UE solo dopo aver costi-tuito delle istituzioni democratiche stabili che garantiscanol’applicazione della legge, il rispetto dei diritti umani e civilinonché la tutela delle minoranze. Secondo i criteri della con-dizionalità comunitaria, un paese candidato può entrare a farparte della UE qualora abbia dimostrato la capacità di recepi-re l’acquis comunitario, vale a dire l’insieme di regole enorme che i paesi membri della Comunità si sono dati a parti-re dalla sua costituzione. Infine, secondo i criteri della condi-zionalità economica, un paese candidato può entrare a farparte della UE qualora abbia trasformato il sistema economi-co pianificato in una economia di mercato in grado di resiste-re alle pressioni competitive provenienti dal resto della UE

A partire dal 1997, la Commissione ha consideratoannualmente i progressi realizzati dai paesi candidati in que-sti tre diversi ambiti. In particolare, la Commissione ha valu-tato il rispetto della condizionalità economica analizzando losviluppo di un’economia di mercato attraverso il monitorag-gio dei progressi realizzati in tema di liberalizzazione delsistema dei prezzi, raggiungimento di una condizione di stabi-lità macroeconomica, adeguato sviluppo dei sistemi finanzia-ri, assenza di barriere all’entrata e all’uscita e presenza di unsistema di diritti di proprietà in grado di garantire l’applica-zione e il rispetto dei contratti. Per quanto concerne invece iprogressi realizzati sul fronte della capacità di resistenza apressioni competitive, la Commissione ha concentrato la suaattenzione sulla presenza di un adeguato stock di capitale (siafisico che umano) oltre che di capitale fisso sociale (infra-strutture utili per il mantenimento nel tempo di un processo disviluppo), sull’intensità dell’intervento di organismi statali

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all’interno dei sistemi economici e sul grado d’integrazionecommerciale con il resto dei paesi della UE.

1.2. La situazione economica nei PECO in prossimità del-l’allargamento

La Commissione ha prodotto nello scorso mese dinovembre una valutazione ufficiale sullo stato della conver-genza. Sotto il profilo politico l’unico paese che risulta attual-mente ancora deviante rispetto agli standard dell’Unione è laTurchia; al contrario sotto il profilo della condizionalità comu-nitaria la Commissione ha evidenziato dei progressi importan-ti per tutti e 10 i paesi candidati tali da garantire il recepi-mento di tutti gli obblighi derivanti dall’acquis comunitarioentro la data di avvio del processo di allargamento. Un giudi-zio simile è stato prodotto con riferimento ai criteri di condi-zionalità economica. Secondo il rapporto stilato dallaCommissione Cipro e Malta erano già in grado di soddisfare irequisiti economici più di un anno fa. Gli altri 8 paesi candi-dati (tutti i PECO) sono invece stati giudicati delle economiedi mercato che saranno pronte a resistere alla pressione com-petitiva della UE a partire dal 2004, a condizione che le rifor-me attualmente in corso di svolgimento al loro interno venga-no mantenute in vita con intensità adeguata. Sulla base di que-ste considerazioni la Commissione ha ritenuto opportuno rac-comandare il completamento delle negoziazioni per l’adesio-ne alla UE per tutti e 10 i paesi candidati3.

La convergenza economica secondo i criteri previsti dalTrattato di Copenhagen è stata raggiunta al termine di una fasedi transizione alquanto rapida, avviata all’indomani del crollodei regimi socialisti e comunisti con l’obiettivo di trasformare3 Per Bulgaria e Romania – che hanno già presentato domanda di adesione – l’en-trata nella UE dovrebbe avvenire non prima del 2007, in quanto non sono ritenuteattualmente in grado di soddisfare i requisiti di condizionalità economica previstidal Trattato di Copenhaghen. A questi paesi va aggiunta la Croazia che – una voltasuperate alcune difficoltà di carattere politico – entrerà probabilmente a far partedella UE.

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in un lasso di tempo relativamente breve le precedenti econo-mie pianificate in economie di mercato.

La transizione è stata caratterizzata da riforme di caratte-re macroeconomico, aventi l’obiettivo di garantire una condi-zione di stabilità macro – rappresentata dal conseguimento diun tasso di inflazione basso e stabile e da una situazione difinanza pubblica equilibrata – raggiunta anche attraverso l’a-dozione (almeno nel corso dei primi anni) di un regime dicambio fisso. Al tempo stesso sono state introdotte riforme dicarattere microeconomico e commerciale, volte sia a liberaliz-zare il sistema dei prezzi 4 che a favorire – anche attraverso unmaggior grado d’integrazione commerciale con il resto delmondo - un aumento del grado di concorrenza e un incremen-to del peso del settore privato nel sistema economico.L’introduzione delle riforme ha inizialmente causato un consi-stente calo dei livelli di attività economica con una significa-tiva riduzione dell’output e con un deciso aumento delladisoccupazione – il cui costo è stato in parte attenuato dallaintroduzione di sussidi di disoccupazione e di schemi di ero-gazione di benefici sociali di varia natura - che si è talvoltaaccompagnata ad una notevole accelerazione del processoinflazionistico.

A distanza di poco più di 10 anni dall’inizio del processodi transizione il bilancio è sostanzialmente positivo. In tutte leeconomie il settore privato concorre per più del 50% alla for-mazione del reddito nazionale, a seguito di un intenso proces-so di privatizzazione che ha interessato praticamente i settoriproduttivi di quasi tutte le economie considerate5. La privatiz-zazione ha riguardato non solo il settore industriale e delladistribuzione ma anche quello della intermediazione finanzia-

4 Con la eccezione di alcuni prezzi come quello dell’energia, delle abitazioni e – intaluni casi – del fattore lavoro.5 Ad eccezione di quello agricolo e siderurgico polacco. Un discorso a parte meri-ta la Romania ove il processo di privatizzazione è stato assai contenuto in tutti i set-tori.

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ria, che ha contestualmente raggiunto un discreto grado di effi-cienza e di stabilità. Il vecchio sistema “monobanca” fondatosu di una singola banca statale che svolgeva al tempo stesso lafunzione di banca centrale e di banca commerciale e di inve-stimento è stato smantellato per lasciare al posto a una rete dibanche private spesso controllate da capitale estero, dopo unintenso processo di privatizzazione.

Dopo l’iniziale fase recessiva ha preso l’avvio – nellaseconda metà degli anni ’90 - un processo di crescita sostenu-ta e mediamente superiore a quella registrata nell’area UE 15- UME (Graf.1). La crescita – che ha favorito una consistenteriduzione del peso del settore agricolo (espresso sia in terminidi occupati che di contributo alla produzione di valore aggiun-to) - ha portato il reddito medio pro-capite dei paesi candidati(espresso in Purchasing Power Standards) quasi al 40% dellamedia UE6- che tuttavia rimane ancora inferiore al livello pre-valente prima della caduta del muro di Berlino e dell’iniziodella fase di transizione.

Contemporaneamente l’inflazione - benchè ancora supe-riore al resto dell’UE - si è sensibilmente ridotta. Dopo i primianni di regime quasi iperinflazionistico (in Polonia nei primianni di transizione venne registrata un’inflazione superiore al200%, mentre nelle tre repubbliche baltiche si arrivò ad untasso di crescita dei prezzi superiore al 100%), la dinamica dellivello generale dei prezzi è sensibilmente rallentata graziealla adesione ad un regime di cambio fisso cui ha fatto segui-to la diffusa istituzione di banche centrali indipendenti. Negliultimi anni si è così assistito all’abbandono di regimi di peg-ging del cambio - necessario per impedire una ampia e diffu-sa sopravvalutazione del tasso di cambio reale dovuta alla fis-sità del cambio nominale in presenza di inflazione elevata, conricadute negative per il saldo di bilancia dei pagamenti - e alla

6 Ricorrendo ad una comparazione basata sui tassi di cambio correnti il divariorisulta ovviamente assai maggiore.

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esplicita adozione di una strategia di inflation targeting –necessaria per fornire un’ancora nominale alla politica mone-taria 7.

La credibilità e la sostenibilità nel tempo di questo nuovoframework monetario dipendono anche dall’evoluzione dellapolitica fiscale, che negli ultimi anni è stata caratterizzata daun deterioramento dei conti pubblici (Graf. 2) che potrebbecondurre verso una situazione di dominanza fiscale (tale daimpedire il raggiungimento del target inflazionistico). IPECO dovranno infatti contribuire al bilancio comunitario masoprattutto dovranno adeguare buona parte delle loro infra-strutture (non solo legali, ma anche fisiche) per recepire l’ac-quis communautair8. Inoltre andrebbero considerate anche lespese una tantum necessarie per sostenere il processo diristrutturazione del sistema industriale e bancario e la cronicaincapacità di gestire in modo efficiente la raccolta del prelie-vo fiscale. Tuttavia su questo scenario agisce in controtenden-za la percezione che questi squilibri siano temporanei, sia per-ché vi è un (apparente) forte impegno a realizzare il consoli-damento fiscale per convergere verso l’UME sia perché moltedelle spese correnti sono il frutto di garanzie implicite passatefornite dal governo. Inoltre non andrebbe neppure dimentica-to il possibile apporto fornito dal “dividendo fiscale“ - deri-vante dall’accelerazione del tasso di crescita provocato pro-prio dalla partecipazione all’UE.

La crescita cum disinflazione si è però accompagnata asquilibri crescenti nei conti con l’estero. Diversi PECO hannoinfatti registrato disavanzi di parte corrente, dovuti al basso

7 In alternativa sarebbe stato ovviamente possibile adottare un target monetario.Tuttavia il classico problema dell’instabilità della domanda di moneta sembra esse-re particolarmente accentuato in queste economie (per via della rapida evoluzioneconosciuta dai mercati e dagli strumenti finanziari, cui si aggiungono i problemiposti dagli shock al lato dei prezzi, indotti dal processo di liberalizzazione). Diconseguenza, la scelta è caduta su un target inflazionistico.8 Secondo stime dovute a Von Hagen e Zu il costo di tale adeguamento potrebbedeterminare un aumento del disavanzo fiscale di questi paesi di 3-4 punti di Pil.

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tasso di risparmio domestico e all’elevata attività di investi-mento. D’altro canto le buone prospettive di crescita e lemodalità di finanziamento sinora realizzatesi – attraverso lamanifestazione di afflussi di capitale non volatili come gliInvestimenti Diretti Esteri – hanno concorso per il momentoad attenuare le preoccupazioni emerse sul fronte della sosteni-bilità intertemporale dei conti con l’estero di questi paesi.

Nel complesso, l’aspettativa è che per i PECO l’allarga-mento costituisca un fenomeno analogo a quello che caratte-rizzò diverse nazioni europee all’indomani della loro entratanella Comunità Economica Europea e che produsse l’avvio diun vero e proprio processo di catching up9. In effetti la visio-ne di consenso per il futuro più immediato è caratterizzata dauna intonazione sostanzialmente positiva. Nei PECO la fasedi crescita dovrebbe conoscere un’ulteriore accelerazione,nonostante il basso profilo ciclico seguito dalla UE. In parti-colare, si prospetta un andamento differenziato tra due diversigruppi di paesi: da un lato le Repubbliche Baltiche con unacrescita attesa superiore al 5,5%; dall’altro i rimanenti 7 paesicon performance mediamente positive, ma abbastanza varie-gate tra loro.

2 Le possibili conseguenze dell’allargamento per l’areaUE-UME: la scelta del regime di cambio

Le conseguenze maggiori dell’allargamento non riguar-dano certamente la dinamica del reddito dell’area UE 15. Lestime prodotte dai principali istituti di ricerca mostrano chel’allargamento comporterà un incremento del reddito UE 15inferiore ad un punto percentuale entro la fine del decennio,riconducibile ai benefici indotti dalla maggiore integrazione

9 Basterà ricordare a tale proposito che nel giro di soli 15 anni il Portogallo e laSpagna incrementarono il proprio reddito pro-capite rispettivamente dal 55 al75% e dal 75 all’85% di quello medio UE; nello stesso lasso di tempo l’Irlanda riu-scì a realizzare un miglioramento ancor maggiore, con un incremento del proprioreddito pro-capite dal 70 a al 120% di quello medio comunitario.

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commerciale (+0,1%), dalla maggior disponibilità di forzalavoro (nonostante le limitazioni previste dai regimi transitori,+0,3%) e dalla maggior spesa per consumi favorita dalla ridu-zione dei prezzi generata dalla riduzione dei mark-up conse-guente la maggior concorrenza (+0,3%)10. Da questo punto divista l’impatto dell’allargamento è quindi quasi nullo: unrisultato che costituisce un elemento di sostanziale differenzarispetto a quanto accaduto in occasione dei precedenti episodidi allargamento, compreso quello verso Sud - quando entraro-no nella UE in rapida successione Grecia, Portogallo eSpagna.

Nonostante ciò, l’allargamento comporterà vaste eprofonde conseguenze in molte aree di attività UE e, in pro-spettiva, persino per l’UME. Non è questa la sede utile peranalizzare in dettaglio i diversi ambiti di attività comunitariache saranno influenzati dalla entrata dei PECO nella UE. Intermini estremamente sintetici è sufficiente ricordare che l’al-largamento provocherà conseguenze degne di nota sui flussicommerciali e su quelli migratori (una volta terminati i cosid-detti regimi transitori), sull’intensità e la tipologia diInvestimenti Diretti Esteri, sui processi di delocalizzazionedell’attività produttiva intrapresi dalle imprese multinazionalidelle regioni più avanzate della UE 15; e ancora sul funziona-mento della Politica Agricola Comunitaria e sulla gestione deifondi comunitari.

Oltre a questi effetti il processo di allargamento potrebbeavere influenze di non poco conto anche per quanto riguardail funzionamento e le caratteristiche dell’UME.

Quasi tutti i PECO hanno già annunciato l’intenzione diaderire allo SME II entro tempi relativamente brevi.Considerando che alcuni di questi paesi hanno ancora un regi-me di libera fluttuazione del tasso di cambio, tale annuncio10 Al più l’allargamento potrebbe stimolare la crescita UE attraverso l’accelerazio-ne dei processi di riforma del mercato del lavoro e di quello dei beni.

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costituisce un inequivocabile segnale della volontà di entrarea far parte dell’UME in tempi altrettanto brevi. In effetti moltidei PECO hanno dichiarato – in modo più o meno ufficiale -che dopo aver aderito all’accordo di cambio intendono entra-re rapidamente all’interno dell’UME (vedasi Tab.2).

Per poter realizzare questo obiettivo i paesi candidatidevono essere in condizione di rispettare gli indicatori di con-vergenza di Maastricht entro la fine del 2005 - per consentir-ne la verifica durante il 2006, al fine di poter essere ammessinell’Unione Monetaria entro l’inizio del 2007. In altre paroleviene richiesto che – nell’arco di un paio di anni - anche iPECO siano in grado di produrre una situazione di stabilitàmacroeconomica caratterizzata da inflazione al consumo e datassi di interesse a lungo termine bassi, stabili e simili a quel-li realizzati nell’area EURO e da una conduzione ordinatadella politica fiscale tale da soddisfare gli indicatori definiti intermini di rapporti deficit pubblico/PIL e debito pubblico/PIL.

Tab.2 Tempi di adesione prevista allo SME II e all’UME

Paese Adesione prevista SME II Adesione prevista UMECipro Non dichiarata 2007Rep.Ceca Condizionale alla 2009-2010

convergenzaEstonia Maggio 2004 Giugno 2006Ungheria Condizionale alla Gennaio 2008

convergenzaLettonia Gennaio 2005 Gennaio 2008Lituania Non dichiarata Gennaio 2007 Malta Maggio 2004 Condizionale alla

convergenzaPolonia Non dichiarata 2008- 2009Slovacchia Non dichiarata 2008-2009Slovenia 2005 Non dichiarata

Un rapido esame dello scenario macroeconomico di que-sti paesi (cfr. Tab.3) mostra come al momento attuale solo letre piccole Repubbliche Baltiche siano in grado di entrare

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nell’UME in tempi così brevi. Per gli altri paesi emergonodelle difficoltà, soprattutto una volta che si è preso in consi-derazione l’andamento del deficit pubblico.

Tab.3: Indicatori di convergenza di Maaastricht (anno 2003)

Paese Inflazione Tassi di Deficit Debitointeresse a pubblico/PIL pubblico/PIL

lunga

Rep.Ceca 0.0 4.6 8.0 30.7Estonia 1.6 n.d. 0.0 5.4Ungheria 4.6 8.9 5.4 57.9Lettonia 2.5 5.4 2.7 16.7Lituania -0.9 5.0 2.6 23.3Polonia 0.7 6.8 4.3 45.1Slovacchia 8.5 5.2 5.1 45.1Slovenia 5.9 4.1 2.2 27.4Valore di riferimento 2.7 6.2 3.0 60.0

Pur valutando che – come già anticipato nella sezioneprecedente – in termini prospettici la situazione potrebbe radi-calmente migliorare, è evidente che su questo fronte diversipaesi debbano ancora compiere degli sforzi non indifferenti11:un problema di cui è sicuramente consapevole il mercatofinanziario, che nel corso degli ultimi mesi ha iniziato a scon-tare anche nei prezzi delle attività finanziarie una partecipa-zione all’UME ritardata.

Anche qualora solo pochi – nonché piccoli - paesi riesca-no ad entrare nell’UME già nel 2007, rimangono diverse que-stioni rilevanti sul tappeto. In particolare non va sottovalutatoil problema riguardante la scelta del regime di cambio utiliz-zato durante la fase di transizione che comunque – indipen-

11 Va sottolineato che nonostante le crescenti difficoltà interne all’area EURO spe-rimentate dal Patto per la Stabilità e la Crescita, la Commissione Europea e la stes-sa BCE non sembrano assolutamente disposte a derogare sul rispetto degli indica-tori di convergenza fiscale. Ciò pone evidentemente seri dubbi su una rapida par-tecipazione all’EMU di paesi quali la Repubblica Ceca e la Polonia.

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dentemente dalla sua lunghezza – caratterizzerà il processo diadesione all’UME. Esiste infatti la concreta possibilità cheuna scelta inadeguata determini situazioni di instabilità valu-taria e bancaria, con ricadute negative non solo per i PECO maper gli stessi paesi dell’area UME.

Alla base di questo scenario vi è la fondata possibilità chenei prossimi anni gli afflussi di capitali all’interno dei PECOcresceranno ulteriormente. Le stime più recenti fornitedall’IIF mostrano inequivocabilmente un cospicuo aumentoatteso sia degli Investimenti Diretti Esteri – che saranno sem-pre di più del tipo market seeking, in quanto attirati dallapotenziale crescita dei PECO – che soprattutto dei flussi diHot Money – attirati dal convergence play generato dalla pos-sibile partecipazione all’UME, sulla falsariga di quanto giàaccaduto alcuni anni orsono in occasione dell’entrata dellaGrecia nell’UME.

Le aspettative di cambio stabile e di convergenza dei tassidi interesse nei paesi PECO verso il più basso livello dei tassinell’area Euro, potrebbero infatti determinare ingenti afflussidi capitale12 – per lo più attraverso il canale bancario - di natu-ra speculativa, che costituiscono la tipica pre-condizione allabase di un lending boom.

L’assoluta centralità del settore bancario e la potenzialeforte crescita futura dell’intermediazione finanziaria – lega-ta all’eventuale processo di catching up – pongono più chemai in evidenza la questione della stabilità finanziaria edelle istituzioni preposte a garantirne il raggiungimento.Inoltre il mantenimento della stabilità finanziaria all’internodi queste economie diventerà una questione tanto più rile-vante quanto più intenso e rapido sarà il processo di integra-

12 Begg, D. et al. (2003), Sustainable Regimes of Capital Movements in AccessionCountries, CEPR Policy Paper no.10, CEPR, Londra, contiene un’accurata descri-zione di questo scenario.

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zione monetaria con l’area EMU13.

Infatti, in assenza di un adeguato sistema di supervisione e diregolazione prudenziale, le banche dei PECO saranno forte-mente incentivate ad accrescere la quantità – a scapito dellaqualità - del credito erogato14. Inizialmente tale situazionefavorirebbe un surriscaldamento dei sistemi economici inte-ressati, con crescenti difficoltà nel conseguimento dell’obiet-tivo inflazionistico; successivamente la stessa situazionepotrebbe degenerare in una crisi bancaria determinata da uncospicuo incremento dei crediti inesigibili, unitamente –secondo il più classico degli schemi di twin crises – ad unacrisi valutaria15.

La scelta del regime di cambio diventa perciò cruciale. Inassenza di adeguata flessibilità del tasso di cambio il lendingboom potrebbe infatti determinare un deciso incremento del-l’inflazione – su cui peraltro agisce anche l’effetto BalassaSamuelson, che secondo diversi studi contribuirà in ragione di1-2 punti percentuali alla crescita del livello dei prezzi di que-sti paesi16 - impedendo il conseguimento dell’obiettivo infla-

13 In quasi tutte le economie in transizione i sistemi finanziari sono ancora caratte-rizzati da massiccia presenza di banche, per lo più di proprietà estera (come inBulgaria, Repubblica Ceca ed Estonia) e da un limitato grado di liquidità. I mer-cati azionari sono ancora poco o per nulla sviluppati. L’insieme di tutto ciò com-porta una elevata dipendenza da banche estere e dal mercato internazionale deicapitali per quanto concerne l’attività di finanziamento delle maggiori impresenazionali. 14 A titolo di esempio si può considerare il caso delle Repubbliche Baltiche ove lanotevole crescita del Pil si è accompagnata negli ultimi tempi ad una fortissima cre-scita (superiore al 40% nel corso del 2003) dei prestiti bancari, che pone qualchedubbio sulla qualità di tali prestiti e quindi sulla concreta possibilità di una crisibancaria che potrebbe successivamente generare tensioni valutarie.15 Il riferimento a quanto accaduto in occasione della crisi asiatica è più che evidente.16 Seguendo il contributo di Balassa e Samuelson diversi economisti hanno sotto-lineato la necessità di un apprezzamento in termini reali del tasso di cambio dellevalute dei PECO al fine di accomodare le conseguenze della maggior crescita sbi-lanciata verso la produzione di beni tradable. In assenza di flessibilità del cambionominale, l’apprezzamento reale richiede necessariamente una maggior inflazionerispetto all’area dell’Euro, che compromette il rispetto del requisito di convergen-za definito in termini di crescita del livello dei prezzi al consumo.

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zionistico contemplato dal Trattato di Maastricht. Il mancatorispetto dell’indicatore di convergenza potrebbe scatenare unacrisi di fiducia da parte del mercato nei confronti dei paesiconsiderati indisciplinati. Si verrebbe così a manifestare uncapital reversal che indurrebbe con ogni probabilità una crisibancaria - che anticiperebbe o si accompagnerebbe ad unacrisi valutaria. Per di più la crescente integrazione dei merca-ti finanziari faciliterebbe la diffusione di una situazione criti-ca anche all’interno delle regioni occidentali, aumentando ilrischio di fenomeni di contagio.

Come limitare la probabilità di realizzazione di questoscenario? La letteratura ha evidenziato diverse possibili vied’uscita17. Il punto in comune di tutte queste proposte è rap-presentato dall’adozione di un regime di cambio differente daquanto sinora previsto dai Trattati comunitari. Tuttavia, opta-re per un nuovo regime di cambio costituisce una decisionepiù semplice a dirsi che a farsi, almeno in tempi relativamen-te brevi, in quanto richiede l’espletamento del difficile e lungoiter di procedure richieste per emendare un qualsiasi puntocontenuto in un Trattato comunitario. In attesa che ciò vengarealizzato (e indipendentemente dalla decisione finale cheverrà presa) diventa quindi più che mai necessario avviare ilprocesso di rafforzamento delle istituzioni preposte allo svol-gimento delle attività di supervisione e di regolazione delsistema bancario-finanziario nei PECO, al fine di contenere ilrischio di fenomeni che potrebbero rapidamente condurre asituazioni di instabilità finanziaria diffuse all’intera UnioneEuropea allargata.

17 Per una rassegna delle principali proposte sul tema - tra le quali spiccano l’a-dozione unilaterale dell’Euro da parte dei PECO o l’ampliamento delle bande difluttuazione consentite dalla SME II - si rimanda ancora al contributo di Begg et al.(2003), op.cit..

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PUBBLICAZIONI A CURA DELL’ASSOCIAZIONEPER LO SVILUPPO DEGLI STUDI DI BANCA E BORSA

A stampaLA RIFORMA STRALCIO DELLA SOCIETÀ PER AZIONI E LA PICCOLA RIFORMADELLA BORSA VALORI, Ed. Vita e Pensiero, 1975.IL MARKETING BANCARIO, a cura di E.T. Brioschi, Ed. Vita e Pensiero, 1977.MONETA E POLITICA MONETARIA IN ITALIA, a cura di P. Ranci, Ed. Vita e PEnsiero,1977.LE OPERAZIONI BANCARIE, a cura di G. B. Portale, Ed. Giuffrè 1978.I TITOLI DI CREDITO, a cura di G.L. Pellizzi, Ed. Giuffrè, 1980.LA RESPONSABILITÀ PENALE DELL’OPERATORE BANCARIO, a cura di M. Romano,Ed. Il Mulino, 1980.ANALISI DELLE SERIE STORICHE, a cura di L. Santamaria, Ed. Il Mulino, 1981.CONGIUNTURA E POLITICA MONETARIA, a cura di G. vaciago, Ed. Il Mulino, 1981.RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE, E NUOVI STRUMENTI DI RICORSO ALMERCATO, a cura di Giuseppe B. Portale, Ed. Giuffrè, 1983.STRATEGIA E ORGANIZZAZIONE NELLE AZIENDE DI CREDITO, a cura di A.Balossino, G. Di Stefano, A. Fusconi, P. Genoni, Ed. Franco Angeli, 1983.ORGANIZZAZIONE ED EFFICIENZA NELLE AZIENDE DI CREDITO, a cura di A.Fusconi, Ed. Franco Angeli, 1985LA LEGGE 216 DIECI ANNI DOPO: ASPETTI SOCIETARI, a cura di G.E. Colombo, F.Cesarini, Ed. Giuffrè, 1985.CRISI DI IMPRESA E AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA, a cura di M. Cattaneo, F.Cesarini, A. Provasoli, B. Quatraro, Ed. Giuffrè, 1986.GLI IMPEGNI E RISCHI DELL’IMPRESA BANCARIA: PROFILI CONTABILI E GIU-RIDICI, a cura di S. De Angeli, Ed. Franco Angeli, 1986.LA GESTIONE DELLA FUNZIONE FINANZIARIA NELLE AZIENDE DI CREDITO: IPROFILI TECNICI E DI SVILUPPO ORGANIZZATIVO, a cura di A. Fusconi, APatarnello, Ed. Franco Angeli, 1989.LE DIRETTIVE DELLA C.E.E. IN MATERIA BANCARIA, a cura di F. Cesarini, S. ScottiCamuzzi, Ed. Giuffrè, 1991.INTERMEDIARI E MERCATI FINANZIARI IN FRANCIA, a cura di M. Anolli, A.Patarnello, Ed. Il Mulino, 1991.IL SISTEMA FINANZIARIO TEDESCO, a cura di A. Banfi, R. Locatelli, C. Schena, Ed. IlMulino, 1991.IL SISTEMA FINANZIARIO DEL REGNO UNITO E LA CONCORRENZA NEL RETAILBANKING, a cura di M.L. Di Battista, Ed. Il Mulino, 1992.IL SISTEMA BANCARIO SPAGNOLO E L’INTEGRAZIONE EUROPEA, a cura di A.Barzaghi, Ed. Il Mulino, 1993.TENDENZE E PROSPETTIVE DELLA RACCOLTA BANCARIA IN ITALIA, a cura di F.Cesarini, V. Conti, M.L. Di Battista, Ed. Il Mulino, 1994.L’ESPANSIONE ALL’ESTERO DELLE BANCHE ITALIANE, a cura di L. Nieri, Ed. IlMulino, 1994.TENDENZE E PROSPETTIVE DEL RISPARMIO GESTITO, a cura di A. Banfi, M. L. DiBattista, Ed. Il Mulino, 1998.IL PROJECT FINACING COME STRUMENTO DI REALIZZAZIONE DI OPEREPUBBLICHE, a cura di S. Scotti Camuzzi, Ed. Giuffrè, 2002.COLLEGIO SINDACALE E SISTEMA DEI CONTROLLI NEL DIRITO SOCIETARIOCOMUNE E SPECIALE, a cura di G. Presti, Ed. Giuffré, 2002.

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Ciclostilati

IL MARKETING BANCARIO - 21/23 marzo 1974.LA RILEVAZIONE DEI COSTI IN BANCA - 6/7 giugno 1974.GLI ASPETTI FISCALI DEL BILANCIO BANCARIO - 27/28 novembre 1974.LA CERTIFICAZIONE DEI BILANCI - 24 giugno 1975.IL CONTROLLO DI GESTIONE IN BANCA - 1977.OPERAZIONI BANCARIE: PROFILI GIURIDICI (1ª parte) - 1977.ASPETTI TECNICI E GIURIDICI DELLE NEGOZIAZIONI DI BORSA - 1977.IL NUOVO DIRITTO DI FAMIGLIA E I SUOI RIFLESSI SULLE OPERAZIONI DIBANCA - 1977.ASPETTI GIURIDICI DELLA CERTIFICAZIONE DI BILANCIO - 1977.PROBLEMI DI DIRITTO SOCIETARIO - 1980.

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QUADERNI PUBBLICATI

N. 1 «LA BANCA IN UN MONDO CHE MUTA»prof. Gaetano Stammati - 14 gennaio 1976

N. 2 «L’OPERATORE DI BORSA»prof. Gerardo Santini - 25 maggio 1976

N. 3 «I CONTRATTI DI BORSA E LA SPECULAZIONE»prof. Francesco Masera - 19 novembre 1976

N. 4 «STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE DI UN’AZIENDA DI CREDITO ACARATTERE NAZIONALE»dott. Innocenzo Monti - 21 marzo 1977

N. 5 «IL CONTROLLO DI GESTIONE IN BANCA E LE RIVELAZIONI CREDITIZIEDELLA BANCA D’ITALIA»dott. Giuseppe Mascetti - 2 giugno 1977

N. 6 «ASSICURAZIONE E FINANZIAMENTO DEL CREDITO ALL’EXPORT»dott. Rinaldo Ossola - 10 giugno 1977

N. 7 «PROBLEMI E STRATEGIE DELLA POLITICA MONETARIA»prof. Giacomo Vaciago - 31 marzo 1977

N. 8 «MERCATO OBBLIGAZIONARIO E VINCOLO DI PORTAFOGLIO»dott. Bruno Bianchi - 31 marzo 1977

N. 9 «IL FINANZIAMENTO DEL DISAVANZO PUBBLICO»prof. Dino Piero Giarda - 1 aprile 1977

N. 10 «L’ESPANSIONE ALL’ESTERO DELLE BANCHE ITALIANE»dott. Cesare Caranza- 1 aprile 1977

N. 11 «IL VINCOLO ESTERNO ALLO SVILUPPO DELL’ECONOMIA ITALIANA»dott. Giovanni Magnifico - 1 aprile 1977

N. 12 «LA POLITICA VALUTARIA NEL 1975/76»dott. Carlo Santini - 1 aprile 1977

N. 13 «OBIETTIVI INTERMEDI E FINALI DELLA POLITICA MONETARIA»prof. Giacomo Vaciago - marzo 1978

N. 14 «CONTROLLI DI VIGILANZA E LORO RIFLESSI SULLA ORGANIZZAZIONEDELLE AZIENDE DI CREDITO»dott. Vincenzo Desario - ottobre 1978

N. 15 «STATI UNITI E ITALIA: DUE SISTEMI BANCARI A CONFRONTO»prof. Frank Tamagna - 9 novembre 1978

N. 16 «THE INSTABILITY AND THE RESILIENCE OF AMERICAN BANKING (1946-1978)»(«Instabilità finanziaria e capacità di reazione delle banche americane»)prof. Hyman P. Minsky - 8 febbraio 1979

N. 17 «INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL DIRITTO PENALE BANCARIO»prof. Mario Romano - 4 aprile 1979

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N. 18 «FRODI VALUTARIE E RESPONSABILITÀ PENALE DEI DIPENDENTI DEGLIISTITUTI DI CREDITO»prof. Federico Stella - 4/6 aprile 1979

N. 19 «EFFETTI DELL’INFLAZIONE SUI MERCATI FINANZIARI»prof. Franco Modigliani - 18 settembre 1979

N. 20 «IL CONTROLLO INTERNO E L’ISPETTORATO GENERALE DELLE BANCHEFRANCESI»Pierre Greder - novembre 1979

N. 21 «VERSO UN MERCATO EUROPEO DI VALORI MOBILIARI?»Cristopher Tugendhat - 25 gennaio 1980

N. 22 «CONSIDERAZIONI PER IL VERTICE ECONOMICO DI VENEZIA»Richard N. Gardner - 12 febbraio 1980

N. 23 «LA RECENTE POLITICA DEL CREDITO E DEL CAMBIO DEGLI STATI UNITI»prof. Frank Tamagna - 6 dicembre 1979

N. 24 «LA MONETA È IMPORTANTE?»Paul Davidson - 31 marzo 1980

N. 25 «RIFLESSIONI SULLA POLITICA MONETARIA (1979-1980)»prof. Giacomo Vaciago - 13 marzo 1980

N. 26 «IL CONTROLLO DELLE ISTITUZIONI CREDITIZIE NELLA NUOVA LEGGEBANCARIA BRITANNICA»prof. J.R.S. Revell - 8 maggio 1980

N. 27 «PREVISIONI, STRUMENTI D’ANALISI E VINCOLI NELLA GESTIONEDELL’ATTIVITÀ BANCARIA»dott. Ulpiano Quaranta - 13 marzo 1980

N. 28 «LE FUNZIONI ISPETTIVE NELLE BANCHE ITALIANE OGGI»Carmine De Robbio - 5/9 maggio 1980

N. 29 «OPINIONI E COMPORTAMENTI DEGLI OPERATORI BANCARI: I RISULTATIDI UN SONDAGGIO»Francesco Cesarini, Pier Domenico Gallo - maggio 1980

N. 30 «EFFETTI DELL’AUTOMAZIONE SUI PROCESSI OPERATIVI DECISIONALIDELLA BANCA D’ITALIA»dott. Antonio Finocchiaro - 2 giugno 1980

N. 31 «ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA FORMAZIONE DEI TASSI DI INTERESSEBANCARI»dott. Lucio Rondelli - 28 gennaio 1981

N. 32 «L’INCIDENZA DELLA FUNZIONE MONETARIA E DEI SERVIZI BANCARI SULL’ECONOMIA DELLA BANCA»prof. Tancredi Bianchi - 13 marzo 1981

N. 33 «I RIFLESSI SULLA GESTIONE E SULLA PROFESSIONE BANCARIA DEIDIVERSI STRUMENTI E DELLE NUOVE FORME DI INTERMEDIAZIONEFINANZIARIA»Urbano Aletti, Francesco Cesarini, Franco Riccardi - aprile 1981

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N. 34 «LA RIFORMA DEI TITOLI DI CREDITO IN SPAGNA»Evelio Verdera y Tuells - 9 novembre 1981

N. 35 «GLI INTERVENTI DELLA BANCA CENTRALE SUL MERCATO MONETARIO»dott. Bruno Bianchi - 2 dicembre 1981

N. 36 «IL RUOLO DELLA BANCA CENTRALE UNGHERESE NELL’ECONOMIA E NELL’INTERSCAMBIO CON L’ESTERO»dott. Tamas Bacskai - 16 marzo 1982

N. 37 «L’INNOVAZIONE FINANZIARIA IN BANCA E FUORI BANCA»Giuseppe Antonio Banfi, Pierandrea Dosi Delfini, Marcello Melani, Vincenzo Mosca,Giacomo Vaciago - febbraio 1982

N. 38 «BANCHE E ISTITUTI DI CREDITO SPECIALE: COMPLEMENTARIETÀ, CONCORRENZA O SOVRAPPOSIZIONE?»Luigi Arcuti, Francesco Cesarini, Federico Pepe, Maurizio Sella, Ermanno Veronesi -febbraio 1982

N. 39 «LA FORMAZIONE E L’IMPIEGO DEL RISPARMIO: EFFETTI DELLAPOLITICA MONETARIA E RIFLESSI SUI MERCATI»Franco Cotula - febbraio 1982

N. 40 «GLI EFFETTI DELL’INTRODUZIONE DI SISTEMI ELETTRONICI DI TRASFERIMENTO DI FONDI SULLA POLITICA»prof. J.R.S. Revell - 3 giugno 1982

N. 41 «ASPETTI ISTITUZIONALI ED OPERATIVI DEL MERCATO DEI BUONI ORDINARI DEL TESORO IN ITALIA»Fiorenzo Di Pasquali - 9 febbraio 1982

N. 42 «ASPETTI FUNZIONALI E DI MERCATO DEGLI STRUMENTI DI RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE»Francesco Cesarini - settembre 1982

N. 43 «ASPETTI ECONOMICI E TECNICI DEL CAPITALE PROPRIO DELLEBANCHE»Marco Onado - settembre 1982

N. 44 «LA RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE PUBBLICHE»Fabio Merusi - settembre 1982

N. 45 «I PRESTITI POSTERGATI NEL DIRITTO ITALIANO»Gian Franco Campobasso - settembre 1982

N. 46 «TITOLI “ATIPICI” E LIBERTÀ DI EMISSIONE NELL’AMBITO DELLESTRUTTURE ORGANIZZATIVE DELLA GRANDE IMPRESA »Antonio Pavone La Rosa - settembre 1982

N. 47 «LA RICAPITALIZZAZIONE DELLE AZIENDE DI CREDITO (PROBLEMI E IPOTESI)»Giuseppe B. Portale - settembre 1982

N. 48 «RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE»Giovanni L. Pellizzi - settembre 1982

N. 49 «L’ABBANDONO DEGLI ESTREMISMI NELLA POLITICA MONETARIA»Guido Carli - 20 gennaio 1983

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N. 50 «INSEDIAMENTI BANCARI ED EFFICIENZA DEL SISTEMA CREDITIZIO»Claudio Conigliani - 10 febbraio 1983

N. 51 «LO SVILUPPO DELL’ATTIVITÀ PARABANCARIA ED IL RUOLO DELLE BANCHE»Giambattista Marchesini - 6 giugno 1983

N. 52 «IL PARABANCARIO E L’INNOVAZIONE FINANZIARIA ASPETTI GIURIDICIDELL’EMISSIONE DEI TITOLI ATIPICI »Giovanni L. Pellizzi - 14 giugno 1983

N. 53 «L’ESPANSIONE TERRITORIALE NELLA STRATEGIA DELLE AZIENDE DICREDITO»Luigi Orombelli - 9 febbraio 1983

N. 54 «PRESENTAZIONE DEL VOLUME “STRATEGIA E ORGANIZZAZIONE NELLEAZIENDE DI CREDITO”: UNA METODOLOGIA PER L’AUTODIAGNOSI»Lamberto Dini - 21 ottobre 1983

N. 55 «STRATEGIA E ORGANIZZAZIONE NELLE AZIENDE DI CREDITO: UNAMETODOLOGIA PER L’AUTODIAGNOSI»Parte seconda.F. Pepe, A. Balossino, G. Di Stefano - 21 ottobre 1983

N. 56 «COMPETITIVITÀ INNOVAZIONE ED EFFICIENZA NEL SISTEMAFINANZIARIO ITALIANO»Nerio Nesi - 13 febbraio 1984

N. 57 «STRUTTURA, OPERATORI ED EVOLUZIONE TECNICA DEL MERCATO DEIFONDI INTERBANCARI IN ITALIA (1979-1982)»Arturo Patarnello - marzo 1984

N. 58 «LA TUTELA DEL RISPARMIO BANCARIO»Tancredi Bianchi - aprile 1984

N. 59 «IL MERCATO FINANZIARIO DOPO LA LEGGE 216»Guido Rossi - maggio 1984

N. 60 «BANCA E BORSA DI FRONTE AL PROBLEMA DELLA STRUTTURAFINANZIARIA DELLE IMPRESE»U. Aletti, H. Bieler, F. Cesarini, L. Orombelli, G.M. Roveraro - giugno 1984

N. 61 «LINEAMENTI DEL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO NEL SISTEMA DELLESTATISTICHE ISTAT»Guido Rey - giugno 1984

N. 62 «SISTEMA CREDITIZIO E FINANZIAMENTO DELLA CASA: I RISULTATI DIUN’INDAGINE»Maria Luisa Di Battista - agosto 1984

N. 63 «PROCESSI DI FORMAZIONE DEL REDDITO D’ESERCIZIO NELLE AZIENDEDI CREDITO E LORO VARIAZIONI»Lucio Motta - ottobre 1984

N. 64 «GESTIONE DELLA LIQUIDITÀ BANCARIA E EFFICIENZA DEL MERCATOMONETARIO»B. Bianchi, P. Boaretto, R. Franceschini - novembre 1984

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N. 65 «UN PROFILO PER UN SISTEMA»Francesco Cingano - dicembre 1984

N. 66 «LA GARANZIA DEI DEPOSITI»Giannino Parravicini - febbraio 1985

N. 67 «TEORIA E PRASSI DELLA VIGILANZA BANCARIA: ALCUNE RIFLESSIONI»Edward P.M. Gardener - aprile 1985

N. 68 «GLI INTERVENTI SULLA STRUTTURA E SULL’OPERATIVITÀ DEL SISTEMACREDITIZIO: PROBLEMI E PROSPETTIVE»V. Pontolillo, E. Ugolini, F. Battini - aprile 1985

N. 69 «LA CONCORRENZA BANCARIA DOPO L’ACCANTONAMENTO DELMASSIMALE»G. Carosio, E. Ceccatelli, A. Ceola - maggio 1985

N. 70 «LE PARTECIPAZIONI DELLE GRANDI BANCHE TEDESCHE: ASPETTI QUANTITATIVI E DISCIPLINA PRUDENZIALE»Rossella Locatelli - maggio 1985

N. 71 «STRUTTURA E COSTI DELL’ATTIVITÀ BANCARIA NEL MERCATO MOBILIARE E GESTIONE ACCENTRATA DEI TITOLI»Ernesto Ugolini - giugno 1985

N. 72 «L’UTILIZZO DELLE ANALISI DI SETTORE NELL’ISTRUTTORIA DEI FIDI»P. Brasca, A. Geremia, A. Martelli, P.L. Novello, C. Porcari - settembre 1985

N. 73 «CONCORRENZA E CONTROLLI NELLE OPINIONI DEL MANAGEMENTBANCARIO»M.L. Di Battista, A. Patarnello - settembre 1985

N. 74 «L’INNOVAZIONE FINANZIARIA NEL SISTEMA CREDITIZIO»E. Ceccatelli, V. Desario, L. Frey, S. Isgrò, G. Marchesini - febbraio 1986

N. 75 «L’INNOVAZIONE FINANZIARIA NEL MERCATO IMMOBILIARE»G. Caprara, E. Fumagalli, P. Iovenitti, G. Lombardo, U. Verecondi Scortecci - febbraio1986

N. 76 «NUOVI PROFILI DELL’ORDINAMENTO DEL MERCATO MOBILIARE E LAPOSIZIONE DELLA CONSOB»Franco Piga - febbraio 1986

N. 77 «GLI SVILUPPI E LE PROSPETTIVE DEL MERCATO AZIONARIO»U. Aletti, M. Vitale - marzo 1986

N. 78 «DIMENSIONE, COMPOSIZIONE E COSTO DEL DEBITO PUBBLICO INTERNODAL 1861 AL 1985»F. Spinelli, S. Formentini - febbraio 1987

N. 79 «I BUONI (ORDINARI) DEL TESORO»G.L. Calvi - febbraio 1987

N. 80 «TENDENZE DI MEDIO PERIODO NEI MERCATI DEL CREDITO»P.D. Gallo, S. Molinari, O. Salamone - aprile 1987

N. 81 «LE RISPOSTE DELL’INDUSTRIA BANCARIA AI CAMBIAMENTI»T. Bianchi, A. Cova - aprile 1987

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N. 82 «LA GESTIONE DEL PASSIVO E I NUOVI SERVIZI BANCARI»P. Forti, S. De Bernardis - maggio 1987

N. 83 «ASPETTI EVOLUTIVI DELLA GESTIONE DELLE AZIENDE DI CREDITO E ISUOI RIFLESSI SUL BILANCIO D’ESERCIZIO»F. Gianani - maggio 1987

N. 84 «LE CARATTERISTICHE E GLI EFFETTI SULLA GESTIONE BANCARIA DEIRISCHI CONNESSI ALLE “OFF BALANCE SHEET TRANSACTIONS”»M. Oriani - giugno 1987

N. 85 «GLI INTERMEDIARI DI BORSA: PROSPETTIVE A CONFRONTO»F. Cesarini, P. Marchetti, M.T. Tebaldi - luglio 1987

N. 86 «GLI EFFETTI DELLE PRIVATIZZAZIONI SUL SISTEMA FINANZIARIO BRITANNICO»P. Fandella - febbraio 1988

N. 87 «STRUTTURA E PROSPETTIVE DEI GRUPPI BANCARI IN ITALIA»G. Schena - febbraio 1988

N. 88 «L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO»G. Zandano, T. Bianchi, W.G. Verhoeven, F. Pepe - maggio 1988

N. 89 «IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO NELLA PROSPETTIVA DEL 1992»E. Filippi, M. Sella, G. Frigeri - maggio 1988

N. 90 «RIFLESSI SULLA GESTIONE BANCARIA DELL’EVOLUZIONE DEL MERCATOMOBILIARE»U. Aletti, C. Faissola, E. Monti - giugno 1988

N. 91 «BANCHE E ATTIVITÀ DI INTERMEDIAZIONE SUL MERCATO AZIONARIO:I RISULTATI DI UN SONDAGGIO»F. Cesarini - giugno 1988

N. 92 «IL MERCATO DEI TITOLI DI STATO»V. Brocci, A. Tucci - ottobre 1988

N. 93 «LA REDDITIVITÀ DELLE AZIENDE DI CREDITO NELLA PROSPETTIVA DIEVOLUZIONE STRUTTURALE DEL SISTEMA»T. Bianchi, F. Bizzocchi, G. Carducci - giugno 1989

N. 94 «UN SISTEMA ESPERTO PER LA GESTIONE DELLA TESORERIA»M. De Marco, G. Grassano, S. De Bernardis, F. Gardin, C. Rossignoli, I. Zaniboni, H.Taylor, G. Trotta - luglio 1989

N. 95 «POSIZIONE COSTITUZIONALE E FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEL C.I.C.R.NELL’AMBITO DELL’ORDINAMENTO DEL CREDITO»E. Balboni, G. Massoli - luglio 1989

N. 96 «LINEE EVOLUTIVE NELL’ORGANIZZAZIONE BANCARIA»A. Balossino - gennaio 1990

N. 97 «ASPETTI TECNICI DELLA POLITICA DI IMPIEGO»T. Bianchi, P. Bongianino, A. Finotti, L. Sibani, G. Osculati - maggio 1990

N. 98 «TENDENZE EVOLUTIVE DELLA POLITICA DI RACCOLTA»C. Faissola, E. Veronesi, M. Nonni - maggio 1990

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N. 99 «LA BANCA E L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DEI PAGAMENTI»L. Rondelli, M. Sella - maggio 1990

N. 100 «I PROSPETTI DI RICLASSIFICAZIONE E DI DETTAGLIO NELLADOCUMENTAZIONE INTEGRATIVA DEI BILANCI BANCARI, I RISULTATI DI UN’INDAGINE»P. Benigno - giugno 1990

N. 101 «SISTEMA DEI PAGAMENTI, PRODOTTI BANCARI E RETI TELEMATICHE,ASPETTI TECNOLOGICI, REALIZZATIVI, DI SICUREZZA E GIURIDICI» I PARTEA. Tarola, D. Qualeatti, P. Di Blasi, P. Salamone - settembre 1990

N. 102 «SISTEMA DEI PAGAMENTI, PRODOTTI BANCARI E RETI TELEMATICHE,ASPETTI TECNOLOGICI, REALIZZATIVI, DI SICUREZZA E GIURIDICI» II PARTEA. Pincherle, C. Rossignoli, R. Virtuani, M. Atzeni - settembre 1990

N. 103 «L’ASSET & LIABILITY MANAGEMENT STRATEGICO NELLE BANCHE ITALIANE»M. Carrara - novembre 1990

N. 104 «EQUILIBRI REDDITUALI E FINANZIARI E PROBLEMI DELLA CONCORREN-ZA NEL MERCATO BANCARIO EUROPEO: VALUTAZIONI DI SINTESI»F. Cesarini, M.L. Di Battista, V. Conti, A. Patarnello, R. Locatelli - dicembre 1990

N. 105 «EQUILIBRI REDDITUALI E FINANZIARI E PROBLEMI DELLACONCORRENZA NEL MERCATO BANCARIO EUROPEO»T. Bianchi, M. Nonni - gennaio 1991

N. 106 «I RIFLESSI DELLA RECENTE LEGISLAZIONE SULLA STRUTTURA E SULFUNZIONAMENTO DEL SISTEMA FINANZIARIO ITALIANO»F. Cesarini, T. Bianchi, G. Trombi - aprile 1991

N. 107 «SVILUPPO DEI MERCATI E GESTIONE BANCARIA»L. Rondelli, M. Mauro, G. Vaciago - maggio 1991

N. 108 «I RIFLESSI DELLA RECENTE LEGISLAZIONE SULLA STRUTTURA E SULFUNZIONAMENTO DEL SISTEMA FINANZIARIO ITALIANO»P.D. Gallo, P. Baratta, P. Gnes - giugno 1991

N. 109 «TRASPARENZA E COMPARABILITÀ DEL BILANCIO D’ESERCIZIO DELLEAZIENDE DI CREDITO»P. Golia, A. Marchesi - novembre 1991

N. 110 «GESTIONE DEL DEBITO PUBBLICO E PRIVATIZZAZIONI»T. Bianchi - novembre 1991

N. 111 «IL SISTEMA INFORMATIVO DI MARKETING “MINIMALE”»A.A. Astolfi, G. Brioschi, F. Di Tizio, P. Rigamonti, A. Variati - novembre 1991

N. 112 «IL CREDITO DI ULTIMA ISTANZA»Carlo Azeglio Ciampi - febbraio 1992

N. 113 «PROSPETTIVE E SVILUPPO DEI MERCATI FINANZIARI» P. Marchetti, B. Bianchi, U. Aletti, L. Rondelli, S. Lo Faso - aprile 1992

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N. 114 «PROFITTABILITÀ E RISCHI DELL’INTERMEDIAZIONE CREDITIZIA»C. Salvatori, L. Arcuti, A. Molendi, G. Mazzarello, G. Ferretti, C. Tresoldi - aprile 1992

N. 115 «PROFITTABILITÀ E RISCHI DELL’INTERMEDIAZIONE CREDITIZIA»F. Cesarini, T. Bianchi, F. Passacantando, V. Conti - aprile 1992

N. 116 «L’ATTUALE SITUAZIONE DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI NON BANCARI SOTTO IL PROFILO DELLE COMUNICAZIONI DELLA VIGILANZA EDELLA TRASPARENZA»M. Cardillo - settembre 1992

N. 117 «LE PROSPETTIVE DELLA BANCA SPAGNOLA VERSO L’INTEGRAZIONEFINANZIARIA IN EUROPA»J. Quesada - settembre 1992

N. 118 «INSIDER TRADING: CONSIDERAZIONI E PERPLESSITÀ»A. Mignoli - ottobre 1992

N. 119 «LE PROSPETTIVE DEL SISTEMA BANCARIO SPAGNOLO NELL’ATTUALECONGIUNTURA EUROPEA»F. Perez, E. Coletti, F. Kerbaker, A. Pironti - febbraio 1993

N. 120 «I CANALI DI DISTRIBUZIONE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO SPECIALE»P.D. Gallo, D. Conti, M. Corradi, F. Del Nero - marzo 1993

N. 121 «IL COSTO DEL LAVORO NELLE AZIENDE DI CREDITO»T. Bianchi, C. Faissola, G. Trombi, L. Dini - aprile 1993

N. 122 «I RAPPORTI TRA BANCA E IMPRESA»F. Frasca, F. Cesarini, G. Cirla, L. Rondelli - aprile 1993

N. 123 «IL TRATTAMENTO FISCALE DEI RISCHI SU CREDITI»F. Gallo - gennaio 1994

N. 124 «PER UNA CREDIBILE INFORMAZIONE SOCIETARIA»ovvero: L’ETICA DELL’INFORMAZIONE AZIENDALE

T. Bianchi, E. Berlanda, R. Tronchetti Provera, A. Zappi - marzo 1994

N. 125 «LA SITUAZIONE CONGIUNTURALE E LE PROSPETTIVE» M. Venturino - marzo 1994

N. 126 «IL COMPORTAMENTO DELLE BANCHE NEI MERCATI LOCALI»L. Gentilini, G. Testoni, M. Näef - maggio 1994

N. 127 «LA PRASSI DEI FIDI MULTIPLI E L’EVOLUZIONE DEL RAPPORTO BANCA-IMPRESA»P. Marullo Reedtz, A. Ceola, A. Geremia, C. Scarenzio - maggio 1994

N. 128 «COMPORTAMENTI DELLE BANCHE, MODIFICHE ISTITUZIONALI ED EVOLUZIONI DEL MERCATO MOBILIARE»T. Bianchi, A. Ventura, E.G. Bruno, B. Bianchi, V. Desario - maggio 1994

N. 129 «ALCUNE RIFLESSIONI IN TEMA DI “RACCOLTA INDIRETTA” DELLE BANCHE» M. Oriani - maggio 1994

N. 130 «RISCHIO DI CREDITO E RISCHIO DI MERCATO NELLA GESTIONE BANCARIA»V. Conti, M. Silvani, G. Carosio - novembre 1994

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N. 131 «PROSPETTIVE DI RIORDINO DELLA REGOLAMENTAZIONE CONSOB - BANCA D’ITALIA»C. Capuzzo, F. Forghieri, L. Gardelli, R. Tedeschi, M. Venturino - novembre 1994

N. 132 «LA BANCA COME OPERATRICE SUI MERCATI MOBILIARI »F. Cesarini, M. Anolli, A. Ventura, U. Aletti - novembre 1994

N. 133 «DAL MERCATO DEGLI INTERESSI AGLI INTERESSI DEL MERCATO»D. Usellini, P. Pasini, G. Vigorelli, L. Abete, E. Berlanda, P. Gnes, A. Ventura, J.G. De Wael,G. Pagliarini - aprile 1995

N. 134 «LA RIPRESA CICLICA E L’ATTIVITÁ BANCARIA»P. Ranci, M.L. Di Battista, C. Caletti, M. Fazzini, - maggio 1995

N. 135 «LA PRESENZA DELLE BANCHE NEI MERCATI»T. Bianchi, A. Papa, E. Paolillo, V. Desario - maggio 1995

N. 136 «REDDITIVITÁ DELLE BANCHE, REMUNERAZIONE DEL CAPITALE E RICORSO AL MERCATO»V. Conti, B. Bianchi, M. Venturino, C. Faissola - maggio 1995

N. 137 «TENDENZE NELLA REDDITIVITÁ E PRODUTTIVITÁ BANCARIA»F. Passacantando, M. Nonni, F. Pepe, L.G. Attanasio, G. Frigeri - maggio 1995

N. 138 «L’APPLICAZIONE DEL RATING AL SETTORE BANCARIO: PROBLEMI E PROSPETTIVE»Laura Nieri - gennaio 1996

N. 139 «IL RATING: UN’OPPROTUNITÀ PER LE BANCHE ITALIANE»E. Monti, A. Esmanech, A. Tamagnini - gennaio 1996

N. 140 «L’UNIONE ECONOMICA E MONETARIA: I CRITERI DI RIFERIMENTO E LE REGOLE DI CONVERGENZA»Rainer Masera - febbraio 1996

N. 141 «IMPRESA, COMUNICAZIONE FINANZIARIA, COMPETITIVITÀ: IL QUADRO ITALIANO TRA REGOLE E OPPORTUNITÀ»E. Presutti, G. Vigorelli, F. Cesarini, I. Cipolletta, M. Onado, A. Bombassei, P. Pasini -marzo 1996

N. 142 «LE BANCHE E LO SVILUPPO DEI MERCATI»L. Rondelli, C. Santini - marzo 1996

N. 143 «GLI ASPETTI NEVRALGICI DEI PROCESSI DI RAZIONALIZZAZIONE DELLAGESTIONE DELLA BANCA»M.L. Di Battista, M. Sella, P. Marullo Reedtz, L. Arcuti - maggio 1996

N. 144 «I PROBLEMI DELLA PROFESSIONE BANCARIA»V.Desario, T. Bianchi - maggio 1996

N. 145 «LA GESTIONE DELLA RACCOLTA BANCARIA»A. Nottola - giugno 1996

N. 146 «INTERMEDIAZIONE BANCARIA E FINANZA D’IMPRESA NELLAPROSPETTIVA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA»C. Scognamiglio, G. Palladino, G. Zadra, E. G. Bruno, A. Falck, G. Grassano,G. Zucchi - febbraio 1997

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N. 147 «COMUNICAZIONE FINANZIARIA E SVILUPPO DELLE IMPRESE: LE PROSPETTIVE»G. Vigorelli, M. Miccio, B. Boschetto, S. Bragantini, P. Gnes, E. Presutti, T. Bianchi, P.Pasini - febbraio 1997

N. 148 «LA TASSAZIONE DELL’ATTIVITÀ BANCARIA E DEGLI STRUMENTIFINANZIARI»F. Caleffi, G. Zadra, E.G. Bruno - maggio 1997

N. 149 «L’UNIONE MONETARIA E GLI ADEMPIMENTI ORGANIZZATIVI»T. Bianchi, M. Sarcinelli, A. Iozzo - maggio 1997

N. 150 «FATTORI DETERMINANTI DEL RISULTATO ECONOMICO DELLE BANCHE NEL 1996»N. Oggiano, G. Grassano - giugno 1997

N. 151 «LE IMPLICAZIONI PER LE BANCHE ITALIANE DELL’AVVIO DELL’UNIONE MONETARIA»F. Cesarini, I. Angeloni, A. Generale, R. Tedeschi - settembre 1997

N. 152 «PROFILI DI REDDITIVITÀ BANCARIA IN EUROPA: ALLA RICERCA DELMODELLO VINCENTE NELLA PROSPETTIVA DELL’UNIONE MONETARIAEUROPEA»V. Conti, M. Ossana, M. Senati - settembre 1997

N. 153 «STRUMENTI E SOLUZIONI ORGANIZZATIVE PER LA GESTIONE DELRISCHIO DI CREDITO»R. Barontini, P. Gualtieri, A. Patarnello, F. Russello - gennaio 1998

N. 154 «IMPRESE, MERCATO DEI CAPITALI E COMUNICAZIONE FINANZIARIA»B. Benedini, G. Vigorelli, A. Albertini, T. Bianchi, M. Miccio, G. Fossa, P. Pasini - feb-braio 1998

N. 155 «L’OFFERTA DI SERVIZI DI CONSULENZA ALLE IMPRESE»F. Arpe, C. Costamagna, C. Porcari - aprile 1998

N. 156 «TENDENZE NELL’OFFERTA DI SERVIZI DI GESTIONE DEL RISPARMIO»F. Cesarini, I. Angeloni, E.G. Bruno - G. Testoni - maggio 1998

N. 157 «LE BANCHE ITALIANE E LA PREPARAZIONE ALL’UNIONE MONETARIA»T. Bianchi, P. Campaioli, V. Conti, V. De Bustis, V. Consoli, A. Valdembri, G. Zadra -maggio 1998

N. 158 «LA RIFORMA DELLA TASSAZIONE DEI REDDITI DELLE ATTIVITÀFINANZIARIE: RIFLESSI SUGLI INTERMEDIARI»M. F. Ambrosanio - giugno 1998

N. 159 «LA SITUAZIONE CONGIUNTURALE REALE E MONETARIA E I CONTIECONOMICI DELLE BANCHE»G. Vaciago, G. Morcaldo, I. Cipolletta, M.L. Di Battista, C. Faissola - giugno 1998

N. 160 «L’AREA DELL’EURO: ASPETTI STRUTTURALI E RAPPORTI CON LE PRINCIPALI AREE VALUTARIE»G. Vigorelli - I. Visco - G. Bishop - B. Eichengreen - agosto 1998

N. 161 «I MERCATI FINANZIARI IN EURO E L’OPERATIVITÀ DELLE BANCHE ITALIANE»R. Barbieri - L. Rondelli - G. Vaciago - agosto 1998

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N. 162 «LE STRATEGIE DEI PRINCIPALI SISTEMI BANCARI EUROPEI NELLAPROSPETTIVA DELLA MONETA UNICA»J.P. Abraham - J.R. Inciarte - U. Schroeder - settembre 1998

N. 163 «L’APPLICAZIONE DELLE REGOLE DELLA CONCORRENZA ALLE IMPRESEBANCARIE NELL’ESPERIENZA EUROPEA E NELL’ESPERIENZA ITALIANAPARTE I - LE INTESE»F. Turati - novembre 1998

N. 164 «I RIFLESSI DEL TESTO UNICO DELLA FINANZA SULL’ATTIVITÀ DELLEBANCHE: PROFILI ECONOMICI E DI VIGILANZA»F. Taranto, M. Onado - novembre 1998

N. 165 «BILANCIO E COMUNICAZIONI SOCIALI: LE NUOVE REGOLE ACONFRONTO CON L’EUROPA»G. Vigorelli - M. Miccio - B. Benedini - M. Sella - L. Martino - P. Gnes - S. Preda - D.Bracco - P. Pasini - febbraio 1999

N. 166 «NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI PER LE BANCHE E PER I MERCATI»V. Desario - marzo 1999

N. 167 «L’ATTUAZIONE DELLA POLITICA MONETARIA NELLA TERZA FASEDELL’UNIONE MONETARIA»T. Bianchi - C. Santini - E. Paolillo - A. Varisco - aprile 1999

N. 168 «INCENTIVI PER IL PERSONALE E PIANI DI STOCK OPTION NELLE BANCHE»P. Gualtieri - R. Locatelli - M. Cozzolini - G. Spadafora - marzo 1999

N. 169 «IL RUOLO DELLA PIAZZA FINANZIARIA ITALIANA NEL CONTESTOEURO»R. Pinza - M. Sella - A. Ventura - maggio 1999

N. 170 «LE CONCENTRAZIONI BANCARIE: ASPETTI ORGANIZZATIVI E DI VIGILANZA»A. Profumo - C. Salvatori - F. Frasca - giugno 1999

N. 171 «LE CONCENTRAZIONI BANCARIE: ASPETTI ECONOMICO-TECNICI»F. Cesarini - F. Panetta - F. Bizzocchi - C. Piazza Spessa - gennaio 2000

N. 172 «IL BUON GOVERNO SOCIETARIO: AUTOREGOLAMENTAZIONI, COMUNICAZIONI»G. Vigorelli - B. Benedini - M. Miccio - A. Desiata - P. Gnes - M. Sella - S. PredaP. Fassino - P. Pasini - marzo 2000

N. 173 «INVESTIMENTI FISSI E GESTIONE DEL PATRIMONIO DELLE BANCHE»P. Gualtieri - G. Scorza - G. Rosnati - P. Gavazzi - marzo 2000

N. 174 «LA CONCENTRAZIONE SUL MERCATO DEGLI SCAMBI DI AZIONI: I PROBLEMI APERTI E L’OPINIONE DEGLI OPERATORI»A. Banfi - M. Calzolari - F. Chiappetta - G. Ferrarini R. Hamaui - G. Makula - G.Verzelli - maggio 2000

N. 175 «L’OFFERTA DI CREDITO E DI SERVIZI FINANZIARI ALLE PICCOLE EMEDIE IMPRESE»C. Faissola - M. Bianconi - maggio 2000

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N. 176 «IL MERCATO DEI SERVIZI DI GESTIONE PROFESSIONALE DELRISPARMIO: ASPETTI DOMESTICI E INTERNAZIONALI»T. Bianchi - L. Rondelli - A Ferrari - B. Bianchi - maggio 2000

N. 177 «IL RATING INTERNO E LA GESTIONE DEI RISCHI BANCARI NEI GRUPPICREDITIZI»R. Masera - giugno 2000

N. 178 «STRUMENTI DI FINANZIAMENTO DIRETTO, CARTOLARIZZAZIONE DEICREDITI E SVILUPPO DELL’ATTIVITÀ DI IMPIEGO»A. Patarnello - V. Conti - M. Maccarinelli - P.D. Gallo - giugno 2000

N. 179 «TENDENZE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI CREDITOBANCARIO»D. Gronchi - L. Sibani - luglio 2000

N. 180 «MISURAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO DI CREDITO»C. Santini - G. Carosio - P. Marullo Reedtz - luglio 2000

N. 181 «LE COMPONENTI DEL RENDIMENTO DEI PORTAFOGLI GESTITI.UN’APPLICAZIONE DELLA PERFORMANCE ATTRIBUTION AI FONDIBILANCIATI DI DIRITTO ITALIANO»G. Petrella - febbraio 2001

N. 182 «I BENEFICI DI CREAZIONE DI VALORE NELL’ACCESSO DELLE BANCHEAI MERCATI ORGANIZZATI»A. Nagel - maggio 2001

N. 183 «LA DIFFUSIONE DELLE TECNOLOGIE INFORMATICHE: IMPLICAZIONIPER GLI ASSETTI ORGANIZZATIVI DEGLI INTERMEDIARI E DEIMERCATI»V. Pontolillo - A. Tantazzi - T. Cartone - maggio 2001

N. 184 «LA REDDITIVITÀ DELLE BANCHE E DEI GRUPPI BANCARI ITALIANI»G. Pirovano - F. Pepe - giugno 2001

N. 185 «LA CONCORRENZA NELL’OFFERTADI SERVIZI FINANZIARI: MERCATI, BANCHE E ALTRI OPERATORI»T. Bianchi - F. Panetta - M. Calzolari - luglio 2001

N. 186 «L’OFFERTA DI SERVIZI FINANZIARI DA PARTE DI OPERATORI ESTERNIAL SETTORE BANCARIO»A. Banfi - C. Passera - G. Cappelletti - luglio 2001

N. 187 «LA NUOVA NORMATIVA INTERNAZIONALE SUI REQUISITIPATRIMONIALI»G. Carosio - P. Marullo Reedtz - M. Venturino - luglio 2001

N. 188 «VERSO UNA NUOVA BRETTON WOODS:UN PROGETTO PER USCIRE DALLA CRISI FINANZIARIAINTERNAZIONALE»L. H. Larouche - settembre 2001

N. 189 «L’IMPATTO DEL DIRITTO COMUNITARIO SULL’E-BANKING»S. Scotti Camuzzi - ottobre 2001

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N. 190 «LA CONGIUNTURA REALE E MONETARIA IN ITALIA E NELL’AREADELL’EURO E LE PROSPETTIVE DEI BILANCI BANCARI»S. Rossi - G. Morcaldo - G. Vaciago - gennaio 2002

N. 191 «REPUTAZIONE E DEONTOLOGIA PROFESSIONALE DELLE BANCHE NEIRAPPORTI CON LA CLIENTELA NEL CONTESTO DELLA NEW ECONOMY»C. Santini - B. Bianchi - A. Finocchiaro - febbraio 2002

N. 192 «GLI EFFETTI DELLE COMMISSIONI D’INCENTIVOSULLE PERFORMANCE DEI FONDI COMUNI»E. J. Elton - M. J. Gruber - C. R. Blake - febbraio 2002

N. 193 «IL RISCHIO OPERATIVO»R. Locatelli - E. Magistretti - P. Scalerandi - G. Carosio - marzo 2002

N. 194 «LE CRISI FINANZIARIE INTERNAZIONALI: RISCHIO PAESE ED EFFETTISULLE BANCHE ITALIANE»M. Lossani - P. Marullo Reedtz - L. Benassi - giugno 2002

N. 195 «LA CONGIUNTURA REALE E MONETARIAITALIANA E INTERNAZIONALE»G. Morcaldo - S. Rossi - G. Vaciago - giugno 2002

N. 196 «CAPITALE E RISCHIO: RECENTI TENDENZE E PROSPETTIVE NELLAPATRIMONIALIZZAZIONE DELLE BANCHE ITALIANE»R. Masera - R. Maino - luglio 2002

N. 197 «LA REGOLAMENTAZIONE NEI RAPPORTI CON LA CLIENTELA DEISERVIZI DI INVESTIMENTO»G. D’Agostino - A. Iuliucci - luglio 2002

N. 198 «I RIFLESSI DEL CICLO ECONOMICO SULL’ATTIVITÀ BANCARIA»F. Panetta - V. De Bustis - F. Innocenzi - luglio 2002

N. 199 «LA GESTIONE DEL PATRIMONIO DELLE BANCHE»E. Paolillo - C. Costamagna - S. Theodore - luglio 2002

N. 200 «I CAMBIAMENTI NELLA REGOLAMENTAZIONE SUI REQUISITIPATRIMONIALI E NEGLI ASSETTI PROPRIETARI DELLE BANCHE»T. Bianchi - G. Carosio - F.M. Frasca - S. Cassese - luglio 2002

N. 201 “L’EVOLUZIONE DEI MODELLI ORGANIZZATIVI: IMPLICAZIONI PERL’EFFICIENZA E LA REDDITIVITA’ DEI GRUPPI BANCARI”G. Fiorani - A. Profumo - M. Gasco - P. Gualtieri - P. Gavazzi - luglio 2002

N. 202 “PROBLEMATICHE DELL’ATTIVITÀ BANCARIA E FINANZIARIA IN ITALIA”V. Desario - aprile 2003

N. 203 “I RIFLESSI DEL CICLO ECONOMICO SULL’ATTIVITÀ DELLE BANCHE:ASPETTI GENERALI E QUALITÀ DEL CREDITO”T. Bianchi - F. Cesarini - D. Croff - maggio 2003

N. 204 “PREVENZIONE DEI RISCHI OPERATIVI E DISASTER RECOVERY NELLARECENTE ESPERIENZA DELLE BANCHE ITALIANE”C. Tresoldi - P. L. Curcuruto - maggio 2003

N. 205 “I RIFLESSI DEL CICLO ECONOMICO SULL'ATTIVITÀ DELLE BANCHE:I RICAVI DA SERVIZI”R. Locatelli - P. D. Gallo - giugno 2003

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N. 206 “IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO”G. Ferrarini - F. Frasca - A. Colombo - luglio 2003

N. 207 “ORIENTAMENTI MORALI DELL’OPERARE NEL CREDITO E NELLA FINANZA”G. Vigorelli - F. Cesarini - Dionigi Card. Tettamanzi - novembre 2003

N. 208 “STRUTTURA E OPERATIVITÁ DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANOA DIECI ANNI DAL TESTO UNICO”P. Abbadessa - F. Panetta - M. Sarcinelli - M. Onado - novembre 2003

N. 209 “BANCHE/FAMIGLIE: UNA RELAZIONE DI CLIENTELA DARICONSIDERARE. UN CONTRIBUTO ALL’ANALISI”T. Bianchi - aprile 2004

N. 210 “LA TRASPARENZA DELLE OPERAZIONI BANCARIE E LA TUTELADEL RISPARMIATORE”G. Alpa - giugno 2004

N. 211 “L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE”F. Cesarini - G. Gobbi - R. Lupi - luglio 2004

N. 212 “EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA SUI MERCATIE LE NUOVE REGOLE CONTABILI”M. Anolli - B.Bianchi - M. Venturino

Per ogni informazione circa le pubblicazioni ci si può rivolgere alla Segreteria dell’Associazione - tel. 02/62.755.252 - E-mail: [email protected]

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Finito di stampare Luglio 2004