Alessandro Manzoni Il Cinque Maggio 1821

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Letteratura italiana Einaudi Il Cinque Maggio di Alessandro Manzoni

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Letteratura italiana Einaudi

Il Cinque Maggio

di Alessandro Manzoni

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Edizione di riferimento:Tutte le poesie 1812-1872, a cura di Gilberto Lonardi,Marsilio Editori, Venezia 1987Introduzione di Gilberto LonardiCommento e note di Paola Azzolini

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1. Ei fu: inizio ex-abrupto, scandito in due monosillabi isolatidalla cesura e dalla pausa sintattica: è il rullo di tamburi o lo squil-lo di tromba che rompe il silenzio e annuncia la morte dell’eroe. Lenumerose ascendenze segnalate dai critici mettono in rilievo la pre-senza di un topos dell’oratoria funebre. In particolare Voltaire, Surla mort de l’empereur Charles VI, «… Il regnait, il n’est plus», chepare a Nigro (1978) una svalutazione antieroica implicita, perché sicita lo scettico e agnostico Voltaire; «‘T is done» di Byron, Ode toNapoleone Bonaparte (Scherillo, 1907), e l’ode consolatoria diKlopstock per la morte della regina Luisa di Danimarca nella tra-duzione di Aurelio De Giorgi Bertola (Oberdorfer, 1915). Siccome:come, legato a così di 5, segnala con evidenza le due campate sin-tattiche del paragone, conforme un uso stilistico presente anche nelsecondo Coro dell’Adelchi, 61-66; immobile: come il successivoimmemore ha una forte risonanza verbale negata dal prefisso; cfr.secondo Coro dell’Adelchi, 19, per un uso analogo, in cui restadominante l’idea di un’azione ostacolata, impedita. L’elaborazionesuggerisce il percorso attraverso il quale si fissa il momento del-l’immobilità come termine rappreso, sintetico di un’ultima, violen-ta scossa: «come al terribil Segnal della partita Tutta si scosse in fre-mito La salma inorridita, Come agghiacciata immobile Dopo ilgran punto sta» (Ghisalberti, 107).

3. la spoglia: sostituisce salma della prima stesura; cfr.Risurrezione, 89-91, «Non è madre che sia schiva De la spoglia piùfestiva I suoi bamboli vestir» e Pentecoste, 17-18, «E allor che dalletenebre La diva spoglia uscita». Ma resta rivelatore, benché fonda-mentalmente diverso, l’uso della Risurrezione: spoglia come abito,veste e qui involucro abbandonato dall’anima; di questo valoreconnotativo è sintomo anche la aggettivazione (immobile).

4. spiro: vedi sopra, «dato il mortal sospiro»; Bertoldi (1957)sente le due espressioni come sovrabbondanti. Ma tutto l’insiemerichiama le antitesi mobilità-immobilità, vita-morte. Su questa lineasembra essere il parallelismo tra «spoglia immemore Orba» e «per-

Ei fu. Siccome immobile,dato il mortal sospiro,stette la spoglia immemoreorba di tanto spiro,

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cossa, attonita La terra» con la disposizione a chiasmo, aperta econclusa dalla ripresa del verbo Stette, sta.

5. percossa, attonita: colpita e stordita dalla notizia che è esplo-sa come un colpo di tuono; cfr. nella prima stesura «Tale al profon-do (tonante) annunzio Stette repente il mondo» (Ghisalberti, 107).

6. terra: per sineddoche, gli uomini che la abitano, ma si badiall’elemento metaforico persistente, per cui si fronteggiano il colos-so napoleonico caduto e il mondo anch’esso personificato e gigan-tesco. Già qui la deformazione si fissa in un clima visionario, comepoi per «orma»; nunzio: latinismo, annuncio; sta: latinismo seman-tico «si arresta»; vedi sopra «stette», in cui prevale il valore pun-tuativo, il momento dell’arrestarsi e il suo prolungarsi indefinitotemporalmente. Da accostare al Natale, 6, «batte sul fondo e sta».

7. Muta: allo squillo iniziale dell’Ei fu, corrisponde simmetri-camente, all’inizio di verso e di strofa, il segnale del silenzio.

8. fatale: l’aggettivo di origine epica e classica (Virgilio, diEnea, dice fatalem (Aen. XI, 232) e Livio, di Scipione, fatalis dux(Historiae XXII, 53) ha vagabondato attraverso le varianti in cercadi una collocazione giusta per un’idea incombente: «il fatal sospi-ro», «che lo nomò fatale» (Ghisalberti 107). Sembra comunqueopportuno accettare il significato più ovvio: voluto dal fato, pro-prio perché orma di Dio.

10. orma: vedi la giovanile Traduzione da Virgilio, 51-52, e Inmorte di C. Imbonati, 20. E frequente nei classici seguita dal geni-tivo: «vestigia pedis» in Aen. V, 566 e nelle Metam. II, 852. Quivisualizza l’impianto metonimico delle due strofe iniziali, solleci-tando la sovrapposizione di «cruenta polvere» e «orma», sicchél’immagine è quella dell’impronta gigantesca e sanguinosa. Anchein Bossuet, marque ha significato analogo (cfr. Oraison funèbre deLouis de Bourbon prince de Condé, ricordata da Bonora, 1976).

così percossa, attonita 5la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultimaora dell’uom fatale;nè sa quando una simileorma di piè mortale 10

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13. Lui: riprende «Ei fu» ed è oggetto di vide, quindi la forteinversione sintattica (Terracini, 1966); solio: trono, latinismo, inve-ce di soglio. Il fulgore del trono si colloca nel passato (vide), men-tre perentoria è la segnalazione temporale del presente nelle dueprime strofe.

14. genio: cfr. Adda, 65-68. Il termine è fortemente segnato dalsuo uso neoclassico (nell’autografo braidense era appunto Genio)e quindi non tanto significa ingegno, talento, quanto ispirazione,quasi divina o personificata, cioè l’essere alato con emblemi divarie virtù della iconologia del primo ottocento. In particolare,quest’uso è del Parini, cfr. almeno Per l’inclita Nice, 85.

15. vece assidua: non interrotto avvicendarsi. Alcuni commenta-tori vi sentono un elemento ossimorico che l’uso poetico frequen-te attutisce; cfr. Foscolo, Sepolcri, 96, «veci eterne».

16. cadde, risorse, giacque: la triplice sequenza verbale è presen-te anche nella Pentecoste, 6, e segnala la forte concentrazione d’a-zioni tipica dello stile lirico, ma non andrà sottovalutata l’impor-tanza della cadenza giambica del settenario che suggerisce la divi-sione in tre piedi. Si allude alla sconfitta di Lipsia (1813) e all’esi-lio all’Elba (cadde); ai Cento giorni (marzo-giugno 1815, risorse);alla definitiva disfatta di Waterloo (8 giugno 1815) e all’esilio a S.Elena (giacque). Alcuni commentatori ricordano Tasso, Lib. XX,108, «Poi ch’il Soldan che spesso in lunga guerra Quasi novelloAnteo, cadde e risorse Più fiero ognora, al fin calcò la terra Per gia-cer sempre...». La posizione forte di «giacque» richiama anche lagiovanile Traduzione da Virgilio, 53, «Tra il sozzo fimo e il sacrosangue ei giacque».

la sua cruenta polverea calpestar verrà.

Lui folgorante in soliovide il mio genio e tacque;quando, con vece assidua, 15cadde, risorse e giacque,

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17. sonito: latinismo frequentativo di sono; qui suono confuso,strepito, rimbombo. Già, per esempio, in Monti, Mascheroniana II,155, «Col sonito che fan cadendo i fiumi», ma anche possibilereminiscenza biblica, cfr. nota al v. 95.

18. Mista la sua non ha: il motivo del silenzio come segno dionestà e prudenza, era già in Aprile 1814, 4.

19. servo encomio: le lodi a Napoleone furono spesso abiette.Ricorda il Cantù (1882) che il Manzoni «stomacavasi delle sman-cerie francesi, per cui un prefetto dichiarava che Dio ebbe bisognodi riposare dopo aver creato Napoleone».

20. urna: il termine conserva la sua connotazione neoclassica.Per esempio, tomba è spesso urna nei Sepolcri. di codardo oltraggio:in antitesi, nel parallelismo della sequenza aggettivo-sostantivo, aservo encomio.

23. un cantico: «componimento, per lo più sacro e solenne, nondi meri suoni, ma con parole: per lo più di lode, di trionfo, di gioia,d’amore» (Tommaseo-Bellini).

24. forse non morrà: «È il primo annuncio del tema religioso cheben tosto andrà affermandosi..., in opposizione alla caducità delleglorie umane, il Manzoni proclama immortale il suo canto, soprat-tutto perché ci trasporta sul piano delle cose eterne» (Terracini,1966). Ma è tema tuttavia neoclassico; cfr. Parini, La laurea, 26-28,«i versi Atti a volar di viva gloria aspersi Del tempo oltra le mete»(Bertoldi, 1957). Qui il forse attenua con umiltà cristiana (o insicu-rezza manzoniana?) la fiducia nella gloria.

di mille voci al sonitomista la sua non ha:

vergin di servo encomioe di codardo oltraggio, 20sorge or commosso al subitosparir di tanto raggio;e scioglie all’urna un canticoche forse non morrà.

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25-26. Dall’Alpi ... al Reno: in rapida successione sono evocatele campagne militari di Napoleone: dall’Italia, all’Egitto, allaSpagna (Manzanarre è il fiume che attraversa Madrid), allaGermania. E poi (29-30) dalla Sicilia al Don (Tanai), cioè allaRussia, quindi dall’Atlantico al Mediterraneo. I segmenti binari,fortemente rilevati e centrati sul valore evocativo dei nomi geogra-fici, suggeriscono la rapidità e l’immensità dello spazio in cui simosse l’eroe; cfr. anche Pentecoste, 85-86.

27. Di quel securo: l’inversione sottolinea l’aggettivo sostantiva-to securo: cfr. Adelchi V, 57, 8, «A terre ignote quei securi venieno».Nel Fermo e Lucia, 595, il Manzoni chiosa: «il vocabolo sicuro chein origine vale fuor di pericolo, fu translato a significare anche ardi-to»; e Tommaseo-Bellini: «Dalla sicurezza il coraggio, onde sicurofu ardito, animoso, intrepido».

27-28. il fulmine Tenea dietro al baleno: lo scoppiare del tuonoseguiva subito il balenare del lampo, cioè l’azione seguiva subitoalla scelta dell’eroe. In abbozzo: «Lo scoppio del suo fulmineSeguiva il suo baleno». E la metafora di Napoleone come «fulminedi guerra», qui rinnovata dalla potente energia di scoppiò; cfr. unavariante della prima stesura dell’Adelchi I, (Ghisalberti, 1075), «...vide Spoleti Fulminante arrivar qual su la preda Giovinetto spar-viero»; tenea: l’imperfetto si situa a metà della strofa con valore ite-rativo (più che descrittivo), sottolineando, per opposizione, la seriedi azioni puntuative espresse dai perfetti.

30. Dall’uno all’altro mar: cfr. Pentecoste, 8, «Dall’uno all’altromar», dove Manzoni segnala l’ascendenza biblica, (Psal. LXXI, 8).L’espressione era già nella stesura della Pentecoste del 1819; il suoritorno qui, in un contesto diverso, non è casuale: la potenza guer-riera di Napoleone è l’equivalente caduco, transeunte della poten-za conquistatrice della fede (anch’essa segnata dall’immagine diguerra immediatamente precedente, «che le tue tende spieghi»).

Dall’Alpi alle Piramidi, 25dal Manzanarre al Reno,di quel securo il fulminetenea dietro al baleno;scoppiò da Scilla al Tanai,dall’uno all’altro mar. 30

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31. Fu vera gloria?: del principe di Condé aveva scritto Bossuet:«Ainsi la fausse gloire ne le tentait pas: tout tendait au vrai et augrand. De là vient qu’il mettait sa gloire dans le service du Roi etdans le bonheur de l’Etat». Ma Nigro (1978) ricorda anchel’Analisi della sensibilità del Lomonaco, XXIII.

32. L’ardua sentenza: l’espressione segnala un abbassamento ditono, conforme l’indole problematica e meditativa del motivo.Nell’abbozzo (Ghisalberti, 109), «Fu romor vano? o gloria? L’etàventura il dica», in questa prima fase, con un ricordo dantesco(Purg. XI, 100-101), «Non è il mondan romore altro ch’un fiato Divento». nui: forma arcaica di noi qui usata per l’autorizzazione diDante, Inf. IX, 19-21, «Di rado Incontra – mi rispuose – che di nuiFaccia il cammin alcun per qual io vado», esempio citato dalTommaseo-Bellini (altra invece la lezione dell’edizione Petrocchidella Commedia). Ma, come ricorda Nigro (1978), anche Monti,Mascheroniana I, 73-75, rima sui con nui, forma che poi fu usataanche dai poeti del Parnaso democratico (cfr. la rima frequente nui:altrui, che livella la rima siciliana voi: altrui).

36. più vasta orma: il Manzoni scriveva al Pagani (Lettere I, 253)«Veggio che più vasta orma è espressione viziosa, poiché manca iltermine comparativo, ed il senso non è perfettamente chiaro: sìvasta sarebbe più grammaticale, ma sarebbe ancor più lungi dalsenso che ho voluto, e non ho saputo esprimere». Ma vedi 9-16,«una simile Orma di piè mortale»; il termine orma richiama l’im-magine iniziale, proponendo un’eco, sottile ma insistente, tra l’or-ma cruenta che Napoleone ha lasciato sulla terra e l’orma divina cheera nel suo spirito. Infatti «i valori semantici del lessico manzonia-no in forma più o meno complessa sono ordinariamente determi-nanti in funzione di un termine correlativo» (Terracini, 1966).

37. La procellosa e trepida: la dittologia tende a una connotazio-ne antitetica, se non ossimorica, che intensifica e sfuma di inconci-

Fu vera gloria? Ai posteril’ardua sentenza: nuichiniam la fronte al MassimoFattor, che volle in luidel creator suo spirito 35più vasta orma stampar.

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liabili opposizioni il termine gioia: la tempesta di speranze e dipaure che nasconde l’ambizione del potere. Nota il rilievo dato atrepido in enjambement. Così anche nel secondo Coro dell’Adelchi,«trepido occidente», metaforizza il momento del timore e dellasperanza.

39. indocile: con forte elemento verbale, come sopra immemore-immobile, sottolineato dalla posizione predicativa. Cfr. Parini, Perl’inclita Nice, 95-96 «Te di vagare indocile Per lungo di speranzearduo sentier», ove è la stessa posizione rilevata dall’enjambement.Quest’uso pariniano di indocile non è registrato dal GrandeDizionario della Lingua Italiana di Battaglia, ove si ricorda che l’ag-gettivo è insolito nello stile poetico, almeno fino alla metà del ’700.

40. Serve pensando al regno: l’antitesi anticipa l’opposizione suc-cessiva tra polvere e altar.

41. E il giunge: lo raggiunge; cfr. Dante, Purg. XVII, 127,«Ciascun confusamente un bene apprende Nel qual si queti l’ani-mo, e desira: Perché di giugner lui ciascun contende».

42. Ch’era follia sperar: la speranza della gloria terrena è follia indue sensi, perché supera arbitrariamente i limiti di una previsionerazionale e perché è, biblicamente, «stultitia» (Nigro, 1978). Piùavanti il termine speranza si associa a ciò che, cristianamente, è giu-sto attendere: «i floridi Sentier della speranza».

43. Tutto ei provò: la proposizione reggente si colloca esatta-mente a metà del periodo sintattico e della coppia strofica e fa dabilancia alla doppia rievocazione: la prima parte in crescendo, sot-tolineata dall’infittirsi dei verbi (serve, giunge, tiene, sperar); laseconda in rigida scansione binaria, che perfeziona le antitesi, nonriconciliate, della vicenda napoleonica. Ei richiama l’antonomasti-co pronome iniziale (Ei fu) e il successivo «Ei si nomò».

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La procellosa e trepidagioia d’un gran disegno,l’ansia d’un cor che indocileserve, pensando al regno; 40e il giunge, e tiene un premioch’era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria

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47-48. Due volte ... sull’altar: il percorso terreno di Napoleoneè rievocato con la stessa sintetica rapidità con cui era stato ricorda-to prima il fulmine di guerra, ma, significativamente, manca unverbo che, come scoppiò, condensi e risolva la molteplicità delleazioni. Per l’opposizione polve-trono cfr. Adelchi I, 193, «Perire sultrono o nella polve in pria Che tanta onta soffrir»; e Pentecoste, 23«Da questa polve al trono». L’opposizione polve-trono è la metafo-ra di un avvicendarsi di umiliazione e riscatto, che avvicinaNapoleone a Cristo. Ma l’accostamento rivela anche l’elementoblasfemo di quell’altare laico su cui Napoleone si è posto e dove gliuomini l’hanno adorato.

49. Ei si nomò: la divinizzazione sacrilega è implicita nell’auto-nominarsi di Napoleone. In abbozzo: «Egli apparì». Bonora (1976)cita un passo di Bossuet nelle Oraisons funèbres, «Quel autre a faitun Cyrus, si ce n’est Dieu, qui l’avait nommé deux cent ans avantsa naissance dans les oracles d’Isaie? Tu n’est pas encore, lui disait-il, mais je te vois, et je t’ai nommé par ton nom», da leggere peròcome conferma per contrario del tratto di luciferino orgoglio cheManzoni addita in Napoleone. due secoli: i due secoli sono il XVIIIe il XIX, secondo un’immagine non ignota allo stile storico e poli-tico dell’epoca. Cfr. Monti, Il bordo della Selva Nera VI, 161-163,dove la Francia si rivolge a Napoleone «Questa di mali, o figlio,onda fremente Franger non puossi che d’un trono al piede Al volerd’una sola arbitra mente»; sempre Monti, Il Beneficio, 73-75,«Muta il guarda l’Europa, e a lui mercede Grida in segreto: ed eine libra il fato Né montai occhio il suo librar mai vede»; la sugge-stione montiana è evidente, anche se profondamente rielaborata(«arbitra mente» – «arbitro»; «muta» – «Ei fè silenzio»; «ei ne librail fato» – «Come aspettando il fato»).

51. Sommessi: in abbozzo: «tremanti», «trepidi». La forma defi-nitiva scopre l’antitesi con il precedente «L’un contro l’altro arma-

maggior dopo il periglio,la fuga e la vittoria, 45la reggia e il tristo esiglio:due volte nella polvere,due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,l’un contro l’altro armato, 50

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ti»; qui infatti l’aggettivo conserva il suo valore verbale, cioè sotto-messi.

53. arbitro: giudice insindacabile, onnipotente: ancora una voltaNapoleone assume un ruolo demiurgico e quindi blasfemo. Cfr.Racine, Athalie IV, 1348, «arbitre des combats» detto di Dio chesolo decide le battaglie (Nigro, 1978). In abbozzo: «D’ambo si fèsignor»; «Stette regnò signor» (Ghisalberti, 111). Ei fè silenzio: cfr.Machab. I, 1-3: «Et siluit terra in cospectu eius», a proposito diAlessandro Magno.

54. S’assise: è il gesto solenne del despota; con questa immaginela teatralità della scena si precisa e pare preludere allo svolgersi diun’azione.

55. E sparve: la congiunzione gradua l’improvviso abbassarsidel tono e ritmo strofico e dà inizio, dopo la concitata e solennesintesi della vicenda storica, alla storia dell’anima. Terracini (1966)finemente accosta questo perfetto al «Subito sparir di tanto rag-gio».

56. in sì breve sponda: in opposizione a «Dall’uno all’altro mar».Il teatro della morte è la piccola isola di S. Elena (con un’estensio-ne di 122 kmq., distante 1559 km. dalla costa atlantica); lo spetta-tore è solo Dio, non più l’intera umanità.

57-58. Segno ... di pietà profonda: della simmetrica disposizionebinaria (con la lieve variatio del chiasmo di pietà profonda/inestin-guibil odio) si prolunga negli uomini la violenza contraddittoria deisentimenti che agitarono l’eroe. Nota la ferma segnatura verbaledegli aggettivi in-domato in-estinguibile, e la opposizione tra «brevesponda» e «immensa invidia», che è il punto di passaggio tra ilchiudersi della vicenda pubblica di Napoleone e il suo prosegui-mento nel ricordo e nel mito.

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sommessi a lui si volsero,come aspettando il fato;ei fe’ silenzio, ed arbitros’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio 55chiuse in sì breve sponda,segno d’immensa invidia

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61-67. Come ... Tal: nella similitudine manzoniana che si incar-dina su puntelli di esclusiva funzionalità sintattica, una delimita-zione asettica dietro la quale si condensa un linguaggio fortementeallusivo e sintetico, la critica ha, in generale, distinto due momen-ti, quello in cui l’onda si solleva e il misero, trasportato insieme adessa, scorge «prode remote invan» e un secondo in cui la massad’acqua ricade sopra di lui come «cumulo». Da scartare appare lametaforizzazione del primo di questi momenti, per cui il miseronon sarebbe ancora tale, ma navigherebbe per essere poi abbattu-to dall’onda durante il naufragio vero e proprio (così Russo, 1959e Accame Bobbio, 1956). A questo proposito, chiarificante appareil rapporto con uno spunto identico nell’abbozzo della Pentecoste(1817) e qui si rimanda alle conclusioni che dal raffronto traeLonardi (1962, 82): «... la vista di Napoleone naufrago, come quel-la dell’altro naufrago dell’inno, non scorre invano; scorge, invano,le sponde lontane; irraggiungibili, se l’uomo è solo. Lo strazio, allo-ra, è ancora più desolato, come di chi ha intravisto un porto di con-solazione e di salvezza, ma non riesce a raggiungerlo».

63. L’onda su cui: è stata talvolta riprovata dai critici, presi difronte a quest’ode da una vera e propria febbre giudiziaria, l’ana-diplosi di questo vocabolo: ma quest’onda riprende, visualizzando-lo sintatticamente, il movimento della massa d’acqua che si sollevae ricade.

64. Alta pur dianzi e tesa: cfr., anche per la posizione in iperba-to dell’aggettivo, Aen. VI, 357, dove l’ombra di Palinuro, naufrago,narra: «Prospexi Italiam summa sublimis ab unda». «Il tipo didoppia comparazione è in sostanza identico a quello del Coro diErmengarda» (Terracini, 1966).

66. Prode remote invan: in fortissimo rilievo alla fine del verso,è un ritorno della Pentecoste (1817, Firpo, 14), «Invan da lunge il

e di pietà profonda,d’inestinguibil odioe d’indomato amor. 60

Come sul capo al naufragol’onda s’avvolve e pesa,l’onda su cui del misero,alta pur dianzi e tesa,scorrea la vista a scernere 65

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naufrago Il suo periglio ha scorto: Invan ch’ei piomba assorto Nelconosciuto mar».

67-68. il cumulo Delle memorie scese: cfr. Parini che suggerisce,forse, alcuni aspetti del paragone: La tempesta, 37-40, «e qual delmultiforme Monte dell’acque enorme Sopra di lui riverso Cede algran peso; e alfin piomba sommerso», soprattutto per il forte iper-bato di qual, in certo modo evocato dal manzoniano Tal su quel-l’alma, anch’esso fortemente dislocato.

69. Oh quante volte: ripreso poi al v. 73. L’anafora scandisce l’i-nutilità del ricordo, sia quello invano affidato alle carte, sia l’ondairresistibile e involontaria che assale al tramonto l’eroe solitario.

71-77. sull’eterne pagine: si potrebbe intendere pagine intermi-nabili, perché angosciose, benché il Tommaseo-Bellini registri que-sto significato solo in senso scherzoso e familiare. Insufficiente l’in-terpretazione più facile: eterne, perché narrano imprese destinateall’eternità. È in contrasto infatti con la fondamentale domanda«Fu vera gloria?». Non sana la contraddizione il considerarle eter-ne perché vere come il carme del poeta «Che forse non morrà»(Nigro, 1978). Eterne pagine sarà da leggere semmai in antitesi coni campi eterni, ove si svela la vera eternità, che non appartiene allasfera dell’umano. È insomma uno dei casi in cui Manzoni non usala doppia aggettivazione, ma condensa in un unico vocabolo loscontro di due significati riferiti a due sfere diverse, quella sogget-tiva dell’eroe e quella oggettiva della storia: eterne parevano aglialtri le imprese di Napoleone e non concluse e quindi non narrabi-li per l’eroe che le ripensa nella nuova prospettiva della sconfitta enel presagio della fine. Balena, nella persistenza enigmatica delvocabolo, la condizione anch’essa enigmatica e non risolta cuiNapoleone perviene attraverso la sofferenza sul senso della sua vitae della sua gloria. È uno dei punti più intensi di quello che potrem-mo chiamare il «non finito» dell’ode.

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prode remote invan;

tal su quell’alma il cumulodelle memorie scese!oh quante volte ai posterinarrar sè stesso imprese, 70

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72. Cadde la stanca man: cfr. Aen. VI, 32, di Dedalo che tenta discolpire la morte di Icaro sulle porte del tempio di Apollo in Cuma,«Bis patriae cecidere manus».

73-74. al tacito Morir d’un giorno inerte: il silenzio e l’inazioneaccompagnano il tramonto del guerriero; cfr. Carmagnola I, 311-316. Ma qui subito inerte richiama, con la antitesi consueta, il furo-re dei ricordi (79-85).

75 rai fulminei: anche lo sguardo «fulminante» è nascosto sottole palpebre; Napoleone appare come un ricordo di ciò che erastato; rai richiama tanto raggio, più sopra. È noto l’aneddoto riferi-to dallo Stoppani (1923, 100): «Una sera che il teatro alla Scala eraonorato dell’intervento del primo Console, Alessandro giovinettodi quindici anni, stava sul palco della contessa Cicognara... IlManzoni non poté staccare i suoi dagli occhi dell’eroe». «Cheocchi» – diceva egli, parlandone una volta ad un amico ne suoi ulti-mi anni – «che occhi aveva quell’uomo!» – «Allora sono quegliocchi – disse l’amico celiando – che le hanno dettato quel verso“Chinati i rai fulminei”». «Proprio così» rispose Alessandro».

77. Stette: il bisillabo all’inizio verso è seguito da forte cesura;così stette detto della spoglia, e poi sta, in fine verso, hanno tutti unnetto rilievo metrico: è il motivo dell’immobilità e della morteripreso sempre in antitesi al tumulto delle imprese cruente e alvano tumulto dei ricordi.

78. il sovvenir: scriveva Manzoni al Cantù: «È una brutta paro-la, che non va né in prosa né in verso. Ne fremerebbe il berretto delpadre Cesari, che mi consigliava d’imparare a scrivere italiano.Dispiaceva anche a me; ma dopo i tre giorni per così dire, di con-vulsione, in cui ho composto quella corbelleria, mi sentivo cosìspossato da non bramare che di uscirne; e non sovvenendomi di

e sull’eterne paginecadde la stanca man!

oh quante volte, al tacitomorir d’un giorno inerte,chinati i rai fulminei, 75le braccia al sen conserte,stette, e dei dì che furonol’assalse il sovvenir!

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meglio, lasciai il “sovvenir” (Lettere, II, 1605)». In realtà il termineribadisce, con una ripresa indiretta e sotterranea, legata alla radiceetimologica e verbale (sub-venire), il significato di assolse: è l’asse-dio incontrollabile e improvviso dei ricordi, ma scandito nei duemomenti dell’improvviso apparire dei fantasmi e della violenza concui l’anima ne viene colpita; cfr. il secondo Coro dell’Adelchi, 81-82, «l’anima Impaurita assale», dove di nuovo torna il verbo checonnota la memoria involontaria.

79-84. E ripensò ... il celere ubbidir: il ritmo descrittivo è bina-rio, come nella sequenza delle conquiste napoleoniche.L’allineamento registra una sola variazione (ma sempre all’internodel ritmo binario) nell’enjambement di mobili Tende, mentre poi lascansione riprende uniforme, raggruppando i segmenti di nuovo, adue a due (il lampo dei ... l’onda dei; imperia ... ubbidir): nell’ondadei ricordi si insinua una calcolata simmetria, che si svolge dallasintesi verbale del ripensò; il lampo dei manipoli: il rapido movi-mento dei plotoni, ma è significativo il ritorno della costellazionesemantica del lampo, tuono, fulmine presente anche nei rai fulmi-nei, che sembra connotare con gli elementi che si porta al seguito(lo scoppio, la rapidità e infine il silenzio) tutta la vicenda terrenadell’eroe.

86. lo spirto anelo: anelante, affannato, che respira a fatica equindi in relazione con il più spirabil aere subito dopo; cfr. Par.XXII, 4 «come madre che soccorre Súbito al figlio palido edanelo».

87. E disperò: come E sparve, l’espressione è isolata dalla fortecesura (anche sintattica) e anche in questa risentita scansionemetrica allude al punto estremo della caduta di Napoleone.

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e ripensò le mobilitende, e i percossi valli, 80e il lampo de’ manipoli,e l’onda dei cavalli,e il concitato imperio,e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio 85cadde lo spirto anelo,

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88. una man dal cielo: cfr. Sant’Agostino, Conf. III, XI, 19, eanche Psal. LXXXV, 13. Questa mano non è pura metafora (Russo,1959 e altri), ma, oltre il ricordo biblico, uno dei segnali dell’affio-rare del tessuto iconologico neoclassico e sepolcrale dell’ode.

91-92. E l’avviò pei floridi Sentier della speranza: della persi-stenza di un certo materiale di immagini può essere testimonianzaquesta strofa della Pentecoste del 1819 (Firpo, 64): «Dalle infecon-de lagrime Una speranza è nata Che sugli erbosi tumuli Siede pen-sosa e guata E alzando il dito al vigile Pensiero un calle accennaChe l’immortale sua penna Tutto varcar non può»; il momentointermedio tra lo spunto iniziale e l’esito definitivo è evidente nel-l’abbozzo del Cinque Maggio (Ghisalberti, 113): «A lui mostrandoi fulgidi Fior de la speme eterna Mostrando a lui le fulgide Vie dellaeterna speme». Questa speranza è in diretta opposizione alla dispe-razione di 87, ed è la virtù cristiana dono della Grazia; cfr. anchePentecoste, 9.

93. Ai campi eterni: non più i campi di battaglia; cfr. anchePentecoste, 9, ove torna il translato «campo di quei che sperano».

94. Che i desideri avanza: cfr. Par. XIX, 14-15, «quella gloriaChe non si lascia vincere a disio».

97-98. Bella Immortal! benefica Fede: fino alla copia Viesseux enell’abbozzo «Bella, immortal benefica». È questo un altro degli

e disperò; ma validavenne una man dal cielo,e in più spirabil aerepietosa il trasportò; 90

e l’avviò, pei floridisentier della speranza,ai campi eterni, al premioche i desidéri avanza,dov’è silenzio e tenebre 95la gloria che passò.

Bella Immortal! benefica

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aspetti neoclassici dell’ode; trionfo è vocabolo ricco di implicazio-ni, anche in questo senso, per Manzoni.

99. Scrivi ... allegrati: la fede annota i suoi trionfi come altreimmagini dell’olimpo delle virtù e vizi del primo ’800. Per la persi-stenza di questa immagine cfr. la già citata strofa della Pentecostedel 1819 (91-92). Le due figure della Speranza e della Fede sonoanaloghe nella iconologia neoclassica (Marchi, 1982).

100. più Superba altezza: per le implicazioni negative nel lessicomanzoniano dell’aggettivo superbo/a, cfr. le note agli Inni, passim.Diviene evidente il tema della superbia che offende Dio, implicitonella sequenza antonomastica delle strofe iniziali (Ei fu ... Ei sinomò).

101. Al disonor del Golgota: scrive il Manzoni al Pagani (LettereI, 253) «Il disonor del Golgota è imitato dall’improperium Christi edall’altro stultitiam crucis di S. Paolo: i grandi predicatori francesigettano più d’una volta nei loro discorsi l’opprobre de la croix,senz’altro temperamento, perché s’intenda che è disonore, obbro-brio, improperio agli occhi del mondo». Parecchi anni dopo, scri-vendo a S.B. Montgrand (Lettere II, 93) chiarisce ancora: «Par ledisonor del Golgota, j’ai réellement voulu dire: la sainte ignominiede la Croix; mais je n’ai pas su le dire. Vous voyez, Monsieur, quema phrase était, ou voulait être, une imitation de celles si connuesde Saint Paul; “Christum crucifixum, gentibus stultitiam,Improperium Christi”. Mais dans ces deux passages, l’apôtre nelaisse pas à deviner, il marque au contraire très clairement que c’estle language du monde, qu’il parle dans ce moment, et non le sien –dans le premier par gentibus: dans l’autre, par thesauroAegyptiorum, qu’il met en opposition avec improperium Christi.Ainsi disparaît tout ce que les deux mots pouvaient avoir d’étran-ge et d’étonnant, appliqués à un tel sujet. On a pu après cela diretout crûment, et pourtant sans équivoque sans inconvenance: lafolie, ou l’opprobre de la Croix; parce que ce sont les termesmêmes dont Saint Paul s’est servi, et qui, expliqués par lui, n’ontplus besoin d’explication, et portent, pour ainsi dire, avec eux leursublime ironie.» J. Baptiste de Montgrand (1776-1847) tradusse infrancese i Promessi Sposi (1832) e poi gli Inni Sacri e il CinqueMaggio (1837). La spiegazione sottolinea un concetto fondamenta-le nella genesi dell’ode: la superba altezza di Napoleone si è china-

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fede ai trionfi avvezza!scrivi ancor questo, allegrati;chè più superba altezza 100

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ta davanti alla croce, insieme disonore e sublime altare (così nellaPentecoste, 15); nel «paradosso» del sublime cristiano, che consistenel rovesciamento dei termini della gloria umana, ancheNapoleone, come Cristo, viene esaltato, quando si umilia.

103. Dalle stanche ceneri: stanche per la fatica del vivere, ed èuna ricerca e attività senza scopo che diviene evidente nel legamecon ceneri, ricordo del monito quaresimale. In abbozzo: «Pace allatomba» (Ghisalberti, 113).

104. Sperdi ogni ria parola: come la gloria, anche il tumulto deisentimenti e delle passioni suscitate dall’eroe (immensa invidia,pietà profonda) si «sperde»: nel verbo si intensifica, attraverso ilprefisso, il senso di perdita inevocabile.

105-106. che atterra e suscita Che affanna e che conso-la: cfr. Tob. XIII, 2 «Quoniam tu flagellas et salvas, deducis ad infe-ros et reducis» e anche Deut. XXXII, 39, Job. V, 18.

107. Sulla deserta coltrice: Frédéric Masson, ricordato dalMomigliano (1936) racconta che quando Napoleone morì, il sacer-dote gli posò sul petto un crocifisso d’argento. Più letteraria (e piùfacile) l’ipotesi che Dio, che si posa accanto all’eroe morto, derividalla suggestione dantesca di Par. XI, dove la Povertà sale sullacroce accanto a Cristo.

al disonor del Golgotagiammai non si chinò.

Tu dalle stanche cenerisperdi ogni ria parola:il Dio che atterra e suscita, 105che affanna e che consola,sulla deserta coltriceaccanto a lui posò.