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3. Quadro Ambientale
3.1- Premessa
Il Quadro Ambientale si suddivide in un inquadramento generale dell’areale di riferimento in cui si
inserisce la superficie oggetto di studio e in una valutazione degli impatti ambientali
presumibilmente susseguenti alla realizzazione dell’opera.
In questa sezione sono affrontati i seguenti settori ambientali:
Ambito territoriale di riferimento,
Atmosfera,
Litosfera,
Idrosfera,
Biosfera,
Ambiente fisico,
Ambiente umano.
Per le descrizioni seguenti sono stati utilizzati prioritariamente le descrizioni aventi carattere
implicitamente normativo presenti nei documenti di programmazione sull’asse regionale-
provinciale. Tali descrizioni, che rappresentano i beni e valori che la collettività intende tutelare
anche con il semplice atto di nominarli, sono integrate da dati di campagna e da dati di letteratura.
In ambito di valutazione sono state individuate e analizzate solo le interferenze sulle componenti
ambientali susseguenti alla realizzazione dell’opera. Dato il carattere dell’intervento e del sito ,
l’analisi e la valutazione degli impatti è stata condotta applicando un giudizio sintetico fondato sulla
esperienza e sui diversi saperi disciplinari coinvolti nell’elaborazione, dove possibile su dati
quantitativi disponibili.
Il Quadro Ambientale si suddivide in un inquadramento generale dell’areale di riferimento in cui si
inserisce la superficie oggetto di studio, cioè la provincia di Benevento e in una descrizione
dell’ambito territoriale e gli eventuali impatti ambientali presumibilmente susseguenti alla
realizzazione dell’opera.
3.2- Elementi territoriali e geografici
3.2.1- Inquadramento geografico
L’ambito territoriale di riferimento è rappresentato dal comune di Dugenta, in particolare l’area di
intervento ricade in località Nodagnazio (o Schiete o Fiumara).
Il territorio è rappresentato da una diramazione della valle Telesina, la “Valle dell'Isclero”, il fiume
che separa il Comune di Dugenta dall’attiguo Comune di Sant’Agata de’ Goti, ricadente nella
media valle del Volturno, compresa fra il Matese a nord, il monte Maggiore ad ovest, le colline
tifatine a sud, e il Taburno ad est, e una parte della valle Caudina.
La cava, oggetto di intervento, è situata in una area a Nord-Ovest del comune di Dugenta, le cui
frazioni sono Campellone, Cantalupi, Cocola, Germinesi, Moscarella, San Nicola, Santa Maria
Impesole, Stazione di Frasso-Dugenta,Tore. La cava ricade, in particolare, nella frazione Germinesi
caratterizzata da insediamenti agricoli ed è parzialmente interessata (lambita) dal SIC IT8010027.
Figura 17- le Frazioni di Dugenta
Il sito fa parte del territorio di competenza dell’Autorità di Bacino dei Fiumi Liri-Garigliano e
Volturno ed è localizzato in un’ansa pianeggiante denominata Nodagnazio (o Schiete, o Fiumara) di
oltre 10 ha., che si trova tra il fiume Volturno e il rilevato naturale e che, anticamente, coincideva
con la sua sponda sinistra, un banco alluvionale ricco di sabbia e ciottoli che il fiume Volturno ha
formato per secoli nel corso di un progressivo movimento verso Nord.
L’area di intervento si trova in un impianto dismesso di estrazione e lavorazione di inerti fluviali di
circa 82.000 mq; è praticamente equidistante da due Strade Provinciali dalle quali dista circa 600 m,
a Nord Nord-Ovest la Contrada Schiete (SP49), ed a Sud-Est via Cantalupi (SP ex SS265). Altre
strade sono più a Sud-Est e quasi parallela a via Cantalupi la strada statale Fondo Isclero SP115 e, a
Sud, Sud-Ovest la via germinesi e la traversa Santa Maria Impesola. Dal centro abitato di Dugenta
dista circa 2 Km.
Il sito è circondato da un fascia boscata formata dalle specie tipiche spontanee della vegetazione
ripuaria: Salix alba e, da una specie infestante, oramai naturalizzata nel nostro ambiente, la
Robinia pseudoacacia. Pertanto non risulta visibile dalle percorrenze stradali limitrofe.
Il Fiume Volturno ha origine nel versante sudorientale del Monte Metuccia. Sotto Castellone al
Volturno, a destra, un canale gli porta le abbondanti acque della Sorgente Capo Volturno (nel
pendio orientale del Monte della Rocchetta). Esso scende verso sud e poco dopo Amorosi riceve a
sinistra il fiume Calore, suo maggiore affluente; quindi volge a sud-ovest, sboccando nella vasta
pianura alluvionale, limitato dal Monte Massico e dai Campi Flegrei ed esteso fino ai piedi del
Monte Somma e al Golfo di Napoli. Il Volturno la attraversa con giri tortuosi e chiude con un'ansa
la città di Capua; quindi finisce nel Tirreno con un delta, che dal 1616 al 1876 è avanzato di quasi 2
Km. Il corso misura 175 Km, il bacino si estende per 5.558 Km2 (quello del solo Calore 3058
Km2), escluso il tratto da Capua al mare, dove il fiume scorre tra argini e non ha più bacino. Il
Volturno è rapido e profondo ma torbido; la sua portata media è di 82,70 m3/sec; le piene non sono
frequenti, ma talvolta gravi, quando i venti di scirocco sciolgono le nevi dell'alto bacino, impedendo
il deflusso delle acque al mare.
Si distinguono:
- il bacino dell’Alto Volturno: dalla sorgente fino alla stretta di Ravindola, fra Matese e monti
di Venafro;
- il bacino del Medio Volturno: nella valle, dalla stretta di Rocca Ravindola fino alla stretta di
Triflisco;
- il Basso Volturno: in pianura, dalla stretta di Triflisco alla foce nel Tirreno.
Il Medio Volturno è dunque la vallata ove il fiume scorre fra l’Appennino (a Nord monti venafrani
e Matese, Taburno ad Est), il Preappennino (la piccola catena del monte Majuri o Maggiore, fra
Vairano e Castelcampagnano), e l’Antiappennino (il versante Nord delle colline tifatine, che
separano la vallata dalla pianura campana).
In questa valle, costellata di cinquanta comuni, il Volturno entra da Nord Ovest, e ne esce da Sud
Ovest, ricevendo numerosi affluenti, e da Est il principale di essi: il Calore.
Il Medio Volturno presenta quindi:
- una configurazione geografica unica, tipica delle valli fluviali, separata nettamente dai
territori vicini, dalle montagne già dette, che determinano un perfetto bacino d’impluvio nel
quale tutte le acque meteoriche e fluviali (e forse anche quelle sotterranee) confluiscono nel
Volturno;
- una situazione ecologica omogenea per il clima, la vegetazione e il terreno agrario;
- un insediamento umano che, ad eccezione di sette centri in pianura e cinque in montagna,
presenta trentotto centri collinari sulle fiancate della vallata.
3.2.2- Paesaggio
Forman e Godron (Pignatti, 1994) identificano il paesaggio come un’area territoriale eterogenea,
composta da un gruppo di sistemi interagenti, che si ripete in forma simile in zone contigue. Si
tratta, quindi, di una nozione complessa che difficilmente può essere analizzata studiando
isolatamente le singole variabili del sistema, in quanto sfugge lo stato di integrazione, l’unità di
ordine superiore, vale a dire lo stesso paesaggio (Pignatti, 1994).
La Convenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000, e ratificata con Legge
n. 14 del 9 gennaio 2006, definisce Paesaggio una determinata parte di territorio, così come è
percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle
loro interrelazioni.
La valle Telesina è una zona in provincia di Benevento, posta a margine di una pianura, ad 80 m
s.l.m., cerniera naturale tra il Lazio, la Puglia, la Campania ed il Molise; si estende per 210 km2 tra
i territori delle Comunità Montane del Titerno e del Taburno, coinvolgendo anche alcuni comuni
interni del comprensorio del Titerno (S. Lorenzo Maggiore e Ponte). Dal punto di vista
geomorfologico il sito si presenta come una modesta valle alluvionale attraversato dal medio corso
del fiume Calore beneventano, con manifestazioni termali lungo l’estremo margine settentrionale
della valle. La flora è costituita in prevalenza da foreste a galleria e diffusi arborei. Tra le specie si
segnalano il Salice bianco ed il Pioppo bianco. Si presenta come un territorio ospitale, fiero delle
proprie tradizioni, ricco di risorse naturali, storico-artistiche, archeologiche, caratteristico per i suoi
prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato; inoltre può contare su un ambiente fisico
gradevolmente diversificato nei suoi paesaggi di pianura, di collina e di montagna.
Il comprensorio comprendente i comuni di Amorosi, Dugenta, Faicchio, Frasso Telesino, Limatola,
Melizzano, Puglianello, San salvatore Telesino, Solopaca, Telese, è situato nel settore
nordoccidentale della provincia di Benevento ed occupa un’area dell’Appennino Campano tra il
Massiccio del Matese e i Colli del Tammaro. Il territorio è connotato da una dominanza di aree
collinari e montane, da condizioni geo-pedologiche poco favorevoli allo sviluppo di attività agricole
intensive e da un’armatura urbana scarsamente robusta. Dal punto di vista naturalistico, elementi di
notevole interesse, accanto a foreste di faggio o miste e ai corsi d’acqua perenni e torrentizi, sono il
Monte Mutria con Bocca della Selva, lagune e stagni quali il Lago di Spino, fenomeni carsici del
Monte Cigno, il parco geopaleontologico di Pietraroja. Il territorio inoltre è inserito all’interno di un
più ampio comprensorio in cui sono presenti numerose località in grado di attrarre significative
presenze turistiche e nelle quali dirottare parte dei flussi turistici: in particolare si ricorda il centro
sciistico di Campitello Matese, le aree archeologiche di Sepino e di Telesia, la stazione termale di
Telese, il lago del Matese. L’area Nord-Occidentale del territorio è inclusa nel perimetro del Parco
Regionale del Matese. Le condizioni di accessibilità generale sono in parte soddisfacenti,
soprattutto riguardo ai collegamenti con l’esterno della fascia a ridosso della Valle Telesina, ma non
particolarmente brillanti per quanto riguarda le comunicazioni all’interno della Comunità, con
particolare riferimento ai centri rurali della fascia collinare e montana, nei quali si è prodotta una
progressiva marginalizzazione rispetto alle dinamiche dello sviluppo sociale ed economico rilevate
nel corso degli ultimi decenni sullo scenario nazionale, ma anche rispetto alle aree costiere
pianeggianti della regione. Gli effetti indotti da tale marginalizzazione, sul territorio e sulle
condizioni socio-economiche delle popolazioni, sono piuttosto evidenti e si traducono in un
progressivo abbandono delle attività agro-silvo-zootecniche tradizionali. Al fine di favorire la tutela
e la conservazione di habitat naturali e seminaturali, nonché la flora e la fauna selvatica presenti nei
Paesi comunitari, la CE ha affidato alle Regioni dei singoli Stati membri il compito di individuare
siti di particolare interesse ai quali conferire il riconoscimento di Siti di Importanza Comunitaria
(SIC). Tale riconoscimento consente alle aree così individuate l’inserimento in una rete ecologica
europea, denominata “Natura 2000”, destinata a garantire uno stato di conservazione favorevole
degli habitat naturali e delle specie di interesse comunitario. La regione Campania ha individuato in
provincia di Benevento 11 SIC di cui 2 ricadono nella suddetta area.
L’uso del suolo agricolo è caratterizzato da differenti tipi di colture. Anche se in misura non
predominante, il vigneto e l’uliveto coprono i rilievi del Monte Maggiore interessando
principalmente l’area di Caiazzo, Ruviano, Castel Campagnano e Piana di Monte Verna fin verso i
colli Tifatini. Il seminativo asciutto caratterizza soprattutto le valli di Pietramelara e Riardo, il
Monte Maggiore nelle zone di Baia e Latina, Dragoni, Alvignano, Castel Campagnano e Ruviano. Il
seminativo arborato domina le pendici sud-orientali del Monte Maggiore, tra Alvignano, Caiazzo e
Castel Campagnano, fino alla confluenza col fiume Calore, e a ridosso del versante capuano dei
Tifatini e del Monte Maggiore (Bellona, Triflisco). L’allevamento bovino, che ha contraddistinto
buona parte del territorio del Medio Volturno, ha subito negli ultimi anni una forte contrazione a
causa del processo di sanitarizzazione della produzione lattiero-casearia e delle concentrazioni
industriali. Esso è stato sostituito solo parzialmente da quello ovi-caprino (sui rilievi del Monte
Maggiore), suinicolo (Pontelatone, Castel di Sasso, Caiazzo, Ruviano e Castel Campagnano) e,
soprattutto, bufalino.
Per quanto riguarda il fiume Volturno, fin quando esso conserva carattere torrenziale, ha acque
limpide, ma già nella valle del Medio Volturno subisce gravi forme di inquinamento. Nella piana
alifana, dopo aver raccolto le acque del Lete, comincia a manifestare seri problemi che si aggravano
ulteriormente con la confluenza col fiume Calore che dà al Volturno un carico inquinante continuo,
di ogni natura. Presso Piana di Monte Verna e Triflisco riceve anche scarichi urbani e di aziende
zootecniche; si aggiungono poi gli scarichi delle industrie chimiche per cui giunge a Capua
fortemente inquinato
3.2.3. Descrizione dell’area di progetto
La cava risulta inserita in un contesto agricolo, a Nord-Ovest del comune di Dugenta.
Dugenta è una cittadina, crocevia tra le valli Caudine e Telesina, la comunità del Taburno e Terra di
lavoro, alle porte del Sannio; è. E’ situata in riva la torrente San Giorgio, affluente del Volturno .
Si estende su di una superficie di 15 Kmq, ha un numero di abitanti: 2717 (01/01/2009 – ISTAT),
ed una densità di 170 abitanti/kmq. Il territorio del comune risulta compreso tra i 27 e i 230 metri
sul livello del mare, con un’escursione altimetrica pari a 203 metri ed un’altitudine media 55 m/slm
Dista dal capoluogo 45 Km.
Centro ad economia prettamente agricola, Dugenta si estende in una vasta piana delimitata dalle
colline della contrada Tore, rinomata per la produzione dell’olio d’oliva e del vino (Aglianico e
Falanghina), mentre in pianura la coltura di tabacco, cereali, ortaggi e frutta, di cui merita menzione
la mela (annurca). Rinomata è la mozzarella di origine D.O.P Negli ultimi anni sono sorte diverse
aziende agricole e vivaistiche disseminate sul territorio sia per la lavorazione del tabacco sia per le
altre colture. Si sta sviluppando anche l’attività imprenditoriale e artigianale (lavorazione del ferro,
vetreria, ciabattino, falegnameria)..
Dugenta è anche ricca di antichi edifici rurali, le masserie, alcune delle quali sono state trasformate
in moderne aziende di agriturismo e in country house.
Di interesse storico e artistico troviamo:
- il Castello normanno svevo-angioino, fondato intorno all’anno 1000, di cui oggi restano
pochi ruderi,
- l’Arcipretale di Sant’Andrea Apostolo dei primi secoli cristiani, con il campanile in tufo di
epoca posteriore,
- il palazzo Marotta o Vanvitelliano con le sue antiche cantine,
- la Cappella rurale di S. Maria in Pesole dotata di messale a stampa,
- la chiesetta di S. Nicola di Mira,
- la moderna chiesa Parrocchiale di Sant’Andrea Apostolo in stile gotico moderno con il
suggestivo Crocifissa in legno del Musner e l’annessa Biblioteca Parrocchiale.
Figura 18 – Dugenta: il Castello normanno
Figura 19 – Monte Taburno
Il territorio di Dugenta in cui ricade l’area di cava, scarsamente urbanizzato, è sub pianeggiante, con
quote che si attestano intorno i 40 m s.l.m. ed acclività bassa e si raccorda, senza brusche variazioni
di pendenza, all’asta fluviale del F. Volturno.
3.3- Atmosfera
3.3.1- Clima
La provincia di Benevento occupa la porzione nord-orientale del territorio regionale; si estende per
una superficie di 2.071 Km2 di cui 927 in ambito fisiografico collinare e 1144 in ambito montano. Il
territorio provinciale è suddiviso in 78 comuni. Il clima rientra nella sottozona “interna” del regime
climatico “marittimo” tipico della Campania. Le temperature medie scendono fino a 8 °C nelle aree
montane e non superano i 14 °C nelle aree depresse interne (Conca di Benevento 135 m.s.l.m.). La
piovosità media annua delle zone interne montuose supera i 2.000 mm/anno (Monte Matese 2.094
mm/anno) mentre le zone più depresse, protette dai contrafforti montuosi all’azione delle correnti
umide marine, presentano piovosità sostanzialmente inferiore.
Dal punto di vista climatico, l’area in oggetto appartiene alla regione climatica mediterranea, con
clima temperato nelle zone inferiori e temperato-freddo nelle zone più elevate. Le precipitazioni
sono abbondanti, a carattere temporalesco, concentrate nel periodo autunno-vernino, mentre le
precipitazioni nevose sono di limitata permanenza e interessano solo le cime dei rilievi.
Il clima del sito, in particolare, assimilabile a quello di Sant’agata de’ Goti in cui è presente la
stazione meteorologica più vicina al sito, è mediterraneo, quasi sempre mite, fresco nelle notti
estive, e solo nei periodi di pieno inverno subisce infiltrazioni di venti rigidi provenienti dal nord-
est; nei periodi in cui le escursioni termiche tra il giorno e la notte sono forti si stratifica una coltre
di nebbia densa e umida, favorita per lo più dall'Isclero.
In base alla media trentennale di riferimento (1961 – 1990), la temperatura media del mese più
freddo, gennaio, si attesta a +7,6 °C; quella del mese più caldo, agosto, è di +25,1 °C; i dati
climatici della stazione meteorologica di Sant'Agata de' Goti, sono riportati nella tabella seguente:
Dati climatici stazione meteorologica di Sant'Agata de' Goti
SANT'AGAT
A DE' GOTI
Mesi Stagioni Ann
o Ge
n
Fe
b
Ma
r
Ap
r
Ma
g
Gi
u
Lu
g
Ag
o Set Ott
No
v Dic Inv Pri Est
Au
t
T. max.
media (°C)
10,
4
11,
4
14,
3
18,
5
23,
0
27,
9
30,
5
30,
4
26,
6
20,
7
15,
8
12,
4
11,
4
18,
6
29,
6 21 20,2
T. min.
media (°C) 4,8 5,2 7,2
10,
2
13,
4
17,
4
19,
6
19,
7
17,
4
13,
5 9,8 6,9 5,6
10,
3
18,
9
13,
6 12,1
L’Italia è divisa in sei zone climatiche (A, B, C, D, E, F) che variano in funzione dei gradi-giorno
(GG) associati al territorio comunale (D.P.R. n. 412 del 26 agosto 1993, tabella A e successive
modifiche ed integrazioni).
L'origine delle zone climatiche
La suddivisione del territorio italiano in zone climatiche è da attribuirsi al DPR n°412 del 26-08-
1993 Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione
degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione
dell’art. 4, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, un decreto attuativo della legge 10/91, la
legge quadro in materia di uso razionale dell'energia e di risparmio energetico sul territorio
nazionale. Le zone climatiche sono sei, vengono identificate dalle lettere alfabetiche [A, B, C, D, E,
F] e ciascuna è definita in funzione dei valori assunti da una grandezza decisamente peculiare, i
gradi-giorno (GG). I gradi giorno sono specifici di ogni località, indipendentemente dalla
localizzazione geografica della stessa. Per cui ogni Comune di Italia è connotato da uno specifico
valore della grandezza gradi-giorno. Colloquialmente si dice "Ad ogni Comune di Italia corrisponde
un numero di gradi-giorno". Dal punto di vista matematico i gradi-giorno di una località si
calcolano come la somma, estesa a tutti i giorni di un periodo annuale convenzionale di
riscaldamento, delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura dell'ambiente,
convenzionalmente fissata a 20 °C, e la temperatura media esterna giornaliera. Ne consegue che il
numero di gradi-giorno aumenta al diminuire della temperatura esterna (generalizzando: a località
fredde corrispondono valori di gradi-giorno elevati; a località calde corrispondono valori di gradi
giorno bassi). Essendo il numero di gradi-giorno di una località dipendenti dalla temperatura media
esterna giornaliera si può comprendere la ragione per cui, località anche ubicate nella stessa regione
e/o nella stesso bacino di utenza provinciale, siano connotate da un numero di gradi-giorno
differente. La temperatura media esterna giornaliera è influenzata dai fattori geografici, in primis
l'altezza sul livello del mare ma anche la protezione dai venti dominanti, la vicinanza al mare o a
specchi d'acqua, ecc.
I comuni che possiedono un numero di gradi-giorno maggiore di 900 e non superiore a 1.400 sono
compresi nella zona climatica C [in termini equivalenti: la zona climatica C comprende i comuni
che presentano un numero di gradi-giorno maggiore di 900 e non superiore a 1.400]. La zona
climatica C è una zona molto vasta. La variabile distintiva rispetto alle altre zone è senz’altro la
pioggia estiva. Ciò vuol dire che queste zone, pur non essendo tra le più piovose in inverno
presentano precipitazioni estive tra le più abbondanti. Le zone C quindi, pur essendo comunque tra
le più calde (continentalità) durante il periodo centrale dell’anno, hanno un regime precipitativo più
continuo con un periodo estivo molto meno siccitoso e duraturo rispetto alle aree contigue Dugenta,
con i suoi 1.170 gradi giorno, appartiene alla zona climatica C.
3.3.2– Qualità dell’aria
La qualità dell’aria è uno dei primi indici da valutare per la salute e il benessere umano. La cattiva
qualità dell’aria è una delle forme di inquinamento più gravi. L’aria si considera inquinata anche per
la sola presenza di odori sgradevoli.
Per inquinamento si intende un indesiderabile cambiamento delle caratteristiche chimiche, fisiche e
biologiche dell’atmosfera che può minacciare la salute umana e di tutti gli esseri viventi sulla terra.
Anche se invisibili, gli agenti inquinanti creano smog, piogge acide, diminuiscono lo strato
dell’ozono nell’alta atmosfera e contribuisce ai cambiamenti climatici. Il livello, la durata di
esposizione, l’età, la suscettibilità individuale e altri fattori giocano un ruolo fondamentale negli
effetti che l’inquinamento ha su tutti noi.
La composizione dell’atmosfera secca indica che l’azoto N2 (78%), l’ossigeno O2 (21% circa) e
l’argon Ar (1%) rappresentano quasi il 100% dei gas permanentemente presenti nell’aria. Oltre a
questi si trovano anche altri costituenti, quali gli ossidi di carbonio COx, l’anidride solforosa SO2,
gli ossidi di azoto NOx, ozono O3, che sono considerati inquinanti se le relative concentrazioni
superano i valori normali di riferimento.
L’ozono è un gas incolore, il maggior costituente dello smog fotochimico nella bassa atmosfera,
mentre nell’alta atmosfera (stratosfera) ha la funzione di schermare la radiazione solare
ultravioletta. Questo pericoloso inquinante deriva da reazioni chimiche tra l’ossigeno, composti
organici e ossidi di azoto, in presenza di luce; le sorgenti sono veicoli, industrie, discariche e anche
piccole attività.
Il monossido di carbonio è un gas inodore e incolore emesso dagli scarichi dei veicoli a motore o
dalla combustione incompleta di combustibili fossili.
Il biossido di azoto è un gas scuro derivante dagli scarichi di motori a combustione interna.
Il biossido di zolfo è un gas incolore e inodore a basse concentrazioni ma pungente a concentrazioni
elevate, è emesso in larga parte dai forni industriali, dalle raffinerie di petrolio, dalle industrie
cartarie e tutti gli impianti chimici.
Altri inquinanti principali sono le particelle sospese totali che si formano tramite processi di
condensazione di gas o vapori caldi. Le particelle sospese possono essere distinte in una frazione
inorganica composta di solfati e nitrati, metalli e fibre e una frazione organica molto varia emessa
direttamente da fonti fisse e mobili e che comprende gli idrocarburi aromatici e quelli ossigenati,
come le aldeidi e gli alcoli. Inquinanti quali il piombo, l’arsenico e il benzene derivanti dai materiali
edili, dai motori di veicoli o dall’incenerimento dei rifiuti possono severamente compromettere la
salute umana, attraverso l’ingestione di polvere o la semplice inalazione, causando disturbi
respiratori, mentali e riproduttivi.
Ozono, ossidi di azoto, vapore acqueo, insieme ad altre sostanze quali il metano o i fluorocarboni
costituiscono i gas definiti responsabili dell’effetto serra.
Il ciclo di un inquinante in atmosfera si compone di fasi diverse: al momento dell’emissione gli
effetti sono legati allo stato dell’atmosfera nel punto di scarico, poi c’è la diffusione e il trasporto
nel corso del quale avvengono reazioni chimiche e trasformazione degli inquinanti stessi e infine la
deposizione. Tutto il processo di trasmissione è strettamente dipendente dalle proprietà dinamiche e
termodinamiche dell’aria, cioè il clima.
I gas, essendo caldi, hanno una spinta di galleggiamento che tende ad innalzarli e questo
innalzamento dipende dalle condizioni meteorologiche. L’altezza effettiva dell’inquinante dipende,
quindi, dall’altezza del camino, dalla velocità del vento, dalla temperatura dell’aria e da quella dei
fumi in uscita dalla sorgente. La stragrande maggioranza delle sostanze inquinanti viene immessa
nello strato d’aria più vicino al suolo. Le proprietà dispersive di questo dipende sia dalla
stratificazione termica, sia dall’andamento del vento. Le perturbazioni che causano le precipitazioni
rimescolano le masse d’aria permettono la diluizione degli inquinanti al di sotto dei limiti di
tossicità. Quando invece stazionano campi di alta pressione si instaurano elevate concentrazioni
d’inquinanti atmosferici a causa delle inversioni termiche. L’inversione termica si instaura quando
viene ad alterarsi il normale equilibrio termico dell’atmosfera. Nei casi di alta pressione si ha un
rapido raffreddamento della superficie terrestre e delle masse d’aria direttamente a contatto e uno
sviluppo di uno strato più caldo causato dall’irradiazione della terra verso lo spazio nelle ore
notturne. L’aria calda non riesce sollevarsi molto, lo strato d’inversione sarà poco alto e gli
inquinanti si accumulano al suolo con la conseguenza che l’inquinamento atmosferico nelle ore
notturne è molto spesso superiore a quello osservato nelle ore di piena insolazione. Si osserva che
anche in assenza di emissione di inquinanti le concentrazioni misurate possono essere molto
elevate.
Inoltre bisogna tenere conto delle situazioni di brezza che possono sopravvenire nell’interfaccia
terra-mare. Durante il giorno, il calore del sole, sviluppato dalle superfici all’interno della costa,
causa la brezza che è responsabile del trasporto degli inquinanti emessi verso l’interno. Tali brezze
provocano anche l’immissione degli inquinanti ad altezze che dipendono dall’intensità della brezza
e dal gradiente termico che ne provoca la formazione e lo sviluppo.
La concentrazione iniziale viene rapidamente ridotta dai moti turbolenti dell’aria prodotti dal
cambiamento della direzione del vento con l’altitudine, dalle forze ascensionali e dall’instabilità
termica. A causa di ciò, la maggior parte degli inquinanti rimane confinata in uno strato atmosferico
(costituito dai primi chilometri della troposfera) chiamato strato mixing. Gli inquinanti sono più o
meno uniformemente distribuiti all’interno di questo strato e l’ulteriore riduzione del livello di
concentrazione dipende dalle trasformazioni chimiche e dai processi di deposizione secca ed umida
a cui vanno incontro queste sostanze. C’è poi il trasporto a largo raggio che si riferisce alla
contaminazione di masse aree da parte di un certo numero di fonti e alla formazione di una nube di
inquinante che può essere trasportata per grandi distanze, variabili dai 100 ai 2.000 km. Quindi
l’aria d’impatto può essere situata in un’altra regione, o in un altro stato o addirittura in un altro
continente.
Gli inquinanti primari, cioè quelli che manifestano la loro tossicità nella forma e nello stato in cui
vengono emessi, come ad esempio l’anidride solforosa o gli ossidi carbonio, vengono rimossi
tramite processi di deposizione secca ed umida o convertiti chimicamente o fotochimicamente. Si
ha così la formazione di inquinanti secondari tra cui gli ossidanti fotochimici (principalmente ozono
e nitrato di perossiacetile) e gli acidi forti (solforico e nitrico).
La rimozione degli inquinanti primari e secondari dall’atmosfera può avvenire con deposizione
secca (ricaduta di particelle e assorbimento da parte delle piante, del suolo o altre superfici), o come
deposizione umida (se le sostanze sono incorporate nella pioggia, neve o rugiada).
Nella determinazione della qualità dell’aria, quindi, un ruolo fondamentale è svolto dalla
meteorologia. Le condizioni meteorologiche presiedono alle diluizioni attorno alle sorgent i
d’emissione, alla diffusione ed al trasporto anche su lunga distanza degli inquinanti immessi in
atmosfera.
Gli inquinanti a loro volta influiscono sull’atmosfera, modificandone la composizione, le
caratteristiche fisico – chimiche e le proprietà radiative. Queste modifiche hanno un effetto sul
bilancio energetico che regola l’evoluzione del clima sia a scala globale con l’effetto serra che a
scala locale con il microclima urbano.
3.3.2.1 - Qualità dell’aria del sito
La qualità dell’aria nel sito è buona. Si tratta di un’area extraurbana non compromessa da attività
antropiche.
3.3.2.2- impatti potenziali del programma
La realizzazione dell’intervento non sarà causa, in fase di realizzazione, di un aumento significativo
del traffico veicolare soprattutto da mezzi pesanti, in quanto i fossi di cava saranno riempiti
gradualmente nel tempo con la parte del materiale che arriva all’impianto di frantumazione e che,
non utile ai fini commerciali, risulta idoneo al riempimento dei fossi, in quanto rappresentante
proprio la componente di minore granulometria. In questa sede si può indicare esclusivamente,
come prescrizione, la necessità di contenere le emissioni globali dell’area entro i valori di qualità
previsti dalla vigente legislazione in materia (Tab. A Allegato I del DPCM 28 Marzo 1983,
Allegato I DPR 203/88).
Complessivamente il traffico veicolare produce i seguenti agenti inquinanti:
Nome inquinante
Monossido di carbonio CO
Biossido d’azoto NO2
Benzene C6H6
Idrocarburi policiclici
aromatici IPA
Polveri inalabili PM10
Le misurazioni effettuate e contenute nella relazione tecnica “Valutazioni emissioni”
dell’08/03/2010 allegata, dalle qual risulta che le emissioni di polveri diffuse negli impianti di
lavorazione inerti della “ELI Volturno s.r.l., sono contenute nei limiti prescritti, riguardano sì
l’impianto di lavorazione, ma essendo esso a ridosso dell’area di ricolmatura dei fossi, può
considerarsi estrapolabile a tale attività.
Il rilevamento periodico è stato effettuato lungo la perimetrazione dell’area di cava e nella zona di
pesatura, punti in cui il traffico degli automezzi può generare una maggiore quantità di polveri ,
nelle condizioni lavorative di piena operatività e sono riferite a tempi sufficientemente significativi.
Il campionamento è avvenuto attraverso prelievo e filtrazione dell’aria su superficie filtrante.
L’interea area è inoltre già provvista di barriera vegetale di mitigazione in quanto è presente sia una
fascia boscata lungo il perimetro generale che una fascia spontanea di vegetazione ripariale
cresciuta intorno ai fossi. Ne deriva che non occorre adottare ulteriori sistemi di mitigazione atti a
trattenere parte degli agenti gassosi e parte delle polveri.
Si sottolinea a riguardo che l’attività della vegetazione produce una barriera fisica nei confronti
delle polveri e significativi effetti di assorbimento delle molecole gassose, loro disattivazione o
trasformazione e accumulo in organi alienabili nel tempo. Infatti, gli inquinanti non vengono
eliminati definitivamente dall’ambiente e ad esso fanno ritorno per mezzo dell’abscissione degli
organi accumulatori, sotto forma di inquinamento al suolo (problema al quale si può ovviare,
almeno in parte, con una manutenzione volta all’ asportazione di foglie e rametti abscissi per evitare
che i metalli pesanti accumulati contaminino il suolo e l’acqua).
La capacità di trattenuta degli inquinanti dipende dalla natura delle superfici di impatto, le cortecce
mostrano rispetto a rametti e foglie maggiori valori di accumulo (60 -70 ppm), almeno per i metalli
pesanti in ragione della loro rugosità e spugnosità. Foglie e rametti hanno invece valori di accumulo
inferiori e simili tra di loro (10 - 15 ppm), in particolare per quanto riguarda le foglie è importante
l’area fogliare, la densità della chioma, l’effetto interstizio (lo spazio tra foglia e foglia) e la natura
delle superfici fogliari: dal punto di vista chimico la capacità o meno delle cere epicuticolari a
legarsi alle sostanze inquinanti, dal punto di vista fisico pubescenza e rugosità della foglia.
Le superfici a verde variamente investite a prato, arbusti ed alberi di varia grandezza sono state
scelte in riferimento al fatto che mediamente un ettaro di bosco assorbe 50 tonnellate annue di
polvere, per un prato abbiamo valori prossimi a 5 tonnellate di polveri mentre un arbusteto presenta
valori pari a circa 25 tonnellate di polveri. Da ciò si desume che un ettaro di piantagione mista può
assorbire un volume d’aria giornaliero pari a sei volte quello da lui occupato in considerazione di
una concentrazione di polvere pari a 150µg/m³, valore limite previsto dal DPCM del 28/3/83.
3.4-Litosfera
3.4.1- Uso del suolo
La Carta dell’Uso del Suolo del Portale Cartografico Nazionale conferma ciò che è riportato nella
Carta Fisionomica della Vegetazione della Regione Campania che il comune di Dugenta è a
vocazione prettamente agricola con prevalenza di seminativi in aree non irrigue. Sono presenti
anche aree con sistemi particellari complessi ed in minore misura colture temporanee associate a
colture permanenti. Il margine settentrionale del Comune sul confine, ricadenti nel comune di
Castel Campagnano,dal quale lo divide il fiume Volturno, sono presenti aree prevalentemente
occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti . Lungo il confine meridionale,
ad Ovest Sud-Ovest sono presenti frutteti e frutti minori, ad Ovest sono presenti aree a vegetazione
boschive arbustiva in evoluzione.
I dati ISTAT relativi al Censimento dell’Agricoltura del 2000 confermano praticamente la
descrizione suddetta. L’elaborazione dei dati indica che il 61,85% della superficie totale è dedicata
alla coltivazione di seminativi; il 26,53% è occupata da coltivazioni legnose, il 5,19% della
superficie è ricoperta da boschi mentre solo lo 0,14% della superficie è rappresentata da prati e
pascoli permanenti.
Per quanto concerne l’area in esame, in epoca storica è stata utilizzata per scopi agricoli e
successivamente, a partire dal 1973 fino al 1996, per la coltivazione in cava a fosso di materiali
inerti.
Figura 20- Carta dell’uso del suolo (Fonte: Portale Cartografico Nazionale)
Figura 21 - Legenda Uso suolo
Figura 22- Elaborazione dati Censimento Agricoltura 2000 - ISTAT
3.4.2 - Geologia e geomorfologia
3.4.2.1 - Assetto geologico
La morfologia dell’area di studio è dominata dalla presenza di dorsali montuose carbonatiche
allungate generalmente in direzione NO-SE, con versanti acclivi e pendenze che variano dai 30° ai
70-80°, intervallate da depressioni tettoniche intramontane anch’esse generalmente con simile
orientazione e da una vasta depressione tettonica (graben) appartenente alla porzione settentrionale
di quella che viene comunemente individuata come Piana Campana. I margini della Piana in senso
stretto sono costituiti dal Golfo di Napoli a sud-ovest, dalla Penisola Sorrentina a sud, dal
Roccamonfina e dal M. Massico a nord-ovest e dal Taburno-Camposauro a nord-est. Lo
sprofondamento del tetto del substrato calcareo che è all’origine della formazione della Piana
Campana, è avvenuto tra il Miocene ed il Pliocene medio ed è valutabile intorno ai 3000 m circa.
Tale depressione strutturale è attraversata da alcuni tra i principali fiumi che sfociano nel Mar
Tirreno (F. Garigliano e F. Volturno) ed è interessata da importanti centri vulcanici (Roccamonfina,
Campi Flegrei e Somma-Vesuvio); ne deriva che la Piana è stata gradualmente colmata da potenti
coltri di depositi clastici fluvio-costieri ed eruttivi, connessi all’attività tardo-quaternaria degli
edifici vulcanici che vi si sono impostati in tempi diversi. Dal punto di vista petrografico tali
apparati vulcanici appartengono alla Provincia Romana Potassica Quaternaria, anche se la natura ed
il volume dei prodotti, nonché l’evoluzione di ogni complesso, risultano tra loro differenti. In
particolare, nell’area di studio è presente la formazione dell’Ignimbrite Campana (tufo grigio
campano AUCT.), imponente deposito piroclastico di origine flegrea, generato da una serie di
violente eruzioni esplosive manifestatesi circa 39.000 anni fa (primo ciclo eruttivo dell’attività
vulcanica flegrea).
In sintesi, le principali litologie affioranti nell’area sono:
- materiale detritico alluvionale ghiaioso e limo-sabbioso dei depositi fluvio-lacustri recenti e
attuali;
- materiali piroclastici incoerenti, di origine Flegrea (Ignimbrite Campana) e
subordinatamente del Somma-Vesuvio, sono presenti nelle piccole zone depresse montane e
lungo i versanti a debole o media acclività; in particolari aree si presentano, a luoghi, litoidi,
soprattutto nelle aree più depresse di fondovalle (S.Agata dei Goti).
- calcari mesozoici, rappresentati da una potente pila di sedimenti a litologia calcarea, e
calcareo-dolomitica; calcari conglomeratici, calcari detritici e microcristallini spesso
ricoperti verso le aree di piana da falde detritiche ad elementi calcarei, formano l’ossatura
dei rilievi cartonatici; le porzioni più prettamente calcaree, presentano elevata fratturazione e
carsificazione;
- terreni in facies di flysch, rappresentati da un’alternanza complessa di argille, argille
marnose e sabbiose, arenarie più o meno grossolane mal cementate con intercalazione di
argille siltose;
- puddinghe poligeniche in matrice sabbiosa alternate a sabbie ed argille.
Per quanto riguarda i rischi naturali, la provincia di Benevento si presenta ad elevato rischio
sismico. Infatti, l’area del Matese è individuata come area sismo genetica attiva. Di conseguenza i
78 comuni sono classificati sismici nell’“Aggiornamento della classificazione sismica dei comuni
della Regione Campania” (Novembre 2002) di cui circa il 60% in I Categoria sismica e la restante
parte in II Categoria. Ad elevato rischio da frana per colate rapide invece sono le aree pedemontane
urbanizzate poste alla base dei versanti carbonatici ricoperti da piroclastiti sciolte. Mentre le aree
interessate dai terreni strutturalmente complessi a prevalente matrice argillosa (area del Fiume
Tammaro, affluente del Calore, e quella del Fiume Fortore) sono potenzialmente predisposte allo
sviluppo di frane per colamento, più o meno lente, e frane complesse per scorrimenti
rotazionali/colamenti. Frane di crollo possono verificarsi lungo i versanti acclivi carbonatici
fratturati e nelle puddinghe poligeniche cementate sovrapposte a materiali argillosi. Crolli di cavità
possono verificarsi nelle zone montane carbonatiche caratterizzate da elevata carsificazione ipogea.
Queste ultime, pur se ad elevata pericolosità, fanno escludere particolari rischi per l’assenza di
antropizzazione.
Si ricorda che, secondo il provvedimento legislativo del 2003 (ordinanza del Presidente del
Consiglio dei Ministri n°3274/03, aggiornata al 16/01/2006 con le comunicazioni delle regioni), i
comuni italiani sono stati classificati in 4 categorie principali in funzione del loro rischio sismico,
calcolato in base al PGA (Picco di accelerazione gravitazionale) e per frequenza ed intensità degli
eventi. La classificazione dei comuni è in continuo aggiornamento man mano che vengono
effettuati nuovi studi in un determinato territorio, venendo aggiornata per ogni comune dalla
regione di appartenenza.
Le 4 classi di pericolosità sono le seguenti:
- zona 1 (alta): PGA > 0,25g
- zona 2 (media): 0,15 < PGA < 0,25g
- zona 3 (bassa): 0,05 < PGA < 0,15g
- zona 4 (molto bassa): PGA < 0,05g
Dugenta è classificata a Pericolosità sismica 2:
Zona con pericolosità sismica media, dove possono verificarsi terremoti abbastanza forti.
Geologia e Geomorfologia del Medio Volturno
La valle del Medio Volturno, in cui ricade il sito, pur caratterizzata da una morfologia differenziata
(basso montana, collinare e pianeggiante), si presenta con una orografia e una maglia idrografica
unitarie e trova nel fiume Volturno un elemento di sintesi che connota l’intero comprensorio sul
piano ambientale, storico-insediativo ed economico.
I depositi alluvionali in questa area sono direttamente a contatto con i litotipi carbonatici o
sottoposti ai depositi detritici dei conoidi di raccordo tra i versanti carbonatici e la zona di piana.
Del bacino del Medio F. Volturno sono stati esplorati 250 m di successione, costituita da sedimenti
fluvio-lacustri del Pleistocene inferiore e, per la quasi totalità, da sedimenti vulcanoclastici del
Pleistocene medio-superiore (datazione basata sul rinvenimento delle colate piroclastiche del
Distretto vulcanico di Roccamonfina; Brancaccio et alii, 1997); il substrato carbonatico è stato
localizzato con metodi geofisici a circa 500 m sotto la superficie della piana (Brancaccio et alii,
1997).
Nello specifico il territorio della media valle del F. Volturno circostante l’area di cava è
caratterizzato dalle seguenti principali formazioni marine, continentali e vulcaniche:
- alluvioni in prevalenza sabbioso-argillose, sabbie e ghiaie di golena del F. Volturno di età
olocenica recente e attuale;
- argille sabbiose, limi, sabbie scure con lapilli e pomici dilavate e rimaneggiate, lenti ciottolose,
di età olocenica, a sudest, sud e sudovest;
- formazione dell’Ignimbrite Campana, in facies sia litoide che incoerente, con scorie e pomici
nere, compatta alla base ed alterata in superficie, avente età di circa 39.000 anni, a nord e sud;
- depositi flyschoidi costituiti da sabbioni e arenarie grigio-giallastre, calcareniti, con livelli
marnosi ed intercalazioni di calcari, di età miocenica, ad est e sudest.
L’erosione più o meno intensa, legata alle oscillazioni climatiche postglaciali, ha in parte livellato le
incisioni e a luoghi spianato la morfologia del paesaggio fluviale. Nell’insieme quest’ultima risulta
subpianeggiante in quanto si è impostata su un paesaggio fluviale ereditato, strutturato dagli intensi
eventi tettonici plio-pleistocenici ed interessato da fenomeni erosivi e de posizionali pleisto-
olocenici. A questi fattori si sono in seguito aggiunte le modificazioni storiche e recenti del
territorio. Infine, i sedimenti alluvionali e di riporto sono costituiti per lo più dai suddetti prodotti
rimaneggiati commisti talora a detriti fittili e di manufatti di età storica e recente. Questi terreni,
almeno nell’area in esame, hanno uno spessore variabile fra circa 1 ed oltre 15 m. La successione
stratigrafica schematica dei terreni della zona di cava in località Nodagnazio, presenti in
affioramento e nel sottosuolo, è appresso descritta.
Figura 23 - Schema dei rapporti stratigrafici dei terreni alluvionali presenti fino a circa -15 m dal p.c. nell’area di cava: a) depositi sabbioso ciottolosi di natura calcarea, con materiali piroclastici rimaneggiati e dilavati; b) depositi sabbioso-argillosi, sabbie e ghiaie calcaree; c) terreno vegetale
con suoli associati. Tale successione è riscontrabile nella sezione normale del suolo eseguita nell’area di intervento:
Figura 24 - Sezione normale del suolo
3.4.3- Aspetti idrologici e idrogeologici
3.4.1.2- Ambiente Idrico Superficiale
Il territorio del comune di Dugenta, circondato dalle colline di Melizzano, Frasso, Sant’Agata dei
Goti e Limatola, è adagiato lungo la valle del fiume Volturno; per un buon tratto, sul lato nord, il
Volturno segna il confine con la provincia di Caserta mentre, a Sud-Est, troviamo il torrente
Biferchia, denominato inizialmente Isclero, che da una parte delimita il confine con il Comune di
Limatola e dall’altra con il Comune di Sant’Agata dei Goti. La città di Dugenta è situata alle falde
del Monte Taburno ed è attraversata dal torrente San Giorgio, affluente del Volturno.
Nell’area in esame, il reticolo idrografico è caratterizzato dall’andamento meandri forme del F.
Volturno e dei tributari minori. Inoltre alcune modeste direttrici, rappresentate da esigui solchi di
ruscellamento e da incisioni più profonde, dissecate dalle acque meteoriche nelle formazioni
alluvionali e piroclastiche e talora regimati, si individuano sia ad ovest che ad est della zona
indagata.
L’analisi della morfologia di quest’area ha messo in luce la progressiva migrazione verso nord del
meandro a partire dagli anni ’50, con genesi dell’ampia ansa a concavità verso sud in cui è stata
ubicata la cava. Ciò ha senz’altro comportato nel tempo un circoscritto riassetto della rete di
drenaggio superficiale delle acque ruscellanti, di provenienza atmosferica, soprattutto nella sua
porzione meridionale, con effetti contenuti sul defluimento delle acque verso l’alveo del Volturno.
Cenni sull’idrografia
Il Volturno è un alveo rapido, profondo e torbido; con i suoi 6.342 Km² di superficie rappresenta, a
livello nazionale, il sesto bacino idrografico per estensione e l'undicesimo per lunghezza (175Km);
nasce in Molise dalla sorgente Capo Volturno o Capo d'Acqua posta sul pendio orientale del monte
Rocchetta a 568 m.s.l.m., presso Rocchetta a Volturno (Is), e si sviluppa bagnando il territorio della
Campania, anche se il suo bacino imbrifero completo interessa in minima parte anche le regioni
Lazio, Abruzzo e Puglia. La sua portata media è di 82,70 m³ al secondo, anche se a partire dagli
anni del dopoguerra, è andata riducendosi a causa di canali sotterranei che utilizzano gran parte
delle acque per la creazione di energia elettrica. Il Volturno scende poi verso sud, attraversa i
territori delle province di Campobasso, Benevento e Caserta e poco lontano da Amorosi riceve a
sinistra il suo maggiore affluente, il fiume Calore; volge a sud-ovest fino al Golfo di Napoli, per poi
arrivare nella città di Capua e dopo 175 Km di percorso sfocia nel mar Tirreno, nel territorio
comunale di Castel Volturno. È un fiume caratterizzato da magre estive e piene autunnali e
primaverili, le coste della provincia di Caserta poste a sinistra della foce presentano un elevato
rischio di erosione, negli ultimi trent’anni, infatti, hanno subito una regressione di alcune decine di
metri. Tale fenomeno è determinato dalla drastica diminuzione dell’apporto solido a mare
determinato dalla presenza lungo il corso del Volturno di invasi artificiali e di prelievi di inerti in
alveo.
3.4.1.3- Ambiente Idrico sotterraneo
Per quanto riguarda le risorse idriche sotterranee, quelle di maggiore interesse riguardano le
strutture idrogeologiche delle piane e dei massicci carbonatici. Nell’Unità dei Monti del Matese la
falda idrica alimenta sul versante beneventano le sorgenti di Grassano (circa 4.7 m3/sec) e le
sorgenti termominerali di Telese; le unità idrogeologiche del M.te Camposauro e del M.te Taburno
sono separate dalla faglia inversa di Valle Prata, di queste strutture solo il M. te Taburno presenta
sorgenti seppur di limitata portata (Fizzo 0.4 m3/sec, utilizzata dal Vanvitelli, attraverso i Ponti della
Valle, per l’alimentazione del parco e delle fontane della Reggia di Caserta); le falde delle piane
alimentano rispettivamente le fasce alluvionali del Calore e dell’Isclero. Pure l’unità idrogeologica
dei M.ti di Durazzano non presenta importanti sorgenti, mentre partecipa all’alimentazione delle
falde sotterranee della Piana Campana.
L’unità del Monte Maggiore libera quasi tutte le acque sotterranee verso le sorgenti di Triflisco
(3.8mc/sec). I Monti Tifatini e il Monte Massico alimentano preferenzialmente le falde sotterranee
delle aree di piana, mentre il complesso del Roccamonfina, con tipica circolazione idrica sotterranea
radiale caratteristica dei rilievi vulcanici, alimenta ad est l’acquifero della piana di Riardo,
apportando importanti mineralizzazioni alle acque.
Dal Piano di Gestione Acque (Direttiva 2000/60/CE, D.Lvo. 152/06, L. 13/09, D.L. 194/09,
Distretto Idrografico dell’Appennino Meridionale) risulta che il fiume Volturno presenta una
situazione di criticità qualitativa nel tratto che attraversa la piana omonima. Infatti, tale area è
caratterizzata da intensa attività agricola e zootecnica, pertanto il principale fattore di criticità è
senza dubbio il carico inquinante derivante da citate attività. Nel caso dell’attività agricola il carico
viene immesso nel corso d’acqua sia direttamente sia per effetto delle acque raccolte dal sistema di
bonifica. Ai fattori di pressione appena citati va anche aggiunto l’effetto di un sistema di
depurazione non efficiente, con il conseguente scarico di reflui non adeguatamente trattati. I dati di
monitoraggio indicano che lo Stato Ambientale passa da “sufficiente”, appena il Volturno
raggiunge la piana omonima, a “scadente” o “pessimo” nel tratto terminale.
Di seguito si riporta un estratto della carta della vulnerabilità potenziale all’inquinamento delle
risorse idriche sotterranee in cui si evince che nel tratto di interesse il fiume Volturno fa parte degli
acquiferi con circolazione poco profonda nei quali gli inquinati penetrano lentamente e persistono
per tempi lunghi.
Figura 25 – Vulnerabilità potenziale all’inquinamento delle risorse idriche sotterranee (Fonte:Progetti spaeciali
per gli schemi idrici nel Mezzogiorno. Idrogeologia dell’itlaia centro-meridionale – Quaderni della Cassa per il mezzogiorno 4/2)
3.5- Inquadramento pedologico
3.5.1- Descrizione pedologica dell’area
Dalla Carta dei Sistemi di Terre della Campania, il territorio di Dugenta ricade in parte nel “Sistema
della Pianura alluvionale I1,che comprende le Aree relativamente rilevate delle pianure alluvionali
nell’alto e nel medio corso del fiume Volturno e dei fiumi appenninici. In particolare il sito ricade
nel Sottosistema “Fondovalli alluvinali del fiume Volturno e dei fiumi appenninici”, che comprende
aree a quote generalmente comprese tra 30 e 400 m s.l.m. I suoli si presentano pianeggianti
(pendenza media 0,5°), profondi o molto profondi, su depositi alluvionali recenti ed attuali, a
tessitura variabile (moderatamente grossolana, media o moderatamente fine), con disponibilità di
ossigeno buona o moderata, talvolta ghiaiosi (Calcaric Cambisols, Calcari-Fluvic Cambisols,
Skeleti-Calcaric Regosols). I suoli dell’area oggetto di studio sono localizzati a quote comprese tra
36,5 e 40,1 m s.l.m. e sono costituiti da un’ansa di meandro sub pianeggiante, debolmente inclinato
verso nordovest. La permeabilità primaria è in genere medio-bassa quindi, in occasione o
successivamente ad abbondanti precipitazioni, soprattutto dopo il periodo estivo ed all’inizio della
primavera, possono localmente intensificarsi i processi erosivi.
L’uso agricolo prevalente è a seminativo, con colture cerealicole e foraggere; localmente sono
presenti lembi di vegetazione ripariale e planiziale a vario stato di conservazione.
Figura 26 - Coltura foraggera in atto su suolo contiguo
3.6- Biosfera
3.6.1 - Flora e vegetazione
Dal punto di vista fitoclimatico il territorio può essere inquadrato secondo la classificazione del
Pavari, nella zona del Lauretum sottozona calda - secondo tipo, che presenta siccità estiva. Questa
zona è caratterizzata da un'agricoltura intensiva che nel corso degli anni ha portato alla distruzione
del patrimonio vegetale spontaneo e quindi paesaggistico, quasi tutte le siepi sono scomparse o sono
state ridotte senza tener conto della loro funzione naturalistica, ecologica e paesaggistica. Quindi i
nuclei vegetazionali più appariscenti della zona si possono trovare lungo la fascia del Vallone
Martorano. La distribuzione della vegetazione forestale del territorio, conferma un simile
inquadramento con la presenza di specie tipiche della macchia mediterranea: leccio, roverella,
carpini, olivo, pioppi, robinie ecc. Il quadro climatico del comune di Dugenta è favorevole alla
vegetazione forestale come del resto dimostrano i frequenti nuclei vegetazionali esistenti lungo la
fascia del corso d'acqua, nonché in tutto il territorio circostante. Tra le specie erbacee maggiormente
rappresentanti e costituenti il cotico erboso, sono da annoverare sia quelle a ciclo annuale che le
perenni, rappresentate prevalentemente da Graminacee e Leguminose, seguite dalle Composite,
dalle Liliacee, dalle Crucifere e dalle altre famiglie minori. Tra le graminacee sono da annoverare i
generi: Avena, Panicum, Sorgum Festuca. Dactilis, Lolium, Phalaris, Bromus, Poa, mentre tra le
leguminose, queste ultime presenti in forma secondaria rispetto alle graminacee, si rinvengono il
genere Trifolium (subterraneum, pratensis e repens), Sulla (Hedysaríum coronarium), Lupinella
(ornobrychis viciaefolia), Lupino (Lupinus Albus) e lotus corniculatus. Tra le Liliacee predomina il
genere Asphodelus la cui presenza può essere considerata un indice di degrado del cotico erboso e
quindi di minore efficacia nel contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico superficiale. Tra le
Composite si sono riscontrati i generi Anthemis, Calendula, Chrysanthemum, mentre tra le
Crucifere abbiamo i generi Brassica, Capsella, Raphanus e Sinapis. Tra le specie arbustive ivi
presenti si annoverano il perastro (Pirus piraster), il prugnolo (Robus Spinosa), il
biancospino(Crategus Monogina), il rovo (Robus Caestus), il viburno (Viburnum Lantana), l'edera
(Hedera Helix) e la canna (Arando Donax). Il sottobosco è ricco di muschi, pungitopi (Cuscus
Aculeatus), sono presenti inoltre felci (Polipodyum Vulgare), asparagi (Asparagus Officinalis), e
funghi (Armillaria, Amanita, Agaricus, Agrocybe). La flora arborea è caratterizzata da una diversità
biologica che dipende dai pendii e dalla loro ubicazione se vicini o lontani dai corsi d'acqua. Vicino
a questi ultimi si trovano soprattutto i generi Salix, Populus, Sambucus e Robinia che prediligono
terreni umidi e tendenzialmente sciolti tipici delle zone spondali di fiumi e torrenti. Man mano che
ci si allontana dal Vallone prendono il sopravvento le popolazioni di Quercus sp. quali la roverella
ed il cerro, il genere Alnus, Acer, Fraxinus, Sorbus, Ailantus, ed anche specie non autoctone, tra le
specie coltivate prevalgono i fruttiferi, la vite e I'olivo. Tutte le specie sia erbacee che arboree
spontanee, svolgono un ruolo di primo piano e si può dire che la loro funzione di utilità nei
confronti dell'artropodofauna utile per l'agricoltura sia molto marcata. Infatti esse offrono: o Fonti
di cibo vegetale per predatori e parassitoidi (i cosiddetti insetti utili per I'agricoltura); o Siti di
rifugio e svernamento per molti insetti utili; o Accolgono prede ed ospiti alternativi; o Svolgono la
funzione di piante nutrici sia per specie utili che per specie di particolare interesse faunistico.
Dalla Carta Fisonomica della Vegetazione redatta dalla Regione Campania si evince che boschi di
latifoglie sono localizzati sui versanti delle zone montuose, nella zona pedemontana il territorio è
occupato da sistemi colturali e particellari complessi, con associazioni di colture temporanee e
permanenti, da aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali
importanti e da oliveti. La pianura alluvionale è invece quasi interamente investita da seminativi.
Figura 27 - Stralcio Carta Fisionomica della Vegetazione (Regione Campania – 2000)
Figura 28 - Legenda Carta Fisionomica della Vegetazione
3.6.2- Descrizione della vegetazione dell’area
Il panorama agronomico-colturale della Valle Telesina è rappresentato da: zootecnia,
viticoltura,olivicoltura e frutticoltura; le fitocenosi naturali e/o spontanee sono principalmente
concentrate lungo i fiumi Volturno, Titerno, Calore, e costituiscono la boscaglia igrofila arborea
dominata da salici (Salix alba), da pioppi (Populus alba) con presenza saltuaria di ontano nero
(alnus glutinosa); le specie arbustive sono maggiormente rappresentate da salici quali Salix
purpurea e Salix caprea e da ligustri (Ligustrum vulgare). Le specie erbacee sono numerose
compresi i canneti. Lungo il fiume Volturno, la vegetazione più comune è costituita dalla cannuccia
di palude, dal pioppo, dal salice bianco e dal salice rosso.
Dugenta è un comune la cui struttura agricola si presenta, dal punto di vista produttivo,
diversificata; la PLV totale è determinata dal contributo di diverse produzioni, ma nessuna di esse
assume un ruolo rilevante rispetto alle altre.
Da una indagine vegetazione ed in base ai rilievi effettuati è stato possibile individuare le seguenti
unità vegetazionali nella zona in cui è sita la Cava:
vegetazione seminativi;
vegetazione orticola;
vegetazione arborea;
vegetazione ripariale di piante spontanee;
vegetazione bosco.
Unità vegetazionale seminativi: tale unità vegetazionale, è presente in ampi fondi destinati a
coltivazioni di piante erbacee graminacee e foraggere. Dugenta rientra infatti nella zona di
provenienza del latte di trasformazione e di elaborazione del formaggio DOP "Mozzarella di bufala
campana". L’allevamento bovino, che ha contraddistinto buona parte del territorio del Medio
Volturno, ha subito negli ultimi anni una forte contrazione a causa del processo di sanitarizzazione
della produzione lattiero-casearia e delle concentrazioni industriali. Esso è stato sostituito solo
parzialmente da quello ovi-caprino (sui rilievi del Monte Maggiore), suinicolo (Pontelatone, Castel
di Sasso, Caiazzo, Ruviano e Castel Campagnano) e, soprattutto, bufalino.
Sule pendici sud-orientali del Monte Maggiore, tra Alvignano, Caiazzo e Castel Campagnano, fino
alla confluenza col fiume Calore, e a ridosso del versante capuano dei Tifatini e del Monte
Maggiore (Bellona, Triflisco) domina il seminativo arborato.
Unità vegetazionale ortive: tale unità vegetazionale, è la più ampiamente rappresentata con
destinazione prevalente a pomodoro e tabacco.
Unità vegetazionale vigneto: La zona di produzione di Vino ad Indicazione Geografica Tipica
(IGT), in provincia di Benevento, comprende il territorio del comune di Dugenta. L’uso del suolo
agricolo è caratterizzato da differenti tipi di colture. Anche se in misura non predominante, il
vigneto e l’uliveto coprono i rilievi del Monte Maggiore interessando principalmente l’area di
Caiazzo, Ruviano, Castel Campagnano e Piana di Monte Verna fin verso i colli Tifatini. Il
seminativo asciutto caratterizza soprattutto le valli di Pietramelara e Riardo, il Monte Maggiore
nelle zone di Baia e Latina, Dragoni, Alvignano, Castel Campagnano e Ruviano.
Unità vegetazionale arborea: tale unità vegetazionale, è caratterizzata dalla coltivazione del melo
varietà “Annurca” innestato su franco, allevato a vaso aperto, del nocciolo, dell’olivo (Olea
Europea).. Dugenta rientra nella zona di produzione delle olive destinate alla produzione di O.E.V.
D.O.P. “SANNIO CAUDINO – TELESINO” che comprende i territori posti ad un’altitudine
inferiore a 650 metri s.l.m.
Unità vegetazionale ripariale di piante spontanee: la presente unità vegetazionale e costituita da
essenze erbacee ed arboree tipiche della vegetazione ripariale quali salici (Salix alba, Salix
vicinali) ed infestanti (Robinia pseudoacacia).
Unità Vegetazionale bosco: tale unità vegetazionale è costituita da boschi cedui a prevalenza di
pioppo.
L’area di intervento, in particolare si trova tra il fiume Volturno e il rilevato naturale che
anticamente coincideva con la sua sponda sinistra; un banco alluvionale ricco di sabbia e ciottoli, in
posizione defilata alla vista, lontano da centri abitati, da vie di comunicazioni stradali e ferroviarie.
La destinazione dei suoli nel periodo precedente all’attività estrattiva, iniziata nel 1973 e proseguita
fino al 1997, è stata prevalentemente di tipo agricolo, in parte con ordinamento ortivo (tabacco,
pomodori), in parte a bosco ceduo (pioppi). Entrambe le tipologie colturali stentavano per la
rilevante presenza di ghiaia nel suolo. Una parte minoritaria, circa il 20% dei suoli, più prossima
alla ripa fluviale, era - ed è - lasciata libera dall’attività agricola e vi prosperano le specie tipiche
spontanee della vegetazione ripuaria: Salix alba, Salix viminalis, e infestanti: Robinia pseudoacacia.
In questa parte non vi è stata attività estrattiva e non vi sarà attività di recupero.
All’attualità si osserva che l’area di intervento, per la parte interessata dalle attività di recupero e di
cava, non presenta praticamente alcuna vegetazione, fatta eccezione per le erbacee spontanee e per
alcuni esemplari isolati di Populus spp. La parte prossima ai fossi, presenta ripe con le tipiche
specie spontanee: Salixspp e Robinia pseudoacacia. Le consistenti aree già recuperate e restituite
all’attività agricola presentano una ridotta, ma rigogliosa presenza di vegetazione orticola
(pomodori, meloni) e ampi fondi destinati a erbacee monocotiledoni e papilionacee (graminacee,
erba medica).
Figura 29 - Vegetazione ripariale (sfondo) , colture agrariesu fossi già ricolmati, ripe dei fossi da ricolmare.
Le aree destinate al recupero ambientale (fossi e piste attuali) saranno destinate alle medesime
colture già sperimentate nei terreni recuperati e sopradescritti. Le parti spondali (fascia di circa 25
mt) con vegetazione spontanee non sono oggetto di alcun intervento anche per effetto della
notevolissima distanza dei fossi e delle piste dal fiume (tra i 100 e i 250 metri).
3.7 - Fauna
La fauna differisce notevolmente da un ambiente naturale ad uno antropizzato. In particolare
quest’ultimo può avere diverse destinazioni d’uso, passando da un ambiente agricolo, coltivato a
seminativi o a frutteti fino a quello propriamente urbano.
Nelle zone coltivate, in generale, siepi, filari di alberi o alberi isolati, quali pioppi, querce, olmi
fungono da rifugio o da luoghi di nidificazione per la fauna che ben si è adattata alle colture
agricole. In particolare le zone a seminativi costituiscono un ambiente piuttosto vario dal punto di
vista edafico sia per la presenza di diverse specie di semi e di frutti, che per la presenza di un
abbondante numero di invertebrati. Pertanto le zone interessate da queste colture rivestono una
notevole importanza ai fini alimentari, ma hanno un ruolo marginale per la nidificazione in quanto
la presenza dell’uomo rappresenta in sé un notevole fattore di disturbo. Inoltre l’antropizzazione,
provocando la distruzione dell’habitat naturale e attraverso l’adozione di pratiche agricole
“incisive”, la meccanizzazione e l’uso massiccio e spesso sconsiderato di fitofarmaci rende questo
ambiente in massima parte inospitale per la fauna .
3. 7.1- Fauna dell’area
La fauna è rappresentata da piccoli mammiferi come il Rinolofo maggiore e il Vespertillo
maggiore, uccelli come l’Averla piccola, il Martin pescatore e il Tordo bottaccio, rettili ed anfibi.
Lungo il fiume in particolare sono segnalati pochi esemplari di airone bianco, germano reale,
tuffetto, svasso maggiore, biscia d’acqua e ramarro, un tempo molto numerosi.
Per quanto riguarda il sito in particolare, per la loro natura non invasiva le attività di cava passate
hanno conservato il biotopo di specie faunistiche tipiche (volatili, specie anfibie e insetti), anche
perché nell’ambito coesistono da decenni sia i fossi che l’attività agricola. Questa involontaria, ma
efficace, salvaguardia dei processi biologici e della loro molteplicità, consentirà, dopo la colmata
dei fossi, il rapido adattamento delle specie alle mutate condizioni in quanto esse si trasferiranno, di
poche decine di metri, verso la ripa fluviale, in cui tipicamente risiedono.
Tra gli animali, previsti negli Allegati della Regione Campania riferite al SIC-IT8010027, nel sito si
riscontrano solo: Nycticorax nycticorax e Alcedo atthis tra gli uccelli, Rhinolopus ferrumequinum
tra i mammiferi, Bombina variegata e Bufo viridis tra gli anfibi.
3.8- Interferenze con aree SIC e ZPS
Siti di interesse comunitario e Zone di protezione speciale
Il progetto Rete Natura 2000 origina dalla Direttiva dell'Unione Europea n. 43 del 1992 “Habitat”,
finalizzata alla conservazione della diversità biologica ed alla tutela di una serie di habitat e di
specie animali e vegetali particolarmente rari. La Direttiva citata prevede che gli Stati dell'Unione
Europea contribuiscano alla costituzione della rete ecologica Natura 2000 individuando aree di
particolare pregio ambientale denominate Siti di Importanza Comunitaria (SIC) ai quali si
aggiungono le Zone di Protezione Speciale (ZPS) previste dalla Direttiva n.79/409/CEE del 1979
concernente la conservazione degli uccelli selvaggi.
In Italia, l'individuazione dei siti è stata realizzata da ciascuna Regione col coordinamento del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, cui si deve il Decreto 5 luglio
2007, pubblicato nel Supplemento ordinario n.167 alla Gazzetta Ufficiale n.170 del 24 luglio 2007,
che reca in Allegato l'elenco delle zone di protezione speciale classificate ovvero istituite ai sensi
della direttiva 79/409/CEE.
La Regione, al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino nello stato di soddisfacente
conservazione degli habitat naturali, emana direttive e indirizzi agli Enti competenti che devono
assicurare la gestione, la conservazione e il monitoraggio degli habitat.
Nel presente capitolo, in calce ai paragrafi sui SIC e ZPS nella Provincia di Benevento, sono
riportate le relative tabelle dei siti SIC e ZPS.
SIC della provincia di Benevento
Nella provincia di Benevento sono presenti 8 SIC di cui 5 non hanno alcun rapporto territoriale con
Parchi o Riserve Naturali.
Dalle schede di NATURA 2000, Ministero dell’ambiente, risulta l'elenco dei SIC riferiti al codice
della Provincia di Benevento. (Fonte da verificare).
Tabella Siti SIC
N Codice SIC Denominazione SIC Ha Note
1 IT8020001 ALTA VALLE DEL FIUME
TAMMARO
360
2 IT8020004 BOSCO DI
CASTELFRANCO IN
MISCANO
893
3 IT8020006 BOSCO DI
CASTELVETERE IN VAL
FORTORE
1.468 coincide con ZPS
IT8020006
4 IT8020007 CAMPOSAURO 5.508 Incluso nel Parco del
Taburno -Camposauro
5 IT8020008 MASSICCIO DEL
TABURNO
5.321 Incluso nel Parco del
Taburno - Camposauro
6 IT8020009 PENDICI MERIDIONALI
DEL MONTE MUTRIA
14.598 Incluso nel Parco del
Matese
7 IT8020010 SORGENTI E ALTA VALLE 2.423
DEL FIUME FORTORE
8 IT8020014 BOSCO DI
CASTELPAGANO E
TORRENTE
TAMMARECCHIA
3.061
Altri SIC comuni con altre province sono:
Bosco di Montefusco Irpino (SIC IT8040020; AV-BN) in cui ricadono icomuni benevetani
di San Martino Sannita, San Nazzaro, San Nicola Manfredi;
Dorsale dei Monti del Partenio (SIC-IT8040006; AV-BN), con i comuni beneventani di
Arpaia, Forchia e Pannarano;
Dorsale dei Monti del Partenio (SIC-IT8040006; BN-CE-NA) in cui ricade il solo comune
di Paolisi per la provincia di Benevento;
Pendici Meridionali del Monte Mutria (SIC-IT8020009; BN-CE ) che comprende i seguenti
comuni benventani: Casalduni, Cerreto Sannita Cusano Mutri, Faicchio, Morcone,
Pietraroia, Pontelandolfo, San Lorenzo Maggiore, San Lorenzello, San Lupo;
Fiumi Volturno e Calore Beneventano (SIC-IT8010027; CE-BN) che comprende i comuni
benventani di Amorosi, Castelvenere, Dugenta, Faicchio, Guardia Sanframondi, Limatola,
Melizzano, Paupisi, Ponte Puglianello, San Lorenzo Maggiore, Solopaca, Telese Terme,
Torrecuso, Vitulano.
Matese Casertano (SIC-IT8010013 CE-BN) in cui ricade il solo comune di Cusano Mutri
per la provincia di Benevento
Il comune di Dugenta, come si evince da quanto su riportato, ricade solo nel SIC “Fiumi Volturno e
Calore Beneventano”, che si estende per 4.924 ha, in parte compresi nel Parco Regionale del
Matese.
Tale SIC lambisce la zona oggetto del presente studio.
Figura 30 - SIC “Fiumi Volturno e Calore Beneventano” - SIC-IT8010027; CE-BN – Carta Rete Natura
ZPS della provincia di Benevento
In Campania sono state individuate, allo stato, Zone di Protezione Speciale (ZPS) ricomprese o non
in aree naturali protette (Parchi e Riserve Nazionali e Regionali). L’elenco dalle schede di
NATURA 2000 relativo alle ZPS ascritte al codice della Pr di Benevento, è qui di seguito riportato.
Tabella Siti ZPS
N Codice ZPS Denominazione ZPS Ha Note
1 IT8020001 ALTA VALLE DEL FIUME
TAMMARO
360
2 IT8020004 BOSCO DI
CASTELFRANCO IN
MISCANO
893
3 IT8020006 BOSCO DI
CASTELVETERE IN VAL
FORTORE
1.468 coincide con SIC
IT8020006
Nelle immediate vicinanze dell’area oggetto degli interventi del progetto, non sono presenti siti
ZPS.
Il progetto non interferisce con aree ZPS, ma si trova in parte compreso nel sito pSIC Fiumi
Volturno e Calore Beneventano (SIC-IT8010027; CE-BN); è vicino al Parco Regionale del
Taburno Camposauro, come si evince dalla Carta Rete Natura del Portale Cartografico Nazionale.
Figura 31- Carta Rete Natura
Si riportano di seguito la Carta della Rete Ecologica della Campania e la cartografia del PTCP della
provincia di Benevento che al momento, essendo in fase di riapprovazione, non è in vigore
“Elementi costitutivi del sistema ambientale e naturalistico”, da cui si evince che l’area, come già
detto, rientra nei “Corridoi ecologici regionali principali” (tavv. n. XX).
3.9- Ambiente fisico
3.9.1- Rumore
Tra le diverse forme di inquinamento, una considerevole attenzione è stata posta, negli ultimi anni,
ai problemi causati dal rumore. Esso, infatti, può essere fonte di disagi e, se superati certi livelli,
anche di danni fisici per le persone che da esso vengono esposte.
Le componenti fondamentali del rumore da considerare ai fini della protezione ambientale sono la
frequenza, l'intensità e la durata.
La frequenza è espressa in hertz (hz) e rappresenta la tonalità di un suono. Un soggetto giovane ed
in buone condizioni di salute è in grado di recepire suoni con frequenze tra 20 e 20.000 Hz.
L'intensità corrisponde al livello di sensazione sonora ed è espresso in decibel (dB), che rappresenta
la decima parte del logaritmo del rapporto tra l’intensità di un suono e l'intensità minima del suono
che un uomo può recepire
Le principali fonti di rumore identificabili in sito sono riconducibili a:
la frantumazione e la selezione dei residui inerti in impianto;
il mezzo operativo durante la compattazione dei materiali conferiti, il livellamento del
terreno e la stesura del terreno coltivo;
la pala gommata durante il caricamento della tramoggia dell’impianto di frantumazione;
gli automezzi in entrata e in uscita dal sito;
lo scarico dei residui inerti da parte dei conferenti.
Mentre all’esterno dell’area di cantiere l’impatto acustico sarà poco significativo, considerata la
distanza dal centro abitato, la collocazione in area depressa e parzialmente schermata da alberatura
boschiva, l’impatto acustico interno varierà in funzione del numero di mezzi conferenti e del
quantitativo di materiale in ingresso.
La fonte di rumore più importante sarà rappresentata dall’impianto di frantumazione il cui
funzionamento varierà in ragione del volume di demolizioni.
La durata delle emissioni si protrarrà dal lunedì al venerdì e saltuariamente il sabato mattina ma,
come premesso, avrà un’intensità variabile. In dettaglio l’orario di lavoro è articolato così come
riportato di seguito e risultante dalla allegata relazione a firma di un tecnico esterno:
L'orario di lavoro va generalmente dalle 8,00 alle 12,00 e dalle 13,30 alle17,30 per 8 ore
giornaliere.
L’orario di lavoro può periodicamente variare, ma in nessun caso inizia prima delle ore 6,00 o
termina dopo le ore 22,00; infatti con l’imbrunire ogni attività s’interrompe.
Gli impianti funzionano ad intervalli temporali e il tempo di funzionamento dipende ovviamente
dalla richiesta della clientela e dal contratto a tariffa multioraria che la società stipula
periodicamente con l’ENEL per la somministrazione dell’energia elettrica.
In nessun caso l’azienda utilizza la fascia F.4 “Ore vuote” o fasce orarie che possano prevedere un
inizio e una fine ricadente nell’intervallo di tempo che va dalle ore 22,00 alle ore 6,00.
Il funzionamento giornaliero dell’impianto durante la stagione invernale è di sei ore (10,30-16,30).
Per quanto riguarda i rischi riguardanti il rumore all’interno della cava, da una valutazione (in
allegato) dei livelli di esposizione al rumore dei lavoratori risulta contenuto.
In particolare sono stati rilevati i livelli di rumore nell’ambiente esterno, confrontando i risultati
delle misurazione con i limiti di legge.
Non sono stati rilevati invece i livelli differenziali di rumore in ambienti interni, non essendo
presenti in zona, a distanze significative, locali abitati.
Non essendo il territorio comunale di Dugenta classificato in zone come da Tabella 1 dello stesso
Decreto, ai fini della determinazione dei valori massimi del livello sonoro esterno sono stati
applicati i limiti generali di accettabilità pari a 70 dB(A) e 60 dB(A), rispettivamente diurno e
notturno, non potendosi considerare la zona in questione né agglomerato urbano, né zona
esclusivamente industriale (come da zonizzazione art. 6 del del D.P.C.M. 01/03/1991).
Tali misurazioni dei livelli di rumore esterno sono state effettuate presso la cava nel febbraio 2001
(cfr rapporto allegato), periodo in cui nell’impianto erano attive sia fasi di estrazione degli inerti
(fossi) che quelle di riempimento (dismessa).
Le misurazioni sono state effettuate in situazioni di medio-alto affollamento delle operazioni, il che
presuppone condizioni mediamente meno gravose, specialmente considerando le fasi in cui si
registra il fermo dell’impianto.
Il rumore oggetto del rilevamento è risultato soggetto a qualche variazione nel tempo, legata alle
varie macchine che nel contempo sono tenute in funzione. Pertanto il livello equivalente del rumore,
integrato su un determinato intervallo temporale, è tanto più alto quanto più intensa è l'attività.
Figura 34 - Rilevazione del rumore nelle postazioni A, B, C, D e E
Tutti i rilevamenti sono stati effettuati all'esterno perimetralmente alle aree aziendali. Le postazioni
B-C-D-E hanno dato misure del livello equivalente di rumore inferiori a 70 dB(A) che è il limite di
zona da considerare. La postazione A, precisamente nella zona Pesa i valori registrati si avvicinano
a 70 dB(A).
La sorgente che maggiormente contribuisce ad innalzare il livello di rumore è stata identificata
nell’impianto di frantumazione, con il funzionamento dei mulini, sia quello di tipo “a barre” che
quello a martello.
Figura 35 - Rumore e corpi recettori sensibili
Non sono state rilevate componenti impulsive del rumore, né componenti tonali. I risultati delle
misurazioni sono riportati nella relazione allegata alla presente.
3.9.2 - Vibrazioni
Le fonti di vibrazioni sono coincidenti con quelle del rumore. Date quindi le caratteristiche
geologiche dei luoghi si considera tale fattore di pressione assolutamente non rilevante per i ricettori
esterni mentre va adeguatamente controllato con presidi e dispositivi idonei sulle macchine
(comunque fuori del perimetro pertinente per questa valutazione che riguarda le operazioni di
ricomposizione che non ne producono).
3.10- Ambiente antropico
3.10.1- Analisi socio-economica
Dugenta appartiene alla provincia di Benevento e dista 42 chilometri dal capoluogo della omonima
provincia. Il comune di Dugenta ha fatto registrare nel censimento del 1991 una popolazione pari a
2.735 abitanti. Nel censimento del 2001 ha fatto registrare una popolazione pari a 2.646 abitanti,
mostrando quindi nel decennio 1991 - 2001 una variazione percentuale di abitanti pari al -3,25%.
Gli abitanti sono distribuiti in 1.016 nuclei familiari con una media per nucleo familiare di 2,60
componenti. Risultano insistere sul territorio del comune 13 attività industriali con 76 addetti pari al
16,56% della forza lavoro occupata, 52 attività di servizio con 89 addetti pari al 19,39% della forza
lavoro occupata, altre 70 attività di servizio con 189 addetti pari al 41,18% della forza lavoro
occupata e 7 attività amministrative con 105 addetti pari al 22,88% della forza lavoro occupata.
Risultano occupati complessivamente 459 individui, pari al 17,35% del numero complessivo di
abitanti del comune.
Dai dati ISTAT risulta che al dicembre 2009 la popolazione residente è pari a 2745 unità,
leggermente in crescita rispetto ai 2646 abitanti risultanti dal censimento del 2001.
3.11- Criteri di valutazione
Tra i criteri che possono essere citati ed utilizzati allo scopo di distinguere e gerarchizzare gli
impatti tra di loro ci sono: l’ovvio rispetto degli standards (condizione necessaria ma non
necessariamente sufficiente); l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili; il grado di ricettività
dell’ambiente, la sua vulnerabilità; la possibilità di introdurre forme di riequilibrio compensativo; la
possibilità di accettabilità sociale.
Tali criteri sono legati strettamente ai seguenti principi:
a) deve essere limitato ogni danno o pericolo per la salute, l'incolumità, il benessere, la sicurezza
della collettività e dei singoli;
b) deve essere garantito il rispetto delle esigenze igienico sanitarie ed evitato ogni rischio di
inquinamento dell'aria, dell'acqua, del suolo, e del sottosuolo, nonché ogni inconveniente
derivante da rumori e odori;
c) devono essere salvaguardare la fauna e la flora e deve essere evitato ogni aggravamento
dell'ambiente e del paesaggio;
d) devono essere rispettate le esigenze di pianificazione economica e territoriale;
e) devono essere promossi, con l'osservanza di criteri di economicità ed efficienza, sistemi tendenti
al riciclaggio, per riutilizzare i rifiuti e recuperare da essi materiali ed energia.
f) Devono essere favoriti sistemi tendenti a limitare la produzione di rifiuti.
E rispondono alle seguenti politiche:
- ridurre la quantità di rifiuti immessi nell'ambiente e la pericolosità dei medesimi nei confronti
dell'uomo e dell'ambiente stesso:
a) intervenendo sui cicli di produzione e le fasi di distribuzione e di consumo dei prodotti per
limitare la formazione di rifiuti nell'ambito dei cicli e delle fasi stesse;
b) intervenire nelle varie fasi dello smaltimento dei rifiuti, per realizzare il recupero, dai rifiuti
stessi, di materiali e di fonti energetiche;
c) intervenire per migliorare l'efficienza dei mercati delle materie seconde e l'espansione dei
mercati stessi;
d) produrre interventi rivolti ad incrementare l'impiego delle materie seconde nei cicli di
produzione e nella realizzazione di opere.
Ciò significa tenere conto:
- dell’utilizzazione attuale del territorio;
- della ricchezza relativa, della qualità e della capacità di rigenerazione delle risorse naturali della
zona;
- della capacità di carico dell'ambiente naturale;
- dei valori culturali disturbati dall’opera (sia in senso estetico sia antropologico);
- dell’influenza sui fattori economici quali i beni e servizi offerti, il grado di copertura della
domanda sia in presenza dell’intervento sia in sua assenza, la possibile evoluzione quantitativa
e qualitativa del rapporto domanda/offerta, gli usi plurimi delle risorse, gli indotti.
- delle dimensioni del progetto,
- della portata dell’impatto (area geografica e quantità della popolazione interessata);
- della probabilità dell’impatto;
- della durata, frequenza e reversibilità dell’impatto;
- del cumulo con altri progetti;
- dell’utilizzazione di risorse naturali;
- della produzione di rifiuti;
- dell’inquinamento e disturbi ambientali;
- del rischio di incidenti, per quanto riguarda, in particolare, le sostanze o le tecnologie utilizzate;
del possibile impatto sul patrimonio naturale storico, tenuto conto della destinazione delle zone
che possono essere danneggiate (in particolare zone turistiche, urbane o agricole)
3.12- Analisi degli impatti significativi
In linea generale e preliminare si può affermare che il progetto può produrre impatti principalmente
riferibili ai movimenti di materiali sul territorio durante il tempo di esercizio delle operazioni di
ricomposizione, in riferimento ai materiali impiegati per il riempimento dei fossi. Tali materiali
saranno gestiti nelle aree di cantiere indicate in assoluta sicurezza ed avendo cura di non interferire
in alcun modo con aree protette.
Per il riempimento dei fossi, verrà utilizzato materiale che sarà qualificato solo come “inerte di
idonea ganulometria e conformazione". L’eventuale materiale che dovesse essere necessario in
aggiunta a quello fornito dall’impianto di frantumazione, verrà reperito quanto più vicino al sito
onde ridurre, per quanto possibile, gli spostamenti su gomma e quindi l’impatto ambientale
susseguente.
Se dovessero dalla lavorazione determinarsi modeste quantità di materiali eventualmente
contaminati (ad esempio da oli minerali) saranno prontamente accantonate e messe in sicurezza, di
qui gestite conformemete alle normative di settore e trasportate da ditte autorizzate in siti di
destinazione finale idonei.
Impatti potenziali collegati alle attività di cantiere possono derivare dall’emissione di polveri dalla
movimentazione terra. Ancora dalla rumorosità di alcune operazioni condotte in cantiere.
In funzione di questa analisi preliminare sono state condotte stime e valutazioni più approfondite su
alcune matrici ambientali al fine di verificare la sensibilità e vulnerabilità delle stesse ai fattori di
pressione indotti dal progetto.
3.12.1- Individuazione degli impatti principali
Il progetto prevede la colmata delle cave di sabbia e pietrisco partendo dal basso verso l’alto
facendo uso di nuova sabbia e pietrisco ricavati come sottoprodotto di un ciclo di lavorazione. Tutto
ciò prevede impatti positivi rispetto al reperimento di tale materiale “extra sito” imputabili ad:
- abbattimento del traffico di automezzi in uscita dall’impianto di frantumazione, per il trasporto
di materiale inerte, altrimenti conferibile in usi presso altri cantieri e territori ;
- risparmio della necessità di individuare una cava di prestito ove reperire il materiale di
riempimento.
Più dettagliatamente il materiale conferito dall’impianto di frantumazione, o dall’esterno, sarà pari
a 86.000 mc.
Ciò significa in media 14.000 mc all’anno di lavorazione. In definitiva ca. 30 mc/giorno sottratti
al traffico di automezzi. Si stima che la riduzione del traffico in uscita di automezzi potrebbe
essere stimato in ca. 2 automezzi da 20 tonnellate al giorno (oltre 600 automezzi all’anno).
Altro impatto indiretto –che strettamente parlando non ha a che fare con la presente valutazione, ma
giova per completezza considerare- è quello dell’impianto di frantumazione stesso, in riferimento
alla rumorosità e polverosità. Il funzionamento dell’impianto si propone infatti sia considerato urtile
e funzionale alla ricomposizione con risparmio di trasporti sul territorio ed impegno di cave di
prestito con conseguente danno ambientale e paesaggistico altrove prodotto.
Per individuare i corpi recettori sensibili soggetti a tale impatto sono stati individuati i fabbricati
presenti entro un raggio di “influenza” stimato in 500 m. I fabbricati, individuati, sono costituiti da
fabbricati rurali ed annessi agricoli situati ad una distanza variabile tra 340 e 500m ed a una quota
maggiore rispetto all’impianto. Infatti mentre l’impianto è a circa 37 m slm la quota dei corpi
recettori va da un min di + 41m slm ad un max di +53m slm.
In particolare tra i recettori sensibili più vicini all’impianto in linea d’aria, che si trovano a 41m slm,
si frappone un’altura il cui colmo è a 48slm. Tale situazione orografica che di per sé già costituisce
una condizione di abbattimanto del rumore e delle polveri prodotti dall’impianto, unitamente alla
presenza di alberi tutt’intorno al sito, in filare o come fascia boscata, garantisce un effetto barriera
totale sia acustico che in relazione all’effetto-filtro delle polveri prodotte.
3.12.2- Impatto sull’idrologia superficiale
Impatti significativi sull’idrologia superficiale non sono previsti. Al contrario il progetto, come
visto, comporta un deciso miglioramento della stessa grazie alla risistemazione del suolo e delle
relative opere di presidio idraulico.
3.12.3- Impatto su suolo, sottosuolo e assetto territoriale
Anche l’impatto del progetto su suolo, sottossuolo ed assetto territoriale - ad opera compiuta – è
fortemente migliorativo a causa della ricomposizione morfologica, della copertura con suolo
vegetale e del recupero funzionale dell’area.
Durante le fasi di cantiere:
L’interazione con il suolo ed il sottosuolo è una prerogativa imprescindibile per l’attività di
conferimento visto che l’intervento è finalizzato alla ricostruzione della morfologia originaria del
luogo.
Nonostante ciò, la possibilità che si verifichi una contaminazione del suolo e del sottosuolo è assai
remota dal momento che il riempimento verrà effettuato con terre di scavo e residui inerti
provenienti da siti non inquinati.
3.12.4- Impatto sugli ecosistemi
Tutte le specie vegetali endemiche presenti non saranno interessate da alcun intervento e ciò in
riferimento sia alle aree spondali del fiume sia ai margini dei fossi. Tutti gli animali elencati
continueranno ha utilizzare il territorio in quanto l’habitat dei fossi è tipico nelle ripe del fiume
distanti poche decine di metri, dove man mano si trasferiranno. Nella fase di cantiere non si
prevede alcuna particolare incidenza anche perché saranno utilizzate procedure e macchine operanti
nell’area da decenni. Non sono valutabili procedure alternative in quanto le operazioni di recupero
con la colmata, oltre ad essere imposte dalle norme specifiche, rappresentano un obbiettivo
paesaggistico ineludibile ed un minimo impatto sulla flora.
L’incidenza dei lavori di progetto sulla flora e sulla fauna, è da considerarsi migliorativo.
Tale valutazione è confermata dal fatto che nell’area sono già presenti attività antropiche e che al
termine dell’intervento di ripristino si riproporrà un habitat simile a quello preesistente. Per quanto
riguarda gli elementi inquinanti e il disturbo ambientale sull’ecologia, essi sono riconducibili ai gas
di scarico e al rumore dei mezzi. Tali elementi di incidenza sull’ecologia verranno attenuati e
mitigati mediante azioni preventive, quali:
- scelta di macchine idonee;
- corretta manutenzione delle stesse;
- impiego di combustibili adeguati;
Tutte le attività progettuali previste e configurabili comporteranno di fatto disturbi di lieve entità
assimilabili al normale svolgimento delle
attività agricole, già presenti nelle zone
limitrofe.
Tenuto conto che le opere da realizzarsi
riguardano una superficie limitata, in
relazione agli habitat naturali circostanti, e
che tali interventi non modificano
sostanzialmente gli ecosistemi della flora e
della fauna, si ritiene che l’impatto previsto
è daconsiderarsi basso. Figura 36- Paesaggio circostante la cava
3.12.4.1- Valutazione d’impatto sull’agro-ecosistema
L’impatto dell’opera sull’agrosistema è di tipo positivo in quanto il recupero ambientale di colmata
dei fossi residuati dalla dismessa attività di cava riporterà l’area alla originaria destinazione
agricola.
3.12.5- Impatto sul paesaggio
L’impatto sul paesaggio, determinato riempimento dei fossi, è decisamente positivo. La ferita
determinata dagli scavi, verrà eliminata e potrà di conseguenza essere ripristinata l’attività agricola.
Il recupero agricolo, con destinazione del suolo a foraggere, cerali e/o orticole, determinerà un
riammagliamento col paesaggio circostante sia temporale, in quanto riporterà il sito nelle condizioni
originarie, che spaziale, in quanto risulterà visivamente omogeneo con i fondi limitrofi.
Figura 37- veduta dello stato attuale L’intervento, anzi, comporterà un netto miglioramento come si può vedere dalla foto simulazione
della stessa veduta alla pagina seguente.
Figura 38- fotosimulazione dopo l'intervento
Sebbene l’attività di conferimento dei materiali inerti, finalizzata alla ricostruzione morfologica
dell’area, comporti inevitabilmente la presenza di mezzi operativi in movimento al suo interno ed il
transito di automezzi in entrata ed in uscita, l’effetto di disturbo provocato sul paesaggio circostante
sarà circoscritto a livello locale e limitato nel tempo.
L’area di conferimento infatti, alla quale si accede mediante una stradina di accesso, la via
Nodagnazio che attraverso la via Santa Maria Impesola si innesta su via Cantalupi, strada che,
dall’incrocio con la provinciale, collega alcuni poderi della zona, è collocata a circa 2km
dall’agglomerato urbano e dista minimo circa 350m da fabbricati rurali dei fondi contigui, in una
zona morfologicamente depressa in massima parte circondata da una mascheratura boschiva a
protezione visiva dell’attività.
3.12.6- Impatto acustico, elettromagnetico e sull’aria
Inquinamento acustico
Gli effetti dannosi del rumore sull'uomo possono esplicarsi sul solo apparato uditivo oppure
sull'organismo in generale. Per quanto riguarda l'apparato uditivo l'effetto è diverso a seconda che il
rumore si manifesti improvviso ma forte oppure si manifesti continuo. Nel primo caso la parte
maggiormente soggetta a subire lesioni è la membrana del timpano, che può rompersi o forarsi.
Nel secondo caso, invece, soprattutto se le intensità sono elevate, possono essere danneggiate le
strutture nervose interne dell'orecchio, riducendo la trasmissione degli stimoli nervosi al cervello.
La diminuzione della capacità uditiva è denominata “spostamento temporaneo della soglia” e
misura di quanto si è innalzata la soglia dell'udito. Tale diminuzione ha carattere di reversibilità e la
funzione uditiva, cessato lo stimolo, rientra nella normalità, con un tempo di recupero dipendente
sia da fattori individuali, propri dell'individuo, che dal livello e dal tempo di esposizione.
Perdite irreversibili dell'udito caratterizzate da spostamenti permanenti di soglia, caratterizzano
invece la sordità cronica. Generalmente essa si manifesta alle frequenze della voce umana (circa
1.000 Hz).
Dall’analisi allegata si può affermare che sulla base dei risultati fonometrici e di quanto sopra esposto si
può considerare poi che:
a) per ogni raddoppio della distanza di rilevazione si ha una diminuzione di livello acustico
pari a 6 dBA;
b) la quasi totalità della lavorazione è prevista ad una quota inferiore al piano campagna (in
una buca le cui pareti offrono un notevole riparo alla propagazione delle emissioni
sonore);
c) che per l’intero perimetro del sito è presente la formazione di una barriera verde;
d) che la gestione dell’impianto è limitata alle ore diurne;
e) che la zona sita nelle immediate vicinanze dell’impianto è scarsamente urbanizzata
(l’area in esame è ubicata in un'area esterna ai centri abitati (zona agricola);
f) i nuclei abitativi nel raggio di circa 500 m sono tutti in posizione sopraelevata o
“schermata”;
g) L'area si trova in prossimità di una strada interpoderale ed è distante circa 500 m dalla
strada provinciale.
Appare possibile affermare che l'impatto acustico dovuto alla attività di riempimento dei fossi sia
sicuramente di debole entità; non presentando livelli di criticità significativi si possono considerare
del tuttotrascurabili gli effetti dell'inquinamento acustico derivante dai mezzi d'opera stessi.
Quali misure compensative o elementi si possono considerare:
- barriere arboree perimetrali (già in parte presenti)
- impiego di mezzi a norma
Inquinamento elettromagnetico
Definizioni e caratteristiche
Il termine radiazione viene abitualmente usato per descrivere fenomeni apparentemente assai
diversi tra loro, quali l'emissione di luce da una lampada, di calore da una fiamma, di particelle
elementari da una sorgente radioattiva, etc. Caratteristica comune a tutti questi tipi di emissione è il
trasporto di energia nello spazio. Questa energia viene ceduta quando la radiazione è assorbita nella
materia. Ciò si può dimostrare constatando un aumento di temperatura in prossimità del punto in cui
è avvenuto l'assorbimento. L'aumento di temperatura non è però l'unico effetto prodotto
dall'assorbimento di radiazione nella materia.
L'eventuale azione lesiva delle particelle ionizzanti sull'organismo è una diretta conseguenza dei
processi fisici di eccitazione e ionizzazione degli atomi e delle molecole dei tessuti biologici dovuti
agli urti delle particelle, che sono dette appunto particelle ionizzanti o anche radiazioni ionizzanti,
quando hanno energia sufficiente per produrre questi processi. Più in particolare, a seconda che la
ionizzazione del mezzo irradiato avvenga per via diretta o indiretta si usa distinguere tra radiazioni
direttamente ionizzanti e radiazioni indirettamente ionizzanti. Sono direttamente ionizzanti le
particelle cariche (elettroni, particelle beta, particelle alfa, etc.); sono invece indirettamente
ionizzanti i fotoni (raggi X e raggi gamma), i neutroni, etc.
Le particelle cariche, dotate di massa e di carica elettrica, e i neutroni, dotati di massa, ma non di
carica elettrica, sono radiazioni corpuscolari. I fotoni invece non hanno massa, nè carica elettrica,
sono radiazioni elettromagnetiche che si propagano con la velocità della luce.
Il termine radiazioni non ionizzanti (NIR) viene usato in prevalenza per indicare onde
elettromagnetiche a bassa energia, che non provocano la ionizzazione degli atomi attraversati. Il
parametro critico dell’onda e.m., dal quale dipende l’energia, è la frequenza ν, ed è quindi questa a
determinare il livello di interazione fra la radiazione e la materia attraversata.
Non esiste attualmente una normativa specifica, in base alla quale si prenda atto di una effettiva
pericolosità di queste radiazioni. Questo principalmente perché non è disponibile una statistica
sufficiente sull’esposizione a NIR. Inoltre, lo spettro in frequenza di questo tipo di radiazioni è
molto ampio (circa 13 ordini di grandezza contro i 5 delle radiazioni ionizzanti), e questo porta ad
una estrema varietà di interazione con la materia vivente. Pertanto, quanto è genericamente indicato
sotto il nome di NIR è in realtà una vasta gamma di fenomeni, strumenti, attività di laboratorio che
possono presentare pericoli più o meno evidenti ed immediati.
I tipi principali di radiazione non ionizzante con i quali si può entrare in contatto sono:
- radiofrequenze RF (104 < ν < 109 Hz), tra cui anche gli ultrasuoni US (106 < ν < 107 Hz)
- microonde MW (109 < ν < 1012 Hz)
- raggi infrarossi IR (1012 < ν < 1015 Hz)
- raggi ultravioletti UV (1015 < ν < 1016 Hz)
L’interazione delle radiazioni non ionizzanti con la materia è dovuto essenzialmente alla
polarizzazione delle molecole del mezzo, ed al loro successivo rilassamento.
Nei tessuti biologici l’intensità I dell’onda incidente decresce con la distanza x secondo la relazione:
I = Io e - a x dove Io è l’intensità per x = 0, e a è il coefficiente di assorbimento, di dimensioni [L-
1]; λ = 1/a è detta lunghezza di penetrazione, e dipende dalla conducibilità elettrica e dalla costante
dielettrica del mezzo, e dalla frequenza dell’onda incidente; i differenti valori di queste costanti per
i diversi tipi di tessuto che l’onda incontra portano a diversi valori di assorbimento e riflessione, con
conseguenti fenomeni di interferenza.
In ogni caso, l’interazione con la radiazione comporta fenomeni termici dovuti all’assorbimento
dell’onda (fenomeni che possono innalzare la temperatura dei tessuti), e fenomeni “non termici”
conseguenti al rilassamento dei dipoli indotti ed al conseguente riarrangiamento delle strutture: il
campo elettrico dell’onda incidente può ad esempio interagire con la membrana cellulare, alterando
il potenziale di membrana e la sua funzione nella conduzione degli impulsi nervosi.
La realizzazione comporterà impatti elettromagnetici sicuramente trascurabili e riconducibili
sostanzialmente al funzionamento del generatore.
3.12.7- Impatti connessi alla gestione dei rifiuti
Direttamente dall’attività di cantiere potranno derivare:
- oli esausti e batterie dei mezzi operativi.
A causa del movimento di mezzi meccanici necessari per le attività di movimentazione terra ed
inerti necessarie.
Il materiale che costituisce il ritombamento (terreno vegetale + sabbie argillose) è già accumulato
(in parte) sull'area adiacente per essere riutilizzato per il ripristino ambientale.