Dike (Biblioteca filosofica) (Italian Edition) -...

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IndiceFrontespizioColophonDIKE

AvvertenzaPARTEPRIMA

I. «DÍKĒ».UNA PRIMAINTERPRETAZIONEII. «DÍKĒ» ELA FORMACOMPIUTA

DELLASTRUTTURAORIGINARIAIII. SUUN’ALTRAINTERPRETAZIONEDI«DÍKĒ»

PARTESECONDAI. ESSER SÉEDETERNITÀDELL’ESSENTE.(ANCHE PERRICAPITOLARE)

II.VERSOLA«FONDAZIONEULTERIORE»DELL’ETERNITÀDELL’ESSENTEIN QUANTOESSENTEIII. UNALTROPASSOVERSO LA«FONDAZIONEULTERIORE»:SUL SENSO

DELLA«INEVITABILITÀ»DEL«SOTTOSUOLO»DELNOSTROTEMPOIV. LA«FONDAZIONEULTERIORE»DELL’ETERNITÀDELL’ESSENTEIN QUANTOESSENTE

V.POSTILLEPARTETERZA

I. SECONDAE TERZAFONDAZIONEPRIMARIADELL’ETERNITÀDEGLIESSENTIII. TERZA EQUARTAFONDAZIONEDELLANECESSITÀ

DELSOPRAGGIUNGEREDELLATERRAIII.RIGUARDANDOILPERCORSO

OPERE DI EMANUELESEVERINOCITATE

EmanueleSeverino

Dike

AdelphieBook

Quest’operaèprotettadallaleggesuldirittod’autoreÈvietataogniduplicazione,

ancheparziale,nonautorizzata

Primaedizionedigitale2015

©2015ADELPHIEDIZIONIS.P.A.MILANO

www.adelphi.it

ISBN978-88-459-7685-8

DIKE

AVVERTENZA

Nelmondogreco,laparoladíkē, che comunementetraduciamocon«giustizia»,siriferisce all’inizio alladimensionegiuridicae,primaancora, religiosa. Ma lafilosofia porta alla luce unsignificatoessenzialmentepiùprofondodi questa parola.Sipuò dire che l’avvento della

filosofia coincida conl’avvento di tale significato.Díkē viene a significarel’incondizionata stabilità delsapere. E richiede la stabilitàincondizionata dell’essere.Riguardatuttociòchel’uomopuò pensare e può fare.Secondo (seguendo) essa sisvolge l’intera storiadell’Occidente. Díkē èchiamata da Aristotele «ilprincipio più stabile»:bebaiotátēarchḗ.

Questo significato di díkēcompare per la prima voltanellapiùanticatestimonianzadel pensiero filosofico: ilframmento di Anassimandro.Eschilo ne rende esplicita laconseguenza decisiva perl’uomo della tradizioneoccidentale: l’incondizionatastabilità del sapere edell’essere è il «vero»rimedio contro il dolore e lamorte. A tale conseguenza,dunque anche al rapporto tra

AnassimandroedEschilo,misono rivolto altrove (cfr. Ilgiogo. Alle origini dellaragione:Eschilo).Nelle pagine che ora

presentosivainveceversoleradici di quel significato.Soprattutto perché díkē el’Occidente, che ne èdominato – questi trattigrandiosi della storiadell’uomo –, sfigurano ilvoltodellastabilitàautentica:il volto del destino della

verità.Questo libro parla del

rapporto tra il puro volto deldestino e il suo voltosfigurato da díkē. Hainevitabilmenteallespalleglialtri miei scritti. Ma compiealcuni passi avanti,soprattutto in relazione a ciòda cui essi muovono: lastrutturaoriginariadeldestinoeilsuoimplicarel’eternitàdiogniessenteelanecessitàdelfarsi innanzi della terra. La

viaindicatasindall’inizioneimiei scritti che conduceall’eternità degli essenti – ealla necessità della terra – ècioè circondata da altre vie(cfr. Parte seconda e terza)che conducono allo stessorisultato. L’altezza della viamerita questo tipo diconferma.Per comprendere la novità

deipassichelepercorronosiè preferito avere sott’occhio,in queste pagine, i tratti

centrali dei passi giàcompiuti, piuttosto cherinviare agli scritti che lihanno mostrati. Se invecepotrà a volte sembrare chequanto si afferma non vengagiustificato, sarà quando ildiscorso riprende temi che,già altrove chiariti e fondati,sarebbe stato troppoingombranteriesporre.

E.S.

22luglio2015

PARTEPRIMA

I«DÍKĒ».UNAPRIMAINTERPRETAZIONE

1.ILCIRCOLODELDIVENTARALTROAl sensodel frammentodi

Anassimandro, tramandatocida Simplicio, imiei scritti sisono accostati più volte.AncheLamorteelaterra.Visi dice: «Il frammento di

Anassimandro – che inqualche modo anticipal’interatradizionefilosofica–èstatoconsideratoquinelsuosignificato più scoperto: lecose che periscono,ritornando là da dovenascendo provengono,didónai ... díkēn kaì tísinallḗlois tē̂s adikías: “rendonogiustiziaescontanolapena...dell’ingiustizia”»prodottadalloro essersi separatedall’Uno, dove

originariamente sono, equindi separandosi l’unadall’altra, e rendonogiustiziae scontano la penainfliggendosela «tra di loro»,allḗlois; «ma con ciò non siesclude che il significato didíkē, e quindi dell’interoframmento, trascenda ilproprio aspetto più scoperto,secondoquantosiètentatodimostrare in Essenza delnichilismo» (pp. 175-76).Díkēèlaparolagrecacheper

lo più viene tradotta con iltermine«giustizia».Però, nelle pagine di La

morteelaterra(IV,V-VI),epoi di Intorno al senso delnulla (pp. 35-38, 45-56), il«significato più scoperto», ecomunemente condiviso, delframmento è considerato inrelazione al tema, non certoaltrettantoscoperto,delmodoincuilastrutturadifondodelmito si ripropone, sebbene informaprofondamentediversa,

nella struttura di fondo dellastoriadell’OccidenteequindiinnanzituttonelframmentodiAnassimandro:lastrutturadelcircolo, inteso comeconfigurazione essenzialedella terra (cioè delsopraggiungere delle cose,mortali e divine) in quantoisolata dal destino dellaverità,nell’appariredelqualelaterraperaltrosopraggiunge.Il circolo del divenire, cioèdella trasformazione delle

cose.Lafolliaestrema.Perisaperichesimostrano

all’internodellafolliaestremaincuiconsiste la terra isolatadal destino della verità (oltreaimieiscrittiche,apartiredaEssenza del nichilismo,consideranoquesto tema, cfr.qui, Parte seconda, I), ognicosa è infatti un diventare; epuò diventare soltantodiventando altro (cioèidentificandosi ad esso); mapuò diventare altro soltanto

se,asuavolta,l’altrodiventala cosa che ad esso si èidentificata.Dallacosaalsuoaltro; dall’altro alla cosa.Questo, il circolo. Dove ilprimo semicerchio nonprecede il secondo, manell’atto stesso in cui siproduce il primo si produceanche il secondo: sin dalprimomomento del processoin cui la cosa diventa altro,l’altrodiventalacosa.Senonla diventasse, rimarrebbe

altro da essa ed essa nonpotrebbediventarealtro.Per lopiù, l’uomo si trova

all’interno della terra isolata,senzasaperedaqualeregioneessa è isolata. Egli crede di«esserealmondo».Nell’isolamento della terra

ognicosaèundiventaraltro,perchéanchenelmitoenellatradizione dell’Occidente lecose hanno un’Origine cheper quanto stabile e

incorruttibile è un originare,cioè un originar altro, undiventar altro anch’essa.Anche il Dio liberamentecreatore della tradizionemetafisicaèundiventaraltro,nelsensocheègiàdasemprediventato altroda sé stesso–giacché unDio che non creanon può essere identico a unDiochecrea;sìche,creando,egliègiàdasemprediventatoaltro da sé. In quanto è undiventar altro, l’Origine è

l’Uno da cui le coseprovengono – e in cuiritornano,essendoessel’altro(dall’Origine)cheasuavolta,nel secondo semicerchio delcircolo,siidentificaediventaciòdacuiessoproviene.Ciò accade anche quando,

dopo il tramonto dellatradizione dell’Occidente,l’Origine è intesa come ilnulla (nihil absolutum): ilnulla diventa il suo altro, ilTutto, e a sua volta il Tutto

diventa nulla. Nietzscheritiene appunto che il nulla,come Origine e termine delTutto, sia una variante dellaprospettivateologica:siaDio,sia il nulla, posti comel’Origine, predeterminano einfine rendono impossibile ildivenire, cioè la suaimprevedibilità;sìchel’unicomodo di salvaguardarla èaffermare l’eterno ritorno diciò che imprevedibilmente èaccaduto.Maancheinquesto

modo il circolo èmantenuto,e anzi moltiplicatoall’infinito, riassumendol’aspetto, ma solo l’aspetto,della forma che l’eternoritorno mostra agli inizi delpensierogreco.(Cfr.L’anellodelritorno).Il diventar altro è la

configurazione essenzialedella terra isolata dal destinodella verità – configurazionedell’errare estremo,dell’alienazione più profonda

della verità del destino. Laterra isolata (ilmondo in cuiperlopiùsicrededivivere)èSogno–Sognotrascendentaleche include le formeempiricheeinautentichedellaveglia e del sogno, della«verità» e dell’«errore».(Anche il «destino» di cuiparlano le forme sapienziali,compresa quella diHeidegger, appartiene aquesto Sogno). Nel Sognoappare l’intera storia del

mondo – dei mortali, deidivini,dellanatura.NellepaginediLamortee

la terraedi Intornoalsensodel nulla sopra richiamate sirileva che, diventando altrodasé,l’Origineèunsepararsidasé.Nelmito l’Origineè ilSacro, il divino. Non èenfatico dire che laseparazione è strappo,smembramento,squartamento, sacrificio.Parole, queste, che

appartengono soprattutto allinguaggio del mito. Ma illoro significato si prolunga esi proietta nelle formeconcettuali della storiadell’Occidente–apartiredalpensierodiAnassimandro.Nella terra isolata la

separazione dell’Origine (mapoi la separazione in quantotale)è intesacomeuneventoin cui o l’Origine stessasepara sé da sé, oppure è unrestar separata in seguitoalla

violenza con la quale unaforzariesceaporsialdifuoridi essa e le si oppone. Nelmito tale forza si presentacome la potenza «magica»dellavolontàumana.Aldi làdel mito e della terra isolataappare, nello sguardo deldestino, che la formaoriginaria della volontà è laterra isolata, in quanto fedenell’esistenza del diventaraltro–volontàtrascendentale;echesoloavendoquestafede

le forme empiriche dellavolontà possono voler fardiventar altro le cose equindi, innanzitutto, ilLuogoin cui tali forme si trovanoinizialmente. Sul fondamentodella fede che esso siatrasformabile, la volontàdecide di farsi largo in esso,che lasciandosi penetrare,rendendo disponibili leproprie viscere, divental’Origine del mondo. Perpoter vivere al di fuori di

essa, la volontà deve farsispazio in essa, penetrandola,smembrandola – in essa cheinizialmentenonglienelascianemmenounpo’elasoffoca,la uccide. Dopo il tempo incuiildivinouccidelavolontàdell’uomo, il tempo in cui lavolontàdell’uomoincominciaauccidereildivino.Ildivinoincomincia a presentarsicome Origine dopo essersipresentato come l’Inflessibile– l’inflessibilità dei ritmi di

ciò che solo in seguito saràchiamato «natura». Lavolontà, per vivere, vuolel’aria, l’acqua, la terra, ilfuoco, vuole cioè intervenirenel movimento che producequei ritmiealterarlo.Solo inseguito – forse solo conl’avvento del pensierofilosofico – l’Inflessibile èintesocomel’Immutabilechenonnasce,nonmuore,nonsialterainalcunasuaparte.

Ma prima che l’Occidentearrivi a dire che «Dio èmorto», lavolontàsisenteincolpaperaverincominciatoaucciderlo; e a sua volta sisacrifica restituendogli, nelsacrificio, quel che essaritiene necessario perché ildivino continui ad essere lafonte, soltanto dalla quale lavolontàpuòabbeverarsi.Essaavverte di aver compiutoun’«ingiustizia» e colsacrificio ristabilisce la

«giustizia». Con questarestituzione il circolo sichiude. Oppure è il divinostesso a tracciare il circolointero,cioèasepararsidaséesmembrarsi nel sacrificiocreatore del mondo, di cuiparlano imiti, e a sacrificareuna seconda volta sé stesso(Dioniso, Cristo) perristabilire la giustizia violatao da lui stesso o dall’uomocheeglihavolutocreare.A cominciare dal mito,

nella storia dell’uomo i duesemicerchi del diventar altro–cheinverità(cioèinquantovisti dal destino della verità)sono sincronici – sipresentano in unasuccessione. E sono insuccessione anche quando ilpensiero dell’Occidentemostra che non esisteun’Origine immortale, ossiamostra che «Dio è morto»perché non è mai esistito senonnellamentedegliuomini,

e ciò nonostante questopensiero afferma l’eternoritorno di tutte le cose, dovel’altro(latotalitàdell’altro)diogni cosa, diventa tale cosaritornando ad essa dopo chelacosaèdiventataaltro.Ma in verità i due

semicerchi del diventar altrosono sincronici anche inrelazione all’originare dovel’Origine diventa tale, cioèoriginante l’altro da essa, el’altro (il mondo) diventa

l’Origine.Diodiventamondo(oDio-col-mondo); ilmondodiventa Dio. Come ognidiventaraltro,anchequestoèun impossibile;ma ilmito (eogni sapienza della terraisolata) lo ignora. Il diventarDio è appunto losmembramento dell’Origine,che la volontà umana deveperpetrare per poter vivere;essa deve cibarsi diDio – sìche, in verità, la volontà è lafede che crede nell’esistenza

dell’impossibile (macheessanon può conoscere comeimpossibile).Nella terra isolata dal

destino la sincronia dei duesemicerchi che costituisconoil circolo del diventar altrodeve essere intesa comediacronia. Il giorno diventanotte.Ma la sincronia che inverità (cioènellosguardodeldestino) compete al diventaraltro richiede che il diventarnottedapartedelgiornosiail

diventargiornodapartedellanotte.Chequestoaccadanonappare tuttavia nemmenoall’interno dell’isolamentodella terra. Il succedersi delgiorno e della notte vieneinterpretatocomeundiventaraltro, ma si deve isolare enascondere ciò che èimplicato con necessità dalsignificato del diventar altro,ossia la sincronia dei duesemicerchi: la si deve isolareda ciò che si ritiene evidente

echelasmentisce,ossiadallacircostanza che, col farsinotte, la notte non si fagiorno.Isolandosidaldestinoeaffermandoildiventaraltro,la terra si isola anche da ciòche il diventar altro implicacon necessità (cfr. Parteseconda,I,15sgg.).Tuttaviaciòdacui la terra

si isola lascia in essa lapropria traccia. Nella terraisolata la sincronia dei duesemicerchi viene cioè intesa

come la loro diacronia: ildiventargiornodapartedellanotte viene inteso comesuccessivo al diventar notteda parte del giorno. Nellaterra isolata la diacronia deisemicerchi appare di certo(cheviappaiaapparecioèneldestinodellaverità),manellaterra isolata la loro diacroniaè intesa come appartenenteall’essenza del diventar altro(e ci si isola, ripetiamo, daltratto fondamentale, per il

quale è innanzitutto la lorosincronia ad appartenere ataleessenza).2.VERSOILSIGNIFICATODI«DÍKĒ»È in relazione a questi

temi, cioè al senso autenticodella struttura di fondo delmito,cheLamorteelaterrae Intorno al senso del nullaconsiderano – si diceva – il«significatopiùscoperto»del

frammento di Anassimandro,che quindi, in questocontesto, assume un sensomolto meno «scoperto» diquanto possa sembrare. Nelsuosignificato«piùscoperto»esso afferma che le coseritornano là da dove sonovenute e che pertanto vieneristabilita la«giustizia»,díkē,dopo l’«ingiustizia» dovutaalla loro separazionedall’Uno; ma riferendosi aquesto significato quegli

scritti mostrano che ilframmento ripropone ilcircolodelmitoecheadessoaffida la storiadell’Occidente. Tuttavia, nelpasso diLamorte e la terrariportato all’inizio delparagrafo 1 si aggiunge chenonperquestovaesclusoche«il significato di díkē, equindidell’interoframmento,trascenda il proprio aspettopiù scoperto, secondo quantosi è tentato di mostrare in

Essenza del nichilismo» conilsaggiointitolato«LaparoladiAnassimandro».Questo saggio è infatti

guidato dal principio che«comprendereilsensodiunaparolasenzacomprendernelaverità significa lasciarsisfuggire la profondità, laportata stessa del senso» (p.399); e la tesi che vi sisostiene è che il frammentoanticipa la verità che inseguito,neimieiscritti,verrà

chiamata «destino dellaverità». Il saggio è compostoa ridosso della Strutturaoriginaria(1958),doveperlaprima volta vieneconcretamente indicata lastrutturaoriginariadeldestinodellaveritàe ilsuoimplicarel’eternità di ogni essente –ossia l’impossibilità che unqualsiasi essente divengaquell’assolutamente altro cheèilnulla,echeilnulladiunqualsiasi essente divenga

quell’assolutamente altro dalnulla che è quel qualsiasiessente;edovesi incominciaa rilevare che l’apparire deldivenire non è l’apparire delprovenire dal nulla edell’andare nel nulla, ma èl’apparire del sopraggiungeredegli eterni e del loro usciredall’apparire. «Si incominciaarilevare»–diciamo–questosecondo tratto, nel senso cheintalerilevamentorimangonoancora le tracce della

sapienzadellaterraisolatadaldestino, e, propriamente,quelle dell’Occidente, in cuiculmina tale sapienza e nellaquale il venire delle cose dalnulla e il ritornarvi, ossial’unità del loro essere e nonessere, è considerata comel’innegabile evidenzaoriginaria.Appuntonelclimadi questo modo iniziale dirivolgersi, da parte dellaStruttura originaria, allastrutturaoriginariadeldestino

dellaveritàsimuoveilsaggioLa parola di Anassimandro(in Essenza del nichilismo,d’ora in poi P.d.A.) el’interpretazionedidíkē.Lo scritto di Heidegger

Der Spruch desAnaximander, Il detto diAnassimandro (d’ora in poiS.d.A.), conclude Holzwege(Klostermann, Frankfurt a.M., 1950. Le citazioni diS.d.A.siriferirannoallaprimaedizioneitalianadiHolzwege:

Sentieri interrotti, trad. it. diPietro Chiodi, La NuovaItalia, Firenze, 1968, cheperaltro servirà soprattuttocome traccia modificabile –ad essa rinviano i numeri dipagina. In P.d.A. ilriferimento a questo scritto ècostante, ma implicito.Tuttavia si potrà constatareche renderlo esplicito ora,dopo tanto tempo, presentadei vantaggi). S.d.A. tenta dimettere in luce il significato

della parola eón, ón, «ente»(eónta,ónta, «enti»), che nelframmento compare nellaforma di un dativo plurale(oûsi), e ritiene che questasua ricerca possa aprirsi lastrada e incominciare atrovare una risposta in unpasso di Omero, nell’Iliade,dove si dice che Calcante,anticipando tutto, già «avevavisto ciò che è, ciò che sarà,ciòchefu»:ḗidētát’eóntatát’essómena pró t’eónta.

Dall’analisi di questa fraseS.d.A. trae la conclusionedecisiva, ossia che,«evidentemente» (offenbar),il vedere di Calcante è unavergiàvisto,«rispettoaciòchesipresentanella lucecheilluminailsuovedere»,ecioèsi presenta nella dimensionedel «non nascondimento»(Un-verborgenheit, pp. 321-22). Infatti tale «luce» e«non-nascondimento» è ciòche egli pone a fondamento

delpropriofilosofare,ossiaèl’«essere»,inquantodifferiredall’«ente». Pertanto, già nelpiù antico linguaggio grecoHeidegger ritiene di potertrovare la traccia del propriopensiero (e nel propriopensiero la traccia di quellinguaggio).Suqueste basi –e certo con molta cautela,dovuta soprattutto allaconsapevolezza dellaviolenza esercitata sui testidalle proprie traduzioni-

interpretazioni – egliriconduce il senso che l’entepossiede nel frammento diAnassimandro al senso cheall’ente viene attribuito dallapiù antica poesia greca, e daluistesso.D’altraparte,S.d.A. spinge

la propria cautela sin quasi asmentire questa sua stessaprospettiva. Dopo averricondotto al propriofilosofare il senso chel’«essere» e l’«ente»

presentano in Omero eAnassimandro, S.d.A. giungea riconoscere che sindall’«aurora» del pensierogreco, dunque già nelframmento di Anassimandro,l’«essere» (che nellatraduzioneitalianaèresocon«esser-presente»)sitrasforma«impercettibilmente» in un«ente» (trad. it.: «essente-presente») e sotto questaspinta finisce col diventarel’«Ente» che sovrasta ogni

altro ente (das Seiendste,Heideggerdicealtrove).Intalmodosindall’aurora,

cioè da quando l’Occidenteincomincia a pensarel’«essere», sin da alloral’«essere» cadrebbenell’oblio, e, con l’«essere»,la «differenza tra l’essere el’ente» (S.d.A., p. 340). Vacioè sottolineato che per lostesso Heidegger è possibilescorgere nel frammento diAnassimandro l’effetto di

quell’oblio, ossia la presenzadel rapporto tra Ente sommoe originario e enti da essoderivanti (sulla quale,peraltro, il frammento e letestimonianze lasciano benpochi dubbi) anchemettendotra parentesi la sua teoriadella«differenzatral’essereel’ente» (teoria che d’altrapartehalapretesadispiegareperché si possa ed anzi sidebba giungere a questaderivatainterpretazione).

Anche dalla possiblità discorgere, nel frammento, ilrapporto tra l’Uno-Entesommo e gli enti, mettendotra parentesi la teoria delladifferenza tra «essere» e«enti», procedel’interpretazione che nel miosaggio P.d.A. vien data delframmento.Alfondamentodiquestogestostaildirittodellastrutturaoriginariadeldestino(e non della «differenza traessere e ente» o di altra

configurazione teorica) aporsi come orizzontedell’interpretare. Sennonchéanche in P.d.A.l’interpretazione, da un lato,si spinge troppo in avanti,dall’altro risentedel carattereiniziale che – si è detto –compete alla testimonianzadel destino compiuta dallaStrutturaoriginaria.3.ILFRAMMENTODIANASSIMANDRO

Risentiamo ancora una

volta le parole diAnassimandro:ex hō̂n dè he génesís esti

toîsoûsi,kaìtḕnphthoràneistaûta gínesthai katà tòchreṓn; didónai gàr autàdíkēn kaì tísin allḗlois tē̂sadikíaskatà tḕn toûChrónoutáxin. In formadi parafrasi ein modo molto semplificantesi può render così il testogreco:

Lecosedallequali(exhō̂n)vi è generazione per gli entisono lestessenellequali (eistaûta)avvieneladissoluzione(deglienti)secondonecessità;infatti essi stessi (autá)rendono giustizia (didónaidíkēn, pagano giusto castigo)ed espiazione,reciprocamente, per la (loro)ingiustizia (tē̂s adikías),secondol’ordinedeltempo.La seconda parola del

frammento–che,unitaall’ex,

abbiamo reso con «le cosedalle quali» – è un genitivoplurale. Un passo del libroprimo della Metafisica diAristotele(983b8-10),ilcuicontenutoèdel tuttoanalogoalla prima parte delframmento, incominciainvece col pronome algenitivosingolare:exhoû (exhoû gàr éstin hápanta tàónta, kaì ex hoû gígnetaiprṓtou kaì eis hò phtheíretaiteleutaîon, «la cosa dalla

quale tutti gli enti sonocostituiti, e dalla quale perprima si generano e nellaquale alla fine sidissolvono»). Aristotelepensa all’unità dell’archḗ,cioè del non finito (ápeiron)da cui le cose provengono eincuiritornano;ilframmentodice che tale unità non è unche di indifferenziato, ma èl’unità del molteplice – e ilgenitivo plurale nominaappunto questa molteplicità.

Infatti è ancora Aristotele adire che in Anassimandro lecosemolteplici,einnanzituttoi «contrari, che sononell’Uno, da esso siseparano» (ek toû henòsenoúsas tàs enantiótētasekkrínesthai, Phys., 187 e20). Il frammento dice che ilmolteplice è contenutooriginariamentenell’Uno.InveceHeideggerritienedi

poter affermare che inAnassimandro, oltre all’oblio

aurorale dell’«essere», c’èancora la traccia dell’eventoin cui l’«essere», cioè l’Uno,illumina la molteplicità deglienti (la illumina – non: lalascia uscire da sé) elasciandola essere,custodendola esalvaguardandola, «si ritrae»da essa. La génesis e laphthorá degli enti nonsignificherebbe,rispettivamente, il lorosepararsi dall’Uno

provenendo dall’esser nulladel loro esistere comeseparati, e il loro ritornarenell’Uno annullando il loroesistere come separati, bensì,rispettivamente,l’incominciareadapparteneree il non appartener più allalucedell’Unverborgenheit.Come altre volte ho

osservato, Heidegger è peròlontanissimo dal pensare chel’«Esserci» dell’uomo e glienti in generale siano eterni,

cioè esistano, completamenteintatti, anche quando nonsono nella luce dell’«essere»(echequindiildivenire,nellasua verità autentica, sia –come invece viene indicatoneimieiscritti– ilcompariree lo scomparire degli eterni).Ciò significa che egli è difatto costretto a riconoscereche,quandononsitrovanoinquella luce, gli enti, o per lomeno alcuni di essi, vannonelnulla:noninquel«nulla»

che è l’«essere» stesso inquantonulladell’ente,manelnullacheèilnihilabsolutumdell’enteechenonpuòessereidentico né all’«ente» néall’«essere». Pertanto eglistesso riconosceimplicitamente che vi è unsenso dell’ente, il sensoautenticamentetrascendentale, per il qualel’essente, in quanto non-nihilabsolutum, include sial’«ente» sia l’«essere»; ma

del quale Heidegger nonintende prendere atto; oanche, qualificandolo come«concetto generalissimo diessere» (anche in S.d.A.),credeperciòstessodiaverlotoltodimezzo.

4.«DÍKĒ»E«ADIKÍA»Nel mio saggio P.d.A. si

mostra che il sensoautenticamentetrascendentale

dell’essente incomincia apresentarsi nel frammento;tuttavia lo si mostraattraverso un’indagine chenon riconduce l’ón diAnassimandro all’eón diOmero, ma, sollecitata dalcontenuto stesso delframmento,proiettasulladíkēdiAnassimandroilsensochedíkē presenta in Eraclito eParmenide. In taleproiezionesi mostra 1°) la sostanzialevicinanza di Eraclito ad

Anassimandro, 2°) la formadi convergenza che sussistetra Eraclito e Parmenide, 3°)la conseguente possibilità diinterpretare la díkē diAnassimandro alla luce delladíkē di Parmenide. Appuntoinrelazioneaquesti trepassisièdetto soprache inP.d.A.l’interpretazione si spingetroppo in avanti, risentendoperaltro del carattere ancorainizialedelmodoincuinellaStruttura originaria viene

testimoniato il destino dellaverità.CiòperònonsignificacheP.d.A.nonsialabaseperun ulteriore approfondimentodelsignificatodelframmento.Considerando la parola

adikía che compare nelframmento, Heideggerosserva giustamente che essasignifica innanzitutto che làdoveessaèpresente«lecosenonvannocomedovrebbero»(S.d.A., p. 330); e poi rendeconcreto questo significato

formale sostenendo che lecose non vanno comedovrebbero perché, facendosiavantinellospazioapertodel«non-esser-nascosto», siostinano a permanervi,rifiutandosidiuscirnequandosiagiuntoiltempoopportunoe di ritornare nell’esser-nascosto (S.d.A., pp. 318,326). Non si tratta però del«non-nascondimento»(Unverborgenheit) e delnascondimento dell’«essere»

– dell’«essere» che,illuminando l’«ente», siritrae; ma del non-nascondimento e delnascondimento dell’«ente»,che dapprima non appartieneal non-nascondimento dellalucedell’essere,epoineesce,rientrando nell’esser-nascosto. Ma quest’ultimo,stiamo osservando, non è ilnascondimento dell’«essere».Heidegger non dice alcunchéintorno a questa duplice

forma dell’esser e non essernascosto.Duplice,perchéperHeidegger l’«essere» èl’archḗnoninquantoorigineche precontiene le cose e dacui esse provengono e in cuiritornano, ma è l’archḗ inquantolucecheleillumina.Di conseguenza, S.d.A.

esclude (in base allamotivazione che oraindicheremo) ciò che inveceil frammento afferma si puòdire in modo esplicito: che

l’adikía è innanzitutto lagénesis, il separarsidall’Unità originaria delmolteplice e che appunto perla loroadikía ènecessità cheesse si dissolvano ritornandolà da dove sono venute.Certo,questoaspettoesplicitodel frammento ha dato luogoall’interpretazionepredominante di esso, laquale però non si preoccupadiandaroltrelaconstatazionedi ciò che il frammento

afferma.S.d.A.vacertamenteoltre,tral’altroassumendoinmodo rigido la tesi di JohnBurnet:chenelframmentoleparole autentiche diAnassimandroincomincerebbero con katàchreṓn. Accade pertanto cheS.d.A. proceda diffidandodella tonalità «aristotelica»delle espressioni checompaiono nella prima partedel frammento. E tuttaviaaccade anche che S.d.A., pur

riconoscendo il timbroarcaico e originario delleespressioni génesís esti ephthoràn gínesthai, e quindiil loro essere probabilmenteparole di Anassimandro (p.318),poinontengacontodelcontesto in cui essecompaiono, cioè che lagénesis degli enti provienedall’Unità del molteplice(hō̂n) e che in tale Unità lalorophthorá riconduce. E netiene così poco conto che,

addirittura, considera génesisephthoránongiàinrelazioneall’Unità originaria delmolteplice (ossia all’ápeiron-archḗ in quanto è siffattaUnità), ma, rispettivamente,come il levarsi nella lucedelnon-esser-nascosto e iltramontare nell’oscuritàdell’esser-nascosto, da partedegli enti (loc. cit.) – quelnon esser ed esser nascostoche peraltro, ripetiamo,differisce dalla

Unverborgenheit-Verborgenheit dell’«essere».(Sullo scritto diHeidegger siritorna nel capitolo III dellapresenteParteprima).Nelmio saggioP.d.A. non

siabolisceciòcheviendettonella prima parte delframmento e quindi laconnessione tra adikía el’Unità originaria delmolteplice, ma non ci siarresta nemmeno allaconstatazione che il

frammento afferma questaconnessione, bensì ci sichiede perché il separarsidegli enti da tale Unità siaadikía, cioè quale sia ilfondamento di questaaffermazione. Appunto perrispondere a questa domandaP.d.A. mostra l’essenzialevicinanza ad Anassimandroda parte di Eraclito eParmenidemettendoinluceilsignificato che in questi duepensatori compete a díkē. In

P.d.A. si sostiene che questosignificato è, sia pure inmodo diverso, il primoaffacciarsi del tratto centraledella struttura originaria deldestino – cioè l’eternitàdell’essenteinquantoessente– e che questo significato siriversa all’indietro sulleparole di Anassimandro, cheperaltro sollecitano a lorovolta questo riversarsi. Sirichiami in breve, quindisemplificandone

l’andamento, come questainterpretazione si sviluppanelle intenzioni di P.d.A.,introducendo d’altra partealcuni riferimenti che,sebbene conformiall’impostazione di questosaggio, non sono tuttavia inessopresenti.

5.«DÍKĒ»,«PÓLEMOS»Ilframmento80diEraclito

affermachedíkēèéris.Érisèla «contesa», il contrasto, lalotta, la «guerra» (pólemos)che, essendo «comune»(xynós) a tutti gli enti, è ciòsenza di cui nessun entepotrebbe esser ente equell’ente che esso è. Ogniente è infatti un opporsi atuttociòcheèaltrodaessoequindi,innanzitutto,aciòchein seguito sarà chiamato il«contrario» di quell’ente (dèie uomini, liberi e schiavi,

immortali e mortali, svegli edormienti, vivi e morti,umidoesecco,diceEraclito).Se un ente non ènell’opposizione, non è.Poiché nel suo significatoformale adikía nomina lostatodellecosenelqualeessenonstannocomedovrebbero,díkē, daccapo nel suosignificato formale, nominainvece lo stato in cui le cosestanno come devono stare.Devono stare

nell’opposizione. Questo«dovere» non è un compito,un imperativo, un doveremorale, ma una necessità.Infattiéris«ècomune»atuttele cose: esse non hanno ilcompito di avere in comunel’opposizione, non devonodiventare opposte. Devonostare nell’opposizione perchéè necessario che vi stiano:altrimenti non potrebberoessere.Díkēèquindi,nelsuosignificato concreto, che gli

enti siano. La «giustizia»(díkē) resa all’ente in quantoente è che esso sia. Ma,viceversa, che l’ente inquantoentesiaèilsignificatodella«necessità».Risulta, da quanto si è

detto, che adikía è il nonessere degli enti. In Eraclitoquesta parola è assente. Èinvece presente la parolahýbris, che significa la«prevaricazione»(«tracotanza», «violenza») in

cui un ente si separa dalproprio opposto pretendendodi annientarlo. Il frammento80 prosegue affermando che«tutte le cose si generanosecondo contesa e necessità»(kaì ginómena pánta kat’érintà chreṓmena). Si generanocioè secondo díkē e chreṓn:secondo la necessità chel’ente in quanto ente sia edove l’essere dell’ente è ilsensodellanecessità.Sennonché, nella

generazione (nel mondogenerato), ognuno dei dueoppostièsolosel’altrononè.Per Eraclito, ad esempio, leanimeel’acqua,ilfuocoelaterrasonoopposti;ma«perleanime è morte diventareacqua» (fr. 36), così come ilgenerarsi di qualsiasi cosa èla morte del suo opposto,ossia ogni cosa ne «vive lamorte»(fr.76).Lamorteè ilnon essere. E qui si è alcentro della questione.

Perché, da un lato, díkē, inquantoérisepólemos,cioèinquantoopposizione,èiltrattocheè«comune»aognienteesenza il quale nessun ente è;dall’altro lato, nellagenerazione, ogni ente vive(è)lamorte(ilnonessere)delproprio opposto, ossia è, masenza la condizione per laquale ogni ente è. E d’altrapartelagenerazione(génesis,dice Anassimandro) èphanersḗ (dice Eraclito, fr.

54):«manifesta»,«inluce»,equindi non la si puòconsiderareinesistente.In P.d.A. l’antilogia è

risolta distinguendo lagenerazione da hýbris. Nellagenerazione gli opposti, purvivendo ognuno la morte emorendo la vita del proprioopposto,sonotuttavia«unoelostesso»,tautó t’éni,perché«uno dei due, diventandol’altro, è l’altro, e l’altro, dinuovo, diventa ed è quel

primo» (táde gàrmetapesónta ekeîná estikakeîna pálin metapesóntataûta, fr. 88). Nellaprospettivadell’eternoritornodi tutte le cose, gli opposticonsiderati(loc.cit.)sono«ilvivente e ilmorto, lo sveglioeildormiente, ilgiovanee ilvecchio». Pertanto lagenerazioneèsìunaformadiseparazione degli opposti, etuttavia la separazione non èspinta fino in fondo, appunto

perché, pur essendo il nonesseredell’altro,idueoppostirimangono comunque «uno elo stesso», cioè rimangonouniti.Nella generazone l’adikía

(hýbris) non è ancoraperpetrataperchédíkēèérisepólemos, epólemos è «padredituttelecose».Ilpadreè«ildio»(hotheós,fr.67),ossiailluogo in cui è necessità chetutte le cose esistanonell’opposizione che le tiene

unite ed è la condizione delloro essere. Tale luogo èl’Unità del molteplice: delmolteplice che è secondo lalegge dell’opposizione. Taleluogoè l’Uno incuiesistonooriginariamente i contrari egli opposti che da esso, inquantopadredi tutte le cose,si generano separandosi manon rompendo ancora deltutto la loro unità. Pólemos-padre è l’Uno diAnassimandro.Edall’Uno,in

cui sono uniti – diceAristotele –, si generano icontrari che si separano (ektoû henòs enoúsas tàsenantiótētasekkrínesthai).Eraclito dice che essi

possono separarsi solo inquantosonoeternamenteunitiin e da díkē: nella e dalla«giustizia» che vien resaall’esseredellecosemediantela necessità che esse siano.Quella separazione tra icontrari, che ancora non

rompedel tutto la loro unità,è però anche un separarsidall’Uno che li custodisce; ela separazione tocca il fondoquandoessadiventahýbris,ilprevaricare di uno deicontrari dove viene dissoltoanche quel loro esser «uno elostesso»(tautó t’éni, fr.88)chepermanenellorodiventarl’altro (metapíptein): ilprevaricare dove l’altro ètotalmente dissolto. Appuntoper questo «è necessario»

(chrḗ) spegnere hýbris piùancora che un incendio (fr.43).Lanecessitàdispegnerladiceche,anchelàdovecisièmassimamente allontanati dadíkē, díkē si fa valere. Talenecessità è il didónai díkēn.L’opposizione determina ilregno che compete a ognicosa,ne stablisce il limite, lamisura, la regola e la leggesecondo cui ogni cosa è – ilmétron,diceEraclito:«Ilsolenonoltrepasseràisuoimétra;

altrimenti le Erinni, ministrediDike [Díkēs epíkouroi], lorintracceranno» (fr. 94).Oltrepassare i proprimétra èhýbris. Rintracciare chi li haoltrepassati è essere alservizio di Díkē, ossia,daccapo,èildidónaidíkēndiAnassimandro. Il métron,dando misura a ogni cosa laadatta e la unisce al proprioopposto. La parola grecaharmoníē indica appuntoquesto adattamento e unione.

Il divenire è «l’armoniamanifesta»(phanerḗs); ildio,come unità originaria degliopposti, è invece l’armoniache gli uomini ignorano,«l’armonia nascosta»(harmoníē aphanḗs), che «èsuperiore [kreíttōn] a quellamanifesta» (fr. 54). Di essasono ministre le Erinni cherintracciano e spengono lahýbris delle cose e degliuomini.Hýbris è adikía. Eraclito

non usa questa secondaparola, ma secondo ilsignificato più scoperto delframmento di Anassimandro,adikía è la generazione chesepara gli enti dall’Uno, equindi díkē è il rimanere inesso – sì che díkē èripristinata (didónai díkēn tē̂sadikías) col dissolvimento ela morte (phthorá) chericonduce gli enti nell’Uno.Tuttavia ci si deve chiedereperché la separazione sia

adikía. Il frammento stessosollecita la richiesta e siconfigura in modo che larisposta non sia la negazionedi ciò che in esso vieneaffermato. Richiesta erisposta costituiscono ilsignificato non scoperto delframmento. La risposta è ilsenso che Eraclito conferiscea hýbris. Tale senso rifluiscesu adikía, che lo presagisce,ma che col riflusso diventacapace di dire che essa è

adikía, perché in essa, chesepara i contrari dalla lorounità originaria, non si rendeagli enti díkē, non si rendequella «giustizia» checonsiste nella necessità cheessi siano, ossia consiste inquel loro essere che invece ègarantitodataleunità.

6.«DÍKĒ»ELASTRUTTURAORIGINARIA

«Né generarsi nécorrompersi gli ha consentitoDíkēsciogliendoilegami,malo tiene» (oúte genésthaioút’óllysthai anē̂ke Díkēchalásasapédēisinall’échei).Così suonano due versi delPoema di Parmenide (fr. 8,vv. 13-15). Si riferisconoall’ente (eón). Poiché l’entenon è il nulla – poiché sonoopposti – l’ente è eterno.Sciogliere i legami chetengono l’ente stretto a sé è

l’adikía. Anche Parmenide,come Eraclito, pensal’opposizione, e comeEraclito la intende qualecondizione per cui l’ente è.Che l’ente sia è per i primipensatori greci la supremaverità innegabile. La qualeperò – ad eccezione che inParmenide – convive conl’altrettanto suprema veritàche è l’esistenza del diventaraltro dell’ente. Il diventaraltro è appunto lo

scioglimento, da parte diDíkē, dei legami cheimpediscono all’ente didiventar altro e di diventaredaaltro.La Díkē di Parmenide

proibisce che i legamivengano sciolti, ma loproibisce sul fondamentostesso di ciò che la díkē diEraclito, e quindi diAnassimandro, intendesalvaguardare: che l’ente sia.In questo senso, anche il

significato della Díkē diParmenide, come accade perEraclito, rifluisce sulsignificato della díkē diAnassimandro, mostrandoperché la separazionedall’Uno (il diventar altro,che in quanto separazionedall’Uno è insiemeseparazionedeicontraril’unodall’altro)èadikía.Questo, tenendofermoche

per Eraclito l’opposizione –díkē, éris – contenuta

originariamente nell’Uno«scioglie i legami» e si fapólemos «padre» del mondo.L’«armonianascosta»deldioalloioûtai (fr. 67) «sitrasforma»: prima neldiventar altro, dove gliopposti sono tuttavia «lostessoeuno»,ossiaognunoènel propriométron; poi nellaviolazione del métron dapartedihýbris(chetuttaviaèrintracciata dalle Erinni diDíkē,edènecessitàchelasua

tracotanza sia spenta da essepiù di un incendiodistruttivo). Inoltre, seEraclitoeParmenidepensanoentrambi l’opposizione comeciò per cui l’ente è, Eraclitopuò dire, e anche a maggiorragione,chel’esser«lostessoeuno»,oltreacompetereaglioppostiinquantoesistentineldiventar altro (metapíptein),compete innanzitutto agliopposti in quanto dimorantinell’Unità originaria della

harmoníē aphanḗs; mentrequesto essere «lo stesso euno» è proprio ciò che restaradicalmente negato daParmenide in relazioneall’opposizione tra l’ente e ilnulla. Díkē non scioglie ilegami perché essa èinnanzitutto il non esser ilnulladapartedell’ente.Parmenide indica la

necessità che l’ente sia. Maescludeche l’ente sia lecosemolteplici, perché ognuna di

essa (stella, albero, acqua,fuoco) non significa «ente»,ossia non è ente, ed èimpossibileche«inonessentisiano»,eînaimḕ eónta (fr. 7,v. 1); sì che escludendo ildivenire dell’ente escludequel divenire degli entimolteplici che inveceinnegabilmente appare perl’intero pensierodell’Occidentee,siapurenelsenso che sopra è statoprecisato, nella stessa

Struttura originaria (e cheinnegabilmente appare per lostesso Parmenide, cheafferma l’amēchaníē,l’incapacità di pensare e divivere dei «mortali dalladoppia testa», ossia afferma,contrariamente alle proprieintenzioni, l’esistenzadell’errare, accanto aquell’esseredell’entechenonvorrebbealtroaccantoasé).Sul fondamento della

persuasione che oltre al

molteplice appare il diventaraltro degli enti, il saggioP.d.A. intende mostrare chetuttavia la negazioneparmenidea del diveniredell’ente, una volta riscattatadalla impossibile negazionedel molteplice (e una voltavista nella sua congruenzacon il senso eracliteodell’opposizione), illumina econsentediscorgere laveritàdel frammento diAnassimandro – e ne è

anticipata.Didónai díkēn tē̂sadikías significherebbedunque che il divenire deglienti, nel quale gli enti nonsono, non è l’impossibileidentificazionedell’enteedelnienteperchétuttiglientichedivengono sono eternamentesalvi nell’Unità divina eoriginaria. È per questo loroessere originariamente insalvo, ossia è per díkē, che,ritornando all’Origine da cuiprovengono, gli enti sono un

render giustizia: nel lorodivenire,ossianel lorostessocommettereingiustiziacontrosé stessi in quanto enti,ritornando all’Uno rendonogiustizia al loro diritto diessere, ristabiliscono lagiustiziadell’essere.Il saggio P.d.A. ritiene

dunquedipotermostrarechelastrutturaoriginaria,qualeèindicatanel linguaggio incuiconsiste La strutturaoriginaria, ritrovaséstessa–

il proprio tratto essenziale,nella forma che esso puòavere all’inizio del pensierofilosofico – nella parola diAnassimandro in quantoilluminata dalle parole diEraclito e di Parmenide, daessa peraltro implicitamenteanticipate. Ritrova sé stessa,ossia da un lato ritroval’implicazione tra l’esser sédell’essenteinquantoessentee l’eternità dell’essente inquantoessente;dall’altro lato

ritiene di poterla sviluppareaffermando la convivenza trala consapevolezza che ildivenire appare, ma apparecome apparire e scompariredegli eterni (e questo è iltrattoautenticodellastrutturaoriginaria del destino), e ilpersistere, ciò nonostante,della fede nell’apparire di undivenire dove gli entivengono dal proprio nonessereeviritornano–lafededel nichilismo. La struttura

originaria afferma questaconvivenza non potendotuttavia vederel’incompatibilità deiconviventi, cioè non potendovedere che la convivenza siinstaura tra il destino dellaverità e la non verità delnichilismo, ma vedendolacomeconvivenzadiduetratticheagliocchidellaStrutturaoriginaria appaiono nonsoltanto come compatibili,ma come necessariamente

implicantisi.Inoltre,P.d.A. scorge sì la

direzione lungo la qualeprocedono i primi pensatorigreci,ma tendea identificareciò verso cui essi si dirigonoalmodo incuivisidirigono.Cheogniessente(l’essenteinquanto essente) sia sé stessosolo in quanto si oppone alproprio altro, è certamente iltratto originario del destinodellaverità(edelmodoincuiquesto tratto è presente nella

Struttura originaria). Ma inEraclito l’opposizione inquanto tale–éris,pólemos –sussiste (o almenol’esemplificazione compiutada Eraclito fa ritenere chesussista) tra termini cheAristotele qualifica a ragionecome «contrari», sì che ilrapportotrai terminicontrariresta impropriamenteequiparato al rapporto tra itermini che (nellaterminologia aristotelica)

sonotraloro«contraddittori».È su questa base impropria(macheprocede indirezionediciòchevieneindicatonellaStruttura originaria) cheP.d.A. fa valere la tesi che ilfondamento del pensiero diEraclito (e quindi anche delframmento diAnassimandro)èlanecessitàchel’entesiaséstesso – e che tale necessitàimplica che l’eternitàdell’ente si configuri comeeternità dell’Uno; come

accade, sebbene in mododiverso, relativamente almodo in cui l’opposizione èpensatadaParmenide.

II«DÍKĒ»ELAFORMACOMPIUTADELLA

STRUTTURAORIGINARIA

1.«DÍKĒ»,«BEBAIOTÁTĒARCHḖ»Siritornioraalframmento

di Anassimandro, ma al difuori dell’impostazionedeterminata dal modo in cuiP.d.A. procede all’interno

dell’orizzonte della Strutturaoriginaria.(Questostarealdifuori di tale impostazione èl’assestamentodel linguaggioche testimonia la strutturaoriginaria del destino. Cfr.,relativamente a taleassestamento, il capitolo IdellaParteseconda).Separandosi da Dio,

Adamo diventa preda dellamorte. Disobbedire alcomando divino è infatti

separarsi daDio.MaAdamosi separa da Dio, violandoneil comando, quando è giàstato creato.E la creazione ècosa buona: Et vidit Deusquodessetbonum(Genesi,1,18), si dice dopo il gestoessenziale che divide la lucedalletenebre.Nel frammento di

Anassimandro, invece, glienti si separano dall’Uno ecommettono ingiustiziaproprioinquantosigenerano

– e in questa visione ladivisione della luce dalletenebre è una delleseparazioni che vengono aprodursi tra i «contrari»quando gli enti si separano(Aristotele dice tàsenantiótētas ekkrínesthai)dall’Uno in cuioriginariamente sono (ek toûenoúsas).Inoltre è «secondo

necessità» (katà tò chreṓn)chesiristabiliscelagiustizia.

Se si lascia che il sensoassegnato da Eraclito a díkērifluisca illuminando la díkēdel frammento diAnassimandro, restaconfermato che nelframmento si dice che,dimorando nell’Uno, ognicontrario è sé stesso proprioperché si oppone al propriocontrario rimanendogliperaltro unito. Nell’Uno,l’opposizione unificante èl’essenza dell’identità con sé

da parte di ogni ente. Poichéadikía è la separazionedall’Uno, che è insiemevicendevole separazione dei«contrari», e díkē è la nonseparazione, il frammentopensa, sia pure in modoimplicito,chedíkē sia l’essersé degli essenti e che l’essersé sia appunto il contenutodella «necessità». Katà tòchreṓn significa quindi:«secondo l’esser sé degliessenti».

Per coloro che seguendoBurnet fanno incominciare ilframmentodalkatàtòchreṓn(come Heidegger appuntoripropone)questaespressioneguida l’intera seconda partedel frammento. Ma laseconda parte (introdotta dalgár:«infatti»)mostrailsensoautenticodellaprima,sìcheilkatàtòchreṓn,guidandotuttala seconda, guida l’interaprima parte del frammento,cioè determina il senso non

solo della dissoluzione deglienti nel luogo da cuiprovengono(kaìtḕnphthoràneistaûtagínesthai),maanchela generazione degli enti daquel luogo (ex hō̂n dè hegénesís esti toîs oûsi). È perla necessità dell’esser sé (èperchéènecessariochel’entesia sé stesso) che gli entidimorano nell’origine eterna(arkḗ,ápeiron),sigeneranoeritornano là da doveprovengono. Il frammento

non dice cioè che dopo unaccidentale (casuale,imprevedibile, libero) essersigenerati è necessità che essiritornino alla loro origine: ènecessario anche che gli entiescano dall’Uno e chel’adikíasiproduca.Affermando lanecessitàdi

ciò che vien detto, ilframmento oltrepassa il mito(anche se la necessità èsoltanto voluta e nonottenuta). Anche il Dio

veterotestamentario è archḗ,ma non lo è katà tò chreṓn,cioè secondo la díkēdell’esser sé dell’ente. Nelladíkēdelframmentosiaffacciaper laprimavolta ilpensieroche nel libro IV dellaMetafisica Aristotele chiamabebaiotátē archḗ, «il piùsaldo di tutti i princìpi»: lanegazione che a un entecompeta e non competa unacerta determinazione: lanegazione che l’ente non sia

séstesso.MagiàPlatone,nellibro IV della Repubblica,intende díkē come ilriconoscere a ogni ente ciòche gli è proprio, «pernatura»; e ciò cheinnanzituttoglièproprioèséstesso: l’esser sé, per ogniente,èilpiùappropriato.Il frammento di

Anassimandro dice quindi,per un verso, che ancheadikía si produce katàchreṓn, cioè in forza

dell’essere sé dell’ente, maper altro verso dice cheseparandosi dall’Uno eaprendolaregionedell’adikíaglienti,essendonegazionedidíkē, non riescono ad esseresé stessi. Nel frammento èpresenteiltentativodievitarela contraddizioneintroducendo un duplicesenso della necessitàesplicitamentenominatadallaparola chreṓn. Proviamo achiarirequestotentativo.

Intanto si richiami che glienti ritornano «secondonecessità» là da dove sonovenuti,perchélanecessitàèilloro esser sé, custodito nellaloro dimora originaria; etuttaviaquestaidentitàconsénon riescono a conservarlaquando e in quanto siseparano dall’Uno. Quandociò avviene, essi si trovanoperaltro nella condizione dipoter essere solo se il lorocontrario(oingeneraleciòda

cui sono contrastati) non èquando essi sono. Infatti ilframmento non dice soltantocheglientididónaidíkēn,madice anche che didónai tísinallḗlois, «espianoreciprocamente la pena» perl’ingiustizia commessa. Lapena (tísis) è la distruzione(phthorá) a cui vannoincontro ritornando alla loroorigine. E sono essi stessi aoperare la distruzione:proprio perché l’esistenza di

unenterichiedeconnecessitàl’inesistenza di altri. Nelmomento stesso in cuicredono di essersi liberatidall’Uno che li custodisce, ediesserefinalmenteséstessi,liberi da ogni tutela, in quelmomento, in cui per esisterehannodovutodistruggerealtrienti (i «contrari» che licontrastano), incomincia laloro distruzione ad opera dialtri enti a loro voltacontrastanti,daiqualisisono

separati separandosidall’Uno. (Il termine«contrari»usatodaAristoteleper esprimere il pensiero diAnassimandro – e che, comesi è detto al termine delcapitolo precedente, coglienel segno in relazione aEraclito–nonintendeavereilsignificatorigidocheaquestotermineAristoteleassegnaneisuoi scritti teorici, ma indicain generale l’inevitabilecontrasto esistente tra gli

enti). La vicendevoledistruzione è ilmondo, ossialaregionechesimanifesta.Lavicendevole distruzione

deglientidistruggeglientiinquanto separati, distrugge laloroseparatezza.Etuttavialadistruzione vicendevole nondistrugge un nulla, distruggepur sempre qualcosa che èriuscito ad essere. Che ciòaccada è manifesto –phanerón. Il frammento sichiude dicendo che gli enti

«espiano reciprocamente lapena» katà tḕn toû Chrónoutáxin, «secondo l’ordine deltempo». Il tempo è ilmanifesto: harmoníēphanerḗs.Maancheciòcheèmanifestoè«necessario»:nelsensoche,nellamisuraincuièmanifesto, ènecessariochesia. Non si tratta dellanecessità dell’esser sé, madellanecessitàchel’entesiaesia sé stesso nella misura incuisimanifesta.D’altraparte,

nel frammento, il sensodominantedichreṓndiceche,pur riuscendo, separatidall’Uno, e dunquenell’adikía, ad essere e adesser sé, tuttavia essi sidistruggono vicendevolmentee pertanto non sono pù séstessi. La loro vicendevoledistruzione, che è manifesta,è necessaria in quantomanifesta, e dunque ènecessaria secondo un sensodiverso dalla necessità

dell’esser sé, per la quale ènecessario che gli enti chehanno violato l’esser séritornino nel luogo dovel’esser sé è sempre salvo,ossia nel luogo in cui tutto èeternamente custodito(«immortale» e«indistruttibile», athánatonkaì anólethron, diceAristotelediesso;«eterno»e«senza invecchiamento»,aídion kaì agḗrōn, diceIppolito).Daunlato,dunque,

la necessità dell’esser sé;dall’altro la necessitàdell’apparire dellavicendevole distruzione chegli enti si infliggono comepena del loro aver violato ilproprioessersé.

2.«CHREṒN»,«TÁXIS»Anche dell’ultima

espressione del frammento –katà tḕn toû Chrónou táxin,

«secondol’ordinedeltempo»– si ritiene che appartenga aun linguaggio tardo, che nonpuò essere di Anassimandro.Però la simmetria tra questaespressione e il katà chreṓnchechiude laprimapartedelframmento è troppo marcataperché sia casuale o unasemplice indicazionegenerica.Chrónos,iltempo,èiltrattopiùvisibilediciòcheappare – del phanerón.L’eterno, aídion, non appare

(èaphanés),maè il luogo incuiènecessitàchegliessentisi trovino, perché in esso ètutelata l’opposizioneunificante,cioè lacondizionedell’esser sé degli enti – lacondizione di ciò oltre ilquale il frammento ritiene dinon potersi spingere e chepertanto è il fondamento,dove ilpensieroha toccato ilfondo. (Per il rifluire delpensiero di Eraclito sulframmento si può affermare

che l’essere katà tḕn toûChrónou táxin corrispondealla harmoníē phanerḗ e chel’essere katà tò chreṓncorrisponde alla harmoníēaphanḗ).Inoltre, la parola táxis –

«ordine»,«ordinamento»–sitrovainuncontestodoveessanon può nominare lo«schieramento», ma lostabilire, l’imporre qualcosa,e in modo perentorio e nontrasgredibile.Lasimmetriatra

ilkatàtòchreṓneilkatà tḕntoûChrónoutáxindaunlato,e dall’altro il senso che táxisdeveavereinquestocontestoportano cioè a scorgere intáxisunsignificatoanalogoachreṓn. Analogo ma nonidentico – appunto perchéesserekatàtòchreṓnèesseresecondo la necessitàdell’esser sé, mentre l’esserekatà tḕn toûChrónou táxinèessere secondo la necessitàchecompeteaciòcheappare:

la necessità per la qualel’esistenza del tempo èinnegabile.Intalmodoilframmentodi

Anassimandro tenta didissipare la contraddizioneper la quale in esso si diceche anche adikía si producekatà chreṓn, cioè in forzadell’essere sé dell’ente, einsieme si dice che gli enti,separandosi dall’Uno eaprendolaregionedell’adikía(essendo cioè negazione di

díkē), non riescono ad essereséstessi.Questo tentativostaalla radice dell’interopensierodell’Occidente–allaradice del nichilismodell’Occidente –, chedistingue la necessità dellógos, fondata sullabebaiotátē archḗ («principiodi non contraddizione», sidiràpoi),dallanecessitàdegliasserticheaffermanociòchesi manifesta (necessità«fenomenologica»), e lo

affermano ritenendo che iltratto più indubitabile di ciòche si manifesta sia il suouscire dal proprio non esseree ritornarvi – il tempo,appunto. Va certo tenutopresente che, riguardo almodo in cui si presenta nelframmento di Anassimandro,la contraddizione è dovutaalla necessità che anchel’accadimento dell’adikía siaimplicato dall’esser sédell’ente,echeperevitare la

contraddizione la metafisicagiungerà ad affermare lacreazioneliberadelmondodaparte di Dio. Ma in questomodo resta ribadito ilnichilismo della fede che unente(inquestocasoilmondointero)possanonessere.Díkēèl’inviolabileessersé

dell’ente, e tuttavia díkē èviolata. Nel frammento diAnassimandro è violataperché l’adikía è commessa,accade, diventa reale; in

Eraclitoperchéincominciaadaccadere nella harmoníēphanerḗ (dove però ciò chemuore lavitaevive lamortedel proprio opposto, frr. 36,62, 76, è ancora «lo stesso euno» del proprio opposto, fr.88) e tale accadimentoculmina nella sia purprovvisoria dominazione dihýbris. InParmenide ciònonaccade perché Díkē, nonsciogliendo i legami,impedisce il realizzarsi di

adikía; ma lo impediscenegando quell’essere delmoltepliceedeldiveniredellacui manifestazione è purnecessariodarconto–senonaltro per indicare che cos’èl’essere della illusione in cuiil molteplice e il divenireappaiono, e l’essere dellaquale è implicitamentericonosciuto dallo stessoParmenide.

3.«THYMÓS»Il circolo delmito – che a

cominciare dal primopensiero greco e daAnassimandro si riproponeneimodipiùcomplessilungolastoriadell’Occidente(cfr.I,1) – è presente anche inEraclito e Parmenide. Perquanto riguarda Eraclito, èsufficiente richiamare ilframmento 30, dove siafferma, dell’ordinamento

eterno del Tutto (kósmos),che esso è il «semprevivo»(aeízōon) che «conmisura siaccende e con misura sispegne» (haptómenon métrakaì aposbennýmenon métra).In quanto eterno e padre dituttelecose,ilpólemosnonsiaccendeenonsispegne:sonole cose generate da esso aaccendersi e a spegnersi. Lospegnersièlalorodistruzione(che include quindi ladistruzionedihýbris), cioè il

ritorno dell’«armoniavisibile» in quella«invisibile» incui ilpólemosconsiste.Nel ritorno, dove sichiude il circolo (che poi siriapre e si richiudeall’infinito), «gli uomini,quandosianmorti,sonoattesida cose che essi non speranoné suppongono» (anthrṓpousménei apothanóntas hássaoukélpontaioudèdokéousin,fr.27).E non ha consistenza

nemmenolasupposizionecheil circolo delmito non possaesser presente nel Poema diParmenide.Sipotrebbeinfattiritenere che se Díkē nonscioglie i legami, e in modotale da rendere illusione ilmolteplice diveniente, ilprodursi del circolo siaostacolato sin dall’inizio.Eppure il circolo è presenteanche in Parmenide, sebbenenella forma caratteristica cheesso può avere in questo

pensiero.Il Poema si mostra infatti

consapevole della presenzadellavolontàdeimortaliedelsuo essere il principiodell’esistenzadell’illusione;esi mostra consapevole anchedellanecessitàche lavolontàesca dall’illusione e ritorninella verità; sì che anche inesso risuona l’eco dellastruttura essenziale del mito,ossia dello scontro tra lavolontàdiviveredell’uomoe

l’Inflessibile,epertanto l’ecodel circolo a cui tale scontrodàluogo.Nel frammento 8 il verbo

katatíthemi e anche ilsemplice títhemi compaionoquando si intende indicarel’atto con cui i «mortali» sisonoconvintidell’errore.Nelverso 39 compare unkatéthento: «perciò sarannotutti nomi ciò che i mortalihanno stabilito [katéthento;festgesetz haben, traduce il

Diels], convinti che fossevero»,vv.38-39).Katéthentoricompare nel verso 53:«Infatti i mortali furono delparere [katéthento; Diels:Siehaben ... festgelegt] dinominare due forme». E, nelcontesto della precisazionedel contenuto di questa loroconvinzione, il verso 55contiene un éthento: «essiapplicarono note [éthento]»tra loro contrapposte (Diels:sonderten...ab).

Il significato fondamentaledi títhemi è «pongo»,«metto», e in una sua vastaspecificazione è «dispongo»,«voglio».Seinfattiilgestodiporre un oggetto – accanto,sopra o sotto un altro – puòessercompiutodistrattamenteo inconsapevolmente, e inquestocaso ilporrenonèunvolere, non si può dire lostesso del porre che «pone»unmodo di pensare: «porre»un modo di pensare è voler

pensare in un certo modo. Imortali, «ponendo» laconvinzione che esista ilgenerarsi e corrompersi, chelecosesianoenonsianoesitrasformino, «hanno voluto[katéthento] che ciò di cuisono convinti sia vero[pepoithótes eînai alēthḗ]»,fr.8,v.39.Così volendo, senza

saperlo forzano Díkē asciogliere i legami chetrattengono l’ente presso di

sé. (Senza saperlo, perché diDíkēessinonpossonosaperealcunché). Ma Díkē èinflessibile, non si lasciasmuovere. Lo sforzo deimortali non può avere alcunsuccesso. Il primosemicerchiodelcircolodicuistiamo parlando (la flessionedell’Inflessibile) si producequindi esclusivamenteall’interno dell’illusione cheavvolge i mortali. E tuttavial’illusione accade. Accade

anche per Parmenide.Nemmeno per lui la volontàchesi illudeèunattoeterno.L’illusione è una nube cheincomincia ad avvolgerel’immutabileastrodell’ente.Ilprimosemicerchiononsi

produce quindiesclusivamente all’internodell’illusione che esista ilgenerarsi: anche perParmenide, come perAnassimandro ed Eraclito, laseparazione da Díkē è reale,

non illusoria (sebbene sia laseparazione daDíkē da partediquellaspecificarealtàcheèla volontà che si illudeevocando il mondo illusorioin cui essa crede e cheAnassimandro e Eraclitointendono invece comemondo reale). Ma anche ilsecondo semicerchio, chericonduce all’origine, èpresente nel Poema diParmenide. Anzi, il proemiodel Poema è totalmente

dedicato al viaggio in cui ilgiovanepensatorefaritornoaDíkē. E per compiere questoviaggio a Díkē è necessarioche in essa non ci si trovioriginariamentema se ne siaseparati e ci si trovi nellaNottedell’illusione.NelprimoversoParmenide

nomina sé stesso, portato inalto,«versolaluce»,findovethymós vuol pervenire.Thymós è l’animo, ildesiderio, la volontà (quindi

l’ardore e il coraggio che lavolontà può possedere) – lavolontà del pensatore,innanzitutto, ma poi diognuno che a un analogovoleresiaffidi.Il thymóschebrama il ritorno guida «gliuomini che sanno» (eidótaphō̂ta, fr. 1, v. 3). Thymós ècondotto «fin dove vuolpervenire» (hóson t’epìthymòs ikánoi, v.1), cioènelprimo verso compare lostesso verbo ikánō che si

ripresenta al termine delviaggio, nel verso 25 delproemio,quandoilpensatore,in quanto uomo che sa, ègiunto dove voleva: dinanzial disvelarsi della verità diDíkē.L’uomo sa perché riceve

un sostegno divino(daímonos),dacuiècondottoin alto, «verso la luce» (eispháos,v.10);ericevequestosostegno perché egli sa. Ilsostegno è la chiamata di

Díkē che si lasciaconvinceredalle figlie del sole ad aprire«laportachedivideisentieridellaNotteedelGiorno»–laNotte dell’illusione e ilGiornodellaverità.Icorsieri,il carro veloce e sibilante daessi trascinato, le figlie delsolechemostranoilcammino(vv. 1-17) sono i diversiaspetti di thymós che siadopera per raggiungere ilproprioscopo,einsiemesono«la mano» (vv. 22-23) con

cuiDíkē (v. 28), chiamando,«conduceperquestavia»(vv.26-27), ignota ai mortali (v.27). Le figlie del sole, che,«levatisi i veli dal capo» e«lasciate le casedellaNotte»(prolipoûsai dṓmata Nyktós,v. 9), si innalzano verso laluce sono lo stesso thymósche non è condotto lungo ilsentiero del Giorno da una«sorte malvagia» (moîrakakḗ, v. 26), ma da Díkēstessa: dando ascolto «alle

immortali guidatrici» Díkēapre la gran porta che dividela Notte dal Giorno (vv. 11-21).La volontà di thymós è

l’opposto della volontàespressa dal tithénai(katéthento, éthento). Ilsemicerchio che conducenella Notte dell’illusione ècompiuto da una volontà cheèmoîra kakḗ; il semicerchiodel ritorno al sole diDíkē ècompiutodaunthymóschesi

fa guidare da Díkē e perquesto può esser detto essostesso«immortale»(v.19).Propriamente,sifaguidare,

dice ilverso28,daThémiseda Díkē (che a differenzadella lezione del Dielsscriviamo qui con letteramaiuscola).L’unionedeiduetermini, che risale al grecopiùantico,nonènelpoemailsemplice riproporre ladistinzione tra thémis comelegge che regola i rapporti

familiari e díkē, la giustiziache riguarda quelliinterfamiliari. Tale unione,nel poema, è l’affiorare dellacoscienza che seDíkē, comebuonasorte(buonaMoîra,fr.8, v. 37), non scioglie ilegami che tengono unitol’ente e sé stesso («nonstaccherail’entedalsuostarepresso l’ente», ou gàrapotmḗxei tò eòn toû eóntoséchesthai,fr.4,v.2),tuttaviaDíkē non solo apre la porta

per lasciare entrare ilviaggiatore animato dal verothymós,madeveaverlaapertaanche per lasciare uscirel’errante che, guidato dalla«sorte malvagia» (moîrakakḗ),èun«porre»(tithénai)icontenutidell’illusione.L’assoluta inflessibilità di

Díkē sta dunque insieme allasua condiscendenza.Cioè stainsieme a Thémis. È unacontraddizione essenziale,questa, che consente a

Parmenide di opporre laverità alla opinione illusoriadei mortali, la cuiprevaricazione può essercondannata solo in quanto è,ma non è l’eón. Thémis èDíkē che le figlie del sole«persuadono con delicateparole» (tḕn dḕ parphámenaikoûraimalakoîsi lógoisin, fr.1,v.15).InquantoèThémis,Díkē è, insieme, «colei chemolto punisce» (Díkēpolýpoinos)e«coleichehale

chiavi»(échei klēîdas, v. 14)che aprono e chiudono lagrande porta. Giacché, inquanto «Necessitàdominatrice» (v. 30) che tienstretto l’eón e non scioglie ilegami,Díkēnonè«coleichemolto punisce»: non puòesserloperchérispettoadessanonpuòesserstatacommessaalcuna adikía; mentre Díkē-Thémis punisce chi è volutouscire nella Notte – ossia havoluto«porre»leombredella

Notte, ed è uscito perchéDíkē-Thémis lo ha lasciatouscire – riproponendo ildidónai díkēn tē̂s adikías diAnassimandro e di Eraclito(ma, come già si è detto,riproponendolonelmodochepuò competere al pensiero diParmenide, dove l’adikía è ilcredere,illudendosi,divivereall’interno della generazionee corruzione delle cose). Lapunizione – tísis – èl’amēchaníē, l’«impotenza»

chelirende«sordi»,«ciechi»,«attoniti» (fr. 6, vv. 5-7).L’ingiustizia commessa sitrascina dietro la propriapunizione. Per questo, nellastessa adikía, nel suo stessovenir perpetrata, vieneripristinata Díkē-Thémis: imortalididónaidíkēnkaìtísinallḗlois tē̂s adikías.(L’illusione dei mortaliintorno agli enti è questodidónai – non gli entimanifesti, come invece per

AnassimandroedEraclito).Ela punizione è anche«vicendevole» (kaì tísinallḗlois), perché «sordi» e«ciechi» come sono nonpossono convivere senzarafforzare la loro illusione.Díkē-Thémis riapre la portaall’uomo, riaccogliendolo,perché egli, da «mortale chenon sa nulla» (brotoì eidótesoudèn, fr. 6, v. 4), èridiventato«uomochesa»;edegli lo è ridiventato perché

Díkē-Thémis lo spinge ad«allontanare il pensiero»(eîrgenóēma,fr.7,v.2)dallaNotte e dalle sue forme (vv.3-5).

4.«THÉMIS»E«DÍKĒ»Nella lingua greca anche

Díkē – come Thémis – hainnanzitutto il significato dileggechevieneimpostaechequando viene trasgredita

richiede inderogabilmente lapunizione. Il che implica cheDíkēpossavenirtrasgreditaeche l’inderogabilità del suoimporsi sia propriamente,appunto,l’inderogabilitàdellapunizionecheaccompagna lasuaviolazione.Lavolontàpiùantica riesce a vivere –flettendo l’Inflessibile cheinizialmenteletoglielavita–perché riesce a farsi spazionelle carni dell’Inflessibile,ma rimanendo pur sempre

avvolta da esso, che ora lavolontà sente come il Sacro.E uno dei modi in cui le sipresenta il tremendum delSacro è, nel popolo greco,Díkē eThémis.Thémis è ciòche è stabilito, «posto» daglidèi.Laradice indoeuropeadiThémisèdhe.(Edheèanchela radice di tí-the-mi,«pongo»: dicendo che imortali «hanno posto», kat-thé-nto, le cose della Nottedell’illusione, Parmenide li

intendecomeeredidell’operadegli dèi, artefici di illusioni–comeillusoriaèperEraclitola loro pretesa di essere iproduttori del kósmos «chesempre era ed è e sarà», fr.30). Se si tien conto dellavicinanza della radice dhe edella radice dhes comeespansione di dhe e se siaccogliel’ipotesichedhessiala radice di theós, allora laparola Thémis diceesplicitamente che, nel

«porre»,ciòchepostoèpostodaglidèiecheglidèisonoilporre che (dopo la flessionedell’Inflessibile)stabilisceciòcheèinviolabileeinflessibilee che punisceimmancabilmente la suaviolazione. Thémis eDíkē sipresentanocomeleggimoralie politiche che regolanol’agire dell’uomo (che saràcertopunitoselevìola,echetuttavia ha la capacità diviolarle).Mailmitopuòdire

solo in modo mitico (cioè«ponendo») perché il divinopone quel che pone e nonaltro.Con Anassimandro,

Eraclito, Parmenide – si stamostrando – la filosofiaincomincia a pensare l’essersé dell’ente e ciò cheappartiene all’essenzadell’esser sé. L’esser sé èinteso come ciò che,inviolabile, sorregge ogniperché. Ma è Parmenide a

rendere esplicito perchél’esser sé (cioè l’opposizionedell’ente al nulla) implichicon necessità l’eternitàdell’ente. Anche Eraclito eAnassimandro affermanol’eternità dell’ente, madell’ente in quanto divino,non dell’ente in quanto ente.Come Parmenide, Eraclitopensa che l’opposizioneappartenga all’essenzadell’esser sé e vede nell’Uno(nel Dio) il luogo eterno

dell’opposizione,illuogocheconsente di salvare l’esser sénonostante l’accadimentodella sua violazione (parzialenella harmoníē phanerḗ etotale in hýbris). E ancheAnassimandro – intendendola generazione come l’adikíadellaseparazionedall’Uno,laquale produce il vicendevoleannientamentodegliopposti–pensa l’eternità dell’Unocome appartenenteall’essenzadell’essersé.

Pertanto se, venendo allaluce,lafilosofiapensal’essersécomel’Inflessibilechenonsi lasciapiegare–cioèpensala«necessità»(l’esserkatà tòchreṓn) dell’esser sé –, ciònonostante rimane in essa latraccia delmodo in cuiDíkēe Thémis sono intese neltempo del mito, dove laviolazionedell’inviolabile (laflessione dell’Inflessibile)accade e l’inviolabilità ècostituita soltanto

dall’accadimento dellapunizione della violazione.Questatracciadiventasemprepiù marcata lungo la storiadell’Occidente.

5.«CHRÓNOS»Il pensiero dell’Occidente,

infatti, non si porta oltrel’antinomia costituita dallaviolazione dell’inviolabileesser sé, ma le conferisce la

forma che le consente dipresentarsi come lo stessofondamento del sapere.L’antinomiasiconservasottola maschera della sapienzache viene ritenuta ilfondamento di ogni altra.Tale sapienza dice che, se epoiché l’ente è sé stesso,d’altrapartel’enteilcuiessersé è innanzitutto necessarioaffermareèl’entecheappare;ed esso appare come unuscire dal proprio non essere

e un ritornarvi. Pertantol’esser sé dell’ente – cosìquesta sapienza conclude –nondovràessereintesocomeilsempliceepuroessersé(lasemplicità e purezza a cui siferma Parmenide), ma comel’esser sé che competeall’ente quando è, sin tantoche è, ma che è «follia»pretendere che gli competaquandoessononèpiùononèancora («follia»,manía, diceAristotelenelDegeneratione

et corruptione, 325 a, in unpasso riconducibile a quantosistadicendo).Si dovrà quindi esprimere

l’essersédicendoche«nonèpossibile che lo stesso sia enon sia secondo lo stessoriguardo e riguardo allostesso tempo» (oukendéchetai tò autò kath’hénakaì tòn autòn chrónon eînaikaì mḕ eînai, Aristotele,Metaph.,XI,1061b-1062a).In tal modo si pensa che

l’esser sé sia salvaguardatoliberandosi dalla «follia»,cioè non pretendendo chel’ente sia assolutamente séstesso, e pertanto cheassolutamente sia, mapensandolocomeciòchepuòessere e non essere in tempidiversi (katà tòn éteronchrónon): secondo quanto,appunto, è attestato (si hafede che sia attestato) daglienti che appaiono (phanerá).L’enteèséstessoquandoè.

Dove l’esser sé stesso nonè un sottinteso, ma èesplicitamente e più voltenominato daAristotele sia inquesta formulazione dellabebaiotátēarchḗdellibroXI,siainquelladellibroIVdellaMetafisica (1005 b 19-20).L’esser sé stesso è infattil’autóchecompareduevoltenel passo del libro XI e trevoltenelpassodellibroIV.Èimpossibile che «lo stesso»(autó) sia e non sia; giacché

se l’essere e non esserefossero riferiti a due enti«diversi», allora si potrebbedire, dell’uno, che è, e,dell’altro,chenonè.Ancheiltempo nel quale si riferiscel’essere e il non essere allostesso dev’essere a sua volta«lo stesso» perché taleriferimentosiaimpossibile.Ecosìsidicaper«lostesso»(tòautó) che nel libro IV nonpuò esser riferito e nonriferito «allo stesso» (toˆi

autoˆi) ente. Infine, anche il«rispetto» (ilkatá...)secondocui sono riferiti l’essere e ilnon essere (e che comparenella formulazione del libroIV) dev’essere «lo stesso»(katà tò autó) perché quelriferimentosiainammissibile.Ma l’esser «lo stesso» è

l’esser sé stesso. L’identità èinclusa nella formulazionedellanoncontraddizione.E–comealtrevoltehorilevato–se Kant ritiene di poter

eliminare il tempo dallaformulazione della noncontraddizione, dicendo adesempiocheilgiovanenonèilvecchio,taleeliminazioneèsolo apparente, perché ancheper Kant il giovane non è ilvecchio, sin tanto che ilgiovaneègiovane– sì che ildifferenziarsi dellaformulazione kantiana daquella aristotelica della noncontraddizione non riesce acostituirsi. (Si osservi inoltre

cheAristoteleusailpredicatoeînai,«essere»,nelsensopiùampio,includentesial’essereesistenziale sia quellocopulativo condeterminazione del predicatosottintesa.Poiché ilpredicatooriginario e fondamentale diqualsiasi ente è questo entestesso, affermandol’impossibilità che qualcosasiaenonsia,ilpassodellibroXI della Metafisica affermainsiemel’impossibilitacheun

qualsiasientesiaenonsiaséstesso – dove, daccapo,questa impossibilità convivecon lapossibilitàcheunentenonsia sé stessoquandononè;echevisiauntempoincuiglienti,ocertienti,nonsonoèappuntoattestatodaciòcheappare). Si stannoconsiderando passi diAristotele; ma il lorocontenuto domina l’interastoria dell’Occidente; ed èanticipato dal senso che i

primi pensatori greciassegnanoadíkē.Quanto si sta dicendo è

confermato nel modo piùesplicito nel passo del Deinterpretatione, 19 a 23-27,piùvolteconsideratoneimieiscritti: «è necessario chel’ente sia quando è» (tò ...eînai tò òn hótan hē̂i ...anánkē); «tuttavia non ènecessariocheogniente sia»(ou méntoi ... tò òn hápananánkē eînai); «non è infatti

la stessa cosa che ogni entesianecessariamentequandoè,e che [per ogni ente] siaassolutamente necessarioessere»(ougàr tautónesti tòòn hápan eînai ex anánkēshóteéstin,kaìtòhaplō̂seînaiex anánkēs). L’intentoimmediato del testo è diconfutare le dottrine per lequali tutto ciò che accade ènecessario che accada,ma lanegazione che per ogni entesia assolutamente necessario

essereèingradodiescluderenon solo l’essereassolutamente necessario ditutto ciò che accade, mal’essere assolutamentenecessario di tutto ciò che è(cheèinquantoè,enonsoloinquantoaccade).Avendo creduto di esser

riuscitaaviolarel’Inviolabile(a flettere l’Inflessibile), lavolontà riproponel’inflessibilità del tremendumintendendola come Díkē,

leggemoraleepolitica lacuiviolazione, pur essendoimmancabilmente seguitadalla punizione, può tuttaviadiventare reale.Preparatodaiprimipensatori,ilpensierodiAristotele (e di Platone)ripropone la violazionepolitico-moraledell’Inviolabile comenecessità che l’ente siaquandoè.ComeperilmitoilSacro è inflessibile einviolabile, ma pur punendo

laviolazionelasciaesistereiltempo in cui esso è violato,così il pensierodell’Occidente evoca econsolida la convinzione chel’esser sé dell’ente siainflessibile e inviolabile neltempo in cui l’ente è(«quando l’ente è»); ma siaviolabilequandol’entenonè.Quando non è, l’ente non èneppure sé stesso. Questaformadell’essersédell’enteèil «principio fermissimo»

(bebaiotátē archḗ)dell’«epistḗmē della verità»,che mostra il fermissimoOrdinamento della realtà; el’etica e la politica dellatradizione dell’Occidentesono Thémis e Díkē, ossial’Ordinamento epistemicoche impone all’agiredell’individuoedelloStatodiadeguarsi ad esso. Ma laviolazione umanadell’Inviolabilesisenteormaisorretta dalla natura, che se

dapprima, con i suoi ritmiimmutabili, si presenta comelo stesso Inflessibile cherende impossibile la volontà,poisimostracomeessastessala dimensione in cui gli enti,oscillando tra il non essere el’essere, sono (e sono séstessi)quandosono,simostracome essa stessa violazionedell’Inviolabile, cioè comeadikía. (Un’ecodell’intrecciotra l’adikía umana e l’adikíadellanaturasifasentirenella

concezione cristiana delpeccato come ciò che rendeingiusta anche la natura, laquale diventa quindi naturalapsa).(Si deve certo dire che

l’immancabilità dellapunizione rende apparente laviolazione dell’Inflessibile –cfr.Oltre il linguaggio,Parteprima,I,3;tuttavianemmenola prospettiva che affermaquesta apparenza intende cheessa sia nulla. Nel

cristianesimo, ad esempio, inessa si decide la vita eternadell’uomo. La violazionedell’Inflessibile è apparentenoncomeaccadimentomainrelazione all’esito dei suoipropositi).L’Ordinamento epistemico

è la forma che il nichilismoassume lungo la tradizionedell’Occidente. In essa sivuole affermare l’Essereimmutabile sulla base dellafede che l’essente sia nel

tempo.ThémiseDíkēsonolaforma originaria di questavolontà.Quandonelpensierofilosofico si presenta comeiustitia,taleformasipresentacome perpetua et constansvoluntas ius suum unicuiquetribuendi (Tommasod’Aquino). È ancora ladefinizione di Díkē data daPlatonenellaRepubblica.Ciòche spetta a ognuno (cioè ilsuo ius) è appunto stabilitodall’Ordinamento epistemico,

ossia da Díkē. Il «dirittonaturale» è la relazione traquestoOrdinamento e l’agiredell’uomoedelloStato,ossiadelmodoincui l’individuoelo Stato fanno diventar altrouomini e cose. Col tramontodell’epistḗmē il dirittonaturale è sostituito dal«diritto positivo», ossiadall’ordinamentoche le forzevincenti riescono a imporreall’internodiuncertogrupposociale, trasformando

l’assetto precedente. Lo iussuum di ciascuno, ora, èquanto gli viene attribuito datali forze. Come la verità,anche la iustitia è filiatemporis. Nella destinazionedella tecnica al dominio suogni altra forza, la iustitia èl’adeguazione di ogni formadell’agirealloscoposupremoe fondamentale della tecnica:l’incremento indefinito dellacapacitàdirealizzarescopi.

6.«ADIKÍA»,«DÍKĒ»,DIALETTICA

Hegel riconosce

l’essenziale vicinanza delproprio filosofare a quello diEraclito. Il rifluire e ilriverberarsi del pensiero diEraclito sul frammento diAnassimandro rende ancorapiùplausibilechecisirivolgaal rapporto tra il metododialettico hegeliano e ilframmento, per mostrare

come quest’ultimo stia allaradice dell’intera storiadell’Occidente. E il diversocontesto in cui queste pagineinscrivonoquelrapporto–giàaccostato nel Giogo –giustifica il suo esser presonuovamente inconsiderazione.Ilmetododialetticointende

essere l’essenza dell’ente inquanto ente, ossia di «ogniLogico-Reale» (jedesLogisch-Reellen). In esso il

contenuto dell’«intelletto»(Verstand) è inteso come un«limitato Astratto» (einbeschränktes Abstraktes).Abstrahe˘re è trar viaqualcosa – una«determinazione»,Bestimmung – dal luogo incui il qualcosaoriginariamente si trova. (Ilmetododialetticopresupponequestoluogooriginario;maècostretto a presupporlo,altrimenti, come si sta

dicendo, ci si troverebbe difronteaunastrarrecuinonfariscontro ciò da cui l’astrarreastrae).Trattavia,separata,ladeterminazione è «limitata».Traendosi via, talideterminazioni finite sono illoro «sopprimersi da sé»(Sichaufheben) e «passarenelle loro determinazioniopposte» (übergehen in ihreentgegengesetzte). Questopassareè il lorocontraddirsi:in esso la determinazione si

identifica al proprio opposto.Contraddizionedialettica.Se ci si ferma al prodursi

della contraddizione, ilcontraddirsi delladeterminazione è il suoperire, il suo andare nel«vuoto, astratto nulla» (dasleere, abstrakte Nichts). Mal’essenza dell’ente in quantoente è la negazione dellacontraddizione prodottadall’intelletto. Questanegazione sopraggiunge e

oltrepassa la contraddizione.Tale negazione è lo«Speculativo», ossia «l’Unitàdelle determinazioni nellaloro opposizione» (dieEinheit der Bestimmungen inihrer Entgegensetzung),«Unità di determinazionidiverse» (EinheitunterschiedenerBestimmungen). Togliendo illoro contraddirsi, la loroUnitàèlacondizionedelloroesser sé, ossia del loro esser

diverse. E poiché tale Unitàtoglie la contraddizione,l’intelletto che separa ladeterminazione produce lacontraddizione perché lasepara – la astrae – da taleUnità.Questa Unità non è

pertanto l’immediata identitàdeglioppostichenegail loroesser sé, ma è «l’Unità delledeterminazioni nella loroopposizione», «l’Unità dideterminazioni diverse», sì

che – stiamo dicendo – soloperché sono opposte nellaloroUnitàessesonoséstesse.(Il testo a cui qui ci siriferisce è stato anch’essoconsiderato altre volte neimiei scritti, sebbene conintenti diversi: Enciclopediadelle scienze filosofiche incompendio,parr.79-82).Profonda e scontata non

puòcheessereladistanzatrail frammento diAnassimandro e il metodo

dialettico hegeliano – chestando al culmine delpensieromodernoconsideraildivenire e la temporalitàdell’ente come contenuti delpensiero.Eppurelasimmetriatra i due testi è visibile. Laseparazione operatadall’«intelletto», che tira via(abs-trae) dall’Unità ladeterminazione, è l’eco (cor-risponde) dell’adikía (quindidellahýbris di Eraclito): ecodell’ekkrínesthai dei

«contrari» che esistononell’Uno – ek toû henòsenoúsas tàs enantiótētas. (Ele «determinazioni opposte»di cui parla Hegel sonoappunto i«contrari» in sensoaristotelico). «L’Unità delledeterminazioni nella loroopposizione» è cioè l’ecodell’Uno, arkḗ, ápeiron, dacui gli enti provengono,separandosi, e in cuiritornano. Tale Unità èl’opposizione soltanto nella

quale si costituisce l’esser sénon essendo l’altro da sé:proprio perché è l’ecodell’Uno-archḗ, essa è l’ecodidíkē.E ancora: la génesis che

produce adikía risuona nellaseparazione che secondo ilmetodo dialettico produce einqualchemodofasussisterela determinazione separatadal suoesserunitaalproprioopposto; e la phthorá che faritornare i «contrari» all’Uno

risuona nel «togliersi da sé»(Sichaufheben),dapartedella«determinazione»astratta,nelquale essa diventa il proprioopposto (übergehen),dissolvendosi quindi comedeterminazione che perl’intelletto «è e sussiste persé» (für sich bestehend undseiend).Sipuòquindidirechenella

negazione dellacontraddizione – nellanegazione che conduce le

determinazioni astratte eseparate alla loro Unitàspeculativa («Unità dideterminazioni diverse») – siripresenta dopo millenni, enella forma in cui dopomillenni lo stesso pensieropuò ripresentarsi, il didónaidíkēn tē̂s adikías.Leoppostedeterminazioni di cui parla ilmetodo dialettico si sonoseparatedall’Unitàepertanto«l’una dall’altra»: allḗlois,dice il frammento. La

determinazione astratta eseparatadalpropriooppostoèun «sopprimersi da sé»(Sichaufheben); ma è unsopprimersidaséancheilsuoopposto,cherestaasuavoltaseparatodalladeterminazioneche si è separata da esso. Ilsopprimersi di uno dei dueopposti determina ilsopprimersi dell’altro,ognuno dei due sopprimel’altro perché sopprime sé eviceversa. La soppressione è

lapena(tísis).Lapenachesiinfliggono è vicendevole. Selainfliggonoallḗlois.D’altraparte,se,comesiè

già rilevato, è in quantoseparata e finita che ladeterminazione astratta,separata dalle altre, sicontraddice, ossia si toglie esi annulla passando nelproprioopposto, tuttaviaè lacontraddizione a introdurrecon necessità l’opposto delladeterminazionenel contenuto

del pensiero: nel contenutocheinunprimomomento, inquanto contenutodell’«intelletto», è occupatosoltanto dalla determinazioneseparata dal proprio opposto(o l’opposto è presente soloaccidentalmente nelpensiero). Il toglimento-annullamento, cioè, delladeterminazione in quantoseparata– ilqualeè insiemeil toglimento-annullamentodell’oppostodiessainquanto

asuavoltaseparatodaessa–non è il toglimento-annullamentodeglioppostiinquantoopposti.Appunto per questo il

«risultato» dellacontraddizionenonèsoltanto«negativo», cioè «il vuoto eastratto nulla» (das leere,abstrakteNichts)–ilrisultatonegativo a cui si ferma loscetticismo –, ma è«positivo»,equestapositivitàè il momento conclusivo del

metodo dialettico. Il prodursidella contraddizione cheannulla gli opposti in quantoseparati (cioè annulla laseparatezza degli opposti) èpertanto la produzione dellaloroUnità.L’Unitànonrendeidentici (non opposti) gliopposti – non è «Unitàsemplice e formale»,einfache, formelle Einheit,cioè Unità «astratta» –ma liunisce (li pone in relazione)mantenendoliopposti:«Unità

di determinazioni diverse»(Einheit unterschiedenerBestimmungen): Unità«concreta». In quantotoglimento dellacontraddizione l’Unitàconcreta è la necessitàdell’esser sé delledeterminazioni (ossia deglienti). La contraddizione è,«insieme» (zugleich),«astratta» e «concreta», è ilmovimentocheprocededallaforma astratta alla forma

concretadiessa(dovequestomovimento esprime il sensocomplessivo del movimentoin cui consiste il metododialettico).Se la separazione operata

dall’intelletto è l’eco diadikía,edíkēanticipal’Unitàdelle determinazioni oppostedalla quale l’intelletto le haseparate; e se nel reciprocoannullamento delledeterminazioni opposte,provocato dal lato astratto-

negativodellacontraddizione,risuonaildidónaitísin,alloranel risultare dell’«Unità dideterminazioni diverse» si farisentire l’interodidónaiautàdíkēn kaì tísin allḗlois tē̂sadikías.Ladialetticahegeliana,che

dalla separazione conduceall’Unità degli opposti, è lostessodiventar altrodell’enteinquantoente.Èanziilmodopiù radicale incui all’internodell’epistḗmē viene espressa

la struttura essenziale deldiventar altro (cfr. Lastruttura originaria, IX eIntroduzione all’ediz. del1981,4-5).Eildiventaraltro,anche per Hegel, è la radicedeltempo.Sièmostrato(cfr.par. 2) che nel frammento diAnassimandrol’esserkatàtḕntoû Chrónou táxin, cheesprime la necessità diaffermare l’essere di ciò cheappare, è simmetrico al katàtòchreṓnchechiudelaprima

parte del frammento e cheesprimelanecessitàdell’essersé dell’ente. E anche ilmetodo dialettico presentaun’analoga simmetria, nelsenso che la dialettica deldiventaraltroè,perunverso,la necessità dell’esser sédell’ente (dell’esser sé che èresopossibiledall’Unitàdegliopposti), ossia è la necessitàche compete all’ente inquanto ente, e, per l’altroverso, è la necessità che è

data dall’apparire di fattodell’esistenza del diventaraltro – la necessità, questa,che per l’intero Occidente èl’evidenza originaria eincontrovertibile.Hegel non considera

esplicitamente lacompresenza di queste dueforme della necessità. Maesse sono inscindibili. Comein altri miei scritti vienemostrato (ecomesi richiamanel secondo capoverso del

presente paragrafo), laseparazione delladeterminazione implica connecessità il sopprimersi econtraddirsi delladeterminazione solo se laseparazione nega l’Unitànecessaria degli opposti. Matale Unità è il risultato delladialettica;nonpuòesserecioèpresupposta dal momentoiniziale della dialettica. Se,ciò nonostante (nonostante ilcircolo vizioso), il metodo

dialettico si costituisce, èperché il pensiero hegelianofa intervenire non soltanto lanecessità dell’esser sé,ma lanecessità di affermarel’esistenza del tratto centraledi ciò che appare, ossia ildiventar altro. Il tentativo dimostrareapriorichel’enteinquantoentediviene (e, certo,culminandonell’eternitàdelloSpirito infinito) riesce soloperché introducel’affermazione a posteriori

del divenire, dove il fattodell’esistenza del divenirenon ha bisogno, per essereaffermato, di presupporrel’Unità necessaria degliopposti.Ma la necessità che è

dovuta all’affermazione aposteriori (dell’esistenza) deldiventar altro è la necessitàcheèdovutaall’affermazionea posteriori del tempo.Questa duplice necessitàcorrisponde alla duplice

necessità (katà tò chreṓn,katà tḕn táxin) delframmento. Esso afferma sìchetantolagénesisquantolaphthorá degli enti ènecessaria, katà tò chreṓn,affinché díkē siasalvaguardata; e tuttavia essonon può che attingere da ciòche appare la necessità chegénesisephthoráesistano, lanecessità come táxis, comeordinamento perentorio,stabilito dall’apparire, che le

cose separatesi da díkē siinfliggano la pena (tísis)annullandosivicendevolmente – lanecessità, dunque, «secondol’ordinamento del tempo»,katàtḕntoûChrónoutáxin.

7.«ÁPEIRON»Per quanto riguarda gran

parte della tradizionemetafisica, il frammento di

Anassimandro sta alla radicedi essa anche perché l’uscitadei «contrari» dall’Uno, incui sono originariamentecontenuti, non produce losvuotamento, sia pureparziale, dell’Uno – comeinvece accade perl’Inflessibile del mito equindi in certi modi diinterpretare la «creazione» ela kénōsis cristiane. L’Unopermane nella sua pienezzaanche sciogliendo i legami e

lasciando uscire da sé gliopposti. L’Uno è il «senzalimite», l’ápeiron, che nondiminuisce quando lasciauscire qualcosa da sé e chequindi continua a contenereciò che peraltro è uscito daesso. Nella prima parte delframmento si dice, degli entichesisonoseparatidall’Uno,che essi ritornano «in quellecose» (eis taûta) da cui (exhō̂n)essiprovengono,manonsidicesetalicosesianoono

lestessediquellechesisonoseparate. Tuttavia, se si tienepresente che, secondo latestimonianza di Aristotele,l’ápeiron «avvolge tutte lecose e tutte le governa» –periécheinhápantakaìpántakybernân –, allora l’ápeironavvolge e governa anche lecosechesonouscitedaesso,ossia continua a contenerle.Come ilDemiurgoplatonico,cheproducendoilmondononresta privo della

manifestazionedelle ideechegliconsentonodioperaretaleproduzione. Come il Diocreatore di gran parte dellatradizionemetafisica,chenonresta privodi ciò che egli hacreato.

IIISUUN’ALTRA

INTERPRETAZIONEDI«DÍKĒ»

1.CHIEDEREILSIGNIFICATODI«ÓN»E«EÎNAI»

Ci si è già accostati al

saggio di Heidegger Il dettodi Anassimandro (S.d.A.).Un’interpretazione che perpiù motivi va in direzione

essenzialmente opposta almio saggio «La parola diAnassimandro» (P.d.A.).Innanzituttoperchénemmenoquesta interpretazione puòavere al proprio fondamentola struttura originaria deldestinodellaverità.P.d.A.intendemostrareche

già nel frammento diAnassimandro è presente lanecessità che l’ente sia séstesso e pertanto eterno, lanecessità cioè che l’ente non

provenga dal proprio nonessereenonviritorni–dovequestosuononessereèilsuoesser assolutamente nulla,nihilabsolutum;e tuttavia (siè già rilevato)P.d.A. intendemostrare tale necessitàmantenendosi all’interno delmodo in cui La strutturaoriginariaesprimelastrutturaoriginaria del destino dellaverità, cioè avendo ancora insé le tracce del nichilismo,delqualeessastessa,peraltro,

mostra per la prima voltal’essenza. (Le tracce siraccolgono attorno alla fedeche – nonostante l’eternitàdell’ente in quanto ente, enonostante la consapevolezzache il divenire è ilmanifestarsi degli eterni –l’uscire dal non essere e ilritornarvi appare). Ilnichilismo avvolge Díkē edalla sua configurazione neiprimi pensatori greci laspinge a configurarsi come

quel «principio fermissimo»,di cui parla Aristotele, per ilquale è necessario che l’entesiaquandoè(cfr.II,5);sìchela dimensione dell’eternitàdell’ente si costituisce comel’Eternocheinqualchemodosi differenzia dalladimensione dell’ente inquanto ente, e tra l’Eterno el’ente diveniente si conserva(perpetuando il rapporto chenel mito sussiste tra lavolontà e l’Inflessibile) il

circolo che dall’Uno eternoconduce agli enti – che,essendo quando sono, sicontendono l’esistenza – echeall’Unoliriconduce.InS.d.A.Heideggerintende

inveceprescinderetotalmentedal non essere, concepitocome il nihil absolutumdell’entecheprovienedaessoe vi ritorna; ed escludendoogni «ciclicità»(Wechselwirtschaft, p. 307)ritienechel’«essere»,qualeè

da lui inteso, possa essereavvistato, sia pure nellanebbia, già nel modo piùantico in cui i Greciintendono l’Alḗtheia e nelmodo in cui Díkē vienepensata nel frammento diAnassimandro. Nella nebbia,perchél’«essere»sinascondenell’atto in cui illuminal’«ente» e, come accadeall’inizio del pensiero greco,si presenta esso stesso comeente, come l’Ente supremo.

Un teorema, questo, cheHeidegger mostra diassumere come una veritàincontrovertibile.Da questo stato di cose,

l’opportunitàdiritornaresullepaginediS.d.A.Non si trattadi «confutarle». È ingenuoritenere che in esse ci siadell’ingenuità. A chi glichiede da dove il pensierodell’«essere»ricevalapropriadirezione,Heideggerrispondeche il suo non è un pensiero

che miri ad avere unfondamento,comeaccadenelsapere scientifico, ma è uncammino«rischioso»,dovelapossibilità dell’errore èestrema, è un «sempliceincitamento»chenon intendeessere vincolante e che è«possibile» seguire. Si vedaad esempio, oltre a quantotraspareinS.d.A.,quantoeglidice nel Poscritto allaconferenza Das Ding,pubblicata nel 1954 in

VorträgeundAusätze.Tuttavia l’«incitamento» è

unadecisione,èvolontà.Elavolontà implica laconvinzione. Voler cambiareil mondo implica laconvinzione che il mondo cisia.Aldifuoridellastrutturaoriginaria del destino dellaverità, e della dimensionetotale del destino, ogniconvinzione è una fede, unanegazione del destino. Maanche all’interno della

sapienzadellaterraisolatadaldestino appare la distinzionetra fede e sapereincontrovertibile. Ed èall’interno di questo ambitoche, se Heidegger èconsapevoledelcaratterenonvincolante della propriavolontà interpretante, talevolontà implica, nelle suepagine, un insieme diconvinzioni che sono a lorovolta volontà, fede, e chetuttavianonsonoriconosciute

da lui come volontà e fede,ma come qualcosa diindiscutibile.Pertanto, a chi gli chiede

quale sia il fondamento delpensiero dell’«essere», eglirisponde riconoscendo sì chetale pensiero non hafondamento,maaggiungecheesso è la «risposta»all’«appellodell’essere»,e loaggiunge in modo chel’«essere» (inteso comeAlḗtheia, quindi come

rapporto Alḗtheia-Lḗthē) e ilsuo «appello» vengono apresentarsi come qualcosa diassolutamente indiscutibile, equindi il pensierodell’«essere», in quanto«risposta» all’«appello», nonpuò essere inteso come unchediarbitrario.Chel’esserein quanto Alḗtheia sia unappello che chiama l’uomo arispondere non è perHeidegger il contenuto di un«incitamento». Eppure

l’esistenza di questasituazione è soltanto ilcontenutodi una fede chedalui viene intesa come nonfede. Un intendimento,questo,cheancheinS.d.A.haramificazionicomplesse.Dopo un insieme di

considerazioni introduttive,S.d.A. incomincia la propriainterpretazionedelframmentoaffermandoche trepuntinonsono «né chiari né fondati»

(Weder ist klar undgegründet): 1) ciò che noistessipensiamocon leparole«ente» (seiend) e «essere»(sein), 2) la corrispondenzatra il significato di questeparole e ciò che i Greciintendono con i terminión eeînai, 3) ciò chequesti stessitermini significano (sagen)«pensati alla greca». Questamancanza di chiarezza efondatezza è la «situazione»(Sachlage) in cui di fatto ci

troviamo(p.312).Anche in questa

prospettiva, apparentementemolto cauta, si dà perscontata l’esistenza delle«situazioni» (Sachlagen),ossiadellastoria–sebbenesidistingualastoricitàautentica(Geschichte) da quellainautentica, propria dellastoriografia (cioè dellaHistorie).Cheilnostrotemponon sia quello deiGreci, chetra l’uno e l’altro sia esistita

unacomplessaseriedieventi,che prima dei Greci sianoesistiti altri tempi ancora,tutto questo, conquanto essoimplica, non viene infattimesso in questione daHeidegger – e, si può dire,nemmenoaltrove–, cioèeglilascia indeterminato il sensodella Sachlage. Il mettere inquestione il nostro essere almondo e nella storia non ènegazione del mondo e dellastoria, ma è la

consapevolezzadelloroessercontenutidiunafede,ossiadiciò che appare quando glieventi della terra siano statiisolatidaldestinodellaverità.Appuntoall’internodiquestaconsapevolezza parliamo dipreistoria e di storiadell’Occidente e indichiamonel rapporto tra la volontà el’Inflessibilel’iniziodiquestavicenda.Inoltre, la triplice

mancanza di chiarezza e

fondatezza qui soprarichiamata, relativa alsignificato delle parole«ente», «essere», ón, eînai,implica per Heidegger lamancanza di chiarezza efondatezza di tutte le parolefondamentali della linguagreca (come theós, lógos,phýsis, enérgeia, téchnē) edelle loro traduzioni. Infatticiò che esse e le lorotraduzioni nominano ècomunque una forma di

«ente» (p. 311). Ma se cosìstannolecose,èilsignificatodi tutte le parole dellinguaggio a mancare dichiarezza e fondatezza; equindi mancano di chiarezzae fondatezza anche le parolecon le quali si crede diaffermare quella triplicemancanza di chiarezza efondatezza. Ma le cose nonstannocosì.Seinfatticisiinterrogasul

significato di qualcosa

(parola, evento) el’interrogare è collocato al difuoridellastrutturaoriginariadel destino, ogni possibilerisposta non solo ècontrovertibile e rappresentatutt’al più un’ipotesi (e daultimo S.d.A. intende essereappunto un sondaggio,un’ipotesi), ma non può cheessere una negazione di talestruttura – cioè negazionedell’innegabile. Se dopo unacerta indagine si dicesse: «Il

significato di “ente”,“essere”,ón,eînaièquestoequest’altro», può essere peròsoltantolastrutturaoriginariadel destino a mostrare inmodo autenticamenteincontrovertibile ilfondamentodell’affermazionedell’esistenza del linguaggio,di quelle parole, del lorosignificatoedello stessodirecheilsignificatoditaliparoleè questo e quest’altro; e

potrebbe essere soltanto lastruttura originaria a stabilirese essa sia o no negata daquesto dire, cioè se questodire sia omeno implicato daessa.E può far questo solo in

quanto essa è, insieme, lastrutturaoriginariadeldestino(ossia è l’appariredell’autonegazione dellanegazione dell’esser sédell’essente) e la strutturaoriginaria del significato.

L’essente è il significato.L’essente inquantoessenteèil significato in quantosignificato. La parola«significato» va intesa nonnel senso limitato che adesempio contrappone«significato»a«significante»,o «significato» a «senso», o«semanticononapofantico»a«semantico apofantico», manel senso più ampio cheinclude anche tutti questitermini contrapposti, e

include anche il significato«non significato» o «assenzadi significato». (Sì che neimiei scritti le espressionichediunqualcosaaffermanocheè un significare o che èsignificante come questo oquello significano che talequalcosa è un significato). Ilsignificatosiestendesindovesiestendel’essente;ecomeilnulla, in quanto in qualchemodonoto,èunessente,cosìilnonsignificato, inquantoa

sua volta in qualche modosignificante, è un significato.Il non significare alcunché,l’assenza di significato, è ilnulla–cioèsignifica«nulla».

2.NOTESULSIGNIFICATOAlla dimensione del

significato non si accede.(Come non si accede allaverità,cfr.Parteseconda–néa quella degli essenti).

L’accedere è un movimento,quindi una differenza tral’inizio e il punto d’arrivo.Senza questa differenza nonc’è accesso a quelladimensione, ma,semplicemente, c’è quelladimensione. Ma se siaccedessealladimensionedelsignificato procedendo da un«al di fuori di essa», questo«al di fuori del significato»non potrebbe significarealcunché (non sarebbe in

alcun modo significante), népotrebbero significarqualcosa il «procedere» el’«accedere» al significato.Non ci sarebbe accesso alsignificato, ma,semplicemente, ci sarebbe ilsignificato.D’altraparte, tutto quanto

si è affermato nel precedenteparagrafoèsignificante(ha,èsignificato) solo se «l’al difuori del significato», «ilprocedere dal di fuori del

significato», «l’accedere alsignificato», lo stesso «nonsignificato» («l’assenza disignificato»)sonosignificanti– sono dei significati.Pertanto il movimento chedovrebbe condurre alsignificato è già sin dalproprio inizio all’interno delsignificato.Affermare che al

significato si accedeèquindiaffermare che al significatononsiaccede.

Per lo stesso motivo,affermare che dal significatosi esce è affermare che dalsignificato non si esce.(Anche l’uscirne è cioè unmovimento che conduce nelnon significato, dove questocondurvi è a sua volta unsignificato,sìchel’usciredalsignificatoèilnonuscirne).Appare, da quanto si è

detto, che il non significato(la totale assenza disignificato) è il nulla, e che,

come il nulla (cfr. Lastrutturaoriginaria,IV),cosìil non significato è unsignificatocontraddicentesi.Se si considera la

mancanza di significato inquanto essa è tale, allora èimpossibile che il significatosia in relazione ad essa,perchénemmeno la relazioneal non significato può essereun significato (un che disignificante): anch’essa è unnonsignificarealcunché.Edè

impossibile che il significatosia inquella relazione al nonsignificato la quale èl’accedere al significato el’uscirne. – Così come (cfr.loc. cit.), se si considera ilnulla in quanto nulla, èimpossibile che l’essente siain relazione al nulla, perchénemmenolarelazionealnullapuò essere un essente, cioè èanch’essa un nulla. Ed èimpossibile che l’essente siain quella relazione al nulla

perlaqualel’essenteescedalnullaeviritorna.Se invece si considera la

mancanza di significato inquantoèessastessaunchedipositivamente significante,allora anche l’accedere alsignificato e l’uscirne è unsignificato. E in questo casosi è già nel significato primadi entrarvi e vi si rimaneanchedopoesserneusciti–sìche affermare quell’entrarvieduscirneèaffermarechevi

sientraechenonvisientra,seneesceenonseneesce(èuna contraddizione). Cosìcome (cfr. loc. cit.), se siconsiderailnulla inquantoèesso stesso un che dipositivamente significante,alloraanchel’andaredalnullaall’essente e dall’essente alnullaèunessente.Einquestocaso si è già nell’essenteprima di andarvi e vi sirimane anche dopo essereritornati nel nulla.

Affermando questo, siafferma che nell’essente sientra e che non si entra, siesceenonsiesce.Ma non solo. La struttura

originaria del destino, comeapparire dell’esser sédell’essente, è apparire delsuo non esser l’altro da sé epertanto del suo non esserquell’assolutamente altro dasé che è il nulla; il cheimplica con necessitàl’impossibilitàchel’essente–

ogniessente–siastatonulla(prima che all’essente, a unqualsiasiessente,siacceda)eche torni ad essere nulla(dopochedall’essente,daunqualsiasi essente, si siausciti).Cosìcome lastrutturaoriginaria, come appariredell’essersédelsignificato,edelsuononesserl’altrodasée pertantoquell’assolutamente altro dasé che è il non significato,implica con necessità

l’impossibilità che ilsignificato – ogni significato– sia stato non significato(primachealsignificato,aunqualsiasi significato, siacceda)e torniadesserenonsignificato (dopo che dalsignificato, da qualsiasisignificato)sisiausciti.L’impossibilità che

l’essente sia nulla èl’impossibilità che essentesignifichinulla.Eviceversa.L’Occidente è la

progressiva dominazionedella fede che gli essenti (isignificati) escono dal lorononessere(nonsignificare)evi ritornano. Questa fede èl’essenza del nichilismo. Ilnichilismo è l’essente (ilsignificato)checonsistenellafede nel diventar altro daparte degli essenti(significati).Ilsignificatoèl’originario.

Poichéadessononsiaccedené è possibile uscirne, il

significato è eterno. Eterno,sia in quanto dimensionetotale del significato, sia inquanto significato, e pertantoin quanto è un significatoqualsiasi.Nemmenoaquestoqualsiasi significato èpossibile accedere partendodalla mancanza di esso, enemmenoèpossibileuscirne,giungendo alla mancanza diesso, giacché anche lamancanza di esso è unsignificato,edèunsignificato

che include esso, quel certosignificato particolare chedovrebbeessereilmancante.Affermare che al

significatosiaccede(ochedaessosiesce)èaffermare,sièdetto,chealsignificatononsiaccede (o che da esso non siesce). Ma la necessità chequesta, come ogni altracontraddizione, sia negatasussistesoloinquantoquestanegazione appartiene allastrutturaoriginaria, enon sul

fondamento del «principio dinon contraddizione» intesocome principio della fedenichilistica nell’esistenzadell’uscire dal niente e delritornarvi,dapartedell’ente.

3.«ALḖTHEIA»Ritornandooraalparagrafo

1,dovesiconsideralatriplicemancanza di chiarezza efondatezza segnalata da

Heidegger in S.d.A. aproposito di «ente» e«essere», ón, eînai, vaosservato che d’altra parte inS.d.A., nonostante leintenzioni, questa mancanzanonècosìradicalecomepuòsembrare. Appena prima delrilevamentodi talemancanza(p.311),S.d.A.escludeinfattiche ón e eînai siano il«dominio di tutti i domini»(Bereich aller Bereiche)semantici nel senso del

«generale» e del«comprendente» (im Sinnedes Allgemeinen undUmfassenden),cioènelsensodel «comune» (koínon),dell’«essere» come concettogeneralissimo. Intendendolicosì non si pensa e non siesperisce l’«essenza»(Wesen) dell’ón e dell’eînai.Ma–osserviamo–questo losipuòaffermaresoltantosesiè in grado di pensare edesperire tale «essenza»,

superando in tal modo quelmancare di chiarezza e difondatezza, da parte di taleessenza, che in S.d.A. vienerilevato dopo poche righe (el’affermazione del quale,d’altraparte,implicherebbelamancanza di chiarezza efondatezzadiséstessa,comesi è osservato nel paragrafo1).Non si tratta di una

questione secondaria. S.d.A.escludecheóneeînaisianoil

concetto generalissimo ecomune, perché Heideggerpensa l’«essere» comeAlḗtheia, «nonnascondimento»(Unverborgenheit) dell’entenell’attostessoincuil’esserenascondeséstesso.«L’esseresi sottrae [ritraendosi in séstesso], mentre si scoprenell’ente» (Das Sein entzihetsich, indem es sich in dasSeiende entbirgt, S.d.A., p.314). Ciò non significa che

l’essere, scoprendosinell’ente, mostri qualcosa disé:l’esseresiscoprenell’entenel sensoche lo illumina.«Ilnon nascondimento dell’ente,la chiarità [che dall’essere è]garantita ad esso [ihmgewährte], oscura la lucedell’essere» (p. 314). Lastruttura dell’«essere»esclude pertanto che esso siail contenuto del concetto piùgenerale,comuneaogniente.Sulla base di questo

presupposto Heideggerafferma che l’Alḗtheia deiGreci è il «mattino»dell’illuminarsi dell’«essere»nell’ente (S.d.A., p. 313), eche appunto intornoall’«essere» il frammento diAnassimandrosidispone.In questo disporsi sono

innanzitutto le parolegénesisephthoráamostrareunsensodiverso da quellodell’ontologia tradizionale,culminante nella odierna

concezione«genetica».S.d.A.non lo dice esplicitamente,ma dal modo in cui essointerpretaquelleparolerisultache esse non sono daintendere come il generarsidalniente(nihilabsolutum)el’andarenelniente.Génesisèsì il «venir via da...,incominciando a stare» (Ent-stehen), ma nel senso chel’ente vien via dal suonascondimento(Verborgenheit) e incomincia

a stare nel non nascosto (indas Unverborgene), e l’enteche se ne va via è un perire(Vergehen) nel senso che siallontana dal suo non essernascostoesenevanell’essernascosto(in das Verborgene,S.d.A., p. 318). In tal modo,come già si è rilevatoall’inizio del capitolo I, lagénesiselaphthorádeglientinon significano comunque,nel frammento diAnassimandro, il loro

separarsi dall’Unoprovenendo dall’esser nulladel loro esistere comeseparati e il loro ritornarenell’Uno annullando questamodalità della loro esistenza(secondo quanto invece si èmostrato nei primi duecapitoli), ma, appunto,significano l’incominciare adappartenere e il nonappartener più alla lucedell’Unverborgenheit.Ma se Heidegger evita di

interpretare la génesis e laphthorádell’entecomeilsuousciredalproprioesserniente(inquantoseparatodall’Uno)e il suo ritornarvi, ed evitaanche di porre questoandirivieni come tratto delproprio filosofare, tuttaviaquesto suo tentativo fallisceperché per l’intera sapienzadell’Occidente, a partire daAnassimandro, e dunque perlo stesso Heidegger, gli entiin quanto enti non sono

eterni. Anche per lui gli entipossono trasformarsi edeffettivamentesitrasformano,operdendotuttoopartediciòche sono, o acquistandoqualcosa, tutto o parte di ciòche vengono ad essere e cheprima non sono. Questa«perdita» e «acquisto» nonpuò essere cioè chel’annientamento di ciò che èperduto e l’incominciare anonessernulladapartediciòche è acquistato. La morte

dell’uomo, si dice inSein unZeit, è la «possibilitàdell’impossibilità»dell’esistenza; e taleimpossibilità non può cheessere il non esseredell’esistenza, il suo essernulla, nihil absolutum. (Nonessendo eterni, non puòaccadere nemmeno che,entrando nella lucedell’«essere», gli enti sianosempreassolutamenteidenticia ciò che essi sono quando

ancora non vi sono entrati, eche uscendo da tale lucerimangano sempreassolutamente identici a ciòchesonoquandositrovanoinessa). All’internodell’isolamentodellaterradaldestinodellaverità,anessunaforma di sapienza èconsentito scorgere che ildivenire è il comparire e loscompariredeglieterni.Il trovarsi

nell’Unverborgenheit è per

Heidegger un trovarvisiprovenendo dallaVerborgenheiteritornandovi.Questi due termini nonpossono che significare,rispettivamente,l’apparireeilnon apparire. Come già si èosservato (I, 4), S.d.A.afferma, senza rendereesplicito il senso della suaaffermazione, sia l’apparire enon apparire dell’«essere»,sia l’apparire e non appariredell’«ente».Chenonpossono

coincidere. L’appariredell’«ente» è infattil’«essere» stesso, chenell’atto in cui è appariredell’«ente» si ritrae nel nonapparire.Ciòchesiritraeèlaluce stessa dell’essere. S.d.A.parla infatti del «nascondersidella luce dell’essere»(Sichverbergen der Lichtungdes Seins, p. 314). Il suoritrarsinelnonapparirenonèilritrarsidell’entecheapparee che anzi appare proprio in

quanto il suo apparire siritrae. («L’ente non entra[tritt nicht] in questa lucedell’essere»,pp.313-14).Se questo è il senso del

testo, allora il ritrarsidell’apparire–enondell’enteche appare – implica chel’apparire dell’ente siaseparabile dall’ente di cuiesso è l’apparire. Cosìseparato, l’appariredell’«essere» entra nel nonapparire ed è l’apparire del

ni-ente, ossia delNichts che,comeHeideggerripete,nonèilnihilabsolutum–quelnihilabsolutum che, nonostantel’apparente disinteresse diHeidegger per esso, nei nodidecisivi dei suoi scritti èinvecesemprepresente,comead esempio nello stessoS.d.A., dove si critica lacontrapposizione di essere edivenire «quasi che ildivenire fosse un nulla [einNichts] e non appartenesse

all’essere [und nicht auch indas Sein gehöre]» (p. 319) edove, pertanto, l’opposizionetraessernullaeappartenenzaall’essere dice in modoesplicitochequestonullanonè ilni-ente,ossiaquelNichtscheèl’«essere»stesso,maè,appunto,ilnihilabsolutum.Nell’Alḗtheia dei primi

pensatori greci anche S.d.A.vede il primo affacciarsi delrapporto traUnverborgenheite Verborgenheit. L’Alḗtheia,

come regione di ciò cheappare, accoglie gli enti cheancora non apparivano elasciausciredaséglientichenonappaionopiù.ComeperiGreci e come per lo più siritiene fino allafenomenologia husserliana eoltre ancora, anche perHeidegger è fuori questioneche ciò che appare siainnegabile. (Nemmeno inquesto modo di pensare èconsentito scorgere che è la

strutturaoriginariadeldestinoa mostrare che – come perl’esser sé degli essenti – taleinnegabilità consistenell’appariredell’autonegazione dellanegazionediciòcheappare).Ma per Heidegger è un

teorema assolutamenteinnegabile anche einnanzitutto l’affermazioneche l’apparire degli enti è ilnascondersi, cioè il nonapparire dell’«essere». Se

l’appariredeglientilosivuolchiamare «essere», allora èimpossibile che nell’atto incui è l’apparire degli enti,l’apparire si ritragga nel nonapparire, perché, all’opposto,la struttura originaria deldestino mostra chel’innegabilità di ciò cheappare implicanecessariamente l’originarioapparire del loro stessoapparire, ossia l’originarioapparire di sé da parte

dell’appariredegliessenti.Infatti non è sufficiente

affermare che certi essentiesistono perché la loroesistenza appare (come lafenomenologia,intuttelesueforme, compresa quella diHeidegger, si limita appuntoad affermare): non èsufficiente perché anchel’apparire degli essenti puòessere affermato solo inquanto esso a sua voltaappare; e il regressus in

indefinitum (che siformerebbe assumendo chel’appariredell’appariredebbaessere introdottosuccessivamente all’apparire)non sussiste perchél’apparire-dell’apparire non èun apparire diversodall’apparire, e quindi nonsopraggiunge dopo ilcostituirsi dell’apparire, maappartiene originariamenteagli essenti cheoriginariamente appaiono,

«appartiene» loro come loroforma – che non essendo unnulla è peraltro parte dellatotalitàdiciòcheappare(cfr.La struttura originaria, II,11-21, e Introduzioneall’ediz. del 1981, 6).L’apparire è pertantoapparire-dell’apparire-dell’essente: non è unapparire dell’apparire,separatodall’entecheappare,comeinvecesidiceinS.d.A.,dove il «nascondersi»

(Verbergen), cioè il nonapparire dell’«essere», «è iltratto nel quale l’“essere”inizialmente si illumina [sichanfänglichlichtet]»,sìche,inquanto illuminar sé, è sìapparire dell’apparire, ma«l’ente non entra [tritt nicht]in questa luce dell’essere»(pp.313-14).L’Alḗtheia, a cui il più

antico pensiero greco sirivolge, sarebbe «il primosegno di questo illuminante

mantenersi in sé [dieseslichtende Ansichhalten]» (p.314),ossiadelmantenersinelnascondimento (nel nonapparire) dell’appariredell’apparire, e dell’apparirestesso, nell’atto stesso in cui(indem) l’apparire si faapparire dell’ente. Ma, se siritienechefacendosiappariredell’ente l’apparire sinasconda, ci si priva dellastessapossibilitàdiaffermareche il fondamento

dell’affermazione che unacertaregionedell’enteesisteèl’apparire di questa regione(cisiprivadiunfondamentoche d’altra parte, di per séstesso, è soltanto unpresupposto, ossia è soltantola fede che l’esistenza di unente sia innegabile nellamisuraincuiessoappare).Si può inoltre affermare

che facendosi apparire (luce)dell’ente l’apparire sinasconde solo se ritiene che

la luce sia qualcosa diulteriore rispetto agli entiilluminati (giacché, senon losi ritenesse, il ritrarsi dellaluce sarebbe l’oscurarsi deglienti). Ma alloral’affermazione dell’esistenza(ossia del non esser un nihilabsolutum) di questo che diulteriore rimane una fededoppiamente priva difondamento, perché nonappartiene nemmeno allaregione che appare e

l’esistenza della quale vieneaffermatasullasemplicebasediquesto suoapparire. Il chesembra confermato dal passodi S.d.A. in cui si dice chel’essere si illumina«inmodoche il pensiero non lo segueproprio [so zwar, dass ihmdas Denken gerade nichtfolgt]» (p. 315) – così come«l’ente non entra in questaluce»ulteriore.È comunque questo

rapportotralaluceeilritrarsi

dell’«essere» a dover essereinteso in modo che «regga esuggelli» (trägt und prägt) il«divenire»(Werden)dell’entee quindi la phthorá e lagénesis del frammento diAnassimandro (S.d.A., p.319). Con quei due verbi iltesto intende escludere chel’«essere» sia la «causa» che«produce», fa, collocanell’esistenza, crea gli entidivenienti. Ogni volta chel’«essere» si ritrae in sé, «un

mondo accadeimprovvisamente eimprevedibilmente» (jäh undunversehens, p. 315).L’imprevedibilità che rendeimprovviso questoaccadimentoèl’assenzadiunUno immutabile in cui ledeterminazioni del mondosiano originariamentecontenute e da cuiprovengano. L’«essere» silimita a «reggere» e«suggellare» il loro accadere

edivenire.D’altra parte – ma

Heidegger evita diriconoscerlo–,sel’«essere»èl’appariredeglienti,nevieneche il «reggere» e«suggellare» il loro divenire,pur non essendo unaproduzione di ciò che è rettoe suggellato, è tuttavia unagire su di esso, quindi unmodificarlo, ossia è qualcosadi diverso dal suo puroapparire. Non solo. Per

Heidegger l’«essere», oltre amodificare l’ente, nel sensoora indicato, instaura il suostesso apparire, lo «ha fattoaccadere», ereignet hat(S.d.A., p. 312). L’ente nonappare già, prima chel’«essere» lo faccia accadere,«non entra in questa lucedell’essere». Prima chel’«essere» lo faccia accadere,l’appariredell’entenonè.Manon è non nel senso cheHeidegger assegna al «non

è», ossia nel senso che ciòche «non è» è ciò che nonappare: prima che l’«essere»lo faccia accadere, l’appariredell’entenonè nel sensocheHeidegger non intendeprendere in considerazione,cioè nel senso che esso ènulla, nihil absolutum. (Maanche l’apparire dell’essenteè un essente, cioè un eterno.E poiché è impossibileun’«azione» – poíēsis, aitía,«causa», dice Platone – che

faccia passare gli essenti dalnulla all’essere e ve liriconduca, è impossibileanche un agire che, comel’ereignen di Heidegger,conduca all’apparire e alloscompariredegliessenti).

4.ILPRESENTEEILPRESENTEFacendosi guidare da

Omero per avvicinarsi alsensosecondoilqualeiGreci

pensano tàónta, gli enti, e illoro divenire, S.d.A. siriferisce (si è già richiamato:I,2)alpassodell’IliadedoveCalcante è presentato comecolui che, anticipando tuttociò che accade, già «avevavisto ciò che è, ciò che sarà,ciòchefu»:ḗidētát’eóntatát’essómenaprót’eónta.Dopoessersi chiesto rispetto a cheil veggente vede in anticipo,S.d.A. risponde:«Evidentemente [offenbar],

solo rispetto a ciò che sipresenta [an-west] nella luce[im Lichten] che illumina ilsuo vedere», ossia rispetto a«ciò che è presente nel non-esser-nascosto [das imUnverborgenen Anwesende]»(S.d.A.,p.322).Ritornano cioè le

espressioni che indicano ilrapporto traUnverborgenheiteVerborgenheit. Si potrebbedire che, stando a S.d.A.,Omeroscorgagià, inqualche

modo,quelcheperHeideggerè il significato autentico delrapporto tra essere (Licht) eente (Anwesende). Masarebbe un dire improprio,perché la conclusionedell’analisi del passo diOmero è che, «ancheall’interno dell’esperienza[Erfahrung] che i Greci nehanno, il ciò-che-è-presente[das Anwesende] rimaneambiguo [zweideutig], e lorimane necessariamente

[notwendig]»(S.d.A.,p.323).Che l’ambiguità sia

necessariaèaffermatoinbaseal presupposto che, poichél’«essere» si ritrae nell’attostesso in cui illumina l’ente,allora «l’essere, illuminandol’ente, lo svia nell’erramento[beirrt...dasSeiendemitderIrre]», istituendo in talmodol’«errore»[Irrtum] (S.d.A., p.314). Il che, oltre ad esseresoltanto qualcosa di asserito,sottintende, come si è

mostratonelparagrafo3,cheglienticontinuinoadapparireanche se il loro apparire si èritratto nel proprio nonapparire.L’ambiguità, poi, starebbe

innanzitutto nelle stesseparole ón, ónta, formecontratte degli antichi eón,eónta, nei quali «in qualchemodo risuona» l’«essere».Mainquestacontrazioneóneónta si presenterebberocome«participi»,cioèverrebberoa

indicare l’esser partecipidell’«essere», da parte deglienti: «Così ón, “essente”[seiend], viene a significare[sagt] essere un ente [einSeiendes sein]; ma ónsignifica, insieme, un entecheè[einSeiendes,das ist]»(p.321).Sennonché questa

ambiguità sussiste perchéS.d.A. – dopo avergiustamenterilevatocheperiGreci eón non è soltanto il

singolare di eónta, manominaanchequel«semplicesingolare» che è «l’unicounente Uno [das einzigeinende Eine], che sta primadi ogni numerazione [vorallerZahl]»–presupponechequesto Uno sia l’A-lḗtheiadell’essere e che di questoUno parlerebbero già Omeroe a maggior ragione ilframmento di Anassimandro– laddove abbiamo mostrato(capp. I-II) che quello star

prima di ogni numerazione èpiù congruente, nelframmento,all’Unocheègiàprimache ilnumerabile,cioèilmolteplice,escadaesso.Inrelazionealmodoincui

quell’ambiguità si configuranel passo dell’Iliade, S.d.A.afferma che, da un lato, tàeónta (tutto ciò che è«presente», gegenwärtig)differiscedatàessómenaedapròeónta(dallecosefutureeda quelle passate), dall’altro

lato che «eónta è anche ilpassato e il futuro», perché«l’unoe l’altro sonomanieredel Presente (Anwesende) ecioè maniere del Presente‘non presente’» [desungegenwärtig Anwesenden](p. 322). Infatti, nella luceche illumina il vedere e apreladimensionedelPresente, èPresente sia ilpresente, sia ilfuturo, sia il passato. Questetre «ecstasi» del tempocostituiscono il contenuto di

«ciò che è Presente nel non-esser-nascosto [das imUnverborgenenAnwesende]». Il presente, inquantocontrappostoal futuroealpassato,èciòcheha«perprimo» (zuerst) e «in modoaccentuato» (betont) ilcarattere degli eónta; etuttavia, anche se il futuro,come il passato, è un«assente» (Ab-wesende),anche l’assente (dasAbwesende) è un Presente

(Anwesendes).(Unadistinzione,questatra

«Presente» e «presente», cheè ben nota al pensierofilosofico sin dal sensoposseduto dal phaínesthaiplatonico-aristotelico – e cheS.d.A. ritiene di poterrintracciare nel più anticopensierogreco.El’ambiguitàcheS.d.A. ritiene di scorgerenella parola greca ón, intesacome rapporto tra il«Presente» e il «presente»,

non sussiste. Il «Presente» èinfattilatotalitàdeglienticheappaiono, ed essi sidistribuiscononel«presente»,nelfuturoenelpassato,dovefuturo e passato sono assentidal «presente», maappartengono anch’essi al«Presente» in quanto totalitàdegli enti che appaiono.«Presente»e«presente»,cioè,nonsioppongono).D’altra parte, a questo

punto si apre la questione

(alla quale S.d.A. e ingenerale il pensiero diHeidegger voltano le spalle)del sensodell’assenza – cioèdelmancare.Inquantoancheil futuro e il passatoappaiono, essi non sonoassenti. Assente, quanto alsuocontenutoconcreto,èciòacui il futuroe ilpassato, inquanto Presenti, siriferiscono. Tale contenuto èassente non semplicementedal «presente», ma dal

«Presente». Che accadequando il futuro cheappartiene al Presente«diventa» il contenutoconcreto a cui il futuro (cheapparteneva al Presente) siriferiva e questo contenutoappare inmodo determinato?Che accade quando ilcontenuto concreto delpresente che appartiene alPresente«diventa»unpassatoche è assente dal Presente epuò non manifestar più la

propria concretaconfigurazione?Si ripresenta qui la

questionedelnullacomenihilabsolutum. Heidegger, si ègiàosservato,tentadievitarlae di estromettere il nihilabsolutum dalle forme piùantiche del pensierofilosofico. Infatti, se siesclude – come l’interopensiero dell’Occidente(pertanto anche Heidegger)esclude – che l’essente in

quanto essente sia eterno,allora è inevitabile, dallostesso punto di vista dellasapienza dell’Occidente, cheil (o per lo meno qualcheaspetto del) contenutodeterminato del futuro – ilcontenuto che diventa unaparte del Presente quando ilfuturo che appartiene alPresente diventa questocontenuto – esca dal proprioesser stato nulla, nihilabsolutum; e che, quando il

contenuto determinato delpresente (che appartiene alPresente) diventa un passatoche è assente dal Presente,tale contenuto non continuiad essere, ma (per lo menoper qualche suo aspetto)ritorni nel proprio nulla, daintendere, anche qui, comenihil absolutum. Dallo stessopunto di vista di quellasapienza, cioè,non ogni enteche incomincia ad apparire ègià totalmente, prima di

apparire, ciò che essomostradiesserequandoappare;nonogni ente che escedall’apparire rimanetotalmente ciò che essomostrava di essere quandoappariva.Diciòl’Occidenteèconvintoanchequando(comeappunto accade anche aHeidegger) non èconsapevole di questa suaconvinzione– la convinzionein cui consiste l’essenza delnichilismo; e quindi la

convinzione che «altera» ciòche inverità (cioè secondo ildestino della verità) appare.L’incominciare a uscire dalnulla e il ritornare nel nulla,infatti, in verità non appare.Lo si mostra sin da Essenzadelnichilismo.L’«essere» – Heidegger

ritiene – non è l’ente, epertantononèoppostoalnonesser ancora del futuro e alnon esser più del passato. Ese con «essere» si intende

l’apparire dell’ente, allora,certo, anche il non esserancora e il non esser piùappartengono all’«essere».Ma se si ritiene che l’ente inquantoentenonsiaeterno,sìche è necessario che, neldivenire dell’ente, qualcosadell’entechedivieneescadelnulla (nihil absolutum) edivenga nulla (nihilabsolutum), allora si ritiene,anche quando non lo siriconosce, che oltre al futuro

e al passato che appaiono (eche appartengonoall’«essere»), c’è anche ilfuturo dove l’ente cheincomincerà a non essere unnihil absolutum è ancora unnihilabsolutum,ec’èancheilpassatodove l’entechecessadi non essere un nihilabsolutumdiventaedèormaiunnihilabsolutum.Diquestofuturo e di questo passato èimpossibile affermare cheanch’essi sono ente. Ed

essendo un nihil absolutumnon possono nemmenoapparire – o, stando allalogica del nichilismo, nondovrebbero apparire –,laddove, smentendo quellalogica, anch’essi appaiono, ein qualche modo sono, e illinguaggio parla anche diessi. È questo senso delfuturo e del passato cheHeidegger tenta (senzapoterviriuscire)dilasciaredaparte – anche se all’interno

della terra isolata èlargamente diffuso ilriconoscimento esplicito chegli enti, ma ormai tutti glienti, escono dal nulla (nihilabsolutum)eviritornano.Nella struttura originaria

deldestinoapparecheilnullaè una contraddizione (cfr.Lastruttura originaria, IV eIntornoalsensodelnulla); ilnichilismo, con quelriconoscimento esplicito,ignora questa contraddizione.

Come già si è richiamatoanche in queste pagine, ilnulla è contraddizione nelsensochel’appariredelnullaè contraddizione (cioè uncontraddirsi): tra la positivitàdel significato «nulla» el’assoluta nullità – il nihilabsolutum – di ciò che talesignificato significa. Ilcontenuto dellacontraddizione èl’autocontraddittorio,l’impossibile, il nulla come

nihil absolutum. Nihilabsolutum è sia il contenutoautocontraddittorio dellacontraddizione, sia di quelmomento dellacontraddizione dell’appariredelnulla,ilqualeèl’assolutanullità di ciò che il positivosignificaredelnullasignifica.Pertanto, pensare che

l’essente esca dal nulla e viritorni è un crederenell’impossibile (cioènell’essere di ciò che è

assolutamente nullo) siaperché questo credere,credendo in un tempo in cuil’essente è nulla, identifical’essenteeilnulla,siaperchéil nulla, apparendo in questocredere,èunacontraddizione,quindi qualcosa il cuicontenuto è impossibile,nullo; sì che, da un lato, ilcredere nell’uscire e nelritornare nel nulla è unacontraddizione,dall’altro latol’usciredanullaeilritornarvi

è un non uscire e un nonritornare.Nota 1 Il nichilismo

«altera» ciò che appare.Nonpuòriuscireacomprendereilsenso autentico dell’apparire.Si diceva sopra che ilnichilismo«altera»ciòcheinverità(cioèsecondoildestinodella verità) appare: lo alteraperchél’incominciareausciredal nulla, e il ritornarvi, inverità non appare. Ma è

impossibile che l’«alterare»sia un far diventar altro ciòche(inverità)appare.Lafedenel diventar altro è il luogo(eterno) in cui incomincia adapparire (quell’eterno che è)la fede in cui il nichilismoconsiste. L’«alterare» checompete alla fede delnichilismo è l’incominciaread apparire da parte di essa.Incominciandoadapparire,lafede che l’uscire dal nulla eritornarvi appaia si

sovrapponeaciòcheinveritàappare. Non nel senso chesovrapponendosi ad esso nonlo lasci più apparire, ma nelsenso che tale fede siaccampa anch’essanell’apparire e pertantocontrasta ciò che in veritàappare. Nella storiadell’Occidente quel«sovrapporsi» significa che,inquestocontrasto,dominaillinguaggio che si rivolge atalefede,testimoniandolanon

comefedemacomeevidenzaindubitabile.Il destino della verità, e

innanzitutto la strutturaoriginariadi esso, è ilLuogosoltanto nel quale puòapparire ed essere affermatacon verità l’esistenzadell’errare della terra isolatada taleLuogo(l’errarechesiconfigura originariamentecome fede nel diventar altro)e quindi anche l’esistenzadell’errare in cui la fede del

nichilismo consiste e nellaquale culmina l’isolamentodella terra. Sopraggiungendonel Luogo del destino dellaverità la fede della terraisolata gli si sovrappone e locontrasta nel senso indicato.Solo perché questo Luogo,come fondamentodell’apparire di tale fede, laaccoglie è possibile dire, nelsenso indicato, che essa lo«altera». Se non ci fosse enon apparisse ciò che viene

«alterato» e a cui ci sisovrappone contrastandolo,non ci sarebbe alterazione dialcunché, né alcunché a cuisovrapporsi e da contrastare.La terra isolata si isola daldestino, ma il destino è ilLuogo che appareeternamente, aprendo losfondo che accogliel’isolamentodellaterra.Nota2 Poichélastruttura

originaria del destino della

verità è l’appariredell’autonegazione dellanegazione dell’esser sédell’essenteinquantoessentee innanzitutto degli essentiche appaiono, un essentequalsiasi A è in verità séstesso (A è A) soltanto seesso appare in tale struttura.In quanto separato da talestruttura, A non è A. Lungol’intera storia della terraisolata, A (ossia ogni cosa acui in essa ci si rivolga) è

separato dalla strutturaoriginaria (ossia dal Luogocheaccoglielaterraisolatadaesso). In quanto separato datale struttura, A non è A,ossia è altro da A. Laseparazione «altera» A.Stante la necessità che, contale separazione, A (essendostato«alterato»)nonsiaA,lafede che nella terra isolata èla volontà che A sia A (lavolontà che A è A sia) è inverità l’affermazione che un

non-AèA.L’essereinveritàquesta affermazione non è laveritàdiquestaaffermazione.Questa affermazioneappartiene pur sempre allaterraisolata.Anche, e in certo senso

soprattutto, l’affermazionecheAènon-AseparaAdallastruttura originaria. Ma,separato da essa, A si«altera»,ossiaèunnon-A.LavolontàcheAsianon-Aè inverità lavolontà cheunnon-

A sia non-A. Una volontà –perché anche in questo caso(che è un caso della volontàcheAsiaA)l’essernon-Adaparte di un non-A appartienepur sempre alla dimensioneseparata dalla strutturaoriginaria. Se volere che Asia non-A è in verità volereche un non-A sia non-A,anche in questo caso l’esserein verità questo volere non èlaveritàdiquestovolere.

Nota 3 Come ènecessario che, sebbeneseparata dalla strutturaoriginaria, la fedenell’apparire dell’uscire dalnullaedelritornarvirichieda,perapparire,ciòcheinveritàappare in tale struttura e cheresta «alterato» da questafede, nel senso indicatonell’ultima parte delparagrafo4,cosìènecessarioche, sebbene separata dallastruttura originaria,

l’affermazione che A è A,nellaqualeAsiè«alterato»esi presenta come non-A,richieda, per apparire,l’apparire di quell’A che inverità è A e che è stato«alterato»–eAèinveritàA,solo inquanto il suoesser séstesso appare nella strutturaoriginaria.Lanecessitàditalerichiesta sussiste anche, e incerto senso a maggiorragione, per l’affermazionecheAènonA(laqualeè in

modo esplicito negazionedell’esser sé che appare neldestino): solo se A apparecome quell’A che è in veritàA, può apparire che,nell’affermazione che A ènon-A,Arimanga«alterato».L’errare – che nella sua

forma estrema è l’isolamentodellaterra–«altera»cioè,nelsensoindicato,laverità.Maènecessario che la veritàappaia perché possa esserealterata.Ildestinodellaverità

è l’essente eterno che appareeternamente e che fondal’apparire dell’esistenzadell’errare. (Se La strutturaoriginaria non porta ancoraalla luce il temadell’isolamento della terra,tuttavia è quella necessità astare alla base anche delleconsiderazioni che in questoscritto riguardano la figurache in esso viene chiamata«esito-2a»,ossialafiguracheè una forma specifica di ciò

che appare come esito dellaseparazione di unadeterminazione dal suocontrario.Cfr.,di talescritto,IX,8).

5.IL«FARE»DELL’«ESSERE»Da un certo momento in

poi Heidegger è disposto ariconoscere che «il pensierodell’essere» da lui propostononpuòmai«giustificarsi»e

«fondarsi» nel modo in cuipuòfarloilsaperescientifico;ma è «incitamento», dunquedecisione, volontà. D’altraparte il riferirsi alla scienzacome paradigma del sapereincontrovertibile non sembratener contodell’intendimentofondamentaledell’evocazionegreca dell’epistḗmē dellaverità, che mira (comeincomincia a trapelare nellostesso frammento diAnassimandro ed è del tutto

visibile in Eraclito eParmenide) a una«giustificazione» e«fondazione» dei propriasserti che possa essereassolutamenteincontrovertibile, al di sopraquindi di ogni altra forma di«giustificazione» e di«fondazione». All’inizio diquesto capitolo si è rilevatoche, pur riconoscendo lafallibilità del proprio dire,Heidegger intende «il

pensierodell’essere»comeunrispondereallachiamatadellaverità dell’«essere», dellaveritàchesinascondesindalsuo primo affacciarsi nelmondo greco; e questa tesinonintendeessereasuavoltafallibile, semplice contenutodi un «incitamento», di unvolere, ma si presenta comeun sapere assolutamenteincontrovertibile – quandoinvece è un che di soltantoasserito,soltantounafede.

Unaconfermadiquanto sista dicendo è la pagina diS.d.A.dove,abbiamovisto,siaffermache«nonèchiaronéfondato», oltre a ciò che noioggi pensiamo con le parole«ente» e «essere», che ci siacorrispondenza tra ciò cheintendiamoconquesteparoleeciòcheiGreciintendevanocon le parole ón e eînai, equello stesso che essipensavanoconquesteparole;ma dopo poche righe si dice

che questa «confusione»(Wirrnis)nondipendedaunatrascuratezza filologica ostoriografica, ma che «essaproviene dall’abisso[Abgrund]delrapportoincuil’essere [das Sein] ha fattoaccadere [ereignet hat]l’essenza [das Wesen, cioèl’«essere», cioè l’apparire]dell’uomooccidentale»,ossiadi quell’ente che è l’uomooccidentale (p. 312).Un’affermazione, questa, che

mostra di saper molto sulsenso di quell’«essere» e diquell’«ente» a proposito deiquali poco prima si era dettoche non è né chiaro néfondatociòchenoipensiamocon queste parole. Il testotrasforma cioèsurrettiziamente questamancanza di chiarezza efondatezza, ossia questasituazione interpretativa, inuna struttura ontologica, cioènell’«abisso» dell’«essere»

che «ha fatto accadere»quell’ente che è l’uomooccidentale. D’altra parte,S.d.A. (e in generale il«pensiero dell’essere»)potrebbe riconoscere ilcarattere surrettizio di questatrasformazione, intendendolacomeessa stessaunmododi«rispondere» alla chiamatadell’«essere», cioèintendendola come volontàinterpretante.E tuttavia, se S.d.A. può

riconoscere che latrasformazione dellasituazione interpretativa instruttura ontologica sia un«incitamento», non riconosceperò che anche l’esistenza ditale struttura (l’esistenzacioèdell’Abgrund dell’«essere»)sia qualcosa chel’«incitamento» vuolecondurre nell’esistenza. Ab-grund significa il «senzafondo» (come á-byssos), ilsenza fondamento;ma che il

senza fondamentononsiaunnulla (nihil absolutum)rimane, anche in S.d.A., unafede,cioèsenzafondamento.Nonostante le intenzioni in

senso contrario, l’«aver fattoaccadere» (ereignet hat)l’«essenza» (Wesen), cioèl’apparire dell’uomooccidentale, rimane un fareche, insieme, illumina e fauscire dal nulla e che,sottraendosi nell’atto in cuiillumina l’ente, e

mantenendosi in sé stesso, sidistingue e si separadall’apparire, costituendosicomeunfattore,undemiurgoche fa passare l’appariredell’ente dal suo esser nulla(absolutum) all’essere eviceversa. Il faredell’«essere»,chefaaccaderel’apparire dell’ente, èl’«appello» stessodell’«essere», la chiamata.Essa attende la risposta el’attenderla non può essere

che volerla, ossia è l’agiredemiurgico che la fa usciredal suo esser nulla. A suavoltalarispostaèladecisionein forza della qualeincomincia a uscire dalproprio esser nulla il prenderposizione dell’uomo rispettoalla chiamata. È inevitabileche il nichilismo sorreggaanche il tentativo diHeidegger di tenersi lontanodall’opposizione tra il nihilabsolutumel’essente.

Ereignen, come «reggere»e «suggellare» il divenire (p.319) sono parole cheintendonodire lostessodellaparola Wahrheit e di moltealtre introdotte da Heideggercon questo intendimento. Perlui quel che esse dicono èdettogiàdaCalcante.«Per ilveggente, tutto il presente el’assente è raccolto in ununico(esser)Presenteequivisalvaguardato»: Dem Seherist alles An- und Abwesende

in ein Anwesen versammeltund darin gewahrt. E dalfattochenella lingua tedescail participio gewahrt siariconducibileall’anticaparolatedesca wahr («vero»), cheperò significa innanzitutto«salvaguardia», «custodia»(Hut), il testo di S.d.A. vuoltrarre la conclusione che «ilveggente parla dellasalvaguardia del presente»(Aus der Wahr desAnwesenden sagt der Seher,

S.d.A.,p.324).Nemmeno qui è il caso di

meravigliarsi dell’arbitrio diquesto passaggio, perchéanche qui si è di fronteall’«incitamento» arispondere in questo modoall’appello dell’«essere»,contenuto nelle parole diOmero.Va invece rimarcato,ancora una volta, che il«raccogliere»-«salvaguardare»per cui il presente è raccolto(ist ... versammelt) e

«salvaguardato» (gewahrt)sono sì parole del linguaggioquotidiano (che appartienealla quotidianità della terraisolata), ma in esso questeparole nominano il fardiventar altro le cose epertantoillorodiventaraltro,ossia il grembo da cuiproviene il nichilismo comeforma estrema, ontologica,del diventar altro e del fardiventaraltro.Siraccoglieciòche di per sé si disperde;

raccogliendolo lo si fadiventare qualcosa di diversoda ciò che sarebbe statodisperdendosi. Lo stessoaccade col salvaguardare-custodire, che trae le cosefuoridalpericoloincuidipersésitrovano.Proprio perché «il

salvaguardare [Wahren]dev’esser pensato [ist ... zudenken] come un raccogliere[Versammlung] che illuminae custodisce [lichtend-

bergende]» (p. 324) – dovel’ist ... zu denken èl’«incitamento» di cui soprasi parlava –, proprio perquesto la luce dell’apparire èoffuscata dal fare cheappartiene all’essenza delraccogliere e del custodire:l’apparire stesso diventa,come già si è detto,un’«alterazione» di ciò cheappare. Un’alterazione chequindiècompiutaanchedalla«verità» (Wahrheit), intesa

nel senso verso il quale,stando a S.d.A., ci avrebbecondotto Omero: la «verità»come, appunto, «ilraccogliere che illumina ecustodisce» (p. 325) l’entepresente.(DoverisultacheinS.d.A.,

come in altri suoi scritti,Heidegger è convinto che ilsignificato delle parole dellinguaggio comune – inquesto caso: «custodire»,«salvaguardare» – sia

accessibileanoimodernipiùdi quanto non lo siano leparole del linguaggiofilosofico e innanzitutto laparola «ente». Unaconvinzione, questa, ched’altronde può appoggiarsiall’ipotesi ermeneutica per laqualeèprobabilecheipopolisi siano soffermati sulleparole della vita quotidianache più riguardavano i lorointeressi immediati, in talmodo chiarendole, e

rendendocele più vicine diquelle che in seguitoavrebberoattiratol’attenzionedellinguaggiofilosofico).

6.«DÍKĒ»:UNALTROMODODISALVAREILDIVENIRE

S.d.A. sostiene (pp. 327

sgg.) che il frammento diAnassimandro parla deglieóntanellostessosensoincuine parla Omero, di essi

rendendoperòpiùesplicitoiltratto per il quale, secondo ilpoeta, il presente non se nestacomeun«pezzoseparato»(abgeschnittenes Stück, p.326), posto tra l’assente nonfattosi ancora innanzi el’assente ormai andatosenevia. (E anche l’eón diParmenide avrebbe questosignificato,pp.327-28–dovela circostanza che l’eónparmenideosiaalsingolareel’eónta del poeta e di

Anassimandro sia invece unplurale sembra non averealcuna importanza). È cioèall’interno del sensodell’«essere»,intesocome«ilraccogliere che illumina ecustodisce», che mostrano ilproprio senso le parole delframmentodíkē, tísis,adikía.S.d.A. accetta la lezione chericonosce autentica laseconda parte del testotramandato da Simplicio: ...katà tò chreṓn; didónai gàr

autà díkēn kaì tísin allḗloistē̂s adikías. (Traduzioneprevalente: «secondonecessità; poiché essi paganoreciprocamentegiustocastigoed espiazione per la loroingiustizia». Nella parte cheprecede il katà tò chreṓn,ricordiamo, sidice:Ex ō̂n dèhe génesís esti toîs oûsi, kaìtḕn phthoràn eis taûtagínesthai. Traduzioneprevalente:«Ondeèlanascitaper gli enti, lì dentro si

compie anche la lorodissoluzione»).In relazione alla seconda

parte del frammento S.d.A.afferma innanzitutto cheadikía («ingiustizia»)significa che «qualcosa nonva»(nichtmitrechtenDingenzugeht). Espressioneidiomatica dal significatofortemente indeterminato(alla lettera: «non si procedeconcosegiuste»),cheS.d.A.,col pretesto di determinare,

rende subito equivalente a«qualcosa è fuoriconnessione» (etwas ist ausden Fugen, p. 330). (E lorende subito così equivalenteanche perché esso determinaun circolo vizioso, dato che,dovendosi stabilire che cosasignifica «ingiustizia», essodice che «ingiustizia»significa che non si procede«con cose giuste», mitrechten Dingen). Chequalcosa sia «fuori

connessione» significa chel’ente presente è connesso alsuo provenire nel nonnascondimento e al suoandarsene da esso, ossia èconnesso a una «dupliceassenza» (p. 331), ma cheesso ha la «possibilità» (p.330),nelsuo«soggiorno»,di«indugiarvi», «ostinarsi» e«irrigidirsi», sottraendosi allaconnessione con il suoprovenire ed andarsene (p.331).Inquesta«sconnessione

nel soggiorno» (Un-Fuge imWeilen) degli enti nel nonnascondimento consistel’adikía, la «cosiddetta“ingiustizia delle cose”» (p.332). Díkē è quindi laconnessione per la qualel’entepresente èunito al suosorgere e al suo declino (p.333)–cioèalsuodivenire.Non c’è traccia, in questa

interpretazione, dell’adikíacheconsistenellaseparazionedall’Uno;enemmeno,quindi,

di Díkē intesa come l’Unoche–pur lasciandousciredaséglientichesigettanonellalotta,cioènellavicendadoveessiesconodalnulladel loroesser separati dall’Uno eritornano in questo nulla –tuttavia vuole salvareeternamente in sé stesso tuttigli enti e che appunto perquesto è Díkē, la giustiziacostituitadall’identitàconsé,dapartediogniente,equindidall’eternità di ogni ente: la

Díkēdellaharmoníē aphanḗsdi Eraclito, «migliore»dell’armonia phanerḗpresente in quella lotta (cfr.,sopra, i primi due capitoli).Nell’interpretazionechenedàS.d.A.,Díkēè lasalvaguardiadel divenire, nel senso cheessa impedisce agli enti dicostituirsicomelahýbrischevuolearrestareildivenire–ecioè come la«determinazione» astratta efinita, separata dalle

determinazioni opposte, checompare nel primomomentodel metodo dialetticohegeliano. Ma in questainterpretazioneildivenirenonèsalvaguardatodall’esistenzadell’Uno immutabile, bensìdal suo mantenersi comedivenire, all’interno di unorizzonte in cui non c’ètracciadialcunImmutabile.Iltramontodellatradizione

epistemico-metafisica èdeterminato dalla volontà di

salvaguardare il divenire datutto ciò che lo rendeimpossibile: sia da una suapresunta Origine immutabile(che anticipa e quindivanifica ogni innovazioneintrodotta dal divenire), siadal suo arrestarsi in unRisultato immutabile (il veroè l’intero, l’Assoluto; el’Assoluto è «essenzialmenteRisultato»,diceHegel).MailtramontodegliImmutabilistaal termine della storia

dell’Occidente. Heideggerdecide invece di collocarel’assenza degli Immutabiliall’inizio della storiadell’Occidente e di farlaincominciare comeevocazione della «finitezza»dell’«essere» – dell’«essere»che (questa, almeno, èl’intenzione) è il «lasciaressere» gli enti, non ne è ilFondamento immutabile cheliproduce;e,ancheinS.d.A.,egli decide di porre

l’affermazione metafisica ditale Fondamento comeconseguenza, peraltroinevitabile,diquell’inizio.

7.«DÍKĒ»:L’ETERNITÀDELL’OCCIDENTE

Nel frammento, díkē è

l’eternitàoriginariadeglienti– l’eternitàdel loroPrincipiodivino: non l’eternitàautentica (del destino della

verità) che compete loro inquanto enti; e adikía è ildivenire in quanto separatodal proprio Principio. InS.d.A. si sostiene invece chedíkē è la salvaguardia deldivenire, ossia la«connessione» dell’ente alsuoprovenireedandarsene;eadikía è la «sconnessione»che ostacola la salvaguardiadel divenire (la«sconnessione» che, al di làdella consapevolezza che

S.d.A.puòaverne,èhýbris,ladeterminazione astrattamenteisolata dal divenire – ossiaquell’ostacolare il divenireche è uno dei modi in cui ildivenire è reso impossibiledall’esistenza degliImmutabili).Laseparazionedall’Unodà

certamente luogo ai trattisottolineati in S.d.A. –l’indugiare, l’ostinarsi,l’irrigidirsi. Tale separazioneè la forma originaria

dell’adikía;queitrattinesonouna forma derivata,appartenente al modo in cui,unavoltaseparatisidall’Uno,gli enti si annientano avicenda. In S.d.A.l’affermazione che in questitratti consiste l’adikía sifonda invece sullaconvinzione che l’adikíaconsista esclusivamente nella«non connessione» (Unfuge)che non salvaguarda ildivenire, inteso come il

venire degli enti nel nonnascondimento e l’uscirne,all’interno di un orizzonte incui non esiste alcunImmutabile. Ma, nelframmento, quei tratti sonoadikíaperchéappartengonoaciò di cui S.d.A. non parla,ossia alle modalità dellamorte(phthorá)deglienticheseparandosi dall’Uno egenerandosisiseparanotradiloro (e in questo modo sonocertamente «fuori

connessione»), sicontrappongono e siannientano, e irrigidendosinella loro esistenza(diventando hýbris)impediscono ad altri entiancoradiesistere.Ciòsignificache,comesiè

mostrato nei primi duecapitoli, l’annientamentodegli enti è adikía – e conquesto si giunge, nell’iniziodella metafisica, alfondamento ultimo dell’esser

adikía da parte dell’adikía –perché si pensa che gli enti,da ultimo, debbano«mantenersi presso sé stessi»(tò eòn toû eóntos échesthai,dirà di lì a poco Parmenide,fr. 4, v. 2), essere identici asé,epertantoeterni,echepurtrovandosi nel mondo, nellavicenda dove reciprocamentesi annientano, tuttavia essisonosalvidalnullainquanto,nello stesso tempo, se nestanno eternamente raccolti

nell’Uno divino eincorruttibile, che li tiene insalvo pur «avendo sciolto ilegami» che Díkē, inParmenide, tiene invece benstretti – così stretti, peraltro,da soffocare, nell’eón, lamolteplicità degli eónta. Ilchesignificache,tuttavia,giànel frammento diAnassimandro Díkē è lagiustizia degli enti, del loroesserente,ossiaèlanecessitàcheesistalaregionedivinain

cui è impossibile chegli entinon siano sé stessi e nonsiano.Il separarsi da questa

regione èadikía, commettereingiustiziacontrol’esserente;e il reciproco annientamento,conseguenza dellaseparazione, è la pena (tísis)da essi pagata perl’ingiustizia commessa.Ritornando là da dove sonovenuti – non rimanendo nelmondo, dove si annientano

reciprocamente (allḗlois),ritornano nella regione chesalva il loro essere perchéessa è l’Essere che è sempresalvo–,phýsisaeìsōzoménē,diceAristotele (Metaph., 983b 13) dell’Ente che per iprimi pensatori sta alfondamento del Tutto. Conquesto ritorno ripristinano lagiustizia, che da ultimo èinviolabile. Il ritorno accadequindi katà tò chreṓn,«secondo la necessità» che

compete a ciò che si adeguaall’inviolabilità dellagiustizia. Il nulla a cuipervengono gli enti nel lorovicendevole contrapporsi nonè il risultato finale delprocesso(lodiceancheHegelin relazione al risultato dellacontraddizionedialettica),marichiede con necessità ilricongiungimento di ciò chesi è separato. Col necessarioritorno che ripristina lagiustizia, gli enti «rendono

giustizia»all’esserséequindiall’esser eterno dell’ente, epertanto all’Ente immortaleche,purrestandointattoinsé(athánaton, anólethron,Aristotele, Phys., 203 b 6),scioglie i legami e lascia chegli enti, che peraltro essocontinuaaconservareinsé,siseparinodaessoenelmondosi annientinovicendevolmente. Questoritorno è appunto il didónaidíkēntē̂sadikías.

Siè richiamatoancoraunavolta quanto era stato giàmostrato perché non si trattasemplicemente dicontrapporreillorocontenutoall’interpretazione diHeidegger, ma soprattutto dirimarcare come, sebbene sial’inizio della storia delnichilismo dell’Occidente,l’iniziodelpensierofilosofico– e dunque il frammento diAnassimandro – abbia unapotenza essenzialmente più

alta e profonda di quella purrilevante e suggestiva cheHeideggergliattribuisce.Più alta e profonda anche

perché l’iniziodelnichilismoè il tentativo di pensare ciòche appare nel destino dellaverità. Il tentativo è unfallimento sin dal suo primopasso. Ma è il tentativo dipensare l’implicazione tral’esser sé dell’essente el’eternità dell’essente –l’implicazione aurea. Il

tentativo fallisce sin dal suoprimo passo, perché procedepartendo dalla fede erimanendo nella fede chel’uscire dal nulla e ilritornarvi,dapartedeglienti,appaia, cioè sia un’assolutaevidenza. L’evidenza della«pena» (tísis) consistentenell’annientamento dellecose.L’illusione dell’epistḗmē

metafisica,cheinizialastoriadelnichilismo,stanelcredere

che l’ingiustizia ontologica –quell’uscire dal nulla eritornarvi, quel non esseredegli enti, che si crede cheappaia – resti riparatadall’esistenza dell’Enteimmutabile,checontengaciòche nel mondo appare predadelnulla.Quando,nel tempodellamorte diDio, si prendecoscienza che l’Immutabilenonsalvaglientimondanidalnulla,marendeimpossibileilloro evidente esserne preda,

l’ingiustizia divental’ostacolare i rimedi –soprattutto quello tecnico-scientifico – con i quali sipropone di allontanare il piùpossibile, da certi enti, laminaccia del nulla e, inrelazione a certi altri, diavvicinare il più possibile illoro annientamento e il piùpossibile ritardarnel’incominciare ad essere –dove díkē è appunto questoproposito.

8.«DIDÓNAIDÍKĒN»L’ápeiron di

Anassimandro è díkē inquanto è l’Uno immutabilechecontieneeternamentetuttiglienti,etuttavia,inquantoèla Potenza suprema che li«governa»facendoli ritornarea sé dopo averli generati oaver lasciato che da esso sigenerino,lapotenzadidíkēè

anche il fare che producesalvezza. Ogni Diodell’Occidenteintendeessere,insieme, l’Immutabile e ilDemiurgo, lasommapotenzache fa diventar altro le cose.(Col tramonto dell’epistḗmēla giustizia produce salvezzasenza necessità, senza potergarantire il buonesitodi taleproduzione). Già ilframmento di Anassimandrodicecheil«dare»deldidónaidíkēnèun«fare»giustizia, il

fare che riconduce a díkē inquanto Unità originaria. E lanecessità(tòchreṓn)secondocui accade díkē in quantoritorno all’Uno (e l’uscirne,come Eraclito diceesplicitamentenel frammento80) è necessità che díkē sia«data», prodotta. Anche ildareèunfardiventaraltrolacosaacuisidà.È un fare anche la pena

(tísis) – cioè l’annientamento– che gli enti si infliggono a

vicenda (didónai ... kaì tísinallḗlois) per l’ingiustizia delloroessersiseparatidall’Uno.MaormaiS.d.A.nonpuòpiùintendere tísis come pena.Una volta stabilito che ildidónai díkēn è la«connessione» (Fuge) cheunisceglientipresentialloroprovenireeal loroandarsenevia dalla presenza, e chequindiilloroprovenirenonè«ingiustizia», per S.d.A. illoro andarsene via non può

più essere inteso come lapena inflitta per il loro esserprovenuti (né, a maggiorragione, per il loro essersiseparati dall’Uno –separazione, questa, che inS.d.A. si è lasciato da partesin dall’inizio). Purriconoscendo che tísissignificaanche«pena»,S.d.A.traduce tísis con «stima»(«valutare», das Schätzen, p.334); e questa traduzioneviene precisato intendendo la

stimacome«cura»(Sorge):lacura «che un che d’altro[dall’avente cura] simantenga nel suo essere»(dass ein anderes in seinemWesen bleibe, p. 336), cioènel suo soggiornare nellapresenza mantenendo laconnessione con il propriosorgere e perire. Traducendotísis con «cura», S.d.A.intende evitare che latraduzione escluda «ilsignificato essenziale e

originario» di questa parola(p. 334); ma adottando(dovendo adottare) questosignificato, e ritenendoloessenzialeeoriginario,S.d.A.è costretto a escludere l’altrosignificato, di tísis, cioè«pena».Proprio perché è l’agire

che bada a che le cose sianolasciate nel loro essere, tísisvien anche a mostrare, perS.d.A., un senso negativo(«pena») o positivo

(«compenso»,«remunerazione» – fino adarrivare a «stima» come«apprezzamento»), a secondache le cose demeritino omeritino. Ma da quantoabbiamomostrato risulta chenel frammento diAnassimandro il meritare èl’essere in accordo con lagiustizia dell’ente, ossia conl’essere identicoaséecon ilrimanere in sé, che restanosalvaguardati nell’Uno;

mentre l’ingiustizia è laseparazione dall’Uno, ossiada ciò che in esso restasalvaguardato. Il frammentonon sacrifica quindi uno deiduesignificatiditísis(mentreanche S.d.A. compie questosacrificio), ma li conservaentrambi: quello negativo,perchélamorte(phthorá)èlapunizione per l’ingiustiziacommessacon laseparazionedell’Uno; ma anche quellopositivo,perchécon lamorte

che, annientandoli, riconduceall’Unoglientichedaessosisono separati, resta via viaannientato il mondodell’annientamento e vieneripristinata la giustizia, cioèessa, sebbene violata, ricevela remunerazione dovutale.Didónai gàr aûta ... tísinallḗlois tē̂s adikías: non nelsenso che gli enti (aûta) sicostituiscano in modo chel’unoremuneril’altro,manelsensochelalorovicendevole

distruzione (phthorá),affermata nella prima partedel frammento, li riconduceall’Uno e ripristina eremunera la giustizia violatadalla loro separazionedall’Uno. Non c’è quindibisogno di porsi la questione(che S.d.A. si pone) sel’allḗloissiriferiscasiaadíkēsia a tísis, o soltanto a tísis(come S.d.A. sostiene, p.334): il didónai díkēn indicaquel «fare» giustizia,

nell’accadimentodell’ingiustizia, che èottenuto proprio attraverso lareciprocità indicata daldidónaitísinallḗlois.9.«DISPORRE»LA«CONNESSIONE»

La prima parte del

frammento termina con leparole katà tò chreṓn, cheanche noi abbiamo tradotto«connecessità»macheS.d.A.

traduce in tutt’altro modo,convinto com’è che lanecessità non abbia nulla ache vedere con l’inizio delpensiero filosofico. Traducetò chreṓn con «esserpresente», Anwesen: l’esserepresente di ciò che è (ossiadell’essente) presente. Ciòcheèpresenteèl’ente;l’esserpresente (il nonnascondimento, l’appariredell’ente) è l’«essere», Sein(S.d.A., pp. 337-40).Ma, per

S.d.A., «sin dall’inizio»,quindi già nel frammento diAnassimandro, e in modoimpercettibile, l’«essere»viene intesocomeun«ente».È «l’oblio dell’essere»(Seinsvergessenheit), ed è«l’oblio della differenza tral’essere e l’ente» (dieVergessenheit desUnterschiedes des Seins zumSeienden,p.340).Nel frammento, l’«essere»

è, per S.d.A., «l’essere

dell’ente», e questo genitivo,anche se «enigmatico eambiguo», indica una«genesi, una provenienzadell’ente dall’essere» (eineGenesis, eine Herkunft desAnwesenden aus demAnwesen,p.339).Iltestononlo dice, ma se «sindall’inizio» l’«essere» vieneinteso come un «ente», la«genesi» e la «provenienza»degli enti dall’essere hannoproprio quel significato che

l’intera interpretazioneheideggeriana del frammentointendeescluderemacheora,anche in questo passo, ècostrettaariconoscere.Comeappunto indica quel genitivo,siapureinmodoenigmaticoeambiguo, génesis è l’usciredegli enti dall’Uno-Essere,separandosi da esso e l’unodall’altro; e insieme è ilprovenire dal nulla da partedella loro separatezzadall’Uno (da parte del loro

esser separati edesistentipersé). S.d.A. riconosce che lapropria interpretazione è lavolontà che il frammentoabbia un significato diversoda quello che in passi comequello che stiamoconsiderandogliriconosce(ilsignificato ontologico-metafisico che si fa avanticon l’«oblio dell’essere»)mache in altri passi esclude chepossaavere,e loescludenonriconoscendo di volerlo

escludere ma sostenendol’impossibilitàcheessoabbiatalesignificato.Per quanto poi riguarda la

differenza tra l’«essere» el’«ente», per S.d.A. essa èpresente sin dall’inizio informa ambigua edenigmatica, ma non èpresente come qualcosa chepotrebbe non essere, cioècome un’ipotesi, unacongettura, una fede. PerHeideggerche taledifferenza

esistanonpuòesserenegato:è unanecessità nel sensodalquale egli vorrebbe tenersilontano. Lo è, stiamodicendo,dallostessopuntodivistadiS.d.A. (e,sipuòdire,di tutto il pensiero diHeidegger). L’oblio di taledifferenza è l’oblio di unanecessità. Proprio perchéritiene che nel frammento la«differenza» incominci adalterarsi, proprio per questoS.d.A. non può escludere che

nel frammento incominci apresentarsi il sensoepistemicodella«necessità»ecioè che questo sia il sensodelkatà tòchreṓn. (Ed’altraparte è solo un presupposto[implicito] di S.d.A. chequesto senso della necessitàdebba competere alla«differenza traessereeente»–edunpresuppostoesplicito[p. 341] che nel pensierofilosoficoilsensoontologico-metafisico della «necessità»

sia«derivato»).Inaltritermini,se,comesi

è richiamato all’inizio delparagrafo,inS.d.A.sitraducetò chreṓn con Anwesen(«essere») e si sostiene chetuttavia,«sindall’inizio»,nelframmento di Anassimandro,l’«essere» incomincia adessereintesocomeun«ente»,come l’Ente da cui tutti glienti che si generanoprovengono, allora latrasformazione del senso

dell’«essere» investe anche ilsenso della «necessità», chenon può più essere qualcosache non abbia nulla a chevedere col senso epistemico-metafisico della «necessità».Il (presunto) «obliodell’essere» è anche il(presunto) oblio del sensoiniziale della «necessità» equindi sussistono lecondizioni perché il(presunto) succedaneo di talesenso iniziale possa esser

presentenelkatàtòchreṓndiAnassimandro.S.d.A. tenta dapprima di

stabilire che cosa debbasignificare tò chreṓn,considerando ciò che viendetto nella secondaproposizione del frammento(pp. 337-39); poi analizzal’espressione greca (pp. 341-45). Sostiene che nellasecondaproposizionesiparladeglientiche,nell’attostesso

(indem) in cui son lasciatiandare nella sconnessione, larisolvono nella curareciproca;siparlacioèdi«ciòche è presente» (Anwesende,«ente») rispetto alla sua«presenza» (Anwesen,«essere»). Da questo fatto, estante il gár («infatti») cheunisce la seconda alla primaparte del frammento, S.d.A.conclude che la prima partenon può che parlare della«presenza»; e poiché S.d.A.

ha deciso che della primaparte si debbano conservaresoltanto le parole katà tòchreṓn, ne viene che questaespressione significa«secondol’essere»(«secondola presenza»), e cioè, comegià si è visto, che chreṓnsignifica«essere»:«tòchreṓnè il nome più antico con cui[worin] il pensiero conducenel [zur] linguaggio l’esseredell’ente [das Sein desSeienden]».Pertantoilvenire

nella presenza e l’andarsene,risolvendo la sconnessione(Un-Fug) nella connessione(Fug)deglienti,avvienekatàtòchreṓn,«secondol’essere»(p.339).L’«essere»èciò«inconformità al quale»(demgemäss) l’ente è (west)(p. 338). L’essere «dispone»(verfügt,«decreta»,«decide»)laconnessione.Se non è cieco –

osserviamo –, l’«essere» èquindiunagirechevuole.Ma

come può esser cieco seillumina l’ente e se,nascondendosinell’attoincuilo illumina, è un illuminarsiin sé stesso? Ancora unavolta, il tentativo diHeideggerdisottrarrel’essereal carattere demiurgico delSommoEnte della tradizionemetafisicafadell’«essere»undemiurgodepotenziato,chesilimita a imprimere il propriomarchio sugli enti chevengono e vanno senza

perché, e che tuttavia litrasforma,lifadiventaraltro.Il «lasciar essere» – il verbochenegli scrittidiHeideggerpiù frequentemente vienepredicatodell’«essere»(echedovrebbe coincidere con lapura manifestazione, il puronon alterante apparire deglienti)–èinveceunintervenirefacendoli diventar altro ealterando.Inoltre, appunto perché,

secondo S.d.A., nel

frammento di Anassimandrol’«ente» è «in conformità»(gemäss) all’«essere», questa«conformità» implical’impossibilità che l’«ente»nonvisitrovi,chelesipossasottrarre. È, diciamo,necessario che vi si trovi:secondo quel senso dellanecessità che per S.d.A. nonpuò invece esser pensato nelframmento. È una necessità(in quel senso) che la«connessione» che ha «cura»

dell’«ente» sia «disposta»,«decretata» dall’«essere». Eche l’«ente» sia «inconformità» all’«essere» è,insieme, la conformitàdell’ente all’oblio delladifferenza tra «essere» e«ente» e alla «storiadell’«essere»,che incominciacon tale oblio – e che, lungidall’essere una «negligenza»o una «mancanza», èquell’«evento più ricco e piùampio» in cui consiste la

metafisica(p.340).Dopo aver tentato di

stabilire il significato dichreṓn, considerando laseconda proposizione delframmento, S.d.A. si rivolgealla forma linguistica diquesta espressione. L’intentoèditrovareperquestaviaunaconferma di quanto è statoottenuto inquelprimopasso;maconlaconsapevolezzacheogni traduzione è un

«presumere» (Zumuten).Tuttavia, proprio perchéall’interno di taleconsapevolezza si affermauna tesi che intende esserequella conferma, latraduzione, per quantoriconosca di essere una«presunzione», non può cheessere, insieme, la confermadell’intento di escludere dalsignificato di chreṓn quellanecessità che invece, comestiamo ripetendo, è

implicitamente richiestadall’andamento stesso delpensierodiHeidegger.Tò chreṓn, comunque,

viene tradotto con derBrauch,«l’uso».S.d.A.arrivaa questo risultato tenendopresente che alla baseetimologica di chreṓn c’èchráō,«maneggio»,«mettoinmano». Alla radice di tòchreṓn c’è infatti, hē cheír,«la mano». Il «mettere inmano» (Aushändigen,

Einhändigen) ad altri è unabbandonare (Überlassen),ma insieme «tiene in manol’abbandonare e con esso ciòche è abbandonato»:Aushändigen ... dasÜberlassen in der Handbehält und mit ihm dasÜberlassene (p. 341). VistonelcontestodelframmentodiAnassimandro, chreṓnsignifica allora «il metter inmano», che è propriodell’«essere» (Anwesen, la

«presenza»), cioè il «metterinmanochemettel’essereinmano all’ente» (welchesEinhändigen das Anwesendem Anwesendenaushändigt), ma «nel modoper cui, per l’appunto, [ilmettere in mano] tiene inmano l’ente, cioè losalvaguardanell’essere»(undso das Anwesende als einsolches gerade in der Handbehält, d.h. im Anwesenwahrt,p.342dellatraduzione

italiana, dove l’Aushändigen-Einhändigen è sempre resocon «rimettere» e l’in derHand behalten, con «man-tenere»; e anche la parolaBrauch, «uso», con la qualeS.d.A. traduce l’in der Handbehalten, è sempre resa, inquella traduzione, con«mantenimento»). Dare inmanotenendoinmanoildareè l’«usare» qualcosa – nelsenso più ampio indicato dallatino frui nella definizione

che ne dàAgostino (p. 343).Per questo, S.d.A. chiamaBrauch l’Einhändigen.«L’uso mette l’ente in manoal suo essere, cioè alsoggiornare [in dasWeilen]»nel non nascondimento (p.343) dove sta in connessioneconilsuovenireeandarvia.L’ente, pertanto, è secondol’uso,katà tò chreṓn.Díkē èquesta connessione. E S.d.A.stabiliscel’identitàdichreṓn,ápeiron, archḗ, estesa poi al

lógosdiEraclitoeallaMoîradiParmenide(pp.344-45).10.«DÍKĒ»EIL«NIHILABSOLUTUM»Si è già osservato che il

tentativo di Heidegger diallontanare dai primipensatoriilrapportotral’entee il nulla in quantomēdamē̂ión (nihil absolutum),sostituendolocol rapporto tral’ente presente e la presenza

(tra ciò che appare el’apparire, l’«essere»),fallisce perché nemmeno iprimi pensatori pensano chegli enti che entranonell’apparire e ne esconosiano tutti eterni – eterni inquanto enti, non in quantosalvi nella loro Origine(archḗ) –, ma ritengono cheunapartediessi, innanzituttoquelli che appaiono, oltre acomparire e scomparireescano e ritornino nel loro

esser nulla (assoluto): nelsenso che in tante altreoccasioni è stato chiarito neimieiscrittiechenonescludeil principio dei primipensatori, secondo Aristoteleinessidominante:ilprincipiodell’ek mēdenòs mēdén (exnihilo nihil), per il quale,all’inizio del divenire di unente, non c’è soltando il suoesser un ancor nulla, maqualcosadipositivo,unesserente, che da ultimo è la loro

Origine.Sìcheèinquantoglienti stanno al di fuori dellaloro Origine che questo lorostare al di fuori è,nell’Origine, un ancor nulla,ossia il loro esser statiassolutamente nulla, e tornaad essere assolutamente unnulla quando essi sicorrompono.Si può però replicare

dicendo che, una voltaaccertato che nemmeno i

primi pensatori possono averaffermato l’eternità dell’entein quanto ente (l’eternità cheappare nel destino dellaverità), da ciò non segue cheprima di Parmenide, quindinel frammento diAnassimandro, l’ente siaintesodaessicomeciò(comeil «che», ti) che non è unnulla assoluto; e quindi nonsegue che, nel frammento,díkēsialanecessitàchel’entesia sé stessoe sia salvo,cioè

eterno in senso ontologico,nell’Uno da cui peraltro glienti che si generanoprovengono e in cuiritornano,nellavicendaincuiil loro essere nellaseparatezzadall’Unoescedalnulla (e ritorna nel nulla) ditaleseparatezza.Per rispondere a questa

replica si richiamiinnanzitutto che l’esistenzadella storia e della sua

configurazione è contenutodell’interpretare, cioè dellavolontà interpretante, dellafede originaria in cuil’isolamento della terra daldestino consiste. Lo stesso«essere al mondo» da partedell’uomo è tale contenuto.Innegabile (ossiaappartenente al destino) èl’esistenzadellafede,nonciòin cui la fede ha fede.È unafedeanchel’affermazionechelungo la storia il senso

ontologico del divenire èpreceduto da un senso in cuiildivenirenonèancoraintesocome uscire dal nulla eritornarvi.Tuttiimitiparlanodi metamorfosi,trasformazioni, nascite emorti di dèi, uomini, mondi,cose, senza dire alcunchésull’assolutamente nullo. Perpensare il divenire èsufficiente pensare latautologia del divenire comedivenir altro. Il divenire non

può essere che un diventaraltro.Tuttavia, che«da tutti»e «ovunque» il divenire siastato e continui ad esserpensatocomediventaraltro–e cioè che quella tautologiasia onnipresente –, anchequesto è un contenuto dellavolontà interpretante, unafede. Fede nell’onnipresenzadella fede nell’esistenza deldiventar altro. La fede inquesta esistenza è il grembopreontologico del senso

ontologico del divenire –ossiadelnichilismo.Essononvien lasciato da partedall’avvento del nichilismo,perché il diventar altroraggiunge anzi il proprioculmine quando l’altro èinteso comequell’assolutamente altro cheè l’ente rispetto al nulla e ilnulla rispetto all’ente.Appunto per questo si puòparlare di fedenell’onnipresenza della fede

nell’esistenza del diventaraltro.Inrelazioneallareplicaqui

sopra prospettata va quindidetto, innanzitutto, che, purescludendo il carattereontologico della nascita(génesis) e della morte(phthorá) degli «enti» di cuiparla il frammento diAnassimandro, va comunquetenuto fermo che, anche qui,génesis e phthorá sono undiventar altro. Non solo.

Tutto quanto si è affermatodel frammentoconsiderandolo un liguaggiogià ontologico, vanuovamente affermatoconsiderandoloun linguaggiopreontologico. In questatrascrizione esso dice che ènecessario che gli enti sidissolvanoritornandodadovesono venuti, perché, conquesto ritorno, vieneristabilita la giustizia(didónai díkēn) che – violata

dall’ingiustizia della loroseparazione dall’Uno, ossiadal loro diventar altro –consiste nel loro essere séstessi epertantonel loronondiventar altro – la giustiziacioè in cui consiste il«divino» (tò theîon) che,«immortale» (athánaton) e«incorruttibile» (anólethron),nondiventaaltroeincuiognicosa, essendo unita a tutte lealtre, è identica a sé stessa.Per dire tutto questo non c’è

bisogno di far intervenire illinguaggioontologico.Col ritorno all’Uno, si è

detto, viene ristabilita lagiustizia. Il didónai,propriamente, èdare.Díkē èdata.Maquestodarenonèlanascita di díkē. Il frammentonondiceche,ritornandolàdadovesisonogenerati,glientifanno nascere díkē. Se ilframmentononèpalesementeprivodi sensononpuòdirlo,

perché altrimenti il separarsidall’Unononpotrebbeessereadikía. Se díkē non fosseancora nata non potrebbeessercinemmenoadikía,cioèil contrapporsi adíkē.Díkē è«data» nel senso, appunto,che il ritorno all’Uno laristabilisce nel luogo stessoin cui essa è stata violata. Enon può nemmeno esser«data» venendo ad esserperduta dai datori, perché lecose (ónta) danno díkē

ritornando all’Uno. Dandola,esse perdono invece l’adikíaprovocata dalla loroseparazione dell’Uno. Siliberanodall’ingiustizia.Díkē è ristabilitanel luogo

stesso dove è stata violata.Proprio perché la secondafrase del frammento èintrodotta da un «infatti»(gár), per il quale essa è ilfondamentodellaprima,ossiaèlaprimainquantovistanelproprio fondamento, al katà

tòchreṓnchechiudelaprimafrase e che riguarda sia laseparazionesiailritornodellecose corrisponde il katà tḕntoûChrónoutáxin.Nelluogostesso in cui la giustizia èstata violata essa vienepertanto ripristinata secondola necessità (táxis) a cui èsottoposto il tempo. Il tempodivoraiproprifiglinelsensoche essi si dannovicendevolmente (allḗlois) lamorte (tísis) – gli uni, per

incominciare a vivere,dovendo uccidere quelliviventi.La táxis del tempo èla necessità che il diventaraltrosialadistruzioneediciòchediventeràaltroedell’altroin cui irrompe, alterandolo,ciòchediventaaltro.Dati i presupposti da cui

parte nella suainterpretazione, S.d.A. deveoperare una dupliceesclusione: che tísissignifichi, nel frammento,

«castigo», «pena»,«espiazione»(S.d.A., pp. 334sgg.) e che l’allḗlois siriferisca anche a díkē (loc.cit.).Certo,intísisèpresenteanche un altro significato:quello del «compensare»,«ricambiare»,«contraccambiare»,«rimunerare», e quindi del«tener conto di ciò che unacosaè»(giacchéèperquesto«esser tenuta in conto» cheuna cosa è rimunerata e

compensata e le sicontraccambia, ricambia,restituisceciòchelespetta).È cioè ancora la necessità

(táxis) del tempo a«compensare» le cose e a«tenerne conto». Inquest’altro significato (cheper S.d.A. sarebbe quellooriginario e che invece ècooriginario), tísis tende, nelframmento, a coincidere condíkē – díkē essendo appuntoqueltenerconto,diciòchele

cose sono, per il quale siriconosce il loro esser séstesse e quindi la necessità(díkē) che esse sianooriginariamente custoditenell’«Uno», ossia nel Luogoche «non si corrompe» e,«immortale», «noninvecchia». La tendenzialecoincidenza tra díkē equest’altro significato di tísisnonesclude,maanzirichiedeche, nel frammento, tísissignifichi anche «castigo»,

«espiazione»,«pena».Infatti, proprio perché la

necessità di díkē tiene contodiciòchelecosesono(ossiadella loro originariaappartenenzaalLuogo incuiesse sono sé stesse), proprioper questo tale necessità lericonduce in questo Luogo,da cui esse si sono separate,separandosi nel contempo leune dalle altre; ma questoricondurle è anche la loromorte(phthorá),ossia la loro

tísis in quanto «castigo»,«espiazione», «pena» cheesse si infliggono a vicenda(allḗlois)echeèimpostalorodalla necessità (táxis) deltempo.Laloromorteèsia lapena che esse stesse siinfliggono per la loroseparazione, sia la lororemunerazione attraverso illororitornoall’Unodoveèlaloromorte stessa amorire. Ilripristinare díkē è, insieme,tísis come rimunerazione

delle cose e tísis come loropena.Pertanto, vien meno ogni

motivo per escludere chel’allḗlois si riferisca anche adíkē.

11.ETERNITÀ:L’OCCIDENTEEILDESTINO

Èpossibilecheglióntadel

frammento di Anassimandrononsianoancora intesi come

ciò che non è un nihilabsolutum, ossia in sensoontologico? La replicapresentata nella secondasezione del paragrafoprecedente lo afferma.Appunto per questo,rispondendole, non si èparlato di «enti», ma di«cose». Si è mostrato che,anche intendendo in modopreontologico il divenir altroin cui consistono génesis ephthorá, rimane tuttavia

ferma la strutturadell’interpretazione cheabbiamodatodel frammento,inteso come linguaggioontologico. Anche comelinguaggio preontologico ilframmento vede in díkē lostare delle cose nell’Unoimmortalecheleunisce.Díkēè questo stare perché ilframmento chiama díkē illoro ritornare nell’Uno dopola separazione dove esse,distruggendosi a vicenda e

morendo, non sono più séstesse; sì che díkē è lo starenell’Uno perché questo stareèlacondizionedel loroesserséstesse.Da quando questa

configurazione di díkē vieneintesa in senso ontologicoincomincia la storia dellatradizione dell’Occidente –ossia del pensiero che fondal’esistenza del divenire,inteso come provvisoriasporgenza dal nulla,

sull’esistenza dell’eterno,inteso come ciò che non puòuscire dal nulla e ritornarvi.Nel linguaggio ontologico sirispecchia la struttura dellinguaggio preontologico. Ildivenireè fondatosull’eternoperchéneldivenireognienteèhýbris,prevaricazione,viveperchéaltrientimuoiono,nelsenso che vivere è uscire dalnulla e morire è rientrarvi.Quindi ogni ente viveseparandosi dagli altri; ma

isolandosi e pertanto nonopponendosi, non riesce adesser sé stesso, è cioè a suavolta costretto ad annullarsi.È quindi necessario che, peresserséenonesserunnulla,glientiche,neldivenire,nonpossono riuscire a far questo(ogni «fare» essendo undivenire) appartenganooriginariamente al Luogodivino ed eterno che li tieneuniti nella loro opposizione,salvandoli dal nulla – è

necessario che il divenire sifondi sull’eterno. Lungo latradizionedell’Occidentedíkēèquestafondazione,ossiaèiltentativo inevitabilmentefallito di salvare gli enti daldivenire, cioè dal nulla dellamorte.Neldestinodellaverità–in

cuiappare la terra isolatadaldestinoe,inessa,lastoriadelmortale e dell’Occidente –l’esser sé e non esser l’altroda sédapartedell’essente in

quantoessenteimplicainvecel’eternità dell’essente inquanto essente, ossial’eternità di ogni essente(non, dunque, di un Enteprivilegiato e «divino» inquanto così privilegiato); e ilsenso di díkē restatrasfigurato. La parola«destino» sta a indicarequestatrasfigurazione.Il frammento di

Anassimandro sta all’iniziodella storia dell’Occidente.

Già esso, considerato in séstesso,perquelcheessodice,mostrachedíkē,anche intesain senso preontologico, èl’esser sé delle cose,implicante con necessitàl’Uno immortale comefondamento del divenire.Machenelframmentoquestosiail senso didíkē risulta anchedal modo in cui díkē sipresenta in Eraclito eParmenide.Aquestopuntosipotrebbe lasciare aperto il

problema se in Eraclito siagiàillinguaggioontologicoaparlare – per Parmenide taleproblema non si pone. A farpropendere per una rispostaaffermativapossonovalere leconsiderazioniseguenti.PerPlatoneeAristotelegià

i pensatori che precedonoParmenide parlanodell’opposizionetral’enteeilnulla. Aristotele li riduce alrango di cosmologi, ma nonmette in dubbio che in essi

taleopposizione siapresente.Peraltro, già Parmenide nonconsidera il propriolinguaggio come l’inizio dellinguaggio ontologico, macome l’inizio del verolinguaggio ontologico, ossiadel linguaggio che parla converità dell’ente. Egli vede i«mortali dalla doppia testa»(fr. 6, v. 5) percorrere la viache, sebbene «del tuttoincapace di persuadere»(panapeuthéa, fr. 2, v. 6), è

però una via ontologica: chel’ente«nonèedènecessario[chreṓn] che non sia» (v. 5)perché diviene (v. 11); che«l’essere [pélein] e il nonessere sono e non sono lostesso» (fr. 6, vv. 8-9). Manon si può escludere cheprima di Parmenide illinguaggio ontologico siaassente.Ilframmento30diEraclito

diceche«questoordinamentodelmondo,cheèlostessoper

tutti,nonlohannofatto[oúte...epoíēsen]nédèinéuomini,ma[all’] era sempre [aeí]edè e sarà fuoco sempre vivo[all’ē̂n aeì kaì éstin kaì éstaipýr aeízōon]». A questopunto si tratta di stabilire ilsignificatodi«essere»e«nonessere». Heidegger intendel’«essere» a cui si rivolgel’inizio del pensiero greco (equindil’«erasempre»,l’«è»eil«sarà»delframmento30diEraclito) come il «non

nascondimento» (alḗtheia,l’apparire) e il «non essere»come il «nascondimento»(lḗthē, il non apparire) deglienti.Tuttavia – si ripeta ancora

una volta –, se «non essere»significa «non apparire»,alloranessun ente è un nulla(nihilabsolutum)quandononappare più o quando nonappareancora;ossiaognienteègiàdasempreepersempreal di fuori del nulla, sempre

salvo dal nulla, eterno. Maquesta affermazione èl’assolutamente impensatodalle sapienze della terraisolata dal destino dellaverità; è quindi del tuttoestranea alle sapienzedell’Occidenteealloroinizionel pensiero greco e allostesso Heidegger. Eassolutamente impensata èanche l’affermazione dellapossibilità che gli enti sianoeternamente anche quando

non appaiono. La fede«realistica», dominanteall’interno della terra isolata,è abissalmente lontanadall’eternità dell’essente inquanto essente, che apparenel destino della verità. Nonsolo perché afferma cheanche quando quell’ente cheè il pensiero – la coscienza,l’esperire, l’anima, l’uomo –è nulla, anche allora gli altrienti (del mondo o delsopramondo) continuano ad

essere; ma altresì perché,ancheperilrealismo,glientiche continuano ad esserecontinuano sinché sono: poianch’essi si annientano, cioè,in quanto enti, non sonoeterni, e eterni sono soloquegli enti privilegiati cheappartengono al divino.Nemmeno il «realismo»afferma la possibilità chel’ente in quanto ente siaeterno.Eraclito dice che «questo

ordinamentodelmondocheèlo stesso per tutti, non lohannofatto[oúte...epoíēsen]né dèi né uomini, ma [all’]era sempre [aeí] ed è e saràfuocosemprevivo[all’ē̂naeìkaì éstin kaì éstai pýraeízōon]». Un’affermazione,questa, in cui il «ma» rendeesplicitocheil«fare»(poieîn,produrre)èunagiredoveciòcheèfattononèqualcosacheera sempre ed è e sarà, maqualcosacheononeraonon

saràonéerané sarà;ossia èunagiredoveciòcheèfattoèfattousciredalnonessere.Rivolgendosi a «questo

ordinamento del mondo»(cósmon tónde), Eraclito sirivolge al lógos, ed è dellógos,enondiognientecheegli afferma l’esser statosempree l’esserorae l’essersempreinfuturo–loaffermadel lógos secondo il qualetutte le cose si generano(Eraclito,fr.1).Maescludere

cheognicosasiaeternamentesalva dal nulla è parlare illinguaggioontologico.Quindile cose che, a differenzadell’ordinamento del mondo(cioèdellógos),sono«fatte»,prodotte non sono (giàall’inizio del pensiero greco)degli eterni, fatti usciresemplicemente dal loro essernascostiefattisemplicementerientrare in esso,maenti chesonofattiusciredalloroesserstati nulla e sono fatti

rientrare nel loro esser nulla.Il lógos non è il prodotto diun «fare», ed è esso aprodurre e a fare le cosetraendole dal loro nulla eriportandovele. In questotrarle e riportarle, il lógos èinsiemeuntrarledallorononapparire, facendole apparire,e un riportarle nel loro nonapparire. Il frammento 53 diEraclito assegna al pólemos,che è il lógos stesso, sial’esser ciò che «mostra», «fa

apprire» (édeixe) gli enti chesopraggiungono, sia l’esserciò che li «fa», «produce»(epoíēse).

PARTESECONDA

IESSERSÉEDETERNITÀ

DELL’ESSENTE.(ANCHEPER

RICAPITOLARE)

1.LASTRUTTURAORIGINARIA«Destino della verità», o

«veritàdeldestino»,«destinodella necessità» o,semplicemente, «destino»:

con queste espressioni, giàcomparse nella Parte prima,viene di solito indicato, neimiei scritti, l’assolutamenteinnegabile, l’«originario». La«struttura originaria» deldestino – ripetiamo qui – èl’apparire dell’esser sédell’essente in quantoessente: l’apparire dell’essersé di ogni essente – epertanto, innanzitutto, degliessenti cheappaiono.L’essersé è insieme il non esser

l’altro da sé, ossia è ildifferiredalproprioaltro–sìche l’esser sé è la differenzadei differenti. (È un essenteanche il linguaggio, quindiancheillinguaggiocheindicaildestino).La struttura originaria del

destino è l’essente che, siapure in modo indeterminato(formale), è l’apparire dellatotalità degli essenti. Inquantoessente,talestrutturaèl’appariredelproprioessersé

(ossia è l’apparire dell’essersé di quell’essente che èl’apparire dell’esser sédell’essente in quantoessente).Inquantoappariredisé, il destino è l’«Io» deldestino–chenonstaaldi làdel «qui ora» e di «questaterra»,ma contiene, avendoliaccolti in sé, ogni qui ora eogni terra. Ciò significa chel’Io del destino è l’essenzapiù profonda del qui ora, incuiconsistequestomioesser

io, ossia la forma empiricadell’esser uomo, a sua voltasopraggiungente.Ma l’Io del destino – cioè

la struttura originaria –implica con necessitàl’esistenzadell’Io infinitodeldestino, cioè l’esistenzadell’apparire infinito deldestino (cfr., in Essenza delnichilismo, «La terra el’essenza dell’uomo»; e LaGloria,II),epertantoimplicacon necessità la propria

finitezza. L’Io finito deldestino (che include l’ioempirico) è senzacontraddizione sé stesso(senza la contraddizione chegli compete in quanto finito)nel e come Io infinto deldestino.Il destino afferma il

proprio essere«l’assolutamente innegabile»perché nella strutturaoriginaria del destino apparechelanegazionediessaè,in

quanto tale, autonegazione.(Cfr., in Essenza delnichilismo, «Ritornare aParmenide»,6–dovel’esser-sé-non-essendo-l’altro-da-séèchiamato «opposizione», edove l’appariredell’autonegazione dellanegazione del destino èindicata con il terminearistotelico élenchos).«Assolutamente innegabile»significa appunto: «(Ciò) lacui negazione è

autonegazione».Si richiami anche che la

struttura originaria deldestino, da un lato, implica(ma non include)quell’insieme dideterminazioni cheeternamente appaionoinsieme ad essa(«determinazionipersintattiche»)echeinsiemead essa costituiscono lo«sfondo» di ogni apparire;dall’altro lato essa include

(quindi implica)quell’insieme dideterminazioni (la «terra»)che sopraggiungono nelcerchio eterno dell’appariredel destino («determinazioniiposintattiche»). Questa frasestessa indica un contenutoche non appartiene allastruttura originaria deldestino, ma è una delledeterminazioni persintatticheimplicate da tale struttura.Questa implicazione – come

l’implicazione della terra – è«necessaria»,ossiaè talechela suanegazioneènegazionedella struttura originaria.(Infatti–perquanto riguardal’implicazionedellaterra–,laterra, proprio perchésopraggiunge, è una partedella totalità delledeterminazioni iposintattiche;ma la necessità che la terrasopraggiunga è unadeterminazione persintattica.Lo si mostra sin da Destino

dellanecessità.Quicfr.Parteterza).

2.L’AUTONEGAZIONEDELLANEGAZIONEDELL’ORIGINARIO

In Essenza del nichilismo

(loc. cit.) si danno due«formulazioni» o «figure»dell’appariredell’autonegazione dellanegazione dell’esser sé deldestino (due «figure»

dell’élenchos di questanegazione),esimostrainchesenso e perché alla secondafigura competa la «massimaampiezza».Sipuòrichiamarein breve, nelmodo seguente,questa seconda figura(rinviando ai miei scritti perquanto riguarda il suo sensocomplessivo e le sueimplicazioni, di granderilievo).La negazione della

differenza (opposizione) tra

due differenti (essenti,significati) qualsiasi –l’affermazione cioè che idifferentinondifferiscono–èl’apparire della differenzanegata. Se in tale negazionela differenza non appare,questa negazione non sicostituisce:manca di ciò cheessa intende negare, non è.L’apparire della differenzacostituisce la negazione (èqualcosa senza di cui lanegazione della differenza

non può essere); e ciòsignifica che la negazionedella differenza nega séstessa, è autonegazione. Essa«intende», vuole negare ladifferenzadeidifferenti,maèimpossibile che ottenga ciòche essa vuole. Taleimpossibilitàè l’impossibilitàcheessanonsiaciòcheessaè: che non includa l’appariredella differenza da essanegata. – E non si ha qui ache fare con un circolo

vizioso (dove l’esser sésarebbe un «fondamento»«fondato» suunadimensionenella quale si presupponel’impossibilità di negarel’esser sé),giacché l’appariredell’autonegazione dellanegazioneè–comesimostrain Essenza del nichilismo(loc. cit.) – una«individuazione» dell’essersé in quanto «universale»essersé.Quanto si è richiamato a

proposito della negazionedella differenza dei differentièquindidariferireancheallanegazionediquelladifferenzamassima che sussiste tral’essente e il nulla (nihilabsolutum). E a volte siritiene – lungo la storia delnichilismo – che questadifferenza non possasussistere perché anche ilnullaèqualcosacheappareeche quindi è un essente.Ma,anche qui, se la differenza

(opposizione) tra essente enulla non apparisse, nonpotrebbe nemmeno essernegata: la negazione di essanon ne sarebbe la negazionema sarebbe l’affermazionedell’identitàconsédapartediqualcosa – di quel qualcosache si potrebbe chiamare«essente-nulla»; due paroleche quindi risulterebberosinonimi.Perchéladifferenzasia negata è cioè necessarioche essa appaia. Ma se la

negazione di tale differenzane è l’apparire, la negazionenega ciò che la costituiscecome negazione, ossia negaséstessa.Nota 1 Anche il destino,

in quanto negazionedell’identità dei differenti(ossia dell’identità dei nonidentici), è l’apparire diquesta identità (e negandolaneafferma l’assolutanullità).Ma l’identità dei differenti,

come ogni contraddizione, èil positivo significaredell’impossibile, ossia delnulla,e ilpositivosignificaredel nulla, cioè la negazionedel destino, non solo è unessente, ma è quell’essentesenza di cui il destino nonpotrebbe essere, cioè nonpotrebbe essere l’appariredell’autonegazione dellapropria negazione.Ciò che ilpositivo significare del nullasignifica è il nulla. Inquanto

è un significato, il «nulla», èappuntoilpositivosignificaredel nulla; ma questosignificato significa nulla(l’assoluta assenza disignificato), e l’apparire delnulla è l’apparire di nulla,ossianonèunapparire.Pertanto il destino è sì

l’apparire di ciò che essonega, ma nel senso che èl’apparire del positivosignificare di ciò che essonega, non di ciò che questo

significare significa: appuntoperché ciò che questosignificare significa (e lostesso esser «ciò che questosignificare significa»appartiene al positivosignificare) è nulla, el’apparire del nulla non èl’apparire senza di cui ildestino non può esserenegazione della proprianegazione, ma è apparire dinulla, cioè non apparire.Mentre la negazione della

differenza dei differenti ècostituita da, e in questosensosifondasuciòcheessanega (e pertanto essa èautonegazione), invece ildestino, come negazionedell’identità dei differenti,nonècostituitoenonsifondasu ciò che esso nega (non ècostituito dal nulla, non è unnulla), ma implica connecessità il positivosignificare di ciò che essonega.

Nel destino, quindi,nemmeno la negazione diquell’identitàdeinon identiciche è l’identità dell’essente edelnullaimplical’apparirediciò che essa nega; ossiaquell’appariredelnullacheèapparire di nulla, nonapparire.Nota 2 Sul significato

«nulla» come significatocontraddicentesi, cioè comesintesi del suo essere un

positivo significare e del suosignificare il nulla, cfr. Lastruttura originaria, IV, eIntorno al senso del nulla.Già Platone, nel Sofista,mostra il carattere aporeticodel significato «nulla»: ilnulla non è alcun essente (equindi, osserviamo, ènecessario affermare, conParmenide,cheilnullanonènemmeno dicibile epensabile) e d’altra parte ilnullaappareeseneparlaelo

sipensa–elosipensaeseneparla soprattutto quando sipensa e si dice che non èdicibilenépensabile.È impossibile che l’aporia

del nulla sia risolvibileall’interno della terra isolatadal destino della verità epertanto dalla strutturaoriginaria del destino. Soloall’interno di tale strutturaappare infatti il sensoautentico dell’esser sé (dapartedell’essente)enonesser

l’altro da sé e quindiquell’assolutamente altro cheè il nulla.Nella terra isolata,come – pensando che gliessenti diventano nulla e neescono – si pensa che gliessenti siano nulla, e si vivesecondo questa convinzione,cosìèinevitabilechesipensiche ilnullaèunessente,esivivaconformementeaquestaconvinzione. Nella terraisolata la follia estrema èinsieme la fede di essere il

fondamento della potenza. Siha fede che il diventar altrodegli essenti, quindi il lorodiventarnullaediventaredalnulla, renda possibile ilcontrollo totale del diventaraltro(ilcontrolloeffettuatodaunDioodallatecnica).Nonèla verità autentica a esserpotenza, ma l’errare, cioè la«verità» della terra isolata(veritas est potentia). Nellastessa terra isolata ci siaccorge che l’inganno, la

menzogna, ossia ciò chenell’isolamento della terraappare come «errore», rendepotenti.Ma a renderepotentièlafolliadella«verità»dellaterra isolata. Fermo restandochelapotenza–lacapacitàdicontrollare il diventar altro –è in verità la fedenell’esistenza della potenza;come il diventar altro è ilcontenuto della fedenell’esistenza del diventaraltro.

Nota 3 La struttura

originaria implica l’essere diessenti che in essa nonappaiono.Implicaadesempiol’essere dell’apparire infinitoe l’essere di altri infiniticerchi dell’apparire deldestino. Implica anchel’essere della propriaautonegantesi negazione (edei vari modi in cui essa sipresenta), ossia l’essere dellacontraddizione;eilcontenuto

della contraddizione èl’impossibile, ilnulla, chenéè né appare. È impossibileche gli essenti che nonappaiono e il cui essere èimplicato dalla strutturaoriginaria sianocontraddizioni. Essi nonappaiono: nel senso cheappaionoindeterminatamente,appaiono i loro tratti formali,appaiono astrattamente. (El’essente che non appare

appare come ciò che nonappare, non come ciò cheappare). Il contenuto nullodelle contraddizioni, invece,non appareperché, in quantoassolutamentenullo,nonpuòapparire in alcun senso; e lacontraddizione che appare èappuntoilpositivosignificaredelnulla.Ogni contraddizione è

pertanto il contenuto di unacontraddizione più ampia,perchélacontraddizione«Xè

e non è Y» è un positivosignificare del nulla e talepositivo significare è incontraddizione con ciò cheesso significa (ciò che essosignifica essendo il nulla). Èin contraddizione perché ilsignificato «positivosignificaredelnulla»nonèilsignificato «nulla» cheperaltroèciòchetalepositivosignificaresignifica.Nota 4 Le contraddizioni

di cui si è detto qui soprasono le contraddizioni«normali»(ades.«XèenonèY»).Ma inquantopositivosignificare le contraddizioninormali sono essenti finiti, eogni essente finito (anche lastruttura originaria e ciò cheessa implica) sonocontraddizioni C (cfr. Lastrutturaoriginaria,VIII).Ogni contraddizione

normaleèunacontraddizioneC; ma non ogni

contraddizione C – einnanzituttolacontraddizioneC che avvolge la strutturaoriginaria – è unacontraddizionenormale.La contraddizione C è il

positivo significare astrattodel positivo concreto; lacontraddizione normale è ilpositivosignificaredelnulla.La terra isolata (che

include anche l’isolamentodelle determinazionipersintatticheeiposintattiche)

è la dimensione totale dellecontraddizioni normali, cioèdel positivo significare delnulla; e insieme è lacontraddizioneCcheavvolgela forma estrema dellanegazionedeldestino.Nota 5 Ciò che appare

appare come ciò che apparesolo se ciò che non appareappare. Che ciò che nonappare appaia non è unacontraddizione solo se

l’apparire di ciò che nonappare è inteso comel’appariredellaformaastrattadi un contenuto concreto chenon appare (giacché senzaquesta distinzione tral’astratto e il concreto latotalitàdiciòchenonapparesarebbe contenutodell’apparire e quindi nonsarebbe qualcosa che nonappare).Mache l’apparirediciò che appare implichi, nelsenso ora indicato, l’apparire

di ciò che non appare nonsignifica che quel contenutoconcretoesista.Èsoltantosulfondamento della strutturaoriginariadeldestinochetaleesistenza può essereautenticamenteaffermata.

3.STRUTTURAORIGINARIAEDETERNITÀDELL’ESSENTE

Quanto è stato richiamato

nel paragrafo 2 intorno alla

seconda figura dell’appariredell’autonegazione dellanegazione dell’esser sé deldestino è sufficiente amostrarechel’apparireditaleautonegazione non richiede,per costituirsi, ossia noninclude, l’affermazionedell’eternità dell’essente inquanto essente, ossia nonrichiede l’affermazione delladeterminazione persintatticacentrale della strutturaoriginaria del destino (quindi

centrale anche nei mieiscritti).Lastrutturaoriginariadeldestinonon richiedecioè,per costituirsi, e non includetaledeterminazione.Non si sta dicendo che la

struttura originaria apparesenza che appaia quelladeterminazione (e senza cheappaiano tutte le altredeterminazioni persintattichedella struttura originaria): sista dicendo che la strutturaoriginaria – che appare solo

in quanto appaiono tutte ledeterminazioni persintatticheche le competono, e quindianche quella che consistenell’eternità dell’essente inquantoessente–sicostituisceed appare senza richiedere esenza includerel’affermazione (oltre che dialtre) di quelladeterminazione persintatticacheèl’eternitàdell’essenteinquanto essente – e qui iltermine «affermazione»

significa l’apparire del trattolinguistico da cui questadeterminazione è indicata.Ossiaècertamenteall’internodel linguaggio che,attualmente, la strutturaoriginaria appare comel’assolutamente innegabile,ma il linguaggio che laindica, e che la indica inquesto suo esserel’assolutamente innegabile,non richiede e non include,perpoterlacosìindicare,quel

particolare tratto linguisticoincuivieneindicatal’eternitàdell’essente in quantoessente. (Anche il contenutodi quanto si sta dicendo nelpresente paragrafo è unadeterminazione persintatticanon richiesta e non inclusanellastrutturaoriginaria).Appunto queste

considerazioni sonosviluppate in Oltre illinguaggio (Parte terza, II:uno scritto da tenere in

particolar modo presente inrelazione a quanto si intendemostrareinquestepagine).Visi dice, da un lato, chel’«essenza della strutturaoriginaria» (II, 7) – ossia ciòche qui avevamoincominciato a chiamaresemplicemente «strutturaoriginaria» – è propriamenteda intenderecome«l’essenzalinguistica» di tale struttura(II, 11); e dall’altro lato sidice che mentre la totalità

delle determinazionipersintattiche appare già dasempre insieme all’appariredellastrutturaoriginaria,cioènon entra progressivamentenell’apparire ma vi appareeternamente (perchéaltrimenti tale struttura nonsarebbe l’incontrovertibile),èinvece il linguaggio, epropriamente il linguaggioche va via via indicando etestimoniando tale totalità, aentrareviavia(conla«terra»,

ossia all’interno della totalitàdi ciò che sopraggiunge)nell’eterno apparire dellasintesi che unisce la strutturaoriginaria e la totalità dellesue determinazionipersintattiche.L’essenza linguistica

dell’originario è il trattoiniziale del linguaggio chetestimonia il destino, e ilcontenuto di questo tratto è,come si è rilevato, ladimensionechegiàcometale

èl’incontrovertibile(ossiaciòla cui negazione èautonegazione). L’essenzalinguistica dell’originarioindica (afferma) il contenutooriginariamenteincontrovertibile. Ma peressere l’originariamenteincontrovertibile talecontenuto non richiede cheappaia la testimonianzalinguistica delle suedeterminazioni persintattiche.Il linguaggio isola cioè tale

contenuto da questedeterminazioni. In quantocosì isolato tale contenuto èincontrovertibile e tuttavia,insieme, è contraddizione.Infatti,inquantoisolato,essopuò includere l’affermazioneche la negazione di quelledeterminazioni è possibile, eincludendola ècontraddizione.Neldestinolanegazione di questacontraddizione non è perònegazione di tale contenuto

ma dell’isolamento in cui illinguaggio lo chiude, e diquel contenuto che èimplicatodataleisolamento.4.ANCORASULRAPPORTOTRAESSER

SÉEDETERNITÀDELL’ESSENTE

In quanto la struttura

originaria implicanecessariamente l’appariredell’eternitàdell’essente (e laimplica in quanto ne è

distinta, non in quanto ne èseparata), è pertantoimpossibile che in talestruttura l’eternitàdell’essente appaia come unapossibilità (insieme, pertanto,alla possibilità opposta).L’affermazione di talepossibilità afferma chel’impossibile (la non eternitàdell’essente) è possibile: ilcontenuto di taleaffermazione èautocontraddittorio; quindi è

impossibile che la strutturaoriginaria,nellamisuraincuiinclude l’affermazionedi talepossibilitàautocontraddittoria(cfr. La struttura originaria,XIII, 15), sia il fondamentodel proprio implicarenecessariamente l’eternitàdell’essente.Ma in quanto lastrutturaoriginariaèl’essenzalinguisticadell’originario,chelo isola dalle suedeterminazioni persintattiche,rendendolo una

contraddizione, in talestruttura l’eternitàdell’essente può apparirecome una semplicepossibilità.Nota Tale struttura è il

fondamento della necessariaimplicazione delledeterminazioni persintattiche,e quindi dell’eternitàdell’essente, non solo inquantotalestrutturaèdistintadalla contraddizione in cui

l’affermazione diquell’autocontraddittoriapossibilitàconsiste,maanchein quanto è distinta dallanegazione di taleaffermazione, giacché questanegazione (la negazione cioèdella possibilità che l’essentenon sia eterno) è appuntoquell’affermazionedell’eternità dell’essente dicui la struttura originaria èfondamento e da cui èpertantodistinta.

In quanto così distinta, lastruttura originaria noninclude nemmeno lapossibilità che il contenutocheinessasimanifestasialatotalità degli essenti (quindinon include nemmeno lapossibilità opposta), cioè lainclude solo in quanto èseparata dalle propriedeterminazioni persintattiche.Ma nemmeno in quantoimplicante l’affermazionedell’eternità di ogni essente,

tale struttura include quellapossibilità, perché taleimplicazioneèilrisolvimentodel problema in cui talepossibilitàconsiste. Infatti, inquanto l’eternità di ogniessente appare nella strutturaoriginaria, in essa appareanche la necessità che tuttociòchenonapparepiùe cheancora non era apparso sia,eterno, anche quando nonappare.(Edèsulfondamentodell’apparire del

sopraggiungere degli essentiche la struttura originariaafferma il loro non apparirpiùenonapparireancora).(Cfr., al termine di questa

Parte seconda, la «Nota alparagrafo4delcapitoloI»).L’eternità dell’essente – e

ogni altra determinazionepersintattica – non è peraltrouna semplice «proprietà»della struttura originaria:l’esser sé dell’essente è

l’eternità dell’essente (ed èogni altra determinazionepersintattica). (Propriamente,tale struttura, come appariredell’esser sé, è l’appariredell’eternità). L’esser sédell’essente è l’eternitàdell’essente perché l’eternitàè un tratto del significatoconcreto dell’esser sé.Fondando l’eternitàdell’essente (e ogni altradeterminazione persintattica)la struttura originaria mostra

la propria concretezza.Fondando, il fondamentomostralapropriaconcretezza,che invece non apparenell’essenza linguisticadell’originario – nell’essenzache tuttavia, per esserel’incontrovertibile, nonrichiede l’apparire di taleconcretezza.Nemmeno l’autonegazione

della negazionedell’originarioèunasemplice«proprietà»diesso:l’essersé

è tale autonegazione. Ma inquestocasol’originarioètale,ossiaèl’incontrovertibilechesi costituisce come essenzalinguistica,soloinquantotaleautonegazione appare inquestaessenza.

5.AUTONEGAZIONEDELLANEGAZIONEDELL’APPARIRE

E anche l’apparire

dell’esserséèqualcosalacui

negazione è autonegazione.Infatti, proprio perché lanegazione dell’esser sé –ossia della differenza deidifferenti – richiedenecessariamentel’apparireditale differenza, proprio perquestolanegazionedell’essersénonècostituitasoltantodaldifferire dei differenti (daessanegato),ma,insieme,dalloroapparire;sìcheancheperquest’altro aspetto lanegazione dell’esser sé è

autonegazione.Nota Dal pensiero greco

alla fenomenologial’esistenza del contenuto cheappare vieneimmediatamente, cioèdogmaticamente, posta comeincontrovertibile. Ma se ilcontenuto che appare nonnecessita, per apparire, dialcuna mediazione – e inquesto senso è immediato –,tuttavia solo in quanto è

originariamente unitoall’appariredell’autonegazione della suanegazione l’immediato èincontrovertibile.Separatodatale autonegazione, essorimaneespostoallapossibilitàdi venir negato. (Infatti,perché sarebbe impossibilenegare – porre comeinesistente – ciò che perapparire non richiede altroche sé stesso? La rispostaoriginaria è appunto

l’élenchos che mostral’autonegazione dellanegazionediciòcheappare).In generale, la scienza

moderna rimane all’internodella prospettivapreidealistica, per la quale la«realtàesterna»agisceinvarimodi sul «soggetto»percipiente («organi disenso»,«cervello», ecc.), chereagisce producendo il«fenomeno»– l’«immagine».Questa prospettiva è una

costruzione teorica(un’ipotesi più o meno«confermata») che sicostituisceapartiredaciòcheessa intende «spiegare» – apartire cioèdall’«esperienza»– e all’interno del nichilismol’«esperienza»èunodeimodiin cui viene interpretato ciòche appare.L’«esperienza» èla ratio cognoscendi in baseallaqualelascienzapervienealla ratio essendidell’«esperienza» stessa.

Anchelateologiarazionale(oalmeno una delle sue formeprincipali) procede nellostesso modo: dallaconstatazione del mondo(constat sensibus aliquamoveri), cioè dalla ratiocognoscendi, essa pervieneall’affermazionedell’esistenza dellaCondizione extramondana(ratio essendi: il Dioimmutabile) del mondodiveniente. (E sia il sapere

teologico, sia la forma oggiprevalentementeassuntadallariflessione filosofica sulsapere scientifico procedonodalla fede: dalla fede nellaveritàdellarivelazionedivinail primo e dalla fede nellascienza il secondo,cioèdallafedechesialascienzaapoterdire come è fatto ilmondo eche la filosofia debba essere,appunto, «riflessione» suquesto dire, che è ilfondamentoautenticodiogni

possibile sapere). La ratioessendi è la «causa»dell’esistenzadell’esperienza.Ilmondo esperito rimarrebbenulla se non esistesse la suacausa.La«riduzione»dellamente

alcervelloèunodeimodipiùrilevanti in cui la scienzamoderna «spiega» ifenomeni. Il riduzionismointende infatti spiegare latotalità dei fenomeni, latotalitàstessadell’esperienza.

Ma anch’esso non può cheprocedere dall’esperienza,costruendosulfondamentodiessa (ratio cognoscendi) ilproprioapparato teorico.Cheè anch’esso ipotetico,sebbene le neuroscienzesembrino rimanere ancoraall’interno dell’usoepistemico del principio dicausalità, trascurando ilcarattere statistico-probabilistico che coltramonto dell’epistḗmē e con

la fisica quantistica taleprincipio è venuto adassumere. In quell’uso,l’esser causa dell’effettosignifica l’impossibilità chel’effettoincominciadesisteresenonincominciaadesisterel’azione della causa. Ma lastessa epistḗmē filosofica ègiunta a scorgere chel’impossibilità non è un fattoesperibile, giacché essarichiede che, al di là di ciòche l’esperienza attesta di

fatto, in nessuna esperienzapossibile (quindi diversa daquella reale) l’effetto abbia aincominciare ad esistere sel’azione della causa nonincomincia ad esistere. Conl’inevitabile tramontodell’epistḗmētramontaquindianche ogni impossibilitàdiversa dall’impossibilità dinegare il diventar altro, e ilprincipio di causalità diventauna sempilice regolaritàempirica sulla cui base si

possono avanzare soltantoprevisioniipotetiche.Anche la riduzione della

mentealcervellosicostruisceapartiredall’esperienza.Cheperaltro è la forma originariadelmentale.Nella sua formaestrema (che è più unatendenza che un’effettivaposizione scientifica) ilriduzionismo propone latotaleriduzionedellamentealcervello (cfr. Immortalità edestino). Ma la riduzione

totale è la negazione delladifferenza, attestatadall’esperienza, tra fattomentale e fatto cerebrale.L’esperienza non attesta cheil fattomentale sia una partedel fatto cerebrale, maall’opposto che il fattocerebrale (il corpo in cuiconsistelamassacerebrale)èuna parte degli oggettidell’esperienza – ad esempiodegli oggetti di unlaboratorio. In questa sua

formaestremailriduzionismoè negazione della propriaratio cognoscendi –autonegazione.Ma il riduzionismo non

assume solitamente questaforma e riconosce ladifferenza tra fattomentale efatto cerebrale, affermandotuttaviacheilfattomentaleè«funzione» di quellocerebrale in modo analogo aquello in cui una qualsiasialtraoperazioneè«funzione»

di un certo organo del corpoumano (ad esempio come ladigestioneè«funzione»dellostomaco). Ma anche la«funzione» è produzione diun effetto da parte di unacausa (l’organo). In questocasosussisteuna«riduzione»delmentale al cerebrale solose il rapporto causa-effetto èasimmetrico, cioè soltanto sel’effetto esiste se esistel’azione della causa, e nonviceversa. Ma un organo

senzalapropria«funzione»èmorto.Soloinapparenzaèunorgano. È un organo«dipinto».Essoèvivosoloseesplicalapropria«funzione»:esiste solo se essa esiste.L’effetto non esiste senza lacausa, e la causa non esistesenza l’effetto.Ma, inquestocaso, se la «riduzione»implica l’asimmetria nelrapporto causa-effetto, allorail fattomentaleè riducibileaquello cerebrale tanto quanto

questoèriducibileaquello.Al di là del nichilismo, e

quindi del concetto diproduzione dell’esistenza,ogni essente è eterno epertantoèimpossibilecheunqualsiasi essente (sia pure latotalità degli essenti) sia, seunqualsiasi essente (siapurequesto breve suono cheappena si sente venire dafuori, o una «sinapsicerebrale»)nonè.

6.APROPOSITODELLEDUEFIGURE

DELL’«ÉLENCHOS»Quanto si è detto nel

paragrafo 2 (ma non nelparagrafo5,comesichiariscenel paragrafo 7) in relazionealla «seconda figura»dell’appariredell’autonegazione dellanegazione della strutturaoriginaria (seconda figuradell’élenchos di tale

negazione) va detto anchedella «prima figura», che inEssenza del nichilismo(«Ritornare a Parmenide», 6)viene formulata dicendo che«lanegazionedeldeterminatoè un determinato» e pertantoè autonegazione – dove il«determinato» è appuntol’essentenelladeterminatezzadel suo esser significante,ossia nel suo esser sé e nonl’altrodasé.Anche della prima figura

va detto cioè che, percostituirsi,nonrichiede,ossianon include, l’affermazionedell’eternità dell’essente inquanto essente – ossia nonrichiedeenonincludeiltrattolinguistico che indical’eternitàdiogniessente.

7.PREMINENZADELLASECONDAFIGURA

D’altra parte, nella prima

figura lanegazionedell’essersé non è costituita dall’essersé e dal suo apparire, masoltanto dall’esser sé – ossiadalla determinatezza dellanegazione stessa delladeterminatezza. Solounendosi alla seconda figurala prima figura mostra cheanchelanegazionediciòcheappareèautonegazione.

8.FONDAZIONEPRIMARIAE

FONDAZIONEULTERIOREDELL’ETERNITÀDEGLIESSENTI.

(SOMMARIO)L’intentodei capitoli II-IV

di questa Parte seconda èmostrare una forma ulterioredi «fondazione» dell’eternitàdell’essente in quantoessente:unsensoulterioreditale fondazione. Nel capitoloI della Parte terza verrannoinveceindicateunasecondaeuna terza fondazioneprimaria dell’eternità, e sono

quiesposteperlaprimavolta.Ulteriore–esubordinata–

rispettoaquellache,presentequasi sin dall’inizio nei mieiscritti, rimane la fondazioneprimaria perché in essa –come nelle altre due orapreannunciate – l’appariredell’eternità dell’essente èuna determinazione checompete immediatamenteall’apparire dell’esser sé,ossia alla struttura originariain quanto contenuto

dell’essenza linguistica deldestino.Ilfondamentodiognifondazione è la strutturaoriginaria.Ilsensocomplessivodiciò

chequisopraèstatochiamato«fondazione ulteriore» puòessere indicato in modopreliminare come segue. Lastrutturaoriginaria, inquantocontenuto dell’essenzalinguistica del destino, è il«fondamento» dell’eternitàdell’essente in quanto

essente,equindiancheditalestruttura, nel senso che lanegazione dell’eternitàimplica la negazione di talestruttura, che èl’originariamente innegabile.È quindi impossibile chel’affermazione (cioèl’apparire) dell’eternità sia ilfondamento della strutturaoriginaria. Tuttavia non èimpossibile (ma, si mostrerà,è necessario) che l’eternitàdella struttura originaria

implichi l’eternitàdell’essente in quantoessente, cioè di ogni essente,echequesta implicazionesiauna fondazione «ulteriore»,rispetto a quella primaria,dell’eternità del Tutto: non èimpossibile nella misura incui questa implicazione siadiversa dall’implicazione incui consiste la fondazioneprimariadell’eternità.Senonfosse diversa presupporrebbeciò che essa intende fondare:

identificherebbe ilfondamento al fondato.Tuttavia, nella fondazioneulteriore, l’eternità dellastruttura originaria puòimplicare l’eternità del Tuttosolo perché, appunto, talestruttura è eterna; e che essasia eterna è pur semprefondato dalla fondazioneprimaria dell’eternità.Appunto per questo talefondazione è ulteriore,subordinata, rispetto aquella

primaria;manon per questo,come si mostrerà, essa è unriproporre il circolo viziosocostituito dall’identificazionedi fondamento e fondato, quisopraindicata.Nella Parte terza viene

invece mostrata una secondae una terza fondazioneprimaria dell’eternità degliessenti. La via che conduceall’apparire della necessitàdell’eternità e che è stata

richiamata nella Parteseconda è cioè circondata daaltre vie – mentre, si èaccennato sopra, lafondazione «ulteriore»dell’eternità è subordinata aquella prima fondazioneprimaria. Il maggiore spaziocheverràdatoallafondazionesubordinata rispetto allefondazioni primarie è dovutoalla circostanza che nei mieiscritti il senso della«primarietà» di tali

fondazioni è già statochiarito,mentreilsensodellaloro «ulteriorità» incominciaa presentarsi nel linguaggioappunto con la «fondazioneulteriore»indicataneicapitoliII-IVdiquestaParteseconda.Nota 1 In quanto

contenuto dell’essenzalinguistica del destino, lastruttura originaria è il«fondamento» dell’eternitàdell’essente,sianelsensoche

esso,comesièdetto,èciòlacui negazione èautonegazione«indipendentemente» da ciòche è «fondato» – ossia, inrelazione a quanto stiamodicendo, dall’appariredell’eternità degli essenti –,sianelsensocheinessiincuiconsistono le determinazionipersintattiche (e pertantol’eternità degli essenti) sononecessari perché la loronegazione include la

negazioneditalecontenuto.Ma a sua volta la struttura

originaria è negazione di séstessaqualorasiaseparatadatali determinazioni, cioèvenga intesa come unadimensione che può apparireanche senza il loro apparire.Se tale struttura è il«fondamento» dell’eternitàdell’essente, nel senso cheesso è ciò la cui negazione èautonegazione«indipendentemente» da ciò

che è «fondato», e quindidall’apparire dell’eternitàdegli essenti, d’altra parte èproprio la fondazione amostrarediessereciòpercuiil fondamento, in quantoisolato da ciò che è fondato,ossia in quanto appare senzache appaia il fondato, non èl’esser sé dell’essente, cioènon è essente – l’essenteessendo tale solo inquanto èil proprio esser sé. (Ritenereche l’essente possa essere sé

senzaapparirecomeessersésignificalasciareinespresso–non «accorgersi» – che unessente siffatto appare pursempre in questo suosupposto esser sé che nonavrebbe bisogno di apparirecome esser sé). Pertanto, sel’apparire dell’esser sé è, nelsenso indicato nel capoversoprecedente, il fondamentodell’apparire dell’eternità,viceversa l’appariredell’eternità è, in quest’altro

senso, indicato in questocapoverso, il fondamentodell’essersé.L’apparire

dell’implicazionedell’eternitàda parte dell’esser sé èl’apparire della negazionedell’isolamento dell’esser sédall’eternità. Taleimplicazione appareeternamente (cioè anchequell’essente che è il suoapparire è eterno). Quanto sista dicendo dell’esser sé

rispetto all’eternità va dettoanche dell’esser sé rispetto atutte le sue determinazionipersintattiche, e va dettoanchediognideterminazionepersintattica rispetto alleproprie determinazionipersintattiche.Nota 2 L’essente è, solo

inquantoèilproprioessersé.Ma questo esser sé non èl’esser sé che appare nellaterraisolataecheperlaprima

volta è indicato, nelframmento di Anassimandro,dalla parola díkē (cfr. Parteprima), ma è l’esser sé cheappare nel destino. L’essentein quanto essente, cioè ogniessente,èsoloinquantoesso,cioèilsuoessersé,appareneldestino. Nella strutturaoriginaria del destino apparelatotalitàdegliessenti;maviappare indeterminatamente –e pertanto tale struttura è unfinito; tuttavia ogni

determinatezzadegliessentiequindi le infinitedeterminatezze che nonappaiono nella strutturaoriginaria appartengono allatotalità che in tale strutturaappare indeterminatamente; esono solo in quanto sono séstesse e quindi in quantoappaiono nell’apparireinfinito del destino (cioènell’apparire la necessità delcui essere è condotta nellinguaggiosindaEssenzadel

nichilismo, cfr. «La terra el’essenza dell’uomo»).D’altra parte, lo stessoapparireinfinitodeldestinoè,ossia è sé stesso, solo inquanto nella strutturaoriginaria appare la necessità(innegabilità)dell’essersé.Lastruttura originaria mostra lanecessità che l’apparireinfinito del destino sia, equindi mostra la necessitàdella propria finitezza, ossiamostra che essa è solo in

quanto l’apparire infinito è;ma a sua volta l’infinito è,solo in quanto il finito, inquanto struttura originaria, è.Questo, non soltanto nelsenso che, ogni essenteessendoeterno,ogniessenteèsolo in quanto ogni altroessente è; ma nel senso che,come si è appena detto, lostesso apparire infinito deldestino è, ossia è sé stesso,solo in quanto nella strutturaoriginaria appare la necessità

(innegabilità)dell’essersé.

9.ANCORAUNAVOLTA,LAFONDAZIONEPRIMARIADELL’ETERNITÀ.CONUN

COROLLARIOPrimadirivolgersiaquella

che all’inizio del paragrafoprecedente è stata chiamata«fondazione ulteriore»dell’eternità dell’essente, sirichiami ancora una volta iltratto centrale della

«fondazione primaria»dell’eternità – anche conl’intento di precisare i temiconsiderati nei paragrafisuccessivi del presentecapitolo. Dopo averrichiamatoqueltrattoneverràmostrata (parr. 15-19) unaproprietà rilevante, peraltrogià indicata all’inizio diquestolibro.Perqualsiasiessente,ilsuo

esser-sé-non-essendo-l’altro-da-sé è tale che l’altro è sia

ogni essente che è altrodall’essente considerato, sial’assolutamente altro da ogniessente, ossia il nulla.(L’essente non è il nulla –sebbene inmodo diverso dalsuo non esser un altroessente). Ma affermare chegli essenti o certi essentiprovengono dal nulla e viritornano significa affermarel’esistenza di un tempo (ilpassato, il futuro) in cui unqualsiasi essente non è, ossia

è nulla: significa affermarel’esistenzadiunadimensionein cui tale essente è nulla,ossia è altro da sé. Nel suosignificatoconcretol’essersédi ogni essente è il suo essereterno.Un certo essente, pertanto,

èeternononinquantoessoèquel certo essente e non unaltro, ma in quanto esso èessente. Eterno è l’essente inquanto essente. Ciò nonsignificachel’essereuncerto

essente non sia eterno: ogniessenteèuncertoessenteesel’esser un certo essente nonfosse eterno non sarebbeeterno alcun essente; masignifica, appunto, che uncerto essente è eterno nonperché abbia il privilegio diesserquelcertoessenteenonunaltro.Corollario L’essenza

della fondazione primariadell’eternità è l’implicazione

necessaria tra il diventarnulla,oilprovenirne,dapartedi un qualsiasi essente, e ilsuo esser nulla. (Affermandoche gli essenti diventanonulla e provengono dal loronulla, si afferma un futuro eun passato in cui gli essentisono nulla: diventando nulla,un essente è nulla; eprovenendo dal nullaproviene da un tempo in cuiesso è nulla; e poiché l’essernulla da parte dell’essente è

l’impossibile negazione dellastruttura originaria, l’essenteinquantoessenteèeterno).Ciò significa che l’essere

(diventato) nulla, da partedell’essente, è esso stessonulla, perché l’essere nullanon significa qualcosa didiverso dall’essere nulla daparte dell’essente. Ma sel’essere nulla è esso stessonulla, ciò significa chel’essente non diventa unnulla: è impossibile che lo

diventi. Lo stesso si dica perlapassatanullitàdell’essente:l’essere(stato)nulla,dapartedell’essente, è esso stessonulla per lo stesso motivoindicato a propositodell’essere (diventato) nulla.Ma se l’essere nulla è essostessonulla,ciòsignificachel’essente non proviene dalnulla, è impossibile che neprovenga.Se invece l’essere

(diventato) e l’essere (stato)

nullanonèessostessonulla,allora,proprioperchél’esserenulla non significa qualcosadidiversodall’esserenulladapartedell’essente,proprioperquestol’essentenondiventaenon è stato un nulla: èimpossibilechelodiventielosiastato.Questa impossibilità che

l’essente in quanto essente,cioè ogni essente, diventi eprovengadalnullaèunmododell’impossibilità, indicata

nella fondazione primariadell’eternità,di talediventaree provenire. L’impossibilitàche l’essente divenga nulla one provenga include cioè lanecessità che l’essere nulla,da parte dell’essente, sia ilsuononesserenulla.Sitrattadiun’inclusioneenondiunadiversa fondazione primariadell’eternità: appunto perché,come si è detto all’inizio delparagrafo, questa necessitàsussiste sul fondamento della

necessitàcheildiventarnullae il provenirne siano l’essernulla da parte dell’essente.Tale fondamento èl’includente, il fondato èl’incluso.Nota La fede che certi

essenti (o tutti) vengano dalnullaevi ritornino (e la fedeèunapparire)è,insieme,fedenell’opposizione tra essente enulla; giacché se l’essentefosse inteso come

originariamente identico alnullanonsiaffermerebbecheessodiventanullaechevienedal nulla (o che il nulladiventa essente). Ma questafede non sa di implicare connecessità quell’identità diessente e nulla che essa hal’intenzionediaffermare.Peraltro, l’apparire

dell’identitàdiessenteenulla(cioè dell’identità che, inquantonegata,appartieneallastruttura originaria del

destino) è negazionedell’esser sé dell’essente (edel suo non esser identico alnulla) solo in quanto il nullaappare nel suo positivosignificare (giacché adapparire non può esser chequalcosa di positivamentesignificante). Se invece ilsignificato nulla vieneconsiderato nel suo esserdistinto dal propriosignificare, alloral’affermazionechel’essenteè

nulla è soltanto l’intenzionedi affermare che l’essente è(nulla):inverità,dell’essente,taleaffermazionenonaffermaalcunché,nonèunaffermare.La struttura originaria può

essere negazionedell’identitàdi essente e nulla solo inquantoilnullaapparenelsuopositivosignificare;tuttaviailnulladicuitalestrutturanegal’identità con l’essente è ilnulla (il significato nulla) inquanto distinto dal proprio

positivo significare. Fermorestando che nella strutturaoriginaria appare la necessitàche un certo essente, peresempio questa lampada,oltre a non essere un nulla,non sia nemmeno quelcert’altro essente che è ilpositivosignificaredelnulla.Del significato nulla, poi,

inquantodistintodalpropriopositivo significare non sipuò nemmeno affermare cheil nulla è nulla e nient’altro.

Cheilnullasianulla–etuttociò che si afferma con veritàdel nulla, questa stessaaffermazione compresa –appartiene al positivosignificare del nulla, non alnulla in quanto distinto nelsensoindicato.

10.FONDAZIONEPRIMARIADELL’ETERNITÀ

EILDIVENTARALTROLa fondazione primaria

dell’eternità, ossial’impossibilità che l’essentedivenganullaeneesca,èuna«specificazione»(ounmodo)dell’impossibilità che unaqualsiasi «cosa»(determinazione, significato)siaaltrodasé,echepertantoesistauntempoincuiessasiaaltro da sé e sia altro da séappunto perché è diventataaltrodaséodaaltrodasé.Ildiventare nulla o dal nulla èuna specificazione del

diventare altro o dall’altro,così come, rispetto a unqualsiasi essente, il suo altroin quanto nulla è, rispetto auna «cosa», unaspecificazione dell’altro inquanto altro dalla «cosa»(dove la «cosa» è, rispettoall’essente, il «ciò che» del«ciò che è» – ossia è il «ciòche»dell’essente–,inquantoil«ciòche»èdistintodalsuo«è»,ossiadalsuo«essere»,edal suo non essere un «non

è»,ossiadal suo«nonessereunnulla»).D’altra parte il diventare

nulla è quella«specificazione» del diventaraltro,dovel’altrodall’essenteè la forma estremadell’altro.Inoltre l’espressione«diventar nulla» rendeesplicito il sensodeldiventaraltro. Diventando altro, lacosa non rimane infatti ciòcheessaèprimadidiventare:ciòcheessa è,o almenouna

parteoaspettodiciòcheessaè prima di diventare diventanulla.Senessuna suaparteoaspetto diventasse nulla, lacosa non diventerebbe altro,ma resterebbeciòcheessaè.Ma nella storia,l’esplicitazione di cui si stadicendo appartiene all’iniziodelpensierofilosofico.All’interno cioè della terra

isolata (ossia nella forma dinegazione del destino che èl’interpretazionediciòchein

essoapparecometerraisolatada esso), appare (cfr. Parteprima)cheèilpensierogrecoa testimoniare per primol’«essente» e a testimoniarlotuttavia come oscillante tral’essere e il nulla: dopo chepermillenniipopolipensanoe vivono il sensopreontologico della «cosa» edel suo diventar altro, ossianonpensanoenonvivono la«cosa»–comeinveceaccadenel destino – come il «ciò

che» in quanto distinto dal«ciò che è», bensì nel suoesser separato, isolato dal«ciòcheè».(Per quanto riguarda le

condizioni dell’apparire delnulla e del suo esser«specificazione» – ossia lecondizioni del positivosignificaredelnulla–,cfr.Lastruttura originaria, IV, eIntornoalsensodelnulla).Cheilrisultatodeldiventar

nulla,odanulla,sial’identitàdell’essente e del nulla – eche pertanto l’essente inquantotalesiaeterno–,èunadeterminazione che, neldestino, non presuppone lafondazione primariadell’eternità dell’essente – sìche tale determinazione è asua volta una fondazioneprimaria dell’eternità. (Tantomeno è la negazione dellaforma preontologica deldiventar altro a presupporre

quella fondazione primaria).Questo,ancheseneldiventarnulla(odanulla)l’identitàdiessente e nulla è piùoriginaria dell’identità che sipresenta nel risultato deldiventar nulla (o da nulla),perché – come appuntomostralafondazioneprimaria– il diventare dal nullaimplica un tempo (l’inizio diquesto diventare) in cuil’essente è ancora nulla (èidentico al nulla) e il

diventare nulla implica untempo (il risultato deldiventar nulla) in cuil’essente è ormai nulla. (Cfr.in La buona fede,«L’origine», III, Nota fuoritesto). Questa maggioreoriginarietà non va cioèconfusa con la presuntapresupposizione dellafondazione primaria da partedella fondazione (a sua voltaprimaria) dell’eternità, nellaquale l’identità di essente e

nulla è rilevata nel risultatodel diventar nulla e da nulla.Che l’inizio e il termine deldiventare implichino, cometali, l’identità di essente enulla non significa cioè chequesta implicazione sia ilfondamento che èpresuppostodall’accertamento che ilrisultato del divenire è ilprodursi dell’identità diessenteenulla.

11.ETERNITÀETEMPO

Poichéèimpossibile(ossia

è negazione dell’originarioesser-sé-e-non-esser-l’altro-da-sé, e pertanto è negazionedel non esser un nulla, daparte dell’essente) che esistaun tempo in cui un qualsiasiessentenonsia,cioèsianulla,è allora ad esempioimpossibile che esista untempo in cui questa giornata,

o quest’ora, o questo istante(con tutto il loro concretocontenuto)sianonulla.Anchenellagiornatadiierieintuttoil passato e in tutto il futuroquesta giornata non è unnulla,ossiaè;essaèeterna.Èimpossibile che il presente(l’insieme degli essenti checostituiscono la «presenzatemporale») sia nulla nelpassato e nel futuro; come èimpossibileche ilpassato sianulla nel presente e nel

futuro, e che il futuro sianulla nel presente e nelpassato.Tuttavianelpassatoappare

qualcosa che è altro dalpresente; e viceversa. Nelpassato appare altro dallaconcreta determinatezza diquesta giornata, anche sedimensionipiùomenoampiedel passato possonocontinuare ad apparire nelpresente. Anche nel futuro(cioè nell’insieme delle

attese, propensioni, progetti,desideri, timori, incertezze,ecc.) appare altro dalpresente (e dal passato).Questa giornata è (eterna),anchequandoeraunpresenteciò che ora appare come ilpassato e quando sarà unpresente ciò che ora apparecomeilfuturo;alorovoltagliessenti passati e futuri sono(eterni),nellaconcretezzachecompete loro quando sonostati e saranno dei presenti,

anche quando appare questagiornata. Se questa loroconcretezza differisce da ciòche di essi appare quandoappare questa giornata, e se,rispetto a questa loroconcretezza, ciò che di essiappare quando appare questagiornata è un astratto, ciòsignifica che, nel passato enel futuro che appaionoinsieme a questa giornata,questa loro concretezza è(rispettivamente) scomparsa

enonappareancora.

12.«ESSEREINOGNITEMPO»Propriamente,nonvadetto

che esista un tempo «in cui»unqualsiasiessentenonsia,eche ad esempio il presentesia, eterno, anche «nel»passato e «nel» futuro, enemmeno va detto chepassatoefuturosiano,eterni,anche «nel» presente; né che

il passato sia «nel» futuro eviceversa. Propriamente, vadettocheilpresenteè,eterno,anchequando il passato e ilfuturo appaiono, e che essisono, eterni, anche quandoappareilpresente.Quell’«essere in» è

improprio,eanziimpossibile,se si intende che gli essentiche sono in un certo temposiano e appaiano, all’internodi un cert’altro tempo, nellostessomodoincuigliessenti

di quest’altro tempo sono eappaiono in esso. (Infatti se,adesempio,questooracheè«ora-che-è-giorno» fosse eapparisse nel passato nellostesso modo in cui, nelpassato, l’oracheè«ora-che-è-notte»èeapparecometale,seguirebbe che, nel passato,l’«ora» sarebbe insiemegiorno e notte, ossiaquell’essente che è l’«ora»del passato non sarebbe séstesso).

Quell’«esserein»ètuttaviaappropriato se l’«ora» delpresente – ossia il contenutoche «ora» è presente – è eappare nel passato in mododiverso da quello in cuil’«ora» è nel presente; eviceversa. Soprattutto,quell’«essere in» èappropriatoseindica,comesiè detto nel paragrafoprecedente, l’essere nellacoesistenzadiduedimensionideltempo,unadellequali(ad

esempio il presente) è unadimensioneeternacheappareel’altra(ilpassatooilfuturo)è una dimensione eterna chenonappare piùononappareancora nella concretadeterminatezza che lecompeteva o le competeràquando,rispettivamente,eraosarà presente.Ogni essente èin ogni tempo nel senso che,pur non apparendo in ognitempo, coesiste con ciò cheappare via via nel tempo,

ossiaèinognitempo.Perl’Occidenteildiventare

passato,dapartediunente,èil suo non esser più (il suoessere un ormai nulla), e ilsuodiventarepresenteèilsuouscire dal suo non essereancora (dal suo essere unancor nulla); ma nelsignificato autentico che glicompeteinquantoappareneldestino,iltempoèinvece,neltempo del contrasto tra il

destino e l’isolamento dellaterra, il variare degli essenti,ossia degli eterni che vannovia via apparendo escomparendo–ilvariare,cioèl’apparire di essenti semprediversi da quelli già apparsi.(Sul senso di quel contrastocfr.Essenza del nichilismo eDestinodellanecessità).

13.«TUTTOINSIEME»

Ma affermare che unadimensione del tempo nonpuò esistere all’interno diun’altra dimensione deltempononsignificaaffermarel’impossibilità che tutte ledimensioni del tempoappaiano insieme.LaGloria,Oltrepassare, La morte e laterramostranoinveceche,senel tempo del contrasto tradestino e terra isolata daldestino questo apparireinsieme nonappare compiuto

(perfectum), è tuttavianecessario che questacompiutezza appaia coltramomto dell’isolamentodella terra e l’avvento dellaterrachesalva.ApartiredallaGloria nei miei scritti simostra che tutti gli essentiche sono scomparsi sonodestinati ad apparirenuovamentequando tramontala follia essenziale in cuiconsiste la terra isolata daldestino(echeperaltroappare

in esso) e sopraggiunge la«terra che salva»dall’isolamento.Tuttociòcheè scomparso è destinato ariapparire totalmente e tuttoinsieme, perché è necessarioche, col tramontodell’isolamentodella terra, latotalità del tempo che èapparsaneicerchideldestinoriappaia tutta insieme inognicerchio così come essa èapparsa prima di queltramonto.

Questo«tuttoinsieme»nonintroduce una figura estraneaalsensocheilsopraggiungeredegli essenti mostra nellastruttura originaria deldestino. Come appariredell’esser sé degli essenti, equindi, innanzitutto, degliessenti che appaiono, lastruttura originaria èl’apparire del sopraggiungeredegli essenti (ossia del lorocomparire e scomparire).Mail sopraggiungere può

appariresoloseil«prima»sucui il sopraggiungentesopraggiunge continua adapparire quandosopraggiunge il «poi»(altrimenti il «poi» nonpotrebbe apparire come un«poi»). Ciò significa che il«prima» appare insieme alpoi.Elastrutturaoriginariaè– sia pure in modoindeterminato, formale,astratto – l’apparire dellatotalità del «prima» e del

«poi», cioè include il tempo,non scorre con esso, sì cheesso appare «tutto insieme»purmostrandoviaviaessentidiversi, cioè mostrandosiincompiuto. Il tempo diquesta incompiutezza è iltempo del contrasto tradestino e terra isolata. Coltramonto del contrasto e conl’avventodellaterrachesalvaapparelatotalitàconcretaeilcompimento del tempo delcontrasto, e ogni «prima»

appare insieme a ogni «poi»(cfr.V,10).

14.OGNIESSENTEÈNULLANELPROPRIOALTRO,INCUIESSOÈ

PERALTROPRESENTECOMENEGATOÈimpossibilecheesistaun

tempo «in cui» (nel sensoprecisato nel par. 12) unqualsiasi essente sia nulla;ma è necessario che unqualsiasi essente X – nella equanto alla sua concreta

determinatezza – sia nulla inun qualsiasi altro essente Y,e che la concretadeterminatezza di Y (cioè diognialtroessente)sianullainX. La concretadeterminatezza di X è, in Y,nulla. CheX, inY, sia nullasignifica che X non è Y.Ossia è necessario chequalcosadiXsianullainY,eviceversa: altrimenti XsarebbeY.In altri termini, se X in

quantotalenonfossenullainYinquantotale(eviceversa),X sarebbe il proprio altro (eviceversa);echeXnonsiaYsignificachevièunsensoperil quale X, in quanto tale, ènulla in Y – ossia è nullarispetto a Y, e viceversa. SeinnessunsensoXfossenullainY (se nessun aspetto diXfosse nulla in Y), X sarebbeY, sarebbe, simpliciter, ilproprioaltroenonséstesso–epertantononsarebbeeterno.

È appunto perché, nelsensoprecisato,XènullainY(eviceversa)cheXnonèunnulla– ed è eterno.Pertanto,il necessario non esser unnulla (e quindi l’essereeterno), da parte di unqualsiasi essente, sidistingueda e insieme implica il suoaltrettanto necessario essernulla in tutto ciò che è altroda esso. L’affermazione: «Èimpossibile che esista untempo “in cui” un qualsiasi

essente sia nulla e tuttavia ènecessario che ogni essentesia nulla “in ogni altroessente”» non è dunque unacontraddizione.C’è l’apparenza di una

contraddizionesenonsitienepresentechegli essentisono,eterni, anche quando nonappaiono ancora o nonappaiono più nel cerchiodell’apparire finito deldestino, e quindi sono «inogni tempo», cioè anche

quandoapparealtrodaessioessi appaiono in modoindeterminato, formale (cioènon nella loro concretadeterminatezza).Ma insensoproprio gli essenti non sono«nel» proprio altro. Puressendoeterni,essisononullaanche«nel»proprioaltrocheappare in tempi diversi daquelli in cui tali essentiappaiono.Soloinquantoessi(nella loro concretadeterminatezza) sono nulla

nell’altro, essi non sono unnulla e non sono il proprioaltro: solo in quanto sononulla anche nell’altro cheappare nei tempi in cui essinon appaiono, essi sono,eterni, in ogni tempo. Inquanto il passato e il futurosonoaltrodalpresente,anchein essi il presente è nulla (eviceversa);mainquantoogniessente è eterno, il presenteesiste insieme al passato e alfuturo, ossia a ciò in cui il

presenteènulla.Undiscorso,quellochesin

dall’iniziosistasviluppando,che – ripetiamo– si riferisceagli essenti che appaiono neicerchi del destino, ossianell’apparire finitodell’apparire infinito dellatotalità degli essenti –l’apparire infinito del destinochenonsoloincludeiltempo(e il tempoèperaltro inclusoanche nei cerchi finiti deldestino),manonhanemmeno

bisogno di variare il propriocontenuto perché include giàda sempre, eternamente,ognicontenuto, nella suaconcretezza.Se il necessario non esser

un nulla (e quindi l’essereeterno), da parte di unqualsiasi essente, si distingueda e insieme implica il suoaltrettanto necessario essernulla in tutto ciò che è altrodaesso,d’altraparteèanche

necessario che esso siapresente, come negato, inogni essente che è altro daesso: è necessario cheappartenga, come negato, adogni suo altro. È, questo, iltema della «traccia»,sviluppatodallaGloriainpoi.In quanto sono gli eterni, gliessenti stanno tra loro inunarelazionenecessaria.Per talerelazione ogni essente è inqualche modo presente inogni altro. Tale presenza è

appunto la «traccia» di ogniessente in ogni altro. Ma latraccia di X in Y non è laconcretadeterminatezzadiX,laquale,inquantotale,inYèappuntonulla.E la tracciadiX(chenonèlatracciadiunaparte o di un aspetto diX) èinYcomepresenzadiciòchenon è Y, ossia è presentecome negata. (Nello sguardodel destino ogni relazione ènecessaria. Ivarimodi incuisi afferma l’esistenza di

relazioni accidentali o«esterne» appartengono allastoriadelnichilismo).Infatti la relazione

necessaria tra X e Y èl’impossibilità che Y sia eappaia indipendentemente daX e viceversa; e questaimpossibilità è la necessitàcheXsia«inqualchemodo»contentuto in Y e viceversa.Ma poiché la concretadeterminatezza di X è, in Y,nulla,ènecessario,daunlato,

cheinYsiapresentelaformaastratta diX (ossia la tracciadiX),dall’altro lato,che taleforma, essendo anch’essaaltrodaX(giacchéèl’altroinquanto forma astratta), siapresente in X come negata.L’esserpresentecomenegataè il «modo» in cui X èpresenteinY.ChecioèX,inquanto traccia diX, sia inYnon è qualcosa dicontraddittoriosoloinquantovièpresentecomenegato.

Ma perché, in Y, X sia

presente come negato ènecessario che Y appaiacome negazione della tracciadiX. Il suosemplice«esserein Y come negato» è il nonessereinY.(L’essereinaltro,come negato, non è cioè una«cosainsé).Ciòsignificacheè necessario che l’essente inquanto essente, e pertantoogni essente, appaia – cheappaia o nel cerchio

dell’apparire finito deldestino o nell’apparireinfinito del destino (cfr. par.1).È necessario che, in Y, X

sia nulla (e viceversa) etuttaviaènecessariocheXsiain qualche modo presente inY.QuestomodoèlapresenzadellaformaastrattadiXinY.SeinYnonfossepresentelaforma astratta di X, sarebbepresente la concreta

determinatezzadiX–eciòèimpossibile, come si èrichiamatoall’iniziodiquestoparagrafo. È impossibileanche perché Y sarebbe iltutto rispetto al quale XsarebbeparteeasuavoltaXsarebbe il tutto rispetto alqualeYsarebbeparte(cioèXeYsarebberoognuno tuttoenon tutto, parte e non parte).Invece è come forma astrattacheXèpartediY,mentreècomeconcretadeterminatezza

che X è il tutto rispetto alquale Y, in quanto formaastratta, è parte (ed è comeformaastrattacheYèpartediX, mentre è comedeterminatezza concreta cheX è il tutto rispetto al qualeY,inquantoformaastratta,èparte).D’altronde, nei casi in cui

X è parte di Y (e viceversa)non solo perché la relazionetra due essenti qualsiasi è

necessaria, ma anche perchéX è quel certo essente cheesso è (così come, adesempio, questa lampada èparte di questa stanza), inquesticasièanchelaconcretadeterminatezza diX ad essercontenuta in Y, e vi è peròcontenuta non come negata,ma come ciò la cui esistenzaèaffermata.InquesticasinonsitrattadellaformaastrattadiX che, come negata, èpresente in Y, ma, appunto,

dellaconcretadeterminatezzadi X, che in Y è presentecome affermata. In questocaso la reciprocità traX eYviene a mancare. Infatti è laformaastrattadeltutto(Y)adesserpresentenella suaparte(X); e ad esservi presentecome negata. (Il che vaquindi detto anche eprimariamente, rispetto allesue parti, del tutto che è lastessatotalitàdegliessenti.Inessa appare quindi, come ciò

la cui esistenza è affermata,anchequellapartediessacheèlaterraisolataecheinessaappare nella sua concretadeterminatezza; mentre nellaterra isolata è presente edappare, come negata – ossiacome ciò la cui esistenza ènegata –, la forma astrattadellatotalitàdegliessenti.–Esi aggiunga che, se nellatotalità degli essenti la terraisolataapparecomeciòlacuiesistenzaèaffermata, la terra

isolata appare peraltro comeerrare,cioècomel’errarecheè negato dal destino perchéesso appare come negazionedel destino, ossia comepositivo significare del nulla–cfr.par.2,nota3).Il rapporto tra X e Y, ora

considerato(doveXèpartediY, e viceversa, non soloperché la relazione tra dueessentiqualsiasiènecessaria,ma anche perché X è quelcerto essente che esso è –

come ad esempio, questalampada,X,èpartediquestastanza, Y), non sostituisce,maèunitoalrapportotraXeY, nel quale X è parte di YperchéXèquelcertoessentecheessoè.Laparteesisteneltutto, come ciò la cuiesistenza è affermata, etuttavia lapartenonè il tuttoepertanto inqualchesensoosecondo qualche suo aspettol’esserparteènullanell’essertutto, e viceversa, e la forma

astratta dell’esser parte è,comenegata, nell’esser tutto.E viceversa, sì che, come iltutto include come negata laforma astratta della parte,anche la parte include, comenegata, la forma astratta deltutto.Poiché la totalità degli

essenti è, inverità, l’apparireinfinito del destino dellaverità, è dunque necessarioche anche la forma astratta

dell’apparire infinito siapresente, come negata, inogni altro essente, ossia inogni parte della totalità degliessenti; e pertanto che viappaia come negata – anchese il linguaggio chetestimonia il destino sadecifrare, solo entro un certolimite,questasovrabbondantericchezzadiciòcheappare.Tale limite è quello che

delimita il finito, ossia lastruttura originaria in quanto

cerchio originariodell’apparire del destino (epertanto la costellazioneinfinita dei cerchi finiti). Illinguaggio che nel cerchiooriginario testimonia ildestino è la decifrazioneincontrovertibile della formaastratta, ossia della traccia,dell’apparire infinito, che èpresente come negata nelfinito. Il finito (in quantostruttura originaria) affermaincontrovertibilmente

l’esistenza dell’infinito, ossiadel proprio altro (e qui X èl’infinito, Y il finito).Affermache l’in-finitonon èil finito.Questaaffermazioneè l’apparire dell’infinito,come negato, nel finito: è latracciadell’infinitonelfinito.L’infinito è – ed è il finito astrutturarsi come l’apparireincontrovertibile di questoessere –, ma nel finitol’infinito è come negato –appunto perché il finito vede

l’infinito non come identico,macomealtrodalfinito.Anchenellaterraisolatala

traccia (forma astratta)dell’infinito, cioèdell’apparire infinito deldestino, è presente ma èimpossibile che vi siadecifrataincontrovertibilmente,giacché ildecifranteè lanonverità. Anche quest’ombrasulla parete o questo ricordodi rintocchi che scandiscono

le ore sono essenti in cui èpresente come negata latraccia dell’infinito, ma seessinonsonoalorovoltadeicerchi dell’apparire deldestino (né si può escludereche lo siano), la decifrazionediqueste traccepuòavveniresoltanto all’interno di queicerchi. E nel frattempo esserimangonoindecifrate.

15.QUANDOLANOTTEDIVENTA

GIORNO,ILGIORNODIVENTANOTTE

L’impossibilità del

diventar altro,necessariamente implicatadalla struttura originaria deldestino, è la necessità cheogniessentesiaeterno.Il diventare altro, da parte

diunessenteX,significaoildiventare un altro essente Y(la legna diventa cenere, ilgiorno diventa notte), o il

diventare nulla. Il diventareda altro, da parte di X,significa o il diventare da unaltro essente Z – (la legnadiventa,daalberovivo,legnada bruciare; diventa giornodallanotteprecedente;lalucedelgiornovienedall’oscuritàdella notte; diventando oessendo già da semprediventato produttore ocreatore del mondo, Diodiventa mondo e il mondodiventaDio)–,o ildiventare

danulla.Ma il diventar Y da parte

di X è necessariamente ildiventarXdapartediY(cfr.Lamorteelaterra,X,III).Sela legna diventa cenere e ilgiorno diventa notte, ènecessario che la cenerediventi legna, la nottesuccessivaalgiornodiventiilgiorno da cui è preceduta, lalegna da bruciare diventil’albero vivo da cui è stataottenuta, che il diventar lieti

da tristi sia ildiventarquestoesser tristi da questo esserlieti,cheilsaliresiascendere,l’ingrandirsi rimpicciolirsi ecosì via; ed è necessario cheildiventarnulladapartediXsia il diventarXdaparte delnulla in cui X è finito, e ilveniredalnulladapartediXsia l’andarediXnelnulladacui X è venuto.Un’affermazione, questa, checompare già, senza esserperaltro rimarcata, nelle

prime righe di questo libro –Parte prima, I, 1 –, aproposito della necessità cheil diventar altro abbiacarattere sincronico e non ilcarattere diacronico che essopresenta lungo la storiadell’Occidente, a partire dalframmentodiAnassimandro.Il diventar Y o nulla da

parte diX è necessariamenteil diventarXdapartediYodel nulla, perché il diventaraltroèl’identificarsiall’altro.

Diventando Y o nulla, Xdiventa identico,rispettivamente, a Y e alnulla. Se non diventasseidentico a Y, e Yincominciasse ad essere, nonsarebbe X a diventare Y(facendolo incominciare adessere);eXnondiventerebbeYseYnonincominciasseadessere. Se X non diventasseidentico al nulla, quando Xdiventa nulla, e l’esser nulladi X incominciasse, non

sarebbeXadiventarnulla; eX non diventerebbe nulla sel’esser nulla di X nonincominciasse. (Lo stesso sidicainrelazionealdiventarXda parte di un cert’altroessente Z, o da parte delnulla).L’apparire

dell’identificazione deldiventante altro e di questosuo altro è appunto lafondazione primariadell’eternità dell’essente in

quanto essente, perché taleidentificazione è negazionedell’esser-sé-e-non-altro, cheappare nella strutturaoriginariadeldestino.Maorasi sta richiamando(soprattuttoinvistadiquantosi dice nel paragrafosuccessivo) unacontraddizione ulteriore,rispetto alla contraddizionedeldiventaraltro,consistentenella identificazione deldiventante altro e di questo

suoaltro.Tale ulteriore

contraddizione è appunto lanecessità che il diventar Y onulla da parte di X sia(sincronicamente) lo stessodiventarXdapartediYodelnulla, sì che un essente,diventando altro, diventa séstesso,cioènondiventaaltro.Questa ulteriore

contraddizione non sussisteindipendentemente dallacontraddizione che appare

nella fondazione primariadell’eternità dell’essente,ma,come si è detto, è implicatada questa. È appunto perquesta implicazione chel’apparire dellacontraddizione ulteriore noncostituisce una secondafondazione primariadell’eternità. È cioè sulfondamento della fondazioneprimariadell’eternitàchepuòapparire quellacontraddizioneulteriore:èsul

fondamento dell’apparire cheil diventar altro èl’identificazione dell’essenteal proprio altro che puòapparire che il diventar altroda parte di un essente è ildiventar questo essente dapartediquestosuoaltro.

16.ORIENTEEOCCIDENTECOMENEGAZIONIDICIÒCHEAPPARE

Nella struttura originaria

del destino il diventar altronon appare: non solo nonappare di fatto, ma èimpossibile che il contenutocontraddittorio dellacontraddizione del diventaraltro (come di ognicontraddizione) sia qualcosache appare. Nella strutturaoriginaria in quanto taleappare il comparire e loscompariredegliessenti;e,inquanto la struttura originariaimplica l’eternità degli

essenti, in tale strutturaapparecheillorocomparireescomparire è il comparire escompariredeglieterni.Nellastruttura originaria in quantotale appare, da un lato, ilcomparire e lo scompariredegliessentie,dall’altrolato,appare l’impossibilità cheappaiailloroincominciareadessereecessarediessere.Perquantoriguardailprimolato,la negazione che il lorocomparire e scomparire

appaia si fonda sull’appariredel loro comparire escomparire, così come lanegazione che questalampada sia accesa si fondasull’apparire di questalampada accesa (ché sequestalampadanonapparisseaccesa, la negazione del suoesser accesa non sarebbenegazione della strutturaoriginaria). Per quantoriguarda il secondo lato, èimpossibile che l’apparire

dell’incominciare ad essere edel cessare di essere sia taleche l’essente, cessando diessere, ed essendo nulla,continuiperòadapparirecosìcome appariva prima dicessare di essere, giacché, secosì fosse, l’essente sarebbenulla. (In modo analogo sidica per l’essente cheincomincia a essere). Nellastruttura originaria in quantotale è impossibile che appaiail diventar altro (e – per lo

stessomotivo–nonsolonellasua forma ontologica, maanche in quellapreontologica).Ma il diventar altro non

può apparire nemmeno nellaterra isolata dal destino:appare la convinzione (lafede)che ilvariaredeglientisia il diventar altro, apparecioè la contraddizione, ma ilcontenuto contraddittorio diquesta contraddicentesiconvinzionenonpuòapparire

(è nulla). Nemmeno nellaterra isolata appare che ildiventarceneredapartedellalegna sia il diventar legnadaparte della cenere, o che ildiventarnulla, dapartediunessente, sia il diventarequesto essente, da parte delnulla. Nella terra isolata sicrede che il diventar altroappaia,ma non si crede che,nel diventar altro, l’altrodiventiciòchediventaaltro.Quindi, ad affermare

qualcosachenonapparesonoproprioqueisaperidellaterraisolata – e innanzitutto isaperi dell’Occidente – per iqualil’eternitàdell’essenteinquanto essente sarebbesmentita dall’«esperienza»,ossia da ciò che appare.Credere nell’esistenza deldiventar altro – e nella suaforma generica questa fedeavvolge anche l’Oriente – ècredere in qualcosa che nonappare e che viene

sovrappostoaciòcheappare.(Il diventar altro è un che

di impossibile, cioè di nullo.Appare pertanto il suopositivo significare, non ciòche tale significare significa.Ilpositivo significarediognicontraddizione è il positivosignificare del nulla.Ciò chenonappare,manonèunchedi impossibile, appare inveceinmododiversodaquello incuiappaionogliessentidicuisi dice che appaiono. Anche

di ciò che, non essendoimpossibile, non appare,appare il suo positivosignificare;mainquestocasoancheciòchequestopositivosignificare significa è unpositivosignificare).17.ALL’INIZIODELLAMETAFISICA

DELLAMORTEQualche sviluppo del tema

del paragrafo precedente

(riprendendo peraltro quantogià altrove, neimiei scritti, èstatorilevatosulnonappariredel diventar altro. Unulteriore prolungamento diquestosviluppoviendatonelparagrafo 11 del capitolo V:«Postille»).Poiché qualcosa come

l’esser uomo non esiste senon esiste la convinzione diessere una forza che ha lacapacità di trasformare ilmondoeséstessa,prevalendo

su altre forze, e poiché ogniconvinzioneèl’apparirediuncerto contenuto, qualcosacome uomo è l’apparire (piùomeno«consapevole»)diuncontenuto che consistenell’esistenza delle cose delmondoenellaforzacapaceditrasformarle o di esseretrasformata, insieme ad esse,da forze antagoniste (chesono anch’esse cose). Già il«primitivo» – se è uomo – èquesta convinzione. La «è»

anchesenon«sa»diesserla.Allabasedellaconvinzione

che esistano forze capaci ditrasformare le cose stadunque laconvinzioneche lecose – quindi anche quelleforze–sitrasformanoesianotrasformabili (diventano altroda ciò che esse sono primadella loro trasformazione, eda altro di ciò che esseincominciano a esseretrasformandosi). Questa basesta al centro di ogni mito,

religione, arte, di ognifilosofiaediogniscienza,delmodo di vivere di ogniciviltà. Tale base ha finitocon l’essere intesa comel’evidenza originariamenteindiscutibile, come veritàincontrovertibile eindubitabile (permanendocomeevidenzaeveritàanchequando è stato messo inquestione il concetto di«forza»o«causa»,chesutalebase si regge). In quanto

vivono sulla base di cuistiamo parlando gli uominisonoimortali.Diventando altro, qualcosa

nonèpiùquel cheeraprima(esser convinti dell’esistenzadel diventar altro significaesser convinti di quel nonesser più). Diventando tristi,l’allegria non c’è più. Imortali non credono chel’allegria di prima se ne siaandataaltrove,nascondendosima rimanendo ciò che essa

era: per essi l’allegria èandatadistrutta.Perimortali,e non per metafora ma insenso proprio, l’allegria èmorta.Anchesepossononondirlo o evitare di dirlo, peressi muore ogni momentodella loro vita. Alla fine,muoiono essi stessi. Sonoconvinti che chi muorediventaquell’altrodalviventeche è il suo cadavere, ol’essere abitatore di un altromondo, o nulla. Il diventar

altroèilsensoessenzialecheimortaliassegnanoalmorire.La base dell’essere un

mortaleècioèlaconvinzionein cui appare la morte: lamortedi tuttociò inmezzoacui egli si trova e di luistesso. E la morte appare, intale convinzione, e in modosempre più «consapevole»,come l’evidenza indiscutibilee originaria, come veritàincontrovertibile eindubitabile. Nel «primitivo»

enelmitoquesta«evidenza»e «verità» sono vissute, cioèguidanoimortalisenzaesserepresenti nel linguaggio,quindi sono i tratti di unafede; poi il linguaggio dellafilosofia intende sollevarli allorosignificatoautentico.Ma, insieme, la filosofia

rende estremo il significatodel diventar altro: l’altro è ilnulla; ciò (il qualcosa) chediventa nulla è un ente. Èinfatti impossibile un «altro»

che, rispetto a un ente (ossiarispettoaogniqualcosachelafilosofia ormai intende comeente), costituisca un’alteritàancoramaggiorediquelladelnulla di tale ente o qualcosa.Quando il pensiero greco sirivolge al «non essere (più)»oal«nonessere (ancora)»diqualcosa che diventa altro oda altro, intende che, nellamisura incui ilqualcosanonè più (o non è ancora), inquesta misura il qualcosa è

diventato assolutamentenulla,anchesediessorimaneancoraunresiduopiùomenoampio.A questo punto, nellaconvinzione che forma labase dell’esser mortale delmortale, è l’annullamentodegli enti e il loro uscire dalnulla (ek toû óntos eis tòmḕón,ektoûmḕóntoseistòón)apresentarsicomel’evidenzaoriginaria. Che non è intesa(non la si intende concepire)come un che di

contraddittorio, soprattuttoperché il diventar altroimplica che il qualcosa chediventa altro non sia l’altrocheessodiventa.D’altra parte, la

convinzione che, nel modoche le è proprio, è l’appariredeldiventaraltroè l’appariredellamorte.Perquanti sforzisi facciano per conservarequel che si ama di ciò chetuttavia diventa altro, ildiventar altro, in quanto tale,

è violenza.È la radice stessadellaviolenzaincui lamorteconsiste.Ciòchediventaaltroè infatti negato, strappato dasé – anzi, è un negarsi, unostrapparsidasé:laviolenzaèinnanzitutto violenza che ilqualcosa esercita su di sé.Ogni morte è innanzituttosuicidio. Le forze che fannodiventare altro le coseagevolano la vocazioneoriginaria delle cose allamorte e al suicidio. Portando

allaluceilsignificatoestremodeldiventaraltro, la filosofiamostra il significato estremo,inaudito, della morte e dellaviolenza. La guerra è lamadre di tutte le cose, pensaEraclito.Ormaiessoguida laTerra.Strappato da sé, ciò che

diventa altro è spinto altrovein duplice modo: nell’altroche è il suo essere un ormaipassato, dove essoimpallidisce, si svuota e si

presenta come ricordo; enell’altrocheèilfuturodoveesso abbandona sé stesso ediventa l’altro che perqualchetemposaràilvivente,l’esistente. Ma anche l’altroche una cosa diventa èstrappatodasé:èinvasodallacosa che diventa altro ecacciato via da sé.Diventando cenere, la legnamuore perché diventa altronel duplice modo appenaindicato; ma anche la cenere

diventa altro da sé e muore,nelsensoche,dacenere-che-è-cenere e che ancora nonesiste (e forse potrebbe nonesistere) nel modo in cuiesiste la legna non ancorabruciata, diventa la cenere-della-legna, l’esistente ceneredellalegna.Ilsuononesserciancora diventa il suo ormaiesserci; come per la legnal’esserci diventa non esserci.Prima di essere la cenere-della-legna, la cenere-che-è-

cenerenonèancora,sebbenepotrebbeessere,cenere-della-legna, sì che, diventandocenere-della-legna, essadiventaaltro.Quando la legna diventa

cenere, infatti, il risultato diquesta combustione non èsoltanto un esser cenere(ossia cenere-che-è-cenere),maè l’esser ceneredi questalegna (dove con la parola«cenere» intendiamo anchetutte le forme di energia che

si producono con lacombustione). Il chevadettoper ogni forma del diventaraltro. D’altra parte ognidiventaraltroè,non in sensosemplicemente metaforico,legna che diventa cenere:morte.I mortali si rivolgono alla

possibilità che esista un altromondoaldilàdell’evidenteeindubitabile diventar altrodelle cose del mondo in cuivivono.Peressi,chelamorte

sia il diventar altro non è unproblema (il problema è,quando la filosofia si faavanti, se la loromorte sia illorototaleannullamento,cioèsenonvisia inessiqualcosache non diventa altro). Nonsospettano neppure che ildiventar altro non sial’evidenza originaria e veritàinnegabile. Considerano unafollia questo sospetto. E ineffetti un sospetto di questogenere mette in questione

l’intera storia dell’uomo; ecomecisipuòpermettereunasimile follia nel tempo dellarazionalitàrigorosadelsaperescientifico?unafolliachenonsolo assume ben presto iconnotati della piùsconsiderata presunzione, mamette inquestione l’evidenzaoriginaria e assolutamenteinnegabile? D’altra parte,proprio perché il mortale èconvinto che il diventar altrodelle cose sia l’evidenza

originariae innegabileverità,potrà egli forse rifiutare chetale evidenza e verità sianomesse alla prova, sicurocom’è che esse non possonoche uscire vincenti?Richiamiamo ancora unavolta il carattere illusorio diquestasicurezza.Che il diventar altro delle

cose sia l’evidenza originariae innegabile verità significainnanzitutto che il diventaraltro appare. L’apparire è la

manifestazione dell’ambitocostituito dalla totalità di ciòche nei diversi modi appare(sì che al centro di essa sta,per il mortale, il diventaraltro).Pertanto l’apparireè iltratto comune che è presentesia nell’«osservabile» e«sperimentabile», sia nel«non osservabile» e «nonsperimentabile». Anche ilDivino del mito appare, e inquesto senso esisteinnegabilmente (anche che le

cosechenonpossonoesisteree non possono apparire inalcun modo appaiono).Quando se ne negal’esistenza, si nega che essoabbia una forma di esistenzaulteriore a quella che essomostra apparendo qui ora:quella forma ulteriore che adesempio è propria del Diodinanzi al quale ilmortale sitrova nella situazioneparadisiaca, essendo facie adfaciemconLui,eDiovienea

essere in qualche modosperimentabile e osservabile.Convinto dell’esistenza deldiventar altro, il mortaleritiene di vivere facie adfaciem con la morte. Qui,secondoilmortale,ildiventaraltro in cui consiste lamorteapparefacieadfaciem.La filosofia pensa che la

faccia della morte sia quellaforma estrema del diventarealtro che è, da parte deglienti, il diventare nulla (non

essere) e da nulla. Il nonesserepiùè ildiventarnulla;il non essere ancoraappartiene al diventare (alvenire) dal nulla. Si può direche questo senso radicale,ontologico, del diventar altrodominiormai laTerra, anchequando il linguaggiodominantepreferiscedireche«qualcosa non era ancora eormai non è più», invece didireche«qualcosaèdivenutodal (proprio) nulla e diventa

nulla». È comunque il sensoontologico del diventar altroad essere inteso ormai, daimortali, come ciò che apparefacieadfaciem.Tuttavia, quando qualcosa

non è più (cioè diventaquell’altrodalqualcosacheèil non essere del qualcosa),tale qualcosa non apparenemmenopiùnelmodoincuiappariva prima di non esserpiù. Nel ricordo, certo, essoappareancora;manelricordo

esso appare, appunto, inmodo diverso da comeappariva prima di diventareun non esser più.Analogamente, quandoqualcosa non è ancora, essonon appare già nel modo incuiapparequandoincominciaa essere. Nella previsioneappare già, ma in mododiverso. (Se qualcosa non èpiù, non può apparire comeappare quando era; se non èancora, non può apparire

come appare quando sarà).D’altraparte, ciòchediventaaltro non è il ricordo o laprevisione.È la legna, non ilricordodellalegnaadiventarcenere; quando c’è la cenereil ricordo rimane o puòrimanere.È la cenere, non laprevisione che la legnadiventerà cenere, aincominciare a essere laceneredellalegnabruciata;laprevisione rimane o puòrimanere (e daccapo come

ricordata).–Quantosièdettoinquestocapoversononsoloè necessariamente implicatodallo stesso senso ontologicodel diventar altro, ma èimplicato anche secondo ilsignificato che la necessitàpossiede all’interno di quelsenso.Ma se, quando qualcosa

non è più, esso non apparenemmenopiùnelmodoincuiappariva prima di non esserpiù, e se, quando qualcosa

non è ancora, è impossibileche esso appaia nel modo incuiapparequandoincominciaa essere, allora è ancheimpossibile che appaia (siacontenuto dell’«esperienza»,ossiaunchediosservabile)ildiventarenonessereedalnonesseredapartedelqualcosa:èimpossibile che appaia il suodiventare altro: è impossibileche l’apparire mostri che ilqualcosa(quandononèpiùequando non è ancora) sia

diventato altro e da altro. «Èimpossibile»significache,sel’apparire lo mostrasse,mostrerebbe e nonmostrerebbeilqualcosacheèdiventato altro, e cioè ilcontenuto evidentedell’apparire sarebbecontraddittorio – laddove,come si è rilevato anchesopra, la convinzione che ildiventar altro sia l’evidenzaoriginaria esclude che ildiventar altro sia un che di

contraddittorio – lo escludesoprattutto perché il diventaraltro implica che ciò chediventa altro non sia l’altrocheessodiventa.Inaltritermini,seunenteè

ormainulla,oèancoranulla,esso non può appartenere,nella misura in cui è nulla,alla totalità degli enti cheappaiono;sìcheèimpossibilechesiaquesta totalitàapotermostrare che tale ente èdiventatonullaedèuscitodal

nulla. Se si vuole affermarel’esistenzadiquestosporgereprovvisoriamente dal nulla, ènecessariochelosiaffermiinbase a un sapere diverso daquello in cui consiste latotalità dell’apparire deglienti.La situazione che in tal

modo si è presentata, si puòdire, è «sconvolgente»: nelsensoche«volgeindirezioneopposta» la situazione in cuisembravapuraepoverafollia

il semplice sospetto che ildiventar altro non siaevidenza innegabile – ilsospetto in cui viene daultimo negata la cosiddettaevidenza innegabile,l’evidenza che inoltre, lungola storia dell’Occidente, èrimasta in vita dopo il crollodiognialtraevidenza.Oralafollia – grandiosa – competeall’intera storia del mortaleperché, se follia è negarel’evidenza del contenuto che

appare, allora è proprio laconvinzione che il diventaraltro appaia a negarel’evidenza del contenuto cheappare: appunto perché èimpossibile che il diventaraltroappaia.Evasottolineatochequestaimpossibilitànonèil risultato di una sempliceispezione «fenomenologica»del contenuto che appare,giacché quel che taleispezione oggi non trovapotrebbe trovarlo domani.

Quellaimpossibilitàèdovuta,si è visto, allacontraddittorietàcheverrebbeacompeterealcontenutocheappare, qualora essomostrasse il diventar altro eda altro, che qui è statoconsiderato nella sua formaontologica – analogheconsiderazioni potendosi farein relazione alla sua formapreontologica (cfr. V:«Postille»,11).Poiché il diventar altro è

l’essenza della morte vaanche detto che è follia –grandiosa – anche laconvinzione dei mortali diconoscere la faccia dellamorte. La morte non appare.Non certo nel senso che nonappaiano il dolore, lasenescenza, l’agonia, ilcadavere: essi appaiono cosìcome appaiono, prima einsieme a essi, la salute, ilpiacere, la giovinezza, lamaturità.Nonapparelamorte

in quanto annientamento. Èimpossibile che dolore,piacere, giovinezza,senescenza, corpo vivo ecadavere e ogni statodell’esistenza appaiano comeun diventare dal loro nulla eun andare nel nulla. Cosìcome ogni stato della legna(dal suo primo fiammeggiarealla cenere) appare; ma èimpossibile cheunoqualsiasidi tali stati appaia comequalcosachedalproprionulla

diventa ciò che esso è, e poiridiventanulla.Si aggiunga che l’apparire

deldiventaraltro(edaaltro),dapartediqualcosa, richiedeche, quando il qualcosadiventa altro, il qualcosacontinui ad apparire nel suonon esser ancora diventatoaltro:continuiadapparircosìanche quando è diventatoaltro. Se non continuasse adapparire il suo non esserancora diventato altro, ma

apparissesoltantoilsuoesserdiventato altro, questo altroapparirebbe,manonpotrebbeapparire come altro dalqualcosa; e quindi nonpotrebbe apparire nemmenocome un che di diventato daquel qualcosa. Se,nell’apparire del diventarcenere da parte della legna,apparissesoltanto lacenereenon la legna, la cenere nonpotrebbe apparire come altrodalla legna: apparirebbe

soltantodella cenere enon ilsuoessereunchediprodottodallacombustionedellalegna– o il suo essere un siffattoprodottosarebbeilrisultatodiun’inferenza, non uncontenuto che appare, che èosservabile, un contenutodell’esperienza.–Lafilosofiadelmortale,inproposito,puòrispondere che, sì, la legnacontinua ad apparire, ma nelricordo.Tuttavia,comegiàsièdetto,nonè il ricordodella

legna a diventar cenere. Lafilosofia del mortale puòdaccapo esser d’accordo,affermando che a diventarcenereèlalegnapassataacuiil ricordo si riferisce.Sennonché questa filosofiaintendeanchetenerfermochela legna passata è diventatanulla. Pertanto, da un lato, ilricordo della legna è ricordodi un nulla – ossia non èricordo: intende esserlo manonpuòesserlo–,dall’altroè

impossibilechesial’apparire,cioèlatotalitàdell’apparire,apoter mostrare che il ricordodella legna sia il ricordo diqualcosacheèdiventatonullae che, diventato nulla, nonappartiene alla totalità di ciòcheappare.Una follia grandiosa, si è

detto, quella del mortale. Èinsieme alla formapreontologicadiessacheegliincomincia ad apparire sullaterra. I mortali sono

innanzitutto questa formadella follia. Che poi lascia ilpasso alla forma estrema,quella ontologica, dovel’altro,neldiventaraltroedaaltro, è il nulla. La formaontologica del diventar altrorisulta, da un lato,dall’evocazione delsignificato radicale del nulla(cioè il nulla comel’assolutamente altrodall’essente) da parte delpensieroontologico-filosofico

e, dall’altro, sia da unadelusione profonda sia dalsuperamento di un timorealtrettanto profondo. Primadell’avvento della filosofia ilmortale vive all’interno delciclo cosmico dell’alternarsidel giorno e della notte, delbuono e del cattivo tempo,delle stagioni e delconseguente differire dellavegetazione, e intende comeciclica anche la propria vita.Gli scheletri dei morti sono

come le piante d’inverno: aprimavera torneranno agermogliare, a ricoprirsi dicarne – quelli che sono statiamati (giacché non si vuoleche le cosee imorti temibilitorninoagermogliare).Masicontinua anche a vedere che,di nuovo, germogliano levegetazioni (e che torna ilsole dopo la notte e il beltempo dopo il cattivo), nongli scheletri dei morti. A uncerto punto la delusione

prevale. E la filosofia, inquanto evocatrice del nulla,senefa interprete.Pensachese i morti non ritornano èperché non sono più, il loroessere non è più: sonodiventati nulla. Il nulla liimprigiona per sempre. Ilpensieroontologico-filosoficoestendepoiaognientequestosenso estremo del diventaraltroedaaltro–ilsensochein relazione al mancatoritorno dei morti esprime la

delusione angosciata perquelli amati e il sollievo perquelli odiati e temuti. Èperché si crede di constatarecheimortinonritornanocheil loromancato ritorno vienespiegato incominciando apensare che essi sonodiventati nulla. Nonviceversa. (Hanno quindi unpeso decisivo i motivi per iquali Nietzsche giunge aformulare la tesi dell’eternoritorno, dove le cose escono

continuamente dal nulla incui sono cadute; sì che nellafilosofia dei mortali lanecessaria impossibilità checiòcheèdiventatonullatorniad essere si trova ad esserenecessariamente incontraddizione conl’altrettanto necessarianecessità che le cose escanoeternamente dal nulla in cuisono cadute. Contraddizione,questa,cheasuavoltamostrala contraddittorietà del

diventar altro – cfr. L’anellodelritorno).Ma, appunto, comunque lo

sivogliaintendere,ildiventarnulla e da nulla non èqualcosa che appaia, nonappartiene alla totalità di ciòche appare, non è uncontenuto dell’«esperienza»,e quindi l’affermazione dellasuaesistenzaèunateoriacheinvece di esibire il propriofondamentoaffermachequeldiventare è evidenza

originaria,ossiaqualcosacheappare innegabilmente.Invece di esibire il propriofondamento nega ciò che ènecessario affermare cheappaia e, si è visto, cheappaia dallo stesso punto divista dell’affermazionedell’esistenza di queldiventare.Se «metafisica» è

affermare che al di là deldiventar altro esiste unmondochenonappare,allora

il mortale è essenzialmente,cioè sin dall’inizio, primaancora di essere filosofo, unessere metafisico, già per ilsuo essere, appunto,affermazione del mondostesso del diventar altro e daaltro.Lametafisicaoriginariadel mortale, che rimarrà alfondamentodi tutte legrandicostruzioni metafisiche delpensiero filosofico e nonfilosofico e di tutto losviluppo storico, è cioè la

follia in cui si è convinti chel’aldilà, che non appare(l’aldilà che è appunto ildiventar altro), sia invece aldi qua e appaia; ossia è laviolenza in cui si vuole cheappaialaviolenzaconsistenteneldiventaraltro.Proprio per aver condotto

all’estremo il senso deldiventaraltroedellamorte–ossia la metafisica originariadel mortale –, la filosofia ècostretta ad assumersi anche

il compito di trovare ilrimediocontroilnullaacuiildiventar altro conduce e dacuiproviene.Eilrimedioèlametafisica in quantoaffermazione dell’Essereimmutabile, inteso già essocome l’ambito che conservainsé,salvodalnulla,tuttociòcheimortaliritengonodegnodi salvezza; e, piùesplicitamente, in quantoaffermazionedell’immortalitàdella loro anima. Il rimedio

che innanzitutto consistenell’affermazionedeldidónaidíkēn tē̂s adikías (cfr. Parteprima). Non si tratta delrimedio contro la follia: lafollia vede sé non comefollia, ma come supremaevidenza.Sitrattadelrimediocontro ciò che questapresuntaevidenzahaevocato.(La violenza metafisica delmortaleèpresenteanchenellasua delusione e nel suosollievo per il mancato

ritorno dei mortirispettivamente amati etemuti. Crede infatti diesperire la totalitàdel tempo;e,siainciòcheesperisce,siain quanto le generazioniprecedenti gli tramandanocomeesperito,nonvedequelritorno.Violenzametafisicaèanche credere che il tempoesperito sia la totalità deltempo.Quindièilmettersiincondizionediaffermarecheilmancato ritornodeimorti sia

qualcosadisperimentato.Macome escludere che dopol’agonia e la morte si ritornidalla morte – sia pure dopoun tempo molto più lungodellanotte–,cosìcomedopoil tramonto, che è l’agonia ela morte del sole, e dopo lanotte, il sole riappareall’alba? come escluderlo,dico, dallo stesso punto divistadellaconvinzioneche ildiventaraltroesista?).

Il senso qui soprarichiamato della follia deldiventar altro si inscriveoriginariamentenellastrutturadel destino della verità. Laconvinzione che il diventaraltro esista non è cioè unateoria che, qualorariconoscesse il non appariredel proprio contenuto,avrebbe la possibilità ditrovare un fondamento equindi di affermare per altravia ciò che non può essere

affermato in base al suoapparire, ossia comecontenuto dell’esperienza. Ildestino mostra che, proprioperchéilrisultatodeldiventaraltrononè,semplicemente,ilnonessere,ilnulla,mailnonessere dell’essente chediventa altro, proprio perquesto tale risultato è il nonessere dell’essente, ossial’esser nulla da partedell’essente. L’essente ènulla: questa identificazione

dell’essente e del nulla è ilcontenuto del risultato deldiventar altro. Il contenutosommamente impossibile. Ildestino mostra cioèl’impossibilità del diventare,da nulla, essente, e daessente, nulla. Lo mostradell’essente in quantoessente, cioè di ogni essente.In altri termini, mostral’eternità di ogni essente.Dunque nonmostra qualcosache è smentito

dall’esperienza: appuntoperché è impossibile che ildiventar altro appaia. Equesta impossibilità appareinnanzitutto nel destino –«innanzitutto»,rispettoalsuoapparire, come si è rilevato,dallo stesso punto di vistadella fede nel diventar altro.La variazione del contenutodellatotalitàdiciòcheapparenonèundiventaraltro,maèl’incominciare ad appariredegli eterni e il loro uscire

dalla totalità di ciò cheappare. Il destino mostra unsenso inaudito della morte.Crederechegliessentiescanodal nulla e vi ritornino èl’orrore e, insieme, l’erroreestremo: l’enticidio che inrelazione all’esser uomo èl’omicidio originario.Nessuna «creazione» è un«atto d’amore»: essa traefuori dal sepolcro, per farlivivere, i cadaveri in cui ilcreatore dapprima li ha

deposti dopo averli prodotti.Cioè questo sarebbe lacreazione se riuscisse adessere ciò che i mortalicredonocheessasia.Seilmortale,affermandoil

diventar altro, affermal’esistenza di qualcosa chenon appare, d’altra parte ciòche appare autenticamentenon è la sempliceaffermazione«fenomenologica» di ciò cheappare.Èviolenzametafisica

sia affermare che il diventaraltro appare, sia affermaresemplicemente(dogmaticamente) che ildiventaraltrononappare.Ciòcheappareautenticamenteèilcontenuto che, nonrichiedendo altro da sé perapparire, è tale che la suanegazione è autonegazione(cfr.par.5).Il nulla che gli enti

diventano differisce dal nullada cui essi provengono.

Quello chiudedefinitivamente i conti conl’esistenza;questoliapre,èlapossibilità di esistere. Unadifferenza necessaria, per ilpensiero dell’Occidente,perché se il non essere deglienti fosse soltantol’impossibilità di essere –quella che rispetto ai mortiimpedisce loro di tornare aessere–,allorasarebbeancheimpossibile che gli enti cheancora non sono (che ancora

son nulla) incomincino adessere. È quindi necessario,per il pensiero dei mortali,che il nulla del non essereancoradifferiscadalnulladelnon esser più. È necessarioche il nulla differisca dalnulla. Ma è ancheimpossibile. Come èimpossibile che il nulla sia«possibilità», la possibilitàessendounmododiessere.La necessaria e insieme

impossibile differenza del

nulla dal nulla si moltiplicapoi all’infinito. Poiché lafilosofia dei mortali pensache ogni cosa delmondo siaun diventar altro, e poiché ilrisultatodiognidiventaraltroè il non essere di quel certoessente che diventa altro, èallora necessario che il nullacheappartieneaognirisultatodifferisca dal nulla cheappartiene agli infiniti altririsultati del diventar altro. Ilnulladellalegna,quandoessa

è diventata cenere, differiscedalnulladelgiorno,quandoilgiorno è diventato notte, ecosì per ogni altro risultatodel diventar altro. Il nulla èun’infinità di nulla chedifferiscono tra loro. Certo,l’Occidente crede che ildiventare altro incominci daqualcosa (legna,X) e giungaa qualcosa (cenere, Y).Tuttavia è necessario checreda che, quando Yincomincia ad esistere,

qualche aspetto o parte di X(almeno un minimum) nonsia più, cioè sia diventatonulla. Questo nulla è nullaassoluto, l’assoluto nulla diX: altrimenti,X permarrebbeinalterato e non sarebbediventatoY.Ma,sièrilevato,è appunto questo nullaassoluto che, nel diventaraltro,ènecessariocheperunverso sia il nulla-possibilitàche differisce dal nulla-risultato, e per altro verso si

moltiplichi all’infinito negliinfiniti risultati del diventarealtro(cfr.V:«Postille»,11).18.DIVENTARALTROEVOLONTÀCHE

LECOSENONDIVENTINOALTRO

Anche la volontà che le

cosenondiventinoaltroèunaforma,unmododellavolontàche esse diventino altro; equindi si fonda anch’essasulla fede nel loro diventar

altro. La volontà che nondiventino altro ha fede,infatti, di essere la forzacapace di non farle diventarealtro,ossiacredechesenzadiessa le cose diventerebberoaltro. Volendo che non lodiventino e che restino quelcheessesono, talevolontàlefa quindi diventar altro daldiventar altro che lorocompeterebbequalorafosserolasciate a sé stesse. Volerechenondiventinoaltroècioè

un modo di farle diventarealtrocheledistoglie(crededipoterle distoglierle) daquell’altro modo del lorodiventar altro checompeterebbe loro se talevolontà non intervenisse.Costringendo (credendo dicostringere) la cosa a nontrasformarsi, tale volontàtrasforma la tendenza dellacosa alla trasformazione(crede di trasformare ciò cheessa crede sia una tendenza

siffatta).

19.IDENTITÀEDIFFERENZANella struttura originaria

deldestinodellaveritàl’essersé dell’essente in quantoessente è l’identità che è (èpresente) in ogni essente.Ogni essente è un esser sédell’essente in quantoessente. L’identità è neidifferenti, è come

differenziata. Poiché lanegazione dell’esser sédell’essente è autonegazione,l’implicazione tra l’esser sédell’essentee l’essersédiunqualsiasiessenteènecessaria–secondo il sensoessenzialeche la necessità mostra nellastruttura originaria deldestino. Implicazionenecessaria: assolutamenteincontrovertibile. Chel’identità sia nei differenti èassolutamente

incontrovertibile.Si può obiettare che

l’implicazione necessaria tradue termini X, Y sussisteperchéXèXeYèY;ecioèchenonpossasussisteretraXe un altro termine Z. Masembra, questa, un’obiezioneche può venir subito lasciatada parte, per il motivo chel’«universale» (l’identità)implica necessariamente lesue molteplici, differenti«individuazioni», ma da ciò

non segue che per il suoimplicarne necessariamenteuna non ne debba implicare,altrettanto necessariamente,un’altraelealtre.Tuttavia, all’interno di

questo modo di intenderlo,l’«universale» implicanecessariamente lamolteplicità delle propriedifferenti «individuazioni» inquantoognunaèidenticaallealtre. L’esser sé dell’essentecometaleimplical’essersédi

ogni essente in quanto ogniessente è un esser sé. Inquesta prospettiva,l’implicazionenecessarianonè l’identità comedifferenziata, non è l’identitànelle differenze, ma èl’identità che si mantiene insé stessa: l’identità implical’identità; e le differenzerimangono al di fuoridell’implicazione necessaria.E invece l’esser sédell’essente in quanto tale

implica necessariamente ledifferenze–cioèl’essersédiogniessente,ossiadeidiversiessenti – in quanto tali. Siripresenta in tal modol’obiezionechesieracredutodi risolvere col semplicerichiamoalsensotradizionaledell’«universale» e delle sue«individuazioni»:l’implicazione necessaria tradue termini X, Y sussisteperchéXèX,enonunnon-X,eYèY,enonunnon-Y;e

cioè tale implicazione nonpuòsussisteretraXeunaltrotermineZ.Va richiamato, allora, che

l’aporia che in tal modo sipresenta è determinataanch’essa dal pensieroseparanteche,inquestocaso,isola l’identità dalledifferenze – ed è negazionedella struttura originaria. Se,nell’implicazione necessariadelle differenze da partedell’identico – che nella sua

configurazione originaria èappunto l’esser sédell’essente in quantodifferenziato nell’esser sé diogni essente –, quel pensierotien fermo l’identico nel suoesserseparatodalledifferenze(ossia dal differenziarsidell’esser sé), allora lamolteplicitàdegliessenti(cheè incontrovertibile) èimpossibile,giacché,separatodall’esser sé dell’essente inquanto essente, è impossibile

cheunqualsiasiessentesiaséstesso e cioè sia; se inquell’implicazione necessariail pensiero separante tienferme le differenze nel loroesserseparatedall’identico,èimpossibile la loroimplicazione necessaria daparte dell’identità(l’implicazionenecessariacheè a sua voltaincontrovertibile), giacché,separate da ciò che in esse èidentico, esse sono un puro

differire l’una dall’altra, epertanto, se sussisteun’implicazione necessariatra l’identico e una di esse,tale implicazione non puòsussistere tra l’identico e lealtre. Dal pensiero separanteseguono cioè due alterazioni:o l’implicazione necessariatra l’identico e le differenzeviene intesa come un’unicaforma di implicazione che siripete identica in relazionealledifferenze,epertantonon

implica le differenze; oppureesse sono intese come undifferire per il quale èimpossibile che, se sussisteun’implicazione necessariatra l’identico e una certadifferenza, tale implicazioneabbia a sussistere tral’identico e una cert’altradifferenza.Tuttavia, che l’identità

(l’esser sé) esista comedifferenziata non significache l’implicazione necessaria

tra l’esser sé dell’essente inquantoessentee l’esser sédiun certo essente (ad esempioquesta lampada) siaformalmente identicaall’implicazione necessariatra l’esser sé in quantoessente e l’esser sé di uncert’altroessente(adesempioquesta finestra). Le dueimplicazioni differiscono,altrimentisarebbeimpossibilela peraltro innegabilemolteplicità dell’essente.

D’altra parte, le moltepliciimplicazioni necessarie deidifferenti da partedell’identico non sono unpuro differire in cui esserestino separate dall’identico.Hanno, appunto, un trattoidentico.Sìcheimplicandoildifferente, l’identico implicasé,eimplicandoséimplicaildifferente.Nonnelsensochel’implicar sé sia identicoall’implicare ildifferente,manel senso che le due

implicazioni necessarie nonsono separate. L’unità in cuil’essersénonèseparatodallesue differenze(«individuazioni») è la stessaunità in cui l’implicazionenecessaria tra l’esser sé e lesuedifferenzenonè separatadaesse.Tale separazione, per la

quale è impossibile chel’esser sé esista comedifferenziato nell’esser sé diogni essente, è

necessariamente connessaallanegazionedell’innegabilestruttura originaria deldestino. Quindi la negazionedi tale separazione ènecessariamente implicata datale struttura. (Quest’ultimaimplicazione è un casonotevole dell’implicazionenecessariadelledifferenzedaparte dell’identico. In questocaso, l’identico è la strutturaoriginaria in quantonegazione originaria della

separazione tra ipropri tratti;le differenze sono lemolteplici negazioni dellaseparazione). E, insieme, lanegazione di quellaseparazione mostra in chemodo l’implicazionenecessaria di una certadifferenza, da partedell’identico, non rendaimpossibile l’implicazionenecessariadiuncert’altrasuadifferenza.(Che poi tra l’esser sé

dell’essenteinquantoessentee l’esser sé di ogni essentesussista un’implicazionenecessaria è dovuto nonsoltantoallapresenza,inogniessente, dell’esser sédell’essente, ma ancheall’eternitàdiogniessente).L’esser sé dell’essente è

l’identità più ampia, perché,essendo l’identità dellepropriedifferenze,èl’identitàdi ogni differenza, cioè diogniessente. (NellaStruttura

originaria l’esser sédell’essente in quantoessente, come distintodall’essersédiogniessente,èqualificato come universaleastratto; l’universaleconcreto è l’unità originariadi questi due ambiti distinti).In quanto appare nellastrutturaoriginariadeldestinotale identità appartieneall’incontrovertibile. Comedistintodalproprioessersé,ilsempliceesseressenteèsìciò

che vi è di identico in ogniessente, ma (in quanto cosìdistinto) non è un contenutoincontrovertibile. Infatti(secondo la terminologiaaristotelica) è un semanticonon apofantico. (L’esseressente è anzi una negazionedell’incontrovertibile se lo sipone come indipendente dalsuo esser sé).L’incontrovertibile è invecel’esser sé dell’essente (nellasua unione all’apparire degli

essenti), ed è esso, di fronteall’aporia qui sopra risolta(come di fronte a ogni altraaporia), a tenersi fermo e adesigerechesiainvecel’aporiaavenirdissolta,mostrandodaquale forma di negazionedella struttura originaria essaèprodotta.

IIVERSOLA«FONDAZIONE

ULTERIORE»DELL’ETERNITÀDELL’ESSENTEINQUANTOESSENTE

1.NON«SIARRIVA»ALLAVERITÀ,NÉESSA«ARRIVAALL’UOMO»

Per un primo passo verso

ciò che si è incominciato achiamare «ulteriore

fondazione» dell’eternitàdell’essente in quantoessente, ci si riferisca aquell’essente che è lo stessocerchiooriginariodeldestino,ossia alla dimensione che sicostituisce come strutturaoriginaria del destino dellaverità.Al destino della verità –

alla verità autentica – non siarriva: è impossibile, ossia ènegazione del destino stesso.Qualcosa come «l’uomo che

cercalaverità,ochela trova“ritornando in sé stesso” (inte ipsum redi), o che “siavvicina sempre di più” adessa», è una negazionedell’esser sé dell’essente cheappare nel cerchio originariodeldestino.(Cosìcomeèunasiffatta negazione anche la«verità»acuisiperviene«pertentativi ed errori». Anchequesta è un degrado dellaverità autentica, non è laveritàinnegabiledeldestino).

Infatti, se per arrivare allaveritàl’«uomo»(ol’«amore»che è «filo-sofo») devecompiere un tragitto, ènecessario che il tragitto sisvolga nella non-verità, cioèsia non-verità (e, in qualsiasimodo si configuri, è esso, inverità,la«caverna»platonica,il regnodelle illusioni);maèimpossibile che la non-veritàconduca alla verità, cioè nesia il fondamento. Èimpossibilechelanon-verità,

in quanto negazione deldestino della verità, sia ciòper cui la verità viene adessere o amanifestarsi lungoun tragittodove lanonveritàprecede e pertanto è separatadalla verità del destino. Inquesta situazione l’«uomo»stesso è il luogo della non-verità.Edèancoranellanon-verità che l’«uomo» «siavvicina» alla verità, sì che,in verità, egli non le siavvicinaaffatto.

Come è impossibile chel’«uomo» arrivi o si avvicinialla verità del destino, così èimpossibilechesialaveritàafarsi innanzi e ad arrivare oad avvicinarsi all’«uomo».Anche qui, infatti, essaarriverebbe nella non-veritàdell’esser«uomo»,ossianellacoscienza che appartieneall’errare; essa sarebbe cioèpensataedaccoltadall’errare,quindi sarebbe errore: nonpuò essere la verità del

destino. Anche qui, è nellaprospettiva dell’errare cheessa possa «avvicinarsi»all’«uomo». E l’attesa dellaverità è non verità. El’impossibilità che la veritàarrivi all’uomo èl’impossibilità che la veritàabbandoni sé stessa, esca dasée finisca, finiscanellanonverità.Nonvisiarrivaenonse ne esce, perché il si chedovrebbearrivarvieuscirneèlanonverità.

(Che l’«uomo» o la«verità» debbano o possanocompiere un percorso perarrivare, rispettivamente, alla«verità» e all’«uomo» èdunque una negazioneinconsapevole dell’esistenzadella verità autentica. Ciòsignificachetalenegazioneèuna forma inconsapevole discetticismo. Al di fuori deldestino della verità il rilievoche lo scetticismo nega séstesso ed è contraddizione

nonèperòdecisivo,perchéloscetticismo può replicaredicendo che esso intendeprecisamente affermare lacontraddizione, ossia il nonessersé.Maneldestinodellaverità appare il sensoautentico dell’autonegazionedella negazione dell’esser sé,equindiloscetticismoapparecomesiffattanegazione,acuinon è più concessa quellareplica).Nemmeno è possibile che

un Dio crei l’«uomo» dalnulla,inmodochesindacheegli esiste esista come unessere che abitaoriginariamente la verità, equindinonesistaalcuntempotrailtempoincuieglisitrovaaldifuoridellaveritàebussaallasuaportaeiltempoincuilaportaglisiapre.Nemmenoquesto è possibile, perchéessere inizialmente nel nulla,da parte dell’«uomo», è unmodo di essere nella non-

verità,el’impossibilitàchelanon-verità divenga verità èinsieme l’impossibilità chesiailnullaadiventarla.

2.NONSIARRIVAALL’ESSERSÉPROCEDENDODALL’AUTONEGAZIONE

DELLASUANEGAZIONEIn quanto l’esser sé del

destinoèciòlacuinegazioneèautonegazione,lanonveritàdi tale negazione è, sì, ciòsenza di cui l’esser sé del

destino non può esserel’originariamente innegabile;ma a tale negazione competequesto esser ciò-senza-di-cuisolamente in quanto essaappare come autonegazione,cioè solo in quanto, negatadal destino della verità, essaappartieneoriginariamentealdestino.Quelcaratterenon lecompete in quanto essa èinveceseparatadaldestino,epertanto è quell’esserneseparata che consiste nel

precederlo, costituendosipertanto come punto dipartenza del tragitto che,mantenendosianch’essonellanon-verità, dovrebbenondimeno poter condurreallaveritàdeldestino.Separata e precedente il

destinodellaverità–separatadalla propria autonegazione(cioè dalla negazione di essada parte del destino, che lanegaappuntoinquantoessaèautonegazione) –, la

negazione del destino dellaveritànon è un ciò-senza-di-cui il destino non èl’originariamente innegabile,maèunaformadinegazionedeldestinoche sopraggiungenelcerchiodeldestino (ossiavi sopraggiunge come unaspecificazione dellanegazione che inveceappartiene originariamentealla struttura originaria deldestino).(Sin dalla Struttura

originaria, nei miei scritti simostra che l’assenza dellespecificazionidellanegazionedel destino – e, da ultimo,l’assenza di una qualsiasideterminazione– implicacheil destino sia, insieme, el’originariamenteinnegabileequella forma dicontraddizione che in quegliscritti è chiamata«contraddizione C». Lanegazione sopraggiungente especificante è negata,

pertanto, inmodo diverso daquelloincuiildestinonegalaproprianegazionecheinessoappare originariamente e cheappartiene pertanto allastruttura originaria di esso.Separata e precedente ildestino della verità lanegazione di esso è cioènegata come qualcosa chenon è ciò senza di cui ildestino non è l’innegabile;laddove la negazione cheappartiene originariamente al

cerchio del destino è negatanel suo essere, appunto, ciòsenza di cui il destino nonpotrebbe essere l’innegabilegiacché – non avendoladinanzi a sé, in sé – nonpotrebbe esserne lanegazione).

3.ARRIVAREALLAVERITÀEDIVENTARALTRO

L’impossibilità che la

verità del destino sia unadimensione a cui si possaarrivare o che possa arrivareessa in un’altra dimensione(che quindi sarebbe unadimensione della non verità)è un modo, peraltro diparticolare rilievo,dell’impossibilità chel’essente in quanto essentedivenga altro da sé (cfr. I,10): anche per quell’essenteche è la verità del destino èimpossibile che esso divenga

altro da sé. Tale modo èinfatti la negazione che laverità sia non-verità: se lanon-verità entrasse nellaverità, o la verità nella non-verità, la verità sarebbe non-verità; e la negazionedell’identità di verità e non-veritàèappuntounmododelnonesseraltrodasédapartedell’essente in quantoessente, quindi da parte diogniessente.Poiché è impossibile che

un qualsiasi essente divengaaltroechequindilaveritàdeldestino divenga altro, èimpossibile che ad essa siarrivi o che essa arrivi inaltro. (L’impossibilità cheessaarrivi inaltroè la stessaimpossibilitàcheessaescadasé e finisca, cioè finisca inaltro). Ciò significa che laverità del destino è eterna.L’apparire che l’esser sédell’essente è ciò la cuinegazione è autonegazione è

eterno.È la stessa verità del

destino a mostrarequell’impossibilitàel’eternitàdell’essenteinquantoessentee quindi anche diquell’essente che è la veritàstessa. Lomostra,mostrandoche il diventar altro negal’esser sé dell’essente: negala struttura originaria deldestino,cioè ilcontenutocheviene indicato dall’essenzalinguistica della verità del

destino(cfr.I,4).Ilcontenutoditaleessenza

è l’originariamenteinnegabile, che per esser tale– si è detto (loc. cit.) –implica sì l’apparire dellatotalità della persintassi dellaverità del destino, ma nonrichiede che tale totalità siatestimoniata dal linguaggio(ossia non richiede l’appariredi tale testimonianza).Ancheil linguaggio èun eterno,maesso sopraggiunge, portatovi

dalla terra isolata, all’internodel contenuto dell’essenzalinguistica del destino, cioèdell’essenza che, in quantolinguistica, è essa stessasopraggiungente. (Illinguaggiotestimonial’eternoappariredell’originario;maillinguaggio sopraggiunge intale apparire, non appareeternamente).Se è impossibile che la

verità arrivi o che ad essa siarrivi, è invece il linguaggio

che la testimonia ad arrivareed è a questo linguaggio chesiarriva.Larivaacuiquestolinguaggioarrivaèlaverità,einnanzitutto la strutturaoriginariainquantocontenutodell’essenza linguistica deldestino.Eaquestolinguaggio«si arriva» nel senso che èdaccapolarivadellaveritàadaccoglierlo–onel sensocheesso è riva in modoessenzialmente diverso dacomeloè laverità:esso loè

inmodo instabile, viene evae «tenta» di rendersi semprepiù idoneo alla funzione chela volontà di testimoniare laveritàgliaffida.Il«tentare»èin relazione agli intenti dellavolontà; ma poi il volertestimoniare laverità–comeogni linguaggio e come tuttociò che appartiene alsopraggiungere della terra –sopraggiunge con necessità econ necessità sopraggiungenel modo in cui

sopraggiunge: la necessitànon è un tentativo el’andirivieni dellatestimonianza non èl’instabilità del suo tentare,ma è il modo in cui lanecessitàsimanifesta.4.LASTRUTTURAORIGINARIACOMEFONDAMENTODELLANEGAZIONE

DELPROPRIOARRIVAREL’impossibilità che la

verità del destino sia una

dimensione a cui si possaarrivare o che possa, essa,arrivare in un’altradimensionesiriferiscequindisia alla verità del destino inquanto totalità che include lastruttura originaria e lapersintassichedetermina talestruttura, sia alla verità inquanto parte di tale totalità,sia alla sola strutturaoriginaria della verità, inquanto contenutotestimoniatodallinguaggioin

cui consiste l’essenzalinguistica della verità deldestino.Proprio perché la struttura

originaria del destino(l’appariredell’essersélacuinegazioneèautonegazione)èl’originariamente innegabile,proprio per questo èimpossibile che essa sia unadimensione alla quale sipossa arrivare o che possaessa arrivare in un’altradimensione. Questa

impossibilitàècioèaffermatasulfondamentodellastrutturaoriginariainquantocontenutodell’essenza linguistica deldestino (cfr. I, 3). La qualeviceversa, per costituirsicome l’assolutamenteinnegabileesserséenonaltroda sé, non richiede che illinguaggio testimoni taleimpossibilità (l’impossibilitàche quell’essente che è lastruttura originaria venga daaltro, e quindi dal nulla, e

divenga altro, quindi nulla).Fermo restando che, nellastruttura originaria deldestino, ciò che è sé e nonaltro da sé è l’essente (è il«ciò che è»), il «ciò che», inquanto distinto dal «ciò cheè»;e l’altrodall’essenteèsial’altro in quanto altro, sial’altro in quanto è quella suaspecificazionecheèilnulla.

5.ETERNITÀDELLASTRUTTURA

ORIGINARIAÈ impossibile che quel

certo essente in cui consistela struttura originaria dellaverità di ogni essente siaqualcosaa cui si arrivio chearrivi essa in altro. È cioèimpossibileche talestruttura,come ogni essente, venga daaltro, e pertanto dal nulla edivenga altro, e pertantonulla. Se diventasse da altro,sarebbe stata altro da sé; se

diventassealtro,sarebbealtroda sé. Sarebbe la negazionedell’esser sé che in essaappare incontrovertibilmente.Questo puro esser sé senzadiventare è la stessa eternitàdellastrutturaoriginariadellaverità.Ciòsignificachel’apparire

dell’impossibilità che quelcerto essente in cui consistetale struttura divenga altro èincluso nella «fondazioneprimaria» dell’eternità

dell’essenteinquantoessente(cfr. I, 8-9). L’appariredell’eternità di questastruttura è cioè inclusonell’apparire dell’eternitàdell’essenteinquantoessente(ossiadiogniessente).

6.ANCORASULRAPPORTOTRAFONDAZIONEPRIMARIAEFONDAZIONEULTERIORE

DELL’ETERNITÀCi si può chiedere che

interesse possano averequeste considerazioni se essevengono condotte in vista diquella fondazionedell’eternità dell’essente inquanto essente che – lo si èanticipato all’inizio delparagrafo 1 del presentecapitolo – dovrebbe essereuna fondazione ulteriore esubordinata rispetto allafondazione primaria. Inoltre,se e poiché la fondazioneulteriore dell’eternità della

struttura originaria è inclusanella fondazione dell’eternitàdell’essenteinquantoessente(fondazione primaria), comepuò la fondazione ulteriorecondurre alla fondazioneprimaria fondando in talmodo l’eternità dell’essenteinquantoessente?Certo, in quanto la

fondazione dell’eternità dellastruttura originaria (o di unqualsiasi cert’altro essente) èinclusa nella fondazione

dell’eternità dell’essente inquanto essente,quest’inclusionenondàluogoa «due» fondazioni ma è lastessa: in quanto incluso (inquanto cioè, apparendo comeincluso, è l’appariredell’includente), l’incluso èl’includente.Ineffettisimostreràchela

fondazione«ulteriore»è tale,rispetto a quella «primaria»,non perché essa siaindipendentedallafondazione

«primaria»: la fondazione«ulteriore»si fonda suquella«primaria» e pertanto, inquestosenso,nonènemmenoulteriore, e porla come tale èuna petitio principii. Ciònonostante si mostreràperché, pur non essendo«ulteriore» nel senso oraindicato, essa non sia uncircolo vizioso. A tal fine sirichiamino alcune altredeterminazioni della strutturaoriginaria.

7.SULRAPPORTOTRAETERNITÀDIUNCERTOESSENTEEETERNITÀ

DELL’ESSENTEINQUANTOESSENTESi indichi con (e)X

l’eternità di un essentequalsiasiX(appartenentecioèsia all’iposintassi dellastruttura originaria – adesempio questa lampada, laproprietà di essere rosso,questo ricordo della giornatadi ieri, ecc. –, sia alla

persintassi di tale struttura –ad esempio «essente»,«apparire», «non diventaraltro», «appariredell’apparire»,ecc.);con(e)Yl’eternità di un cert’altroessente qualsiasi Y; e con(e)EE l’eternità dell’essentein quanto essente, cioè diogniessente.Ilsimbolo(e)–«eternità» – indica l’eternitàdi X, Y, EE in quanto essisono determinazioni di S(essi,nonlaloroeternità,che

non appartiene a S ma ne èuna determinazionepersintattica,fondatasuS).Se (e)X è separato

(isolato)da(e)EE,(e)Xèunanegazione della strutturaoriginaria. Il suo esserseparatoèinfattiilsuoesserepensato indipendentementeda (e)EE e ciò significa che(e)X appare come qualcosache non esclude che uncert’altro essente Y (oaddiritturatuttociòchenonè

X) non sia eterno, ossia nonesclude la negazione di(e)EE.Se laescludesse, (e)Xnon sarebbe separato da(e)EE. (Il concetto di«separazione» – o «concettoastrattodell’astratto»–èunodei temi centrali dellaStruttura originaria). Inquanto così separato, (e)X èunchedicontraddittorio,cioèdinullo,chepertantononpuòessere sé stesso, anche se laseparazione è il tentativo,

necessariamente fallito, direndere radicalmente séstesso ciò che è separato. E,in quanto (e)X è cosìseparato, affermare che X èeterno è una contraddizione(ossia è un positivosignificaredelnulla).Invece, in quanto distinto

da (e)EE, (e)X ènecessariamente sé stesso enon gli altri essenti, perchénella verità del destino (e)Xappare nella sua relazione a

(e)EE, ossia appare, da unlato, come «individuazione»di quell’«universale» che èe(EE), e, dall’altro, comeparte della totalità degliessenti, cioè degli eterni:appare così nella verità deldestino, non in sé stesso, inquanto distinto da (e)EE equindidaquellarelazione.

8.SVILUPPODELLOSTESSOTEMA

Che (e)X, in quantoseparato da (e)EE, nonescludalanegazionedi(e)Yepertanto di (e)EE, significache (e)X, in quanto cosìseparato, non può implicare(e)Y e pertanto nemmeno(e)EE. Ma se l’implicazionedi (e)Y da parte di (e)Xsignifica che (e)X implicasoltanto (e)Yenon l’eternitàdi altri essenti, allora (e)X,anche qualora lo si vogliaintenderecomedistintoenon

separato, è in verità separatoperché è negazione di (e)EE,implicatadaS.Ma è anche impossibile

che (e)X, in quanto distintoda (e)EE, possa implicare(e)EE senza presupporre(e)EE. All’opposto, è sulfondamento di (e)EE che ènecessario affermare (e)X,(e)Y, (e)Z... e il loro essererispettivamente distinti da(e)EE – ossia è (e)EE aimplicare(e)X,(e)Y,(e)Z...e

illoroessercosìdistinti.Edèperché (e)EE implica (e)X,(e)Ye l’eternitàdiognialtroessenteche(e)Ximplica(e)Ye l’eternità di ogni altroessente. (È perché il tuttoinclude necessariamente ognisua parte che ogni parte deltutto implicanecessariamentelealtre).

9.SULRAPPORTOTRAETERNITÀDELLASTRUTTURAORIGINARIAE

ETERNITÀDELL’ESSENTEINQUANTO

ESSENTESi consideri ora la

situazione in cui l’essenteindicato da X è la stessastruttura originaria deldestino della verità, cioè ilcontenuto dell’essenzalinguistica dell’originario.Comeogniessente,anchetalestruttura– lasi indichiconS– è un eterno, secondo lafondazioneprimariadi(e)EE.È quindi impossibile che

l’eternità di S, la si indichicon (e)S, implichi (e)EEsenza presupporre (e)EE inquanto fondata su S secondola fondazione primaria di(e)EE. Non è peròimpossibile che (e)S, inquanto distinta da talefondazionedi(e)EE,quindiinquanto distinta da (e)EE,implichi e fondi a sua volta(e)EE. Non è impossibile,nellamisuraincui(e)Sfonda(e)EE secondo una

fondazione di (e)EE diversadaquellaprimaria.Questa diversa fondazione

è appunto la «fondazioneulteriore»chequestocapitolointende indicare.Essamostraappuntochel’eternitàdiquelcerto essente che è S inquanto distinto da (e)EE,implica, nel senso specificoche caratterizza talefondazione, l’eternitàdell’essente in quantoessente, ossia implica (e)EE.

Sì che tale fondazione non èuncircolovizioso.

IIIUNALTROPASSOVERSO

LA«FONDAZIONEULTERIORE»:SULSENSODELLA«INEVITABILITÀ»DEL«SOTTOSUOLO»DEL

NOSTROTEMPO

1.SOTTOSUOLODELL’OCCIDENTEEFONDAZIONEULTERIORE

DELL’ETERNITÀLa fede nel diventar altro

dellecoseisoladaldestinogliessenti che sopraggiungononel suo cerchio originario (einognialtrosuocerchio).La«terra» è la totalità di talesopraggiungere. Quella fedeisola la terra dal destino.D’altrapartetalefede–cheèinsieme fede nell’esistenzadei contenuti della terraisolata – appareincontrovertibilmente nelcerchiooriginariodeldestino.Essa è l’interpretazione

fondamentale delsopraggiungere: sta allaradice di ogni possibileinterpretazione delmondo. Èall’interno di questainterpretazione originaria cheappare qualcosa come«storia» e come sviluppostorico che dalla fede nellaforma preontologica deldiventar altro conduce allasuaformapiùradicale,quellaontologica,dovealcunecose,o la cosa, sono intese come

l’«ente» che viene daquell’assolutamente altro daessacheèilnullaeviritorna.Stando sul fondamento dellafede nella forma ontologicadel diventar altro è«inevitabile» che il pensierofilosofico pervenga allanegazione dell’esistenza diogni «Ente» eterno eimmutabileediogni«Verità»definitiva ed essa stessaeternaeimmutabile.Nella misura in cui è

capacedimostrare lapropria«inevitabilità» questanegazione è (così vienechiamata nei miei scritti) il«sottosuolo» essenziale etendenzialmente nascosto delpensiero e delle opere delnostro tempo. Quale sia ilcontenuto dell’«inevitabilità»del «sottosuolo» vienerichiamato nei due seguentiparagrafi.Intanto, quel che si sta

dicendo consente di

anticipare che, da un lato, la«fondazione ulteriore»dell’eternità dell’essente inquantoessenteèunaformadi«rovesciamento» delcontenuto dell’«inevitabilità»del «sottosuolo» essenzialedel nostro tempo; e chedall’altro lato talerovesciamentoèimplicatoda,ossiaèfondatosullastrutturaoriginaria in quanto apparecomeeterna–è implicatoda(e)S.

2.OCCIDENTELa fede nel senso

ontologico del diventar altrodegli enti, che appare inGrecia col pensierofilosofico, si allarga fino aporsi alla base e in questosenso a occupare tutto lospazio di ciò che vienechiamato «Occidente». Essaviene vissuta e pensata non

come fede, ma comel’evidenza originariaassolutamentenonsmentibile,finoapresentarsicosì,ormai,atuttiipopolidelPianeta.Come è apparso anche

nella Parte prima di questoscritto, la configurazionedominante della tradizionefilosofica, quella epistemico-metafisica, intende mostrareche se non esistesse un Enteimmutabile ed eterno,«divino» (trascendente il

mondo, o ad essoimmanente), il divenire delmondo sarebbe qualcosa dicontraddittorio, impossibile,nullo – esso che peraltro,anche e innanzitutto in taletradizione, èl’originariamente innegabile,la verità originariamenteevidente.Nella sua essenza, il

«sottosuolo»delnostrotempomostra all’opposto cheproprio se esistesse un

qualsiasi Ente immutabile ildivenire del mondo (sempreconsiderato come la verità el’evidenza originariamenteinnegabile) sarebbecontraddittorio, impossibile,nullo.Inoltre, la tradizione

filosofica intende il rapportotra enti divenienti e Enteimmutabile non comeopinione (dóxa), ma come«epistḗmē della Verità»,sapere assolutamente

incontrovertibile. Per il«sottosuolo»delnostrotempol’impossibilità dell’esistenzadi un Ente immutabile èquindi l’impossibilità di ogniepistḗmē che voglia costruireuna «Verità» diversa dallaverità originaria del divenire,una «Verità metafisica».D’altra parte lo stessoconcetto di «Verità eterna» èconcettodiun«Eterno»,ossiadi qualcosa la cui esistenzaimplica l’inesistenza del

divenire. E viceversa,l’Eterno della tradizionefilosofica appare soltantoall’interno della «Verità»eterna e definitivadell’epistḗmē – sì che lanegazione dell’Eterno è lanegazione stessa di tale«Verità».Nel paragrafo seguente si

richiama in che consistedunque, nella storiadell’Occidente, il contenutodell’«inevitabilità» del

«sottosuolo» essenziale –l’«inevitabilità» del suoprevalere sull’evocazionedell’Eterno da partedell’«epistḗmē della Verità».L’indicazione determinata ditale «inevitabilità» èricorrente nei miei scritti (incontesti diversi); tuttavia ilrapporto, che abbiamoincominciato ad esporre, traquesta «inevitabilità» e la«fondazione ulteriore»dell’eternità dell’essente in

quanto essente rendeopportuno avere sott’occhio,anche qui, il sensodeterminato di tale«inevitabilità».3.INEVITABILITÀDELSOTTOSUOLOAnche nel «sottosuolo» si

sentonovocidiverse(manonmolte). Quella di Nietzsche,ad esempio, è diversa daquelle di Leopardi o di

Gentile, o da quella diDostoevskij. Tuttavia essehannounsuonoincomune:lacapacità di mostrare che iltramonto degli Immutabili è«inevitabile». In ognuna ilsuono comune è avvolto daaltri suoni. Bisogna saperlodistinguere. In esso si dicequantosegue.Il provenire dal nulla e

l’andare nel nulla significanoche il futuro da cui gli entiprovengonoèilloroessereun

ancornullaecheilpassatoincui se ne vanno è il loroessereunormainulla.Maseesiste un Ente eterno,contenuto di una «Veritàeterna» e definitiva (diversadalla verità originariamenteevidente del divenire), èimpossibile che il futuro siaunancornullaeilpassatounormainulla,ossia ildivenire,peraltro evidente, èimpossibile, è un nulla. (Ildivenire richiede il nulla

futuroepassatodelpresente,ma questa richiesta non è unnulla; il divenire implica cheilpresentesiastatoetorniadessere nulla, ma questaimplicazione non è un nulla:all’opposto è la realtàoriginariamenteevidente).Infatti, se esiste un

«Eterno»,manifestatodauna«Verità eterna», il divenire èimpossibile perchél’«Eterno», così manifestato,non può essere alterato,

distrutto, smentito da alcunevento, da alcuna novità, daalcun nuovo o inaspettatosapere. Rimane intatto difronte ad ogni irruzione delnuovo e ad ogni allontanarsidi ciò che non è più. Non ècolto di sorpresa, e quindisottomesso. All’opposto nonpuòesisterealcuneventochesia in grado di rimanereindifferente e inalterato(rispetto a una sua suppostaconfigurazione originaria) di

fronte all’eterna Veritàdell’«Eterno». Incominciandoadesistere (essendoe-vento),unente incominciaa trovarsiinrelazioneall’Eterno;senonaltroperchénonpuòalterarloo distruggerlo. Per questaimpotenza dell’evento larelazionediessoall’«Eterno»è il rapporto dove la Veritàeterna dell’«Eterno» è laLeggeelaRegoladituttociòcheaccade.Ma l’«Eterno» non può

esserequestaLeggeeRegolase esso è impotente rispettoall’ancor nulla e all’ormainulla – se cioè esso puòvenire modificato oaddirittura annientatodall’assoluta imprevedibilitàdi ciò che è ancora nulla odallacapacità,dapartediciòcheormaiènulla,disottrarsialla Legislazione-Regolazione esercitatadall’Eterno. (In relazioneall’ormai nulla, l’«Eterno»-

Verità eterna costringe ilnulla o a rimaneredefinitivamente nulla oppure,come nella dottrinatradizionale dell’eternoritorno, costringe anche ilnullaaritornareeadobbedirealla Legge che glieloprescrive). Pertantol’«Eterno»èlaLegge-Regola(la Verità, appunto) di tuttociòcheaccade,soloinquantoè Legge e Regola anchedell’ancor nulla e dell’ormai

nulla, ed essendone Legge eRegola prevede l’ancor nullae conserva, ossia controllal’ormai nulla, impedendoglidi essere identico all’ente estabilendo il suo eventualeritrasformarsiinunente.Ma,inquantoassoggettato

allaLeggeveradell’Eterno,ilnulla diventa un ente, unsudditodellaLegge.Equestaentificazione del nulla togliealdivenire–alproveniredalnullaeritornarvi–ciòpercui

il divenire è tale. L’assolutaevidenza del divenire,riconosciuta anche dalpensiero che affermal’esistenza dell’«Eterno», èinfatti l’assoluta evidenzadellanullitàdiciòcheancoranonèediciòcheormainonèpiù.L’entificazionedelnulla,a cui perviene la veraaffermazione dell’«Eterno»,implica la nullificazione deldivenire, ossia la negazionedell’assolutamente

innegabile.L’«inevitabilità» della

negazione di ogni «Eterno»manifestato dalla Veritàeterna è data appuntodall’entificazione del nulla,necessariamente implicatadall’affermazionedell’«Eterno»: è datadall’identificazione del nullae dell’ente, cioè dal porre ilnulla come nulla (in quantoanche l’affermazionedell’«Eterno» procede dal

riconoscimento dell’evidenzadeldivenire,cheèl’evidenzadell’ancor nulla e dell’ormainulla, da parte di ciò chediviene)einsiemedalporreilnulla come ente (in quantoascoltatore e suddito dellaLegge eterna). L’Eternoanticipailfuturoenonlasciapassare il passato, li cancellaperchéinessol’ancornullaè,e originariamente, un giàpresente e l’ormai nullacontinua ad essere,

indefinitamente, un ancorapresente.(In questa esposizione

dell’«inevitabilità» del«sottosuolo» si insistesull’unità dell’«Eterno» edella «Verità eterna edefinitiva». L’«Eterno» a cuisi rivolge il «sottosuolo» ècioè, come si è ripetuto,l’«Eterno» in quantomanifestato dalla «Veritàeterna».Siègiàricordatoche

la tradizione epistemico-metafisica non intendel’«Eterno»comecontenutodiuna semplice opinione o diuna semplice fede, ma comecontenuto della «Verità»incontrovertibile –manifestato,appunto,daessa.Sefossesoltantoilcontenutodi un’opinione e di una fedenella sua esistenza,l’«Eterno» sarebbe soltantol’intenzione o la velleità dicostringere tutto e quindi

anche il nulla, implicato daldivenire, ad ascoltare la suaLegge. Di fronte a questoEterno il nulla implicato daldivenire può rimanere nulla,senza esser costretto adiventare ente. E se l’Eternomanifestato dalla «Verità»epistemica è impossibile, amaggior ragione èimpossibile ciò che apparecome l’Eterno soltantoall’interno di un opinare e diunaverfede).

4.DISLOCAZIONEDELSOTTOSUOLOEDELLAFEDENELDIVENTARALTROQuesto – indicato nel

paragrafo precedente – ilsuono comune alle voci del«sottosuolo» essenziale delnostrotempo.Comeeperchéquesto suono sia presentenelle voci degli abitatori del«sottosuolo» – le qualipossono sembrare anche

moltodiversedatalesuono–è mostrato in diversi mieiscritti: per Leopardi inCosaarcana e stupenda, preparatoda Il nulla e la poesia; perNietzsche nel già citatoL’anello del ritorno; perDostoevskij in Muro dipietra; per Gentile inAbitatori del tempo, 3, 1 enella Introduzione a G.Gentile, L’attualismo,Bompiani,Milano,2014.Qui è opportuno osservare

che tale suonoècomuneallevoci del «sottosuolo» anchese, nella fede nel diventaraltro, il diventar altro èdislocato in ambiti o pianiche in ognuna di tali vocisonodiversi.Adesempio,nelpensiero di Leopardi ildiventaraltrodella«natura»èindipendente dall’uomo, cheperaltro appartiene alla«natura». Per Nietzsche ildiventar altro è il contenutodella volontà di potenza (che

proprio perché vuole ildiventar altro vuole l’eternoritorno di tutte le cose). NelpensierodiGentileildiventaraltro è il pensiero, ossial’esperienza umana delmondo.Questa diversa

dislocazionedeldiventaraltronon è arbitraria, ma è a suavolta un processo«inevitabile»: quello che,nella storia del pensierodell’Occidente, conduce dal

«realismo» della tradizioneepistemico-metafisica, al«fenomenismo», sul quale sicostruisce anche l’epistḗmēdella metafisica moderna, einfineall’«idealismo».Sìche,nel «realismo», il diventaraltro è indipendentedall’uomo e tuttavia èritenuto qualcosa dicontraddittorio se nonesistesse l’Eterno. E questacontraddittorietà sussisteanche per la metafisica

moderna, dove però il puntodi partenza del percorso checonduce all’Eterno non è larealtà diveniente in quanto«esterna» al pensiero umanoe«indipendente»daesso,maè il cogito, che è il nuovoluogo in cui il diventar altroviene collocato. Una voltache il cogito avrà mostrato,nel criticismo kantiano, ilproprio carattere«fenomenico»equindilasuainoltrepassabilità da parte di

un qualsiasi percorsometafisico, e una volta chel’«idealismo»avràmostratoilcarattere dogmatico della«cosa in sé»kantiana, l’unitàidealistica di pensiero e diessere diventa l’ultimo luogo(ultimodidiritto,noncertodifatto) dove si disloca ildiventar altro – e il pensierodiGentileèlaconfigurazionepiùrigorosaditaleunità.Inqualchemodo,anchenel

«sottosuolo»delnostrotempo

si ripresenta il processo checonduce dal realismoall’idealismo – e questacircostanza contribuisce aostacolare la visibilità dellapotenza del «sottosuolo» –,mainessoladislocazionedeldiventaraltroèormai sottesadalla capacità di scorgerel’impossibilità dell’esistenzadiogniEterno–lacapacitàincui consiste il suono comunedel«sottosuolo».La difficoltà a sentirlo è

datadunquedallacircostanzache, in ognuna delle voci incuièpresente,essoèavvoltoda altri suoni, che in formapiù o meno accentuatatraggonoaltrove–enonsonosoltanto quelli relativi allediverse dislocazioni deldiventar altro nel processoche dal «realismo» conduceall’«idealismo».5.INTERPRETAZIONEESOTTOSUOLO

Il «sottosuolo» filosofico

del nostro tempo è l’ultimafase della «storia»dell’Occidente, che a suavolta si inscrive nella «storiadell’uomo», a sua voltainscritta nella «storia dellaterra». Ma è all’internodell’interpretareche,inbaseacerte regole, appare qualcosacome «storia dell’uomo edellaterra».El’interpretareel’adozione delle sue regole

sono, da ultimo, volontà,fede, opinione: qualcosa chenonappartieneallaveritàdeldestino (anche se è nelcerchiooriginariodeldestinoche l’esistenza di talequalcosa appareincontrovertibilmente).È quindi all’interno

dell’interpretarecheappare il«sottosuolo» del nostrotempo. Che esso esista eabbia il carattere indicatonelparagrafo precedente non è

un tratto della verità deldestino(ancheseapparenellaverità del destino), ma èaffermato in base allaconvinzione (fede) che lanegazione dell’esistenza del«sottosuolo»siadovutaaunaviolazionedelle regolechesiha fede che siano per lo piùadottate dagli «altriinterpreti» – dove anchel’esistenzadiquestaadozioneè il contenuto di una fede (eingeneraledell’averfedeche

appare nel cerchio deldestino). Detto in modosemplicema inadeguato: taleconvinzione è la convinzioneche, fino ad ora, leinterpretazioni alternativesiano insostenibili – unaconvinzionechepertantononescludedivenireasuavoltaamostrarsiinsostenibile.Se ciò accadesse (ma fino

ad ora non si vede come ciòpossa accadere), e dovessevenire in chiaro che la

filosofia del nostro tempo hapocoonullaachevedereconciò che stiamo chiamando il«sottosuolo», ciò vorrebbedirechelafilosofiadelnostrotempo non riesce a mostrarel’insostenibilità, cioè lacontraddizionedell’affermazionetradizionaledell’Eterno,echeadaverelacapacità dimostrarla sarebbeinveceil«sottosuolo»qualeèindicatoneimiei scritti equisoprarichiamato,chedunque

costituirebbe esso la formapiù radicale della storiadell’Occidente, fondata sullafede filosofica nel diventarnullaprovenendodalnulladapartedeglienti.

6.DESTINOESOTTOSUOLOD’altra parte, che la

coerenzaeradicalitàdiquestafede conduca inevitabilmentealla negazione di ogni

«Eterno» non è soltanto latesi del «sottosuolo»(nemmeno nel quale questafede appare come fede macome fondamento evidente),ma è anche un tratto deldestino della verità – cioèquesta tesi non apparesoltanto nel destino (secondoquanto si è ricordato anchenel paragrafo precedente). Ècioè un tratto del destinol’implicazione tral’affermazione dell’esistenza

dell’Eterno e l’entificazionedel nulla.Nel destino apparela non verità di quella fede,maappareanchechetalefedeimplica necessariamente –cioè secondo la necessità deldestino – l’impossibilitàdell’Eterno.La necessità del destino

non è la necessità che,all’interno di quella fede, sicostituisce tra essa el’impossibilità dell’Eterno.Un certo contenuto non può

essere,nellostessomodo,unaconseguenza della fede neldiventar altro (unaconseguenza della negazionedel destino) e un tratto deldestino. Nella sintassi dellafede nel diventar altro,l’«inevitabilità» dellanegazione dell’Eterno nonpuòaverel’incontrovertibilitàe necessità che invececompete alla verità deldestino della verità. Ogninesso che, nel «sottosuolo»,

conduce alla negazionedell’Eterno si fonda sullanon-verità della fede neldiventar altro; e sono non-veritàancheleregoleinbasealle quali un asserto del«sottosuolo» conduce ad unaltro. Inoltre, come tratto deldestino, l’implicazione trafede nel diventar altro eaffermazione dell’Eterno nonè soltanto un contenutodell’interpretazione, non èsoltanto inscritta nella

«storia»,maèpresenteanchecomepurosignificato.Si aggiunga che il

«sottosuolo» nega l’esistenzadell’Eterno perché essaimplica l’entificazione delnulla, ossia l’identificazionedelnullaedell’ente.Elafedeneldiventaraltronegasìchel’ente sia nulla, appuntoperché, nel divenire, l’ente èaltrodalnulladacuiprovieneeincuiritorna;maall’internodi questa fede l’opposizione

di ente e nulla è essa stessaunafede(eanziunafedeche,nonostante l’intenzione diopporre l’ente al nulla,inconsciamente li identifica,appunto perché essa affermachel’enteprovienedalnullaevi ritorna). L’opposizione diente e nulla è pertanto lastessafedeneldiventarnulla:il «principio di noncontraddizione» afferma chel’ente non è altro da séduranteiltempoincuiessoè,

iltempochecioèèprecedutoe seguìto dal tempo in cuil’ente non è, è nulla – e ildiventar altro è appunto lasuccessione che dal futuro,attraversoilpresente,portaalpassato. Laddove nel destinol’essersé,ossial’opposizionediessenteedinulla,nonèlafede e il dogma in cuiconsiste il «principio di noncontraddizione».Ancora: la fede nel

diventar altro isola l’esser sé

dall’impossibilitàdeldiventaraltro. Nella strutturaoriginaria del destinol’apparire dell’esser sé èdistinto, ma non isolato,dall’apparire di taleimpossibilità. E se, comedistinto, esso è già, in talestruttura,ladimensionelacuinegazione è autonegazione,ciò avviene non perchéquell’impossibilità nonappaia, ma perché questadimensione, in quanto

contenuto dell’essenzalinguistica della strutturaoriginaria (cfr. I, 3-4), sicostituisce anche se nonappare la testimonianzalinguistica di quellaimpossibilità.Nota1 Resta chiarito, da

quanto si è detto, il diversoandamento del capitolo X diOltrepassarerispettoalmodoin cui in Capitalismo senzafuturo viene considerato il

processo che sul fondamentodel «sottosuolo» filosoficodelnostrotempoconducealladominazione della civiltàdellatecnica.InOltrepassaresi mostra la necessità delsopraggiungere di taledominazione:lanecessitàcheè tale nello sguardo deldestino – (e vi si mostraanche lanecessitàche,primadel tramonto della terraisolata, abbia a tramontare lastessa civiltà della tecnica e

che la testimonianza deldestino divenga il linguaggiodei popoli). In Capitalismosenza futuro simostra invecequella forma di «necessità»del sopraggiungere delladominazione della tecnica,che è tale all’interno dellaterra isolata e propriamenteall’interno del nichilismodell’Occidente, in cuil’isolamento della terraraggiunge il proprio culmine– una «necessità» che non

può non essere, insieme, una«tendenza statistico-probabilistica».Nota 2 Oggi le grandi

forze del Pianeta intendonoancora servirsi della tecnicaper realizzare i propri scopitra loro conflittuali. Anche esoprattuttoilcapitalismo.Elademocrazia – o quella formadi democrazia che ilcapitalismo considera piùadatta all’incremento del

profitto privato e che è lademocraziaprocedurale,ossialaformadidemocraziamenolegata ai valori tradizionali,come quelli religiosi, chemenosonocompatibiliconlavolontà di porre il profittoprivato come scopo dellasocietà intera. (Mi storiferendo anche qui a temichealtrovehosviluppato).D’altra parte, anche la

tecnica possiede di per sé,ossia in quanto tecnica, uno

scopo: l’aumento indefinitodella potenza (cioè dellacapacità di realizzare scopi).Proprio per questo la tecnicaguidatadallascienzamodernaèoggi lapotenzasuprema.Etuttavia essa viene assuntacomemezzoperrealizzaregliscopi di potenze che le sonoinferiori. Il potenziale dellatecnica viene in tal modofrenato dalla volontà direalizzarliservendosidiesso.Ma ciò significa che

l’incremento del profittoprivato o la democraziaprocedurale sono piùampiamente e pienamentegarantiti e realizzati in unasituazione sociale dove loscopo non è il profitto o lademocrazia, ma l’aumentoindefinito della potenzatecnicacheperrealizzaretalescopo si serva anche (oltreche di sé stessa) delcapitalismo e dellademocrazia.Nonessendopiù

queste forze («ideologiche»)aservirsidella tecnica,ma latecnicaaservirsidiesse,esserestano cioè potenziate inmisura maggiore di quellache si ottiene quando invecesono esse a servirsi dellatecnica come mezzo perrealizzare i loro scopi. Latecnica è appunto destinata aquella situazione, in cui lespettaildominiodelmondo.La crisi in cui oggi si

trovano sia il capitalismo sia

lademocraziaproceduraleèilsintomo di una crisiessenzialmente più profonda,che è conseguenza di quantoèstatooraaccennato.Èinfattiinevitabile che, lungo ilprocesso costituito dalrovesciamento in cui ciò cheè mezzo viene a presentarsicome scopo e viceversa, leforzechecomeilcapitalismoe la democrazia intendonovalere come scopi dellasocietà intera vengano

ridimensionatedallorovenirea disporsi comemezzi di cuilatecnicapuòservirsi.Primache si concluda, il processocheconducealladominazionedella tecnica (dominazioneche peraltro progetta unaumento indefinito dellapotenza) è cioè,inevitabilmente, unariduzione delle «libertàdemocratiche»edelle«libertàdi intrapresa». Ma colconcludersiditaleprocesso–

conlapotenzadicuisivieneadisporreinseguitoaquestoconcludersi – le «libertà»economico-politiche, purrimanendo mezzi, ottengonouna possibilità di svilupposuperiore a quelle di cuigodono quando ancora sisforzano di valere come gliscopi a cui ogni altro scopodeveesseresubordinato.

7.«ROVESCIAMENTO»

(ANTICIPAZIONE)Alla fine del paragrafo 1

del presente capitolo si èdetto che la «fondazioneulteriore» dell’eternitàdell’essenteinquantoessenteè una forma di«rovesciamento» delcontenuto «inevitabile» del«sottosuolo» essenziale delnostro tempo, cioè delcontenutoincuivienenegatal’esistenza di ogni Eterno.

Ora va aggiunto che la«fondazione ulteriore» èanche,comesimostrerà,unaforma di «rovesciamento» diquel tratto del destino in cuiappare,aldi làdellafedeneldiventar altro, l’implicazioneautenticamente necessaria traquesta fede e l’affermazionedell’Eterno.Nel capitolo seguente

vengono mostrati, appunto, itratti di tale rovesciamento,ossia della «fondazione

ulteriore» dell’eternitàdell’essente in quantoessente.Simostracioèchetra(e)S, in quanto distinta da(e)EE,e(e)EEsussistequellaforma specifica diimplicazione che caratterizzala «fondazione ulteriore»dellastessa(e)EE.Il che non esclude (cfr. I,

9) che (e)S sia fondata su(e)EE (non appartenente alcontenutodiS in quantoS–sebbeneilsuoapparire,come

l’apparire di ognideterminazione persintattica,sia necessariamente richiestodall’apparire di S), giacché èappunto la forma specificadell’implicazionedi (e)EEdaparte di (e)S ciò per cui taleimplicazione–dove,siripeta,(e)EEèilfondamentodi(e)S– si distinguedall’implicazione di (e)EEnella quale consiste la«fondazione primaria» di(e)EE.

IVLA«FONDAZIONE

ULTERIORE»DELL’ETERNITÀDELL’ESSENTEINQUANTOESSENTE

1.ANTICIPAZIONECOMPLESSIVADELLAFONDAZIONEULTERIORE

A questo punto

l’andamento complessivodella «fondazione ulteriore»

dell’eternità dell’essente inquanto essente può essereanticipatonelmodoseguente.La fede nel diventar altro,

si è visto, implica in modoautenticamente necessariol’impossibilità di ogni eterno– la implica cioè non solosecondo il senso dellanecessità che appartiene al«sottosuolo» del nostrotempo, ma anche secondo lanecessità del destino dellaverità.

Invece, il «rovesciamento»di cui si è detto anche allafine del capitolo precedente,l’innegabile eternità di quelcertoessentecheèlastrutturaoriginaria del destino – ossia(e)S, in quanto distintadall’eternità dell’essente inquanto essente, ossia da(e)EE (su cui (e)S è peraltrofondata) –, implical’impossibilità che ognialtroessente (ossia ogni essentediverso da quel certo essente

cheèS)diventialtroediventida altro, e quindi provengadal proprio nulla e vi ritorni:implica questa impossibilità,appuntoperchél’eternitàdiSsarebbe l’entificazione delnulla da cui quel qualsiasiessente proverrebbe e in cuiritornerebbe. Pertanto nessunessente può provenire dalnulla e ritornarvi, cioè ogniessenteèeterno:(e)Simplica(e)EE.Ma (e)S implica questa

impossibilità non sulfondamento di (e)EE – nelqual caso l’implicazionesarebbeunapetitioprincipii–bensì sul fondamento dellasequenzachequisopraèstataanticipata e che verrà quiavanti (par. 5)determinatamente ripercorsa.Essa costituisce il contenutodel «rovesciamento» di cuiprima si è detto – fermorestandoche sequesta formadi implicazione di (e)EE da

partedi(e)Snonèfondatasu(e)EE, tuttavia (e)Sè fondatasu(e)EEinbaseaquell’altraforma di implicazione che èla stessa «fondazioneprimaria» dell’eternitàdell’essenteinquantoessente(«fondazione primaria» di(e)EE).

2.PERCHIARIREILTEMADEL«ROVESCIAMENTO»(CFR.CAP.III,

PAR.7)

La fede nell’esistenza deldiventar altro degli essentiimplica necessariamentel’impossibilità dell’esistenzadi ogni Eterno, perché pertale fede l’esistenza deldiventar altro degli essenti èl’innegabile evidenzaoriginaria, e l’esistenzadell’Eterno nega (in quantoentificazione del nullaimplicato dal diventar altro)l’esistenzadeldiventaraltro.Ma, l’eternità dell’essente

in quanto essente e pertantodiogniessenteapparendoneldestino della verità (dunquenon in S, in quanto S èdistinta da (e)EE) – e d’altraparte la negazionedell’eternità dell’essenteessendo autonegazioneperchéènegazionedell’essersé dell’essente che appare inS –, ciò che per la fede neldiventar altro è l’evidenzainnegabile appare invece,necessariamente, come

negazione di S, ossiadell’esser sé che costituiscel’innegabile strutturaoriginaria del destino, e cioèappare come negazione chenegaséstessa.Il che non significa che il

destino sia negazione di ciòche appare (ossia di ciò cheinvece sarebbe salvaguardatodalla fedenel diventar altro).Infatti il diventar altro nonappare. Si può credere (averfede)cheappaia,mainverità

non appare (non appare cioènellastrutturaoriginariadellaverità del destino). Anchequesto è un tratto dellastruttura originaria che sta alcentro dei miei scritti. Aproposito di esso, alcuneosservazioni(parr.3-4).3.SUCIÒCHEAPPAREINSINQUANTO

DISTINTODA(E)EEPoiché in S l’apparire

dell’esser sé è l’apparire delnon esser altro da sé,l’appariredelnon esser altroda sé è, insieme, l’apparireche non appare altro da ciòche appare: in S gli essentiappaiono nel loro esserdeterminati inuncertomodoe non appaiono altri essenti,nel loro esser determinati inaltro modo. Tuttavia alladeterminatezza degli essentiche appaiono in S appartieneil loro non esser sempre gli

stessiadapparire.All’internodellaterraisolata,questononesser sempre gli stessi èinterpretato come il lorodiventaraltroediventarnulla(e il lorodiventaredaaltro edanulla).Ma, in verità, sia

all’internodiS,sianellaterraisolata dal destino (del qualeS è appunto la strutturaoriginaria) ildiventaraltro (enulla) non appare: appare ilsuccedersi di essenti diversi,

ma non appare che essidiventano altro. Appare che,dopo diverse forme di legnache brucia, appare la cenere,manonapparechelalegnaècenere. La successione degliessenti appare come il lorocomparireescomparire.Che all’interno di S il

diventaraltrononappaianonsignifica che in S, in quantodistinto (manonseparato)da(e)EE, appaia che, se unessente diventa altro, è

necessariochetaleessentesiaaltro (e che se ad esempio lalegna diventa cenere ènecessario che sia cenere):nonsignificaquesto,appuntonella misura in cui S èdistinto da (e)EE, sì che lanecessità che un essente,diventando altro, sia altro(cioè sia un impossibile, unche di nullo) è appuntoquell’esclusione del diventaraltro nella quale (e)EEconsiste.

Che in S non appaia ildiventar altro non significanemmenocheinS,distintoda(e)EE, sia affermata lapossibilità che l’essentedivenga altro. Infatti taleaffermazione implica che Ssiaseparato–enondistinto–da(e)EE.Che in S non appaia il

diventaraltrosignificainvecequelchesièdetto,cioècheinS,inquantodistintoda(e)EE,appare il succedersi degli

essenti: appare che nonappaiono sempre gli stessiessenti. (L’impossibilità cheinSappaia ildiventaraltroelanecessitàcheilcomparireescompariredegliessentisiailcomparire e scompariredeglieterni è invece unadeterminazione persintatticadi S: la determinazione checonsiste nella negazione diquell’esser altro da sé che ènecessariamenteimplicatodaldiventare altro – nella

negazione che si fondaperaltro sull’esser sé cheappare già in S anche inquantoS èdistintodaquestadeterminazione).

4.S,(E)S,(E)EEIn quanto S è distinto da

(e)EE, è necessario – si èdetto – che in S ilsopraggiungere degli essentiappaia come il loro

incominciare ad apparire;giacché se in S talesopraggiungere apparissecome il loro incominciare adessere,S sarebbe separatoda(e)EE – e pertanto disposto,in quanto così separato, adaffermare l’oscillazione degliessenti tra il loro essere e illoro esser nulla, e quindidisposto ad affermare quelloro non esser sé di cui S èinvece la negazioneincontrovertibile. D’altra

parte, in quanto distinto da(e)EE, S non può nemmenoincludere l’affermazionedell’eternità degli essenti chesopraggiungono.Taleaffermazioneèinvece

inclusa in (e)S. Infattil’eternità di S è l’eternità diogni contenuto di S, quindianche degli essenti che in Scompaiono e scompaiono.(e)S non può cioè affermare(non può essere ciò in cuiappare) che tali essenti,

comparendo e scomparendo,escano dal nulla e viritornino, e cioè non sianoeterni. Tuttavia (e)S, inquantodistintada(e)EE,noninclude l’affermazione chel’essente in quanto essente,cioè ogni essente, e nonsoltantoquellichecompaionoe scompaiono, è eterno. Inquantodistintada(e)EE,(e)Snonè(e)EE.Inquestepaginesistamostrandoinchesenso(e)Simplica(e)EE;machelo

implichi non può essereaffermato per il motivo chel’eternità di S è l’eternità diogni contenuto di S e quindianche di tutti gli essenti chesopraggiungono in S (dove isopraggiungenti sono ledeterminazioni iposintattichee il luogo che li accoglie èl’apparire di S in quantostruttura delle propriedeterminazioni persintattiche– ossia in quanto appariredello«sfondo»).

Quanto si sta dicendointorno al rapporto tra S,(e)EEe(e)Snonappartienealcontenuto di (e)S – e tantomenoalcontenutodiS–,maè una determinazionepersintatticadiS.5.COMPIMENTODELLA«FONDAZIONE

ULTERIORE»DI(E)EESi può ora ripercorrere

l’ultimo tratto della

«fondazione ulteriore»dell’eternità dell’essente inquanto essente ((e)EE),anticipatonelparagrafo1delprecedentecapitolo.(e)S è l’eternità di quel

certoessentecheèS,manonè l’eternità di ogni essente(ossia dell’essente in quantoessente);tuttavia(e)Simplica(e)EE perché, datal’innegabilità di (e)S, seesistessero degli essenti chediventano altro, provenendo

dal nulla e ritornandovi, (e)Santiciperebbe il loro essereun ancor nulla e non lilascerebbepassarenell’ormainulla del passato; (e)Ssarebbe cioè quella Leggedell’Eterno che si presenta, enecessariamente, comeentificazione del nulla,l’entificazione che rendeimpossibile il diventar altro(cfr.III,3).Esipresentacosìnonsolosecondolanecessitàche si costituisce all’interno

della fede nel diventar altro,masecondolanecessitàdellastruttura originaria deldestino.S è appunto la dimensione

originariamente innegabile e(e)S, l’eternità di quel certoessente che è S, è ladeterminazione(persintattica)che, fondata sulladeterminazione(persintattica)consistente nell’eternitàdell’essenteinquantoessente((e)EE) fondata su tale

determinazione, ma distintadaessa,nonèsemplicementeun «Eterno» evocato da unafede(lafedeneldiventaraltroe la fede in cui è evocata la«Verità» epistemico-metafisica), ma è l’eternitàche è tale secondo la veritàdel destino,l’incontrovertibilmenteeterno.(e)Sèquindilaveritàche, incontrovertibilmente, èsenza limiti, non si trova difronte ad alcun regno al di

fuori di sé e in cui essa nonregni, è la Verità di tutto.(L’affermazionedell’«Eterno» epistemico-metafisico, procedendo dallafede nell’esistenza deldiventar altro, intende esserela condizione della suapossibilità, esserne cioè ilSignoreelaLegge.L’eternitàdiogniessente,affermatadaldestino, ha invece comefondamento l’eternità di S,ossia della dimensione in cui

il diventar altro degli essentinon appare; cfr. par. 3; el’eternità di ogni essenteesclude che un qualsiasiessentesiailServomortalediun Signore immortale).Essendo originariamentepresente in tutto escludequindi che un qualsiasiessente possa esserequell’ancor nulla equell’ormai nulla che, neldiventar altro, presumono disottrarsiallapresenzadiessa.

Ciò significa che (e)S, inquanto distinto da (e)EE,fonda (e)EE secondo unaformadiimplicazionediversada quella in cui (e)EE è ilfondamentodi (e)S(la formadiversa di implicazioneconsistente appuntonell’impossibilità che (e)Snon sia presente ovunque echequindiesistaquell’ancorae ormai nulla che sonorichiesti dalla fede neldiventar altro). L’«Eterno»

della tradizione è«entificazione» del nullaperchérendeenteilnullachela tradizione stessa vedecome «necessariamente»implicato dal diventar altro.(e)S non entifica il nullaimplicato da un divenireoriginariamente riconosciutocome esistente, ma,implicando (e)EE, èl’apparire dell’esseroriginariamente essente daparte di ogni essente, ossia

vede come originariamenteessente anche ciò che per lafede nel diventar altro èl’ancora e ormai nulla delfuturoedelpassato.Ma mentre nella fede nel

diventar altro l’entificazionedelnulla rende impossibile ildiventaraltrocheintalefedeè assunto come l’evidenzaassolutamente innegabile, sìche tale fede perviene allanegazione dell’esistenza diogniEterno,viceversa (e qui

sta il «rovesciamento»richiamato anche nelparagrafo 1 di questocapitolo),nell’implicazionedi(e)EE da parte di (e)S, lanegazione del diventar altro,implicatada(e)S,nonimplicala negazione di ogni«Eterno», ma implica,all’opposto, la negazione diogni diventar altro, ossiaimplica l’eternità di ogniessente. Anticipando latotalità del futuro e non

lasciando passare la totalitàdel passato, (e)S rendeimpossibili l’ancor nulla el’ormai nulla che, secondo laforma più radicale della fedenel diventar altro – la formaontologica –, costituisconol’essenza del futuro e delpassato. Pertanto (e)S è lanegazione incontrovertibiledell’uscire dal nulla eritornarvi da parte di unqualsiasiessente;ossia(e)Sèil fondamento di questa

«ulteriore fondazione» di(e)EE. Ma (e)S – einnanzitutto (e)EE – nonentifica un nulla riconosciutopreliminarmente comeineliminabile, come accadenella forma ontologica deldiventar altro, ossianell’incominciare e finiredeglienti:(e)S, incuiappareche il diventar altro(preontologico e ontologico)non appare, esclude che gliessenti escano dal nulla e vi

ritornino, cioè esclude lanullità degli essenti, tienfermalanullitàdelnulla.È per la presenza del

«rovesciamento» qui sopraindicatochel’implicazionedi(e)EEdapartedi(e)Snonèilcircolo viziosodell’implicazionedi (e)EEdapartedellostesso(e)EE,echela fondazione di (e)EEimplicata da tale«rovesciamento» è«ulteriore» rispetto alla

fondazione «primaria» di(e)EE.Nei suoi tratti essenziali

l’esposizione della«fondazione ulteriore» di(e)EEècompiuta.

6.UNAPREROGATIVADI(E)SResta da mostrare che

soltanto (e)S,enon l’eternitàdi un cert’altro o di unqualsiasialtroessentediverso

da S, può essere ilfondamento di una«ulteriore» fondazione di(e)EE.Questaprerogativa di(e)S giustifica l’attenzioneche si è prestata a unafondazione – appunto quelladi (e)EE a partire da (e)S –che è «ulteriore» rispetto aquella «primaria» perchépresuppone (e)EE (tuttaviasenza esser per questo uncircolovizioso).Innanzitutto, è impossibile

che il fondamento della«fondazione ulteriore» di(e)EE sia un eterno che èevocatoall’internodella terraisolata dal destino. Questoeterno è solo l’intenzione diessere eterno. È hýbris. Lasua pretesa di dominare latotalità del divenire è vana.Fondamento della«fondazione ulteriore» puòesseresoltantounessentecheappartiene a S (ossia è partedi S). Si indichi con (e)xS

l’eternità di questo essente –ilqualeèunadeterminazioneo iposintattica (ad esempioquesta lampada, questagiornata, la luna) opersintattica (ad esempioessente, negazione,apparire)di S. Ma allora la«fondazione ulteriore» di(e)EE basata su (e)xS è solouna specificazione della«fondazioneulteriore»basatasu(e)S.Inoltre, per essere

fondamento di una«fondazione ulteriore» di(e)EE,ènecessarioche(e)xSsiadistintononsoloda(e)EE,ma anche da S e da (e)S; eche, così distinto, abbiaun’ampiezza tale daconsentirgli di includerel’impossibilità che ilsopraggiungere degli essentiinSsiailloroveniredalnullae ritornarvi. Ma questaampiezza è l’ampiezza stessadi S. Nessun essente che sia

parte di S può quindi averequestaampiezza.Ciò che può pretendere di

valere come una diversa«fondazione ulteriore» di(e)EE può essere allorasoltanto la sintesi tra S e(e)xS. Ma (e)xS si fonda su(e)S(chesifondasu(e)EE,asua volta fondata su S), sìche, daccapo, la «fondazioneulteriore»di(e)EEsu(e)xSèuna specificazione della«fondazione ulteriore» di

(e)EE su (e)S. Dunque èsoltanto quest’ultima acostituirsi come «fondazioneulteriore»di(e)EE.Anche la «fondazione

ulteriore»di(e)EE–comela«fondazioneprimaria»–èundeterminazione persintatticadi S; e pertanto appareeternamenteinsiemeaS.I«tratti» lungo iquali si è

sviluppata la «fondazioneulteriore» sono cioè tratti del

linguaggio che testimonia ildestino. Una testimonianzache va e viene nei cerchidell’apparire del destino, e ilcui andirivieniè il compariree lo scomparire diquell’eterno che, come ogniessente, anche tale e ognilinguaggioè.

7.SULRAPPORTOTRA«LASTRUTTURAORIGINARIA»E

«OLTREPASSARE»

Anche queste paginetengono fermal’affermazione, sviluppata inOltrepassare, Parte terza, II,che S, sebbene distinta (manonseparata)da(e)EE–cioèdalla necessità che l’essenteinquantoessentesiaeterno–,è ciò la cui negazione èautonegazione: èl’incontrovertibile. Quellanecessitàèunprimotrattodelsignificatoconcretodell’essersécheappareinS:appartiene

(in modo emergente) alsignificato concreto di taleesser sé. Sebbene distinta daquesto suo significatoconcreto, S èl’incontrovertibile. E ladistinzionediSda(e)EEèdaintenderenelsensocheSnoninclude(e)EE.Nel suo significato di

fondo,Lastrutturaoriginariaafferma invece che lastruttura originaria includeoriginariamente (e)EE. La

motivazione di questa tesi èche, sì, l’affermazionedell’eternità dell’essente inquanto essente(l’affermazione, appunto, di(e)EE) ha un «valore L-mediazionale» (cfr. XII, 9) –ossia (e)EE richiede untermine «medio» perconvenire alla strutturaoriginaria in quanto tale (e,propriamente, aquel trattodiessa che è l’esser sé, ossial’opposizionetral’essenteeil

nulla),sìche,perquestolato,(e)EE si distingue da taleopposizione e non è inclusoin essa; e tuttavia è ancheimpossibile che la strutturaoriginaria includal’affermazione sia pure dellasemplice possibilità (o«progetto»)che l’essentenonsia, cioè non sia eterno,perché se la includesseaffermerebbe la possibilitàche l’essente sia nulla (XII,15). La struttura originaria

include pertantooriginariamente la negazionedi quella possibilità, ossiainclude l’affermazionedell’eternità dell’essente inquantoessente.La tesi di Oltrepassare e

quella della Strutturaoriginaria non sono però incontraddizione:nelsensochelatesidellanon inclusionedi(e)EE in S si riferisce a S inquanto distinta da (e)EE, erileva che in quanto così

distinta è impossibile cheincluda la possibilità dellanegazionedi(e)EE;mentrelatesidellaStrutturaoriginaria,cioè dell’inclusione di (e)EEin S, non si riferisce alladistinzione tra S in quantodistinta da (e)EE e S inquanto separata e puòpertanto considerare lapossibilità della negazione di(e)EEcomeuncontenutocheappare in S, ed escluderequindi tale possibilità.Da un

latoSèconsideratainquantonon includente (e)EE;dall’altrolatoSèconsideratain quanto è in relazione allapossibilità di affermare e dinegare(e)EE.

NOTAALPARAGRAFO4DELCAPITOLOI(DIQUESTAPARTE

SECONDA)L’essenteinquantoessente

è eterno; la variazione degliessenti che appaiono nella

strutturaoriginariadeldestinoèilcomparireeloscompariredegli eterni.Entrambequesteaffermazioni sono presenti,nella loro necessità,all’interno della Strutturaoriginaria,doveillinguaggioche testimonia il destinoriesceaemergere,rendendosivisibile,dallinguaggiocheinquello scritto è ancora unatestimonianza del nichilismodellaterraisolatadaldestino.L’«Introduzione»all’edizione

del 1981 mostradeterminatamente come inquesto scritto si configuril’intreccio tra questi duelinguaggi e come quello chetestimonia il destino riesca aliberarsi, sebbene nontotalmente, dall’altro. Qui siaggiungano le seguenticonsiderazioni.1) Come già si avverte in

quella «Introduzione», nellaStruttura originaria le due

affermazioni indicateall’inizio di questa Notaappaiono nella loro necessitàsoprattutto nel paragrafo 26del capitolo XIII, intitolato«Ildivenirecomeapparizionedell’immutabile»(ossiacomecompariredeglieterni).Dopoil paragrafo 25, in cui siribadisce che l’eternità(l’immutabilità) compete «adogni essere» (in contesticome questo il termine«essere»significa«essente»),

ilparagrafo26iniziadicendo:«La totalità dell’essere F-

immediato[ossiadegliessentiche nella struttura originariasono affermati perchéappaiono per sé stessi e nonsul fondamento di altro, equindi sono«fenomenologicamente»«immediati»],comeorizzontein cui la nascita el’annullamento dell’essereviene alla manifestazione,deve essere pertanto

determinata come l’orizzontein cui è manifesto ilcomparire e lo spariredell’essere [cioèdella totalitàdegliessentidellaqualenellaStrutturaoriginariasimostral’eternità]; ossia ciò che, daunpuntodivistachesenestaalla semplice considerazionedella totalità dell’essere F-immediato ... si manifestacome un sopraggiungere[termine che qui significa«incominciare ad essere»] e

unannullarsi, si rivela, nellastrutturazione concretadell’originario [cioè dellastrutturaoriginaria], comeunapparireeunoscomparire».Ora si intende richiamare

l’attenzione su quel«pertanto» (che qui è statomesso in corsivo) e sulcaratteredinonconcretezzaecioè di astrattezza checompete al «punto di vistache se ne sta alla sempliceconsiderazione della totalità

dell’essere F-immediato»,ossia di ciò che è affermatoperchéappare.Il testo dice dunque:

l’essente in quanto essente èimmutabile(par.25,intitolato«L’immutabile e ildivenire»); pertanto ildivenire degli essenti «deveessere» inteso non come«nascita» (ossia incominciareadessere)eannullamento,macome il loro comparire escomparire, ossia come il

comparire e lo scompariredell’immutabile (cioè deglieterni). E il testo precisa chesolo nella strutturazione nonconcreta dell’originario(quella che «se ne sta allasemplice considerazione»della totalità dell’essere F-immediato) si può affermareche il divenire è unincominciare ad essere e unannullamento. Questastrutturazione non concreta èastrattaperchéseparaciòche

non può essere separato (edestrae da questa unità unmembro di essa,considerandolo come capacedi essere per sé stessol’incontrovertibile – comeappunto accade nellafenomenologia husserliana):separal’appariredegliessentiche sopraggiungonodall’impossibilità chel’essente in quanto essentenon sia – cioèdall’impossibilità che è una

forma dell’impossibilità chel’essentenonsiaséstesso–equindi lo separadall’impossibilità che neldiveniregliessentinonsiano(primaedopo il loroessere).Questa separazione è lanegazione della strutturaoriginariadell’incontrovertibile, checonsiste invece nell’unità diquestiduemomenti.Da quanto si è osservato

risulta che, con la sequenza

qui sopra rilevata, Lastrutturaoriginariamostradiesser già al livello dellaconfigurazione che lastrutturaoriginariahaassuntonei miei lavori successivi.(Né con ciò si intende direchequestoscrittosisiaormailiberato dal linguaggio chetestimonia l’alienazionenichilistica).2) Da quanto si è ora

osservato risulta anche che,

nella sequenza costituita daquei due paragrafi dellaStruttura originaria,l’affermazionecheildivenireèilcomparireeloscompariredegli eterni non è fondatasull’apparire del comparire edello scomparire – cioè sulladimensione che è l’appariretrascendentale (totale)rispettoacuiilcomparireeloscompariredegli essenti èunapparire empirico(particolare)(cfr.,adesempio

in Essenza del nichilismo, il«Poscritto», I-III, di«Ritornare a Parmenide»).Quell’affermazione è fondatasuunadeduzionecheprocedea partire dall’impossibilitàche gli essenti non siano –una deduzione che èincontrovertibile nellamisuraincuitaleimpossibilitànonèa sua volta separatadall’apparire degli essenti(come appunto non vieneseparata in quella sequenza

della Struttura originaria),ma ne è distinta. In quantotale impossibilità è distintadall’appariredegliessentichedivengono, essa è ilfondamento della deduzioneche conduce all’affermazionecheildivenireèuncompariree uno scomparire. Con ciònonsiintendecertosostenereche, in quanto fondatasull’apparire del comparire edelloscompariredegliessenti(cioè in quanto non è una

deduzione),quell’affermazione sia senzafondamento–chéanziquestafondazione non deduttiva èproprio ciò che manca nellaStruttura originaria e cheinvecevieneinpienalucenelsuccitato «Poscritto». Siintende sostenere che anchela fondazione deduttivapresente nella Strutturaoriginaria è, come tale,incontrovertibile. Ossia ècontrovertibilesoloinquanto,

in questo scritto, si trovaunita all’assenza dellafondazione non deduttivadell’affermazione che ildivenire è comparire escomparire degli eterni. Lafondazione non deduttiva –ripetiamo – è l’apparire delcomparire e scomparire degliessenti;edè incontrovertibileperché anche la negazione diciò che appare èautonegazione.(Lanegazioneche qualcosa che appare sia

ed appaia – ad esempio chequesta lampada siaedappaia– può cioè costituirsi solo sequesta lampada, cioè la suaesistenza e il suo apparire,appare, sì che tale negazionenega ciò senza di cui èimpossibile che talenegazionesia).3) D’altra parte, dopo

quellapresentenellaStrutturaoriginaria, negli scrittisuccessivi viene indicata per

lo meno un’ulteriorefondazione deduttivadell’affermazionecheciòcheapparenonèl’incominciareecessare di essere, ma è ilcomparire e lo scompariredegliessenti.Questaulteriorefondazione mostra – inrelazione agli essenti dellaterra isolata che sono«osservabili», o di cui «si faesperienza» – l’implicazionenecessaria tra la fedeche taliessentiincomincinoadessere

e si annullino, e laconvinzione (che, in quantocosì implicata, è a sua voltaunafede)che,incominciandoo annullandosi, tali essentiabbiano insieme,rispettivamente,acomparireescomparire (o a non apparirpiù nel modo in cuiapparivano quando erano).(Secioèsicredecheunacosasi annulli, è necessario cheinsiemesicredacheessanonappaia più come prima). Ma

se una cosa scompare nellamisura in cui si annulla, daquestaimplicazionesideduceche è impossibile chel’annullamento di qualcosasia un contenuto che appare(elostessosidicaperciòcheincomincia ad essere), sì chela dimensione in cui apparetutto ciò che appare non puòmostrare altro che ilcomparire e lo scompariredegliessenti.

VPOSTILLE

1.INCHESENSOUN’APORIAÈRISOLTA

Relativamente alle aporie

che necessariamenteaccompagnano il linguaggioche testimonia il destino, sirichiamiquantosegue.In quanto volontà, la

volontà di evitare la

contraddizione non solo è unsemplice presupposto, unafede (che guida anche laricerca scientifica),ma è unanegazione del destino dellaverità,ossiaèessastessaunacontraddizione. Se ci si basasu tale volontà è impossibileraggiungere il superamentodella contraddizione – (comesi è rilevato anche nei primicapitoli, è impossibile cheprocedendodallanonveritàsigiungaallaverità).

È impossibile che dalrisolvimento delladimensione aporetica (ossiadella contraddizione), inquantopresuppostaaldestinodella verità, si pervenga connecessità all’innegabile,giacché ogni proposizionedell’aporia stessa e delprocesso con cui si crede digiungere al risolvimentodell’aporia può essere negata(come può esserlo anchequesta negazione). È invece

sul fondamentodell’innegabile destino dellaverità che può esser risoltaconnecessitàogniaporia.In quanto presupposta al

destino, è anche impossibileche la convinzionedell’irrisolvibilitàdiunacertaaporetica implichi connecessità la negazione deldestino. È invece sulfondamento dell’innegabilitàdel destino che, da un lato,nel destino appare

l’impossibilità che ciò che sipresenta come una mancatasoluzionediun’aporiaabbiaaimplicare la negazione deldestino, edall’altroappare lanecessità che tale soluzionemancata sia l’incapacità dellinguaggio a indicare ilrisolvimento dell’aporia – ilrisolvimento che già dasempreappareneldestino.L’aporeticapuòriguardare,

oltre che la strutturaoriginaria del destino (S),

anche le deteminazionipersintattiche da essaimplicate. In ogni caso, è illinguaggio che testimonia S(ècioèl’essenzalinguisticadiS) a trovarsi nellacontraddizione indicatadall’aporia. S è cioèl’originariamente innegabileanche se tale linguaggio, cheperaltrodicel’innegabile,nonè ingradodimostrare inchemodolacontraddizionepossaesser risolta. Il risolvimento

appartiene eternamente allapersintassi di S (è unadeterminazione persintatticadi S), ossia appartiene a ciòche tale linguaggio non saancoratestimoniare.2.L’APPARIREDELLADIFFERENZAEDELLADIFFERENZANEGATA:APORIA

ESOLUZIONEIn quel tratto di S che è

l’élenchos – e checontinuiamo a considerare

nella sua«seconda figura»–,la negazione dell’esser sé,ossia della differenza deidifferenti, è apparire, cioèaffermazione, della lorodifferenza: tale negazione èautonegazione (cfr. I, 2). Èautonegazione sia in quantoessa nega che l’essente cheappare appaia, sia in quantonega l’esser sé dell’essente.In entrambi i casi èautonegazione perché èl’appariredell’esistenzadiciò

che essa nega. Taleautonegazione (nella qualeappunto consiste l’élenchosdella negazione di S) non èuna dimensione esterna a S,che abbia a fondarel’incontrovertibilitàdiS,maèuna individuazionedell’universale esser sédell’essente – così comel’esser sé di quest’albero èuna individuazione di taleuniversalità. (Cfr. su questotema, in Essenza del

nichilismo, «Ritornare aParmenide»,6).Quanto si è affermato può

essereespressodicendocheilcontenuto di S è affermatonon«peraltro»,ma«persé».(Nella Struttura originaria sidicechetalecontenutoè«persé noto», o «immediato»). Il«per»del«persé»nonindicauno sdoppiamento delcontenutodiS(chedialuogoa un S fondante e a un Sfondato),ma indica,appunto,

la necessità chel’incontrovertibile non siaqualcosadi«fondato».Orbene, se la negazione

delladifferenzadeidifferenti,è necessariamente apparire,cioè affermazione, della lorodifferenza – se è necessarioche tale negazione siaautonegazione (giacché se ladifferenza non appare, la«negazione»nonènegazionedella differenza) –, sembrache si possa obiettare che

questa «necessità» nonsussiste. Infatti la negazionedella differenza èaffermazionedell’identità deidifferenti e pertanto è ancheaffermazione dell’identitàdell’apparire e del nonappariredellalorodifferenza.Nella logica della negazionela differenza appare e nonappare–oilsuoapparireèilsuo non apparire (così comequesta lampada non è questalampada, o è il non esser

questa lampada). Il suoapparire(escludenteilproprionon apparire) non ènecessario.Maalloraquestaobiezione

differenzia questo sempliceapparire della differenza(l’apparire escludente ilproprio non esser apparire)dall’apparire che è insiemenonappariredelladifferenza;e se intende essere nonriconoscimento, bensìnegazione della differenza,

anche in questo caso ènecessario che queldifferenziare appaianella suanegazione – che pertanto èautonegazione.Con quell’obiezione e con

larelativarispostanoncisièportati su un nuovo pianorispetto a quello costituitodall’élenchos(epropriamentedalla sua «seconda figura»),masièconsiderataunaformaparticolare (o«individuazione») della

negazione della differenza,ossia della negazione inquanto tale, e quindi inquanto«universale».Siècioèconsiderata quella formaparticolare della negazionedella differenza che è lanegazione della differenza (ol’affermazione dell’identità)tral’apparireeilnonappariredelladifferenza.Più omeno esplicitamente

si nega questa distinzione tranegazione universale e sue

individuazioni quando siprolunga l’obiezione sopraindicata dicendo che lanegazione della differenzanon differenzia (come invecesopra si è detto, rispondendoall’obiezione) il sempliceapparire(escludenteilproprionon esser apparire)dall’apparire che è insiemenonappariredelladifferenza.Infatti anche questo nondifferenziare è undifferenziarsi dal

differenziare indicato dallarisposta all’obiezione e cioèanche questo nondifferenziare è unaindividuazione dellanegazione universale delladifferenza dei differenti. Laquale contieneoriginariamente, sia pure inmodo implicito, tutte leproprie individuazioni, sì chel’apparire dell’autonegazionedella negazione universaledella differenza dei differenti

è l’appariredell’autonegazione di tutte leindividuazioni di talenegazione.3.DIUN’APORIALACUISOLUZIONE

APPARTIENEASA proposito dell’aporia –

centrale – relativa allanecessità che, in S, ciò chevienenegatoappaia–echeaquesto punto è opportuno

tenerpresente–sirichiamiilmodoincuiessavienerisolta(cfr., in Essenza delnichilismo, «Ritornare aParmenide»,6).L’aporiadiceche,come la

negazionedelladifferenzadeidifferenti (o, in altri termini,l’«opposizione del positivo edel suo negativo», ibid.)implica necessariamentel’apparire di tale differenza,sì che tale negazione èautonegazione, così, in S,

cioè nella struttura originariadel destino, la negazionedell’identità dei differenti(ossia la negazionedell’identificazione delpositivo e del negativo)implica necessariamentel’apparire di tale identità, sìche anche la strutturaoriginaria del destino èautonegazione.Inquelloscrittosirisponde

dicendo che, in S, l’appariredell’identità dei differenti è,

sì, necessariamente implicatodalla negazione di taleidentità, ma ciò che èimplicato non è questaidentità in quanto tale,ma inquanto è il positivosignificare dell’identità inquanto tale. Così come lanegazione dell’identità tral’essenteeilnullaimplicasì,necessariamente, l’appariredelnulla,manondelnullainquanto tale, bensì del suopositivo significare (e a

questo postivo significareappartieneancheilsignificarediquel«nullainquantotale»come distinto dal positivosignificare). Il nulla non è enon appare (e ogniimpossibile, e quindi,innanzitutto, l’identità deidifferenti, è nulla – dovel’«impossibile» èl’autonegantesi negazione diciò che, pertanto, è il«necessario»). La negazionedell’esistenza

dell’impossibile e del nullanon implica cioè l’appariredell’impossibile e del nulla,ma di quella positività, cioèdi quell’essente che è ilsignificato «nulla» e«impossibile». (Il tema delpositivo significare del nulla,considerato nel capitolo IVdella Struttura originaria èora ripreso anche in Intornoalsensodelnulla).L’aporia a cui ci si sta

rivolgendo non nega la

capacità dell’élenchos dimostrare, in S, che lanegazionedelladifferenzadeidifferenti implica l’appariredi tale differenza, e quindi èautonegazione: l’aporiaafferma che, in S, anche lanegazione dell’identità deidifferenti implica, come si èdetto, l’apparire di taleidentità e pertanto anche lanegazione di tale identità,lungi dall’esserel’incontrovertibile, è

anch’essa autonegazione, sìche il motivo per cui talenegazione èl’incontrovertibile è lo stessoper il quale essa non èl’incontrovertibile. E ilmotivo è appunto che lanegazione di qualcosa ne èl’apparire – giacché lanegazionenonèuna«cosainsé» esistente al di fuoridell’apparire,ma è l’apparirediséstessaequindidiciòcheessanega.

Anche in questo caso, larispostaaquestaaporianonèunadeterminazioneche–puressendo necessariamenteimplicatadaS– tuttavianonappartenga a tale contenuto.InSgliessentiappaiononellanecessità del loro non esseraltro da sé – e pertanto delloro non essere un nulla. El’esser altro da sé appareoriginariamente comel’impossibile, ossia comenulla; e il nulla appare

originariamente comesignificato contraddicentesi,cioè come l’impossibile ecome il positivo significaredell’impossibile, ossia di ciòchenonèenonappare.Tutto questo significa che

inSl’opposizionetraessentee nulla non appare come unproblema ancora irrisoltodove ancora restaindeterminato se il nulla sianulla o essente; equell’opposizionenon appare

nemmeno come lacontraddizionedoveilnullaèpostosenz’altrocomeessente– problema e contraddizioneche sono negazione di S,originariamenteincontrovertibile. Lasoluzione di questa aporiaappartiene a S (è un insiemedideterminazionidiS).Nell’apparire

incontrovertibiledell’opposizione di essente enulla,ilnullaapparecioè–si

ripeta – come positivosignificaredell’assolutamentenon positivo e nonsignificante (appare cioècome il significatocontraddicentesi i cuimomenti opposti sono ilsignificato «assolutamentenon positivo e nonsignificante» e il positivosignificareditalesignificato).La negazione di S èautonegazione appuntoperché S, negando tale

negazione non risolve unproblema o unacontraddizione da cui S siapreceduta–ed’altraparteSèil loro risolvimentooriginario.

4.DIUN’ALTRAAPORIALACUISOLUZIONEAPPARTIENEAS

Si è mostrata la necessità

che la risposta all’aporiaconsiderata nel paragrafo

precedente appartenga a S.Analogamente, poichél’insieme degli essenti cheappaiono in S include(originariamente, dunque) illoro apparire (La strutturaoriginaria, II, 11-16), ènecessario che questainclusione appartenga a S(appaia in S). Anche talenecessità è la risposta aquest’altra aporia. Che puòessererichiamatadicendochese l’esistenza degli essenti

che appaiono in S èincontrovertibile perché lanegazionedellaloroesistenzaimplica l’apparire di taleesistenza, allora anchel’esistenzadelloroapparireèincontrovertibile perché lanegazione dell’esistenza ditale apparire implical’apparire di tale esistenza,cioèimplical’apparirediquelprimo apparire. Ma anchel’esistenza del secondoapparire è incontrovertibile

perchélanegazionediessaneimplica l’apparire, che è unterzo apparire. E cosìall’infinito; sì chel’incontrovertibilitàdell’esistenza degli essentiche appaiono è rinviataall’infinito, cioè S non èl’incontrovertibile: S ha unfondamento, e talefondamentostaaldi fuori diS,cheinvecedovrebbeessereesso il fondamento di ognisapere.

Larispostaaquestaaporiaconsiste appunto– come si èaccennato – nel rilevare chel’insieme degli essenti cheappaiono in S include il loroapparire, sì chenonesisteun«secondo», un «terzo»apparire, e così via (nonesiste il regressus inindefinitum), ma quell’unicoapparire che, in quantoapparire degli essenti cheappaiono in S, è,originariamente, apparire di

séstesso.Tutto questo è stato

richiamato per mettere inrilievo che in relazione aquesta risposta è necessarioaffermare che anch’essa,come quella considerata nelparagrafo precedente, non èuna determinazione che puressendo necessariamenteimplicata da S nonappartenga tuttavia a talecontenuto. Che l’insiemedegli essenti che appaiono in

S includa originariamentequell’essente che è il loroapparire è cioè unadeterminazione cheappartiene originariamente aS, perché in S tale apparirenon è qualcosa della cuiincontrovertibilità si debbaandare alla ricerca in un«secondo»e«terzo»apparire.Sèl’incontrovertibiledestinodell’essente solo in quantocontienequellarisposta–chedunque non risponde a una

domanda precedentementeposta, ma è la negazioneoriginariaditaledomanda.Anchedalleconsiderazioni

svolte in questo e nelprecedente paragrafo risultache, all’interno dell’insiemedelle determinazioni checonvengono necessariamentea S («determinazionipersintattiche»), quelle cheappartengono a S (ossia alcontenuto dell’essenza

linguistica di S – e senza lequali S non è ciò la cuinegazione è autonegazione)vanno distinte da quelle cheinvece, come l’eternitàdell’essenteinquantoessente((e)EE; cfr. II, 7), nonappartengono a talecontenuto.Alprimodiquestidue sottoinsiemiappartengono (lo si èmostrato nel paragrafo 3) lacontraddizionedelsignificato«nulla» o «impossibile» (la

contraddizione tra ilsignificato e il suo positivosignificare)e(losièmostratonel presente paragrafo)l’originaria appartenenzadell’apparire (degli essenti)alla totalità degli essenti cheappaionoinS.

5.DUPLICESENSOINCUIILSIGNIFICATO«NULLA»È

CONTRADDIZIONEIn quanto negazione

dell’esser sécheappare inS,ogni contraddizione affermaqualcosa la cui esistenza èimpossibile,ossiaqualcosadinullo, ilnulla. Inmodopiùomeno «consapevole», lacontraddizione pensal’impossibile, il nulla: ne èl’apparire (e la«consapevolezza» è lapresenza dell’indicazionelinguistica di ciò checomunque appare). Ciò nonsignifica che la

contraddizione non pensinulla e sia pertanto un nonpensare, un non apparire,masignifica, appunto, che essapensailnulla.Ma anche il significato

«nulla» è una contraddizione(cfr.par.3):lacontraddizionetra il significato «nulla» inquanto tale e il significato«nulla» in quanto positivosignificare del significato«nulla» in quanto tale.Comeogni altra contraddizione,

ancheilsignificato«nulla»hapertanto un contenuto nullo,impossibile.Nel significato

contraddicentesi «nulla», ilnulla non appare comeessente,ma comenulla, ed èappuntoperquestocheintalesignificato il nulla (cheappare come nulla) è incontraddizione con lapositivitàdelproprioapparireed essere significante; sì chenel significato

contraddicentesi «nulla» lanullità del suo contenutoappare come nulla inrelazione a uno soltanto deidue momenti di talecontenuto.D’altra parte l’apparire

della contraddizione non ècontraddittorio (nullo,impossibile) solo se lacontraddizione appare comenegata (come si mostra da«La terra e l’essenzadell’uomo», VI, in Essenza

delnichilismo,aFondamentodella contraddizione). Laconvinzioneche,perapparire,la contraddizione non abbiabisogno di apparire comenegataèasuavoltaunacertacontraddizione, il cuicontenutoèpertantonullo.6.SULL’OPPOSIZIONEDELPOSITIVO

EDELNEGATIVOL’espressione

«Opposizione del positivo edel negativo», presente adesempio nella Strutturaoriginaria e in Essenza delnichilismo («Ritornare aParmenide», 6), significa ilnon esser l’altro da sé (il«negativo») da parte di unqualsiasi essente (il«positivo») – dove l’altro èsia gli altri essenti (gli altri«positivi»), sia ilnulla, il cuipositivo significato significaciò che non è alcuna

«positività», e quindi è un«negativo» perché non èalcun essente, nemmenol’essente che è il positivosignificaredelnulla(ibid.,1).In quanto opposto al proprionegativo, anche il positivo èunnegativo:è ilnegativodelproprionegativo;cosìcomeilsuo negativo, in quantonegativodiesso,èilnegativodelproprionegativo.Ma ciò non significa che

ognuno dei due termini

dell’opposizione, essendonegazione dell’altro, sia unacontraddizione, perché è,insieme, negativo (appuntoperché è negativo delnegativo) e non negativo(appunto perché è negativodel negativo, non è ilnegativo). È l’affermazionedell’esistenza di questacontraddizione ad essere unacontraddizione, perché taleaffermazione identifica idiversi,cioèsottintendecheil

«negativo del negativo»(l’opposizione di positivo enegativo) debba esseresenz’altro inteso come«negativo della totalità delnegativo». Il concetto di«negativo della totalità delnegativo» è indubbiamenteuna contraddizione (appuntoperché è necessario, da unlato, che questa totalitàincludaanche ilnegativocheintende negarla e quindi nonappartenerle, e dall’altro –

tenendofermocheessasialatotalità del negativo – ilnegativodiessa,nonessendo,appunto, tale totalità, non ènemmeno sé stesso). Ma il«negativodelnegativo»nonèil negativo della totalità delnegativo.Analogamente, è una

contraddizione ancheaffermare che il concetto ditotalità degli essenti è unacontraddizione perché latotalità non è le sue parti,

ognuna delle quali è unnegativoeilloroinsiemeèlatotalitàdel negativo sì che latotalità sarebbe ilnegativodiogni negativo, cioè sarebbe,insieme,negativo(perchéèilnegativodellesueparti)enonnegativo(perchéèilnegativodella totalità del negativo –ossiadell’insiemedelleparti).Maèquestaconclusionead

essere una contraddizione,perchélatotalitàdegliessenti(quale appare nel destino

dellaverità)nonèilnegativodellatotalitàdelnegativo,maè ilnegativodiquell’insiemefinito del negativo, i cuielementi sono le parti dellatotalità degli essenti. Cioè latotalità degli essenti è ilnegativodiogninegativochenon sia tale totalità ma siaparte di essa. La totalità è latotalità;èséstessa:nonnegaséstessa.E nemmeno il positivo

significare del nulla è il

negativo della totalità delnegativo, perché esso (che èun essente, una parte dellatotalità) è sé stesso, non è lanegazione di sé: «nulla»significa (è) «nulla», nonsignifica «essente». D’altraparte il positivo significaredel nulla (la positività diquesto significato) è uno deidue lati del nulla in quantosignificato contraddicentesi,l’altro lato essendo ciò chequesta positività significa: il

nulla come tale. È per il suopositivo significare –ripetiamo – che si puòaffermare che il nulla non èalcun essente; giacché ilnulla, come tale, non ènemmeno un esser nulla, unesserséstesso,enemmenoil«negativo»dellatotalitàdegliessenti. Dove la stessadistinzione tra il nulla cometale e il suo positivosignificare – e il suo stesso«nonessernemmenounesser

nulla, un esser sé stesso, enemmeno il “negativo” dellatotalità degli essenti» –appartiene a tale positivosignificare.Cheèlapositivitàsignificante del significato«nulla», ossia del «nullacometale».Larelazionetrailnullacometaleelapositivitàdel suo significare è lacontraddizioneincuiconsisteilsignificatonulla,rispettoalquale il «nulla come tale» èuno dei due lati di tale

contraddizione. E d’altraparte questa contraddizione èciò senza di cui sarebbeimpossibile l’opposizione delpositivo e di quel negativoche, appunto, è il nulla –ossia dell’opposizione la cuinegazioneèautonegazione.Latotalitàèlatotalità;èsé

stessa:nonnegaséstessa,sièdetto sopra. Con ciò si èaffermato, sì, che la totalitàdegliessentinonèilnegativodellatotalitàdelnegativo,ma

questo non esserlo è unelemento di (appartiene a)quell’insieme finito delnegativo, i cui elementi sonole parti della totalità degliessenti: giacché chequest’ultima non sia (sia ilnegativo di) quellacontraddizione che è ilnegativo della totalità delnegativo è una parte dellatotalità degli essenti, ossia èuna delle proprietà di taletotalità. (Fermo restando che

anche la contraddizione, adifferenza del suo contenutonullo, è una parte dellatotalità).Manemmenol’essenteche

è parte è negazione dellatotalità del negativo. Infatti èimpossibile che la parte nonsia sé stessa e che quindi, inquanto negazione dellatotalità del negativo, sianegazione anchedi sé stessa.Essa nega cioè quell’insiemefinito del negativo i cui

elementi sono le altre parti ela loro totalità. E, anche qui,il suo non essere quellacontraddizione che è il nonesserlatotalitàdelnegativoèunadellepartidaessa.

7.ANCORASULRAPPORTOTRASTRUTTURAORIGINARIAE

APORETICALa totalità degli essenti è

dunque la totalità delnegativo, cioè degli essenti

(ognuno dei quali, e pertantolatotalitàstessa,nonèl’altrodasé,èappuntounnegativo):la totalità degli essentinonèil negativo della totalità delnegativoperchéèimpossibilechelatotalitàdegliessentisiala negazione di sé stessa: èimpossibile che l’essente inquanto essente – e pertantoogniessenteelatotalitàdegliessenti – sia la negazione disé stesso: in quanto apparenel destino, l’esser sé è

l’originariamenteinnegabile.Si intende ribadire cioè

(cfr. par. 1) che è sulfondamento dell’opposizionedelpositivoedelnegativo–èsul fondamentodell’innegabile esser sédell’essente che appare nellastrutturaoriginariadeldestinodella verità – che può esserrisolta ogni aporia comequella costituita dalleapparenti contraddizioniconsiderate nel paragrafo

precedente. (E l’innegabileesser sé è l’esser sé sia dellatotalitàdegliessenti,siadellesue parti). Alla volontà dievitare la contraddizioneprocedendo da unadimensione diversa daldestinodellaverità (è il casodi coloro che hanno lavoratoper liberare il pensiero dai«paradossi» logico-filosoficida essi stessi o da altrievocati) si deve chiedereperché ci si debba liberare

dalla contraddizione. Lavolontà di liberarsi dallacontraddizione è unpresupposto,unafede(eanziè essa stessa unacontraddizione).In altri termini (e va detto

anche a tutti i critici dellinguaggio che testimonia ildestino della verità), non èche dal risolvimento delladimensione aporetica oantinomicasipossapervenirecon necessità all’innegabile

(posto che si intendapervenirvi), giacché, sino ache all’innegabile non si siagiunti, ogni proposizione checostituisce l’aporia e il suorisolvimento può esserenegata (come può esserloanche questa negazione); maè sul fondamentodell’innegabile che puòapparire ed esser risolta connecessità ogni aporia – el’innegabile è quell’esser sédell’essenteinquantoessente

la cui negazione èautonegazione.Considerazioni, queste, cheripresentano il tema,accostatonellaParteseconda,dell’impossibilità di arrivarealla verità. (Per lacomprensione adeguata delrapporto tra l’aporia el’innegabile cfr., in Essenzadelnichilismo, il «Poscritto»,I, di «Ritornare aParmenide»).

8.INCLUSIONEETOTALITÀ

DELL’ESSENTEPoiché l’«inclusione» è la

relazione di qualcosa alleproprie parti, la totalità delnegativo – cioè la totalitàdegliessenti–non«include»sé stessa. Ma ciò nonsignifica che la totalità nonsia in relazione a sé stessa enonsiaunnegativo. Infatti ilsuo essere un negativo non

implica l’esistenza di uninsieme che«includa», daunlato,queinegativichesonoleparti della totalità degliessenti e, dall’altro, quelnegativocheètaletotalità.Sequesta implicazionesussistesse, tale insiemesarebbe esso la totalità delnegativo,cioèdell’essente, laquale tuttavia includerebbeanche quel negativo che erastato posto come totalitàdell’essente: la totalità

includerebbe sé come parte,sarebbetotalitàeparte.Maquell’implicazionenon

sussiste,perchéè impossibileche quell’insieme esista.Infatti la totalità del negativoè in relazione non solo alleparti,maanchea sé stessa,ea sé stessa nel suo essereincludente le parti; sì che latotalitànonstadaunlatoelepartidall’altro,costituendointal modo quell’insieme. Essopotrebbe cioè costituirsi

soltanto se, da un lato,includesse le parti nel loronon essere incluse nellatotalitàe,dall’altro,latotalitànelsuononincludereleparti,ed entrambi i lati sonocontraddizioni (il cuicontenutoènullo).La totalità dell’essente è

pertanto la totalità delnegativo, ed è essa stessa unnegativo, ma non «include»sé stessa, non è parte di sé.Ogni essente, dunque, è un

negativo, ma il negativo, inquanto totalità del negativo,non è un negativo accantoagli altri in modo dacostituirsi come elemento diun insieme, bensì includeogni negativo – e anchequesto suo non essere unnegativo,sièdetto,èunodeinegatividaessoinclusi.In quanto, invece, il

negativononè la totalitàche«include»ogninegativo,maèciò che vi è di identico «in»

ogni negativo – ossia è ciòche ogni essente è –, l’essernegativocompetecertoancheal negativo, cioè a sé stesso,ma non nel senso che ilnegativo sia «nel» negativocosì come esso è «nei»negativi–ossiacomeciòchevièdiidentico«in»ciascunodiessi–,manelsensoche ilnegativoèilnegativo,mentreun certo essente non è ilnegativo.

9.COSEVISIBILIEINVISIBILI

La negazione della

strutturaoriginaria,cheintalestruttura appare comeautonegazione (l’apparire incuiconsistel’élenchos),nonèil contenuto di un apparirediversodaquelloper ilqualetale negazione appare nellastruttura originaria: non è ilcontenuto di una«convinzione» o «coscienza»

–eingeneralediconvinzionie forme di coscienza chehannolalororadicenellafedeoriginaria in cui consistel’isolamento della terra daldestino.Tuttaviaanchelenegazioni

del destino (e innanzituttodella struttura originaria deldestino) che appaionoall’interno di tali«convinzioni» e «coscienze»,e da ultimo all’interno dellaterra isolata, sono

autonegazioni; e anch’esse ela loro radice appaiono nellastruttura originaria. (In Lamorte e la terra, II, I, quellaprima forma di negazione èchiamata d-negazione, e f-negazione la seconda).Essendo fede, la f-negazioneè dubbio: dubbio (cioè non-fede) intorno a ciò in cui lafedehafede(untema,questo,costantemente sviluppato neimiei scritti). D’altra parte,nella terra isolata anche il

dubbio è una fede, ossia è lafede che dubita di una fede.Essendo dubbio, la fede ècontraddizione (e, viceversa,ogni esser convinti diqualcosa che, al di làdell’apparenza, è in sé unacontraddizione,èunafede).La fede è volontà: non

essendoildestinodellaverità,la fede si riduce da ultimo,per quanto «motivata» e«ragionevole», a volontà chele cose stiano in un certo

modo piuttosto che in unaltro. (A sua volta la volontàè fede giacché, essendoimpossibilechelavolontàsiauna forza capace di fardiventaraltrolecose,alloralavolontàdifarlediventaraltrosi riduce ad essere la fede dipossedere tale capacità e diottenere,avolte,ciòcheessahavoluto).Quando nella Lettera agli

Ebrei (11, 2) si dice che lafede è argumentum non

apparentium (élenchos oublepoménon), è la fedecristiana a definire sé stessa.Le cose che non appaiono(non apparentia) sono quelleinaccessibili alla sapientiahominum (sophía anthrṓpōn,1Cor, 1,2-6), che nella suaforma più alta è la filosofia;inaccessibili perché sonoracchiusenellasapientiaDei,«che è nascosta» (quaeabscondita est, loc. cit.).L’élenchos(argumentum)che

compareinquelladefinizioneè la volontà di essere,appunto, l’«argomento» inbasealqualevieneaffermatal’esistenzadellecosechenonappaiono (cioè dell’élenchosfilosofico ha solo il carattereformale di negazione dellanegazione). Se infatti fossepiùchevolontà,masapientiahominum (Tommaso diràscientia – riferendosiall’epistḗmē della verità), ilsuo contenuto non sarebbe

quella divina sapienza che ènascosta.Certo, Gesù, a Pietro che

ha riconosciuto in lui ilCristo, il Figlio del Diovivente,dice:«Nélacarnenéil sangue te l’hanno rivelato,ma il Padre mio che sta neicieli» (Mt, 16, 17); e si diràche la fede è un «dono diDio». Ma la coerenza diquell’autodefinizione dellafede cristiana richiede chel’esser la fede un dono

siffatto sia una delle cosenascoste incuisihafede.Lafede è la volontà di esserel’élenchos. Tommaso scrive(Summa theologiae, II-II, q.2, a. 9): Credere est actusintellectus assen-tientisveritati divinae ex imperiovoluntatis a Deo motae pergratiam («Credere è un attodell’intelletto che, spinto dalcomandodellavolontàmossada Dio per mezzo dellagrazia, dà il proprio assenso

alla verità divina»). Anchequi è presente il tema del«dono di Dio», ma è ancheesplicito il concetto che lafede è sottopostaall’imperiumvoluntatis,ossiaèunvoluto.Sennonché,comela fede è volontà, così lavolontà è fede. La fede nonpuò essere che la volontà diessere l’élenchos, ma poichéla volontà è fede, ladefinizione che della fedecristiana vien data nella

Lettera agli Ebrei si risolvenell’affermazione che la fedeè la fede nell’esistenza dellecose che non appaiono. Unrisultato dove, tuttavia, ilfallimentodelladefinizionesiaccompagna al significativoriconoscimento che ilcontenuto della fede ècostituito da cose che nonappaiono.Nella struttura originaria –

nel cerchio originario (epertanto attuale) del destino

della verità – gli essenti cheappaiono sono quelli la cuinegazione apparenecessariamente comeautonegazione.Intalecerchiogli essenti che invece nonappaiono sono, da un lato,quelli che, non apparendoall’interno del destino, ètuttavia il destino stesso adaffermare che esistononecessariamente; dall’altrolato,sonoquellicheappaionoall’interno della terra isolata,

ossia di ciò che l’«uomo»,quindi anche l’«uomocristiano», considera comel’evidentemondodellavita,ecioè proprio come l’insiemedelle cose che appaiono:comelecose«visibili»(nellaLettera agli Ebrei il termineapparentia traduceblepómena, «visibili»,appunto).Questo secondo tipo di

essenti che non appaionosono sì i più visibili per gli

abitatoridellaterraisolatadaldestino;etuttavia,proprioperquesto isolamento, essi sononegazionedeldestino.Laloroesistenzanonècioèaffermatadal destino della verità;all’internodelquale,peraltro,appare la terra isolata (f-negazione),ossialafedenellaloroesistenzae la lorostessaesistenza inquantocontenutodi tale fede. Agli occhi deldestino essi sono invisibili enon appaiono, perché sono

nulla, e il loro apparire edesserenella fedeè ilpositivosignificare del nulla, il veloche la fede getta sul nulla.L’autentica sapientiahominum (ciò che in verità ètale sapienza) non è quellasubordinataallasapientiaDeiin mysterio quae absconditaest, ma è il contenuto dellaterraisolata,cheapparecomefollia in relazione al destinodella sapienza, al cerchiodegli essenti che appaiono

incontrovertibilmente,assolutamente«visibili».Pertanto, l’autenticamente

invisibile, per l’autenticasapientia hominum, non è lasapientiaDeiol’indecifrabilecaosdiunmondosenzaDioesenza «verità» (cheappartengono entrambi,insieme alle loro possibilivariazioni, all’autenticasapientia hominum, cioè allaterra isolata):l’autenticamente invisibile e

nascostoalla terraisolataèildestino della verità. Senzasaperlo, la fede nasconde laveritàcolvelodellecosecheper la verità sono nascosteperché sono nulla – mentreper la fede sono l’evidenza:l’«evidenza»cheinveritàèilvelodelnulla.D’altra parte è impossibile

che la fede – pur assumendocome evidente il propriocontenuto(ecomeevidentiledistinzioni che essa opera al

proprio interno, tra i varimodi in cui distingue il verodal falso, l’indubitabile daldubitabile, ecc.) – abbiadinanzi, in tale presuntaevidenza, il destino dellaverità, ossia è necessario cheabbia dinanzi il propriocontenuto nel (nel – non:come il) suo poter essernegato, cioè l’abbia dinanzinelsuoesserdubitabile.Essapuòessere fedenell’evidenzadi ciò in cui crede, solo in

quanto nasconde a sé stessanonsoloildestino,chepureèil sommamente visibile, maanche il dubbio (al quale èessenzialmente legata)intorno a ciò in cui essacrede. La fede non solo ènegazione (f-negazione deldestino) che nega sé stessa,maèancheunanegazionedeldestino che dubita (purnascondendoselo, cioèseparandosidaldubbio)diséstessa. A differenza della d-

negazione, che appare soloneldestinoenon, come la f-negazione,anchenellafede.10.COMPIUTEZZAEINCOMPIUTEZZADEL«PRIMA».ESPERIRELAMORTEE

LANASCITA.(POSTILLAALPARAGRAFO13DELCAPITOLOIDIQUESTAPARTE

SECONDA)Per chiarire l’intento di

questa postilla si richiamianchequantosegue.a) Al di fuori

dell’isolamento della terra, ildivenire è il comparire escompariredegli eterni, ossiail loro sopraggiungerenell’apparire trascendentaledel cerchio finito del destino(e, insieme, è ilsopraggiungere del loroapparire, che è apparire«empirico», ossia apparire diunapartediciòcheappareinquel cerchio). Sopraggiungeanchel’eternocheècostituitoda ciò che appare dopo lo

scomparire di un cert’altroeterno. E tutto questo apparenelcerchiodeldestino(cheèpertanto apparire di séstesso).b) Inoltre, l’apparire del

sopraggiungere di un essenteimplica necessariamente chealmenoqualcosadiciòsucuiil sopraggiungente giunge (equesto «ciò su cui» è il«prima»)continuiadapparire– permanga nell’apparire –quando il sopraggiungente

sopraggiunge (e ilsopraggiungente, nella suaunitàcol«prima»,èil«poi»).Se non ci fosse questopermanere del «ciò su cui»giunge il sopraggiungente,quest’ultimo non potrebbeapparire come tale, ma,semplicemente, apparirebbequalcosa.Nonapparirebbeundi-venire, un venire diqualcosa in qualcosa che loaccoglie.c) Quale sia

determinatamente laconfigurazione di ciò cheaccoglie(echeèil«prima»),permanendo(nel«poi»),èuntema già sviluppato inEssenza del nichilismo («Ilsentiero del Giorno», XX),dovesirilevacheè«soltantoun fatto» «che il primascompaia quando il poiappare», «un fatto chepotrebbeessereassenteinunadiversa configurazionedell’apparire», nella quale il

prima «potrebbe» permaneretotalmente.d)ApartiredallaGloria si

mostra che questapermanenza totale non èsoltantounapossibilità,comeancora si dice inEssenzadelnichilismo,maunanecessità,perché, col tramonto dellaterra isolata e l’avventodellaterra che salva, è necessarioche, tuttavia, la totalità delcontenuto della terratramontata appaia, come

oltrepassato e negato, nellaterrachesalvadaesso,echedunque riappaia anche tuttoilcontenutodellaterraisolatacheneltempodell’isolamentosiacadutonell’oblio.Equestanecessità è appunto lanecessità che la totalità del«prima» continui ad apparirequandoapparequel«poi»cheè, appunto, la terra che salvadallasolitudinedellaterra–ecioè quando appare quella«diversa configurazione

dell’apparire» in cui consistelaterrachesalva.e) Tale necessità è tenuta

fermaancheinLamortee laterra. Ma, nel frattempo, inOltrepassare (IV, ultima sez.del par. IV e prima sez. delpar.V)sieraritenutodipotermostrare la necessità chel’apparire del sopraggiungeredegli essenti implichi loscomparire di una parte del«prima».Lamorte e la terra(XIII, VI) mostra quindi il

caratteresviantediquestatesidi Oltrepassare – sebbeneessa sia occasionata da untratto incontrovertibile deldestino, che in Oltrepassareviene richiamato (essendoesso già presente nellaStruttura originaria) e postoin particolare evidenza inrelazione al tema dellaconfigurazione determinatache è assunta dal «prima»quando sopraggiunge il«poi».

f) Questo tratto è lanecessità che la «stessa»determinazione,apparendo incontesti diversi, non sia la«stessa». Infatti inOltrepassare (dove si tienfermo che nell’apparire delsopraggiungeredegliessentiènecessario che il «prima»continui ad apparire quandoappare il «poi») si rileva chetuttavia il «prima» continuaad apparire in un contestodiverso da quello in cui il

«prima» appare quandoancoranonèapparsoil«poi»;e talediversità implicache il«prima», nei due diversicontesti, non abbia lo stessocontenuto, ma contenutidiversi. E questo è,indubbiamente, un trattoincontrovertibiledeldestino.g)Sennonché,sullabasedi

questo tratto, inOltrepassaresiritienecheladiversitàtraidue contenuti del «prima»che appaiono in contesti

diversi possa sussisteresolamente se una parte oaspettodel«prima»scomparequando incomincia adapparire il «poi» – sì che laparte (o aspetto) del «prima»che appare quando appare ilpoièdiversadallatotalitàdel«prima» che appare quandoancorail«poi»nonappare.Maquestorisultatositrova

in contraddizione con lanecessità che, colsopraggiungeredellaterrache

salva, la totalità concretadella terra isolata eoltrepassata appaia, e chequindi questa forma delsopraggiungere non solo nonimplichiloscomparirediunaparte del «prima», maimplichi che riappaiano,identici,anchegliessentichenella terra isolatasianouscitidall’apparire.Orbene, anche se inmodo

che può sembrare implicito,

La morte e la terra mostra(XIII, VI) che non ènecessario che la(ineliminabile) diversità tra idue contenuti del «prima»che appaiono in contestidiversi sussista solamente seuna parte o aspetto del«prima» scompare quandoincomincia ad apparire il«poi». Non è necessario, eanzi è impossibile, dato ilmodoincuilaterrachesalvasopraggiunge e oltrepassa la

terraisolata.Infatti,quandoil«poi»non

è ancora sopraggiunto, il«prima» appare nel suo nonessere ancora compiuto,mentre, quando il «poi»sopraggiunge, il «prima»appare come compiuto –secondo il senso determinatodella incompiutezza ecompiutezza, indicato nelcapitolo VI di Destino dellanecessità, dove lacompiutezzaèilperfectum.

Sirichiamiinbrevequantooccorre per la comprensionedi queste affermazioni.Riprendendo qui i simboli diOltrepassare (pp. 277 sgg.),se Dl è la legna che nelcamino attende di esserebruciata, Df la legnafiammeggiante e Dl1, Dl2,Dl3... Dln la sequenza i cuiterminisonoivaristatidiDlprimadiesserebruciata(cioèla sequenza costituita dallostare nel camino quando

ancora non piove, quandotuona,quandopiove...quandosi decide di accendere ilfuoco), allora, con ilsopraggiungere di Df, quellasequenza(l’eternocheessaè)è«compiuta» (Lamorte e laterra, XII, VI). È cioèimpossibile (contraddittorio)che, con l’apparire di Df,appaiaunDln+1(ossiachelalegna–Dindicaappuntoqueldeterminato che è questalegna nel camino – appaia,

insieme,nonfiammeggianteefiammeggiante). Il compariredi Df è ciò per cui talesequenzaapparenelsuoessercompiuta, ossia nel suo noncontenere un Dln+1. Sino ache non appare Df questasequenza appare invece nelsuo essere aperta all’appariredialtrielementi(Dl4,Dl5...),ossia appare nel suo essereincompiuta e comeincompiuta.Poiché, rispetto al

comparire di Df, talesequenza è il «prima», il suoapparire come incompiutadifferisceda tale sequenza inquanto, col comparire di Df,appare come compiuta: nelcontesto in cui Df (il «poi»)non appare ancora, essaappare con un contenutodiverso da quello che lecompete nel diverso contestoin cui appare Df. Uncontenuto che è diverso nonperché sia necessario che –

nell’esempioconsiderato–glielementi della sequenza chesi trova nel contesto del«prima» siano diversi daglielementi della sequenza chesitrovanelcontestodel«poi»(nonènecessarioancheseinaltri casi ciò può accadere),ma perché, come si è detto,nelcontestodel«prima»e inquello del «poi» la sequenzaappare,rispettivamente,comeincompiutaecomecompiuta.Inoltre,talesequenzaounoo

piùd’unodeisuoielementièil «prima» che continua adapparire identico quandoappare il «poi» – fermorestando che l’esempio delrapporto tra Dl e Df è unasemplificazione, perchéappaiono casi in cui il«prima»èpiùampiodiquellasequenza(adesempioincludeil freddoche si sentequandoilfuocononèancoraacceso,l’oscurarsi del cielo, il volobassodegliuccelli,eccetera);

fermo restando che,comunque, il sopraggiungereappare solo se qualcosa del«prima» permane,nell’apparire,identicoasé-in-quanto-appare-quando-il-«poi»- non-è-ancora-sopraggiunto; e fermorestandocheil«prima»,dopoessere apparso nel suorimanere identico colsopraggiungere del «poi»,può scomparire ed esseresostituito da altri essenti (sì

che,perrimanerenell’ambitodell’esempio proposto, ilsopraggiungere della legnafiammeggiante può apparireinrelazioneaun«prima»chenonèlasequenzaDl...Dlnoalcunisuoielementi,maè,adesempio, il desiderio discaldarsi). Non è nemmenonecessario che il «prima» siauna sequenza i cui elementiabbiano qualcosa di identico(nelcasodellasequenzaDl...Dln, l’identico, che quindi

nella sequenza permane, è lalegnanelcamino):per lopiùciòaccade.È dunque necessario che

l’apparire del sopraggiungereimplichi l’apparire di duecontesti diversi nei quali il«prima» viene ad apparire eche questa diversità implichipertanto la diversità tral’incompiutezza del «prima»(in quanto appare nel primocontesto) e la compiutezzadel«prima»(inquantoappare

nelcontestosuccessivo).Non è invece necessario e

anzi è impossibile che, inquanto tale, l’apparire delsopraggiungere implichi(come invece si dice inOltrepassare) lo scompariredi un aspetto o parte del«prima». (Il che non ènecessario e anzi èimpossibile,perché, si ripeta,è necessario che conl’avventodellaterrachesalvariappaialatotalitàconcretadi

ciò che nella terra isolata èscomparso, è cadutonell’oblio).Ciò non significa che

nell’apparire delsopraggiungerenonscompaiamaialcunchédel«prima»,masignifica che tale scomparirenon è dovuto alla presuntanecessità che l’apparire delsopraggiungere implichi talescomparire,ma è dovuto allanecessità che tutto ciò chesopraggiunge sopraggiunga e

sopraggiunganelmodoincuisopraggiunge (cfr. Destinodella necessità, III-IV).Questa necessità si riferiscequindi al sopraggiungeredegli essenti nella terraisolata, prima dell’avventodellaterrachesalva.Il «prima» è il passato, e

carattere essenziale delpassato è, nella terra isolata,anche il suo non esser piùoggetto del volere (cfr. adesempio, tra imiei scritti,La

filosofia futura, Parte nona,XXXVI, 2).All’interno dellaterra isolata la tesi diNietzsche per la quale ènecessario che anche ilpassato sia voluto (e chequindipossaesservolutosolonella forma dell’eternoritorno di tutte le cosepassate) è una conseguenzainevitabile della fede neldiventar altro e nel diventarnulla essendone usciti. Ma,appunto, tale conseguenza è

inevitabile sul fondamentodell’alienazione costituita daquella fede. Il destino vedequesta forma di inevitabilità,mavedeanchel’impossibilitàche il passato sia un voluto(cfr.Oltrepassare,VI,IV).Ora, che a differenza del

presenteil«prima»sia ilnonesserpiùoggettodelvolere,èun aspetto dell’apparire dellacompiutezza del «prima» –dellacompiutezzacheapparequando appare il «poi». Sino

a che non appare Df, lavolontà crede di potermodificare gli elementi dellasequenza Dl... Dln nel loronon ancor fiammeggiare;quando appare Df la volontànoncredepiùdipoterlofareeincomincia invece a crederedi poter modificare ilpresente,ossiailmodoincuila legnastabruciando. Infattilavolontàcredeinquestasuacapacità perché crede che ilmodificabilesiaincompiutoe

crede di aver il potere dispingerlo verso il suocompimento – per produrreun «poi» che sia una novitàrispetto all’identico chepermane lungol’incompiutezza–lanovitàdicui essa ha bisogno perché èsempre insoddisfatta di tuttociò che essa ottiene (cfr. Lamorteelaterra,VI).L’essere un voluto è un

tratto essenzialedell’incompiutezza del

«prima», ma è anche ilfondamento del carattere«astratto» – «ideale»,«formale», «indebolito»rispetto alla concretezza e«solidità» del presente – cheil «prima» mostra quandoappare il sopraggiungere del«poi». Il presente possiedequesta «solidità» perchélimitalavolontà,leresiste–ela volontà lomodifica (crededi modificarlo) perchéinnanzituttosi trovadi fronte

alla sua resistenza, che poivien vinta dalla volontà(crede di vincerla) quando lavolontà ottiene (crede diottenere) ciò che ha voluto.Se la volontà non si trovasseinnanzitutto di fronte a unaresistenza, avrebbe ottenutotuttociòcheessapuòvolere,perché se non l’avesseottenuto si troverebbe,daccapo, davanti a un limite,a una resistenza che leimpedirebbe di ottenerlo – al

limite che non potrebbesussistereseessaavessetuttoottenuto.Maquandoqualcosaè oltrepassato da un «poi» e,nella sua compiutezza, non èpiù un voluto, esso nonmostra più quella solidità ecapacitàdiresistenzaeapparecome quell’«astratto», quelche di «ideale», quellasemplice «immagine» a cuil’oltrepassato vieneidentificatonellaterraisolata.Ilpassatoèilcompiutamente

voluto.Quando la terra che salva

sopraggiunge, riappare latotalitàdellaterrachesalvaepertanto la totalità sia delcompiutamente siadell’incompiutamentevoluto.(Certo, anche

l’irrevocabilità del «così fu»del passato, contro la qualeNietzsche ritiene che lavolontà abbia a scagliarsi einfine a vincerla, è una sortadiresistenzaedisolidità–la

solidità e resistenza delfactum infectum fieri nequit;ma, come si è detto, è soloall’interno della conseguenzainevitabile della fede nelsenso nichilistico deldivenire, ossia nellaconseguenza indicata dalpensiero di Nietzsche – cfr.L’anello del ritorno – che siimpone la necessità che lavolontàpossavolereanche ilpassato; laddove, nellosguardo del destino, appare

l’impossibilità che la volontàvoglia il passato, anche sepuò accadere che nella terraisolataintendavolerlo).Che l’apparire del

sopraggiungere implichinecessariamente che il«prima» continui ad apparirenel «poi», in modo chequalcosasiaeappaiaidenticonel«prima»enel«poi»,nonsignifica che a tale apparire,in quanto tale, competanecessariamente la verità del

destino. La terra isolata ènegazione del destino (è ilsogno della non verità) etuttavia è necessario cheancheinessa,cheèl’appariredel sopraggiungere di tuttociò che appare come esitodell’isolamento, tale apparireabbia il carattere che è statorichiamato. Invecenella terrache salva e che accade coltramonto della terra isolata,l’apparire del sopraggiungeremai compiuto (ossia della

Gloria della terra) appartienealdestinodellaverità.La legna che brucia è

anche una metafora dellamortedellecose.Lasapienzadella terra isolata (che apartire dal proprio culmine,cioè dalla sapienza greca,intende la morte comeannientamento) afferma chel’«uomo» non può «fareesperienza» della propriamorte:eglihaesperienzasolo

dellamortealtruiedellecoseche, dopo essere state da luiesperite, esconodall’esperienza,nonappaionopiù(l’apparireessendo infattil’essenza dell’esperire).Intendendo la morte comeannullamento, il nichilismoneconclude,perlopiù,chelamorte dell’uomo èinnanzitutto l’annullamentodel suo esperire, che quindinonpuòavercomecontenutol’annullamento di sé stesso

(non può essere e non esseresub eodem – non può nonesserpiùeinsiemecontinuareadessere).D’altra parte il nichilismo

non si avvede che perl’«uomo» è impossibile fareesperienza non solo delproprio annullamento, ma diun qualsiasi annullamento (elo si mostra in base a unmotivocheènecessariamentediversodaquelloper ilqualesi esclude la possibilità di

esperire lapropriamorte).Diciò non si avvede nemmenoquella forma di nichilismoche è l’idealismo (esoprattutto l’attualismogentiliano). Per il quale,tuttavia, l’esperienza inquanto «Io» o pensierotrascendentale differiscedall’«io» empirico; sì che,anche se l’idealismo nonsembra aver preso inconsiderazione questo tema,l’uomo in quanto pensiero o

Io trascendentale che nelproprio contenuto include iltempo può fare esperienzadella morte, ossiadell’annullamento, di ogniuomo in quanto io empirico,cioè anche di quell’ioempirico che anche perl’idealismo è qualificabilecome«ilmioesserio»traglialtri – mentre l’Iotrascendentale non può fareesperienza del proprioannullamento.

Ma nello sguardo deldestino della verità le cosestanno in modoessenzialmentediverso anchein relazione all’esperienzadella propria morte. (E,questo, anche se ladistinzione tra iltrascendentale e l’empiricosembra un tratto comuneall’idealismo e al destino –laddove è nell’idealismo, manoncertoneldestino,chetaledistinzione sussiste tra due

forme del produrre e dellavolontà di potenza –, fermorestando, tuttavia, cheidealismo e fenomenologiasono l’ultima grandeaffermazione deltrascendentale, ossia delpensiero che nasce con lafilosofia e si presenta cometotalità degli enti cheappaiono, o, anche, comemanifestazione della totalitàdeglienti).Lamortedicuisifa esperienza nella terra

isolataèilcompimentodiunavolontà particolare,«empirica»(cfr.Lamorteelaterra),ossiailcompimentodiuna sequenza analoga allasequenza Dl... Dln.Ma se siassume che la legna chebrucia sia metafora dellamorte, è più appropriatoprendere in considerazione, aquestopunto,lasequenzacheprocede dalla legna cheincomincia a bruciare – ed èl’incominciaredellavita,cioè

della volontà – (la si indichicon L), e che dopo i diversimomenti del suo ardere (L1,L2... Ln) ha il propriocompimentonellacenere(C),ossia nel cadavere di un«uomo».Ma nella sua essenza

l’uomo è il cerchio in cuiappare il destino (e taleapparire è un tratto deldestino)eincuisopraggiungela terra isolata dal destino e,in essa, la volontà empirica

cheha ilcaratteredell’«essermia». Tale cerchio èl’apparire trascendentale –l’Io del destino – in cuiappaiono gli essenti che giàdasempreappaiono(checioècostituiscono la persintassidel destino) e gli essenti chesopraggiungono in quelcerchio insieme al loroapparire («apparireempirico»). In questocontestononsoloèpossibile,maènecessariochesi faccia

esperienza della propriamorte.Innanzitutto, nella

sequenza L... C, C è ilcompimento di essa, ma ilsopraggiungere di talecompimentopuòapparire–siè richiamato anche sopra –soloseappareunessentechenon appartiene a questasequenza.D’altra parte, se lamia non è la mortedell’ultimo«uomo»,epoichéil tramonto della terra isolata

implica la morte di ogni«uomo», la mia morteprecedeiltramontodellaterraisolata.Edènecessariochelaterra isolata tramonti – chetramonti all’internodell’essenza dell’uomo inquanto cerchio dell’appariredella struttura originaria deldestino (cerchio originario),ossia come cerchio cheincludela«miavita»,la«miavolontà».È necessario che la terra

isolata tramonti, cioè abbia asuavoltacompimento, sì cheil tramonto è insieme ilsopraggiungere, in quelcerchio, della terra che salva(inquelcerchioepertanto inogni cerchio di tale apparire,secondo quanto è implicatodalla struttura originaria deldestino – come si mostranella Gloria e inOltrepassare). Questosopraggiungere (nell’essenzadell’uomo in quanto cerchio

originario della terra chesalva) è l’apparire di ciò chenon appartiene alla sequenzaL... C in quanto essacostituisce «la mia vita»,ossiaèl’apparirediciòcheènecessariamente richiestoaffinché appaia ilsopraggiungere delcompimentoditalesequenza,cioè il sopraggiungere dellamorte.Questo compimento,

dunque,èlamiamorte,mail

suo sopraggiungere puòapparire in me in quantocerchio dell’appariretrascendentale del destino –ne posso «fare esperienza» –solose in talecerchioapparelaterrachesalva;epoichélaterra che salva può appariresoltantodopolamiamorte,ilmio sperimentare la miamorte–l’apparireinmedellamia morte – puòsopraggiungere soltantodopolamiamorte,quando la terra

che salva oltrepassa la terraisolata, conservandola, equindi conservando, oltreall’eterno che è la mia vita(ma poi, oltre a ogni eternoche costituisce il contenutodella terra isolata) anchequell’eterno che è la miamorte in quanto compimentodella sequenza in cui la miavita, lamiavolontà,consiste.Dove–siripeta–«l’apparirein me della mia morte»significacheinme,inquanto

cerchio dell’apparire deldestino(inquantosonoIodeldestino) e dell’apparire dellaterra (che mai hacompimento), appare ilcompimentodellamiavitainquanto vita e volontà tra lealtre, cioè in quantocontenuto particolare,«empirico».Si può dire che, prima

dell’avvento della terra chesalva, nella terra isolata (cheappare in me in quanto

cerchio del destino) puòquindi apparire soltanto lamorte altrui, non lamia, cheperò, con quell’avvento, ènecessario che in me appaia(e appaia insieme a tutte lemortidell’uomo,ossiaappaiainsieme al compimento dellatotalitàdelmorireumanoealcompimento della terraisolata). Ma, propriamente,l’avventodellaterrachesalvaè preceduto dall’«istante»che, non appartenendo alla

«vita», è la determinazionenel cui apparire consiste ilcompimento di essa e chequindi appartiene all’essenzadella morte. (Sul temadell’«istante»,cfr.Lamorteela terra, XII, e Intorno alsenso del nulla, Parte prima,«Postilla a La morte e laterra,XII,I»).Seciòcheè«esperito»èlo

stesso «esperire» (nella terraisolata questo termine

esprime soltanto l’intenzionediindicarel’apparirechenonaltera ciò che appare), nonsolo è impossibile esperire ilnon esperir più, il nonappartener più a ciò cheappare, ossia al contenutodell’esperire (e a maggiorragioneèimpossibileesperirel’annientamentodell’esperire), ma è ancheimpossibile esperirel’incominciare ad esperire –non solo è impossibile

sperimentare la propriamorte, ma è ancheimpossibile sperimentare laproprianascita: si sperimentasoltantoilmoriree ilnascerealtrui.Ma la struttura originaria

del destino implica lanecessità che l’essenza diogni uomo sia l’essere un Iodel destino che accoglie laterraeilsuoisolamento,e,inessa, il singolo esser io diognuno (l’io «empirico») –

l’esser io che consiste nellafede di essere volontà,potenzacapacedifardiventaraltro le cose. Poiché ogniuomo è un cerchiodell’appariredeldestinodellaverità, ossia della persintassicheaccoglielaterra,nonsoloèimpossibilemaènecessarioche ogni uomo esperisca,oltre a quella altrui, anche lapropria nascita e la propriamorte.Infatti in ogni cerchio,

l’esperirelamorteelanascitadel singolo esser io che inessoappare–echeèilmodoempirico, cioè isolato dall’Iodeldestino,diesser io–nonèidenticoall’esperito.Inognicerchio dell’Io del destinoappareilsopraggiungeredellaterra,del suo isolamentoediquell’unicum che in ognicerchio appare come «il mioesser io empirico» («questomio voler trasformare ilmondo»); ed è destinato ad

apparire il compimento diogni terra isolata e di ognivolontàempirica.OgniIodeldestino assiste quindi anchealla nascita e alla morte delproprio modo alienato diesserio.Enessunopuòricordare la

propria nascita, perché chinasce è appunto quel modoalienato dell’esser io, che èalienato perché appartieneallaterraisolatadaldestinoepertanto è isolato da chi

assisteallasuanascita;sìche,all’interno della terra isolata,è impossibile ogni ricordo incui dapprima appaia ilcerchio del destino nonancoraraggiuntodaessaepoiil variare per il quale talecerchio appare nel suo esserl’apparire di ciò che l’haraggiunto (ossia è l’apparirediquestosuoapparire).Ma se la nascita della

volontà empirica non puòapparireall’internodellaterra

isolata, è tuttavia necessarioche la nascita appaia neldestino in quanto essoaccoglielapuraterra,laterrain quanto si mostra, neldestino, nel suo volto nonsfigurato dall’isolamento –nel volto su cui l’isolamentogetta la propria retesfigurante. (Sul senso della«pura terra», cfr.La morte elaterra,VIII).

11.NONAPPARENÉLAFORMAONTOLOGICANÉLAFORMA

PREONTOLOGICADELDIVENTARALTRO

Va annotato che non

appare nemmeno la formapreontologica del diventaraltro e da altro (quella in cuil’altro non è ancoraesplicitamente inteso comenulla).Piùvoltesièchiarito,neimieiscritti,cheildiventaraltrononappare,masièfattosempre riferimento alla sua

forma ontologica (sebbene inessisiagiàvenutainchiarolacontraddittorietà della formapreontologica).Sidiràdunquechequando,

nella dimensionepreontologica della terraisolata, si crede chequalcosa(A) divenga (si trasformi in)altro (non-A), è impossibilechesicredacheAcontinuiadapparire (amostrarsi, a esseresperibile, ecc.) così comeappariva prima di diventare

non-A. (Nella dimensionepreontologica, cioèprefilosofica, l’apparire èespresso in molti modi: adesempio come essertoccabile,visibile,udibileeingeneralesensibile,comeesserpresente, esperibile, comemostrarsi, rivelarsi, eccetera).E se si crede che A divengada un non-A è impossibilechesicredacheAappaiagiàprimadiesserdiventatoA.Aldilàdiciòchequestocredere

pensadisé,ènecessarioche,all’interno di esso, primaappaia A e poi un non-A (oprima un non-A e poi A).L’apparire, in quanto tale,nonpuòmostrarecioècheneè di A dopo il suo esserdiventato non-A (o prima didiventare A). Ma allora, chesiaAadesserdiventatonon-A è una teoria,un’interpretazione di ciò cheappare(lequalinellosguardodel destino appaiono come

negazioni del destino, comecontraddizioni, perché ildiventarnon-AdapartediAconduceaunrisultatodoveAèidentificatoanon-A).In altri termini, è

impossibilecheappaiacheunvivente sia diventatocadavere, e quindi èimpossibilechenellafedeneldiventar altro appaia ildiventar cadavere. Pertanto ènecessarioche,ancheinessa,primaappaiaunviventeepoi

un cadavere. Per quantogrande sia l’insieme delleproprietà che i due hanno incomune – e per la presenzadelle quali ci si convince,nella terra isolata, che è ilvivente ad esser diventatoquell’altrocheèilcadavere–,l’apparire non solo nonmostra che ne sia delcadavere quando il viventeappare ancora vivo, ma nonmostra nemmeno che ne siadel vivente quando appare il

cadavere – che, ripetiamo,vien detto «il suo» perl’esperibilità appunto diquell’insiemediproprietà.O anche: poiché è

necessario che A, nellasupposizione che A divengaaltro, esca dall’apparire (cioènon appaia più così comeappariva prima di diventaraltro), è impossibile cheappaia il suo diventar altro –ossia che appaia che è A adiventar altro –, perché

questo apparire implicanecessariamentecheAappaiaancora così come apparivaprimadidiventarealtro.E inmodo analogo: poiché èimpossibile che A appaiaprima di esser diventato danon-A,èimpossibilecheesso(A) appaia come qualcosa didiventato da un non-A(giacché, se così apparisse,esso apparirebbe prima diessere diventato A). Anchequi: è necessario (necessità

del destino) che l’apparireabbia a mostrare, prima, unnon-Ae,poi,A.La fede ritiene di poter

replicare dicendo che, neldiventar altro, quando non-Aappare, A appare nel ricordoe quindi appare che A(ricordato) diventa non-A.SennonchéAricordatononèA:appuntoperché,anchepertale fede, a diventare non-AnonèAricordato(cheinvecepermane quando si produce

non-A),maèA.Il che non esclude

situazioni in cuiun ricordoèseguìtodaundiversoricordodove si è convinti chequelloprecedenteeraingannevole.Ese la fede volesse sostenerecheilprecedentericordo–A’– è diventato quellosuccessivo – non-A’ –,andrebbe ripetuto, per questodiventare, quanto si èdetto aproposito della fede che Adiventanon-A.

Il diventar altro èpreontologiconelsensocheèimplicitamente ontologico,ossia la fede inessonon traele conseguenzenecessariamente implicate daciò in cui essa crede. Infatti,anche nella sua formapreontologica, il diventaraltro è (ma, appunto, non èsaputocome)ilnonesserpiùquello che si era, ossia è ildiventar nulla da parte dellaconfigurazione specifica di

ciò che diventa altro. Sidiventa nulla proprio perchési diventa altro. (Pertanto ildiventaraltroontologicoèundiventar nulla sia nel sensoche l’altro è il nulla, sia nelsenso che l’ente, quanto allasua specificità, diventandoaltrodiventanulla).Poiché il diventar altro

(preontologico e ontologico)non appare, ma appare ilsopraggiungere degli essentinel cerchio dell’apparire

(ossia questo cerchio èl’apparire del lorosopraggiungere in essostesso), tale sopraggiungerepuò apparire solo se appareciò su cui il sopraggiungentesopraggiunge,ossiaciò (ounaspetto o parte) di ciò cheappare prima delsopraggiungente; e pertantosolo se appare il permaneredelprima(odiunsuoaspettooparte)nelpoi.Mal’appariredi questa permanenza non è

l’apparire del diventar altro:non appare (né può apparire)che il prima divenga il poi.Primaappare(traglialtri)unessente, che continua adapparire (tutto o in parte)quando nel cerchiodell’appariresopraggiungeunaltro essente. Quest’ultimo èun altro anche se conl’essente sucui sopraggiungehaincomunegranpartedellesuedeterminazioni;e tuttavianonpuòapparirecomel’altro

che l’essente da cui èprecedutodiventerebbee concui si identificherebbe.D’altra parte, che ilsopraggiungere degli essentisia il sopraggiungere deglieterni non è l’apparire inquantotaleamostrarlo,maèla sintesi tra l’apparire inquanto tale e l’appariredell’implicazione tra l’esseresé dell’essente in quanto talee l’eternità dell’essente inquantotale.

La persuasione che il

diventar altro appare è laviolenza, e insieme l’errare,in cui si vuole che ilcontenutocheapparesiaaltroda ciò che esso è. Talepersuasione è l’isolamentostesso della terra. La terraisolataègiàessal’esitodellaviolenza ed errare che separalapura terradaldestino.E ilseparare non è una forza cheriesca a far diventar altro la

terra, in un processo cheproduce quell’esito: laseparazione(laterraisolata)èun eterno che sopraggiungecon necessità nel cerchio deldestino. Tale eterno è laviolenzaeternachesfiguralapura terra (ossia la terra inquanto appare nello sguardodel destino). Ma ora siintende rilevare l’ulterioreviolenza che compete allapersuasione che il diventaraltro appaia. Giacché l’esito

della prima violenza (l’esitocioè della separazione dellaterra dal destino)nonmostraedèimpossibilechemostri ildiventar altro. Pertanto, nellapersuasione che il diventaraltro appaia, l’esito in cui lapura terra è sfigurata resta asua volta sfigurato (e anchequesto essere sfigurato non èl’effetto di una forzaproduttrice, ma è un eternoche sopraggiunge connecessità nel cerchio del

destino). Gli eterni dellaviolenzasopraggiungonofinoaltramontodellaterraisolata.Certo,ilvariaredelcontenutodella terra (che per ora èisolata) appare; ma in ognivariazionenonapparecheciòche appare prima dellavariazione sia diventato ciòche appare poi; bensì primaappareuncertocontenuto(uneterno) e poi un contenutodiverso(unaltroeterno).I contenuti della terra

isolata (cioè l’iposintassidella terra isolata) sonointerpretati (l’isolamentodella terra è l’interpretazioneoriginaria–lavolontà,lafedeoriginaria). Quei contenuti,nella terra isolata, appaiononelloroesserinterpretati;nonappare ciò chel’interpretazione vuole cheessi siano. E l’assolutaincontrovertibilità della loroesistenza appare nel destino(cioè non può apparire

all’internodell’interpretare).Ma nel destino (in cui

appare la terra isolata) ledeterminazioni persintattichedi tali contenuti – einnanzitutto il loro esseressenti – non sono contenutiinterpretati. Pertanto nonsono contenuti interpretatinemmeno quelledeterminazioni persintatticheche sono il non apparire deldiventar altro e l’appariredella variazione in quanto

successione degli eterni. Talideterminazioni appaiono nelloro esser ciò che esse sono;ed è per questo che,affermando l’apparire deldiventar altro, si perpetraquella violenza-errareulterioreincuisivuolecheilcontenutocheapparesiaaltrodaciòcheessoè.Laradicediogni possibile violenza èl’isolamentodellaterra.L’interpretazione è

violenzaancheinquantoessa

è interpretazione deicontenuti iposintattici dellaterraisolata.Chequalcosasia«uomo», «animale»,«pianta», «terra», «cielo»,«vivente», «morto» e cosìvia, è interpretazione; e(stando daccapoall’interpretazione) ciò chequelle parole tentano diindicare non è stato sempreinterpretato nello stessomodo. Sino a che si rimaneall’internodellaterraisolata,

lacondannadichi trattacertiuomini come semplice forzalavoro, o addirittura comemateriali di cui liberarsi, nonriesce ad essere qualcosa dipiù della semplicecontrapposizionediunacertaformadiinterpretazione,cioèdi violenza, che considera séstessa come «civiltà», a unacert’altra forma diinterpretazione, cioè diviolenza,chedaquellaprimaforma è considerata

«barbarie» o «disumanità».Per questo, ciò che lungo lastoria dell’uomo è statoconsiderato«bene»nonèmairiuscitoaportareil«male»altramonto. Hanno la stessaanimae si scambiano i ruoli.Ed è l’io empirico o sono leforme empiriche deiraggruppamenti sociali (qualile società democratico-capitalistichecontemporanee)apreferire – ossia a volere –quell’interpretazione del

«bene» e del «male» dove,almeno nelle lorodichiarazioni di principio, sirifiutano di trattare certigruppiumani comematerialedausareoeliminare.La duplice forma di

violenza-errare indicata quisopra, nel penultimocapoverso, si unisce quindialla violenza-errare in cui sicrede che qualcosa divengaaltroedaaltro,e(nellaformaontologicadeldiventaraltroe

daaltro)sicredechel’essentedivenga nulla e da nulla, epertanto si crede chequalcosa, diventato altro, siaaltrodaséechel’essentesianulla. È violenza laconvinzione che il diventaraltroappaia(ossiacheappaiaciò che come esito dellaseparazione della pura terradal destino è già esso laviolenza che sfigura il voltodella pura terra); ed èviolenza che il diventar altro

esista. E, anzi, è perché èimpossibile che esso esistache è impossibile che essoappaia. D’altra parte, sia lapersuasione che il diventaraltro appaia, sia lapersuasione che esso esistaidentificanodideterminazionidifferenti (e la formaontologicaditalepersuasioneidentifica i massimamentedifferenti).

12.SULL’ALTRUIESSERUOMOIl cerchio originario del

destino implica l’esistenza diuna molteplicità infinita dicerchiincuiildestinoappare.Il cerchio originario non ècioè la totalità dell’apparirefinito del destino (cfr. LaGloria, V; Oltrepassare, III,IV). L’essenza dell’esseruomo esiste comecostellazione infinita di queicerchi, ma tale costellazione

non è ciò che, nella terraisolata, cioè nel sogno cheapparenelcerchiooriginario,appare come l’«altrui esseruomo». Ciò nonostante,l’«altrui esser uomo», nellacui esistenza la terra isolatadelcerchiooriginariohafede,mostra in qualche modo ciòcheessoè.Daunlato,infatti,l’«altrui

esseruomoȏ ilmodoincuinel cerchio originarioappaiono gli esser io della

volontà empirica cheappaiono nella terra isolata,ossia nel sogno di ogni altrocerchio(Lamorte e la terra,VII). Dall’altro lato,quell’«altruiesseruomo»èilmodo in cui in tale cerchioappareciòchenellaterranonisolata (quella cioè che, al difuori del sogno, appare nellosguardo del destino)corrisponde a tale «altruiesser uomo» (VIII). Quantosegue in questo paragrafo

richiama e ripropone, conalcuni chiarimenti, la lineaessenziale della sequenzafondativa che conduce alleaffermazioni checostituisconoquestiduelati.Primolato.Nella terra isolata del

cerchio originario appare lamolteplicità dell’«altrui esseruomo». In La morte e laterra, VII, III, i termini diquesta molteplicità sono

indicati dai simboli H, H’,H’’,H’’’...È necessario che anche

nellaterraisolatadiognialtrocerchio appaia la fede nelproprio esser un io dellavolontàempirica–comunquetale io sia interpretatoall’internodiquesta fede (LaGloria, VI, IV). In ogni altrocerchioapparecioèlafedediessere un io siffatto. NellaGloria (loc. cit.), le fedi nelproprio esser un io siffatto

sono indicate dai simboli K,K’,K’’,K’’’...Inrelazioneaognitermine

della serie H ... H’’’... cheapparenelcerchiooriginario,poniamoH, è necessario cheinuncert’altrocerchioesistal’essente (lo si indichi anchequiconKs)cheèilpiùsimileaH.ÈquindinecessariocheKs

sia ciò che in un cert’altrocerchio è la fede nel proprioessere un io della volontà

empirica.Hèpertantoilmodoincui

Ks appare nel cerchiooriginario.OssiaHèilmodoin cui il sogno in cui Ksconsiste (all’interno di uncerchio diverso da quellooriginario) appare nel sognoche appare nel cerchiooriginario.Secondolato.Lapuraterraèlaterrache

e in quanto appare nellosguardo del destino e che

invece, nell’isolamento dellaterra,restaappuntoisolatodaldestino. La pura terra è ildestino della terra, ciò cheessaèinverità.A ogni termine della serie

H,H’,H’’,H’’’...,cheapparenel cerchio originario,corrisponde, nella pura terracheappareintalecerchio,ciòche è il più simile a queltermine.Aogniterminedellaserie K, K’, K’’, K’’’..., cheappare in un cerchio diverso

da quello originario,corrisponde, nella pura terracheappareintalecerchio,ciòche è il più simile a queltermine.Aognunodeiterminidella

serie H, H’, H’’, H’’’..., adesempio a questo altrui esseruomoHcheapparenellaterraisolatadel cerchiooriginario,corrisponde nella pura terrache appare in questo cerchiol’essente (lo si indichi conHH) il cui isolamento dal

destino conduce all’appariredi H in questo cerchio. AognunodeiterminidellaserieK, K’, K’’, K’’’..., adesempio alla fede K nelproprio essere un io dellavolontà empirica che apparein un cerchio diverso daquellooriginario,corrispondenellapuraterracheappareinquestocerchiol’essente(losiindichi con KK) il cuiisolamento dal destinoconduce all’apparire di K in

questocerchio.H appare nella non verità

della terra isolata del cerchiooriginario,mentreHHapparenellaveritàdellapuraterraditalecerchio;mal’essentechenella pura terra del cerchiooriginarioèilpiùsimileaHèHH.(Analogamente,perognialtro termine della serie H,H’, H’’, H’’’...). Infattil’apparire di H è l’esitodell’isolamento di HH e nondi un qualsiasi altro termine

dellaserieHH,H’H’,H’’H’’,H’’’H’’’...PertantoHHèciòche in verità è l’altrui esseruomoHcheapparenellaterraisolatadel cerchiooriginario.È impossibile cheHH sia unio della volontà empirica,perché questo io appartienenecessariamente alla terraisolata. È cioè impossibileche HH sia una fede nelproprio esser io.Ma ciò nonsignifica che HH non sia unio, un apparire dell’apparire,

dove il contenuto che appareè però una parte di ciò cheappare(sìchequestoapparireè apparire parziale,«empirico», «io empirico»),mentre ogni Io del destino èl’apparire dell’apparire doveil contenuto che appare è latotalitàdiciòcheappare(èilcontenuto dell’appariretrascendentale). Ed èimpossibile che HH non siaun apparire (parziale)dell’apparire, cioè sia un

essente che è soltanto uncontenuto dell’apparire: èimpossibile nella misura incui è impossibile che tral’esser io empirico in quantotale e l’esser l’io empiricodella volontà (di far diventaraltro le cose) sussistaun’implicazione tale daescludere l’esistenza di un ioempirico che non sia un iodellavolontà.Inaltritermini,è impossibile che l’ioempiricoinquantotale(enon

inquantoiodellavolontà)siauna determinazione cheappartiene all’esitodell’isolamento di HH daldestino e non appartiene aHH, che è liberodall’isolamento; infattil’isolamento non è unarricchirsi bensì unimpoverirsidelcontenutocheappare. (Impossibile cioèchel’isolamento di un non ioabbiacomeesitol’apparirediun io, ossia che in questo

esito sia presente unadeterminazione che nonappartiene a ciò che vieneisolato.InLamorteelaterra[VIII, V] si indica il motivoper cui è opportuno che iterminidellaserieHH,H’H’,H’’H’’, H’’’H’’’... sianochiamati«dèi»).Senellaterraisolata, l’io empirico (H) èl’aver fede in un io dellavolontà,lapuraterraHHnonè priva di questa fede,ma lacontiene come negata, come

errare che il destino dellapuraterranega.Infattilapuraterra, in quantosopraggiungere degli essentiche appaiono nella verità deldestino, è il sopraggiungeredella relazione tra taliessentie lo sfondo che, nonsopraggiungente, già dasempreapparenelcerchiodeldestino,edèquestarelazionea contenere come negata lavolontà che in H è unitaall’esser io. Appunto per

questo l’isolamento, in cuiappareH,nonèunarricchirsidovuto al possesso dellavolontàchecompeteaH,maè un impoverirsi dovutoall’assenza,inH,dell’esserio(HH) che nello sguardo deldestino appartiene alla puraterra.K appare nella non verità

della terra isolata di uncerchio diverso da quellooriginario,mentreKKapparenellaveritàdellapuraterradi

talecerchio;mal’essentechenellapuraterraditalecerchioè il più simile a K è KK.(Analogamente,perognialtroterminedellaserieK,K’,K’’,K’’’...).Infattil’apparirediKè l’esito dell’isolamento diHHenondiunqualsiasialtroterminedellaserieKK,K’K’,K’’K’’, K’’’K’’’... PertantoKK è ciò che in verità èl’altrui esser uomo K cheapparenellaterraisolatadiuncerchio diverso dal cerchio

originario.Per la determinazione del

significato «il più simile» (equindi del significato«similarità») si rinvia agliscritti sopra indicati. Qui sichiarisca l’affermazione cheKs, da un lato, e HH,dall’altro,sonogliessentipiùsimiliaH.Happareinfattinelcerchio

originario come un certoaltrui esser uomo (come «un

altrouomo»,comeun«tu»,sidice nella terra isolata). Ma,nella terra isolata di uncert’altrocerchio,Ksèlafedediessereunio(cioèl’esseriodi una certa volontàempirica), e la fede di essereun io (la fede nell’esistenzadelproprioesser io)nonè lafedenell’esistenzadiunaltroesser uomo. E allora come èpossibileaffermareche,inuncerchio diverso da quellooriginario, Ks (ossia la fede

nell’esistenza del proprioessereunio)sial’essentepiùsimile a H (ossia alla fedeche, nel cerchio originario,crede nell’esistenza di uncert’altroesseruomo)?Comeè possibile che il credersi iosia il più simile al credere inun altro io? In un cerchiodiverso da quello originariol’essente più simile a H nondovrà forseessereunessenteche a sua volta, in queldiverso cerchio, sia la fede

nell’esistenza di un cert’altrouomo(cioèsial’esserl’altruiesser uomo che appare in unaltruiesseruomo)?Le stesse domande si

possono rivolgere al rapportotraHeHH(eglialtriterminidella serieH,H’,H’’... e glialtri termini della serie HH,H’H’, H’’H’’...), giacchéanche HH è un appariredell’apparireparziale,ossia èil vero senso dell’esser ioempirico,nonè ilverosenso

dell’essere un altro ioempirico, e quindi non sivede come un esser io possaessere l’essente più simile aqualcosa(H)che,nelcerchiooriginario, appare come unaltruiesserio.Sennonché tutte queste

domande sorgono perchéhanno perduto di vista che,proprio perchéKs appartieneauna terra isolatadiversadaquella in cui appare H, eproprio perché anche HH,

appartenendo alla pura terra,appartieneaunaterradiversada quella in cui appare H,proprioperquesto ciò che inquelle terre diverse è il piùsimile all’essente che nellaterra isolata del cerchiooriginario appare come unaltrui esser io della volontà(ossia come H) non puòessereunaltruiesserio,maènecessariochesiaunesserio.Nella terra isolatadi un altrocerchio, il più simile a ciò

che, nella terra isolata delcerchio originario, io vedocome un altro io non puòessere qualcosa che a suavolta appaia, nella terraisolata di quell’altro cerchio,comeunaltruiesserio(altrui,rispetto all’esser io cheappareinquell’altrocerchio),maèqualcosacheèaltrodalsuoessereunaltruiio,ecioèè un esser io, è una fede diessersé.

Si aggiunga che in questeconsiderazioni(enellepaginediLa morte e la terra) ognitermine della serie H, H’,H’’... indica ciò che si puòchiamare la base dell’altruiesser uomo, cioè indica uncorpo altrui in quanto, nellaterra isolata che appare nelcerchio originario, si ha fedechetalecorposial’esprimersidi un’altrui volontà cosciente(si ha questa fede qualunquesia il modo in cui tale fede

interpreta sé stessa); e a suavoltaogni terminedallaserieK, K’, K’’... indica la basedel proprio esser uomo, cioèindica il proprio corpo inquanto,nellaterraisolatacheappare in un cerchio diversoda quello originario, si hafede che tale corpo sial’esprimersi della propriavolontà cosciente. I rapportidisimilaritàsopraconsideratisi riferiscono a questa base,non alle interpretazioni

ulterioriconlequalil’iodellaterra isolata si pone inrapporto a questa base.Nellaterraisolatal’incomprensioneregnainfattitragliuomini.El’incomprensione ètravisamento. In quanto fede(errare),anchelaconvinzionechehacomecontenutoquellabase – ossia la convinzioneche un insieme di eventi siaun corpo altrui o un corpoproprio,incuisiesprimeunavolontà cosciente – è

travisamento.Inquestosenso,il massimo di similarità chesussiste tra H e Ks è lasimilarità tra travisamenti(giacché anche la fede nelproprio esser io, in cui Ksconsiste,èuntravisarequestoio). Le interpretazioniulteriori con cui l’io dellaterra isolata si pone inrapporto a quella base, sibasano, appunto, su di essa,ma la immergono inunabenpiùampiadimensionedoveil

travisamento è ben piùprofondo e rispetto al quale,appunto, non sussistono irapporti di similarità quisoprarichiamati.SelasimilaritàtraHeKsè

la similarità tra travisamenti,lasimilaritàtraHeHH(etraKeKK,elostessosidicaperciò che in ognuno degli altricerchi è il rapporto tra uncerto altrui esser uomo cheappare nella terra isolata ditale cerchio e il più simile, a

tale esser uomo, che apparenella pura terra di talecerchio)nonèlasimilaritàtratravisamenti, ma tra iltravisamento e il nontravisamento che competealla pura terra. Nella quale,peraltro, non solo appare ciòcheinveritàtusei(ciòcheinverità è il tuo esser ioempirico, il tuo essereapparire di una parte di ciòcheappare),maappareancheciòche inverità io sono (ciò

che in verità è il mio ioempirico, il mio esserapparirediunacert’altrapartedi ciò che appare). Questo,anche se attualmente la puraterra è contrastata dalla terraisolata, e quindi appare inquesto suo esser contrastata,dove il linguaggio non saparlarechedellaterraisolata,dandole spicco. Perché lapura terra appaia libera daquesto contrasto è necessariochela terraisolata tramontie

venga innanzi la terra chesalva.13.APROPOSITODIIDENTITÀDELLO

SFONDOEMOLTEPLICITÀDELLE

DESTINAZIONILa terra incomincia a

inoltrarsi nei cerchi deldestino, accolta dal lorosfondo. Non vi si inoltra dasempre, lungoun tragittochesiainfinitoanchearitroso.Se

in essi la terra nonincominciasse asopraggiungere,nonpotrebbesopraggiungere alcunché.Infatti,perquantolontanonelpassato, qualsiasi punto deltragitto avrebbe alle propriespalleuntragittochedaccaposarebbe necessariamenteinfinito (altrimenti in quelqualsiasi punto la terraincomincerebbe asopraggiungere) equindinonpotrebbe mai esser

compiutamente percorso perarrivare a quel punto – chedunque non potrebbe maisopraggiungere. Sarebbepertanto impossibilel’innegabile sopraggiungereche attualmente appare nelcerchiooriginariodeldestino.Allosfondodiognicerchio

appartienelasuadestinazioneal proprio futuro infinito,ossia la destinazione di ognicerchio all’infinitodispiegarsi, in esso, della

terra(cfr.LaGloria,XII).Ladestinazione è la «traccia»specifica del futuro (per ilconcetto di «traccia» cfr.ibid., II, II; VI, I-II;Oltrepassare,VI, IV;IX, II,V,VI). Nella destinazione, «latotalità infinita di ciò chesopraggiungeappareinmodoformale;neapparelatraccia»(La Gloria, XII, I). Ladestinazionehailcarattereditraccia formale perché nonpuò contenere la concretezza

di ciò a cui essa destina.D’altra parte, poiché losfondo è identico in ognicerchio, la molteplicità deicerchi è determinata dallaloro diversa destinazione. InLamorteelaterra(XII, II-IV)si mostra che quantodiversificaledestinazionièilloro includere già da semprequella stessa terra isolatachevaperaltroviaviaapparendoinogni cerchioe che inognicerchio è differenziata (e

pertantoquestoscrittomostrain che senso non ècontraddittorio che la terraisolata appartenga alla nonsopraggiungente destinazionee,insieme,sopraggiunga).L’uomo vive eternamente,

già da sempre, tutta la vitacheèdestinatoaviverenellaterra isolata:non solo perchéogni essente è eterno, maanche perché la destinazione(appartenenteallosfondo,chenon sopraggiunge) include

eternamente, già da sempre,la totalitàconcretadella terraisolata–latotalitàconcretalecui parti, in quanto a lorovolta isolate da essa, sonoappunto ciò che va via viaapparendocometerra isolata.Infatti,latotalitàdegliessentiinclude la costellazioneinfinitadeicerchideldestino,allo sfondo dei qualiappartengono le diversedestinazioni a loro voltaeternamente includenti le

terre isolateche in talicerchiappaiono; ma mentrenell’apparire infinito dellatotalità degli essenti nonsopraggiunge alcunché(altrimenti non sarebbe latotalità degli essenti), losfondo dei cerchi è invece illuogo che, pur includendoeternamente la terra isolata,accoglie il sopraggiungeredelle parti di essa che vannoviaviaapparendo;sìchealtroè la terra isolata in quanto

appartenenteallatotalitàdegliessenti,altroèlaterraisolatain quanto appartenente allosfondo dei cerchi; e quindialtro è che l’uomo vivaeternamente, già da sempre,tutta lavita cheèdestinatoavivere nella terra isolata,perché ogni essente è eterno,altro è che la viva perché ladestinazione includeeternamente, già da sempre,la totalitàconcretadella terraisolata (la totalità concreta le

cui parti, in quanto a lorovolta isolate da essa, sonoappunto ciò che va via viaapparendo come terraisolata).E se nella destinazione la

totalità infinita di ciò chesopraggiungeappareinmodoformale(neapparelatraccia),tuttavia questa totalitàformale include la totalitàconcreta della terra isolata –non semplicemente la tracciaformale di quest’ultima.

Infatti la destinazione di uncerchio differisce dalledestinazioni degli altri cerchiperché essa è questa, ha ilcarattere dell’esser questa; epoiché è necessario che ognipartediessaabbiaasuavoltatale carattere, ogni parte èquesta solo in quanto appareinsiemeallealtreparti;sìcheèappuntolatotalitàconcretadella terra isolata adappartenere alla destinazionedi ogni cerchio. In quanto le

parti di tale totalità vannoinvece apparendo via via,separate quindi da essa, laloro questità differisce dallaquestità che ad esse competein quanto unite nella totalitàconcreta della terra isolataappartenente alladestinazione. Tale differentequestità è appunto l’eternoche nei cerchi del destinosopraggiunge come terraisolata.Rimanetuttaviaaperto,per

illinguaggiochetestimoniaildestino,ilproblemadelmodoin cui, nello sfondo deicerchi, determinatamente siconfigura la destinazione, equindi innanzitutto ilproblema del modo in cui siconfiguralostratocheinessadestina ciò che sopraggiungeprecedendo tutto ciò che èdestinato a sopraggiungere eche quindi, precedendo, è ilvolto più antico che la terramostrainqueicerchi.Ilvolto

più antico è qualcosa come«l’età dell’oro» o è giàsfigurato?Il che significa chiedere:

prima di accogliere la terraisolata, lo sfondo è destinatoad accogliere la pura terradegli dèi (cioè la terra che,non isolata, appare nellosguardo del destino, ibid.,VIII,V),oppuresindall’iniziola pura terra e lo sfondo deldestino appaiono nel loroesser contrastati dalla terra

isolata,cheprevalesudiessi?echeinquantoprevalenonèsoltanto la fede nel diventaraltro,maèinsiemelavolontàempirica di disporre di ciòche in tale fede è presentatocome un diventare di per séaltro? – tale volontà essendociò per cui appare illinguaggiocheneicerchi,nontestimoniando altro che laterra isolata, prevale rispettoall’appariredeldestino(ibid.,XI, I). (Che se il volto più

anticodellaterrafosselapuraterra degli dèi, ad essa nonpotrebbe appartenere alcunavolontà, alcun io dellavolontàempirica,el’appariredi un io siffatto sarebbepreceduto dall’apparire diquelvolto).Appunto perché la terra

incomincia a inoltrarsi neicerchi del destino (come si èrichiamatoall’iniziodiquestapostilla) la destinazionedestina la terra a questo

incominciare, non a uninoltrarsi in essi da sempre,lungo un tragitto infinitoanche a ritroso. E se glisfondi delle costellazioni deicerchi appaiono eternamente(includendo le destinazioni),tuttavia, sino a che la terranonincominciaadapparireinessi, la loro eternità è unistantesenzadurata(ildurareincominciando con l’appariredella terra). Quando lavolontà empirica che appare

nella terra isolata di uncerchiomuore, e questa terraha compimento, primadell’avvento della terra chesalva appare quell’altroistante (ibid., XII) a cuiinvece corrispondono imillenni che intercorrono traquella morte e quell’avvento(i millenni che non possonoessere ancora apparsinell’eternitàdell’istanteincuilaterrasiinoltra).Ilproblemaapertoacuici

si è qui sopra riferiti vacomunque precisato:distinguendolo dal problemache invece resta risolto dallapresenza di un altro trattoeminentedellapersintassideldestino, indicato inOltrepassare, VI. In questoscritto si mostra la necessitàche la terra si inoltri nellainfinita costellazione deicerchi del destinoincominciandosoltantodaunprimo cerchio, che pertanto

accoglie «la terra dell’alba»(«l’alba della terra»), e poimostrandosi soltanto in unsecondo, che pertantoaccoglie «la terradell’aurora», e così via. «Èuna casa, la costellazionedeicerchi,dovelelucidellaterranon si accendono tutteinsieme nelle diverse stanze[cioè negli sfondi] dellacostellazione, ma la terraentra in esse illuminandoleuna per una e la sua luce

apparecomeunprogressivoeinfinito ingrandirsi – ossia èl’apparire di eterni luoghiluminosi sempre più ampi»(ibid.,VI,I).Ma in Oltrepassare il

linguaggiononmostraancorala necessità (indicata inveceinLamorteelaterra)chelaterra isolata, che in ognicerchiovaviaviaapparendo,appartenga tuttaviaeternamente, cioè senzasopraggiungere, alla

destinazione inclusa nellosfondo di tale cerchio. E ilproblema che rimane apertoriguarda lo strato che nelladestinazione destina ciò chesopraggiunge precedendotutto ciò che è destinato asopraggiungereechequindièilvoltopiùanticochelaterramostra nei cerchi: acominciare da quello cheaccoglie la terra dell’alba epoidell’auroraecosìvia.In Oltrepassare (VI) si

mostracheènecessariochelaterra entri nei cerchi,illuminandoli uno alla volta(ma inizialmente, come terraisolata, anche contrastando illoro sfondo), perché se èimpossibile che lo sfondo,essendo identico in ognicerchio, implichinecessariamente, nei diversicerchi, destinazioni diverse,questa impossibilità sussistesolosesipresuppone(dunquearbitrariamente) che la terra

debba entrare con un unicopasso (sincronicamente) intutti icerchi.Sul fondamentodi questo presupposto lamolteplicità dei cerchi èimpossibile. Ma è necessarioche tale molteplicità esista(cfr.LaGloria, V). È quindinecessario che la terra nonabbia a entrare con un unicopasso nella costellazione deicerchi.Lapluralitàdeipassièil succedersi delle terre: lasuccessione per la quale

esiste un primo cerchio dovelo sfondo implicanecessariamente ladestinazione di quel cerchio(ossia la destinazione allaterradell’alba)enonquelladialtri cerchi.Negli altri cerchila terra entrasuccessivamente, via via, epoiché in ognuno la terra èdiversadaquellaprecedenteedaquellasuccessiva,ancheladestinazionehalacapacitàdiessere in ognuno diversa:

nella misura in cui ladestinazione alla terrasuccessiva può includere inqualchemodoladestinazionealla terra precedente – adesempione include la forma,la struttura; ha in essa leproprie «radici», ne è la«discendenza». Lo sfondo,cheèidenticoinognicerchio,può implicare destinazioniche sono diverse perché essesono destinazioni a terre chenon appaiono insieme ma in

una serie dove una qualsiasiditalidestinazioni(fuorchélaprima) sopraggiunge tra unaprecedenteeunasuccessivaequindi può includere ladestinazione alla terra cheprecede la terra a cui quellaqualsiasidestinazionedestina.Appunto tale diacronia è lacondizione per la quale lamolteplicità dei cerchi riescea essere necessaria. Nellaterra isolata l’uomo sipresenta come una

molteplicità di individui. Unmolteplice, questo,essenzialmente diverso dallamolteplicità dei cerchi deldestino–neiqualiperaltrolaterraisolataappare.Maanchenella terra isolata si parladelle «radici» che gliindividui hanno in altriindividui, di cui sono la«discendenza».(Si aggiunga che la

necessitàchelaterrasiinoltridapprima, come terra

dell’alba, in un solo cerchionon è la necessità che,quando poi si inoltra, cometerra dell’aurora, in un solosecondo cerchio, allora nelcerchiodellaterradell’albalaterra non abbia più amanifestarsi ulteriormente.La terra precedente puòinoltrarsi ancora di più nelcerchio che l’accoglie, anchequando la terrasuccessivahaincominciato ad apparire inun altro cerchio. Così come,

perriprenderelametaforadelpasso diOltrepassare, VI, I,sopra riportato, se nella casadella costellazione dei cerchile luci della terra non siaccendono tutte insieme, mala terra entra nelle diversestanze della casailluminandole una per una ela sua luce appare come unprogressivo e infinitoingrandirsi,non per questo ènecessario che la luce dellaprimastanzarimangaidentica

quando la luce si accendenella seconda, e così via.All’opposto, la prima lucepuò manifestarsi ancora piùlargaeintensaquandoapparela seconda e le altre – e lostessosidicadellasecondaedelle altre in relazione aquelleadessesuccessive).Se la struttura diacronica

ora indicata è – come simostra in Oltrepassare – lacondizione per la quale lamolteplicità dei cerchi riesce

a essere necessaria, latematica di La morte e laterra (XII, II-IV) consideratanella prima parte di questapostilla determinaulteriormente quellacondizione – la tematicaconsistente cioè nel mostrareche il fondamento deldiversificarsi delledestinazioni è il loroincludere già da semprequella stessa terra isolatachevaperaltroviaviaapparendo

inogni cerchioe che inognicerchio è differenziata.Infatti,seènecessario,perchéla molteplicità dei cerchiesista, che la terrasopraggiungaentrandoinunoallavolta, ciòchedifferenzial’uno dall’altro è la diversitàdelle loro destinazioni. Ma,tale diversità – che è datadalla struttura diacronica quisopra richiamata–è insieme,comesoprasièrichiamato,laquestità delle destinazioni. E

poichélaquestitàdiunacertadestinazione non puòcoincidereconlatotalitàdegliessenti, che pure ènecessariamente implicata datalequestità,ènecessariochelaquestitàabbiaunlimitechela isola dalla totalità e che èappunto(nelcerchioacuitaledestinazioneappartienee cheda essa è definito) il limitetracciatodallaterraisolatadaldestino – sì che la terraisolatanonsolosopraggiunge

via via, ma appartiene, nellasuaconcreta totalità,allanonsopraggiungente destinazioneallaterra.La tematica di

Oltrepassare, VI e quella diLamorte e la terra,XII, II-IVqui sopra richiamate sonodunquecomplementari.

14.ACONFERMADELLACOMPLEMENTARITÀINDICATANEL

PARAGRAFOPRECEDENTE

Nelparagrafoprecedentesiè chiarito il caratterecomplementare delladiacronia (Oltrepassare, VI)che fonda la molteplicità deicerchi,edeltema(Lamorteelaterra,XII,II-V),perilqualetale molteplicità richiedeinoltre che le destinazioniincludano già da sempre laterra isolata, che va peraltrovia via apparendo in ognicerchio, diversa in ognicerchio. Tale

complementarità è richiestadalla circostanza che losfondo, identico in ognicerchio, implica tuttaviadestinazioni diverse. Talecomplementarità mostra lecondizioni per le quali non ècontraddittorio chequell’identico in cui consistelo sfondo abbia a implicarenecessariamente destinazionidiverse.D’altra parte, le

considerazioni sviluppate nel

paragrafo 19 del capitolo IdellaPartesecondasembranomostrarechenonènecessariochelacomplementaritàdicuisi sta dicendo abbia aintervenire perché appaia lanon contraddittorietàdell’implicazione necessariatra l’identico sfondo e ledestinazionidiverse.L’aporia risolta in quel

paragrafo dice: Se ciò che viè di identico nelle differenzene implica necessariamente

una, non può implicarnenecessariamente un’altraperché l’implicazione traXeYènecessariaproprioperchéX non implicanecessariamente Z. In quelparagrafo si mostra chequesta aporia è determinatadalla separazione che isolal’identità dalle differenze (sesiconsideral’identitànelsuoesser separata dalledifferenze, la molteplicitàdegliessentièimpossibile;se

si considerano le differenzenel loro esser separatedall’identità, è impossibile laloro implicazione necessariada parte dell’identità). Lanegazione della separazionerisolvel’aporia.L’identità considerata in

quel paragrafo 19 (delcapitolo I della Parteseconda) è quella più ampia,ossiaèl’essersédell’essente,che essendo l’identità dellepropriedifferenzeè l’identità

di ogni differenza, cioè diogni essente. L’identitàconsiderata qui sopra, nelprecedente paragrafo 12, èinvece l’identità dello sfondodei cerchi, nel suo implicarenecessariamente le lorodiverse destinazioni. Tuttaviapuò sembrare che anche inquesto caso, perchél’implicazione necessaria traquesta identità e ledestinazioni non siacontraddittoria,siasufficiente

la negazione dellaseparazionetraquestaidentitàeledifferentidestinazioni.E invecenonè sufficiente.

Infatti, lasemplicenegazionedella separazione tra sfondoidentico e destinazionidifferenti non esclude, cometale, che la terra entrisimultaneamente in tutti icerchi e che pertanto il suodiverso configurarsi inognuno resti, e quindi lamolteplicità dei cerchi resti

negatainbaseaquantovienemostrato inOltrepassare, VI(cfr. paragrafo precedente).Inoltre, nella Gloria (V) simostra che l’esistenza dellamolteplicità dei cerchi èfondata sullanecessitàche laterra che appare attualmentenel cerchio originario siaoltrepassata da una terradiversa,cheappareinunaltrocerchio, e che è a sua voltaoltrepassata da un’altra terra,e così via. Oltrepassare è

passar oltre, venir dopo,sopraggiungere su ciò che èpassato (compiuto):l’oltrepassare escludel’apparire simultaneamenteall’oltrepassato. Perescluderlo – e pertanto perescludere il simultaneosopraggiungeredelleterreneicerchi – non è quindisufficiente (anche se ènecessaria) la semplicenegazione della separazionetra sfondo identico e

destinazioni differenti: ènecessaria inoltre la formadicomplementarità richiamataanche all’inizio del presenteparagrafo. All’esclusione chele terre incomincino adapparire insieme, e che unaqualsiasi incominci adapparire insieme a unaqualsiasi altra, sono cioènecessariesialadiacroniadelsopraggiungeredelleterre,sial’appartenenza alladestinazione di ogni cerchio

da parte della terra isolata ditale cerchio. Per non esserecontraddittoria, cioè per nonrendere impossibile lamolteplicitàdelleterreedelledestinazioni, l’implicazionenecessaria tra lo sfondo,identico in ogni cerchio, e ledestinazioni diverse richiede,oltre alla non separazione tral’identico e le differenze,anche quellacomplementarità: l’identitàdello sfondo può implicare

destinazioni differenti nonsoloperchétaleidentitànonèseparata dalle destinazionidifferenti,maancheperchéleterre non sopraggiungonoinsieme e ogni destinazioneinclude da sempre la terra acuiessadestina.Si può osservare che,

mentre l’identità consistentenell’esser sé dell’essente inquanto essente è presente inogni essente da essa

necessariamente implicato,ossianeldifferenziarsiditaleidentità, l’identità consistentenello sfondo dei cerchi deldestinononèinvecepresentenelle loro destinazioninecessariamente implicatedallo sfondo, giacché essenon sono modi differenziatidi essere il contenuto dellosfondo, ma contenutidifferentidaesso.Eppure il rapporto tra le

due identità e il loro

differenziarsi ha la stessastruttura.Infatti le implicazioni non

contraddittorie sononecessarie perché sono unesser sé. Cioè, da un lato, leimplicazioni necessarie sonodeterminazioni persintattichedel destino, e ognuna di esseè un concretarsidell’originario esser sé (cfr.Oltrepassare, IV, VII).Dall’altrolato,cheXimplichiquel non X che è Y (e ad

esempio questa superficieimplichi il suo esser bianca)nonpuòsignificarecheXèY(ossia cheXè identicoaY),ma che X è identico al suoessere insieme aY (e a tuttociò che non è X). Lo simostra in Tautótēs, dove icapitoli XV-XVI riprendonoe approfondiscono unatematica centrale dellaStruttura originaria (III, 9-14; VI, 9-18; Introduzione,2).

Pertanto, l’implicazionenecessaria tra quell’X che èl’esser sé dell’essente inquanto essente e quell’Y cheè l’esser sé di ogni essente(dove quel primo esser sé èdistinto dal secondo) èappunto l’esser identico, daparte di X, al suo essereinsieme a Y; e anchel’implicazione necessaria traquell’X, che è lo sfondo, equell’Y,cheèl’insiemedelledestinazioni, è l’esser

identico, da parte dellosfondo, al suo essere insiemeallesuedestinazioni.Che X sia insieme a Y

significa cheXnonèY: è ilsuononesserY:è ilnulladiY. Proprio perché ogniessente è il nulla degli altriessenti esso è, ossia è séstesso, ossia è eterno. Eviceversa,proprioperchéXèil nulla di Y, X è il proprioessere insieme a Y – cioèogniessenteè,soloinquanto

ognialtroessenteè.

15.ISOLAMENTODELLATERRA,FESTA,ARTE

In relazione al contenuto

originariodella terra isolata,all’inizio di questo scritto(Parte prima, I, 1) si èaccennato alla struttura difondo del mito (richiamandole pagine di La morte e laterra, IV,V-VI, e di Intorno

alsensodelnulla,pp.35-38,45-56; ma cfr. ancheDall’islam a Prometeo, 8,«Theoria,columen»),dove lavolontà vive, dapprima, lapropria incapacità di fletterela barriera dell’Inflessibile(cioè il proprio morire) e,successivamente, il propriodivenir capace di fletterla eriesceaviverefacendomorirein qualche modo il divino.«Inqualchemodo»,perchéinquel tempo la volontà non è

rimasta sola (come inveceaccadenelnostrotempo),maha respinto più in là ciò checontinua a circondarla e astringerla, ma le cui forzedevono essere reintegrateaffinché essa possacontinuare a cibarsene. Ilsacrificio consiste in talereintegrazione. «In qualchemodo», anche perchéflettendo l’Inflessibile lavolontàsprigionalaflessione,cioè la nascita e la morte, e

l’angoscia per il diventaraltro; quindi la volontà devesalvarsi, trovare il rimedioallapropriamorteeilrimediononpuòesserechel’alleanzacon l’Inflessibile, che purarretrando rimane la supremapotenza (le cui forze lavolontà sente appunto didover reintegrare). Lasequenza flessione-sacrificiocostituisce il circolo (si èvistonellaParteprima)chesiriproponenelsensofilosofico

diDíkē.Nelmitolaflessionepenetra nella barrieradell’Inflessibile – e il suoesser flessa è insieme il suoesser infranta; a cominciareda Anassimandro, nelpensiero filosofico gli entiescono dall’Inflessibile(l’Uno divino). Ma ilpenetrare apre il luogo dovela volontà può far diventaraltro le cose, cioèpuòvivere(e questo luogo è lo stessoche, guardando la propria

provenienza,sivedecomeunesser uscito). Le partidell’Inflessibile infranto sonooradisponibili.Ilrimedioeilsacrificio si esprimonosoprattutto nella festa arcaica(cfr.Nascere,Parteprima,II,«Fiera,festa,theoría»).Essaèil «germe» di ogni formasapienziale dell’uomo dellaterra isolata. Anche dellaformaincuil’arteconsiste.All’inizio la volontà si

sente salva solo se si crede

salva non come «individuo»ma come gruppo sociale. Ilsentir sé è il sentirsi gruppo.Lafestaèdelgruppo.Inoltre,quel che accade nella festanon è qualcosa di diverso daquel che accade nella vita,cioè nella flessionedell’Inflessibile. Ma non ènemmeno una semplicecontinuazione di quel cheaccade vivendo. Ne èl’immagine. L’immagine sidistingueepertantosisolleva

aldisopradiesso.(Neèaldisopra anche quando se nesente radice: si sente protettadal terreno che la copre). Loallontana da sé. Giànell’allontanamentoinquantotale, l’immagine festiva silibera, appunto perché èimmagine, dal dolore, dallamorte, dall’angosciaprovocati da quel che accadevivendo. Ma c’è dell’altro:ciò che la volontà crede – lavicenda cioè che dalla

flessione dell’Inflessibilegiunge all’istituzione delsacrificio–è ilcontenutodelmito; e il mito rafforza erende stabilel’allontanamento.L’immagine festiva èsalvifica anche perché èsapiente. E l’immagine deldolore patito, sollevandosi aldisopradiesso,è insieme lafede di rendersi visibile al enel gruppo sociale. Il com-patire allevia il patire. (Ogni

forma di linguaggio non puòevitare di essere espressionedel dolore e pertanto ha ilcarattereditalefede).Stando a quanto dicono le

discipline antropologiche, lafestaarcaicatendeaevitareladivisione del «lavoro»: gli«attori» sono il loro«pubblico», il «pubblico» ègli«attori»;ladanza,ilcanto,laparola, l’allestimentodeglispazi e dei fuochi non sonoaffidati a «specialisti». La

divisione del lavoro festivoincomincia forse con lapresenzadel re-sacerdote checompie o guida il sacrificio.Ciòcheinseguitosimostreràcome «religione», tecnica,«arte»,sapienzadel«mito»epoi della «filosofia», nellafesta si mantiene unito.Celebrandolaformaadeguatadella separazione dall’Unooriginariamente inflessibile,la festa è il «germe»unitariodal quale si separano tutte le

successive forme dellasapienza e della perizia. Lequali conservano tuttavia ilcarattere salvifico di quel«germe». Anche l’arteintende salvare il mortale. Esi trova sin dall’inizio inconflitto con le altre formeche hanno lo stessointendimento, ognuna con laconvinzionedipoteressereilrimedio autentico. (Anchel’arte, come le altre formedella terra isolataha fedenel

mostrarsi del diventar altro ene è l’immagine anchequandonell’architettura,nellascultura e nella pittura nemostra le pause più o menodurature). Quel conflitto siacuisce quando si fa innanzila filosofia – che parlaappunto di palaià diaphorátraséel’arte.Nella terra isolata (che in

quanto apertura originariadell’Errare è l’apertura stessadell’esser uomo, ossia

consiste, sul fondamentodella fede che le cose delmondodivenganoaltrodaciòche sono, nella volontà didominarle), l’Occidente è lastoria dell’Errare estremo,cioè del senso autentico delnichilismo. Poiché all’iniziodella storia dell’Occidente lafede nel diventar altro sidetermina come fede neldiventar nulla delle cose delmondo e nel loro proveniredal nulla, e tale fede spinge

alla ricerca del Rimediocontro l’angoscia del nulla, acominciare da Anassimandronella tradizionedell’Occidente il Rimedioviene concepito come Díkē:come l’Essere immutabile,l’Uno divino, da cui le coseprovengono e in cuiritornano, e che quindi leprotegge dal nulla. Nellatheōría filosofica si prolungala theōría della festa. Iltramontodellatradizioneèla

crisi gigantesca – propria delnostro tempo – dove èinnanzitutto il pensierofilosoficoaprendercoscienzadell’impossibilità di unRimediosiffatto–ilpensierofilosofico,o,propriamente, ilsottosuolo del pensierofilosoficodelnostrotempo:ilsottosuolo filosofico delnostro tempo. Ogni forma disalvezza dal nulla èimpossibile – così parla ilculmine della coerenza

estremadell’Errare.Ma la luce nera di quel

sottosuolosiirradiaintutteleforme sapienziali e pratichedel nostro tempo. Anchenell’arte,dunque.Ilcontenutoessenziale dell’arte dellatradizione corrispondeall’Essere immutabile edivino evocato dal pensierofilosofico:èunadellediverseforme dell’ordinamento cherispecchia nel mondol’Immutabile – ad esempio è

la forma consistentenell’insieme di regoledell’armonia e della melodiadella musica classica. È unadelle forme, e insiemerispecchia, oltreall’Immutabile,lealtreforme.L’arte del Novecento è ildisfacimento della forma edella regola secondo cui sicostituisce l’arte dellatradizione.Non va peraltro

dimenticato il carattere

essenzialmente interpretantedi queste affermazioni. (Chela forma preontologicadell’Errare sia la volontà cheflette l’Inflessibile e gli offresacrifici; che la festa arcaicasia il germe di ognisuccessiva sapienza; chel’Occidente sia la storiadell’Errare in cui consiste laforma ontologica della fedenel diventar altro non sonotratti del destino della verità,ma interpretazioni. Il destino

è il luogo già da sempreaperto che accogliel’interpretare,cioèlafede–lavolontà – in cui consistel’isolamento della terra daldestino, e pertanto accoglieanche la cosiddetta «storiadell’Occidente»). All’internodell’interpretare originario incui consiste la terra isolata,ciò che viene interpretatocome opera d’arte è dainterpretare ulteriormente.Ciò significa che l’opera

d’arte non è qualcosa che sene stia da una parte (adesempio «oggettiva»), e chel’interpretazione – in cui simostra,oltreall’appartenenzadiognioperad’artealla terraisolata, il «senso» dell’operad’arte–senestiadaun’altra(ad esempio «soggettiva»).Anche l’opera d’arte si faavanti all’interno della fedenel diventar altro. Questafede-volontà interpretantenon rimane all’esterno

dell’opera d’arte, maappartiene al suo contenutoessenziale(comeappartieneaogni sapienza e a ogni operadell’Occidente).Visimostra.Nel modo peculiare checompete a ciò che si mostrain un’opera d’arte.Non vi simostra come fede (è neldestino della verità che essapuòapparirecomefede,ossiacomeciòcheessainveritàè),ma come l’evidenzaassolutamente innegabile:

l’evidenza del divenire delmondo. L’opera d’arte non èun che di compiuto che poivenga interpretato secondo leinterpretazioni dominantidellaterraisolata,masiaffidaallavolontàinterpretanteeinessa ha il propriocompimento.Tra ilXIX e ilXX secolo

l’arte mostra nelle proprieopere il disfacimento delleforme che nel mondorispecchiano la Forma

immutabile. Ma se l’operad’arteèintesasemplicementecome evento sensibile, e siapure come evento presentenellacoscienzachevi scorgead esempio ciò che Monetchiama San Giorgiomaggiore al crepuscolo,alloraquestoquadromostrasìil crepuscolo, cioè ildisfacimento di una certaforma, ma non mostra la«necessità» del disfacimento.Non la mostra e non può

mostrarla.Tale «necessità» –che non è la necessità deldestino della verità, ma è ilsenso che la «necessità» puòavere all’interno della terraisolata dal destino – èmostrata soltanto dalsottosuolo filosofico delnostro tempo, dovel’isolamento della terraraggiunge il culmine dellapropria estrema coerenza. Intale sottosuolo la necessitàdel disfacimento della forma

immutabilesiriferisceaogniforma e regola immutabiledellatradizioneeinnanzituttoall’Essere immutabile e allaverità immutabile che loevoca. (Nemmeno questanecessità può essere infattimostrata da un contenutoempirico quale è l’operad’arte ridotta a eventosensibile,perchéanchequestanecessitàaffermaunostatodicose, una relazione chesussiste per l’essente in

quanto essente, per ogniessente,edunqueanchealdilàdiognicontenutoempirico–aldilàdiogni«esperienza»– e non sul fondamento diesso).Ma se, nell’opera d’arte

dove tramonta la tradizione,l’evento-configurazionesensibile non può essereaccolto all’interno dellamanifestazionedellanecessitàdel disfacimento delle formee delle regole, e se d’altra

parte – prima si è detto –l’opera d’arte non può esserridotta a semplice evento econfigurazione sensibile,allora essa si mostraall’interno della fede che ilmondo sia, necessariamente,unfluireincuilecosevannosfumando e diventano altro.Fede nella necessità deldisfacimento della forma –fede, dove non appare ilsenso concreto e determinatodella necessità da essa

affermata, ma il sensoindeterminato e astrattamenteformale. (E quanto si stadicendo del rapportodell’opera d’arte con lanecessità va detto anche delsuo rapporto col nulla.L’evento sensibile dell’operad’artenonpuòmostrarecheildiventar altro sia il diventarnulla provenendo dal proprioessernulla.Nonpuòapparirené la forma preontologica néla forma ontologica del

diventar altro. Èl’interpretazione a cui èaffidato il compimentodell’opera d’arte a conferireforma ontologica all’eventosensibileditaleopera–dove,anche qui, l’interpretazionepuò esser compiuta oall’interno del saperefilosofico o all’interno dellafede).Pertanto, altro è San

Giorgio maggiore alcrepuscolo di Monet, in

quanto il quadro è presentenellacoscienzachenonvedequella necessità che invece èvistanelsottosuolofilosoficodel nostro tempo; altro è ilquadro in quanto presentenella coscienza che vede talenecessità, ad esempio nellacoscienza di un abitatore diquel sottosuolo, quale è adesempio Nietzsche. (In talecoscienzailcrepuscolodiSanGiorgio appare nella suaconnessione necessaria col

necessario crepuscolo edissolvimento del sacro). Ealtro ancora è San Giorgiomaggiore al crepuscolo inquantoapparenelcerchiodeldestino, ossia nel luogodoveappare sia la differenza traquelle due prime forme dicoscienza(differenzacheèlostesso differenziarsi delquadro, che soloapparentemente è lo stesso)sialadifferenzatraesseetaleluogo. (Differenze, peraltro,

che sussistono in relazione aogni contenuto della terraisolata).Analogamente, in rapporto

all’arte della tradizione,l’architettura e la sculturagreca del V secolo a.C.mostrano sì il potentepermanere della forma chel’artedelnostrotempoinvecedissolve. Ma è il pensierofilosofico dei Greci amostrare la necessità che ilPermanente sia e domini il

divenire, e possa quindirispecchiarsi nell’operad’arte. Se il sensibilepermaneredellaformanonsimanifesta all’interno di talepensiero l’opera d’arte sidifferenzianelmodochesièindicato in relazione aldisfacimento della forma.Pertanto, o l’opera d’arte èuna coscienza in cui essaapparecomesempliceeventoempirico; oppure vieneaccolta all’interno della fede

che in essa si mostri lanecessità del permanere – equindi lanecessitàdeldivinoe del sacro; oppure simanifesta, all’interno deldestino della verità, comeaspetto del rispecchiamentodellavolontà,checompetealpensiero filosofico dellatradizione, di evocare ilPermanente – e anche inquesti tre casi soloapparentementel’operad’arteèlastessa.

Come evento sensibile, lapoesia è molto più poveradelle altre arti: di fronteall’evento sensibile che inesse è costituito da ricchecombinazioni di volumi,colori, suoni e movimenti,l’evento sensibile dell’operad’arte poetica è soltanto ilsuono della voce umana o lefigure visibili della scrittura.Tuttavia a questo suo esserl’opera d’arte più povera inquanto evento empirico, cioè

inquantolinguaggioparlatooscritto, corrisponde il suoesser la più ricca quanto aisignificatichetaleeventoèingrado di esprimere. Questo«esseringrado»significachela volontà interpretante dellaterra isolata dal destino hastabilitotraisuonielefiguredel linguaggio parlato oscritto, da un lato, esignificati, dall’altro, unarticolato e complessosistema di relazioni (dove

queisuoniefiguresonoposticome segni di certisignificati), il livello dellequali non è raggiunto dallerelazioni che nelle altre artitale volontà stabilisce travolumi, colori, suoni da unlatoe significatidall’altro, inmodo che tali volumi colorisuoni siano segni di certisignificati.Proprio per questo la

poesia può essere pensieropoetante che,nella tradizione

occidentale, è capace diesprimere la necessitàdell’esistenzadelPermanentee,nelnostro tempo,ècapacediesprimerelanecessitàdellasua inesistenza. (Al suoinizio, sollevandosi al disopradellinguaggiocomune,ilpensierocheverràchiamato«filosofia»sirivolgeanchealcanto poetico per esprimerel’inaudito in cui la necessitàconsiste. C’è anche queldiverso inaudito di cui

l’artista è consapevolequando avverte il carattere«creativo» della propriaopera. In entrambi i casi ilsollevarsidellapoesiaedellealtre arti al di sopra dellinguaggio comune non puòesserne la dimenticanza: talelinguaggio è lo sfondo, nellacoscienza in cui l’eventoempiricodell’arteappare,delsenso inaudito che attraversotale evento l’arte intendeportare alla luce – onde

accade ad esempio che iltramonto, che nella suapoesiaèperMallarmé«Tisondegloire,sangparécume,or,tempête!»,«Tizzonedigloria,sangue su schiuma, oro,tempesta!», non sfiguririspetto al San Giorgiomaggiore al crepuscolo diMonet).L’opera d’arte

dell’Occidente non solo nonesiste al di fuori del suoessere interpretata (e ciò

accadeaognicosadellaterraisolata), ma esiste all’internodell’unaodell’altradelledueinterpretazioni dominanti quisopra indicate: quella (nonfilosofica) consistente nellafede che la presenza ol’assenza del Permanere deldivino nell’evento empiricodell’opera d’arte non siasemplicemente un fatto cheriguardasoltantoquell’eventoo un gruppo di eventi simili,ma una «necessità»

(indeterminatamente intesa);e quella (filosofica) chescorge la necessità di quellapresenzaeassenza,secondoilsenso che la necessitàpossiede all’interno dellacoscienza filosoficadell’Occidente. (E il«divino», si ripeta, non èsoltanto il «Dio», ma anchetutte le regole, forme,ordinamenti,leggidelmondo,nei quali il divino sirispecchia. Sebbene le

teorizzazionidell’operad’arteclassica concepiscano la sua«bellezza», e quindicompiutezza, come canoneoggettivo, anche tale opera èoperad’artesolo in relazionealle interpretazioni dominantiche trascendono il suoesseresempliceeventoempirico.Ladistinzione tra il «bello»come canone oggettivo e il«sublime» come situazionechecoinvolgel’animoumanoè mal posta: il

coinvolgimento riguarda iltrascendimento dell’eventoempirico dell’opera d’arte, iltrascendimento che viencompiuto innanzitutto dalledue interpretazioni dominantidicuisièdetto).Nellastoriadell’Occidente,

al di fuori di queste dueinterpretazioni dominanti,l’evento empirico dell’operad’arte perde il centro delproprio carattere simbolico,ossia non ha più lo scopo

salvifico per cui è statoprodotto. Nella tradizionedell’Occidente l’uomointende salvarsi dal dolore edallamortenonlimitatamentea un ambito particolare dellapropria esistenza (non quiora, o all’interno di questoqui, o per ora), maillimitatamente. Ed èillimitatamenteche, inquestaprospettiva,ildivinolosalva.Appunto di questa illimitatasalvezza l’evento empirico

dell’opera d’arte è capace diessere considerato simbolo.Un tempio greco non simostra come un luogosoltantonelqualecisianoglidèi, ma come un luogo chemostrando il divino è capacedi farsi considerare comesimbolodell’onnipresenzadeldivino. Questa onnipresenzadel divino non può essereidentica al divino che simostra presente in queltempio; sì che essa trascende

l’evento empirico, cioèappare nell’interpretazioneche accoglie tale evento esenza la quale esso non èancora ciò che vienericonosciuto come «operad’arte» (se con questaespressione si indica appuntoquel trascendere che loaccoglie). E, nell’epoca delcrepuscolo del divino,l’evento empirico dell’operad’arte non intende mostrareche il crepuscolo accada

soltantoinuncertoluogo(adesempio a Venezia, in SanGiorgio maggiore alcrepuscolo): tale evento è sìuna certa forma particolaredel crepuscolo del divino (laforma in cui consiste ilquadro di Monet), la qualetuttavia è capace di esserconsiderata come simbolodell’assenza del divino inognipartedell’esistenza.In questa capacità

dell’evento empirico di esser

considerato simbolo dellapresenza o dell’assenzauniversale del divinosalvifico, questo suo essercosì considerato è insieme lafede che esso mostri lapresenza o l’assenzanecessariadeldivino.Nonsista dunque dicendo chenell’opera d’arte l’eventoempirico è il simbolo diquella presenza-assenza, mache, appunto, esso è capacedi evocare il proprio esser

considerato come simbolo: ècapace di apparire insieme aquesto suo esser cosìconsiderato:appareinsiemeaesso.Eciòsignificacheessoècapacedievocarelafedeinquesto suo esser simbolo.Propriamente, certi eventimostrano in modo durevoletalecapacità,altrino;eperlopiù accade che siano queiprimi a esser considerati«opere d’arte». Ma l’operad’arte,siripeta,èlasintesitra

l’evento empirico che haquella capacità e ilconsiderarlo come simbolodella presenza-assenza deldivino.Dove il considerareoè il considerare tale eventocome simbolo di unanecessaria e universalepresenza-assenza del divinoaffermata sul fondamento diuna fede, oppure è ilconsiderare tale evento comesimbolo della necessaria euniversalepresenzaoassenza

del divino affermata sulfondamento, rispettivamente,del pensiero filosoficotradizionale o del sottosuolofilosoficodelnostrotempo.Si è detto sopra che al di

fuoridelledueinterpretazionidominanti della storiadell’Occidente (al di fuoricioè dell’interpretazionecostituita dal loro rapporto)l’evento empirico dell’operad’arte perde il centro delpropriocaratteresimbolico:il

centro, non ogni aspetto ditale carattere. Esiste infattianchel’eventoempiricocheècapace di evocare sì ilproprio esser consideratocome simbolo, ma non dellapresenza-assenza universaledel divino salvifico, bensì odel carattere problematicodell’affermazione di talepresenza-assenza, oppure,anche, come simbolodell’indifferenza per lasoluzione di tale problema,

ossia come simbolodell’interesse per la vitacomune.(Sipensiadesempioallapoesiaanacreontica–masi può parlare di arteanacreontica –, o allacommedia, sebbene, comeparola greca, «commedia»significhi il canto, ōidḗ, delcorteofestivo,kō̂mos, chevaincontroaldivino).ConlamortediDioedella

verità che ne affermal’esistenza al di sopra del

divenire del mondo, muoreanche l’arte che affida ilproprio compimentoall’interpretazione che vede(vuole) nell’evento sensibiledell’opera d’arte la capacitàdi evocare il suo esserconsiderato come simbolodellapresenza universale deldivino salvifico. Non muoreperò l’arte che affida ilproprio compimentoall’interpretazione dovequell’eventoècredutocapace

di evocare il suo esserconsiderato come simbolodell’assenza universale deldivino (ed esser cosìconsiderato o dal sottosuolofilosofico del nostro tempo odallafedecheessoabbiatalecapacità). In qualche modol’arte ritorna all’immaginedella festa arcaica,ma ormaiprivata della potenza divinadi cui essa è immagine. (PerHegel, che porta acompimento la tradizione e

pertanto precede lo scavo diquel sottosuolo, la mortedell’arte è dovuta invece alsuperamento dellaconfigurazione artistica deldivino da parte dellaconfigurazione suprema deldivino,quellafilosofica).Da quando, flettendo

l’Inflessibile, la volontàevoca la fede nel diventaraltro, il Rimedio che essavuole trovarecontro lamorteè Rimedio solo se è

pubblicamente (publicus,populus, plures) riconosciutocome tale.Nella terra isolataè considerato reale tutto esolo ciò che si crede cheabbia questo riconoscimento.Anchenella scienzamodernaaccadelostesso.All’inizio,èappunto per questo caratterepubblico del Rimedio chenella festa arcaica la volontàsi crede salva. La festa èl’immagine della vita. Lavolontà del mortale vuole

essere questa immagine;crede di riuscire a esserla.L’immagine solleva al disopradeldoloredellavita–egiàperquestomuoveversolasalvezza –, ma giunge allasalvezza solo in quanto èriconoscimento pubblicodella salvezza. Ilriconoscimento è la fede diognunocheilpopulusvedailproprio esser salvo (dovequesto vedere è daccapo lafede, la volontà, di essere

salvo). D’altra parte, ilriconoscimento pubblicodellasalvezzasiunisce,nellafesta arcaica, alla fede nellapotenza suprema del divinocolquale il gruppo sociale siè alleato. La salvezza èpotenza(cisicredesalvisecisicredepotenti);elapotenzaè, da un lato, ilriconoscimento pubblico diessa,lafesta,dall’altrolato,èl’alleanza delle volontàfestive con ciò che esse

considerano come (credonoche sia) la suprema potenza,ildivino.Diquiilbisognodirendere sempre più potentel’immagine festiva e semprepiù radicale il contenuto diessa, cioè il senso dellapotenzadivinachesalvadallamorte – il bisogno che èinsieme la fede di poterviriuscire. La volontà ricevevita e dalla forzadell’immagine festiva inquantoimmaginecheponeal

di sopra della morte, e dalcontenuto salvificodell’immagine.Ecosì,quelloche, veduto in assenza dellafesta (e dell’esser la festa inqualchemodopresenteancheneltempoprofano),«accoraeuccide» la volontà, vedutoinvecenell’immaginefestiva,«apre il cuore e ravviva»,«serve sempre diconsolazione, raccendel’entusiasmo», ossia accendeil «sentirsi nel divino», il

«sentire il divino dentro disé».D’altra parte, in quanto

quelbisogno richiede la fededi riuscire a soddisfarlo,questa fede richiede a suavolta una crescente capacitàdi produrre l’immaginefestiva,equindiunacrescentecompetenza e«specializzazione» deiproduttori dell’immagine,ossia quella «divisione dellavoro» che peraltro

incomincia già con ladistinzione tra il sacerdote, ilsacrificante primario, e glialtri individui festivi. E ladivisione di questo «lavoro»sacro (che dà potenza al«lavoro» profano) conduceinfine alla diaspora, dovedall’unità della festa siseparano, lungo la storiadell’Occidente, le formesapienziali della terra isolata(arte, religione, filosofia,scienza, tecnica, ecc.),

ognuna delle quali rivendicarispetto alle altre la propriapotenza salvifica – e ognunapresentandosi al propriointernocomeunamolteplicitàdimoditraloroconflittualidirealizzarla.Quando il sottosuolo

filosofico del nostro tempomostra la morte del divino edellasalvezzadivinaemuoreanche l’arte della tradizione,dove l’evento sensibiledell’opera d’arte è sentito

capacedievocareilsuoesserconsiderato come simbolodella presenza universale deldivino salvifico, non muoreperò l’arte dove quell’eventoècredutocapacedievocareilsuo esser considerato(nell’interpretare dellafilosofia o della fede) comesimbolo dell’assenzauniversale del divino.Appuntoperquestosidicevasopra che in qualche modol’arte ritorna all’immagine

della festa arcaica,ma ormaiprivata della potenza divinadicuiessaèimmagine.E Leopardi può dire che

«quello che veduto nellarealtà delle cose [nel temposenza festa], accora e uccidel’anima [l’anima dellavolontà], vedutonell’imitazione [compiutadall’arte, ossia da ciò chel’arte ancora conservadell’immaginefestiva]...apreil cuore e ravviva»; e le

«opere di genio» «servonosempre di consolazione,raccendono l’entusiasmo, enon trattando nérappresentando altro che lamorte», all’«anima»«rendono, almenomomentaneamente, quellavitacheavevaperduta»,e«lostesso spettacolo della nullità[di tutte le cose], è una cosain queste opere, che par cheingrandisca l’anima dellettore [ossia dell’uomo

festivo], la innalzi e lasoddisfaccia di se stessa edellapropriadisperazione»,sìche «l’anima riceve vita (senon altro passeggiera) dallastessa forza con cui sente lamorte perpetua delle cose, esuapropria»(Zibaldone,259-61). Nell’arte del nostrotempononsonopiùidivinieicelestiasalvaredallamortee dal nulla, ma – è ancoraLeopardi a dirlo – i «diletti»prodotti dalla potenza

dell’immagine in quantoimmagine; cioè non quellidella quotidianità, ma quelli«incredibiliecelesti»,doveèl’immaginepoetica inquantotale, non il suo divinocontenuto ormai morto, etanto meno il suo attualecontenuto angosciante, avalere come «immensa edivina facoltà di dilettarechiunque la contempli»(Discorso di un italianointorno alla poesia

romantica). Se Leopardichiama «imitazione»l’immaginepoetica inquantotale, non è dunque nel sensodellamimesisplatonica,dovela natura imita, cioè tenta diessere il più simile possibileall’eterno ordinamentodivino:lanaturaimitatadallapoesia è la forza capace diilludere l’uomo,nascondendogli la veritàangosciante della morte enullità di tutte le cose. La

poesia imita la capacità della«natura», che in questaaccezione non è «matrigna»,di illudere; sì che lapoesia è«l’ultimo quasi rifugio dellanatura» (ibid.; cfr. Il nulla ela poesia; Cosa arcana estupenda; In viaggio conLeopardi). E Nietzsche dirà,poi, che l’arte è, appunto,menzogna, «noi abbiamobisogno della menzogna»,quella peraltro senza di cuinon è possibile vivere:

l’uomo «dev’essere prima diognialtracosaunartista».16.COMPARIRE-SCOMPARIREDEGLI

ESSENTIEDIVENTARALTRO

La variazione degli essenti

della terra che appaiono nelcerchio (in ogni cerchio) deldestinononpuòessereillorodiventar altro, ma è il loroentrare ed usciredall’orizzonte trascendentale

dell’apparire che in talecerchio è eternamentetracciato. Questaaffermazione non nega lanecessità che, in contestidiversi, lo «stesso» essentenonsialostesso.Nonèinfattipossibile obiettare che unessentecheapparesitrovainun contesto diverso dallo«stesso» essente che nonappare ancora o non apparepiù, e che quindi, nei duecontestidiversi,essononèlo

«stesso»essente,sìcheilsuopassare dal non apparireall’apparire, o viceversa, è ilsuodiventaraltro.L’errore di questa

obiezione consiste nelritenere che il comparire-scomparire degli essenti siaun caso della loroappartenenza a contestidiversi. Quando infatti unqualsiasi essente X nonappare ancora o non apparepiù nei cerchi finiti del

destino, X è eternamente edeternamente apparenell’apparire infinito deldestinodelTutto.Certo, in quanto X appare

nelfinito(ossiainrelazioneaun certo insieme finito diessenti), X è diverso da Xche, apparendo nell’apparireinfinito, appare nella suarelazione necessaria a ognialtro essente. Sennonché,proprio perché è l’apparireinfinito del destino della

totalità degli essenti,l’apparire infinito includeanche X in quanto X apparenel finito (giacché, anche inquanto appare nel finito, Xnon è un nulla, ma è unessente). In generale: anchequando la terra non appareancora o non appare più neicerchi finiti del destino, laterraèedappareeternamentenell’apparire infinito, e vi èed appare non solo inrelazione alla totalità degli

essenti,ma anche come terrache,nel finito, nonappare intalerelazione.Pertanto,Xcheincomincia

ad apparire nel cerchio(finito) del destino è quellostesso X che appartieneanch’essoall’apparireinfinito(ossia vi appartiene nel suononapparire in relazioneallatotalità degli essenti ma nelsuo apparire in relazioneall’insieme finito di essenticon cui appare quando

incomincia ad apparire nelcerchio finito del destino);così come X che escedall’apparire di quel cerchio,dopoesserviapparso,èquellostesso X che appartieneall’apparire infinito (e che,anche qui, gli appartiene nelsuononapparire in relazionealla totalità degli essenti).DunqueX, incominciandoadapparire, non diventa altro; enon diventa altro uscendone.(E ciò è possibile perché,

come nei miei scritti simostra, l’incominciare adapparire e il non apparir piùdi X è insieme,rispettivamente,l’incominciareadapparireeilnon apparir più dell’apparireempiricodiX).Ed è sì necessario che, in

contesti diversi, lo «stesso»non sia lo stesso; ma,appunto, perché i «contesti»nonsonol’apparireinfinito–quell’appariredovegliessenti

della terra sono e appaionoeternamente anche quandononappaiononelfinito.

PARTETERZA

ISECONDAETERZA

FONDAZIONEPRIMARIADELL’ETERNITÀDEGLI

ESSENTI

A)Secondafondazioneprimariadell’eternità

1.FONDAZIONEPRIMARIAEULTERIOREDELL’ETERNITÀ.

(RICHIAMO)

Una seconda e una terzafondazione primariadell’eternità degli essentisono state preannunciate nelparagrafo 8 del capitolo IdellaParteseconda.Il senso dell’esser

«fondazione primaria» e«fondazione ulteriore», inrelazione all’«essenzalinguistica» della strutturaoriginaria,èstatochiaritoneiparagrafi 3-4 del capitolo IdellaParteseconda.

In quei paragrafi si diceche la struttura originaria,come fondamento di ciò cheessa implica, è il contenutodell’«essenza linguistica» ditale struttura. Tale contenutoè ciò che mostra la propriaassoluta innegabilitàmostrando l’autonegazionedella propria negazione epertanto di ogni suanegazione.La totalità delle

determinazioni persintattiche

ditalecontenuto(latotalitàdiciò che esso implica) appareeternamente insiemeall’apparirediesso;mentreillinguaggioeillinguaggiochetestimonia tale totalitàappartiene alla terra, cioèsopraggiunge nell’eternoapparire della sintesi cheuniscelastrutturaoriginariaela totalità delle suedeterminazioni persintattiche.L’essenza linguistica dellastruttura originaria è il tratto

iniziale del linguaggio chetestimoniaildestino.Poiché il contenuto di

questo tratto è la dimensioneche già come tale èl’originariamenteincontrovertibile, per esseretale questo contenuto nonrichiede che appaia latestimonianza linguisticadelle sue determinazionipersintattiche, e quindinemmeno delladeterminazione consistente

nell’eternità dell’essente inquantoessente.La fondazione di tale

eternità è «primaria» perchénon richiede altro che lastrutturaoriginaria.Come la prima fondazione

primaria, anche la secondapuòessereespostainbreve.

2.LASECONDAFONDAZIONEPRIMARIADELL’ETERNITÀ

DELL’ESSENTEINQUANTOESSENTE

La necessità è,originariamente, l’esser sé diogniessente.Noninqualsiasisenso,mainquantol’esserséappare nella e come strutturaoriginaria del destino (checontinuiamo a indicare conS),ossiainquantoèciòlacuinegazione è autonegazione.L’essente è il suo esser sé:nonèqualcosadipresuppostoe autonomo rispetto al suoesser sé. Così presuppostononpuòesserséstesso:èuna

negazionedell’innegabileS.La necessità è il destino

della necessità. Nessun’altra«necessità» – nemmeno lagran varietà di forme di«necessità» evocate nellaterraisolatadaldestino–èingrado di resistere ad ognipossibile negazione di essa;pertanto ogni altra«necessità» non solo ènegabile,maèunanegazionedel destino, ossia dellanecessità autentica. D’altra

parte, anche ogni negazioneche non sia il negare deldestino (che cioè non sia ildestino in quanto negazionedella propria negazione) èprivadellanecessitàautenticadel destino. Quindi ne sonpriveanchetuttelenegazionidelle «necessità»inautentiche, sì che anchequeste negazioni non solosono negabili, ma sononegazionideldestino.Solo ildestino è la negazione

innegabile; e pertanto è lanegazione autentica delle«necessità» inautentiche. Lanecessità del destino è unnesso:èilnessooriginariotraogni essente e il suoesser séstesso, ed è il nesso tra ilnesso originario e ledeterminazioni implicate dalnesso originario. Tutto ciòche il nesso originarioimplica è necessariamenteimplicatodaesso.Ora,S(ilnessooriginario),

inquantodistintadatuttociòcheessaimplica,epertantoinquanto distinta anchedall’apparire dell’eternitàdell’essente in quantoessente, è l’appariredell’impossibilità che i nessinecessari incomincino adessere e finiscano di essere.Maogniessenteèunessersé,cioè un nesso necessario.Dunque è impossibile che unqualsiasi essente incominci efiniscadiessersé;epoichéè

impossibilecheunessentesiaindipendentementeoprimadiesser sé, l’impossibilità cheun qualsiasi essenteincominciefiniscadiesserséè l’impossibilità che unqualsiasiessenteincominciadessere e finisca di essere.Questa impossibilità èl’eternità dell’essente inquantoessente.Con questo, l’esposizione

dei tratti essenziali dellasecoda fondazione primaria

dell’eternità dell’essente inquantoessenteècompiuta.Proprio perché ci si sta

riferendo a S in quantodistinta nel modo che si èdetto nel capoversoprecedente, il suo esserl’apparire diquell’impossibilitàèun trattoche è distinto dall’apparire(indicato dalla primafondazione primariadell’eternità) dell’eternità

dell’essente in quantoessente. Che S sia l’appariredell’impossibilità che i nessinecessari incomincino adessere non lo si sta cioèdicendoperchéogniessenteèeterno e quindi anche quegliessenti che sono i nessinecessari sono eterni. Lo sista dicendo perché lanecessità autentica di unnesso è tale perché èimpossibile che esista unasituazione, un tempo in cui

essa sia nulla. Il significatonecessità è identico alsignificato impossibilità diunasituazioneodiun tempoincuiessanonsia(sianulla).Quest’ultima affermazione

afferma l’esser sé diquell’essente che è lanecessità.L’impossibilitàèlanegazione della negazionedella necessità (l’esser séessendo,insieme,ilnonesserl’altrodasé,cioè,appunto,lanegazione della propria

negazione).I nessi non necessari sono

uncontenutodiversoeisolatoda S, e quindi sono unanegazione di S, ossiaqualcosa di impossibile, dinullo. Ogni nesso nonnecessarioènulla,unpositivosignificare del nulla. Che siaun nulla è una conseguenzadella seconda fondazioneprimaria dell’eternità (ossiadell’impossibilità che i nessi

necessari incomincino efiniscano di essere), cosìcomel’essernulladapartediogni nesso non necessario èconseguenza della primafondazione primariadell’eternità.Sembra, tuttavia, che si

possa obiettare che lanecessità che l’essente sia séstesso sussiste quandol’essente è, ma non quandoessononè(ossiaènulla).NelDeinterpretationeAristotele,

affermando che è necessarioche l’ente sia quando è, mache non è necessario chel’entesiasimpliciter,affermainsieme, appunto, che ènecessario che l’ente sia séstessoquandoè,ma che nonè necessario che l’ente sia epertanto sia sé stesso. Né èpossibile rispondere, sullabase della prima fondazioneprimaria dell’eternitàdell’essente, che èimpossibile che esista un

tempoincuil’essenteènulla,perchéalloraquellaquisopraindicata non sarebbe unaseconda fondazione primariadell’eternità, ma unaconseguenza della primafondazioneprimaria.Nel paragrafo 6 (preparato

dai paragrafi che loprecedono), si rispondeall’obiezioneoraindicata.3.L’ISOLAMENTODELLATERRAELA

«NECESSITÀ»DELDIVENTARALTROEDELL’ANNIENTAMENTO

Nella terra isolata non si

affermalapossibilità,bensìlanecessità che le cose delmondo, o tutte le cose,divengano altro e divenganonulla. E non si afferma lapossibilità, bensì la necessitàche esse, alcune o tutte,divengano altro e nulla (e daaltro e da nulla) odefinitivamente («sola nel

mondoeterna»,diceLeopardidella morte di ogni cosa), oprovvisoriamente (comeaccade nella teoria diNietzsche dell’eterno ritornoonelladottrinacristianadellaresurrezione).Nonsiaffermaquella possibilità, perchéessa, inquantoriferitaaognicosa, è insieme la possibilitàche nessuna cosa divengaaltroenulla–possibilitàchele sapienze della terra isolatao escludono o non prendono

nemmenoinconsiderazione.Nella terra isolata la

necessità che le cosedivengano altro e nulla (e daaltro e da nulla) non puòriuscireadesserelanecessitàdel destino. Essa può averesoltantol’intenzionediessereun nesso assolutamenteinnegabile,comeaccadenellediverse forme di epistḗmē, apartire dalla díkē diAnassimandro, Eraclito,Parmenide.

4.SULRAPPORTOTRAPRIMAESECONDAFONDAZIONEPRIMARIA

DELL’ETERNITÀL’affermazione della

necessità che le cose delmondo o tutte le cosedivengano altro e divenganonulla implica comunquel’affermazione che talenecessità incomincia adessere: implicaquell’impossibile

incominciare ad essere e nonesserpiù,dapartediunnessonecessario, nella cuinegazioneconsistelasecondafondazione primariadell’eternità(cfr.par.2).Selanecessitàdidiventare

altro e nulla, e di esserdiventato da altro e da nulla,avesse il caratteredell’innegabilità (avesse ciòche è impossibile che essaabbia), tale necessità sarebbeimpossibile, sarebbe cioè

impossibile l’incominciareadessere del nesso necessariocheverrebbeadesisteretralacosaeilsuoesserealtrodasée nulla. Ossia tale necessitàimplica necessariamente lanegazionediséstessa.L’impossibilità che gli

essenti divenganonecessariamentealtrodaséonulla(odaaltroedanulla)èl’eternitàdiogniessente.D’altra parte, il

fondamentodell’impossibilità

che le cose divenganonecessariamentealtrodaséonulla(odaaltroedanulla)èl’impossibilità che lanecessità incominci adessereeabbia anonesserpiù.Talefondamento (che a sua voltasifondasuS–èimplicatodaS) è cioè la secondafondazione primariadell’eternità.Sìcheaffermarel’eternità dell’essente in basea quell’impossibilità – ossiain base all’impossibilità che

tra un essente e il suo essernullaoilsuoesseraltrodaséabbia a incominciare o finireun nesso necessario – non èunaterzafondazioneprimariadell’eternità dell’essente, maè,appunto,unchedifondatosulla seconda fondazioneprimaria.L’esser sé dell’essente in

quanto essente, ossia l’essersédiogniessente,èS,cioèilnesso originariamentenecessario. Nella prima

fondazione primariadell’eternità dell’essente inquanto essente il nessooriginariamente necessarioimplica necessariamentel’eternità, e quindi, cioè sulfondamento della fondazioneprimaria dell’eternità,l’eternitàèl’impossibilitàcheilnessotral’essenteinquantoessente e il suo essereincominci e finisca. Nellaseconda fondazione primariadell’eternità, il nesso

originariamente necessarioimplica necessariamentel’impossibilità che il nessonecessario incominci efinisca, e quindi, cioè sulfondamento di questaimpossibilità, questaimpossibilità è l’eternitàdell’essenteinquantoessente– e questo rapporto tra talefondamento e eternità è laseconda fondazione primariadell’eternità.Cioènellaprimafondazione primaria

l’impossibilitàcheilnessotral’essente come tale e il suoessere incominci e finisca èimplicata in quanto essa(impossibilità) è l’eternitàdell’essente,ossiainquantoèl’impossibilità che l’essentecome tale non sia; nellaseconda fondazione primarial’eternità dell’essente cometaleèimplicatainquantoessa(eternità)èl’impossibilitàcheil nesso tra l’essente cometalee il suoessere incominci

efinisca.5.SELAPOSSIBILITÀDELDIVENTAR

ALTROA questo punto è

opportunoripetere,invistadiquanto si dice nel paragrafosuccessivo, che, in quantodistinta da ciò che essaimplica, S non può esserel’apparire della possibilitàchelecosedivenganoaltroo

nulla. Dato il modo in cuiapparenell’interpretazione,lastoria della terra isolata nonmostra di includerel’affermazione di talepossibilità. Tuttavia questapossibilità è un contenutoche, comenegato, appareneldestino. Sennonché, si stadicendo, è impossibile chetalepossibilitàappaiainS.Infatti, se tale possibilità

apparisse, tra S e questoapparireverrebbeacostituirsi

una relazione impossibile,ossiaunanegazionediS,cheè l’innegabile. Giacché, se Saffermasse la possibilità chegli essenti divengano altro enulla, S affermerebbe lanegazione di ciò che inveceessa implica necessariamente(ossia di ciò di cui essa è ilfondamento), e quindi nonsarebbel’incontrovertibilemauna sua negazione, cioèautonegazione; ma se fossenegazione di tale possibilità,

S potrebbe essere siffattanegazione solo perchéincluderebbe la necessità chel’essente in quanto tale siaeterno;maquestanecessitàèunadeterminazione implicatada S, non è inclusa in S inquantotale.Ciò significa che quella

possibilità (e pertanto lapossibilità opposta) non puòapparire in S in quanto tale,ossianelsuoesserdistintadaciò che essa implica. (In

generale: in quanto X èdistintodaY, l’apparirediXnonpuòincludereY).In S, in quanto distinta da

ciòcheessaimplica,nonpuòquindi apparire nemmenoquanto si è mostrato nelpresente paragrafo:l’impossibilitàche inSabbiaadapparirequellapossibilità.Tale impossibilità è infattiuna determinazionepersintattica di S, è cioè unadeterminazione che si fonda

suS.

6.CONFERMADELLAPRESENZADELLASECONDAFONDAZIONEPRIMARIADELL’ETERNITÀ

È con ciò risolta

l’obiezione, anticipata nelparagrafo 2, per la quale laseconda fondazione primariadell’eternità degli essenti(parr. 2-4) sarebbe primariasolo in apparenza, perchénella misura in cui in S

appare la possibilità che lecose divengano altro e nulla,S non può non escluderequesta possibilità, e puòescluderla solo perché Simplica l’eternità dell’essentein quanto essente, cioè soloperché questa implicazione èlaprima fondazione primariadell’eternità; sì che lacosiddetta «secondafondazione primaria» non èprimaria, appunto perché sifondasullaprima.

Questa obiezione è risolta,diciamo, perché, come si èmostrato nel paragrafoprecedente,lasuapremessaèuna negazione di S: lapremessa per la quale lapossibilità che le cosedivengano altro e nulla puòapparire in S in quantodistinta dalle propriedeterminazionipersintattiche.In altri termini, l’esistenza

di una molteplicità difondazioni primarie

dell’eternitàdegliessenti(eilrilievo vale anche per lamolteplicità di fondazioniprimarie della necessità delsopraggiungere della terra –cfr. cap. II) implica sì cheognuna di esse sia distintadalle altre, ma esclude cheesse siano separate le unedalle altre. Infatti taleseparazione sarebbe insiemela loro separazione daS, cheinvece, implicandole, escludeil loro esser separate l’una

dall’altra; sì che, in quantoseparate da S, non sonoimplicate da S, ma sononegazionidiS.Pertanto,sesiobiettassechelanecessitàchel’essentesiaséstessosussistesolo quando esso è, e nonquando è possibile che essosianulla,siaffermerebbecheS è l’affermazione di questapossibilità, cioè la secondafondazione dell’eternitàsarebbe separata da S,giacché S, in quanto

affermante tale possibilità,nonèS.

7.SUIMODIINCUIILNICHILISMOAFFERMAL’INCOMINCIAREDELLA

NECESSITÀQuando nella terra isolata

si afferma la necessità chealcune o tutte le cosedivengano altro e nulla siafferma che questo lorodiventare è o definitivooppure provvisorio (cfr. par.

3). In entrambi i casi siafferma l’incominciare dellanecessitàdelnessotralecoseeillorodiventaraltroenulla,cioè si afferma l’impossibile(cfr.par.4).(D’altraparteunnesso col nulla è un nonnesso, ossia nonpuòessere).Anche nel diventareprovvisoriamente nullaincomincia un nessonecessariotraciòchediventanulla e il nulla. E anchequando un ente diventa

provvisoriamente un altroente (nel senso chequest’ultimo diventerà a suavolta altro), questo diventareè l’incominciare del nessonecessario tra i due enti. Ilnesso necessario cheincomincia col diventareprovvisoriamentealtroenullaè ciò che il nichilismo dellaterraisolatachiama«veritàdifatto». Anche senza esserchiamata così, questa formadi verità sta al centro del

pensierogreco.Si afferma cioè

l’impossibile incominciaredella necessità anche quandosi afferma che «è necessariocheunentesiaquandoè»,machequestanecessitànonè lanecessità che l’ente sia«senz’altro», haplós(Aristotele). Appunto aquesta distinzione ilnichilismo si rifà quandoLeibnizdistinguele«veritàdifatto»daquelle«diragione»,

o Kant i «giudizi sintetici aposteriori» da quelli«analitici». Ora questalampada è accesa: ènecessario che ora questalampada sia accesa. Nellaterra isolata il nichilismoaffermache,sì,l’esseraccesadi questa lampada ènecessariamente il suo esseraccesa, ma che questanecessità sussiste soltantoquando questa lampada èaccesa: per il nichilismo non

è infatti «senz’altro»necessario che questalampadasiaaccesa,inpassatoessendorimastanonaccesaein futuro ritornando opotendo ancora ritornare anonesserlo–ossiaquestosuoesser accesa essendo stato etornandoopotendotornareadessereunnulla.D’altra parte, all’interno

del nichilismo la necessitàche ora (e non prima e nondopo) questa lampada sia

accesavieneconcepitainduemodiopposti.Osiritienechetale necessità incomincia adesistere soltanto ora (ora chequesta lampada è accesa), enon prima o dopo, mainsieme si ritiene chel’affermazionecheoraquestalampada è accesa è semprestata innegabile («vera»), eancheinfuturocontinueràadesserlo: è «eternamentevera». Oppure si ritiene chetale necessità incominci ad

essere innegabile solo ora,quandocioèquestalampadaèaccesa, ma non fosse ancorainnegabile prima, quandoquesta lampada non eraancora accesa, e non sia piùinnegabile dopo, quando nonsaràpiùaccesa.Questasecondaè la tesidi

Aristotele (Deinterpretatione, 9), chepertanto respinge la prima.Malarespinge,daunlato,inbase alla fede – da cui ogni

forma del nichilismodell’Occidente è dominata –che l’uscire dal nulla eritornarvi sia l’originaria eassoluta evidenza; dall’altrolato in base alla fede – cheperò è propria di una formaspecificadelnichilismo–chetale evidenza sia insiemel’evidenzacheunapartedeglienticheesconodalnullaeviritornano sarebbe potuta nonuscirne e non ritornarviquando vi ritorna, e sarebbe

potuta uscirne e ritornarvi inuntempoeinmanieradiversida quelli in cui di fatto neesceeviritorna(ibid.).Tuttavia, nemmeno il

primo di quei due modiopposti di intendere lanecessità che ora questalampada sia accesa affermache questa lampada siaeternamente accesa: essoriconosce sì la «verità», cioèla necessità eternadell’affermazione che ora

questa lampada è accesa,mariconosce anch’esso che lanecessità che ora – nonprima, non dopo – questalampada sia accesaincomincia ad essere soloquando questa lampadaincomincia ad essere accesa.Entrambi quei modiaffermano l’impossibileincominciare della necessità.(Eilsecondomodononvedeche l’eternitàdell’affermazione vera è

insieme l’eternità dell’entecheintaleaffermazionevieneaffermato).Ilnichilismopensa:poiché

la necessità di certi nessi(ossiadicertienticostituitidatalinessi–adesempioquestalampada accesa è costituitadal nesso tra essa e il suoessere accesa) incomincia arealizzarsi,quindilanecessitàdi talinessièsolo«difatto»,è quando è. Al di fuori delnichilismo,neldestinoappare

invece che, poiché nessunnesso autenticamentenecessario può incominciaread essere, quindi anche ilnessonecessarioperilqualeènecessario che, quando unessente è, sia è un nessoassolutamente necessario, ècioè necessario nonlimitatamenteal tempoincuitaleessenteè.È pertanto una negazione

del destino affermare che,

oltre alla necessità in sensoassoluto (haplós), esistaanche la necessità che sicostituisce all’interno di uncampolimitatodienti–comeappunto accade per il campoconsistente nel tempo(limitato) incuiunessenteè.I nessi autenticamentenecessari sono infatti quelliche appaiono nel destinodell’essente in quantoessente, cioè nel destino diogni essente, e quindi è

impossibile che essisussistanosoltantoall’internodi un campo limitato diessentienoninaltricampi.Inessi«necessari»cheesistonosolo all’interno di un campolimitato non sonoautenticamente necessari, macontenuti di fedi più omenocomplessee«convincenti».Nel destino appare che

anche lecosiddette«veritàdifatto» sono nessiassolutamentenecessarieche

quindi è impossibile cheesistauntempoincuiilnessotra questa lampada e il suoessereaccesasianulla(ilchenon significa che questalampada rimanga accesa inognitempo,macheitempiincui «questa» lampada nonappareaccesasonoitempiincui l’eterno in cui consistequesta lampada ora accesanon appare, ma appare unessente che più di ogni altrohatrattiincomuneconquesta

lampada e che, non essendotuttavia questa lampada, è«questa» lampada nonaccesa).8.SULL’INCOMINCIAREADAPPARIRE

EL’IMPOSSIBILITÀCHEINESSINECESSARIINCOMINCINO

Anche tra gli essenti che

appaiono e il loro apparireesiste un nesso necessario. Ènecessario che questalampada, che appare, appaia.

Questalampadaèséstessa(èquesta lampada) solo inquantoappare,enelmodoincui appare.Quindi nemmenoil nesso necessario tra questalampadaeilsuoapparirepuòincominciare o cessare; èeterno.Epoiché l’apparirediquesta lampada è unincominciare ad apparire –cioè ad appartenere allatotalità di ciò che appare,all’apparire trascendentale –,anche questo apparire è sé

stesso solo in quantoincomincia ad apparirenell’apparire trascendentale,sì che il nesso tra questoincominciante apparire el’apparire trascendentale ènecessario e pertanto nonincomincia e non finisce, èeterno. La strutturadell’incominciare ad apparireèstatapresacontinuamenteinconsiderazione nei mieiscritti. Qui di seguito èsufficiente accennarne in

relazioneall’impossibilitàcheil nesso necessario incominciefinisca.S implica (quindi

necessariamente) la necessitàche la terra sopraggiunga nelcerchio dell’apparire di S eche vi giunga così comemostra di sopraggiungere(cfr.Destino della necessità,IV, e, in questo volume, nelcapitolo seguente). Ilsopraggiungere èl’incominciare ad apparire di

qualcosa. È necessario che ilqualcosa appaia; e taleapparire incomincia. Il nessonecessario tra ilqualcosae ilsuo apparire incomincia. Manel destino questoincominciare non èl’impossibile incominciaredella necessità, perchél’incominciare ad apparirenon è l’incominciare adessere.Ciò non significa pertanto

che in relazione

all’incominciare ad appariresussista un’eccezione, quasiche non sia impossibile cheun nesso necessarioincominci. Significa inveceche anche l’incomincianteapparire è un eterno e cheesso,inquantoincomincianteapparire di qualcosa, èinsieme l’incomincianteapparire di sé stesso, sì cheesso è eterno nel suo essereanche l’incomincianteapparire di sé stesso. (Il che

esclude, come si mostra neimieiscritti,chesiproducaunregressus in indefinitum,dovuto al ritenere che anchel’incomincianteapparirediséstesso sopraggiunga e quindiincominci ad appariresecondo un apparire ulteriorea quello incominciante – unritenere che prolunga undiscorsogiàconcluso,perchéil presunto «ulteriore»incominciante apparire èappunto l’apparire

incominciante che ècontenutodiséstesso).Nota Chelecose(tutteo

in parte) divenganonecessariamente altro e nullala terra isolata lo afferma siaquando crede che esse lodivengano definitivamente,sia quando crede che lodivengano provvisoriamente.Maperessaquestodiventare(provvisoriamente odefinitivamente) non è una

possibilità: anche per latradizione epistemica èimpossibile che tutte le cosesiano eterne; e col tramontodi tale tradizione èimpossibile che alcune(quelle «divine») lo siano.Comesièvisto,inentrambiicasi la terra isolatacredecheilnessonecessariodellecosecon l’esser altro e col nullaincominciaadessere.Le voci della terra isolata

non possono replicare

dicendo che, quando tutto èandatonelnullaedènulla,ènulla anche ogni nessonecessario; sì che nessunnesso necessario incominciaad essere. Non possonoreplicare cosìperché,quandotutto è andato nel nullaportandosi dietro tutto,incominciaadessere ilnessonecessariotrailtutto–chevanel nulla portandosi dietro lapresunta totalità dei nessinecessari–eilnulla.

(Al culmine della terraisolata, il sottosuoloessenziale del nostro tempomostra l’impossibilitàdiognieterno mostrando il nessonecessario tra l’esistenza diun eterno e la negazione diciòcheanchetalesottosuolo,come ogni altra voce dellaterra isolata, considera comel’evidenza assolutamenteoriginaria e innegabile: ildiventar altro e nulla e daaltroedanulla.Ilsottosuolo,

pertanto, non può nonriconoscere di implicarenecessariamentel’esistenzadinessi necessari. Pertanto nonsarebbe in base allanegazione dell’esistenza dinessi necessari che ilsottosuolo potrebbe negarel’esistenza del nessonecessario tra le cose e ilnulla. Ma, poi, il sottosuolononpuònemmenoproporsidinegare la necessità di questonesso, perché negandola

affermerebbe la possibilitàchelecosesianoeterne).

9.«IMMORTALITÀ»E«RESURREZIONE»

Ogni «fondazione» o

«dimostrazione»dell’«immortalitàdell’anima»– o di una qualsiasi altradimensione dell’uomo cheabbiaincominciatoadesistereo che esiste ab aeterno ma

sarebbe potuta non esistere –èdunqueimpossibile.È,questa,unaconseguenza

dell’impossibilità che unnessonecessarioincominciadessere e non sia più – unnessonecessario essendo taleperché la sua negazione ènegazione del destino; e neldestino appare che ogniessenteèunnessonecessarioecheogninessotraessentiènecessario. (Non solo,dunque, i nessi tra

determinazioni persintattichedel destino sono necessari –quali ad esempio il nesso traun essente qualsiasi e la suaadeguazione al destino diogni essente, o tra la terraisolataeilsuotramonto,otrala fede nell’annullamentodegli essenti e il suo esserespecificazione della fede neldiventaraltrodellecose–,maènecessarioancheogninessotra determinazioniiposintattiche, quale ad

esempio il nesso tra questalampada e il suo essereaccesa).Eanchelenegazionidei nessi necessari sonoessenti: sono contraddizioni,cioè modi del positivosignificare del nulla, epertanto sono in quanto sonoséstessi,ossianessinecessari(laddove il nulla che quelpositivo significare significanonèun«esserséstesso»).Impossibile che un nesso

necessario esca dal nulla e

incominci a esistere (sì cheprima di questo incominciarele determinazioni che essounisce possano esistere l’unaindipendentemente eseparatamente dall’altra); ed’altrapartenellaterraisolataè presente la volontà diaffermare nessi necessari. Èappunto il caso di ognivolontà di «fondare» o«dimostrare» l’«immortalitàdell’anima», intesacomeunadimensione che ha

incominciato ad esistere oche, esistendo ab aeterno,sarebbe potuta non esistere.Questa volontà vuolel’impossibile. Impossibileperché, oltre ad affermare lapossibilità che un essente(l’«anima» o quella qualsiasialtra dimensione dell’uomo)non sia, afferma anche lapossibilità che un nessonecessario incominci efinisca.Ogni «dimostrazione

dell’immortalità»chenon siaunita, come invece accade inPlatone, all’affermazionedell’eternità dell’anima, siriferisce appunto a unadimensionedell’uomochehaincominciato ad esistere (osarebbepotutanonesistere),eche quindi non ènecessariamente unitaall’esistenza: tra essa el’esistenza non esiste unnesso necessario. Ma volerdimostrare l’immortalità

dell’anima significa volerdimostrare che, da quandol’anima incomincia adesistere, essa non è soggettaall’annullamentoequindinonmuore(nonèannientata)conla morte e l’annientamentodelcorpo;cioèsignificavolerdimostrare che, da quandoessa incomincia ad esistere,incomincia ad esistere ilnessonecessariochelaunisceall’esistenza. Ma, appunto,l’incominciare ad esistere di

questonessoèimpossibile.Ilconcettodi«anima»odi

«dimensione che incominciaad esistere» appartiene allaterra isolata.E seneldestinoappare che, poiché ogniessente è eterno, tra ogniessente e ogni altro essenteesiste un nesso necessario,cioè eterno, invece le anime«eterne» di Platone sono«eterne» perché contemplanole idee «eterne», insieme aldemiurgodicuisonoincerto

modoisatelliti.CosìcomeinHegel lo Spirito ècontemplazione eternadell’Idea «eterna». Ma inentrambi icasi–come lungol’intera storia del pensieroonto-teologico-metafisico–sitratta dell’«eternità» cheviene affermata nella formatradizionaledelnichilismo:sitratta cioè degli «eterni» chesovrastano l’uscire dal nientee il ritornarvi, ossia lacontingenza degli enti

mondani (eche finisconocolrenderlaimpossibile).Come è impossibile ogni

«dimostrazionedell’immortalità dell’anima»,così, e per lo stesso motivospecifico, è impossibile ogni«resurrezionedeicorpi».Edèimpossibile a maggiorragione. Per il nichilismodella terra isolata infatti –quindi anche per la teologiacristiana(eancheperPlatone)– il corpo incomincia ad

esistere e deve annientarsi. Ilcorporisorto,«glorioso»,nonè il corpo annientatoma unasua sublimazione. Ma ancheilcorporisortoincominciaadesistere. D’altra parte laresurrezione intende esseredefinitiva:ilcorporisortononsarà più soggetto alla morteannientante, cioè tra il corporisorto e la sua esistenzaincomincerà ad esistere unnesso necessario – e questoincominciareèimpossibile.

Èimpossibilecheunnessonecessario tra essentiincominci ad essere: siaperché anch’esso è unessente, ossia è eterno, siaperché è necessario. Ènecessario perché è unessente;èunessenteperchéènecessario (ossia l’essente èciò che è unitonecessariamente al proprioessere).L’impossibilitàcheilnesso

necessario incominci adessere è il fondamentospecifico di quelladeterminazione persintatticadel destino che è la Gloriadellaterra(cfr.LaGloria,III-V; Oltrepassare, III). Sirichiami in generale il sensodi questa affermazionedicendocheèimpossibilecheuna qualsiasi configurazionedella terra – ossia delsopraggiungente – siainoltrepassabile e pertanto

suggelli definitivamente ilcontenuto che appare nelcerchio del destino in modoche, appunto, non possasopraggiungere alcun’altraconfigurazione della terra equel contenuto abbia ilproprio compimento in taleinoltrepassabileconfigurazione.Infatti, da un lato, è

impossibile che il contenutoche appare nel cerchio deldestino non appaia più

(giacché, se ciò accadesse,l’essente in cui consistel’apparirediquelcontenuto–l’apparire, in quanto distintoda tale contenuto –diventerebbenulla);dall’altrolato è necessario che nelcerchio del destino appaiaeternamente lo sfondo,costituito dall’insieme delledeterminazioni senza il cuiapparire è impossibile cheappaia la struttura originariadel destino, cioè l’esser sé

dell’essente (determinazionipersintattiche); ma se nelcerchio del destinosopraggiungesse unainoltrepassabileconfigurazione della terra,incomincerebbe ad essere unnesso necessario tra questaconfigurazione e lo sfondo.Quindi ogni sopraggiungenteè necessariamenteoltrepassato; e poichél’oltrepassante è a sua voltaun sopraggiungente, il

sopraggiungereèinfinito,nonpuò avermai compimento.Epoiché l’isolamento dellaterra è, come la terra, unsopraggiungente,ènecessarioche anche la terra isolata siaoltrepassata, cioè tramonti, eilsuocompimentoappaiaconl’avvento della terra chesalva.10.OLTREPASSAMENTODELLATERRA

CHESALVA

Anche la permanenza del

sopraggiungente è unsopraggiungente (La Gloria,III, I, sez. terza).Sopraggiungente,adesempio,è questa lampada accesa;masopraggiungente è anche ilpermanerediquesta lampadaaccesa(cioèilsuopermanerenellavariazionedelcontenutoche appare nel cerchio deldestino).Sipresentaallora laseguenteaporia.

Nessun sopraggiungente èinoltrepassabile. Sullanecessità che ognisopraggiungente siaoltrepassato si fonda lanecessità dell’esistenza dellaGloria (ossia deldispiegamento infinito dellaterra che sopraggiunge neicerchideldestino).Pertantoènecessario che anche lapermanenza di ognisopraggiungente siaoltrepassata. Ma l’avvento

della terra che salvadall’isolamento salvadefinitivamente da esso, epertanto è impossibile che laterrachesalvasiaoltrepassatae che la terra ritorninell’isolamento (cfr. LaGloria,IV;Oltrepassare,IV-V).L’avventodella terra chesalva è cioè un infinitopermanere. E tuttavia questopermanere è unsopraggiungente. Ossia ènecessario e insieme è

impossibile che la terra chesalva sia un permanereinoltrepassabile. L’esistenzadella Gloria è pertantoimpossibile. Ognisopraggiungente ènecessariamente oltrepassatoperché è impossibile che unnessonecessarioincominci,epertanto è impossibile cheincominci quel nessonecessario tra ilsopraggiungente e lo sfondo,cheverrebbeacostituirsiseil

sopraggiungente fosseinoltrepassabile. Ma la terrache salva è unsopraggiungente e pertanto,poichélasalvezzaèdefinitivaequindinonoltrepassabile,ilsopraggiungeredellaterrachesalva è l’incominciare delnesso necessario che sicostituisce tra essa e losfondo,ossiaèl’incominciaredi ciò che è impossibile cheincominci.Questa aporia è dovuta a

un fraintendimento del sensodella definitività dellasalvezza apportata dalla terrachesalva.Laterrachesalvaèsopraggiungente; ma essasalva definitivamentedall’isolamento perché looltrepassa interamente econcretamente (e quindi loconserva come oltrepassato),cioè non si lascia indietrospazi dove l’isolamento dellaterra ancora permanga (cfr.LaGloria, II; e, nel presente

testo, più avanti, nelparagrafo 14 del capitolo II).Una volta che ha in questosenso oltrepassatol’isolamento, la terra chesalvanonsolononhabisognodi permanere (ossia non loimplica),maloesclude.Ciò significa che anche la

terra che salva è essa stessaoltrepassata (e quindiconservata comeoltrepassata). Essa salvadall’isolamento dal destino:

salvadallafede(chenonsadiessere fede) nell’errare checonsiste nell’esistenza delpositivo significare del nulla.Essaè l’avventodiciò lacuiassenzaconsentel’isolamentodella terra. Tuttavia questasalvezza non è l’apparireinfinito (la Gioia) in cuiappare,nella suaassolutezza,il destino della totalitàconcreta degli essenti; ossianon è l’apparire deltoglimento totale e definitivo

della contraddizione C cheavvolge ogni cerchio finitodell’apparire del destino (equindi avvolge anche lostesso apparire infinito inquanto è in relazione alfinito): non èl’oltrepassamento assolutodella contraddizione cheavvolgeilfinitoinquantotaleequindiancheinquantoesso,differendo dalla finitezza checompeteallaterraisolata,èildispiegamento infinito della

Gloria.La terra che salva

dall’isolamento della terra èpertanto necessariamenteoltrepassata da una diversaformadisalvezza: quella chesalva all’infinito dallacontraddizionecheavvolge ilfinito dopo che il finito èstato salvato dallacontraddizione della terraisolata.E,proprioperquesto,talediversaformadisalvezzaèun’infinitàdidiverse forme

di salvezza, ognuna dellequali è necessariamenteoltrepassata da un’altra. Seinfatti esistesse un’unicaforma di salvezza, diversadallasalvezzadall’isolamentodellaterra,taleformasarebbeun sopraggiungente e,insieme, un infinitamentepermanente (sarebbe essa lacontraddizione che l’aporiaqui sopra esposta credeimpropriamente di ravvisarenella definitività del

superamento della terraisolatadapartedellaterrachesalva): tale forma sarebbe unsopraggiungente il cuioltrepassamento sarebbenecessario e, insieme, unapermanenza infinita il cuioltrepassamento sarebbeimpossibile.Questainfinitàdidiverse forme di salvezza èl’infinitàdeimodiincuisonooltrepassati i modi infinitisecondocuilacontraddizioneCsicostituisce.

Come è necessario che laforma di salvezza in cuiconsiste la terrachesalvasiadiversa dalla forma disalvezza in cui consiste laterra che oltrepassaall’infinito la terra che salva,così è necessario che la terrain cui consiste questooltrepassamento infinito nonsiaunadimensioneomogenea(che pertanto sarebbe unapermanenzainoltrepassabileedunque un che di

impossibile), ma unamolteplicità infinita di formedi salvezza diverse tra loro.Appunto per questo, inOltrepassare (pp. 696-97) sidiceche«la terrachesalvaèuninsiemediinfiniti»,ossiaè«l’apparire della Gloria dellaGioia,l’appariredegliinfinitialtipiani della salvezza, inognuno dei quali appare ilTutto infinitamente concretoin quanto è in relazione adesso. Come apparire degli

infiniti altipiani della GloriadellaGioia,laterrachesalvaè l’apparire dell’infinità dimodi in cui appare il Tuttoinfinitamente concreto». Gliinfinitialtipianidellasalvezzasono appunto le infiniteforme di salvezza diverse traloro. Ognuno degli infiniticerchi del destino è l’aprirsial sopraggiungere di questeformeinfinitedellasalvezza.

B)Terzafondazioneprimariadell’eternitàdegliessenti

1.PREMESSA

Sianelle forme«primarie»

sia in quelle «ulteriori»dell’eternità la strutturaoriginaria è il fondamentodell’innegabilità dell’eternitàdi ogni essente.L’impossibilità che unessentedivengaaltroevengada altro, e pertanto la

necessità che esso sia eterno,si riferisce ad ogni essente(cioè all’essente in quantoessente) e ad ogni altro daesso (cioè all’altro in quantoaltro,quindisiaall’altrocheasua volta è un essente, sia aquell’assolutamente altro cheèilnulla).Questo carattere compete

pertanto anche alla terzafondazione primariadell’eternità. Che si puòesprimereinbreve(parr.2-4)

– anche se, per il suo rilievorispetto allo sviluppo storicodel pensiero filosofico escientifico meriterebbe unlungo commento. (Nelparagrafo 5 si mostral’opportunità di questaPremessa apparentementepleonastica).

2.PRIMOLATODELLATERZAFONDAZIONEPRIMARIA

DELL’ETERNITÀ

Ildiventaraltro,dapartediun qualsiasi essente X, è unprocesso il cui inizio(costituito da tale essente)differisce dal risultato (ossiadall’altro).Inizialmente,cioè,l’essente X non è l’altro daesso–l’altro,intesosiacomealtro essente sia come nulla.Edèimpossibilechelosia.Siconsideriildiventareun

altroessentedapartediX.Il processo del diventar

altrononèunnulla.Sefosse

un nulla, X sarebbe giàinizialmente l’altro (e ciò èimpossibile, ossia è incontraddizionecolsignificatoin cui consiste il diventaraltro). È quindi necessariocheilprocessosiaasuavolta(o includa) un essente.Ma èanche necessario che,tuttavia, sia un essentediverso,cioèaltrodaX(cioèdall’essente che diventaaltro). Inoltre è necessarioche,nelprocessodeldiventar

altro, già dal principio (ossiada quando il diventar altroincomincia a realizzarsi) ildiventar altro sia altro da X.Altrimenti X non avrebbeancora incominciato adiventar altro. Sin dalprincipio tale processo èpertanto l’esser diventatoaltrodapartediX.Ciò significa che, nel

processo del diventar altro,l’essentediventaaltro (l’altroconsistente nel processo)

quando ancora non èdiventato altro. E insieme:diventa altro (l’altro che staall’inizio del processo deldiventar altro) senza esserdiventato altro (l’altro chedovrebbe essere il risultatodel processo del diventaraltro). Diventa altro (l’altrocome inizio del processo) enon diventa altro (l’altrocome termine del processo).Il diventar altro è negazionedel diventar altro. Il diventar

altro è cioè negazionedell’esser sé dell’essente cheappare nella strutturaoriginaria – dove l’essenteche non è sé stesso è,appunto, il diventar altro. Èquindi impossibile chel’essente divenga altro. (Inaltri termini – una voltaescluso che il processo deldiventar altro sia nulla –, ènecessario che in taleprocessoesistaunessente,un«medio»,diversosiadaXsia

dall’altro da X; ma questo«medio» è già esso altro daX).Quanto si è rilevato a

proposito del diventare altroda parte diX va detto anchedel diventare (da parte di X)da altro essente. Infatti ilrapporto tra quest’altroessente e X è anch’esso undiventar altro da parte di unessente.

3.SECONDOLATODELLATERZAFONDAZIONEPRIMARIA

DELL’ETERNITÀECONCLUSIONESi consideriora ildiventar

nulladapartediX.In questo caso, se il

processo del diventar nulla èdapprima(ossiaprimadelsuocompimento) il diventare unaltro essente, da parte di X,allora il diventar nulla èimpossibile perché, appunto,include quel diventare unaltroessentedapartediX,di

cui si è mostratal’impossibilità.Se invece il processo del

diventar nulla non è unpreliminarediventareunaltroessente, allora il processostessoènulla.Pertanto,stantela nullità del processo, X ègià inizialmente il nulla cheesso dovrebbe diventare altermine del processo. Ildiventare nulla è nondiventare nulla: appuntoperché questo diventare è

nulla.(Eildiventarnulla,checome contraddizione è unpositivo significare del nulla,è negazione dell’esser sédell’essente in quantoessente, che appare nellastruttura originaria – dovel’essente che in questo casonon è sé stesso è appunto ilpositivo significare deldiventarnulla).Del diventare (venire) dal

nulla da parte di X va detto,in modo analogo, che se,

primacheilnulladivengaX,il diventare è diventare unaltro essente da parte delnulla, allora è necessario chequest’altroessentedivengaXe, si è mostrato, ciò èimpossibile; se invece ildiventare dal nulla non è ildiventare alcun altro essente,allora questo presuntodiventare è immediatamentenulla,ossiaè impossibilecheil nulla divenga X. Anche ildiventare dal nulla è non

diventarenulla.Poiché è impossibile che

tutto ciò che è, ossia ogniessente, divenga altro – inqualsiasi modo l’altro siconfiguri (cioècomeunaltroessente o come nulla) – evenga da altro (in qualsiasimodo l’altro si configuri), ènecessario che ogni essentesiaeterno,ossiaèimpossibilecheesistauntempoincuiciòcheènonsia.

(Si richiami cheX diventa

un altro essente Y, non soloperché esiste il processo checonduce a Y, ma ancheperché Y esce, in parte ototalmente, dal proprio nulla.Questosuouscirnenonèperòsufficienteperchésirealizziildiventare Y da parte di X,appuntoperchéildiventareYda parte di X non è ilsemplice incominciare adessere da parte di Y. Lo

stesso si dica del diventaredoveXdiventadaY).

4.ILNULLAELEFONDAZIONIDELL’ETERNITÀ

Il diventar nulla e il

diventare da nulla sono unnon diventare ancheconsiderando, si è detto, ciòcheedachecosaildiventaredovrebbediventare:dovrebbediventare nulla e da nulla;

cioè sarebbe appunto un nondiventare.Ma poiché nella struttura

originaria appare che il nullaè un significatocontraddicentesi (dove ilpositivo significare del nullaè in contraddizione con ciòche esso significa), allora vaaffermato che in relazione aciòche il positivo significaredelnullasignifica, ildiventarnulla o da nulla è, come si èappena detto, un non

diventare (appunto perché ilnullainquantonullaènulla–dove «il nulla in quantonulla» significa: «in quantociòche ilpositivo significaredel nulla significa è distintodal suo positivo significare»,ossiaèdistintodalsuoessereunsignificato);etuttavia,unavolta affermato questo, restada accertare perché, inrelazione al nulla in quantopositivamente significante, èimpossibileildiventarnullao

da nulla. Che è appuntoquanto viene mostrato nellefondazioni dell’eternitàdell’essente, dove il nulla èappunto considerato nel suoesser positivamentesignificantecomenulla.

5.TERZAFONDAZIONEDELL’ETERNITÀEMATEMATICA

Anche la terza fondazione

dell’eternità dell’essente si

riferiscealdiventaraltroedaaltro, da parte dell’essente inquanto essente, e all’altro inquanto altro (cfr. par. 1). Siriferisce cioè ad ogni formadel diventar altro. Appuntoper questo, tale fondazioneappartiene a una dimensioneessenzialmente diversa daun’argomentazione di tipo«zenoniano», per la quale ènecessario che prima diandaredaunpuntoPxadunqualsiasi altro punto Py è

necessario che il corpo Cgiunga in un punto PmintermediotraPxePy,echeC, prima di giungere in Pm,giunga in un puntointermediotraPxePm,ecosìvia all’infinito; dal che sidedurrebbel’impossibilitàdelmovimento di C:l’impossibilità che C-in-Pxdivenga quell’altro che è C-in-Py.Questo tipo di

argomentazione è infatti una

contraddizione perché non siavvedechegiàl’andaredaPxaPy–ossiaildiventareincuiC-in-Px diventa quell’altroche è C-in-Py –, già questoandare diventando altro è ilcontenuto di unacontraddizione; sì che taleargomentazione, perimbattersi nellacontraddizione,habisognodiintrodurre il concetto di«infinito» (regressus inindefinitum), per il quale C-

in-Px non potrà mairaggiungerePyediventareC-in-Py. Per mostrare lacontraddizione di questodiventar altro, taleargomentazione accetta cioèla ben più originariacontraddizione del diventarealtro.Lamatematicatendeormai

a formulare il concetto di«limite»diuna«successione»evitando il concetto di«infinito» (sia pure inteso

come «infinito potenziale»);ma la «successione» è pursempre un numero finito checresce continuamente. Nelcalcolo infinitesimale il«passaggio al limite» è ilmodo in cui la matematicaintendeevitarechelacrescitaindefinita del numero finitoimpedisca che la«successione» giunga acompimento. Ma anche inquesto calcolo si dà perscontato che il primo passo

della «successione» (eognuno di tutti gli altri) nonsia una contraddizione. Lamatematicaescludeormaichedei termini di una«successione» si possa direche «un poco alla volta»diventano il («si trasformanonel») limite della«successione»; tuttavia, inuna«successione»,quandoalprimoterminenonsièancoraaggiunto il secondo, il primotermine è un essente diverso

dall’essente consistente nelprimo termine a cui si èaggiunto il secondo.L’aggiungersi del secondo èildiventar altro da parte delprimo. Ossia è l’impossibile.(Inoltre, se la matematicadistinguela«successione»,inquanto crescita infinita di unnumero,dall’operazionedella«somma», tuttavia sia l’unasia l’altra sono forme deldiventar altro; e il concettostesso di «operazione»

implicalacapacitàdioperaretrasformando qualcosa, ossiala capacità di farlo diventarealtro).D’altronde la potenza è

dovuta all’errare. Essarichiede l’esistenza deldiventar altro delle cose: senon diventassero altro non lesi potrebbero dominare. Lamatematicaèunadelleformepiù radicali della volontà dipotenza–fermorestandochela potenza non è il riuscire a

far diventare altro le cose(ossia a ottenerel’impossibile), ma è lasituazione in cui si crede diaver ottenuto ciò che sivoleva, e si crede che ancheglialtrisianoconvinticheciòche era stato voluto sia statoottenuto: la situazione nellaquale, peraltro, chi crede diaver ottenuto non sa di starcredendo ma consideraindubitabili l’ottenere el’esistenza dell’altrui esser

convinti che l’ottenere si siarealizzato.

6.NEGAZIONEDELSENSOTRASCENDENTALE

DELDIVENTARALTROETERZAFONDAZIONEPRIMARIA

DELL’ETERNITÀPoiché il diventar altro si

presenta nella forma nonontologica(opreontologica)ein quella ontologica, esso hacarattere trascendentale e tali

forme ne sono appuntospecificazioni, talicioèche illoro significato include ilsignificato trascendentale deldiventar altro. La negazionedella forma ontologica deldiventar altro è ciò cheabbiamo chiamato«fondazione primaria»dell’eternità degli essenti.(Cfr. Parte prima, II, 10).Essa è peraltro risultata laprima di altre fondazioniprimariedell’eternità.

La terza fondazioneprimaria dell’eternità, quisopraesposta,nonvadunqueconfusa con la negazione(incontrovertibile) del sensotrascendentale del diventaraltro. In questa negazione simostra infatti che lacontraddittorietà del diventaraltro consiste nell’identità tral’essente che diventa altro el’altro da esso: nell’identitàche si costituisce comerisultato del diventar altro.

Nella terza fondazioneprimaria dell’eternità simostra invece che lacontraddittorietà del diventaraltro consiste nella necessitàche,seildiventaraltrononèunnulla(nelqualcasononcisarebbe alcun diventar altro),essoèunessenteche,rispettoall’essentechediventaaltro,è(già) altro da tale essente,ossia è l’altro senza chel’altro (che l’essentedovrebbe diventare) sia

(ancora)venutoadesistere:èenonèaltro.

IITERZAEQUARTA

FONDAZIONEDELLANECESSITÀDEL

SOPRAGGIUNGEREDELLATERRA

1.PROSPETTOQuelle indicate dal titolo

del capitolo sono altre duefondazioni, oltre le due che

già compaiono in Destinodella necessità, nel capitoloIV intitolato «L’accadimentoeildestino».L’accadimentoèil sopraggiungere della terra,ossia dei modi in cui essasopraggiunge nei cerchidell’apparire del destino. Inquelcapitolo simostrache ilsopraggiungere della terra ènecessarioecheènecessarioche essa sopraggiunga nelmodo in cui «di fatto»sopraggiunge – sì che non si

trattadiun«fatto»,madiunanecessità. Che la terra nonsopraggiunga o sopraggiungainmododiversodaquello incui sopraggiunge è cioèqualcosa di impossibile, diautocontraddittorio (non,dunque, «qualcosa», ma unnulla).CisiègiàimbattutiinquestotemanelcapitoloI,A,par.8.È pertanto impossibile che

la «vita» di ognuno sarebbepotuta e potrebbe essere

diversadaquellocheèstataeche sarà. Giacché «ognuno»significaoogniioempiricoinquanto è l’insieme di eventiche sono parte della totalitàdella terra isolata dal destino– ossia dall’apparire in cuiconsiste, in ogni cerchiodell’apparire, l’Iotrascendentale del destino –,oppure significa la stessatotalitàdella terra isolatacheappare in ogni cerchio. Laterra isolata è isolata dalla

pura terra che appare nellosguardo del destino, e che ècontrastata da taleisolamento, sì che la terra, inquanto totalità di ciò chesopraggiungeinognicerchio,includeanchelapuraterra(eogni cerchio è questoincluderla).2.LEPRIMEDUEFONDAZIONIDELLANECESSITÀDELSOPRAGGIUNGERE

Prima di indicaredeterminatamente le dueulteriori fondazioni dellanecessità del sopraggiungeredella terra, si ripresenti inbreve il tratto complessivodelle due precedentifondazioni, considerate inDestinodellanecessità.Va inoltre ricordato che in

Essenza del nichilismo,nonostante la presenza dellanegazione del carattereontologico della

«contingenza»degli essenti edi quella forma dicontingenzacheèla«libertà»delle decisioni (nonostantecioè venga escluso – sulfondamento della negazioneche l’essente in quantoessente non sia – che unessente sarebbe potuto nonessere e sarebbe potutorimaner nulla, invece diessere), tuttavia viene ancoramantenuta quella forma dicontingenza e libertà per la

quale un essente (ossia uneterno, quindi anche queglieterni che sono le decisioni)che appare sarebbe potutonon apparire, o sarebbepotuto apparire un essenteche non è apparso. Le duefondazionidellanecessitàdelsopraggiungere della terrapresenti in Destino dellanecessitàmostranocheanchequellaformadicontingenzaelibertàèimpossibile.

Nella prima fondazione(IV, I) si rileva che, poichéogni essente è eterno, epoiché anche ilsopraggiungere (ossial’accadere, l’andarapparendo) della terra è unessente, anche ilsopraggiungere è eterno. Mase il sopraggiungere (einnanzitutto questosopraggiungere che apparedeterminatamente) non fossestato,essosarebberimastoun

niente; e se ilsopraggiungente fosse statodiverso da come esso è, epotesseesserdiversodacomesarà, ilsuoesserecosìcom’èe come sarà sarebbe a suavolta niente. Ciò significaappuntocheilsopraggiungeredellaterraènecessario;echeè necessario che ilsopraggiungentesopraggiunga così com’è enel modo in cui esso è. Epoichéledecisionidell’uomo

(che appaiono all’internodella terra isolata) sono deisopraggiungenti, è necessarioche l’uomodecidacosìcomeeglidecide.Nella seconda fondazione

(IV, II) si rileva che, poichéogni essente è eterno, esso ènecessariamente in relazionead ogni altro essente, ossia èimpossibile che un qualsiasiessente sia, senza che unqualsiasi altro essente sia.

Esso è cioè necessariamenteimplicanteogni altro essente,edaognialtroimplicato.Mase esistono essenti cheappaiono, ma (pur essendoeterni) sarebbero potuti nonapparire,èimpossibilechetraquell’essente che è il loroapparire e la totalità degliessenti (eterni) esista unaqualsiasirelazionenecessaria.Infatti ogni decisione cheappare è una decisione«libera» (ossia è presama la

si sarebbe potuta nonprendere)appuntoperchénonè implicata necessariamenteda alcun altro essente, o èimplicata nonnecessariamente.Nota1 Secondoquantoè

richiesto dalla primafondazione, anche larelazione necessaria tra tuttigli essenti (considerata nellaseconda fondazione) è unessente, e pertanto è un

eterno; sì che se un essenteche appare nelsopraggiungere della terrafosse potuto non apparire,allora non solo tale essente,ma anche la relazione tra ilsuoapparireeglialtriessentisarebberimastaunniente.Nella seconda fondazione,

si è visto, la necessità delsopraggiungere deriva dallacontraddittorietàdell’apparirecontingente degli essenti(includente la libertà delle

decisioni che appaiono), inquantoessorichiedel’assenzadi ogni implicazionenecessaria tra sé e la totalitàdegli essenti (assenzaautocontraddittoria appuntoperché l’eternità di ogniessente implica che tra ogniessente e ogni altro sussistaun’implicazione necessaria):è necessario che l’apparirecontingente di essenti siastato o possa essere nulla,altrimenti sarebbe un essente

eterno, cioè sarebbe inrelazione necessaria con latotalità degli essenti, epertanto non sarebbe uncontingente. Se, apparendo,una decisione fosse «libera»,sarebbe stata o potrebbeessere un nulla; ma poichéanche ogni decisione cheappare è in relazione a ognialtro essente, è impossibilecheessasia«libera».Nota 2 Nell’alienazione

della terra isolata dal destinol’uomo crede di poter essereautenticamente sé stesso,legge di sé stesso, solo se è«libero» da ogni«costrizione»e«necessità».Einvece è proprio nellanecessità del destino checonduce a ogni decidere cheanche l’uomo in quanto ioempirico (cioènel suoessereerrare) è in verità sé stesso elegge di sé stesso. Ogni suadecisione – e l’intera

sequenza che costituisce lasua «storia» – è infattirichiestaconnecessitàdaciòche egli è originariamentenella terra isolata, lui e nonunaltro:sianellaterraisolatain quanto essa sopraggiungenel cerchio dell’apparire deldestino (nel cerchio cheaccogliequest’uomoinmododiverso da quello in cui glialtri vi sono accolti, ossiasono accolti, appunto, come«altri»);sianellaterraisolata

inquantoessaappartieneallosfondodi quel cerchio. (Cfr.,per il senso di quest’ultimaaffermazione, La morte e laterra,XII,II).«Responsabile» non è

l’uomo «libero» quale èintesonellaterraisolata,ossiacome dotato di «liberoarbitrio». Proprio perché ilsuodecidereè«libero», tuttociòcheprimadidecidereegliè stato, ossia ha mostrato diessere nel passato, non può

«rispondere» delle suedecisioni, che sono «libere»proprio perché separate dalpassato, o unite ad esso soloda vincoli accidentali, nonnecessari. Autenticamente«responsabile» è colui nelqualel’interosuoessere,cioèogni stato della sua storia,risponde di ogni suadecisione appunto perchéognisuostatoèrichiestoconnecessità da quelloprecedente, e tutti sono

richiesti da ciò che egli èoriginariamente nella terraisolata. Questo suo essereoriginario è la legge di tuttociò che egli è come ioempirico.Ma poi, al di fuori del

senso che alla «libertà»dell’uomo competeall’interno della terra isolata,lalibertàautenticaèlalibertàdeldestino,ossiaè l’apparireincontrovertibile del destino,e pertanto è l’apparire della

necessità di ogni essente equindi del sopraggiungeredellaterra.Nota 3 Sin dall’inizio,

per la filosofia il generarsidelle cose del mondomanifesto è generazione dal«Principio» che –immutabile,eternoedivino–non si genera. Per lo più, lafilosofia greca intende lagenerazionedelmondocomeun processo necessario.

Quando la filosofia ripensa edetermina il concettoveterotestamentario di«creazione», intende lagenerazionedelmondocomel’effetto di un atto libero del«Principio» divino. Già nelneoplatonismo l’Uno, ilPrincipio, produce anche lamateria del mondo e quindigià in questa prospettiva èpresente il concetto di«creazione». Mal’emanazione dall’Uno è

intesa come necessaria.D’altraparte,sesitienfermoche ilPrincipioè immutabileed eterno, la produzionenecessaria del mondodiveniente uniscel’immutabile al diveniente,cioè rende divenientel’immutabile. All’internodella storia del nichilismo sidovrà allora affermare lalibertà dell’atto creatore.Sennonché il Dio (Principio)dellametafisicacreazionistica

è eterno e immutabile e,insieme,liberamentecreatore.In quanto libero, sarebbepotuto non essere creatore erestare tuttavia identico a sé.Inquestaprospettivasipensacioèche l’esserecreatoree ilnon essere creatore sianoidentici:èinevitabilechelosipensi,perchéaltrimentiilDioeterno e immutabile sarebbepotutoesserediversodacomeè. Dio è ugualmente perfettosia essendo creatore – come

di fatto è, secondo laprospettiva che stiamoconsiderando –, sia se nonfossestatounDiocreatore.Èidentico a sé proprio nel suoesser diverso da sé. Ancheall’interno della logica delnichilismo un libero attocreatore è dunqueimpossibile.Edè impossibileche una produzionenecessariadelmondoproducaunadimensioneincui,invecedelle cose e delle decisioni

accadute,nesarebberopotuteaccadere altre. È impossibileche una produzionenecessariadelmondoproducauna dimensione che sisottragga alla necessità delprodurre.

3.TERZAFONDAZIONEDELLANECESSITÀDELSOPRAGGIUNGERE.NEGAZIONEDELL’ANNIENTAMENTO

DELLAPOSSIBILITÀLa terza fondazione della

necessità del sopraggiungeredellaterrapuòessereindicatanelmodoseguente.Affermando che invece di

questo eterno che apparesarebbe potuto apparire unaltro eterno (come ancoraviene affermato in Essenzadel nichilismo), si affermal’esistenza di unapossibilità.Ma in questa prospettivaquestapossibilitàpuòesisteresoltanto prima che questoeterno appaia: quando questo

eternoappare–unavoltacheè apparso –, tale possibilitànonesistepiù.Se cioè, quando un certo

eterno appare, fosse ancorapossibilecheinvecediquestoeterno,cheappare,appaiaunaltro eterno, questo eternonon sarebbe qualcosa cheappare. Affermando che talepossibilità esiste ancoraquandoquestoeternoappare,si afferma la possibilità cheinsieme a questo eterno che

appareappaia,invecediesso,un altro eterno – cioè siafferma la possibilità chequesto eterno appaia e nonappaia.Ciò significa che quando

questo eterno appare talepossibilità non esiste più, èdiventata un nulla. Ma talepossibilità–lapossibilitàcheinvece di un certo eterno neappaia un altro – è unastruttura positiva, ossia è uncerto modo di essere, un

essente: non è un nulla.Affermando tale possibilità –edunqueaffermandocheconl’apparirediquelcertoeternoessa (che prima di questoapparire era esistente) nonesiste più, si afferma dunqueche un essente diventa nulla,ossiaènulla.

4.QUARTAFONDAZIONEDELLANECESSITÀDELSOPRAGGIUNGERE

Laquartafondazionedellanecessità del sopraggiungeredella terra rende esplicito ciòche è già sostanzialmentemostratoinFondamentodellacontraddizione (Parte prima,V,26e,inaltraforma,25).In riferimento al concetto

aristotelico dell’«essere inpotenza» (dynámei) vi simostra la «contraddittorietà[autocontraddittorietà]dell’essere in potenza lacontraddizione» – ossia la

contraddizione (antíphasis)che sussiste tra i «contrari»(enantía) rispetto a cui unente è in potenza –, adesempio i contrari consistentinel«muoversiversodestra»enel«muoversiversosinistra»,rispetto ai quali un corpofermo è in potenza. (E,nell’esser in potenza icontrari, ognuno di essi è la«negazione determinata»dell’altro, come dice Hegel,ossia non è quella negazione

indeterminatadiqualcosacheè chiamata da Aristotele il«contraddittorio» di talequalcosa; sì che muoversiversosinistraè il«contrario»del muoversi verso destra,mentre un albero è un«contraddittorio» delmuoversiversodestra).Ebbene, richiamando nel

modo più breve l’andamentodeltestodiFondamentodellacontraddizione, qui sopracitato, si può mostrare nel

modo seguentel’autocontraddittorietàdell’esser in potenza icontrari da parte dello stessoente.IndicandoconAenon-Ai

contrari (sì che non-A non èuna qualsiasi determinazionediversa da A, ma è lanegazione determinata di A,ossia la determinazione che,per il suo contenuto, èimpossibile che – katà tòautó,subeodem–convengaa

X se A conviene a X), eindicandoconX l’ente che èin potenzaA e non-A, alloraA e non-A (affermaAristotele) esistono inpotenza in X (ne sonoentrambi «predicati» inpotenza).Ma essere A e non-A in

potenzaè,rispettivamente,unmodo di essere A e non-A.EsserAinpotenzaèunmododi esser A, non un modo diesser qualcosa di diverso da

A, e quindi nemmeno quelmodo di esser diverso da A,che è l’esser non-A; e lostesso si dica per non-A. El’esserAenon-A,dapartediX, è, perX, l’essere e il nonesser A, sub eodem. L’esserinpotenzai«contrari»ècioèil contenuto contraddittoriodella contraddizione cheafferma l’esistenza di talepotenza.Maquestacontraddittorietà

implica la contraddittorietà

dellacontingenzadeglientiepertanto di quella forma dicontingenza che è la libertàdelle decisioni (implicazioneche, implicitamente presentein quel paragrafo diFondamento dellacontraddizione, va ora resaesplicita).«In potenza è possibile

[endéchetai]che ilmedesimo[ente] siacontemporaneamente [háma]i contrari, ma in atto no»

(Metaph., 1009 a 35-36).D’altraparte,quandoognunodei contrari (rispetto ai qualiunenteèinpotenza)è,essoèmaessendopotutononessereinvecediessere;easuavoltal’altro contrario, che invecerimanenelnonesserequandoilprimocontrarioè,nonèmaessendo potuto essere invecedel contrario che di fatto è.(«È possibile che qualcosaabbialapotenzadiesseremanonsia,eabbialapotenzadi

non esserema sia»,Metaph.,1047 a 20-22: la «potenza diessere»[dynatóntieînai]èlapotenzadiessereunodeiduecontrari peraltro nonessendolodifatto;elostessosidicaperla«potenzadinonessere»).Ora, contrari rispetto ai

quali un ente è in potenzasono anche le «decisioni»(bouleúesthai, cfr. Deinterpretatione, 9) i cuicontenuti sono dei contrari –

ad esempio la decisione dialzarsi (A)odi restareseduti(non-A). Proprio perché A enon-A, quando sono, sonocome ciò che sarebbe potutononessere(ecosìinrelazioneaquandononsono),decidereAonon-Asonodecisioninonnecessitate(exanánchēs),macontingenti(hopóter’étychen),cioè libere– liberaessendoappuntounadecisionecheèpresamachesi sarebbe potuta non

prendere. E tali decisionipossonoesserrealmenteprese(possono essere «in atto»)soloperchélacoscienzadiunessere umano è in potenzaquestedecisioni,chesonodeicontrari. Pertanto, come ècontraddittorio essere inpotenza A e non-A, così ècontraddittorio essere inpotenza la decisione direalizzare A e, insieme(háma), la decisione direalizzarenon-A.

Risulta, da quanto si èdetto, che il divenire ènegazione della verità deldestino non solo in quantoesso sia inteso come il nonesser stato e il non esser piùdi ciò che diviene,ma anchein quanto esso sia intesocomel’esserestatoinpotenzaciò che esso diviene; e ciòsignifica che è impossibileche il divenire sia«contingente» e «libero» nelsenso che il nichilismo

conferisce a questi termini.Nell’apparire del destino ildivenire è il sopraggiungeredegli eterni della terra neicerchi di tale apparire; ed èimpossibile che essi,apparendo, siano qualcosache sarebbe potuto nonapparire e, relativamente aglieterni che non sono apparsi,che essi siano qualcosa chesarebbe potuto apparire – ècioè impossibilecheessi,«inpotenza», appaiano e non

appaiano. Il lorosopraggiungere è pertantonecessario.Nel paragrafo seguente si

mostraperchésipuòdirechequesta indicata è unafondazione «ristretta» dellanecessitàdelsopraggiungere.

5.VARIANTEDELLAQUARTAFONDAZIONE

Si può dire che la

fondazione esposta nelparagrafo precedente è«ristretta»,perchéristrettoèilconcetto di divenire comepassaggio all’atto da parte diun ente che è in potenza i«contrari». Tale concetto èristretto in relazione almodoampio in cui altre forme delnichilismo intendono ildivenire. Ad esempio, lateoriadell’evoluzioneparladi«origine delle specie», ossiadi un divenire dove gli enti,

oltre ad essere in potenza i«contrari», sono in potenzaqualcosacheappartieneaunaspeciediversadaquellaacuitali enti appartengono. Adesempio una forma primitivadi vita animale (X) è inpotenza l’uomo, ossia è inpotenzaqualcosachenonèil«contrario» di tale forma.Laquale, e proprio per questasuapotenzialità, è in potenzaanche una forma di vitadiversa da quella umana,

ossia è in potenza un«contraddittorio» (in sensoaristotelico)dellavitaumana.La tecnica allarga ancora dipiù l’ambito di tale«contraddittorio» e progettaforme anche più ampie didivenire,adesempioquelleincui è una macchina (X) adesser inpotenzauomo;dove,in linea di principio, invecedell’uomo si sarebbe potutoprodurre un qualsiasi altroente. Nella progettazione

tecno-scientifica un ente ècioè in potenza non solo i«contrari» ma i«contraddittori», doveognuno di essi è un«contraddittorio» sia rispettoall’altro, sia rispetto all’entein potenza (X). Si ripresentain tal modo il principio diAnassagora,percui tuttopuòproveniredatutto.In questa situazione, A e

non-A indicano, appunto, i«contraddittori»; e come nel

paragrafo precedente si èmostrata l’impossibilità(autocontraddittorietà) diessere in potenzaA e non-Ainquanto«contrari»,cosìtaleimpossibilità sussiste inrelazioneall’essereinpotenzaA e non-A in quanto«contraddittori». Anche inquesto caso, infatti, essere inpotenzaA e non-A (da partedi X) è un modo di essere,subeodem,Aenon-A.

6.NOTASUUNALTROASPETTO

DELL’IMPOSSIBILITÀDIESSEREINPOTENZAICONTRARI

L’essereinpotenzaA,siè

detto,èunmododiesserA;el’essere in potenza non-A èun modo di esser non-A. Diqui la contraddittorietàdell’essere in potenza i«contrari» (e i«contraddittori»). I diversimodi di essere di unadeterminazione, ad esempio

del «bianco» di questasuperficie, hanno in comune,appunto, l’esser bianca diquesta superficie. Questotratto comune, rispetto aipropri modi di essere, èl’«universale» rispetto a cuiquei diversi modi di esseresono«individuazioni».AncheladeterminazioneA

èiltrattocomuneaqueisuoimodi di essere che sonol’esserA inpotenzae l’esserA in atto, ossia è

l’«universale» di cui queimodi di essere sono«individuazioni».Lostessosidica di non-A, in quantotrattocomunealproprioesserin potenza e in atto.AffermarecheXèinpotenzai contrari significa quindiaffermare che, sub eodem, Xè icontrari inquantoognunodi essi è l’universale inquantotrattocomuneaquellesue individuazioni che sono,appunto,l’essereinpotenzae

l’essere in atto da parte diognunodeicontrari.Esel’esserinpotenzaein

atto A, come l’esser inpotenzaeinattonon-Asono,rispettivamente,individuazionidiAedinon-A,questeindividuazionisonoa loro volta il tratto che ècomuneaunamolteplicitàdiindividuazioni.Infattil’esserein potenza non solo è lamolteplicità degli stati di ciòche continua ad essere in

potenza sino a che essoincomincia a passare all’atto(stati chepertanto sonomodidell’essere in potenza), ma èanche la molteplicità deglistati, o modi intermedidell’essere in potenza, chevengono ad esistere nelpassaggio all’atto. E anchel’essereinattoèperlopiùlamolteplicità degli stati di ciòche per un certo tempocontinuaadessereinatto.

7.ACONFERMADELLAQUARTA

FONDAZIONED’altra parte, anche

restando all’interno delconcettodell’esserinpotenzai contrari – senza cioè doverattendere le forme dinichilismo che affermanol’esser in potenza i«contraddittori» – taleconcetto implical’impossibilità di ogni

divenire, sì che, in questosenso, la fondazione espostanel paragrafo 4 non è«ristretta».Affermando che gli enti

divenienti sono in potenza icontrari, ma non li sono inatto, il pensiero della terraisolatadaldestino–quindi(eanzi tra quelli che aprono lastrada dell’Occidente) ancheil pensiero aristotelico – nonintende certo escludere chegli enti in potenza siano in

potenza un ampio insieme dicoppie di contrari. Ogniessere umano, ad esempio, èinpotenza(perquelpensiero)un ampio gruppo di azionilibere: azioni della vitaquotidianaeazionidiversedaquelle abituali; azioni cioèche tra loro sono termini«contraddittori», negazioneindeterminata l’unodell’altro(dove,ovviamente, il terminearistotelico «contraddittori»non va confuso con la

contraddittorietà –autocontraddittorietà –dell’essere in potenza icontrari). L’essere umano,come ogni altro ente chediviene, può diventare senzanecessità molte cose, che traloro sono dei«contraddittori», non deicontrari;eildiventareimplical’essere inpotenza ciò che sidiventa.Tuttavia, ognuna delle

molte cose contingenti,

rispetto alle quali l’ente è inpotenza, dunque senzanecessità che esse sirealizzino,hauncontrario: laloro «privazione» (stéresis,diceAristotele, riferendosi aicontrarichehannoincomuneil «genere»). La loroprivazione è infatti, proprioperché è la loro, negazionedeterminata di ognuna diesse;sìchel’essereinattodaparte di ognuna ènecessariamente il rimanere

in potenza da parte della suaprivazione (e viceversa).Pertanto,ancheinquantoèinpotenza lemoltecoseche traloro sono termini«contraddittori», l’ente inpotenzaè, rispettoadognunadi esse, in potenza i contrari(ossiaè inpotenzaognunadiesseelasuaprivazione).Nella terra isolata,dunque,

ogni forma di divenireimplica, da parte dell’entediveniente, l’essere in

potenza qualcosa e laprivazionedi talequalcosa;eanche questo essere inpotenzaèunmododiessere,da parte dello stesso ente,qualcosa e la sua privazione,ossia è il contenutoautocontraddittorio di unacontraddizione. E ognidecisione libera è quindi uncontenuto siffatto (anche sechi decide crede di esserelibero).

Perl’Occidentecertienti–ma poi, al culmine di talestoria, tutti–sonoinpotenzaquella privazione che è laprivazione del loro stessoessere. In questo caso essinon sono in potenza icontrari, appunto perché nonsonoeterni, cioènon sono inpotenza il contrario del lorovenire alla fine privati delloroessere.

8.ANCORASULL’ESTENSIONEDELCONCETTODIPOTENZA

Ilconcettodi«potenza»ha

comunque un’estensione piùampia di quella assegnataglidaAristotele.Giàperilquale,tuttavia, un ente è inpotenzasolosenonèimpossibilechevenga ad esistere in atto.Proprio per questo, ad esserein potenza dev’esserconsiderato, nella prospettivadel nichilismo, sia un ente,

come appunto pensaAristotele,sia ilnulla: siaunente (si ritenga o no che perpassare all’atto esso richiedacerte condizioni, ad esempiola «causa efficiente»), sia ilnulla(quandosipensacheunente possa incominciare adesistere in atto senza doveresistere prima come ente inpotenza e senza doverrichiedere, per diventareattuale, qualcosa come la«causa efficiente», sì che il

passaggioall’esistenzaattualedell’ente procedadirettamente dal nulla). Inqualsiasimodo si concepiscail divenire in quantoincominciare ad essere efinire di essere, qualcosaincomincia cioè ad esseresolo se (come pensaAristotele,malimitatamenteaciò che incomincia essendostato ente in potenza) non èimpossibilecheessovengaadesistereinatto.

Lamaggioreestensionedel

concetto di «potenza», a cuici si sta riferendo, riguardaanche ciò che il pensierometafisico considera comel’Ente che escludeassolutamente il proprioessereinpotenza:l’Attopuro(immutabile, eterno, divino)in quanto creatore libero delmondo: è impossibile chel’Attopurosiainpotenza.Laforma più coerente della

metafisica creazionisticaconcepisce l’Atto puro comecreatore libero del mondo:l’Attopurocreailmondomaavrebbe potuto non crearlo –einciòconsistelasualibertàoriginaria. Questo implicache l’Atto puro, ab aeterno,abbia la capacità di crearlo edi non crearlo, cioè sia inpotenza,ab aeterno, creatoree non creatore (cioè sia inpotenza questa coppia dicontrari). Infatti, se questo

suo essere in potenza nonesistesse, l’Attopuro sarebbesì soltanto in atto, peròsarebbe impossibile che inattofosse,insieme,creatoreenon creatore, cioè sarebbe,necessariamente,ocreatoreonon creatore, e pertanto nonsarebbelibero.Il concetto di un divino

Atto puro creatore libero delmondo è una contraddizionenon solo perché implica chel’Atto puro sia un ente in

potenza, ma anche per ilmodo in cui la metafisicacreazionistica intende ilrapporto tra l’Atto puro e iltempo. La creazione, dicequesta metafisica, nonavviene nel tempo, ma ècreazionedeltempo;Diononè nel tempo.Ma proprio perquesto è impossibile chel’essereinpotenza–che,sièvisto, competenecessariamenteall’Attopuroliberamente creatore –

preceda, inscrivendosipertanto nel tempo, il liberoattocreativodiDio:comesièdetto, l’essere in potenza, daparte dell’Atto puro, è abaeterno. Così come è abaeterno l’atto creatore(essendoimpossibilecheessosia nel tempo, come èimpossibile che l’Atto purosia nel tempo).Da ciò segueche l’Atto puro, liberocreatore del mondo, è abaeterno – e pertanto sub

eodem – in potenza e in attocreatore libero del mondo:cheessosiacreatoreliberoinatto«da che»esso è creatorein potenza significa che essoècreatore inatto inquanto ècreatoreinpotenza.9.SULLARELAZIONETRAPOTENZAE

NEGAZIONEDELLAPOTENZAÈ autocontraddittorio che

una superficie sia bianca e

nera (cioè abbia colori chesono dei contrari), perchél’esser nera è esser di uncolore diverso dal colorbianco, ossia è non esserbianca. Ma non èautocontraddittorio che unasuperficie sia bianca e larga:esser larga non è e nonsignifica avere un colorediversodalbianco,perchépertale superficie esser larga èavere una proprietà diversadall’essere colorata. Questo,

ancheseènecessariodirechecome l’esser bianca non è enon significa l’esser larga,così l’esser bianca non è enon significa l’esser nera.Ma, appunto, il non esserlarga, da parte dell’esserbianca, non è e non significal’essere di colore diverso dalbianco, ma significa chel’esser largo non è e nonsignifica l’esser colorato epertanto non significanemmeno l’esser di color

bianco. L’esser largo non èesser di colore diverso dalbianco, ma è un che didiversodall’essercolorato.Queste considerazioni –

che distinguono i «contrari»da quelli che per Aristotelesonoterminilacuirelazioneèun’«antifasi»,cioèterminitraloro «contraddittori» (adesempio bianco e largo) –hanno l’intento di mostrareche l’essere in potenza icontrari, da parte di un ente,

non può essere inteso comeuna relazione in cui l’essereinpotenzaunodeicontrarisiail «contraddittorio» dell’altrocontrario,sìche,nonessendoautocontraddittorio che a unente convengano sub eodemtermini tra loro«contraddittori», si possaconcludere che non èautocontraddittorio nemmenoche un ente sia in potenza icontrari.L’essereinpotenzaicontrari è invece un modo

dell’esserli simpliciter e subeodem. Alla prospettiva (dimatrice aristotelica) per laquale l’essere in potenza ilcontrariodiqualcosanonèlanegazione dell’essere inpotenza quel qualcosa (eviceversa)–sìchel’essereinpotenzaicontrarinonsarebbeun che di autocontraddittorio–ècioènecessariorispondereche l’essere in potenza ilcontrario di qualcosa è (esecondo la stessa coerenza

del punto di vista«aristotelico») il contrariodell’essere in potenza quelqualcosa, e dunque ne è lanegazione,sìcheciòcheèinpotenzaicontrarièunchediautocontraddittorio.

10.NICHILISMOEPRINCIPIODELTERZOESCLUSO

Il capitolo 9 del De

interpretatione di Aristotele

vienespessointesocomeunalimitazionedel«principiodelterzo escluso». E poichéquesto principio ènecessariamente implicatodalla bebaiotátē archḗ(«principio di noncontraddizione»), si trova inquella limitazione unaconferma della convinzione(già espressadaLukasievicz)che per Aristotele anche il«principio di noncontraddizione» abbia una

portata limitata (cfr., perquanto riguarda Lukasievicz,Fondamento dellacontraddizione,Parteprima).All’iniziodelcapitolo9del

De interpretatione Aristoteleformula il contenuto del«principio del terzo escluso»dicendo che rispetto a certigruppidienti,adesempioglientichesono(epìtṑnóntōn),si deve affermare che, delleaffermazioni e negazioni che(secondo lo stesso rispetto)

riguardano ognuno di essi,unadelle due è vera e l’altrafalsa. (Ad esempio ènecessario che, datal’affermazione «Questasuperficie è bianca» e lanegazione «Questa superficienon è bianca», una delle duesiaverael’altrafalsa).Infatti,all’inizio della Metafisica(IV, 7), Aristotele connettel’impossibilitàdiun«medio»(metaxý) tra affermazioni traloro contraddittorie alla

necessità di affermare onegarelostessodellostesso–stabilendo tuttavia questaconnessione senza lalimitazionedicuiquisoprasiè incominciato a dire aproposito del testo del Deinterpretatione.In questo testo, infatti, si

aggiunge che rispetto a certialtrienti lecose«nonstannonello stesso modo». Sono i«singoli enti futuri» (epì dètṑn kath’hékasta kaì

mellóntōnouchhomoíōs,18a33-34). Ad esempio,dell’affermazione«Domanicisarà una battaglia navale» edellanegazione«Domaninoncisaràunabattaglianavale»èimpossibiledirecheunadelledue è vera e l’altra falsa. Inquesto contesto, infatti, per«vero» e «falso» Aristoteleintende il necessariamenteveroe falso,ossiaciòchedasempreepersempreèveroefalso.

Così stando le cose, sel’esclusione del «terzo»dovesse riferirsi anche aisingolientifuturi,sidovrebbeaffermare che tutto accadenecessariamente. Ma perAristoteleè«evidente»(comeappunto afferma in questotesto) che negli enti che nonsono sempre in atto esiste la«potenza» di essere e di nonessere, sì che è impossibileche tutto accadanecessariamente(cfr.Destino

dellanecessità, III).Primadidomanilabattaglianavale(laquale è un ente che non èsempre in atto) esiste inpotenza, ossia ha la potenzadi essere e di non essere. Equesto esser in potenza èappunto il «terzo» che esisteoltre l’affermazione e lanegazionedelfuturoaccaderedella battaglia. Come ènecessario (secondoquanto ilframmento di Anassimandroincominciaadesprimere)che

l’entesia,maquandoè,echenon sia, ma quando non è,così è necessario che ilprincipio che esclude il«terzo»siriferiscasìall’ente,maall’entecheèquandoè,eall’entechenonèquandononè.In proposito, il finale del

capitolo 9 del Deinterpretatione èsingolarmente chiarificante.Dice:«Rispettoallecosechesono [epì tṑn óntōn] e a

quelle che non sono ma chehanno la potenza di essere odi non essere [epì tṑn mḕóntōn,dynatō̂ndèeînaiḕmḕeînai] non si può dire lostesso [ou ... hoútōs échei]».Il principio di noncontraddizione e del terzoesclusosono limitati,manonnelsensochenonvalganoperogni ente: essi valgono perl’ente in quanto ente, ossiaperogniente–solochel’entein quanto ente è l’ente che è

quandoè.Quando esso non è ma ha

la potenzadi essere o di nonessere, esso non è, perAristotele, un nihilabsolutum; e tuttavia èinevitabilecheessosiailnihilabsolutum del proprio futuroessere in atto in quanto tale(nell’essere in potenza, cioè,la corrispondente attualitàfutura, in quanto tale, ènihilabsolutum, altrimenti l’entein potenza sarebbe già in

atto). Ma il nulla non è inalcun modo prevedibile.Aristotele lo sta già dicendo:sta dicendo, appunto, che sel’esclusione del «terzo»valesse anche per gli entifuturi che possono essere enon essere, allora tuttoaccadrebbe necessariamente,equindi sarebbepossibile, inlineadiprincipio,prevedereilfuturo che, in quanto tale, èancora nulla: sarebbepossibile prevedere

l’imprevedibile.(D’altra parte Aristotele e

l’intera tradizionedell’Occidente non vedonoquel che invece è visto dalsottosuolo filosofico delnostro tempo, cioè che nonsolo l’applicazione delprincipio del terzo escluso alfuturo rende prevedibile ilfuturo e quindi rendeimpossibile l’ente in potenzaeildivenire,macheilfuturoè reso prevedibile e l’ente in

potenzaeildiveniresonoresiimpossibili dall’affermazionedi ogni ente immutabile e diogni verità assoluta diversadallaveritàdeldivenire).11.SOPRAGGIUNGEREDELLATERRAE

IMPLICAZIONENECESSARIALa considerazione

astrattamente isolante delcontenuto (infinito) delcerchio originario (e di ogni

altro cerchio) del destino dàluogoauninsiemeinfinitodiaporie. (Quelle relative allapersintassi del cerchio deldestino sono eternamenterisolte all’interno di esso – etuttavia il linguaggio chetestimonia il destino se letrova dinanzi come uncompito infinito,cioèattendeche sopraggiunganell’apparire del destinol’eterno in cui consiste illinguaggioche,testimoniando

ildestino,lehagiàdasemprerisolte). Oltre alle aporieconsiderate in questo e neglialtri miei scritti, si considerianche la seguente, relativaalla necessità che la terrasopraggiunga e sopraggiungacosìcomesopraggiunge.La necessità del

sopraggiungere della terra èimplicazione necessaria traciò che già appare e ciò chesopraggiunge su ciò che già

appare. L’implicazione ènecessaria perché lanegazionedi essaaffermauncontenutoautocontraddittorio, ossia uncontenutochenegaséstesso.Quindi l’implicazionenecessariaèuncontenutochenon nega sé stesso; edessendo implicazione implicapertanto sé stesso.L’implicazione necessaria ècioè un’identità, ossia è larelazione in cui l’identità

consiste.D’altra parte, se èimpossibile che ciò chesopraggiunge sia l’esserdiventatoaltrodapartediciòche già appare, tuttavia ciòche sopraggiunge ènecessariamente altro da ciòche già appare. E se lanecessità del sopraggiungeredella terra è implicazionenecessaria tra ciò che giàappare e ciò chesopraggiunge è impossibileche questa implicazione

necessaria sia un contenutoche – non essendoautocontraddittorio, cioè nonnegando sé stesso – implichisé stesso, cioè siaun’identità(la relazione in cui l’identitàconsiste). Nell’implicazionenecessaria delsopraggiungente, ciò che giàappare implica dunque séstesso (in quantol’implicazioneènecessaria)e,insieme, implica ciò che (inquanto sopraggiungente) è

altro da esso: l’implicar sé èimplicar l’altro da sé, ossianon è implicar sé; l’implicarl’altroèimplicarsé,ossianonè implicar l’altro. – Ingenerale: (anche) ogniimplicazione tradeterminazioni iposintatticheè necessaria solo se essa èuna tautologia. La presuntaimplicazione (relazione)necessaria che sussisterebbetraogniessenteeogni«altro»essente – giacché nel destino

appare l’eternità di ogniessente e quindil’impossibilità che unqualsiasi essente sia se unqualsiasi altro essente(incluse dunque ledeterminazioni iposintattiche)non è – non è implicazionecon «altri» essenti, ma è,propriamente, l’identità consé di un unico essente. Lamolteplicità degli essenti èimpossibile.

Come si è detto all’iniziodel paragrafo, anche questaaporia è dovuta al pensieroche isola astrattamente ilcontenuto del cerchio deldestino.Propriamente,questopensiero isola ciò che giàappare da ciò chesopraggiungeintalecerchio–e,ingenerale,isolagliessentigliunidagli altri.Loschemadell’implicazione necessariaè:XèimplicanteY–doveXèunessentequalsiasieYpuò

indicarenonsolounqualsiasialtro essente, ma anche lostessoX (nel caso in cuiX èimplicante X). Nel destinoappare che ogni relazione èun’implicazione necessaria(per quanto riguarda lerelazioni che costituiscono lastrutturaoriginariadeldestinoperché la loro negazione èautonegazione – e in questaautonegazione consiste ilsenso originario dellanecessità –, e per quanto

riguarda le determinazionipersintattiche, ad esempiol’eternità dell’essente, perchélaloronegazione,adesempiola negazione dell’eternitàdell’essente in quantoessente,ènegazionedelsensooriginario e originariamenteinnegabiledellanecessità).Pertanto è certamente

necessarioaffermarequantoèaffermato nella prima partedell’aporiaqui sopra esposta:che anche l’implicazione di

una determinazioneiposintattica è necessariaperché la negazione di taleimplicazione afferma uncontenutoautocontraddittorio, ossia ènegazione di sé stessa; chequindi l’implicazionenecessariaèuncontenutochenon nega sé stesso e cioèimplica sé stesso, sì chel’implicazione necessaria èun’identità,ossiarelazioneincui l’identità consiste.Mada

ciò non segue quanto èaffermatonellasecondapartedel discorso aporetico. Quinonsipuòcheaccennareallatematica, presente nei mieiscritti dalla Strutturaoriginaria (III, 9-14; VI, 9-18; Introduzione, 2) aTautótēs (XII-XX) e anchealtrove, relativa al modo incerto senso fondamentale incui il pensiero che isola ledeterminazioni che appaiononel cerchio del destino le

isola già nella forma piùelementaredeldire,quella incui si afferma cheX èY (lalampada è accesa,quest’albero è quest’albero,eccetera). Nella terra isolata,anchel’affermazionecheXèXriferisceaXqualcosache,inquantoriferitoaX,èaltrodaX.Nella terra isolataognidire è contraddizione e ilcontenuto di ogni dire èautocontraddittorio perché Xè isolatodaYedaséstesso.

Nell’aporia che si staconsiderando l’implicazionenecessaria è appuntoassunta,come ora verrà richiamato,all’internodeldiredellaterraisolata.Un qualsiasi essente (X) è

quelcertoessentecheessoè,determinatocosìcomeessoèdeterminato. Ad esempioquesta lampada, questoricordo della giornata di ieri,questo apparire dellanecessità che un qualsiasi

essente siaquelcertoessenteche esso è. Un qualsiasiessente implica ogni essente.InXèimplicanteY,Y indicaora ogni essente, la totalitàdegliessenti.IltrattodecisivodamettereinrilievoècheXèidentico al suo esserimplicante Y. Il suo esserimplicante Y è questoimplicare, equesto implicareèX.NonnelsensocheXnonabbiaunapropriaconsistenzae si risolva totalmente

nell’implicato, ma nel sensoche la consistenzadell’implicanteèidenticaallaconsistenza dell’implicare.Giacché, a sua volta, questoesser implicanteYè identicoa X (e nemmeno in questocaso questo esser implicanteYsirisolvetotalmenteinX).Questa lampada (X) èidentica al suo esserimplicante la totalità degliessenti ( Y ). Ciò significache X, che è implicante Y,

non è un X distinto dal suoimplicare (altrimenti X nonsarebbe identico al suoimplicare Y), ma è XimplicanteY.OssiaèX-che-è-implicante-YaimplicareY:X-che-implica-YimplicaY.Asua volta questo esserimplicante Y non è uncontenutodistintodaX,maèl’implicare Y da parte di X;ossia è l’implicare-Y-da-parte-di-X ad esserel’implicare Y, e il contenuto

di quest’ultima espressione èdaccapo X-che-implica-Yimplica Y. Pertanto,concretamente pensato (cioènel cerchio dell’apparire deldestino), X è implicante Y èunaidentità:l’esseridenticoasé,dapartedelrapportotrailcontenutodel«soggetto»(X)eilcontenutodel«predicato»(è implicante Y ). (InTautótēs,XVI,quantoèstatorichiamato viene sviluppatointroducendo l’espressione

«essere insieme ad altro»,cioè «X è insieme aY», cheequivale all’espressione«Xèimplicante Y», giacché nellosguardo del destino ogniessereinsieme,dapartedegliessenti,èunanecessità,ossiaè un’implicazionenecessaria).I cenni che si son dati

possono essere sufficienti aindicare la direzione delrisolvimento dell’aspetto piùgeneraledell’aporiainesame.

Infatti l’implicazione èidentità (come vieneaffermatoanchedall’aporiainesame), ma (a differenza diquanto il discorso aporeticoritiene di poter concludere)l’identità non conduce allanegazione della molteplicitàdegliessenti,perchéXnon ègli Y che sono altro da X.L’identità conduce a quellanegazionesoloseXèisolatodalsuoesserimplicanteY.Per quanto riguarda

l’aspetto specificodell’aporia, relativo allanecessità del sopraggiungeredella terra (e in generale gliessenti che sonodeterminazioniiposintattiche), si aggiungacheY(ciòcheèimplicatodaX) può indicare sia ciò chenon è X, sia ciò che X è(ossia i cosiddetti «predicati»diX,cheperò,propriamente,sono parti del «predicato» èimplicanteY ), sia (tra questi

«predicati») lo stesso X, sia,infine,ilsopraggiungerediuncert’altro essente. Adesempio questa lampadaimplica, rispettivamente,questo ricordo della giornatadi ieri, il suoesseraccesa,séstessa, il sopraggiungere diquesto suono. In tutti questicasi il contenuto di X èdiverso,mainognunodiessiX è implicante Y è unaidentità: l’esser identicoasé,da parte del rapporto tra il

contenutodel«soggetto»(X)eilcontenutodel«predicato»(è implicante Y). Quindi, ciòche già appare implicanecessariamente ciò chesopraggiunge – la terra –, equesta implicazione èun’identità; ma nemmenoquesta identità è (comeinvece asserisce il discorsoaporetico) l’identità tra ciòche già appare e ciò chesopraggiunge:nonaccadecheciò che già appare sia un

implicar sé stesso (in quantol’implicazione è necessaria)che, contraddittoriamente, èun implicare ciò che (inquanto sopraggiungente) èaltrodaesso:nonaccadechel’implicar sé sia l’implicarl’altro da sé, cioè non sial’implicarsé,echel’implicarl’altro sia l’implicar sé, cioènonsial’implicarl’altro.Il cerchio originario del

destino (la strutturaoriginaria) implica

necessariamente(adesempio)quella determinazionepersintattica (o essentepersintattico) che è l’eternitàdell’essente e (ad esempio)quella determinazioneiposintattica (o essenteiposintattico)cheèl’apparire,quiora (e l’essere),diquestalampada. E anche qui sipresenta, in entrambi i casi,unX è implicante Y. Ma nelprimo caso non solo X èidentico a è implicante Y

(ossia a è implicantel’eternità), ma è ancheimpossibile che X appaia, eappaia comel’incontrovertibile, se nonappareY;mentrenelsecondocaso è necessario che Xappaia, e appaia comel’incontrovertibile, anchequandoYnonappare.Eciòèdovuto alla circostanza chenel secondo caso il nonapparire di Y è unacontraddizione

(contraddizione C) che èdiversa dalla contraddizionenormalechenelprimocasoèdeterminata dal non apparirediY.Nota L’aporia qui sopra

considerata non è dunquedovuta alla sua separazioneda quella determinazionepersintattica(dellosfondodelcerchio del destino) che èl’esser traccia:non è dovutaalla dimenticanza di tale

determinazione. Questo,anche se l’implicazionenecessaria sarebbeimpossibileseinogniessentenon fosse presente la tracciadi ogni altro essente.Richiamando il sensodell’esser traccia (cfr. LaGloria, II, II; VI, I-II), si dicache, poiché l’esser sé cheappare nel destino implicanecessariamente l’eternità diogniessente,cioèlarelazionenecessaria tra ogni essente e

ogni altro essente, tra dueessenti qualsiasi X, Y esisteuna relazione necessaria solose ognuno dei due è inqualche modo presentenell’altro, ossia esiste inqualchemodonell’altro.Seinnessun senso l’uno esistessenell’altro non potrebbeesistere nemmeno quel sensodell’esistere nell’altro che èl’essere in relazione(necessaria)conl’altro.(Selarelazione fosse «esterna»,

come Russell ritiene, X nonpotrebbe nemmeno esserequella relazione per la qualeX è X e non è Y; quindil’affermazione che X è X enon è Y, ponendo«dall’esterno» la relazione,sarebbe negazione di ciò cheè ogni pensare, sarebbe unerrare.E lacriticadiBradleyalconcettodirelazioneèunanegazionediséstessa,perchéunacriticanonpuòesserecheun complesso sistema di

relazioni). Che Y esista inqualche modo in X (eviceversa) è appunto latraccia di Y in X. Ogniessente (la totalità degliessenti) lascia la propriatraccia in ogni altro essente.Ma è come negato che Yesiste inX.Altrimenti l’altroda X esisterebbe in X: Xsarebbe non X. Ciò nonsignifica che, in X, Y esistacome non esistente (questoesistere è una impossibilità),

ma cheYappare inX comealtro da X. Vi appare cosìanche se il linguaggio nontestimonia né Y né il suoapparire in X come altro daX.Anche per questomotivo,èimpossibilechel’essentesiaindipendentemente dal suoapparire. Con questaindipendenza dall’apparire,l’altro da X non potrebbeapparire, in X, come negato,cioè sarebbe impossibile latracciaepertantolarelazione

tra ogni essente e ogni altroessente.Anche le parti di un

essenteXsonoaltrodaX(laparte non è il tutto) e quindisono in relazione a X.Tuttavia il loro esistere in Xnon è l’esser «in qualchemodo» presenti in X, ossianonèl’esservipresenticonleloro tracce, ma è l’esservisenz’altro presenti, ossia è,simpliciter, il loro esistere inX.Maènecessariocheanche

le parti diX (in quanto sonoaltro da X) siano presenti inX come negate, ossia comeciò che in X appare comealtrodaX.SonopresentiinXcometuttavianegateinsensodiverso da come è negatoogninonXchenonsiapartedi X. Questo nonX è infattinegato per il suo contenuto;ma se le parti diXnon sonoX (non sono il tutto al qualeesseappartengono),esseperòcostituiscono X e quindi non

appaiono come negate per illoro contenuto,ma in quantoseparate dalla totalità che leunifica.OgnipartediXlasciainvecelapropriatraccianellealtre parti di X, così comeogni non X lascia in X lapropria traccia. (Le parti diun essente X sono infatti uncerto molteplice che èunificato da una unitàspecifica che è altro daitermini di tale molteplice eper la quale essi si

differenziano dai termini chenon sono così unificati –l’essentecheèlatotalitàdegliessentinonessendounaunitàspecifica, essendo cioèunificazione della totalità delmolteplice).

12.NOTA:FORMECOERENTIDELNICHILISMOEETERNITÀDELNULLANella sua forma più

coerenteilpensierodellaterra

isolata afferma che tutto ciòche esiste proviene dalproprio non esser stato, cioèdalnulladisé.(Altrimenti, iltutto includerebbe l’Enteimmutabile da cui tutto ilresto proverrebbe; el’esistenza di un Immutabilerenderebbe impossibile quelsensoontologicodeldivenireche per l’Occidente èl’evidenza originaria eassolutamente innegabile).D’altra parte, che tutto

provengadalnulla implica lanecessità che il nulla sia lapossibilità dell’essere – lapossibilità senza la qualesarebbe impossibile che glienti incomincino ad essere;malapossibilitàèunmododiessere; e che il nulla sia unmodo di essere è impossibile(qualcosa diautocontraddittorio) nellamisura in cui questaidentificazione di nulla edessente è negazione del

destinodellaverità.Giàdetto,tutto questo, ad esempio, inIntorno al senso del nulla(Parteprima).Ma qui si intende mettere

in rilievo che, tuttavia, iltentativo di negare ognieterno e immutabile èdestinato a fallire. Le stesseforme più rigorose delpensiero della terra isolatascorgono – pertantoall’interno della fede nelsenso ontologico-nichilistico

del divenire – la necessità diporrecomeeterno ildiveniredi ogni ente e di ogni verità,come in altri scritti homostrato a proposito diLeopardi, Nietzsche, Gentile– ossia di coloro che in taliscritti sono chiamati gliabitatori del «sottosuolo» delnostro tempo, e il cuipensierononhadunquenullaa che vedere con l’ingenuitàdello scetticismo. Ora siaggiunga che la coerenza del

«sottosuolo»richiedecheunadimensione eterna ènecessario affermarla ancheper un motivo ulteriore, cheperaltro il «sottosuolo» nonriesce a scorgere, rispetto aquello indicato in quei mieiscritti. Infatti, poiché il nullaè la possibilitàdell’incominciare ad essereda parte degli enti, ènecessario che, se ilmododiessere che compete a talepossibilità non fosse eterno,

esso sarebbe a sua volta unproveniredalnulla.Inquestosecondocasosiriproporrebbelanecessitàdi porreunnullache fosse a sua volta lapossibilità del primo nulla-possibilità, e eterno sarebbequesto secondo nulla-possibilità.Si può replicare dicendo

cheilrinviosisviluppainunprocesso infinito, ognitermine del quale è pertantounnulla-possibilitàchenonè

eterno. Sennonché – sirisponda – è necessario che,intaleprocesso,restidifferita(rinviata) all’infinito, epertantonegata, lapossibilitàdell’incominciare ad essereda parte del tutto o di unqualsiasi ente particolare;ossia è necessario che venganegato ciò che, per le formeontologichedellaterraisolatadal destino, è l’evidenzaoriginaria e innegabile. Quelrinvio non può dunque

svilupparsi all’infinito equindiènecessariocheesistaun nulla originario che,essendo il modo di essere incui consiste la possibilità deltutto,èunessereeterno.Ancheper ilmotivochela

possibilità–dallaqualeèresopossibile l’incominciaredeglienti – è necessariamente uneterno, la negazione di ognieterno, operata da quel«sottosuolo», implicanecessariamente, e peraltro

contraddittoriamente,l’esistenzadiuneterno(cheèa sua volta il contenutoautocontraddittorio, cioèimpossibile, di unacontraddizione). Che taleimplicazione necessaria siaperaltro un che diautocontraddittorio significa:l’affermazione che l’essenteinquantoessenteèdivenienteè una contraddizione anchedallo stesso punto di vistadelle forme più coerenti del

nichilismo, cioè delle formeche più radicalmente hannoeliminatoognieterno.

13.NOTA:PERCHÉPREVALELADISTRUZIONEDELL’«EPISTḖMĒ»

La fede nell’esistenza del

divenire, inteso comeproveniredell’entedalnullaeritornarvi, opponenecessariamente l’ente alnulla; altrimenti non

esisterebbe di-venire,passaggio, cioè diventarealtro. Ma è necessario che,nel divenire (così inteso), ilnulla sia la possibilitàdell’incominciare ad essere,cioèsiaunmododiessere,unente (cfr. par. 11); e, perquesto lato, quella fede nonoppone l’ente al nulla, mapone il nulla come ente:entificailnulla.Entificazioneche, presente lungo tutta lastoria dell’Occidente, si

mostra nella sua forma piùampia nella peraltroinevitabile distruzione dellatradizione epistemica, cioènella distruzione inevitabileoperata dal «sottosuolo»filosofico del nostro tempo,dove l’entificazione del nullaè la possibilità chenecessariamenteprecedeogniente,ognientepresentandosi,in seguito a quelladistruzione, come unincominciare ad essere.

(L’epistḗmēessendo invece–ricordiamo – l’evocazionedella dimensione eterna cheunificalatotalitàdeglienti,equindi anticipa tutto ciò chepuò sopraggiungere e puòpassare, e trasforma in unente il nulla da cui ilsopraggiungenteprovieneeincui ritorna – l’unificazionedella totalità non potendoconsentire che il passato siaun regno su cui essa nonabbiapiùalcunpotere;sìche

anche in relazione al passatol’unificazione epistemica èuna entificazione del nulla).Sia pure per un motivodiverso, tanto l’epistḗmēquanto il «sottosuolo»da cuiessa è distrutta sono dunqueunaentificazionedelnulla.Ma ora si intende rilevare

che inevitabile è ladistruzionedell’epistḗmē,nonl’epistḗmē. Inevitabile è cioèl’abbandono della tradizionedell’Occidente, la quale non

ha pertanto più il diritto diguidareilmondo(anchesedifatto, in molti suoi aspettiintende ancora farlo). Infatti,mentre (contrariamente aipropri intenti) l’entificazioneepistemica del nulla rendeimpossibileildivenire,intesocomel’uscireeilritornarenelnulla (di cui l’epistḗmē ètuttavia l’evocazione el’affermazione originaria),invece l’entificazione delnullaoperatadal«sottosuolo»

del nostro tempo è lacondizione imprescindibiledell’esistenza del divenire(cosìinteso).Quindièlafedenel valore di fondamento deldivenire – la fede che ècomune all’epistḗmē e allasua distruzione – a esigereche sia tale distruzione aprevaleresull’epistḗmē,echequindi sia tale distruzione, enonciòcheessadistrugge,adessereinevitabile.Questo,ancheseentrambe

le forme di entificazione delnulla ora indicate sononecessariamente implicatedalla nientificazionenichilistica degli essenti,ossia da ciò di cui il destinodellaveritàèlanegazione:lanientificazione degli essentiincuiilnichilismoconsisteinquantofedenell’esistenzadeldivenire – la fede che,ponendo come nulla l’ente,poneasuavoltacomeenteilnulla.

14.NOTA:«PRINCIPIODINONCONTRADDIZIONE»

EDIVENIREChe la fede nichilistica

nell’esistenza del divenireopponga ilnullaall’ente(cfr.l’inizio del paragrafoprecedente) significa chel’opposizionesussistetraogniente in quanto ancora non è,ossia è nulla, e tale ente inquanto incominciaecontinua

ad essere, ossia a non esserpiùunnulla;esussisteanchetraognientecheèeognientein quanto non è più, ossia èdiventato nulla. Taleopposizioneè la sostanzadel«principio di noncontraddizione», ossia dellaregola fondamentale che ilnichilismo dà a sé stesso.Giacché questo principioafferma sì che un ente non èaltrodasé,edèséstesso,malo afferma sin tanto che è (è

sì necessario che un ente siaquando è, ma non ènecessario che siasimpliciter). Pertanto, neldivenire, l’ente non è l’altrodaséeinsiemeèl’altrodasé:nonèl’altrodaséquandoeinquanto è, ed è l’altro da séquando e in quanto èdiventato nulla. Il nichilismoritiene che, nel divenire, laduplicità dell’«in quanto»(ossia il tempo, come Kantrileva)tolgalacontraddizione

del non essere e insiemeessere altro da sé; ma ilnichilismononsi avvedechela contraddizione abissale èl’affermazionediuntempoincuil’enteèdiventatooèstatonulla.L’inevitabile entificazione

del nulla, operata dal«sottosuolo» del nostrotempo, in quanto essa è laforma dove la fedenichilisticaneldivenireèpiùfedele a sé stessa, esprime

dunquelamaggiorefedeltàal«principio di noncontraddizione». Esso è laregola fondamentale che ilnichilismo assegna a séstesso; e tuttavia taleentificazione–senzalaqualeè peraltro impossibilel’esistenza del divenire(inteso in senso ontologico,cioè nichilistico) e quindi èimpossibile il «principio dinon contraddizione» – è lanegazioneditale«principio».

Oltre che in quelleepistemiche, anche in quellaforma più coerente delnichilismo che è il«sottosuolo» del nostrotempo, la contraddizione(ossia ciò che dal punto divista stesso di tale«principio» è contraddizione)è inevitabilmente ilfondamento di tale principio.Finoaquestaconsapevolezzadella propria struttura il«sottosuolo» non è arrivato;

né può arrivare, perchéaltrimenti scorgerebbel’impossibilitàdiséstesso.D’altra parte, ponendo il

nullacomepossibilitàdiogniente, il«sottosuolo»nonsolorende possibile l’«evidenza»del venire dal nulla, ma silibera anche dalla previsionedell’ancor nulla del futuro,nella quale l’epistḗmēconsisteeper laqualeessaèl’entificazione (dell’ancornulla) che rende impossibile

ilveniredalnulla.Ponendoilnulla come possibilitàdell’ente, ogni previsioneincontrovertibile del futuro èimpossibileperchénelnullaèimpossibilescorgerealcunchédiciòcheescedalnulla.15.VIOLENZA,«EPISTḖMĒ»,DESTINOIl destino della verità non

soggiaceallacriticaconcuiilsottosuolo filosofico del

nostro temponega l’epistḗmēdella verità, spingendola altramonto (una critica con cuiè innanzitutto lo stessodestino della verità, sebbenein un senso essenzialmentediverso, a negare l’epistḗmēdella verità). Quel sottosuolonega ogni verità definitiva,epistemica – tale cioè davolersi differenziaredall’unica verità consistentenel divenire di ogni verità –perché ogni verità siffatta è

entificazione del nulla, ossianegazione del divenire.Sennonché il destino mostrache il divenire, in quantodiventar altro, non solo nonappare, ma è impossibile. Ildestino è cioè negazione delfondamento che sial’epistḗmē della verità sia ilsottosuolo che la porta altramonto hanno in comune –del fondamento rispetto alquale, peraltro, questosottosuolo e non l’epistḗmē,

all’interno del nichilismo,riesce ad essere la forma piùcoerente.Quindi,non solo ildestino

della verità differisceabissalmente dall’epistḗmēdella verità, ma è ancheimpossibile riferire aldestinol’accusa di intolleranza e diviolenza che vienecomunemente rivoltaall’epistḗmē. Ma anche einnanzituttonellosguardodeldestino appare che

l’isolamento della terra è lafedechegliessentidiventanoaltro e da altro (la fede, cioèla volontà che interpreta séstessa come evidenza deldiventar altro), ed essendoquesta fede l’isolamento è labase della fede nell’esistenzadi forze capaci di farlidiventar altro, tra le qualiesistono le volontà deimortali e dei divini.Reggendoilprimotrattodellastoria dell’Occidente, nella

quale culmina la storiadell’Occidente (il tratto dellatradizione occidentale),l’epistḗmē della verità, nellosguardo del destino, è lavolontà (la fede)che,oltrealsenso preontologico, il sensoontologico del diventar altrosia inscritto in unOrdinamento immutabile eincontrovertibile(Díkē),echela realtà effettuale dellanegazione di questoOrdinamento, mostrato

appunto dalla veritàdell’epistḗmē, debba essereannientata. Debba essereannientata la realtà effettualedellanegazionecheèadikíaeil cui annientamento è la«pena», tísis, che essa devepatire:didónaidíkēnkaì tísinallḗlois tē̂s adikías. Pervivere, la volontà deveflettere l’Inflessibile (Parteprima, I, 1), squartare laBarriera inflessibile deldivino.Poilavolontàsirende

conto di dover tuttaviastringere un’alleanza con ciòche rimane pur sempre lafonte della propria vita; edapprima l’alleanza ècompiuta nelle forme delmito, poi in quelledell’epistḗmē della verità,ossia di díkē, dovel’Inflessibile diventa ilcontenuto centrale dellavolontàdiveritàe ilpericolonon è più costituito dallaBarriera inflessibile, ma

dall’errore che negal’inflessibilitàdellaverità.Pervivere, la volontà di veritàdeve quindi annientarel’errore.Etaleannientamentoè, da un lato, una forzaesercitata dallo stessoOrdinamento della veritàepistemica, dall’altro lato èun compito della volontà deimortali: il loro compito diannientare la realtà effettivadell’errore, che da ultimo ècompitoineseguibilesenonè

insiemecompitodiannientaregli erranti o per lo meno illoropesonellasocietà.Diquil’accusa di intolleranza e diviolenza che il nostro temporivolge alla fede nella veritàincontrovertibiledell’epistḗmē.Sennonché il destino della

veritànonèvolontàdiverità,nelsensochenonèvolontàditrasformare il mondofacendolodiventarealleatodiuna verità che riesca a

dominarne il diventar altro ead adeguarlo a sé stessa. La«trasformazione» del mondoè la necessità delsopraggiungere degli eternidella terra.Anche l’immensamoltitudinedidecisioniche imortalicredonodiprendereèmoltitudine di essenti eterniche sopraggiungono connecessità nella costellazionedei cerchi del destino dellaverità. Senza ilsopraggiungere della più

irrilevante delle decisioni èimpossibile l’interosopraggiungere della terra;manemmenoledecisionipiùepocali riescono a ottenerel’impossibile che essevogliono.Il destino della verità non

annienta l’errare. Né il piùepocale, né il più irrilevante.Vedechel’errareèilpositivosignificare del nulla: vede lanullità del nulla; ma implicacon necessità la totalità

concretadell’errare inquantopositivo significare, cioè inquanto essente. Non soloimplica la necessitàdell’essere dell’errare, ma lanecessitàdelsuoapparire–equindi implica la necessitàdell’apparire di quella formaestrema dell’errare che èl’isolamento della terra daldestino della verità. Laimplica in più sensi. Siaperché la struttura originariadel destino della verità è

l’apparire dell’autonegantesinegazionedeldestino,ossiaèl’apparire dell’errareoriginario. Sia perché latotalità concreta econcretamente infinitadell’errare apparenell’appariredeldestinocheèl’apparire infinito dellatotalitàdegliessenti,echeinquantoèlanegazionediognierrare ne richiede il concretoe totale apparire (cfr. LaGloria, II). Sia perché il

necessarioavventodellaterrache salva dall’isolamentoimplica con necessitàl’apparire della totalità delleterre isolate nellacostellazione infinita deicerchi dell’apparire deldestino della verità (ibid., V-VII,XII).Ed è necessità cheuna dimensione diquell’eterno che è l’errare,ossia ladimensionecostituitadallatotalitàdelleterreisolatedal destino della verità,

sopraggiunga nei cerchi deldestino: appunto perché lasalvezza può essere concretasolo se ciò da cui essa salvaappare concretamente e – siapure come un punto rispettoall’infinità della salvezza, eanzi come un punto che vainfinitamente riducendosirispetto a tale infinità – simantiene definitivamentenell’apparire, lungo ildispiegamento infinito dellaGloria della terra. Il che

significa che in ogni cerchiodel destino – ossianell’essenza di ogni uomo –l’uomo è destinato a restaredefinitivamenteinrelazioneatuttociòche,nelpassato,nelpresente, nel futuro, la terraisolata di ogni cerchio èdestinata in ogni cerchio amostrare.

16.RIPRESAECONCLUSIONE

Ritornando ora al temaprincipale di questo capitolosi concluda rilevando che laforma più diretta dellafondazionedellanecessitàdelsopraggiungere della terrarimane comunquel’implicazionetral’eternitàdiogni essente e l’eternità ditalesopraggiungere.È eterno, infatti, anche il

sopraggiungere della terranegli infiniti cerchidell’apparire del destino e

quindi è eterno anche ognicontenuto delsopraggiungere: è eternoanche quell’essente che è ilvariare (e l’incominciare avariare) degli essenti cheappaionoinqueicerchi.Se, invece di

sopraggiungere, la terra fossepotuta non sopraggiungere ofosse potuta sopraggiungereinmododiversodaquello incui sopraggiunge, gli essentiche consistono nel suo

sopraggiungereenelmodoincui essa sopraggiungesarebberorimastiunnulla.Questa fondazione della

necessità del sopraggiungeredella terra è la più direttaperché non è che unaindividuazionedell’impossibilità chel’essente in quanto essentenonsia.L’esistenza stessa di una

pluralità di fondazionidell’eternità dell’essente in

quanto essente e difondazionidellanecessitàdelsopraggiungere della terra èpossibile e anzi necessariasolo in quanto il primo diquesti due gruppi difondazioni è un insieme diindividuazioni del rapportotra la struttura originaria deldestino e l’eternitàdell’essente,eilsecondoèuninsieme di individuazioni delrapporto tra la strutturaoriginaria del destino e la

necessità del sopraggiungeredella terra. Questi duerapporti unisconodeterminazioni persintattiche(la struttura originariaessendo l’originariadeterminazione persintatticadi sé stessa) ed essi sonoindividuazioni di queste dueforme di unione. In quantoindividuazioni dello stessorapporto, le fondazioni checostituiscono gli elementi diquei due gruppi non si

giustappongono comecontenuti reciprocamenteestranei, ma sono ildifferenziarsidelmedesimo.Nota In relazione a

quanto si è già richiamato emostrato intornoall’impossibilità dell’usciredal nulla e dell’annullamentodegli essenti si aggiungaquantosegue.È impossibile che

l’annullamentodiunqualsiasi

essente che sia uscito dalnulla sia una possibilità. Ècioè impossibile (ossia ènegazione dell’esser sédell’essente in quantoessente) che per un qualsiasiessente che è stato nulla ilritornare nel nulla sia unapossibilità. Infatti questapossibilità sussiste solo inquantoessaimplical’oppostapossibilità che tale essentenonabbandonipiùl’esistenzaenonabbiapiùarientrarenel

nulla. Implica cioè lapossibilitàchetrataleessentee l’esistenza abbia aincominciare quel nessonecessario per il quale taleessente non rientra più nelnulla. Ma è impossibile cheun nesso necessarioincominci e pertanto èimpossibile che taleincominciare sia possibile(cfr.I,8-9).D’altra parte, se per il

nichilismo è necessario che

gli enti che sono usciti dalnulla vi ritornino, questanecessità è tuttaviaimpossibile (ossia ènegazione dell’esser sédell’essente in quantoessente): è impossibile chequel ritorno sia necessario,perché esso implica che ilnullasiainscritto,appunto,inun ordinamento necessario(dunque esistente), e che, inquanto così inscritto, sitrasformi in un ente, cioè

vengaentificato.Analogamente, se per il

nichilismoènecessariocheilnulla da cui gli entiprovengono sia la possibilitàdel loro incominciare aesistere, anche questapossibilità è impossibile (ècioè impossibile che questapossibilità esista), perchéanche la possibilità è unmodo dell’esistere (cioèdell’esser ente) e anche inquesto caso il nulla resta

inscritto in un ordinamentoesistente, sì che, in quantocosì inscritto, il nulla vienetrasformatoinunente.Per lo stessomotivo, oltre

che per quello indicato nelsecondo capoverso di questaNota, è impossibile che ilridiventare nulla, da partedell’essente, sia unapossibilità.Eper lo stessomotivo– e

anziincertosensoamaggiorragione – è impossibile che

sia necessario che gli entiescano dalla loro inizialenullità (come accade nellaprospettiva per la quale ilmondo è necessariamentecreato da un Principioimmutabile).In modo più o meno

consapevole il nichilismopensa: «È necessarioaffermare che gli essenti (ocerti essenti) ritornanonecessariamente nel nulla»,

«Ènecessarioaffermarecheilnulla è la possibilità diesistere che compete agliessenticheancoranonsono».La necessità diquell’affermare non vaconfusa con la necessità delritornare nel nulla (nonessendoci pericolo diconfusionetratalenecessitàelapossibilitàdi esistenzachecompete al nulla). Illinguaggio che testimonia ildestino afferma invece

l’impossibilità del contenutodelle presunte affermazioninecessarie del nichilismo(cioèafferma:«Èimpossibileche l’annullamento di unqualsiasi essente che siauscito dal nulla sia unapossibilità», «È impossibileche gli enti che sono uscitidal nulla vi ritorninonecessariamente», «Èimpossibilecheilnullasia lapossibilitàdell’esistenzadegliessenti»). Come già si è

accennato, l’affermazionedell’impossibilità delcontenuto di quelleaffermazioni significa cheessesononegazionidell’essersé dell’essente, in quantol’esser sé appare nellastruttura originaria deldestino.

IIIRIGUARDANDOIL

PERCORSO

1.LANEGAZIONEDELL’ERROREEL’ERRARE.FINITOEINFINITO

Come negazione della

propria (autonegantesi)negazione la strutturaoriginaria del destino negal’universalità della proprianegazione e della negazione

di ciò che tale strutturaimplica, ossia la propriapersintassi. Non negasemplicemente questa oquella negazione del propriocontenuto, ma la proprianegazione in quanto tale, inquanto trascendentale. Se lanegazione trascendentaleinclude alcune formeparticolari di negazionedell’originario e della suapersintassi, tuttavia noninclude attualmente la loro

concreta totalità–che inveceappare (comeincontrovertibilmente negata)nell’apparire infinito deldestino, ossianell’incontrovertibileappariredellatotalitàdegliessenti.Tuttavia nella struttura

originaria appare (comeincontrovertibilmente negata)quella forma particolare dinegazione che è peraltro lanegazionepiùradicaleditalestruttura e che consiste nella

convinzione che il diventaraltrodegliessentiesistaesial’evidenza originaria einconfutabile – laconvinzione che sta alfondamento della volontà difar diventar altro le cose – eche, dal tempo del mito aquello della tecnica, esprimequell’«evidenza» nei modipiùdiversi.Questa convinzione è la

forma più radicale dinegazione perché la

negazione dell’originarioappare in esso anche comepuro contenuto di quell’altraformadi«convinzione»cheèlo stesso appariredell’originario, e pertantoappare soltanto nel suo esserincontrovertibilmente negata:l’errore appare soltantocomenegato, cioè nel suo esserlegato alla verità. L’erroreappare nella sua forma piùradicale quando invece èlasciato libero dal destino

della verità (e innanzituttodalla struttura originaria deldestino)equindidalsuoessernegato; libero, nel sensoappunto che si presentaall’interno della convinzioneche esso non sia errore mal’evidenza indiscutibile, ilterreno con cui l’uomo hasicuramente a che fare.Questa libertà è l’isolamentodella terra dal destino:l’errore in quanto contenutodell’errare.

Ciò non significa che laterra isolata possa apparireanche se la strutturaoriginaria (e la totalità dellasua persintassi) non appare.La struttura originaria èl’eternoappariredi sé stessa;la terra sopraggiunge(peraltro necessariamente) inessa;eancheinquantoisolata(peraltro necessariamente) laterra può apparire solo sulfondamentodiessa–ossiainquanto accolti dallo sfondo

costituito dalla dimensionepersintatticadell’originario.Poiché come negazione

della terra isolata la strutturaoriginariaèlanegazionedellaformapiùradicaledell’errore,il tramonto necessario dellaterra isolata è, nel finito, lanegazione più concretadell’errore. Proprio perchénell’originario (e pertanto intutti gli altri cerchi finitidell’apparire del destino)appare l’errore assoluto,

proprioperquestogli infiniticerchi finiti del destino sonodestinati a oltrepassareassolutamente l’errore, ossiaè destinato a sopraggiungereil loro esserne la negazioneassoluta.Ogni essente (ogni eterno)

appartiene al contenutodell’apparire infinito deldestino: anche la strutturaoriginaria,e,inessa,laterraelaterraisolata.Nellosguardo

finitodellastrutturaoriginaria(ediognialtrocerchio finitodell’apparire del destino) ildestino vede l’infinitoapparire di sé; nello sguardoinfinito di questo infinitoapparire il destino, che vedeogniessente,vedelastrutturaoriginaria. È però sulfondamento di essa cheappare tutto ciò che deldestino può apparire nelfinito: sul fondamento (dellastruttura originaria) del finito

appare la stessa finitezza delfinitoel’infinitàdell’infinito.Il finito appartiene

all’infinito,manelmodocheèloroproprioognunodeidueguarda l’altro. L’«uomo» èl’infinitàdeicerchiinognunodei quali appare, contrastatadall’isolamentodella terra, lastrutturaoriginariadeldestinoe la persintassi da essaimplicata.Eanchel’esistenzadi questa infinità èincontrovertibile in quanto

appare all’interno e sulfondamentodelcerchioincuiappare originariamente lastrutturaoriginaria.2.SULLA«STORIAIDEALE»DELLA

VOLONTÀL’isolamentodellaterradal

destino è la forma«trascendentale» dellavolontà: solo perché si èconvinti (si ha fede, cioè si

vuole) che il diventar altroesista si può volere (volontà«empirica») che le cosedivengano altro. Questovolereè«empirico»perchéèuncontenutoparticolaredellavolontà «trascendentale» cheappare all’internodell’apparire trascendentaledel destino e che quindi solorelativamente è«trascendentale», ossia èl’apparire «trascendentale»che crede, cioè vuole

l’esistenzadeldiventaraltro.Ma il volere «empirico»

nonèunimmediatoottenere:l’immediatamente ottenutononèunvoluto.Selavolontàtrascendentale è convinta chele cose siano di per sé undiventar altro, la volontàempirica, pur fondandosi sutale convinzione, non puòriuscireafarlediventarealtro«subito», ossia da che essavuole. Si vuole qualcosa chemanca. E ciò che manca

manca alla volontà, chequindi lovuoleperottenerlo,equindinonavendolo subitoottenuto.Sino a che non riesce a

ottenerlo è raggiunta dallamorte. La morte: la Barrierainflessibile che dapprimaavvolge la volontà. Perottenere ciò che vuole ènecessario che la volontà,dapprima, non lo ottenga, emuoia.Vivesoloiltempopermorire.

Quando la volontà«riuscirà» a «ottenere»,l’ottenere sarà però uncredere di ottenere, unilludersi. Come il «riuscire».È impossibile ottenerel’impossibile. La volontàmuore quando ancora noncrede di ottenere; incominciaaviverequandoincominciaacrederlo. Sono altre volontàempiriche a crederlo: quelleche «hanno visto» (ossiacredono di aver visto) la

morte (che a sua volta è undiventar altro). Incomincianoa credere di saper fendere efarsi largo nella Barrierainflessibile e di ottenere ciòche nello slargo si rendedisponibile:iframmentidellaBarriera, che pertanto sipresenta, insieme, come iltremendum (per la suainflessibilità) e come ilfascinans (perché è pursempredaessachelavolontàottieneciòdicuihabisogno).

IlSacro.Per non morire la volontà

deve flettere l’Inflessibile,farlo diventare altro. Il(credere di riuscire a) fardiventarealtrolasuamorsaèil rimedio contro la morte.Malafedeneldiventaraltroèanchel’evocazionedelnuovoe più profondo senso dellamorte, quello cheaccompagnal’interastoriadeimortali. Più profondo eangosciante, perché essi

hannoormaigustatolavita–evoglionosalvarlaedevitareche divenga morte. Hannoquindi bisogno di un piùprofondo rimedio. Il rimedioal rimedio fallito. Per nonmorire lavolontà«ottiene» ildiventar altro, ma esso èanchelacaducitàdellecose.Nel tempo del mito il

nuovo rimedio è il sacrificio,che restituisce al Sacro ciòchelavolontà,pervivere,gliha carpito: la restituzione

rafforza la fonte divina dellavitaumana.Poisicomprendeche la salvezza della fontenon può dipendere da chiattingedaessalapropriavita.L’Inflessibile è flesso mainsieme mantiene, sebbenesempre più lontanadall’uomo, la propriainflessibilità, il proprio starfermopressodi sé, ilproprionondiventaraltro.Allora si crede che la vita

sia salvasolosedasempreè

custodita nella stabilitàdell’Inflessibile, separandosidalla quale essa va incontroalla morte. Ma insieme siconsolida la convinzione (giàpresentenelsacrificio)chelamortesialarestituzionediciòche all’Inflessibile è statotolto, e che la «giustizia» siaappunto la restituzione,l’«equità», l’uguagliare(«uguale» proviene daaequus,«equo»)ladifferenzachealtera,cioèfaesserealtro

daciòcheè,l’Inviolabile.Che la volontà abbia una

storia è il contenuto diun’interpretazione, cioè,daccapo, è la volontàinterpretante a farlo apparire.Ma se questa volontà è ilfondamento dell’apparire ditale contenuto, è necessarioche esso si svolga, nella suaessenza, secondo le diverseforme della morte e delrimedio alle quali si staaccennando.Ènecessarioche

la «fattualità» storica, cheapparenell’interpretazione,sisvolga secondo la «storiaideale» che si starichiamando.

3.ANCORASULLOSTESSOTEMA;VOLONTÀE«DÍKĒ»

Il frammento di

Anassimandro anticipal’essenza dell’interatradizione dell’Occidente – e

in qualche modo dell’interastoria dell’Occidente (cfr.Parte prima). L’eterno in cuiconsiste la terra isolata daldestino sopraggiunge nellastrutturaoriginariadeldestinoprovenendo dall’apparireinfinito del destino (e anchein essa appare come negato,non-verità, positivosignificare del nulla). Isolatadal destino, cioè comevolontà trascendentale che èfede nell’esistenza del

diventar altro e che inscrivetutto, uomini e dèi, in taleesistenza, la terra è ilfondamento delle volontàempiriche e della coscienzache in esse va mostrandocome la vita sia quell’odio-amoretraesseel’Inflessibile(tremendum-fascinans) checonduce all’affermazionedell’«equità» della morte. Ilframmento di Anassimandrosta al culmine di questacoscienza: conduce dal mito

allafilosofia(cioèall’essenzadell’Occidente). Mostra lanecessitàchedíkēsialamorte(phthorá) che riconduceall’Uno.Eper laprimavoltamostra il senso che lanecessità andrà assumendolungo la storiadell’Occidente.Poiché il frammento dice

che la génesis degli enti è illoro generarsi da ciò che èincorruttibile, ingenerabile,illimitato,l’Uno-ápeiron,può

sembrare che il sottintesodominante di questaaffermazione sia (comeavverteAristoteleinrelazioneai primi pensatori) che nonpuòessereilnullaacostituireciò che si genera.Ma questaaffermazione è guidata daqualcosa di più profondo.Lagénesis degli enti è la lorovolontà di esistere,innanzitutto la volontàdell’uomo. La volontà puòvivere solo «generandosi»,

cioèseparandosidall’Unochecontiene tutto e quindi anchetutto ciò che la volontà puòvolere. E il frammento diceche tale volontà è adikía.Adikía è la violenzaperpetrata dalla flessionedell’Inflessibile. La flessioneè il diventar altro dove lavolontà sorge e riesce sì(crede di riuscire) a vivereperché la barrieradell’Inflessibileèsquarciatael’Inflessibile si ritrae, ma

dove ogni volontà riesce avivere solo vivendo lamortedelle altre. Proprio perchévuole – vuole far diventaraltro il mondo e sé stessa;cioèvuoleessere–,lavolontànonriesceadessere,arestaresé stessa: è distrutta dallealtre. Génesis, separazione,violenza: il mondo deimortali. Esso è adikía.L’adikíadeglientiè l’essersiseparati dall’Uno immutabilein cui esistono (ek toû henòs

enoúsas) e che consente lorodirestareséstessi.Ciòsignificacheper ilpiù

antico pensierodell’Occidente díkē, proprioperché è lamorte riparatrice,è il «riuscire» ad esser séstessi. E solo rimanendoall’interno dell’Uno vi siriesce. Volendo vivere, lavolontà si separa dallacondizione stessa del suovivere, diventa preda dellamorte,equindivaallaricerca

del Rimedio, cioèdell’immortalità.Il frammento dice che la

volontà di essere immortalerinvia alla «necessità» chel’immortalità non sia undiventar altro, ma il rimanersé stessi nell’Uno, e che lamorte sia appunto il rifluiredegli enti nell’Uno che lisalvaguarda, il dissolversidell’ingiustizia compiutadalla volontà di vivere. La«necessità» – tò chreṓn –

appartieneall’essenzadidíkē;díkēè tòchreṓn, la necessitàdel rimaner sé stessinell’Uno. Díkē: la morte,l’essersé,tòchreṓn.

4.«DÍKĒ»EILDESTINOMa il linguaggio che

testimonia il destino dice: tòchreṓn-díkē è il modo in cuiall’interno della terra isolataviene pensato, alterandone il

volto,l’essersédegliessenti.L’alterazione è dovuta alla

fede nell’esistenzaindubitabile ed evidente deldiventar altro, cioèdell’incapacità degli enti chesi sono separati dall’Uno dirimanereséstessi.Lavolontàdi immortalità rinvia alloraalla forma dell’esser sé chedomina lungo l’intera storiadell’Occidente: gli enti sonosé stessi sin tanto che sono:nella tradizione (epistemica)

dell’Occidente gli enti delmondosonoséstessi,manonprima e non dopo il loroesistere,mentre l’Uno divinoè sé stesso eternamente; coltramonto della tradizione,cioè di ogni eterno che siponga al di sopra deldivenire,ognienteèséstessosolo per il tempo in cui essoriesce ad esistere. E questaformadell’essersécontinuaaimplicare la «necessità» checiòdacuiglientiprovengono

e ciò in cui si trasformanodifferisca da essi, giacché lafede nel diventar altro e daaltro, riuscendo ad essereprovvisoriamente, è appuntola fede nel differire delcominciamento dal risultatodeldivenire.Anche la negazione, così

frequente nel nostro tempo,del «principio di identità-noncontraddizione-terzoescluso», si presenta sempreall’interno della fede nel

diventar altro, ossia nellaforma fondamentale di taleprincipio, ed esso assumel’evidenza stessadeldiventaraltro: è la struttura stessa deldiventar altro. Questoprincipiovienequindinegato,dalpensierodelnostrotempo,nella misura in cui esso sipresenta, nella tradizionedell’Occidente, come unaverità definitiva che, esternaal divenire – cioè in quantoessaèl’essersécheallecose

in quanto esistononell’Immutabile e non nelmondo compete –, rendeimpossibile il divenire puravendolo assunto comeevidenzainnegabile.L’immortalitàè ilRimedio

che viene voluto. Ilframmento di Anassimandrosolleva il Rimedio dal rangodiqualcosadisoltantovolutoalrangodella«necessità»cheesiste indipendentementedallebramedeimortali.Intal

modo,lavolontàoriginariaincui consiste l’isolamentodella terra vede il propriocontenuto come «necessità»,come vicenda che accadekatà tò chreṓn, secondo lanecessitàcheglientirendanogiustizia nella loro stessaingiustizia (didónai díkēn tē̂sadikías), cioè dissolvano laviolenza che dissolve il lororimanerepressodisé.Il Rimedio è la volontà di

esser sé – e díkē è questa

volontà. Su questo (voluto)essersésifondal’immortalitàdell’Unoedituttiglienticheesso «circonda e governa»:non il circondare cheimpedisce alla volontà divivere, ma la protezione ditutte le cose. E anche dellavolontà, perché l’Uno lasciache la volontà si separidall’Uno e che sia fino infondo ciò che essa vuolessere. La volontà non sainfatti che volendo vivere

vuole la propria morte. Lavolontàdi esser sé è ilmodoin cui all’interno della terraisolata viene pensato,alterandone il volto, l’essersédegliessenti.5.ITRATTIALTERATIDELDESTINOIl katà tò chreṓn di

Anassimandro affermaimplicitamente che lanecessitàchelagénesissiaun

proveniredall’Uno è insiemela necessità del provenire,cioè della separazione che èadikía.Rimanendoall’internodella dimensione di fondoaperta dal frammento, ilpensiero epistemico-metafisico della tradizionedell’Occidente afferma sia lanecessità sia la contingenza(o libertà) della produzionedivina delmondo. Isolandosidal destino, le sapienze dellaterranesfiguranoitratti.

Già nel frammento, e unavoltapertuttenellatradizionedell’Occidente, gli ónta sonoil volto sfigurato del sensoche gli essenti mostrano neldestino; e così la génesisrispetto al sopraggiungeredegli eterni; e la phthorárispetto allo scomparire e alcompimento del loroapparire; e anche tò chreṓnrispetto alla necessità deldestino;eanchel’esserséchevien detto da díkē rispetto

all’esser sé che appare nellastruttura originaria deldestino; e anche l’adikíarispetto alla terra isolata eanche Dio rispettoall’apparireinfinito–eanchel’in ipso enim vivimus, etmovemur, et sumus rispettoall’appartenenza dei cerchifiniti del destino all’apparireinfinitodeldestino.Anche il katà tò chreṓn

come identificazioneimplicita della necessità che

la génesis sia un proveniredall’Unoedellanecessitàdelprovenire del mondo sfigurail voltodi ciò che inverità èla necessità delsopraggiungere della terraisolata dal destino dellaverità.La dimensione di fondo

aperta dal frammento diAnassimandro si prolungaancheneltempodeltramontodell’epistḗmē metafisica,dovesi tendeaconcepireea

vivereogni essente come undiventar altro. È il tempo incui domina la violenza cheogni ente esercita sugli altriper prevalere (il tempo deldidónai ... tísin allḗlois tē̂sadikíaskatà tḕn toûChrónoutáxin) e in cui prevale, sulladimensione dell’entecostituita dalle grandi forzedella tradizione (non solodell’Occidente)ladimensionetecno-scientificadell’ente.La tecnica è la forza

dominante che crea gli entidal nulla e li annienta.Contiene in sé tutto ilproducibile e l’annientabile:non nel senso in cui licontiene il Principioteologico,manelsensochesimostra lapiù capacedi (cioèriesce a produrre nei più laconvinzione di esser la piùcapacedi)fardiventarerealtàquella possibilità degli entiche al nulla devenecessariamentecompeterein

quanto da esso gli entiprovengono; e si mostra lapiù capace di controllare ilrimaner nulla degli enti daessaannientatiechenelnullaessa intende trattenere.Dopoil tramonto delmodo divino,diventadominanteilmodoincui la tecnica controlla ilnulla in quanto possibilitàdell’essere. Anche la tecnicatende a diventare ladimensione in cuivivimus,etmovemur,etsumus.

Lacostantedellastoriadelmortale, quindi anche delmortale che vive nel tempodella tecnica, è il dolore e lamorte, quindi è la ricercadelRimedio,lavolontàdifelicitàe di immortalità. Anche neltempo della tecnica,l’immortalità richiede l’essersé dell’uomo e delmondo incui egli vuol vivere; maormai, per ogni ente, l’essersénonpuòcheessere l’essersé sin tanto che esso è.

Tuttavia, se l’ente non puòpiùessercustoditoall’internodell’Immutabile divino, latecnicalocustodisce«dipiù»di qualsiasi altro Rimedioevocato dalla tradizione.Anche la salvezza èquantificata. Questa maggiorcapacitàdicustodireglientièinsieme l’annientamento deivecchi Rimedi (ossia dellatradizione in quanto pretesadi porre i propri valori –l’adeguazioneaiqualiintende

appunto valere come ilRimedio – come scopodell’agire umano e quindidell’agire tecnico); el’annientamento di queiRimedi è insiemel’annientamento degli enti(ossia del mondo) che a taliRimedisiaffidano.Ma quel «di più» è un

«sempre più». La tecno-scienza conosce il carattereipoteticodelpropriosapereesa quindi (a differenza del

katà tò chreṓn dellatradizione) che larealizzazione dei propriprogetti non è una necessitàassoluta; ma, in quantovolontà di accrescere semprepiùlapropriapotenza,essaèinsiemevolontàdiallontanaresempre più il dolore e lamorte. Díkē si presenta oracome la «giustizia» costituitadall’appartenenza degli entialla potenza infinitamentecrescente della tecnica (ossia

è il loro esser coinvolti inquesta crescita); adikía èl’ostacolarequestacrescita.Anche qui, la crescita

infinita della potenza tecnicaè il volto sfigurato dellamanifestazione dei regnisempre più ampi degli eterniche vanno apparendo neldispiegamento infinito dellaGloria della terra. Il trattosfigurato, poi, non è soltantolasempremaggioreampiezzadi quei regni, ma anche il

sempre più concretotoglimento dellacontraddizione (C) cheoriginariamente avvolgel’apparire finito del destinonella struttura originaria diesso(ossianell’appariredegliessenti in quantomostrati datale struttura). È cioè la noncontraddizionedell’esserséenon altro da sé, che nellastruttura originaria apparecome necessità eincontrovertibilità originaria,

ad essere avvolta da quellacontraddizione. La sempremaggiore ampiezza dei regnieterni che va mostrandosi inogni cerchio del destino èinsieme, cioè, l’apparire dieterni dove la contraddizionedella necessità dell’esser sé(«contraddizione», diciamo:non diciamo«autocontraddittorietà»!) vaindefinitamenteriducendosi–pur continuando a esistere,dinanzialladimensioneincui

l’apparire del destino vamanifestando i regni semprepiù ampi degli eterni, unadimensione infinita dicontraddizioni C residuali.Questi regni appaiono lungoildispiegamentoinfinitodellaGloriadellaterra,nellaqualeè ormai tramontatol’isolamentodella terra,ossiail regno della volontà, epertanto del dolore e dellamorte.

6.«DÍKĒ»,«TRIBUS»

Nella loro morte, dove

restadissoltal’adikíadellorosepararsi dall’Uno, gli entirestituiscono la giustizia(didónaidíkēn)daessiviolatainseguitoallorononriuscire,in quanto così separati, adesser sé stessi. In questaviolazione ciascun ente nonhaciòcheglièproprio,echequindi gli spetta, e si

impadronisce di ciò che è dialtri enti e spetta loro. Nonesserséstessoèappunto,perunente,nonavereciòcheglièproprioeavereciòcheèdialtri. Così, il frammento diAnassimandro.LaPoliteíadiPlatonedice

appunto che la «giustizia»(dikaiosýnē) consiste inquesto: «che ciascuno nonvenga ad avere ciò che èproprio di altri, e non vengaadesserprivatodiciòchegli

è proprio»: hékastoimḗt’échōsi tà allótria mḗtetō̂nhautō̂nstérōntai(433e7-8). Il testo sta parlando dicolorochenellapólishannoilcompito di stabilire, nellosviluppo del tempo, se lagiustizia sia presente oassente, e per questo, inrelazione a ciascuno deigiudicati, l’échōsi («l’avere»ciò che è proprio di altri) vatradotto con un venir adavere, e lo stérōntai («l’esser

privo» di ciò che gli èproprio) va tradotto con unveniradesserprivato.A questo senso di díkē si

rifà la tradizione morale egiuridica:iustitiaestperpetuaetconstansvoluntasiussuumunicuique tribuendi(Tommasod’Aquino,Summatheologiae, II-II, q. 58, a. 1).Lo ius suum consiste nellecose che son «proprie» (tàhauta) di ciascuno e di ogniente. E lo ius suum tribuere

riproponeildidónaidíkēntē̂sadikías. Nello sviluppo deltempo(katà tḕn toûChrónoutáxin) la volontà di giustizialotta infatti control’ingiustizia, fatta e subìta,degli enti che prendono ciòcheèpropriodialtriecedonoad altri il proprio, ossia nonriesconoadessereséstessi.Parmenide e, si è visto in

che senso, Eraclito rendonoesplicito il pensiero diAnassimandro: che la

giustizia è quell’immutabileessersédeglientichePlatonechiama «idea» e che nellatradizione dell’Occidentecontinuaapresentarsicomeildivino. Il «tributo» deltribuere riesce ad essergiustizia solo in quanto glienti sono eternamente salvi,cioèeternamenteséstessi,neldivino. Tribuere rinvia atribus. Al di là del suosignificato politico-sociale edelsuoalluderealle trestirpi

originarie dei liberi cittadiniromani,tri-buscorrispondealgreco phy-lē e se entrambi itermini possono essere intesicome costruiti su una delleradicidi«essere»,bhu,allorala stessa configurazionelinguistica di ius suumtribuere lascia trapelare chequesta espressione dice chegiustiziaèilridarel’«essere»(didónai díkēn) allo ius deimortali e di tutti gli entimortali: allo ius che è

l’essere,propriodiogniente,ma di cui l’ente è statoprivato dal suo essere comeentediveniente.Neltempodellatecnica, in

cui la tradizione tramonta, ela tecnica è la forza piùpotente,loiusdiciascunente,e innanzituttodi tutte lealtregrandi forze del Pianeta, ciòche è loro proprio, è di nonimpadronirsi di quel che èproprio della tecnica, cioè dinon porsi come scopo della

tecnica – giacché, cosìfacendo, ossia in quantoscopi, sono destinati alladistruzione. Ciò che è loroproprioèdiventaremezzichefavoriscono l’incrementoindefinito della potenzatecnica. E, se non riescono adiventarlo, ciò che è loroproprio è il loroannientamento.Poi è destinato a farsi

innanzi il tramonto dellatecnica stessa. Prima

dell’avvento della terra chesalva autenticamente, ènecessario che i popolitestimonino nel linguaggiociò di cui essi sono peraltrol’eterno apparire: il destinodella verità e l’erraredell’isolamentodellaterradaldestino.

7.«EUMPECCATUMFECIT»Cristo, «che non aveva

conosciuto peccato[hamartían], Dio lo resepeccato in favore di noi,affinché in lui noi potessimodiventare [genṓmetha]giustizia di Dio [dikaiosýnēTheoû]» (Eum, qui nonnoverat peccatum, pro nobispeccatum fecit, ut nosefficeremur iustitia Dei inipso,2Cor,5,21).«Giustiziadi Dio» significa essergiustificati, ossia resi giustida Dio. Il «peccato» è

l’ingiustizia, l’errare chesepara l’uomodall’eternitàdiDio. Se la «casa terrestre»dell’uomo fosse distrutta(dissolvatur) – e primao poilo sarà, come si dicenell’Apocalisse di Giovanni–, «noi sappiamo» (scimus)però di avere da Dio, neicieli, «una casa non fatta damani umane [nonmanufactam],eterna»(2Cor,5, 1). L’esser giusto, perl’uomo, è il suo non esser

separatodaDio.Il katà tò chreṓn del

frammento di Anassimandrosi trasforma, in Paolo, nellalibera volontà di Dio digiustificare l’uomo, tuttaviaancheinPaololagiustiziaèilripristinarsi, nell’uomo, delsuoessergiusto,ossiaèilsuoincamminarsi per ritornarenellacasadiDio:èildidónaidíkēn tē̂s adikías. Giacché,per il frammento, non sonogli enti separati dall’Uno

eternoadaverelacapacitàdiritornare all’Uno, ma è la«necessità», incuisiesprimeildominiodell’Unosututtelecose, a produrre questoritorno. Essendo abitatoredella casa di Dio, l’uomo ègiusto, ha quel che gli èproprio (suum) e cheseparandosi da Dio non hasaputotrattenerepressodisé.Dio ha reso peccato

(peccatun fecit) Cristo, cheera senza peccato. Questa

affermazione esclude la tesiche il cristianesimo abbiasuperato la logica sacrificaledel caproespiatorioperché ilcristianesimo per primoproclama l’innocenza dellavittima. Quella logica è cosìpoco superata che, nelcristianesimo, è Dio stesso avolere il sacrificiodell’innocente. Ma è su unaltro tema che ora si intenderichiamare l’attenzione: sulsignificato dell’«esser reso

peccato» (eum peccatumfecit),e,propriamente,suciòcheessoimplica.Nel Nuovo Testamento il

punto di riferimento è Isaia,in cui si scorge la profeziadellapassionediCristo.«Eglisi è caricato veramente dellenostre infermità e si èaddossato i nostri dolori ...Egli è stato trafitto a causadelle nostre iniquità, è statoschiacciato a causa dellenostre malvagità» (Vere

languoresnostrosipsetulitetdolores nostros ipse portavit... Ipse autem vulneratus estpropter iniquitates nostras,attritus est propter sceleranostra, Is, 53, 4-5).Caricandosi della malvagitàumana e addossandosela,Cristo accetta il suo «esserresopeccato»daDio.Manonci si può caricare dei peccatidell’uomo come ci si caricadella legna sulle spalle. Èinfatti innanzitutto necessario

conoscere i peccati, ma noncomesipuòaverconoscenzadella legna che si porta: ènecessario esperire i peccati.Senonlisiesperiscenonsièresipeccato,masenehaunasemplice conscenza astrattadove chi conosce rimaneesternoalpeccato.Esperireilpeccato è commetterlo. Resopeccato,Cristocommettetuttiipeccaticommessidall’uomoequindièl’agnellosacrificaleche «toglie il peccato del

mondo»(Gv,1,29-30).Non solo. È impossibile

esperire il peccato dell’uomosenza esperire il contesto incui il peccato è commesso.Ciò significa che Cristoesperisce l’intera esperienza,lavita interadel peccatore, epertantolavitaintera,l’interaesperienza posseduta da tuttigli uomini passati, presenti,futuri. Isaiadiceappuntocheoltre alle nostre malvagità einiquità l’agnellomette su di

séanchelenostreinfermitàei nostri dolori (quindi anchela felicità e il piacere loroconnessi). Nel cristianesimoil fondamento di questoracconto è la fede che Dioama l’uomo a tal punto dasacrificare per lui il propriofiglio divino. Il peccato hatolto a Dio qualcosa che glispetta; il sacrificio di Cristogli restituisce ilmaltolto.Perla fede cristiana la decisionedi Dio di rendere Cristo

peccato è libera (e Cristoaccetta liberamente di esserreso peccato). La perfezionedivina sarebbe rimasta intattaancheseDioavessedecisodinon salvare l’uomo. (Aquesto punto si aprono duepossibilità: o Dio, una voltadecisosi per la salvezzadell’uomo, non può chesacrificare il proprio figlio,oppure sarebbe anche statoliberodisalvarel’uomosenzaperpetraretalesacrificio–nel

qualcasolalogicasacrificaleraggiungerebbe la propriaformapiùviolenta).Ma l’esperire la totalità

dell’esperire altrui non èqualcosa che, presentandosiall’interno di una fede, siarichiesto dalla liberadecisionediunDiodellaterraisolata (ossia del luogo diogni fede). Tale esperire èimplicato dalla strutturaoriginaria del destino –secondo la necessità, quindi,

checompeteatuttociòcheècosì implicato. Lo si mostrasin dai capitoli VI-VII dellaGloria, e il tema si sviluppalungo tutto il testo diOltrepassareeinquellodiLamorte e la terra. Si mostracioè la necessità che ilsopraggiungeredellaterrachesalva (la «pasqua») siainsieme, in ogni cerchio deldestino, il sopraggiungeredella totalità del contenutoche appare in ogni altro

cerchio (il sopraggiungerecioèdel«venerdìsanto»).Il contenuto che appare in

ogni cerchio (l’apparire ditale contenuto) è appuntol’esperire in cui ogni cerchioconsiste. Sì che in quegliscritti si mostra che in ognicerchiodeldestino–ossianeiluoghi che costituisconol’essenza di ogni uomo – èdestinato a sopraggiungere,insieme alla terra che salva,l’esperire della totalità

dell’esperire altrui. Neldestino, il significatoautentico del «peccato» èl’errare, cioè l’isolamentodellaterracheinognicerchioè l’esperire che contrasta ildestino. È necessità che,nell’atto stesso in cuisopraggiunge la terra chesalva dall’isolamento dellaterra, sopraggiunga, in ognicerchio, la totalità delle terreisolate, cioè il «peccato».Non da un Dio della terra

isolata,madallanecessitàdeldestino ogni cerchio è «resopeccato», sì che esso viene aportare sulle proprie spalle ipeccati di tutti. In questosenso, ogni cerchio deldestino è un Cristo. Manessun Cristo può «togliere»il peccato delmondo, perchénellaterraisolatail«togliere»è sempre inteso – anchequando è insieme un«conservare» –, comeannientamento parziale o

totale di ciò che è tolto. Laterra che salva non «toglie»,non annienta la terra isolata,ma la conserva totalmente einfinitamente la oltrepassamanifestando l’Immensorispetto al quale la terraisolataèunpunto.Nellaterraisolata,allavittima innocenteche è resa peccatocorrisponde negli altri ildiventare «giustizia di Dio»:resi giusti, liberi dal peccato,e questa liberazione è

annientamento del peccato,l’annientamento che altermine dell’Apocalisseculmina nell’annientamentodella vecchia terra e delvecchio cielo. Ma nemmenoquell’essente che è l’estremoerrarepuòessereannientato–altrimenti il destino nonpotrebbe essere quellanegazione della proprianegazione nella qualeconsiste la strutturaoriginaria.

8.CONTRADDIZIONEEDOLOREIl non ottenere ciò che si

vuole è il non sperimentareciòchesivuolesperimentare,ossia è lo sperimentare ciòche non si vuolesperimentare. Il non ottenereciò che si vuole è unadeterminazioneessenzialedeldolore: propriamente, è unadelle due determinazioni

essenziali, tra loro opposte,che costituiscono lacontraddizione in cui ildolore consiste (il dolore,considerato nella sua formapiù ampia; cfr. La Gloria,VIII-IX).Altrimenti,checosasi patirebbe se la volontàottenesse tutto ciò che essavuole? D’altra parte lavolontà è, essenzialmente, ilnonottenere.Volendolaterranel suo essere isolata daldestino, la volontà originaria

vuoleinfattiunatotalitàdoveildestinosianulla(elovuolepur non potendo sapere ciòche essa vuole, giacché nonpuò vedere il destino che aquella totalità non deveappartenere). Ma èimpossibile che il destino(comeogniessente)sianulla.Quindi la volontà originariavuolel’impossibileepertantonon può ottenerlo. Lo stessosidicadellavolontàempiricache si fonda su quella

originaria e che vuolequell’impossibile che è ildiventaraltrodellecose.La volontà è dolore. Ma

l’Oriente lo afferma perchéritiene,comel’Occidente,cheil dolore (duḥkha) siaprodotto dalla «realtà» deldiventar altro di tutte le coseedalla capacità della volontàdi farle diventare altro.Questa «realtà» è sì ilcontenuto dell’illusione, mal’illusione mostra tale

contenuto, e poichél’illusione non è un nihilabsolutum (infatti ci si develiberaredaessa)nemmeno la«realtà» illusoriadeldiventaraltro e della capacità dellavolontàdifardiventaraltroèun nihil absolutum. Ancheper Melisso (forse per lostesso Parmenide) la dóxamostra il diventar altro, anziildiventarnullaedanulla,daparte delle cose. Ma sel’eleatismoè il puntodove il

percorsodell’Occidentepiùsiavvicina a quellodell’Oriente, tuttavia giàall’iniziodelpropriopercorsol’Occidente pensa, nelframmento di Anassimandro,il trattodecisivoacui resteràpoisemprefedele,checioèildolore (tísis) èprodottodalla«realtà» del diventar altro, laquale è a sua volta prodottadalla «realtà» della suaseparazione dall’Unoimmutabile.

D’altra parte, come si èincominciato a richiamare, ilnon ottenere che competeall’essenza del dolore è unodei due lati dellacontraddizione in cui taleessenza consiste. Da un lato,nel dolore, la volontà vede ilproprio sperimentare ciò cheessanonvuole,cioèilpropriononsperimentareciòcheessavuole; dall’altro lato vuoleche ciò che essa sperimentasia un che di non

sperimentato:negal’esistenzadi ciò che essa stessa stasperimentando:rifiutaciòchela colpisce. Nel dolore lavolontà non si limita a dire:«Volevoaltro!»,maaciòchela colpisce dice: «No, tu noncisei,è impossibilechetucisia».Nel dolore la volontà dice

dunque: «No, tu non ci sei,eppure tu sei qui e micolpisci!»(eaciòcheèstatoperduto: «No, ti ho ancora

qui,eppurenonseipiùqui!»).Questa,lacontraddizionechecostituisce l’essenza dellavolontà(cfr.,perilsignificatoconcreto di questeaffermazioni, La Gloria,VIII). In questi termini siconfigura la contraddizionedel dolore della volontàempirica. (Hegel affermaesplicitamentecheildoloreècontraddizione, ma si trattadellacontraddizionedialetticacheproduceilnegativo,ossia

è daccapo il «reale» diventaraltro della determinazioneisolata che presume di poterstar ferma presso di sé,immobile – mentre nellosguardo del destino lacontraddizione del doloreappare all’interno della terraisolata, cioè della fede neldiventar altro, e all’internodellafedeincuiognunadelledue contrapposte volontàempiricheconsiste).Il dolore della volontà

originaria (il dolore cioèdell’isolamento della terra) èmeno visibile ma è ilfondamento di quello piùvisibile. La volontàoriginaria, si è detto, vuoleuna totalità in cui il destinodella verità sia nulla. Ma èimpossibile che esso sianulla; ed è necessario che lesuetraccesianopresentinellaterra isolata. Affiorano inessa, contrastando ladimensione voluta come

totalità in cui il destino sianulla e voluta come diventaraltro. Affiorano nell’appariredella terra isolata e sebbeneindecifrate e indecifrabilifanno avvertire ciò che, inmodo autentico, èl’assolutamente altro dallaterraisolataedatuttociòche,in essa, intende esserel’«assolutamente altro». Qui,pertanto, lavolontàvuole,daun lato, l’isolamento dellaterra e l’identità di terra

isolata e di totalità, ed èconvinta di averli ottenuti, ecrede di vedere il diventaraltro delle cose (sul qualeedifica i propri «Eterni» e«Divini»); ma dall’altro latoavverte, sebbene non cometali ma come un che diperturbante la sicurezza dellaterra isolata, le voci delletracce del destino – avvertecioè di non aver ottenuto ciòche insieme è convinta diaver ottenuto. Questa è la

contraddizionedeldolorechele compete. L’isolamentorifiutailperturbanteeinsiemeècostrettaadaccettarlo.Ma anche per un altro

motivo avverte di non averottenuto: perché la volontà èfede e la fede è dubbiointorno a ciò in cui essacrede, ossia è essa stessacontraddizione (cfr. Gliabitatori del tempo, 4;Destino della necessità, XI,III). La fede è volere che le

cosestianoinuncertomodo;e, in quanto vuolel’impossibile, la volontà nonpuò essere il destino dellaverità, ossia è fede. Tuttavia,in quanto fede, la volontàdubitadiciòincuiessacrede.La fede in cui consistel’isolamentodellaterradubitacioèchela terra isolatasia latotalità.Diceallaterraisolata:«Tu sei la totalità», mainsiemeavvertelavocepiùomeno chiara, eppur sempre

udibile, del dubbio che dicealla terra isolata: «Ma forsec’èunaltroaldi làdi te!»,eche incrina quell’altra voce,pur senza spegnerla. Ancheper questomotivo la volontàèlacontraddizionedeldoloreche le compete. La voce deldubbio incrina il rassicurantecon cui la terra isolata sicirconda. Ma se ne circondaperché evocando il diventaraltro evoca la morte, da cuiessa vuol difendersi; evoca

cioè il dolore senza riusciread evitare l’incrinatura delrassicurante che dovrebbeallontanare o renderesopportabile il dolore.(Quando si preferisce lamorte e l’annullamento allavitaeallastessa«vitaeterna»è perché la vita e la suaprosecuzione sono pensatesecondo i parametri dellaterraisolata:illinguaggiononriesce a testimoniare ildispiegamento infinito della

Gloria).Ora va aggiunto che non

solo ogni dolore ècontraddizione, ma che ognicontraddizione «normale» èdolore – la contraddizione«normale», ripetiamo,essendo quella (ad esempio«ora è giorno e non ègiorno») il cui contenuto ènullo. Essa differisce dallacontraddizione C che ècontraddizione perché è

l’apparire astratto delconcreto, ossia non èl’apparire del contenutoconcreto necessariamenteimplicato dal contenutoastratto che appare in essa (eogni contenuto astrattoimplica la totalità degliessenti; sì che mentre essa èoltrepassata [negata]oltrepassando l’astrattezzadel suo contenuto,non il suocontenuto, la contraddizione«normale» è invece

oltrepassata oltrepassando ilsuo contenuto; cfr. Lastrutturaoriginaria, VIII, 9).La contraddizione normaleappartiene soltanto alla terraisolata.Entrambiilatioppostidiquestacontraddizionesonocioè isolati dal destino,negazioni (implicite) di esso,epertantosonofede,volontà.Ognuna delle due volontà ènegazione dell’altra. Ognunaè un dire (ossia diceimplicitamente)all’altra:«C’è

quel che io voglio, non quelche vuoi tu» – questo, anchese nessuna delle due sa diessere un volere, una fede, esipresentacomeun«sapere»,un «constatare». Cioè siriaffaccia qui, in formaspecifica, la strutturaessenziale del dolorerichiamatasopra.Ma ogni determinazione

della terra isolata è unacontraddizione normale. Èuna contraddizione siffatta

non solo il pensare cheora ègiorno e non è giorno, maancheilsemplicepensarecheora è giorno, o che il cielo ènuvoloso,ochericordiamolagiornata di ieri. Infatti, comeprimasièosservato,letraccedel destino, affiorando nellaterraisolata,affioranoinognideterminazione di essa e lanegano insieme ad essa.Allavolontà che intende tenerlafermasiopponelatracciadeldestino,che inquantoaffiora

nella terra isolata (e affioranecessariamenteindecifrata)èessastessailcontenutodiunavolontà. E ognideterminazione della terraisolata è contraddizionenormale anche perché ognideterminazione siffatta è asua volta fede, cioè dubbio epertanto non è fede. Inmodidiversi e più o menoavvertibili l’angosciapervadeogni luogodella terra isolata,anche «il più felice». Anche

quando nella terra isolata sipensa di amare, o chequalcunociami,siavverteinqualchemodochelecosenonstanno così, nonostante ci siimpegni a «scacciare» questavocedissonante(maancheinquesto impegno affiorano letraccedeldestinoeildubbio,adirglicheessononèquellochecredediessere,cosìcomenel dolore una delle duecontrapposte volontà ne negal’esistenza e l’altra la

afferma).Anche il cerchio finito

dell’apparire del destino ècontraddizione:contraddizione C. Lacontraddizione C è dolorenella misura in cui ognicontraddizione normale è unfinito e quindi è anchecontraddizione C. Ma comepura contraddizione C – checioè non è insiemecontraddizionenormaleechequindi (a differenza della

contraddizione normale)compete anche al destino inquanto cerchio finito –, lacontraddizione C non èdolore. Tuttavia, nelcontrasto tra destino eisolamento della terra (e ildestino così contrastato è ilcerchio finito dell’appariredel destino), anche la puracontraddizione C è coinvoltanellacontraddizionenormale.Quel contrasto è infatti unacontraddizione normale e

pertanto è dolore. Icontrastanti si contendono laterra e ogni cosa appare ecome cosa della pura terracheappareneldestinoecomecosa della terra che apparenell’isolamento.L’isolamentoallontana il dolore isolandosidalla pura terra, dalle traccedel destino, dal dubbio, edando voce unicamente allinguaggio che testimonia laterra isolata. Si illude diallontanare il dolore, perché

non può annientare né quelletracce,néildubbio,néilnontestimoniato. La tecnica puòproporsi di far dimenticare ildolore e l’estremo doloredella morte, ma la felicitàottenuta è fede, e quindidubbio, e il dubbio che lafelicità posseduta siaapparenza è un primo mododisperimentare l’incombenzadellamorte.Coinvolta nel contrasto tra

destino e terra isolata, anche

la pura contraddizione C ècoinvolta nel dolore.Coinvolto in tale contrasto,anche il destino è cioècoinvolto nel dolore. Maproprio perché il destinocontrasta la terra isolata, inessa la disperazione deldolore non può mai essereassoluta. Sia l’esser fede, dapartedella terra isolata, sia ildubbiocheènecessariamenteunitoatalefede,sialetraccedel destino che affiorano in

essa costituiscono ladebolezza dell’isolamentorispetto al destino, che nonsolononènéfedenédubbio,ma, in quanto apparire dellanecessità, è la volontàautentica che ha eternamente«ottenuto»ciòcheessavuole(cfr.Destino della necessità,XVI,II).Col tramonto

dell’isolamento della terra,quindi del suo contrastare ildestino,tramontalavolontàe

il dolore: tramonta ognicontraddizione normale erimane, oltrepassataall’infinito, la dimensionedelle contraddizioni C, il cuiessere via via oltrepassateconsiste nell’apparire dellasempremaggioreconcretezzaimplicata dalla pur semprepermanente finitezzadell’astratto.Nel contrasto del destino

conl’isolamentodellaterra,illinguaggio che testimonia il

destinonetestimoniauncertoambito limitato (un certoambito della persintassi deldestino), dove però iltestimoniato, in quantoappariredellanecessità,ègiàla volontà autentica che haeternamente «ottenuto» ciòcheatalevolontàèconsentitovolere fino a che è coinvoltanel contrasto. Ma quando ilcontrasto tramonta, il cerchiodel destino (ognuno degliinfiniti cerchi del destino)

appare nel suo essere lavolontà autentica che haeternamente «ottenuto» latotalità infinita dellapersintassi del destino(Destino della necessità, XI,XII, XVI). Questa volontàautentica è pur sempre unadimensione finita; in cuiappare tuttavia la necessitàdellapropriafinitezza.Sìcheanchequitalevolontàottieneciòcheessavuole.(Anzi,l’haeternamente ottenuto, perché

lanecessitàdellafinitezzadeicerchi del destino – cometutto ciò che è detto nellatestimonianza del destino, èunadelledeterminazionidellatotalità infinita dellapersintassi che eternamenteappare nel cerchio deldestino).Durante il contrasto, nel

destino appare anche lanecessità della propriaimpotenza relativamente alpermanere dell’isolamento –

e quindi esso «vuole» lapropria impotenza. Ilcontrasto è unacontraddizione normale eogni contraddizione puòapparire solo in quantoappare come negata, e comenegata dal destino (un tema,questo, che incomincia apresentarsi sin da Studi difilosofiadellaprassieda«Laterra e l’essenza dell’uomo»,VI e «Alḗtheia», in Essenzadelnichilismo);maduranteil

contrasto ildestinononportae non vuol portare altramonto il contrasto, mavede lanecessità che abbia agiungere il tempo opportunoper il tramonto e l’avventodellaterrachesalva–dunquevuole e ottiene ciò che essovede.Durante il contrasto il

destinoapparenel linguaggioche lo testimonia, cioè nellatestimonianza appare unambito limitato della totalità

infinitadeldestinocheapparein ogni cerchio anche se nontestimoniata. Col tramontodel contrasto e della volontàtramonta anche la volontà ditestimoniareildestinoedessoappare nella sua già dasempre manifesta totalitàpersintattica, avvolta soltantodalla pura contraddizione Cdovuta alla finitezzadell’iposintassiincuiconsistela terra che salva – sì che ildestino, in quanto

immutabile, è l’identico chepermane, sotteso alladifferenza tra il contestocostituito dal contrasto e ilcontesto costituito daltramontodelcontrasto.Col tramonto della terra

isolataedelsuocontrastareildestinoappareinognicerchiola totalità del dolore comeconcretamente conservata nelsuo essere oltrepassata dallaterra che salva – appare

l’unità del «venerdì santo» edella «pasqua» (La Gloria,VII): la totalità del dolorepatito negli infiniti cerchifiniti del destino, che è lastessa totalità possibile delpatimento umano, la stessaterra isolata. Ma, proprioperché è necessario che siaconcretamente oltrepassata(sì che la terra che salvanonsi lascia alle spalle alcunresiduo dell’isolamento dellaterra), non solo appare la

necessitàdelsuoaccadimento(la necessità che appareeternamente nello sfondo deicerchiecheillinguaggiochetestimonia il destino giàtestimonia), ma appare lanecessità delle relazioni cheunisconoognideterminazionea ogni altra determinazionedella totalità del dolore. Ciòsignifica che nello sguardodel destino l’apparire diquesta necessità è la volontàcon la quale il destino vuole

(oltrepassandola) la totalitàdel dolore (Destino dellanecessità, XVI). Ma inquanto voluto – e soltantovoluto, cioè non insiemerifiutato – il dolore non èdolore. Pertanto, nel suoessere oltrepassatodall’apparire della suanecessità, il dolore (ilrifiutato-voluto) è totalmenteconservato nel non-dolorecostituitodataleapparire.Infatti,aldifuoridiciòche

le sapienze della terra isolatacredonochelavolontàsia,lavolontàèapparire(ibid.,XI);ma tale apparire è fede nellapropria capacità di fardiventaraltro lecose,ossiaèapparire di ciò che ènegazione del destino,appariredell’impossibile(cheperaltro non può sapere diesserlo). Ciò che in questafede appare, dunque, apparein verità nel suo esserqualcosadinegabile.Lafede

nella propria capacità di fardiventar altro le cose èpertanto, in verità, dubbio diessere tale capacità. La fede,chenellasuaformacompiutaè decisione, è cioèindecisione. Il suo credersipotenza è il suo sentirsiimpotenza. In verità lavolontà non vuole. E nonottiene alcunché di ciò cheessa crede di ottenere, maimplicitamente dubitando diottenerlo (ibid., XI-XVI).

Anche il destino è apparire,ma è quell’apparire che hacome contenuto il destinostesso, ossia non è l’apparireper il quale la volontà èimpotenza e non ottiene.Comeappariredellanecessitàedellanecessitàdeldolore–oltrepassando (econservando) il dolore econducendolo all’interno disé –, il destino è quindi lavolontà autentica cheeternamente«ottiene»ciòche

essa vuole, il dolore, e chepertanto è il non-doloreessenziale perché non è lacontraddizioneper laquale ildoloreè rifiutareciòchesiècostrettiavolere(ariconoscreesistente)enonènemmenolacontraddizione della volontàin quanto tale, lacontraddizioneperlaqualelavolontà è indecisa intorno aciò che essa decide, nonvuoleciòcheessavuole,nonottiene ciò che essa crede di

ottenere.

9.SULPUROVOLTODELDESTINOLa struttura originaria

dell’apparire finito deldestino, oltre all’eternità diogni essente e a tutte le altredeterminazioni persintattiche,implica anche l’esseredell’apparire infinito deldestino. E implica anchel’esistenzadei cerchi finiti in

cui il destino appare;mostrando così che anch’essie la terra isolata che in talicerchi sopraggiunge(contrastandoildestinocheinessi appare) sono contenutiche appaiono nell’apparireinfinito. La strutturaoriginaria mostra pertanto lapropriaappartenenzaequelladellapropriapersintassiatalicontenuti. Mostra, essa,incontrovertibilmente, lapropria finitezza. L’apparire

finito del destino – questofinito apparire del destinodegliessentinelqualel’uomovive – mostra cioè di nonstarealdifuoridelcontenutoinfinitodell’apparireinfinito.Nel quale non solo è

impossibile che un qualsiasiessenteincominciadessereedivenga nulla, ma anche cheun qualsiasi essenteincominci ad apparire oscompaia. L’apparire infinitodel destino è l’apparire della

totalità degli essenti, cioèdeglieterni;quindianchedelmodo finito in cui il destinoappareneipropricerchifinitie del modo in cui in essisopraggiungono la terra el’isolamento della terra daldestino. Al contenutodell’apparire infinitoappartiene il nonsopraggiungente apparire delsopraggiungere degli eterninel finito, ossia appartienel’apparire del modo in cui

l’infinito appare nel finito.(Gli appartiene, perché, inquantoapparirediquel finitoche è il sopraggiungere,anche il non sopraggiungenteappariredelsopraggiungereèun finito – che, appunto,appartiene al contenutodell’apparireinfinito).Gli eterni che

sopraggiungono in queicerchi non provengono dalnonsopraggiungenteappariredelsopraggiungere,madaciò

che,nell’apparire infinito,staal di là di tale nonsopraggiungente apparire. (Eal di là di ogni dimensionefinita dell’apparire infinito,per quanto ampia essa sia,appare una dimensioneinfinita – l’infinito nonpotendo essere la sintesi didue finiti). Il nonsopraggiungente apparirenon può contenere ciò cheancoranon appare. E d’altraparte,chel’apparirediquesto

sopraggiungerequineicerchinonsopraggiungentifinitideldestino non siasopraggiungente, nonsignifica che il contenuto diquesto non sopraggiungenteapparire non sia unsopraggiungere: gli essentiche sopraggiungonoprovengono da un luogodiverso dal nonsopraggiungente apparire delsopraggiungere, ossia dalladimensione infinita di ciò

che,nell’apparire infinito,staal di là del nonsopraggiungenteapparire.Anche questi, ora

richiamati, sono tratti delpuro volto del destino, nonsfigurato dalle sapienze dellaterra isolata. Eterno, tuttavia,anche il volto sfigurato dellaterra isolata, perché questa èl’eternità dell’errare,dell’errore estremo, il cuieternoapparireèeternamentenegato nell’apparire infinito

del destino, e il cuisopraggiungereneicerchideldestino è necessario affinchéin essi l’errore siaconcretamenteoltrepassato.

10.LATERRACHESALVAMa nei cerchi del destino

sopraggiunge anche la terrache salva. Non salva dalnulla, perché nessun essente,ogni essente essendo eterno,

ha bisogno di esser salvatodal nulla. Salvadall’isolamento della terra,dalla volontà. Salva pertantodalla morte: dagli eterni cheappaiono quando la volontàvuole. Salva da díkē, dallasalvezza che díkē crede diessererispettoall’adikía.Nel destino appare che la

salvezza è il sopraggiungeredella terra la cui assenzalascia che nel contrasto tral’apparire del destino e la

terra isolata – nel contrastoche costituisce il tempodell’«uomo» – siaquest’ultima a prevalere. Eche l’errore estremo dellaterra isolata appaia,contrastando il destino,mostralanecessitàcheanchel’errore estremo siaoltrepassato dall’avventodella terrachesalva,echesidispiega all’infinito nellaGloria.

Quando ascolta e crede dicapire tutto questo – quandoascolta e crede di capire illinguaggio che testimonia ildestino –, il mortale è presoda una nuova forma ditimore. Egli è la fede (lavolontà) di essere volontàcapacedifardiventaraltrolecose. Vuole essere volontà.Appartiene alla terra isolata,ossia al fondamento dellavolontà di volere, dove egliteme il dolore e la morte,

essenzialmente legati aldiventaraltrodellecose.Egliteme ciò che egli vuole.Ascoltando la testimonianzadel destino è preso da unnuovo timore, disorientante.Da un lato, teme la terra chesalva perché vede in essa ilnon continuar più della vita,cioè della volontà, cioè di séstesso. E infatti, conl’avvento della terra chesalva, la vita è compiuta eanche se tutto ciò che essa è

stata è eternamenteconservato essa tuttavia noncontinua più. Dall’altro latoegli teme che il continuaredellavitasiailcontinuaredeldolore e della morte,essenzialmente legati allefelicitàeaipiaceridellaterraisolata. Il suo timore cresceancora quando sente dire(come appunto si dice apartire dalla Gloria; e quisopra, cfr. par. 7) che, conl’avvento della terra che

salva,inognunodegliinfiniticerchi del destino, in ognunodei quali appare la terraisolata e in essa i mortali, èdestinata ad apparire la terraisolata,cioèlavitadituttiglialtri cerchi, e pertanto latotalitàdeldolore«umano».Qui non si tratta di

rassicurare il mortale, ma dimostrarelaveritàdeldestino.In questa direzione simuovegià anche il paragrafo 8 (cfr.soprattutto l’ultima sezione).

Il bisogno di rassicurazionesta al centro dell’errareestremo. Va comunquerilevato,inrelazionealprimodi quei due lati, che lanostalgiadell’«umano»èquelche meno ha motivi di farsisentire, perché tutto ciò chel’«uomo» (e ogni essente)puòessereèeternamenteedèappunto destinato asopraggiungere e ad apparirein ogni cerchio (in ognicerchio è destinata ad essere

sperimentata nella suaconcretezza). E la totalitàdell’«umano» è infinita,perché infiniti sono i cerchidel destino (cfr. La Gloria,Oltrepassare).In relazione al secondo di

quei due lati va richiamatoche,inognicerchio,l’infinitatotalità dell’umano è tuttaviaun «punto» (come ancora inquegli scritti si dice) inrelazionealla terrache salva.«Punto» significa che

l’infinita totalitàdell’«umano» è una delleinfinite parti dell’insieme incuilaterrachesalvaconsiste.In ogni cerchio, l’infinità

dell’«umano» (il cuifondamento prossimo èl’isolamento della terra) èparte della terra che salvaperché, come oltrepassata ecompiuta, tale infinità apparenellaterrachesalva,eapparecon quelle altre parti diquest’ultima l’assenza delle

quali implica l’accaderedell’isolamento della terra el’accaderedelsuocontrastarel’apparire del destino. Equeste altre parti sonoinfinite. La dimensione chenella terra che salvaoltrepassal’infinitàdellaterraisolata è cioè infinita perchéoltrepassa, conservandolanell’apparire,unadimensioneinfinita. La dimensioneoltrepassante è infinita, e ladimensione oltrepassata, in

quanto parte, è, per quantoinfinita, una delle infiniteparti dell’infinita dimensioneoltrepassante. Le cose dellaterra isolata formano ladimensione del patimento: ènecessariohaecpatiingloria(in, e non: et ita intrare ingloriam, Lc, 24, 25-26) –l’avventodellaterrachesalvaessendo l’inizio della Gloriadella terra (cfr. La Gloria,XII, V). Ma le cose patitenella Gloria sono, appunto,

unpuntorispettoadessa.Eancheper altrimotivi lo

sono. Qui si richiami che lepartichenellaterrachesalvaoltrepassano la terra isolatasonoinfiniteancheperché,inogni cerchio, colsopraggiungeredellaterrachesalva e con il compimentodella terra isolata, hacompimento anche ilcontrasto tra terra isolata edestino. Ciò significa che, inogni cerchio, lo sfondo di

ogni cerchio del destino –ossia la persintassi da cui laterra isolatasiè isolataechepertanto è impossibile che inessa appaia – appare, nellaterra che salva, nel suo esserliberoda talecontrasto.E, inognicerchio,leinfinitetraccedel Tutto nella persintassisono (appunto in quantoappartengono ad essa)determinazioni persintattiche–elosonoanchequandoessesono traccedideterminazioni

iposintattiche (cfr.Oltrepassare, IX, II).Pertanto, in ogni cerchio, laterra che salva, includendol’infinità della persintassi, èl’insieme nel quale l’infinitàdella terra isolata èunadelleinfinite parti di esso – un«punto». E propriamente,poichéicerchisonoinfinitiecon l’apparire della terra chesalva in ognuno appaionotuttiglialtriinfiniticerchi,inognunoapparel’infinitàdegli

insiemi nei quali l’infinitàdella terra isolata èunadelleinfinite parti della terra chesalvacheappareinognunodiessi (la molteplicità infinitadeicerchiedelleterreinessiisolate implicando lamolteplicità infinita delleterrechesalvano).Con l’apparire della terra

che salva e il tramontodell’isolamento della terra losfondo appare per la prima

volta libero dal suo essernecontrastato. Il culmine dellapersintassi dello sfondo – lanecessità cioè dell’apparireinfinitodelTutto, laGioia incui la totalità dellecontraddizioni è eternamenteoltrepassata – per la primavolta appare libero da quelcontrasto. Il sopraggiungeredella Gloria è ilsopraggiungere della Gloriadella Gioia (Oltrepassare,IX-X).

LamorteèaunpassodallaGloria e dalla Gioia (cfr. Lamorte e la terra e Intorno alsenso del nulla, Parte prima,«Postilla a La morte e laterra, XII, I»). Comecompimento della volontà, lamorte conduce infattiall’istante che precedel’apparire della terra chesalva.

11.LAMORTEELATERRA

Lamortedicuiparliamoè

lamortedella(eterna)volontàempirica (volontà cosciente,coscienza che vuole ildiventaraltro).Con lamorte,nelcerchiodeldestino incuila volontà muore appare ilcompimentodellaserieincuila volontà consiste e per ilquale essa appare come unperfectum (cfr.Destino dellanecessità, VI). La volontà èunaserie,nelsensoincuiloè

la legna che brucia: la legnaconsiste nelle diverse fasi(eterne)cheappaiononelsuobruciare.Lamortedellalegnaè il compimento di questaserie – e la cenere è ilcadaveredellalegna.L’appariredelcompimento

della serie in cui consiste lavolontà è seguìto soltantodall’apparire dell’istante cheprecede l’avvento della terrache salva (cfr.Lamorte e laterra, XII). Soltanto questo

istante appare tra la morte etale avvento. È l’eterno chesopraggiunge nel cerchio(dell’apparire del destino)dove lavolontàmuore,echeè la dimensione nella qualenon sopraggiunge alcunessente.Poiché il sopraggiungere

della terra che salva ènecessario, il contenuto ditale istante include, oltre allosfondo del cerchio in cui lavolontà muore, ciò da cui

ogni cerchio del destino èsalvato: l’isolamento dellaterra (e il suo contrastare ildestinoelapuraterracheneldestino appare non isolata);quindi è necessario chel’istante includa la totalitàconcretadellaterracheintalecerchio è isolata (loc. cit.).Oltre a questo istante èimpossibileogni«vitafutura»– ad esempio qualcosa comela «resurrezione» – cheappaia tra la morte e il

sopraggiungeredellaterrachesalva.Impossibilequindiche,dopo l’istante, abbia aprolungarsil’isolamentodellaterra (ibid., XIX-XII).Appunto per questo lamorteè«aunpasso»dallaGloriaedallaGioia.Richiamiamopercenni, ma con alcuneintegrazioni, i tratti cheuniscono queste affermazionialla struttura originaria deldestino.Ogni «resurrezione» è

impossibile. La volontàrisorta differiscenecessariamentedallavolontàmorta, che ha avutocompimento. Infatti lavolontà cosciente, che vuoleconquestocorpoeloincludee incorpora in sé,muore conla morte di esso, hacompimento insiemeadesso.La volontà risorta è un’altravolontà. Per sapersi risortasarebbe necessario checredesse di essere la volontà

morta; sarebbe pertantonecessario che credessenell’identità di ciò che non èidentico, ossia credesse che idiversi siano lo stesso. Macome è impossibilel’esistenza delcontraddittorio, così èimpossibile l’esistenza delcontraddirsi(cfr.Fondamentodella contraddizione, Parteprima). Quindi è necessarioche il contraddirsi in cuiconsiste la fede nell’identità

di ciò che non è identicoappaia come negata (ibid. eLamorteelaterra,IX-XI).Ècioè impossibile che lavolontàrisortacredadiesserela volontà morta. Il suoaffermare di crederlo èillusione(cioèquellaformadimalafede che è la «malafedetrascendentale»;ibid.,X).Maè un’illusione che nemmenonell’illusorio può riuscire afarriviverelavolontàmorta.Se infatti esistesse una

resurrezione, allora – inrelazione ad esempio allavolontà che appare nelcerchio originario, inrelazione cioè alla «mia»volontà – con la morte dellamia volontà un’altra volontà(ossia «un altro») crederebbedi essere me. Ma èimpossibile che ciò che inverità io sono (cioè il mioesser volontà cosciente chevuoleconeattraversoquestocorpo, ossia crede di

dominarequestocorpoe,conesso, altre cose; cioè il mioesser fede di essere volontàcoscientedimeedelmondo)appaia nell’immagine che unaltro ha di me quando crededi essere me. Io (ciò che inveritàiosono,ossiaciòcheinverità iocredodiessere)nonrivivo in lui. In lui nonrisorgo, non continuo avivere. È lui a credere diessere una certa volontàmorta, che però, in verità (e

dunque non all’interno dellafede da lui posseduta), non èlamiavolontà.È impossibileche l’illusione dell’altruivolontà di essere me abbiacome contenuto ciò che inveritàiosono–ossiaciòche,nello sguardo del destino, iosono e ho fede di essere. Ècioèimpossibilechequelcheiocredodiessere–epertantoio, in quanto così creduto –appaia in una fede altrui checrede che io creda di essere

un certo insieme dideterminazioni: nella nonverità di quella fede èimpossibile che appaia quelche io sono in verità, ossiaquel che in verità credo diessere. «Quel che in veritàcredo di essere» significa:«Quel che è il destino dellaverità amostrare quel che iocredo di essere» (giacché inquel che credo di essere –cioèinquelchehofede,ossiavogliocheiosia–noncipuò

essere la verità del destino).Anche il mio esser io puòcredere che ciò che io credodiesseresiauncertoinsiemedi determinazioni, manemmeno in tale credere(fede, volontà) può apparirequel che in verità credo diessere.Con la morte del mio

corpo, anche il mio esserevolontàcoscientemuoreedècompiuto (e quindi è ancheimpossibile che sia io a

credere di essere un altro:non solo perché la miavolontà è morta, ma ancheperchécome ionon rivivo inun altro, così, e anzi amaggiorragione,unaltrononrivive in me morto). Ogniresurrezione è impossibileperché lamiamorte è ilmiocompimento;lamiamorteèilmiocompimentoperchéogniresurrezioneèimpossibile.Edèancheimpossibileche

conlamortedelsuocorpola

volontàpermanga,maunitaaun’altra forma di corporeità.Infatti,inquantocosìunita,èuna volontà diversa dallavolontà che è unita al corpoche muore. Per questadiversità ci si trova daccapodinanzi a una forma diresurrezione e quindiall’impossibilitàdell’esistenza di tale forma.Pertanto,eamaggiorragione,èimpossibileche,conlamiamorte, io permanga e riviva

in altri corpi, perché ciò chevien ritenuto un permanere èin verità il sopraggiungere dialtre volontà nel cerchio deldestino in cui io muoio(impossibile che abbiano asopraggiungere in Me comeIodelcerchiodeldestino:delcerchioincuiiomuoiocomevolontà empirica). E, infine,come ora verrà chiarito, èanche impossibile che altrevolontà sopraggiungano nelcerchio del destino in cui io

muoio (o una qualsiasivolontàmuore).È cioè impossibile che la

morte – ad esempio la miamorte – implichi ilsopraggiungere, nello stessocerchio dell’apparire deldestino (ossia nel cerchio incuiiomuoio),diunaltroodialtriessentichesianofedediesserevolontàcoscientedisée del mondo, così comeattualmente io sono questafede. Con la mia morte

sopraggiungerebbe, secondoquesta ipotesi, un altro esserio; non semplicemente nelsensodiuna«reincarnazione»(che,come la«resurrezione»,vienepensataall’internodellaterra isolata dal destino), manel senso più radicale che,all’interno dello stessocerchiodeldestino(quello incui io muoio), il mio modoattuale di esser io sarebbesostituitodaunaltromododiesser io– che, certo, sarebbe

altro dal primo, ma sarebbeanche, in questa nuovasituazione, l’unico modo incui, inquelcerchio,appareilmioesserio(cheasuavolta,con la sua morte, sarebbesostituito da un altro e cosìviafinoall’avventodellaterrache salva). All’interno diquesto, attuale, cerchiodell’apparire del destino,apparirei io, proprio io, cheperò non sarei questo mioattualeesser iocheappare in

questo attuale cerchio deldestino. Non sarebbe quindisoltanto l’«istante» (di cuisopra si è detto), ma anchetutti gli altri modi del mioesser io a occuparel’intervallo tra la morte delmodoattuale incuisonoioequell’avvento; pertanto nelcerchio originario la terraisolata,cheèilfondamentodiogni io,ossiadiognivolontàcoscientedifardiventaraltroil mondo, si prolungherebbe,

dopolamiamorte,finoataleavvento.Ma,appunto,questaipotesi

èimpossibile.Ildestinodellaverità – cioè l’eterno sfondonon sopraggiungente eintramontabile di ogniapparire degli essenti –appare, oltre che nel cerchiooriginario,inunamolteplicitàinfinita di cerchi (cfr. LaGloria, Oltrepassare, Lamorte e la terra; e apparenell’apparire infinito):

identico in ogni cerchio, è ladimensione comune a ognicerchio. Ma, in quanto è inrelazione alla differenza perla quale ogni cerchiodifferisce dagli altri, losfondo è differente in ognicerchio. Lo sfondo è cioèl’identitàdiquestedifferenze.(L’esseressenteèl’identitàdiogni differenza). Ed èimpossibile che tale identitàsiaseparabiledaesse,perchéla separazione implica che

l’identità possa essere senzache ledifferenze siano;maèimpossibile che le differenze(cioè questi essenti) nonsiano, siano nulla. (Inrelazione all’esser essente: èimpossibile che esso siaseparabiledagliessenti).Ora,nell’ipotesichestiamo

considerando, lo sfondo èappunto inteso comequell’identità delle differenzecostituitedaicerchidifferentiche è separabile dalle

differenze. Infatti i cerchisono differenti perché inognuno di essi la terra epertanto la terra isolatadifferisce dalla terra isolatadegli altri cerchi (sebbene,anche qui, nelle terredifferenti vi sia qualcosa dicomune, cioè esistaun’identità delle differenze);e la differenza di ogni terraisolata è determinata dalmodo incui, inognicerchio,la terra isolata è voluta ed è

presente nella volontàcoscientechelavuole,ossiaèvoluta dall’io che appare inognicerchio.Mase (comesiprospetta nell’ipotesi) la miamorte implica ilsopraggiungere, nello stessocerchio originariodell’apparire del destino, diun altro o di altri essenti chesiano fede di essere volontàcosciente di sé e delmondo,cosìcomeattualmenteiosonoquesta fede, allora lo sfondo

di questo cerchio è separatodalle differenze determinateda quelle diverse volontàcoscienti: è indifferente alledifferenze da cui è invecenecessario che siadifferenziato.In relazione allo stesso

cerchiosiripresentaquindilasituazione incui losfondoditutti i cerchi è un’identitàseparabiledalledifferenze.E,come questa separazione,anche la separazione che

sussiste all’interno dellostesso cerchio implica che ledifferenze (ossia quellediverse volontà coscienti chesarebbero gli altri miei modidiesserio,cheapparirebberodopolamortedelmioattualeesser io) possano esser nulla.L’ipotesi considerata èdunque impossibile. È cioènecessario che una volontàcosciente, diversa da quellache appare in un certocerchio, appaia in un altro

cerchio quando la volontà diquel certo cerchio muore. Èadesempioimpossibilechelamia morte implichi ilsopraggiungere, nello stessocerchio originariodell’apparire del destino(ossia nel cerchio in cui iomuoio), di un altro o di altriessenti che siano fede diesserevolontàcoscientedisée del mondo, così comeattualmente io sono questafede.Èimpossibilecheconla

mia morte sopraggiunga unaltro esser io, dove il miomodo attuale di esser io siasostituitodaunaltromododiesserio–altrodalprimo,mal’unico in cui appaia il mioesser io (e a sua voltasostituibile, con la suamortedaunaltroecosìvia).Quindisoltanto l’«istante» a cuiconduce la morte occupal’intervallotralamiamorteeil sopraggiungere della terrache salva. Io, come volontà

empirica, muoio all’internodel mio esser Io del cerchiodell’appariredeldestino.E pertanto è impossibile

checonlamortedellavolontàl’isolamento della terra siprolunghi fino all’avventodella terra che salva. Taleprolungamento puòconfigurarsi infattio come la«resurrezione»,nelcerchioincui la volontà muore, dell’ioche consiste appunto nellavolontà cosciente di sé e di

ciò che essa vuole fardiventare altro, oppure(secondo l’ipotesi oraesclusa) come la sostituzionedell’io che inizialmente abitalaterraisolataconunaltroioabitatore di essa. Né il mioesserionéunaltromioesseriopossonopermaneredopolamorte; quindi, nel cerchio incui una volontà muore, èimpossibile il prolungarsidell’isolamentodellaterra.(L’avvento della terra che

salva implica con necessitàche inogni cerchio appaia laconcretezza del contenuto diogni altro cerchio e che ognialtro cerchio appaia comealtro: altro da quello in cuiappareinsiemeatuttiglialtri:cfr. La Gloria, VI-VII;Oltrepassare, III, V. Maquesta configurazione dellaterra che salva non èriconducibile all’ipotesi quisopradiscussa.Infatti,poichéintaleconfigurazioneglialtri

cerchi appaiono come altri, ènecessario che appaia ilcerchio rispetto a cui essisono altri, e che pertantoappaia la sua differenzarispetto agli altri e quindiappaia la volontà coscienteche in esso vuole e hapresente la terra in mododiverso da come la terra èvoluta ed è presente nellavolontà degli altri cerchi –mentre nell’ipotesi che ora èstata esclusa la mia volontà

attualenonapparepiùquandoappaiono le altre forme dellamia volontà attuale. Laconfigurazione in cui, conl’avvento della terra chesalva, ogni cerchio deldestino include tutti gli altrinon ha cioè nulla a chevedereconlasituazionedovelo sfondo di un cerchio èseparato dalle differenze dicuiessoèl’identità.Inquellaconfigurazione ogni cerchio,includendo gli altri, conserva

la propria differenza daglialtri,nonsenesepara).In ogni cerchio, solo

l’«istante» a cui la morteconduce costituiscel’intervallo tra la morte el’avvento della terra chesalva. Giacché non solo èimpossibileche,conlamorte,l’isolamento della terrapermanganelcerchioincuilavolontà muore, ma è ancheimpossibileche,conlamorte,in quel cerchio sopraggiunga

la pura terra, ossia la terrache, non isolata, è ciò su cuil’isolamento getta la propriarete, isolandola: isolando ciòche la terra che salva liberadallaretecheloavvolge(cfr.La morte e la terra, VIII,XIV, III). Non puòsopraggiungere nemmeno lapura terra, perché essasopraggiungerebbe in uncerchio dove l’isolamentodella terra ha avutocompimentomanonèancora

tramontato.Perchétramontiènecessario l’avvento dellaterrachesalva;elapuraterrapuò sopraggiungere (ed ènecessario che sopraggiunga)solocol sopraggiungeredellaterrachesalva.Allanecessitàchelamorte

conduca all’istante in cui laterranonsopraggiungepiùsirivolgonoLamorteelaterra(XII) e Intorno al senso delnulla(Parteprima,«PostillaaLamorte e la terra, XII, I»).

La morte è a un passo dallaGloria e dalla Gioia. Comecompimento della volontà, lamorte conduceall’istante cheprecede l’apparire della terrache salva. All’istante cheappare nel cerchio dove lavolontàmuore corrispondonoi millenni destinatiall’appariredella terra isolatanellacostellazioneinfinitadeicerchi del destino. Imillenniconsegnano la totalitàdell’esser uomo alla morte.

La morte consegna l’uomoallaGloriaeallaGioia.

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Capitalismo senza futuro,Rizzoli,Milano,2012

Cosa arcana e stupenda,Rizzoli,Milano,1997

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Essenzadelnichilismo,1972;nuova ediz. ampliata,Adelphi,Milano,1982

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Immortalità e destino,Rizzoli,Milano,2006

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