Corriere degli Italiani Mercoledi 5 luglio 2017 13 A c i c ... · A metà libro Elena parla di un...

Post on 17-Feb-2019

218 views 0 download

Transcript of Corriere degli Italiani Mercoledi 5 luglio 2017 13 A c i c ... · A metà libro Elena parla di un...

ATTUALITÀ 13Corriere degli ItalianiMercoledi 5 luglio 2017

di Luca Bernasconi

La cittadella, Ultimo (con Raul Bova),San Pietro (con Omar Shariff), Il Re-stauratore (con Lando Buzzanca), Gio-vanni Paolo II, Don Matteo, Un passodal cielo (con Terence Hill) e I fantasmidi Portopalo (con Beppe Fiorello) nonsono che alcuni fra i numerosissimititoli di serie televise di successo ideateo sceneggiate da Salvatore Basile, unodei personaggi più noti della televisioneitaliana. Lo scorso anno ha pubblicatoda Garzanti il suo romanzo d’esordio‘Lo strano viaggio di un oggetto smar-rito’, una storia di delicata umanità esorprendente trasformazione, nellaquale un bambino diventato uomodovrà fare i conti con il suo passato e ilmale di vivere. Qualche settimana faSalvatore Basile, napoletano di nascitae romano d’adozione, era a Zurigo perpresentare il suo libro che è uscito direcente in lingua tedesca per l’editoreBlanvalet. Tre intense giornate di in-contri con il pubblico germanofono eitalofono, organizzate da Eva Vogel-Degli Espositi al ‘Salottino’, un angolodi italianità nel cuore di Horgen. Nelcorso degli animati incontri seguitianche dai ragazzi dei Corsi di culturadi Antonio Ravi Monica e da studentidel Liceo Artistico, Salvatore Basile haraccontato di sé, del romanzo e dellaattività di sceneggiatore, incantandoil pubblico per le doti di empatico af-fabulatore.

Qual è la scintilla che ha acceso Lo

strano viaggio di un oggetto smarrito?

Ci sono svariati modi per farsi venireun’idea da raccontare, necessità a parte.Spesso mi chiedono dell’ispirazione:non è un fulmine a ciel sereno, bensìun lavoro costante. L’importante èmettersi in uno stato ricettivo, comeuna radio le cui frequenze sono tuttequante sintonizzate sul mondo, stareattenti a quello che ci circonda, dopo-diché le idee arrivano da sole e inseguito le si elaborano per dar vita auna storia. A me è successo che avevoin mente di scrivere un romanzo senzaperò avere un tema preciso. Essendoabituato a scrivere tante storie, midicevo che sicuramente ne avrei trovatauna per il romanzo. Ho cercato di ab-bozzarne qualcuna meccanicamente,eppure nessuna mi convinceva, perquanto potesse essere adatta per uneventuale film o serie televisiva. Ungiorno stavo cercando in una canti-netta-cunicolo in soffitta una vecchiaPolaroid per mia figlia quando mi im-batto per caso in una scatola di ferro.La apro. Dentro c’erano vecchie foto-grafie mie del liceo e lettere di compagnidi scuola. Ad un tratto un quadernorosso mi guarda. Lo apro, accorgendomiche si tratta di un mio diario, maiscritto, che reca soltanto la scrittainiziale «Napoli, 1972, ai Salvatore cheverranno». La scoperta del diario vuotoe della dedica mi hanno dato unascossa anche perché quello era l’annoin cui lasciavo Napoli. In quel momentoho provato a immaginarmi che cosaavrebbe significato per me se avessitrovato un mio diario da diciassettenne,fitto di annotazioni su tutto quelloche avevo fatto in quel periodo. È aquel punto che è scoccata l’idea dibase del mio romanzo: un diario chetorna a casa dopo vent’anni e che spin-gerà il protagonista al viaggio.

Trovata l’idea di partenza, bisogna svi-lupparla e darle forma. Come ha pro-ceduto?Per una volta tanto volevo scriveresenza la preparazione dello sceneg-giatore, il quale arriva a stendere uncopione soltanto quando tutto è giàstato preordinato, vale a dire dopouna fase di approfondite ricerche chesfocia nella fatidica scaletta. Per unavolta tanto volevo partire al buio, se-guendo l’idea del diario che mi erabalenata e lasciandomene trasportare.L’ho lasciata fermentare qualche giorno

e poi ho cominciato a scrivere di getto.Ne è venuto fuori un dialogo tra unamadre e suo figlio e il diario. A uncerto punto è entrato in scena il per-sonaggio di Elena, sorprendendo siame che il protagonista Michele. Quan-do la ragazza ha bussato alla porta diMichele, non sapevo assolutamentechi fosse. Ho perciò mandato letteral-mente Michele ad aprire la porta ed èapparsa questa figura dagli occhi nerie le guance tonde, che ha iniziato aparlare nel suo tipico modo, ovvero avalanga.

Elena è una figura chiave del romanzo:come un vulcano irrompe nella vita diMichele, stravolgendogliela in un sensopositivo. Che rapporto intrattiene conquesto personaggio?A metà libro Elena parla di un pattodella felicità, stretto con la sorella ge-mella all’età di 10 anni. In quel momentomi è preso un colpo perché avevo fattolo stesso all’età di 4 anni con i mieidue migliori amici. Ho perciò capitoche Elena ero io. Sono entrato nel ro-manzo a tradimento, tramite lei, peril desiderio di raccontare qualcosa chenon avevo mai avuto il coraggio di ri-velare e che riguardava un dolore pro-fondo. Questi miei amici ed io siamostati inseparabili fino ai 28 anni quandouna brutta malattia li ha portati vianell’arco di pochi mesi di distanzal’uno dall’altro. Per me è stata unamazzata. Da quel momento ho aspet-tato che arrivasse il mio turno vistoche, avendo fatto le stesse identichecose, era inevitabile che succedessepure a me, ma così non è stato. Diconseguenza ho avuto una fase di ri-nuncia alla vita molto forte, che poiho risolto quasi all’improvviso quandoho capito che stavo tradendo quelpatto della felicità: mi sono quindifatto carico, in un certo senso, dellepotenzialità inespresse dei miei dueamici e sono andato avanti vivendoper tre. Questa presa di coscienza miha dato la forza di cambiare lavoro,dedicandomi alla scrittura. Elena èstata una figura per certi versi salvificae liberatoria perché attraverso lei sonofinalmente riuscito a raccontare un’ama-ra vicenda della mia vita che a lungoho tenuto dentro di me.

Come si riesce a elaborare e trasformareattraverso la parola un avvenimentotanto doloroso della propria biografiaaffinché non risulti insopportabile per ilettori?Non è un’operazione né semplice néautomatica. L’errore che spesso si com-mette è confondere quello che ognunodi noi vive e considera significativocon ciò che può invece interessare edemozionare gli altri. Siccome questidue aspetti quasi mai coincidono, ènecessario consegnare nelle mani diun personaggio terzo i propri avveni-menti, affinché li viva e permetta altresí

che si crei quel distacco indispensabileper poterli raccontare. Io ricorro a untrucco del mestiere che permette diavere sempre accesa l’autocritica: im-magino di avere sulla spalla sinistra,mentre scrivo, un muppet che inter-viene di continuo e mi dice, in roma-nesco, «e chi se ne importa?». A voltelo invito a zittirsi pensando che si stasbagliando di grosso, ma lui non de-morde facilmente. Un altro importantestratagemma, questa volta tecnico, èil seguente: la prima riga che si scriveè libera, a partire dalla seconda bisognainvece alternare «ma» e «allora» co-stantementemente fino alla conclu-sione della storia sigillata da un «fi-nalmente». Questi «ma» e «allora»coincidono con la progressione dram-matica del racconto: c’è un’affermazioneche scatena un conflitto, il quale suscitauna reazione che a sua volta innescaun altro conflitto e via discorrendo.Questo espediente permette di ragio-nare per svolte di cui si nutre il racconto.La svolta è un cambio di direzione chepuò avere diversi gradi: ciò che cambiacompletamente il verso è la sorpresadella storia, che pone il protagonistanella condizione di dover agire in ma-niera non abituale alla sua vita.

Il ritrovamento casuale di un oggettosmarrito quale il diario segna una svoltanel percorso esistenziale del protagonista.Eppure quell’oggetto assume anche unavalenza metaforica…Precisamente. Non si tratta soltantodi un oggetto concreto potendosiriferire a qualcosa di immateriale chesi è smarrito come la direzione delnostro cammino o altro ancora, e chesolo recuperandolo è possibile com-prendere chi siamo e dove intendiamoandare. È spesso difficile ritrovare lapropria strada per paura di soffrire,preferendo, quindi, evitare di mettercialla prova, con il risultato però che,invece di vivere, sopravviviamo. Si puòessere come Michele, sorta di PiccoloPrincipe dei nostri giorni, che si chiudein se stesso e si lascia schiacciare daldolore in attesa che la vita gli regaliuna svolta, oppure come Elena, forzadella natura che cavalca il dolore, anzilo scavalca, per poi ripartire. Tra questedue modalità per superare le vicissi-tudini che ci si presentano nella vita,ve n’è una intermedia che consiste nelsaper aspettare e cogliere i segnali chela realtà ci offre di continuo per poteragire di conseguenza. È una via piut-tosto difficile perché ci costringe auscire da uno stato di comodità, per lomeno apparente, e a soffrire, ma allalunga è indispensabile per vincere inostri blocchi mentali. A volte bastaun avvenimento di scarsa importanza(come una notte insonne) per rimuo-vere un ostacolo. Bisognerebbe cheseguissimo di più le nostre emozionie, soprattutto, che ci concedessimoallo sbaglio.

Come funziona nel suo caso il rapporto fra imma-ginare e scrivere? È l’immagine che si trasforma inparola o è la parola che costruisce l’immagine?Ambedue le cose. Spesso sono le immagini colteal volo, in situazioni disparate, a spingermi a ri-portarle sulla carta, cercando le parole adatteper descriverle. Altre volte è il suono delle parole,il loro susseguirsi secondo un ritmo quasimusicale, a delineare l'immagine che, in questocaso, prende corpo quasi da sola.

Quali sono stati nella costruzione del romanzo gliaspetti che le hanno dato più filo da torcere?È sempre difficile uscire da una situazione perentrare in un’altra. Nel mio romanzo vi è un pro-tagonista che viaggia e che prima di viaggiare vaspinto alla partenza: questi passaggi sono staticruciali perché sentivo di non poterli renderecon un’ellisse, come talvolta si fa in sceneggiatura,e temevo molto di rallentare il ritmo del raccontorendendolo noioso. Questi snodi hanno richiestoun notevole sforzo creativo di volta in volta perrenderli il più possibile gradevoli e interessantiper i lettori prima che si avventurassero nelcuore dell' episodio.

Lei ha affermato che, trovata una storia, bisognasaperla vestire, e che dal come si cuciono le ombredei personaggi deriva la qualità della storia stessa.Che cosa intende di preciso?Ogni storia ha uno o più significati reconditi. Letrame, in fondo, sono come i sogni: successionidi eventi che conducono a ciò che nascondiamonel profondo, proprio come ombre in movimentoche celano la fonte di luce che le proietta. Ecco,può sembrare un ossimoro, ma quella luce parteproprio dall’interno dell’ombra. È una luce fattadi ricordi, di paure, di irrisolti, di non detti.Potrei dire che più si riesce a dettagliare l’ombra,più viene fuori la luce che l’ha creata. In mezzo,c’è il personaggio, con le sue azioni e le sue sco-perte.

Che cosa ha imparato di nuovo sulla scritturadando alle stampe il suo primo romanzo?Sorrido. Ho la sensazione di avere tutto daimparare ancora. Forse perché detesto le certezzee cerco sempre di metterle in discussione. Noncredo esistano regole, nella scrittura, nonostantesi moltiplichino continuamente i manuali diistruzione. Ciascuno procede a modo suo. Forse,l’unica regola che sento di seguire è il rispettoper il lettore: sapere di aver qualcosa da raccontaree raccontarlo al meglio, magari senza fare sfoggiodi forzati virtuosismi lunguistici. Ma è solo lamia opinione.

Ha ideato e sceneggiato innumerevoli storie per ilpiccolo schermo. Quali sono le principali differenzetra la scrittura di un romanzo e quella per unaserie televisiva?Sintetizzando, si può dire che nella sceneggiatural’approfondimento viene fatto in anticipo equando si scrive si può anche sorvolare su deter-minati aspetti ben conosciuti all’autore come adesempio il passato del protagonista che si puòanche non rivelare per tutta la fiction, ma cheviene fuori dai gesti, dalle parole, da alcune im-magini e a volte anche dai flashback. Nel romanzo, per contro, il passato del personaggioprincipale è parte integrante della narrazione:va raccontato e approfondito, va fatto palpitareessendo praticamente il motore della storia. Se

intervista A colloquio con Salvatore Basile, ideatore e sceneggiatore di numerose serie televisive di successo

Gioia di scrivere e piaceredella scoperta scrivendo

la sceneggiatura è un racconto lineare di scorri-mento, il romanzo è invece un racconto sfericoche tiene conto di tutti gli aspetti possibili: puòtornare indietro o può fermarsi per approfondiree poi lanciarsi in avanti: un’architettura piuttostocomplessa ma di certo anche più gratificante.

Quali sono gli elementi fondamentali per co-struire una buona fiction?Il primo è sicuramente individuare un protagonistao più che siano portatori di valori precisi, rico-noscibili e soprattutto condivisibili. Ci vuole poiun tema preciso, che spazia dall'amore all'amiciziapassando per i rapporti interpersonali su su finoal perseguire un sogno o un progetto riconoscibile.Oltre a questo bisogna essere in grado di costruireun mondo credibile che faccia affezionare ilpubblico di telespettatori affinché vi si sentano acasa anche qualora si rappresenti un mondo di-stopico. Nella costruzione bisogna tener contodell’orizzontalità – una serie racconta una storiache va avanti puntata dopo puntata – e del fattoche la dimensione orizzontale contiene una ver-ticalità, come nel caso di Don Matteo: in ogniepisodio viene narrata una storia che si concludeall’interno di quell’episodio mentre contempo-raneamente si continuano a muovere i fili oriz-zontali che procedono dalla prima fino all’ultimapuntata.

La scelta di una tematica da sviluppare in unafiction: si pesca nel reale oppure si va alla ricercadi qualcosa di inedito che potrebbe persino antici-pare ciò che diventerà un argomento di rilievo piùavanti nel tempo?Sicuramente ambedue le cose. Negli ultimicinque anni vi è molta attenzione a rappresentareproblematiche che si vivono quotidianamentenel sociale. Esse si trovano nei media e sonoquindi sotto gli occhi di tutti: spetta a chi crea lefiction intuire quale possa essere l’argomentointeressante da sviluppare. Se si riesce ad averel’idea che possa anticipare qualcosa che avverrà,a quel punto si è fatto veramente centro e si pos-sono mettere in scena serie davvero significative.Una fiction anticipatrice, per fare un esempio, èstata Ultimo nel 1998 in quanto inaugurava unacontaminazione di generi, dal poliziesco al socialcon tracce di dramedy.

Che tipo di ricerche va svolto prima di affrontareuna fiction come quella su Giovanni Paolo II nellaquale entrano anche gli avvenimenti storici?Innanzitutto una documentazione feroce cheprevede la lettura di tutto quello che è statoscritto su Papa Wojtyla, le interviste con consulentie con persone che l’hanno conosciuto e chehanno vissuto con lui. Alla fine si raccoglie tuttoquesto materiale e si inizia a fare una sorta dicernita, separando gli argomenti drammatici,non solo quelli che possono interessare il pubblicoma anche quelli che costituiscono una progres-sione della storia, e tralasciando quelli poco ap-petibili che potrebbero rallentare il ritmo dellanarrazione. Dopo aver mescolato queste com-ponenti, si comincia a immaginare lo sviluppodella fiction dalla prima all’ultima scena, lenta-mente, giorno per giorno, discutendone con glialtri della squadra per arrivare a stendere lascaletta, ovvero il piano sequenziale delle scene.Una volta approvata dalla Rai e dalla produzione,si procede a sceneggiare: è lì che inizia il diverti-mento poiché si dà sfogo alla propria creatività,al proprio gusto.

Qual è la serie televisiva cui è più affezionato?Quella che mi ha emozionato più di tutte è cer-tamente La cittadellache ho sceneggiato da soloin quattro puntate nel 2002. Io appartengo allagenerazione cresciuta a pane e Rai, quindi Lacittadellacon Alberto Lupo rappresentava qualcosadi mitico. Quando mi chiesero di proporne il remake,l’emozione fu talmente enorme che mi ci dedicaicon tutto il cuore per un anno intero. Vederlarealizzata è stata una gioia incredibile perché miricordava i tempi in cui abitavo a Napoli e in casaeravamo gli unici del palazzo a possedere un te-levisore catodico. La sera tutti i vicini si presen-tavano da noi, sedia in mano, portando vino epastarelle, e il nostro tinello si trasformava prati-camente in una sala cinematografica.

Fra i protagonisti della fiction di successo da leiideata Un passo dal cielo figura Terence Hill,presente anche in Don Matteo, un’altra serie dicui lei si è occupato e che annovera molti attorinoti al grande pubblico come Nino Frassica. Siviene a creare una sorta di complicità al di fuoridel set tra chi sta dietro alla cinepresa e il cast diattori?La complicità è assolutamente necessaria e sicrea in maniera naturale. È una sorta di solidarietàtra persone che stanno in "trincea", pronte ad af-frontare qualunque difficoltà pur di condurre inporto il lavoro nel migliore dei modi. Per quanto riguarda Terence Hill e Nino Frassica,sono stato molto fortunato in quanto quellacomplicità si è trasformata in solida e sinceraamicizia che dura nel tempo.