Transcript of 8 15 rassegna stampa fisac dal 16 feb al 22 feb
BANCHE
Unicredit
+2.008 MILIONI DI UTILE Il dividendo sarà di 12 centesimi e potrà
essere distribuito in contanti o attraverso azioni
Il panorama del credito I conti in tasca
Finanza
I bilanci Da Intesa e Unicredit i segnali più forti con ricchi
utili e dividendi. Ritorna alla cedola la Popolare di Milano, ok
anche PopSondrio e Credem
Banche Mancano sei miliardi per stare in equilibrio È la differenza
tra utili e perdite alla fine del 2014 dei primi istituti italiani.
In sette ne hanno perso quasi dieci DI STEFANO RIGHI
M ancano più di sei miliardi. Se consi- derate le 13 ban- che
commerciali
italiane di interesse europeo (c’è anche Mediobanca ma le sue
attività sono solo in parte rivolte alla clientela retail), la
somma dei bilanci 2014 porta a un disavanzo di 6.204 milio- ni di
euro.
Un buco enorme determi- nato dalla differenza tra gli uti- li di
Unicredit, Intesa, Popola- re di Milano, Popolare del-
l’Emilia-Romagna, Popolare di Sondrio e Credito Emiliano (3.787
milioni) e le perdite cu- mulate da Monte dei Paschi di Siena,
Banco Popolare, Ubi, Veneto Banca, Carige, Credito Valtellinese e
Popolare di Vi- cenza (9.991 milioni). Sono se- imiladuecento
milioni di inef-
ficienze, errori, previsioni sba- gliate. Le banche d’Italia, che
peraltro durante la grande cri- si internazionale hanno retto
meglio degli istituti di Germa- nia, Francia, Gran Bretagna e
Spagna e sono fin qui costate praticamente nulla alla collet-
tività, sono ancora alle prese con la pulizia di bilanci incro-
stati da decenni di inefficienza e cattiva gestione.
Incrostazioni Bilanci che per anni sono
stati gonfiati da pompatissimi avviamenti e che sono stati te- nuti
pericolosamente lontani dalla realtà nella concessione di crediti
ad aziende decotte, fuori dal mercato, guidate da- gli amici degli
amici. Oggi è ar- rivato il momento di pagare il conto. Ed è
salato. Sembra così farsi spazio il claim del mo- mento: tutta
colpa della Bce e della sua severità. Ma è il com-
portamento dello struzzo, la realtà è ben diversa e i signori delle
banche erano stati avver- titi per tempo.
Lo ha ribadito il governato- re Ignazio Visco anche in occa- sione
del Congresso dell’As- siom Forex: «La Vigilanza uni- ca sarà
rivolta anche alla so- s te n i b i l i t à d e i m o d e l l i
operativi delle banche. Strut- ture di costo più snelle e mo- delli
in grado di adeguarsi con prontezza allo sviluppo tecno- logico
consentono di affronta-
re meglio il cambiamento». Lo dimostra la bilancia con
cui (in alto) abbiamo sintetiz- zato l’attuale situazione, che dice
chiaramente come – a tut- ti i livelli – c’è modo di fare banca
profittevolmente e nel rispetto delle prerogative di soci,
stakeholder, dipendenti.
Federico Ghizzoni guida Unicredit, l’unica corazzata italiana che
naviga oltrefron- tiera e lo ha fatto portando a casa utili netti
per 2 miliardi di euro. Carlo Messina, che ha
ereditato una Intesa Sanpaolo ingessata, ha saputo accendere il
motore, dando fiducia alle molte risorse interne, e ricono- scendo
agli azionisti tutto quell’ossigeno sotto forma di dividendo (1,2
miliardi) che soprattutto le Fondazioni socie reclamavano con la
determi- nazione di chi non poteva far- ne più a meno. «Una
priorità», diceva Messina riferendosi al- la cedola da taluni messa
in di- scussione. Una priorità soddi- sfatta nel rispetto dei più
rigidi
criteri patrimoniali, che pon- gono Intesa al sicuro dalle ve-
rifiche della Bce, forte di un si- gnificativo livello di
liquidità.
Ma nella lista dei promossi trovano spazio anche banche più
piccole. La Popolare di Mi- lano sembra aver messo alle spalle le
annate buie e i conti in rosso: torna a pagare il divi- dendo ai
propri soci, accanto- na utili, si pone come polo ag- gregante
nell’universo del cre- dito popolare.
Anche la PopSondrio ha
chiuso bene l’ultimo anno, mentre dal fronte reggiano del Credem
arrivano solo confer- me positive: il credito, eviden- zia la banca
della famiglia Ma- ramotti, è una cosa seria e se anche la
quotazione in Borsa impone ritmi e riti trimestrali, ognuno suona
la musica che preferisce, una lezione che molte banche popolari do-
vrebbero mettere a memoria.
Più nutrito è il plotone di chi ha qualcosa da dimentica- re. I 5,3
miliardi di rosso che il
Monte dei Paschi di Siena si appresta a mandare in archi- vio sono
l’ennesimo segnale di scellerate gestioni passate. L’amministratore
delegato Fa- brizio Viola vive nel timore di aprire i cassetti
della sede di Rocca Salimbeni, da ognuno spunta un nuovo conto da
re- golare. L’intervento dello Stato sembra più vicino, a meno che
non ci pensi Ubi o l’arrivo dei francesi di Société Générale e
intanto sta aumentando l’im- porto dell’aumento di capitale che
andrà realizzato a prima- vera, siamo a 3 miliardi.
Il porto di Genova In mezzo al guado, con mol-
te incognite da risolvere, è an- che la Carige. Piero Montani e il
presidente Cesare Castelbar- co Albani governano una bar- ca a cui
è stata precedente- mente bucata la chiglia. Serve
denaro fresco che la Fondazio- ne Carige non ha più e che il
prossimo aumento di capitale (700 milioni?) fornirà solo in parte.
Due i possibili partner finanziari, la famiglia genove- se
Malacalza e Andrea Bono- mi con Investindustrial. A loro potrebbe
affiancarsi, dal pun- to di vista industriale, la Banca Popolare di
Milano. Chi deci- derà di muoversi, deve comun- que farlo presto,
perché i conti col passato vanno regolati ra- pidamente e per
cassa. Sor- prende poi, sia la quantità di perdite accumulate in
forza delle svalutazioni dal Banco Popolare, sia l’importo dichia-
rato da Ubi, oltre 700 milioni, come da non sottovalutare so- no i
325 milioni di rosso del Credito Valtellinese, che com- prendono
330 milioni di retti- fiche di valore dopo l’Aqr.
@Righist © RIPRODUZIONE RISERVATA
Intesa Sanpaolo
+ 1.250 MILIONI DI UTILE Il risultato netto verrà interamente
distribuito agli azionisti sotto forma di dividendo (7
centesimi)
Montepaschi
-5.343 MILIONI DI PERDITA Nessun dividendo. Il Monte ha elevato a 3
miliardi di euro l’importo del prossimo aumento di capitale
Carige
-543,6 MILIONI DI PERDITA Nessun dividendo. In vendita Banca Cesare
Ponti. In arrivo un aumento di capitale da 700 milioni
Pop Milano
+232,3 MILIONI DI UTILE Dopo quattro anni torna il dividendo per
gli azionisti della Bpm: 0,022 euro ad azione
Ghizzoni ha portato in piazza Gae Aulenti oltre 2 miliardi di
risultato
Messina paga ai soci una cedola superiore a mille milioni
I risultati aggregati dei bilanci 2014 Equilibri difficili
FABRIZIO VIOLA
Monte Paschi
FABRIZIOFAABBRIZIOO VIOLAVIOLLA
SanpaoloSaSannpaaoolo
++++++++++ 8777773.787333.3.73.73.7.7878787787878333 87 milioni di
eurommiliionni dii eurro
miliardi di euro
s.F .
s.F .
Risiko Gli scenari delle possibili aggregazioni dopo il prossimo
aumento di capitale e l’ingresso del Tesoro nell’istituto di Rocca
Salimbeni
Mps La Fondazione scende dal Monte Nozze necessarie, ma non a tutti
i costi
E adesso? «E’ semplice, siamo la banca più puli- ta del Paese e chi
voles-
se metterci 250 milioni, quan- to vale in Borsa il 10%, può
prendersela perché scaval- cherebbe il patto tra la Fonda- zione
Mps, Fintech e Btg Pac- tual. E senza rischiare sorpre- se nei
conti».
Il commento, venato di amaro, arriva da un consiglie- re di Rocca
Salimbeni a tarda sera di mercoledì 11, dopo una mattinata di
riunioni dei comitati e cinque ore buone di seduta del board che ha
messo il sigillo al settimo bi- lancio in rosso di fila. Rosso dai
toni forti, quanto nessuno immaginava: 7 miliardi di perdite. Per
la precisione 6.926 milioni prima delle im- poste attive, cioè dei
benefici fiscali sulla montagna di ret- tifiche sui crediti fatte
dal
MontePaschi. Sette anni di calvario iniziati già all’indo- mani del
sogno di grandeur di Giuseppe Mussari, l’allora presidente che pagò
al San- tander la bella cifra di 9 mi- liardi per l’Antonveneta.
Non sono bastati i 3 miliardi di aiuti di Stato sotto forma di
Monti bond. Né i due aumen- ti di capitale del 2011 e dell’an- no
scorso per un totale di 7 miliardi. Bruciati a colpi di rettifiche
e svalutazioni di prestiti deteriorati e avvia- menti.
La Vigilanza A fischiare la fine dell’in-
tervallo è stata l’Eurotower e in particolare il Consiglio pre-
sieduto da Danièle Nouy del Ssm (Single supervisory mechanism),
l’organismo della Bce che ha assunto la Vi- gilanza su 130 banche.
Prima
a ottobre, con la notifica del deficit di capitale di 2,1 mi-
liardi emerso negli stress test. Poi alzando ancora, per il Monte,
l’asticella dell’obietti- vo del Cet1 (common equity) al 14,3%. Per
il tandem com- posto dal presidente Alessan- dro Profumo e dal ceo
Fabri- zio Viola, in sella da tre anni, è stato il segnale che era
meglio togliersi subito il dente. La Bce aveva scandagliato 73 mi-
liardi di crediti chiedendo ret- tifiche per 4 miliardi? Viola e
Profumo hanno fatto di più, applicando i parametri usati da
Francoforte a 129 miliardi
di prestiti, ripulendo tutto il possibile, e aumentando di 7,1
punti (al 49%) la copertura dei crediti deteriorati. La con-
tropartita è stata la presa d’at- to, a Francoforte, che la nuova
policy più l’innalzamento a 3 miliardi dell’aumento di capi- tale
da lanciare entro giugno consentivano di mettere in si- curezza il
Monte anche con un Cet1 del 10,2%. Che tra l’al- tro verrà superato
a quota 11,4% dopo la ricapitalizzazio- ne garantita dal consorzio
guidato da Ubs, Citi, Gold- man Sachs e Mediobanca.
Cosa c’è allora nel futuro di Mps? A chi andrà la banca più antica
del mondo? La pri- ma certezza è che il Tesoro entrerà da luglio
(post au- mento) con una quota poco sotto il 5% per il pagamento in
azioni della cedola sui Monti bond: notizia che ha
fatto schizzare in alto l’azione a Piazza Affari. La seconda è che
il cordone ombelicale con la Fondazione diventerà un fi- lo molto
sottile.
La ritirata La deputazione presieduta
da Marcello Clarich punta a garantire l’elezione di sei membri (su
12) del board se- nese all’assemblea del 14 aprile, con la conferma
di Profumo e Viola, un posto a testa per Fintech e Btg come da
patti e due indipendenti. I due partner sottoscriveranno per le
loro quote (4,5% e 2%) ma per l’Ente non avrebbe al- cun senso,
dopo aver rischia- to un anno fa il default, impe- gnare altri 75
milioni (una bella fetta dei 400 in cassa) per seguire pro-quota
l’au- mento. Il 2,5% Mps in carico per 196 milioni (1,53 euro
ad
azione) rappresenta già un quarto dell’attivo. E la Fonda- zione di
Palazzo Sansedoni vuole diversificare il portafo- glio con impieghi
che diano un buon reddito, unica strada per fare il proprio
mestiere nel mondo della cultura e dei beni artistici.
E’ plausibile che il nuovo impegno sia di poca entità,
autofinanziato con la vendita dei diritti, cosa che comporte- rebbe
una diluizione attorno all’1,5%. E siccome all’oriz- zonte c’è il
consolidamento con un’altra realtà bancaria,
la presa scenderà ancora, a li- velli da prefisso telefonico. Nella
città del Palio si accredi- ta l’opinione che Viola e Pro- fumo
escludano con decisio- ne un matrimonio con Ubi, primo gruppo tra
le popolari, avviato in forza di decreto sulla strada della spa. È
il no- me più gettonato dagli anali- sti ma il presunto sposo sene-
se non crede che la popolare di Brescia e Bergamo abbia le spalle
abbastanza larghe. Unicredit e Intesa Sanpaolo si sono chiamate
fuori. Si sa che il dossier, nonostante le smentite di rito, è da
tempo allo studio di Bnp Paribas e del Banco Santander. Ma per
Siena vorrebbe dire sparire. E al Monte aspirano a un’aggre-
gazione, non alla resa.
Forse la foto più nitida l’ha scattata Gian Maria Gros-Pie- tro
commentando l’ingresso del Tesoro: «In attesa o in mancanza
d’altro, lo stru- mento pubblico può servire a stabilizzare la
banca», ha det- to il presidente del consiglio di gestione di
Intesa
CARLO TURCHETTI © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Ente potrebbe seguire solo in parte la ricapitalizzazione
Azioni della banca per pagare la cedola 2014 sui Monti bond
Presidente Alessandro Profumo
Unicredit
+2.008 MILIONI DI UTILE Il dividendo sarà di 12 centesimi e potrà
essere distribuito in contanti o attraverso azioni
Il panorama del credito I conti in tasca
Finanza
I bilanci Da Intesa e Unicredit i segnali più forti con ricchi
utili e dividendi. Ritorna alla cedola la Popolare di Milano, ok
anche PopSondrio e Credem
Banche Mancano sei miliardi per stare in equilibrio È la differenza
tra utili e perdite alla fine del 2014 dei primi istituti italiani.
In sette ne hanno perso quasi dieci DI STEFANO RIGHI
M ancano più di sei miliardi. Se consi- derate le 13 ban- che
commerciali
italiane di interesse europeo (c’è anche Mediobanca ma le sue
attività sono solo in parte rivolte alla clientela retail), la
somma dei bilanci 2014 porta a un disavanzo di 6.204 milio- ni di
euro.
Un buco enorme determi- nato dalla differenza tra gli uti- li di
Unicredit, Intesa, Popola- re di Milano, Popolare del-
l’Emilia-Romagna, Popolare di Sondrio e Credito Emiliano (3.787
milioni) e le perdite cu- mulate da Monte dei Paschi di Siena,
Banco Popolare, Ubi, Veneto Banca, Carige, Credito Valtellinese e
Popolare di Vi- cenza (9.991 milioni). Sono se- imiladuecento
milioni di inef-
ficienze, errori, previsioni sba- gliate. Le banche d’Italia, che
peraltro durante la grande cri- si internazionale hanno retto
meglio degli istituti di Germa- nia, Francia, Gran Bretagna e
Spagna e sono fin qui costate praticamente nulla alla collet-
tività, sono ancora alle prese con la pulizia di bilanci incro-
stati da decenni di inefficienza e cattiva gestione.
Incrostazioni Bilanci che per anni sono
stati gonfiati da pompatissimi avviamenti e che sono stati te- nuti
pericolosamente lontani dalla realtà nella concessione di crediti
ad aziende decotte, fuori dal mercato, guidate da- gli amici degli
amici. Oggi è ar- rivato il momento di pagare il conto. Ed è
salato. Sembra così farsi spazio il claim del mo- mento: tutta
colpa della Bce e della sua severità. Ma è il com-
portamento dello struzzo, la realtà è ben diversa e i signori delle
banche erano stati avver- titi per tempo.
Lo ha ribadito il governato- re Ignazio Visco anche in occa- sione
del Congresso dell’As- siom Forex: «La Vigilanza uni- ca sarà
rivolta anche alla so- s te n i b i l i t à d e i m o d e l l i
operativi delle banche. Strut- ture di costo più snelle e mo- delli
in grado di adeguarsi con prontezza allo sviluppo tecno- logico
consentono di affronta-
re meglio il cambiamento». Lo dimostra la bilancia con
cui (in alto) abbiamo sintetiz- zato l’attuale situazione, che dice
chiaramente come – a tut- ti i livelli – c’è modo di fare banca
profittevolmente e nel rispetto delle prerogative di soci,
stakeholder, dipendenti.
Federico Ghizzoni guida Unicredit, l’unica corazzata italiana che
naviga oltrefron- tiera e lo ha fatto portando a casa utili netti
per 2 miliardi di euro. Carlo Messina, che ha
ereditato una Intesa Sanpaolo ingessata, ha saputo accendere il
motore, dando fiducia alle molte risorse interne, e ricono- scendo
agli azionisti tutto quell’ossigeno sotto forma di dividendo (1,2
miliardi) che soprattutto le Fondazioni socie reclamavano con la
determi- nazione di chi non poteva far- ne più a meno. «Una
priorità», diceva Messina riferendosi al- la cedola da taluni messa
in di- scussione. Una priorità soddi- sfatta nel rispetto dei più
rigidi
criteri patrimoniali, che pon- gono Intesa al sicuro dalle ve-
rifiche della Bce, forte di un si- gnificativo livello di
liquidità.
Ma nella lista dei promossi trovano spazio anche banche più
piccole. La Popolare di Mi- lano sembra aver messo alle spalle le
annate buie e i conti in rosso: torna a pagare il divi- dendo ai
propri soci, accanto- na utili, si pone come polo ag- gregante
nell’universo del cre- dito popolare.
Anche la PopSondrio ha
chiuso bene l’ultimo anno, mentre dal fronte reggiano del Credem
arrivano solo confer- me positive: il credito, eviden- zia la banca
della famiglia Ma- ramotti, è una cosa seria e se anche la
quotazione in Borsa impone ritmi e riti trimestrali, ognuno suona
la musica che preferisce, una lezione che molte banche popolari do-
vrebbero mettere a memoria.
Più nutrito è il plotone di chi ha qualcosa da dimentica- re. I 5,3
miliardi di rosso che il
Monte dei Paschi di Siena si appresta a mandare in archi- vio sono
l’ennesimo segnale di scellerate gestioni passate. L’amministratore
delegato Fa- brizio Viola vive nel timore di aprire i cassetti
della sede di Rocca Salimbeni, da ognuno spunta un nuovo conto da
re- golare. L’intervento dello Stato sembra più vicino, a meno che
non ci pensi Ubi o l’arrivo dei francesi di Société Générale e
intanto sta aumentando l’im- porto dell’aumento di capitale che
andrà realizzato a prima- vera, siamo a 3 miliardi.
Il porto di Genova In mezzo al guado, con mol-
te incognite da risolvere, è an- che la Carige. Piero Montani e il
presidente Cesare Castelbar- co Albani governano una bar- ca a cui
è stata precedente- mente bucata la chiglia. Serve
denaro fresco che la Fondazio- ne Carige non ha più e che il
prossimo aumento di capitale (700 milioni?) fornirà solo in parte.
Due i possibili partner finanziari, la famiglia genove- se
Malacalza e Andrea Bono- mi con Investindustrial. A loro potrebbe
affiancarsi, dal pun- to di vista industriale, la Banca Popolare di
Milano. Chi deci- derà di muoversi, deve comun- que farlo presto,
perché i conti col passato vanno regolati ra- pidamente e per
cassa. Sor- prende poi, sia la quantità di perdite accumulate in
forza delle svalutazioni dal Banco Popolare, sia l’importo dichia-
rato da Ubi, oltre 700 milioni, come da non sottovalutare so- no i
325 milioni di rosso del Credito Valtellinese, che com- prendono
330 milioni di retti- fiche di valore dopo l’Aqr.
@Righist © RIPRODUZIONE RISERVATA
Intesa Sanpaolo
+ 1.250 MILIONI DI UTILE Il risultato netto verrà interamente
distribuito agli azionisti sotto forma di dividendo (7
centesimi)
Montepaschi
-5.343 MILIONI DI PERDITA Nessun dividendo. Il Monte ha elevato a 3
miliardi di euro l’importo del prossimo aumento di capitale
Carige
-543,6 MILIONI DI PERDITA Nessun dividendo. In vendita Banca Cesare
Ponti. In arrivo un aumento di capitale da 700 milioni
Pop Milano
+232,3 MILIONI DI UTILE Dopo quattro anni torna il dividendo per
gli azionisti della Bpm: 0,022 euro ad azione
Ghizzoni ha portato in piazza Gae Aulenti oltre 2 miliardi di
risultato
Messina paga ai soci una cedola superiore a mille milioni
I risultati aggregati dei bilanci 2014 Equilibri difficili
FABRIZIO VIOLA
Monte Paschi
FABRIZIOFAABBRIZIOO VIOLAVIOLLA
SanpaoloSaSannpaaoolo
++++++++++ 8777773.787333.3.73.73.7.7878787787878333 87 milioni di
eurommiliionni dii eurro
miliardi di euro
s.F .
s.F .
Risiko Gli scenari delle possibili aggregazioni dopo il prossimo
aumento di capitale e l’ingresso del Tesoro nell’istituto di Rocca
Salimbeni
Mps La Fondazione scende dal Monte Nozze necessarie, ma non a tutti
i costi
E adesso? «E’ semplice, siamo la banca più puli- ta del Paese e chi
voles-
se metterci 250 milioni, quan- to vale in Borsa il 10%, può
prendersela perché scaval- cherebbe il patto tra la Fonda- zione
Mps, Fintech e Btg Pac- tual. E senza rischiare sorpre- se nei
conti».
Il commento, venato di amaro, arriva da un consiglie- re di Rocca
Salimbeni a tarda sera di mercoledì 11, dopo una mattinata di
riunioni dei comitati e cinque ore buone di seduta del board che ha
messo il sigillo al settimo bi- lancio in rosso di fila. Rosso dai
toni forti, quanto nessuno immaginava: 7 miliardi di perdite. Per
la precisione 6.926 milioni prima delle im- poste attive, cioè dei
benefici fiscali sulla montagna di ret- tifiche sui crediti fatte
dal
MontePaschi. Sette anni di calvario iniziati già all’indo- mani del
sogno di grandeur di Giuseppe Mussari, l’allora presidente che pagò
al San- tander la bella cifra di 9 mi- liardi per l’Antonveneta.
Non sono bastati i 3 miliardi di aiuti di Stato sotto forma di
Monti bond. Né i due aumen- ti di capitale del 2011 e dell’an- no
scorso per un totale di 7 miliardi. Bruciati a colpi di rettifiche
e svalutazioni di prestiti deteriorati e avvia- menti.
La Vigilanza A fischiare la fine dell’in-
tervallo è stata l’Eurotower e in particolare il Consiglio pre-
sieduto da Danièle Nouy del Ssm (Single supervisory mechanism),
l’organismo della Bce che ha assunto la Vi- gilanza su 130 banche.
Prima
a ottobre, con la notifica del deficit di capitale di 2,1 mi-
liardi emerso negli stress test. Poi alzando ancora, per il Monte,
l’asticella dell’obietti- vo del Cet1 (common equity) al 14,3%. Per
il tandem com- posto dal presidente Alessan- dro Profumo e dal ceo
Fabri- zio Viola, in sella da tre anni, è stato il segnale che era
meglio togliersi subito il dente. La Bce aveva scandagliato 73 mi-
liardi di crediti chiedendo ret- tifiche per 4 miliardi? Viola e
Profumo hanno fatto di più, applicando i parametri usati da
Francoforte a 129 miliardi
di prestiti, ripulendo tutto il possibile, e aumentando di 7,1
punti (al 49%) la copertura dei crediti deteriorati. La con-
tropartita è stata la presa d’at- to, a Francoforte, che la nuova
policy più l’innalzamento a 3 miliardi dell’aumento di capi- tale
da lanciare entro giugno consentivano di mettere in si- curezza il
Monte anche con un Cet1 del 10,2%. Che tra l’al- tro verrà superato
a quota 11,4% dopo la ricapitalizzazio- ne garantita dal consorzio
guidato da Ubs, Citi, Gold- man Sachs e Mediobanca.
Cosa c’è allora nel futuro di Mps? A chi andrà la banca più antica
del mondo? La pri- ma certezza è che il Tesoro entrerà da luglio
(post au- mento) con una quota poco sotto il 5% per il pagamento in
azioni della cedola sui Monti bond: notizia che ha
fatto schizzare in alto l’azione a Piazza Affari. La seconda è che
il cordone ombelicale con la Fondazione diventerà un fi- lo molto
sottile.
La ritirata La deputazione presieduta
da Marcello Clarich punta a garantire l’elezione di sei membri (su
12) del board se- nese all’assemblea del 14 aprile, con la conferma
di Profumo e Viola, un posto a testa per Fintech e Btg come da
patti e due indipendenti. I due partner sottoscriveranno per le
loro quote (4,5% e 2%) ma per l’Ente non avrebbe al- cun senso,
dopo aver rischia- to un anno fa il default, impe- gnare altri 75
milioni (una bella fetta dei 400 in cassa) per seguire pro-quota
l’au- mento. Il 2,5% Mps in carico per 196 milioni (1,53 euro
ad
azione) rappresenta già un quarto dell’attivo. E la Fonda- zione di
Palazzo Sansedoni vuole diversificare il portafo- glio con impieghi
che diano un buon reddito, unica strada per fare il proprio
mestiere nel mondo della cultura e dei beni artistici.
E’ plausibile che il nuovo impegno sia di poca entità,
autofinanziato con la vendita dei diritti, cosa che comporte- rebbe
una diluizione attorno all’1,5%. E siccome all’oriz- zonte c’è il
consolidamento con un’altra realtà bancaria,
la presa scenderà ancora, a li- velli da prefisso telefonico. Nella
città del Palio si accredi- ta l’opinione che Viola e Pro- fumo
escludano con decisio- ne un matrimonio con Ubi, primo gruppo tra
le popolari, avviato in forza di decreto sulla strada della spa. È
il no- me più gettonato dagli anali- sti ma il presunto sposo sene-
se non crede che la popolare di Brescia e Bergamo abbia le spalle
abbastanza larghe. Unicredit e Intesa Sanpaolo si sono chiamate
fuori. Si sa che il dossier, nonostante le smentite di rito, è da
tempo allo studio di Bnp Paribas e del Banco Santander. Ma per
Siena vorrebbe dire sparire. E al Monte aspirano a un’aggre-
gazione, non alla resa.
Forse la foto più nitida l’ha scattata Gian Maria Gros-Pie- tro
commentando l’ingresso del Tesoro: «In attesa o in mancanza
d’altro, lo stru- mento pubblico può servire a stabilizzare la
banca», ha det- to il presidente del consiglio di gestione di
Intesa
CARLO TURCHETTI © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Ente potrebbe seguire solo in parte la ricapitalizzazione
Azioni della banca per pagare la cedola 2014 sui Monti bond
Presidente Alessandro Profumo
Popolari Carlo Fratta Pasini (Banco), Dino Giarda (Bpm), Samuele
Sorato (Vicenza), Vincenzo Consoli (Veneto)
Il panorama del credito I conti in tasca
Finanza
Il risiko Veneto e Vicenza sono all’anno zero, con un deficit da
record
Superpopolare Poli in azione Troppe perdite per restare soli Per le
banche oggetto della riforma Renzi un passivo di 3,7 miliardi È il
momento di unire le forze. Le mosse di Ubi, Bpm e del Banco DI
STEFANO RIGHI
L e nove banche popola- ri oggetto dell’attenzio- ne del recente
decreto Renzi (sono in verità
dieci, ma la Popolare di Bari, la più piccola per dimensione, non
ha ancora comunicato i ri- sultati di chiusura), hanno cu- mulato
nel 2014 una perdita complessiva di 3.767 milioni di euro.
Rosso Hanno chiuso in rosso il
Banco Popolare (1.945 milio- ni), Ubi (726), Veneto Banca (650),
Popolare di Vicenza (497), Credito Valtellinese (325), con un
cumulo di perdi- te che ha raggiunto i 4.143 mi- lioni per questi
cinque istituti. A detta cifra, enorme, vanno sottratti gli utili
della Popolare di Milano (232 milioni), della Popolare di Sondrio
(115), del- la Bper (29). Ed ecco il totale, superiore ai 3,7
miliardi di eu- ro.
Per l’universo delle popola- ri è il secondo colpo da ko do- po il
decreto Renzi di metà gennaio, che impone la tra-
sformazione in Spa a chi ha at- tivi tangibili superiori agli otto
miliardi di euro.
Partendo da queste premes- se, il progetto della creazione di una
«Superpopolare del Nord» non è conseguenza di- retta, ma
interessante oppor- tunità. Le dimensioni sono un fattore
qualificante sui mercati finanziari, consentono razio- nalizzazioni
ed economie di scala. Il principio della «mu- tualità prevalente»,
che gover- na le piccole Banche di credito cooperativo è del tutto
margi- nale in grandi gruppi bancari da centinaia o migliaia di
spor- telli. Unire le forze, rinuncian- do a bandiere e campanili,
può rappresentare una prospettiva di ammodernamento dello
stantìo e autoreferenziale mondo delle popolari. L’occa- sione, per
certi versi, è unica.
Attrazioni Nonostante abbia chiuso
con oltre 700 milioni di rosso, a causa di pesanti svalutazioni
sugli avviamenti iscritti a bi- lancio, uno dei più solidi poli
aggreganti potrebbe essere quello di Ubi. La banca guida- ta da
Victor Massiah è (vedi articolo nell’altra pagina) già da più parti
indicata come la possibile partner del Monte dei Paschi di Siena.
Che però, giorno dopo giorno, diventa un boccone troppo indigesto
per chiunque al punto da coin- volgere, nel suo salvataggio, anche
le finanze pubbliche.
Ubi potrebbe essere interessa- ta alle attività a Nordest del
Montepaschi (l’ex Antonvene- ta) o a dirimere la decennale rivalità
tra Veneto e Vicenza, che proprio venerdì ha ricono- sciuto a
Samuele Sorato il gra- do di consigliere delegato.
Le due banche, che hanno sede a poche decine di chilo- metri l’una
dall’altra e condivi- dono una larga platea di soci, sono all’anno
zero: con alle spalle periodi di crescita stra- ordinaria e alcune
brusche fre- nate, cosa decideranno di fare del loro futuro?
Un altro possibile polo ag- gregante è la Popolare di Mila- no. È
vero che, per ora, Giusep- pe Castagna si gode la rimo- zione degli
add-on (che furo-
no imposti dalla Banca d’Italia all’epoca della presidenza di
Massimo Ponzellini), l’utile a bilancio e il ritorno dopo quat- tro
anni al dividendo. Ma è an- che vero che, in una logica di sistema,
un passo verso Nor- dest per la Bpm potrebbe ave- re senso, sia
verso la Veneto che verso la Vicenza. In alter- nativa, rispunta un
progetto legato all’Investindustrial di Andrea Bonomi, che della
Bpm fu presidente e che oggi pare interessato ai destini del- la
genovese Carige. E mentre da più parti si torna a sottoli- neare
l’opportunità di creare
un’unica banca per la Valtelli- na (PopSondrio+Creval avreb- bero
60 miliardi di attivi tangi- bili e circa 3 miliardi di capita-
lizzazione), dall’altra si guarda al Banco Popolare come resi-
duale protagonista. A Verona hanno archiviato il 2014 con 2
miliardi di perdite, dovute so- prattutto a una pulizia di bi-
lancio che i mercati hanno mo- strato di gradire (+4,55% in Borsa
il giorno dopo l’annun- cio), ma ora, dopo tanto patire, gli
azionisti del Banco si atten- dono un cambio di marcia.
@Righist © RIPRODUZIONE RISERVATA
Banco Popolare
-1.945 MILIONI DI PERDITA Più del triplo rispetto ai 606 milioni di
euro persi nel corso del 2013. Nessun dividendo
Pop Vicenza
-497 MILIONI DI PERDITA Aumenta il rosso, dopo la perdita di 26
milioni del 2013 e gli aumenti di capitale. Nessun dividendo
Veneto Banca
-650 MILIONI DI PERDITA Ancora in rosso, dopo i 96 milioni di
perdita del 2013 e gli aumenti di capitale. Nessun dividendo
1 I bilanci
C’ era una volta il Nordest. Oggi, davanti alla lunga
crisi dell’industria manufattu- riera, si spalanca la porta sul
profondo rosso delle banche locali. Banco Popolare, Popo- lare di
Vicenza e Veneto Banca – tutte reduci da corposi au- menti di
capitale – hanno chiuso il 2014 con una perdita cumulata di 3.092
milioni di euro. Un buco così grande che servirebbero tutti gli
utili rea- lizzati dalle due maggiori ban- che italiane, Unicredit
e Intesa (3.259 milioni), per colmarlo.
Banco, Veneto e Vicenza, con abili quanto inutili opera- zioni di
maquillage in occasione dei risultati al 30 giugno 2014, dissero di
essere in utile a me- tà dell’anno scorso. Poi è inter- venuta la
Bce e ora il re è nudo. Ci sono problemi esogeni ma anche,
evidenti, di governance, di trasparenza, di mandati de- cennali e
ventennali. Il desueto istituto delle dimissioni po- trebbe in
alcuni casi rappre- sentare un segno di rispetto verso soci e
stakeholder, dopo stagioni comunque irripetibili. Ma la banca – che
non presta mai soldi propri e per questo dovrebbe averne maggior
cura - non è un istituto monocrati- co, può però diventarlo per
l’ignavia e la pigrizia di alcuni.
S. RIG. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Primo piano L’accordo italo-elvetico
Patto fiscale, finisce il segreto bancario L’annuncio di Padoan.
Domani la firma con la responsabile svizzera dell’Economia
Widmer-Schlumpf L’Agenzia delle Entrate potrà chiedere informazioni
su tutti i contribuenti e sparisce la «black list»
Il racconto Stanze blindate e codici cifrati Quell’amore per la
discrezione che non scomparirà mai
di Andrea Fazioli
Presto o tardi, nella vita di un autore svizzero, arriva il mo-
mento. Per senso del dovere, per curiosità, per una richiesta
esplicita: non importa il moti- vo. Fatto sta che ti trovi davanti
al computer e devi scrivere del segreto bancario. Non c’è via di
scampo.
Allora, in cerca di concretez- za, chiudi gli occhi e pensi alle
montagne. Alte. Innevate. Per- fette come un luogo comune. Poi
pensi alle roccaforti, alle stanze blindate nel sottosuolo. Il
labirinto di cunicoli ti porta a un rifugio profondo e inacces-
sibile. Laggiù abita lui: il segre- to bancario. È piccolo e
rugoso, ma con due occhietti intelli- genti dietro gli occhiali
senza montatura. A lui puoi affidare ogni confidenza. Lui non ti
as- solve, ci mancherebbe, ma
nemmeno ti giudica. Laggiù le confidenze sono al sicuro, pro- tette
dai codici cifrati e dalla ferrea barriera della neutralità.
A questo punto la domanda è: che cosa c’entro io? Ma è inu- tile
scappare. Ho il passaporto svizzero e, lo ammetto, talvolta
riconosco pure in me stesso un eccesso di discrezione, o di quello
che i britannici chiama- no understatement. Quando vediamo una
celebrità per la strada fingiamo di non ricono- scerla, i nostri
ministri girano
sui treni, magari in seconda classe, e nessuno se ne accor- ge,
tendiamo a condensare lunghi discorsi in una parola. Siamo
svizzeri: amiamo i se- greti.
Allora il segreto bancario è l’inclinazione psicologica per la
riservatezza portata all’estre- mo? C’è anche questo, oltre agli
aspetti economici. È un mar- chio di efficienza, di servizio
cortese e inesorabile. Una tra- dizione svizzera che, in qual- che
modo, perpetua il miraco- lo di tenere insieme lingue, re- ligioni,
culture diverse.
Qualcuno lo ritiene uno specchietto per allodole, qual- cuno un
segno di rispetto per la libertà individuale. Ma oltre i discorsi
degli esperti, che effet- to fa al cosiddetto uomo della strada?
Decido di fare un picco-
lo sondaggio: esco di casa e chiedo alle prime dieci perso- ne che
incontro. Ecco i risulta- ti, ovviamente privi di valore
statistico.
Una discreta percentuale, cioè tre persone su dieci, di età fra i
venti e i quaranta, non ri- sponde: borbotta due parole e scantona,
con la proverbiale di- screzione elvetica. Un quaran- tenne mi
corregge: l’espressio- ne «segreto bancario» è inade- guata,
bisogna chiamarlo «ob- bligo di riservatezza». Due trentenni
scoppiano a ridere e mi assicurano che, di certo, non verranno a
raccontarmi quanti soldi hanno in banca. Una signora sui cinquanta
mi spiega che la Svizzera si è fatta del male, diventando un capro
espiatorio: «Di colpo gli altri Paesi sono tutti virtuosi,
tutti
moralisti, e sono lì che cercano di arraffare il più possibile…».
Un pensionato dall’aria colta si stringe nelle spalle e sorride:
«La Svizzera esisteva prima e continuerà a esistere anche do- po».
Un ragazzo sui vent’anni mi dice che se tutti fossimo onesti, il
segreto non servireb- be. «Sono soldi sporchi — ag- giunge il suo
amico — non li vogliamo». Infine, una bambi- na di cinque anni mi
fornisce la risposta migliore: «Tu lo sai co- s’è il segreto
bancario?» «Sì, ma non te lo dico».
Il segreto dunque andrà in pensione, e quella stanza nel cuore
delle montagne resterà vuota. O magari è già morto di morte
naturale: ormai c’è l’ob- bligo di bloccare ogni arrivo di capitali
appena velati da un so- spetto. In questo senso il segre- to
bancario non sembra più una corsia preferenziale ma un percorso a
ostacoli. Insomma: Guglielmo Tell è pronto a infil- zare tutte le
mele appena un po’ marce. Resta però la tradi- zione, la sicurezza:
forzieri ben custoditi in vecchi palazzi di pietra in riva ai
laghi, solidità, poche parole e molte cifre. Ri- mane il segreto,
ecco. Anche se è molto meno segreto di prima.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi è
Come rapinare una banca svizzera
La bambina Per strada una bimba di 5 anni: «Il segreto bancario? Lo
so cos’è, ma non te lo dico»
Le tappe
Per arrivare
all’intesa
fiscale di
Paesi non
inclusi nella
«black list»
Sostiene il ministro del- l’Economia Carlo Padoan che l’accordo in
procinto di essere firmato tra Italia e Svizzera se- gnerà la fine
definitiva del se- greto bancario svizzero. A Ber- na usano termini
meno peren- tori, vuoi perché devono fare i conti con un’opinione
pubbli- ca interna non felicissima di vedere crollare la storica
bar- riera, vuoi perché contano co- munque sul fatto che, segreto o
no, la piazza finanziaria sviz- zera continuerà a essere una delle
più ambite al mondo. Ma la svolta c’è tutta: domani a Mi- lano
Padoan e la sua omologa elvetica Eveline Widmer- Schlumpf porranno
la firma sull’accordo fiscale costato tre anni di aspre trattative
tra i due governi.
L’accordo di Milano è molto articolato ma sono individua- bili due
punti fondamentali. Il primo: i due Stati potranno scambiarsi molto
più spedita- mente informazioni in campo bancario e fiscale.
Fino a oggi per sapere se Ti- zio o Caio avevano soldi su conti di
Lugano era necessaria una rogatoria internazionale motivata dal
fatto che si poteva essere in presenza di qualche reato. Grazie al
nuovo accordo l’Agenzia delle Entrate italiana potrà chiedere
direttamente agli svizzeri informazioni su tutti i contribuenti; a
partire dal 2017 lo scambio dei dati sa- rà automatico, senza più
nem- meno la sollecitazione del Fi- sco italiano. Seconda novità:
la Svizzera potrà uscire dalla co-
siddetta «black list» dei para- disi fiscali; in seguito a ciò gli
italiani che aderiranno alla vo- luntary disclosure (dichiarare
cioè spontaneamente di avere un conto in Svizzera) paghe- ranno
sanzioni dimezzate. An- che l’economia elvetica avrà il suo
tornaconto: cancellate dal- la «black list», le imprese e le banche
incontreranno meno barriere per entrare sul merca- to italiano. È
davvero la fine di un’epoca? In buona parte è dif- ficile dare
torto a Padoan. L’ori- gine del segreto bancario elve- tico viene
fatta risalire addirit- tura al ‘600, quando i re di Francia,
cattolici a sempre as- setati di soldi, trovavano co- modo farsi
finanziare anche da ricchi protestanti. Purché non si sapesse in
giro e in questo
caso la riservatezza era garanti- ta dai banchieri ginevrini. Il
se- greto viene però codificato da una legge del 1934 figlia di un
drammatico fatto storico: la crisi del ‘29 aveva trasformato la
Svizzera nel rifugio di molti capitali in fuga e Berna aveva
ritenuto opportuno equiparare la privacy delle banche a quella di
medici e avvocati.
Quello scudo impenetrabile da allora ha subito continui at- tacchi
etici, a partire dai primi
anni del Dopoguerra, quando si scoprì che nelle banche della
Confederazione erano custodi- ti i beni sottratti agli ebrei vitti-
me delle persecuzioni naziste. L’Italia ha sempre approfittato a
piene mani dell’ospitalità el- vetica: uno studio di Kpmg sti- ma
che oggi si trovino a nord di Chiasso 220 miliardi di euro
provenienti dall’Italia, stessa cifra appartenente ai contri-
buenti tedeschi.
Ma né la fine del segreto bancario né lo choc valutario del super
franco sembrano aver tolto alla Svizzera l’appeal di paradiso per
chi ha i soldi: nel 2014 le società anonime sulla piazza di Lugano
sono cresciute del 10%.
Claudio Del Frate © RIPRODUZIONE RISERVATA
Dopo tre anni La trattativa tra i due Paesi è durata tre anni
Oltrefrontiera 220 miliardi di euro italiani
Dopo un negoziato molto duro, eliminate tutte le barriere
all’informa- zione Pier Carlo Padoan
6,5 Miliardi di euro La cifra (che
va da un minimo di 5,5 miliardi)
che fonti del governo italiano
stimano di poter incassare dalle
norme che riguardano il rientro
dei capitali (la cosiddetta
italiani che superano ogni giorno
il confine per motivi di lavoro:
secondo l’accordo tra i due Paesi
dovranno arrivare a pagare fino
al 70% delle tasse in Svizzera
e il resto in Italia
4,5 Per cento Quanto percepisce
la Svizzera direttamente
tedeschi. Con i francesi l’accordo
prevede che sia Parigi a versare
il 4,5% del reddito lordo
dei suoi frontalieri
San Bernardo, tre sciatori morti sotto la valanga
SONO stati travolti da una valanga mentre salivano all’ospizio del
Gran San Bernardo dal versante svizzero della montagna. Tre
scialpinisti italia- ni sono morti ieri a causa di una gros- sa
slavina staccatasi a 2.300 metri di quota, mentre un quarto è
ricoverato in rianimazione e un altro se l’è ca-
vata con lievi ferite. L’incidente è av- venuto verso le 13.30. La
comitiva era impegnata nella salita quando, in lo- calità La Combe
des Morts, si è stac- cata la valanga. Il fronte della massa di
neve era largo un centinaio di metri ed è sceso a valle per circa
200 metri. È scattato l’allarme ma le operazioni
sono state rallentate dal maltempo che ha impedito agli elicotteri
di sa- lire in quota: i soccorritori sono scesi a una quota più
bassa e sono risaliti a piedi fino al luogo della slavina. Gli
scialpinisti erano sepolti sotto una spessa coltre di neve. Una
trentina di uomini, con l’ausilio di sonde e cani
da valanga, hanno scavato per estrar- re i feriti, che sono stati
trasportati a valle con gli elicotteri di Air Glaciers. I quattro
più gravi sono stati ricoverati in rianimazione. Tre di loro sono
ar- rivati in fin di vita e i medici elvetici hanno solo potuto
constatare il de- cesso, il quarto è tuttora grave.
di Davide Vecchi inviato ad Arezzo
Al caffè Michelange- lo, l'unico bar nel centro storico di La-
terina, si gioca a car-
te. Scopa. La posta è qualche bicchiere. Qui ancora si paga a
consumo. “Il caffè correggilo a dieci centesimi che ho giusto un
euro”, sono le richieste tipo dei pensionati presenti. Ai tavoli,
tra un'imprecazione e l’altra, qualcuno bofonchia delle sorti di
banca Etruria. Ma i commen- ti si limitano alle spallucce, nel
tempo che serve a mischiare e ridistribuire le carte. Eppure questo
è il paese della famiglia Boschi. Nella piazza su cui af- faccia il
bar c'è la chiesa in cui Maria Elena è cresciuta e che tutt'ora
frequenta, accanto il Comune di cui Stefania Agresti, mamma del
ministro, è vicesin- daco. Li conoscono tutti, i Bo- schi. Qui nel
1948 è nato Pier Luigi, diventato prima latifon- dista, poi
presidente di Con- fcooperative, consigliere della Camera di
Commercio fino al 2013 e l'anno successivo vice- presidente della
banca d’Etru - ria nella quale il fratello di Ma- ria Elena,
Emanuele, ha fatto un’ottima carriera. Entrato po- co prima del
2010 oggi è un di- rigente con un contratto qua- dro di secondo
livello e perce- pisce anche un compenso pre- mio che in banca
chiamano “personam”. È il numero due dell’ufficio incagli, quello
da cui passano i crediti che non si rie- scono a recuperare e
finiscono nel pozzo dei deteriorati. Voce che per l’Etruria è da
anni la più importante a bilancio. Dal 2012, per l’esattezza.
Da piccolo istituto a gigante dai piedi d’argilla
Da qui inizia la storia che tra- sforma la banca dell'oro in ban-
ca del buco con 2,8 miliardi di sofferenze e un patrimonio ri-
dotto a poco meno di 20 milio- ni. Storia ricostruita da Banki-
talia nell’ispezione terminata nel 2014 e che ha poi dato avvio
all'inchiesta della Procura di Arezzo nei confronti dei vecchi e
nuovi vertici per vari reati - tra cui ostacolo alla vigilanza -
aperta dal procuratore capo, Roberto Rossi. Storia che inizia nel
2012 quando ancora bastava un aumento di capitale per ten- tare di
recuperare le perdite che già ammontavano a 1 miliardo 260 milioni
di euro. L’aumento andò in porto ma gli ispettori di Banca
d'Italia, all'epoca già ad Arezzo, ebbero da ridire: veri- ficarono
che molti affidamenti inferiori ai 300 mila euro con- cessi con
crediti chirografari, cioè senza garanzie, non erano stati
riportati e conclusero che i fondi deteriorati erano sottosti- mati
del 19,7%. C’erano dun- que altri 136 milioni di fondi elargiti e
persi. Ma l’istituto mo- strava ancora solidità. I 342 mi- lioni di
capitale sociale erano garantiti da 252 milioni di azio- ni in mano
a circa 60 mila soci e il titolo nel febbraio 2012 valeva 3,92
euro. Etruria sembrava dunque essere riuscita a digeri- re
l'esborso di 120 milioni di eu- ro per acquistare la banca pri-
vata fiorentina Federico del
Vecchio, cassaforte della bor- ghesia toscana, pagata ben 80
milioni più di quanto stimano da San Marino. Sembrava aver superato
anche l'acquisizione della banca Lecchese, l’acquisto di 14
sportelli di Unicredit per oltre 40 milioni e persino l’in-
corporazione di ConEtruria ed Etruria Leasing. In quel 2012 non era
più la banca di mutua popolare nata nel 1882 radicata nel
territorio e all'agricoltura, non era neanche più la banca
dell'oro, legata allo sviluppo de- gli orafi aretini, sembrava di-
ventata un gigante rispetto alle origini. Sembrava. Il cda guida-
to da Giuseppe Fornasari - con vice Lorenzo Rosi e tra i consi-
glieri Pier Luigi Boschi – porta a bilancio 1,5 miliardi di soffe-
renze. Il 25 febbraio 2013 il ti- tolo che un anno prima valeva
3,92 euro, crolla a 1 euro e 20 centesimi. Ad aprile la singola
azione scende sotto l'euro. Per rimanere a Piazza Affari con
un
valore non troppo ridicolo il consiglio decide di dare il via a
un'operazione cosiddetta di raggruppamento: a ogni 5 azio- ni sarà
corrisposta una sola azione. Il passaggio avviene il 29 aprile 2013
e il titolo chiude a 0,93 centesimi. In pratica il va- lore reale
delle singole azioni era inferiore ai 20 centesimi. Banca d'Italia
interviene nuo- vamente. Impone il rinnovo del cda e caldeggia un
“matrimo- nio” con un istituto capace di
ti”. Insomma “per me era im- possibile rimanere in consi- glio”.
Ora “dobbiamo pensare a una class action e tentare di re- stituire
la banca agli aretini, ai cittadini, a questo territorio”.
Sottrarla, dice, “a chi l'ha con- dotta qui mischiando le carte”.
Un po' come al caffè Michelan- gelo di Laterina, sempre che i
commissari di Bankitalia rie- scano a trovare il modo di or-
ganizzare un’altra mano.
d.vecchi@ilfattoquotidiano.it
assorbire le perdite dell’Etruria. Nel maggio 2014, con il titolo a
0,70 centesimi, si fa avanti la po- polare di Vicenza con
un'offerta pubblica di acquisto vantaggio- sa: 1 euro ad azione. Il
cda però rifiuta. Nel frattempo il board aveva quasi cambiato
volto. In realtà, ha tra l'altro contestato Palazzo Kock nel
decreto con cui l’11 febbraio scorso ha com- missariato l’istituto,
è cambiato solo il presidente: non più For- nasari ma Rosi. Che
però era vi- ce di Fornasari. Mentre il nu- mero due, Pier Luigi
Boschi, era già consigliere nel 2011.
Verso la class action per tutelare i piccoli azionisti
Insomma, secondo gli ispettori di Banca d’Italia non è stata at-
tuata l’invocata discontinuità. E oggi, con i commissari a con-
trollare i conti, anche ad Arezzo molti fanno spallucce, come al
caffè Michelangelo di Laterina. “Doveva essere commissariata un
anno fa”, ne è certo Vincen- zo Lacroce. Quando la procura dispose
le perquisizioni. “Io lo dissi allora e lo ripeto oggi: do- veva
arrivare prima Banca d’Italia”. Lacroce parla con co- gnizione di
causa. Non solo è stato per oltre venti anni ispet- tore di Palazzo
Kock, ma da quando è in pensione guida l'as- sociazione amici di
banca Etru- ria, è socio e azionista della po- polare e nel 2014
gli è stato pro- posto di entrare nel cda. Ma ri- fiutò. Un altro
profondo cono- scitore della banca è Rossano Soldini. Imprenditore,
Soldini ha un pacchetto personale di
150 mila azioni dell’Etruria (Boschi, per dire ne ha meno di 600) e
fece il suo ingresso nel cda nel 2007 ma nel 2012 lasciò “dopo aver
scoperto gli enormi conflitti di interessi di vari con- siglieri”,
ricorda. “Denunciai oltre 220 milioni di euro che i consiglieri si
affidavano con di- sinvoltura, poi l'elezione di For- nasari con 8
voti a favore e 7 contrari ma tra i favorevoli ven- ne conteggiata
la preferenza di un consigliere che non avrebbe potuto votare
perché superato l’ammontare degli affidamen-
Pier Luigi Boschi e la figlia Maria Elena Ansa
CO M M I SSA R I AT I
Il fratello del ministro
è dirigente dell’ufficio
del bilancio dell’i s t i t u to
di Vincenzo Iurillo Napoli
ANapoli c’è la caccia al delegato. A Salerno quella
all’extracomunita-
rio. È solo un modo di dire, non sono in atto faide ne spedizioni
xenofobe. So- no solo le due campagne di recluta- mento in corso
per le primarie Pd in Campania che tra sì, no, forse e chissà, e
dopo quattro rinvii, dovrebbero ce- lebrarsi il 1 marzo tra
Vincenzo De Lu- ca, Andrea Cozzolino, Gennaro Mi- gliore, il
socialista Marco Di Lello e l’esponente di Idv, Nello Di Nardo. La
prima campagna è di palazzo: il fronte anti-primarie, composto da
un gruppo di capicor- rente dell’area Nord di Na- poli, si sta
affannando a raccogliere consensi tra i delegati dell’assemblea re-
gionale per raggiungere il quorum del 60% sul nome di Luigi
Nicolais. In questo modo l’assemblea può an- nullare le primarie e
can- didare direttamente l’ex ministro e presidente del Cnr. Il
pomeriggio di ieri è
petersi di file sospette ai seggi”. Non è un po’ tardi per le
preregistrazioni? “Il regolamento indica come termine una settimana
prima del voto. Se il voto è slittato, secondo noi è slittato anche
il termine”. In quanti si sono preregistra- ti? “Fino a pochi
giorni fa nessuno. Ora siamo su un numero inferiore ai 30”. C’è
ancora la giornata di oggi, la mac- china politico-organizzativa di
De Lu- ca non va sottovalutata. Ma dal comi- tato organizzatore
delle primarie, pre- sieduto da Antonio Amato, fanno sa- pere che
per loro l’anagrafe è chiusa.
E SE DE LUCA è Maradona, Cozzolino sceglie un altro sport e si
paragona ai fratelli Abbagnale. Nel suo spot eletto- rale ripropone
gli ultimi metri in canoa dei fratelloni pompeiani quando vin- sero
le Olimpiadi di Seul, e lo slogan “Andiamo a vincere”. Ma siete
sicuri che le primarie ci saranno? ”Se il Pd non ci consente di
votare trucca le car- te, sarebbe una vergogna – risponde Enzo
Ruggiero, consigliere politico di Cozzolino - Gino Nicolais non è
un candidato che possiamo riconoscere come unitario. Cancellare le
primarie sarebbe un colpo di Stato”.
tidiano Cronache del salernitano, che lo attribuisce al sindaco
facente funzioni Enzo Napoli, ex capo staff di De Luca nominato
“successore” poche ore pri- ma della condanna dell’ex vicemini-
stro. “Sedicenni ed extracomunitari per votare alle primarie del 1
marzo de- vono iscriversi presso sede del Pd via Manzo entro
domenica 22 con docu- mento identità. Sabato e domenica la sede è
chiusa: avvertite Enzo Luciano per far raccogliere le
preiscrizioni”. L’sms riporta il cellulare di Luciano, responsabile
provinciale organizza- zione del Pd. Lo abbiamo chiamato. Luciano
conferma: “Sì, è vero, stiamo
facendo circolare que- ste informazioni perché quasi nessuno è a
cono- scenza che in Campania gli extracomunitari con permesso di
soggiorno e i minorenni devono preregistrarsi per poter votare alle
primarie: lo Statuto del Pd non lo impone, ma nella no- stra
regione è stato de- ciso così per regola- mento, per evitare il
ri-
trascorso in attesa di un cenno chia- rificatore da Roma. Ma Renzi,
per ora, non si sporca le mani. La seconda cam- pagna è in corso a
Salerno, la roccaforte di Vincenzo De Luca, il Maradona del- le
primarie. Qui sono così sicuri che domenica prossima si andrà a
votare per scegliere il candidato Governatore, che dal cerchio
magico del sindaco emerito è partita una catena di Sant’Antonio di
sms a consiglieri, as- sessori e dirigenti democrat per solle-
citare le preiscrizioni last minute degli extracomunitari e dei
minorenni all’anagrafe degli elettori. Il testo del messaggio è
stato pubblicato dal quo-
Campania, la chiamata degli immigrati A SALERNO L’ENTOURAGE DI DE
LUCA HA SPEDITO SMS PER PORTARE EXTRACOMUNITARI E MINORENNI ALLE
PRIMARIE
Etruria, così è stato raso al suolo il feudo della famiglia Boschi
L’EX DEL CDA: “LASCIAI PER GLI ENORMI CONFLITTI D’I N T E R E SS E
I CONSIGLIERI SI AFFIDARONO 220 MILIONI CON DISINVOLTURA”
P O L I T I CA
AREZZO E LA BANCA
GRANDI MANOVRE
A Napoli l’a ss e m b l e a
regionale cerca di
la Repubblica 13LUNEDÌ 16 FEBBRAIO 2015
PER SAPERNE DI PIÙ ec.europa.eu/index_it
www.morganstanley.com
Schaeuble ha ribadito più volte che la Grecia dovrà accettare
un’estensione del memorandum firmato da Antonis Samaras per
presentare poi le sue richieste. Il governo Tsipras ha ribadito
inve- ce ieri «che non accetterà alcuna ipotesi che preveda
soluzioni di questo tipo» chiedendo piuttosto un programma ponte
fino all’ac- cordo su nuovo piano e debito. Lo spazio negoziale di
Atene non è però molto, anche perché i falchi del rigore sono
convinti — a torto o a ragione, che l’Europa potreb- be
sopravvivere a un’uscita del paese. «Anche se non ha senso parlare
di questa ipotesi» ha sot- tolineato il governatore della Bce Mario
Draghi.
«Noi non abbiamo bisogno di soldi ma di tempo», ha detto Tsi- pras
a Die Stern. E in effetti ha pie- namente ragione. Se non si arri-
verà a un’intesa questa settima-
na, sarà proprio il tempo a con- dannare la Grecia. Diversi Parla-
menti Ue devono approvare ogni eventuale accordo. E dopo il 28
febbraio — data in cui formal- mente scade il vecchio program- ma
della Troika — di sicuro da Bce e creditori non arriverebbe più un
centesimo. Quanto può resi- stere Atene in questo caso? Que- stione
di settimane. Ma senza po- ter chiedere soldi al mercato — nessuno
glieli darebbe — e senza il salvagente della Bce scattereb- bero
con ogni probabilità con- trolli sui capitali e il panico e i sol-
di in cassa sarebbero sufficienti per pochissimo tempo.
Tsipras per ora si consola con il solidissimo consenso interno. Ie-
ri sera a Piazza Syntagma sì è te- nuta un’altra manifestazione a
favore del Governo. Qualche scricchiolio c’è invece all’interno del
suo partito. Ieri sera il pre- mier avrebbe dovuto annunciare la
candidatura alla presidenza della Repubblica di Dimitris
Avramopoulos, attuale Commis- sario europeo per le migrazioni e gli
affari interni, uomo del cen- trodestra di Nea Demokratia. Ma le
resistenze dell’ala più radicale di Syriza — dicono diverse fonti
elleniche — ha bloccato la deci- sione.
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Il premier ellenico vuole dare all’opposizione la presidenza della
Repubblica
DAL NOSTRO INVIATO FEDERICO FUBINI
NEW YORK. Al quarantesimo piano del palazzo di Morgan Stanley su
Ti- mes Square, i tremori dell’Europa arrivano attutiti, quasi
impercetti- bili. Vista da quassù, la moneta uni- ca sembra un dato
di fatto che la Grecia non può scalfire. James Gor- man —
australiano di Melbourne, nove fratelli e sorelle — si muove nel
suo ufficio di presidente e ammini- stratore delegato con la quieta
sod- disfazione di un banchiere uscito dalla tempesta. Due anni
dopo il suo arrivo in Morgan Stanley nel 2006, la banca rischiò di
sparire. Gorman ne ha preso le redini nel 2010, ha ta- gliato il
bilancio di un terzo e ora va- le metà del prodotto lordo dell’Ita-
lia. Lui ha ridotto il trading in pro- prio, troppo rischioso, e
puntato sul- la gestione dei conti per i clienti. A 55 anni, Gorman
ha abbandonato la boxe per il canottaggio. È un leader di Wall
Street di nuova generazio- ne, stessa energia ma minore ag-
gressività.
È in grado di garantire che Wall Street è cambiata e non può più
provocare una crisi come nel 2008? «Mi hanno fatto questa
domanda
anche al Charlie Rose Show e ho ri- sposto che la probabilità che
una cri- si del genere ritorni per la durata della mia vita è quasi
zero. Qualcu- no disse che forse non avrei avuto una vita molto
lunga. Dire che è im- possibile sarebbe presuntuoso, ma che sia
straordinariamente impro- babile è un dato di fatto. Il sistema
bancario vive o muore della liqui- dità e del capitale che ha. E la
tra- sformazione delle banche globali, dal punto di vista della
regolamen- tazione e dell’aumento della liqui- dità e del capitale,
è sbalorditiva. Mi è molto difficile immaginare uno scenario di
crisi come quella che ab- biamo avuto, oggi e nel futuro pre-
vedibile: cioè nei prossimi cinque o dieci anni».
Eppure il debito nel sistema fi- nanziario globale è cresciuto, da
70 mila miliardi di dollari nel 2008 a 100 mila miliardi. Le banche
avevano più capi- tale persino alla vigilia della Grande
Depressione. E certi colossi di Wall Street sono di- ventati più
grandi che nel 2008, se si guarda ai bilanci. «Non puoi guardare
alla dimen-
sione del bilancio come a un baro- metro di solidità, perché gli
attivi non sono tutti uguali. Detenere ti- toli del Tesoro ameri-
cano è diverso da avere un por- tafoglio di fi- nanziamenti auto
subprime di bassis- sima qualità. E puoi non trarre analogie
semplicistiche tra ciò che è successo nella Grande De- pressione,
ciò che è successo nel 2008 e ciò che potrebbe succedere in futuro.
Devi guardare non solo ai livelli di capitale o di liquidità, ma
an- che a fronte di quali attivi le banche detengono il loro
capitale. E nella vasta maggioranza dei casi,
la qualità degli attivi è notevolmen- te diversa da com’era durante
la cri- si finanziaria».
Quando in ottobre 2008 il Te- soro Usa diventò primo azio- nista
delle grandi banche, i banchieri urlarono e prote- starono. Con il
senno di poi, davvero fu una cattiva idea? «Non lo fu affatto. Fu
coraggiosa,
fu innovativa, fu originale. Fu ad ampio raggio: fatto non per
qualche banca in particolare, ma su tutte le principali. E fu
istantanea. Portò con sé un’azione punitiva, limitan- do i margini
con cui i manager pote- vano pagare sé stessi finché avesse- ro
avuto capitale pubblico. Inoltre richiedeva di pagare di fatto un
ele- vato dividendo annuale al governo e ai contribuenti. Nel
complesso ho trovato quella mossa brillante, in realtà».
Lo pensò anche allora? «Pensai che fosse brillante. E lo
penso ancora». I suoi colleghi banchieri la ve- devano
diversamente. «Non è così che formo le mie opi-
nioni. Le formo in base a ciò che pen- so e se altri sono d’accordo
o no, non c’entra niente. Quello fu un segnale che il governo
faceva sul serio. Ci sta- va dicendo che difendeva il sistema
finanziario, ma noi dovevamo darci da fare. Se le banche volevano
rim- borsare il Tesoro per metterlo fuori, dovevano trovare
capitale».
È sostenibile una ripresa ame- ricana così dominata dall’1% più
ricco, la fascia che benefi- cia di più delle iniezioni di li-
quidità della Federal Reser- ve? «C’è la percezione che tenendo
in
vita le banche e sostenendo la ripre- sa con il quantitative easing
(QE, ndr) della Fed, si beneficia l’1%. Certo alcuni in quell’1%,
banchieri inclusi, sono stati aiutati delle mos- se delle autorità.
Ma così è stato per i nostri 56 mila dipendenti. Così è stato per
tutti i negozi, i lucida-scar- pe e i venditori di hot dog intorno
al nostro palazzo. Così è stato per tutti
coloro di cui gestiamo il denaro o a cui prestiamo. La Fed ha agito
nel- l’interesse più ampio: non per l’1%, per il 100%».
Eppure voi banchieri attirate ancora molta diffidenza. «Qualunque
cosa uno possa pen-
sare dei banchieri, non sottovalu- tiamo il ruolo delle banche.
Sono es- senziali per il funzionamento della società. Prendono
denaro da chi ha un surplus di risparmio e lo danno a chi cerca di
costruire e crescere a credito, pagando un interesse».
L’Europa e il Giappone resta- no deboli, la Cina rallenta. L’e-
conomia globale può reggersi sul solo motore dell’America? «C’è più
di un motore: ce ne sono
tre, uno americano e due cinesi. L’e- conomia della Cina ora ha
rallenta- to a una crescita del 7% ma ha le stesse dimensioni di
quella ameri- cana. Quando cresceva al 10% era molto più piccola.
Ora è come l’A- merica, salvo che cresce due volte di più. È
l’equivalente di avere nel mondo tre economie americane che
viaggiano al 3%. È un risultato straordinario».
Cosa pensa che accadrà in Eu- ropa? «Ci sono tre esiti possibili.
Uno
chiaramente è l’implosione dell’eu- ro e dell’Unione
europea».
Che probabilità ha? «Basse. Il secondo è un declino
inesorabile a causa dei problemi strutturali e dell’assenza di
cresci- ta, soprattutto in Europa meridio- nale. Questioni che
hanno a che fa- re con la crescita della popolazione e
l’immigrazione. Il terzo esito pos- sibile è che le riforme
strutturali, benché modeste, iniziano e nel prossimo decennio o due
l’Europa gradualmente si rimette in linea. Io resto positivo, anche
per il Sud Eu- ropa».
Qual è lo scenario più proba- bile? «Non credo che sia l’una cosa
o
l’altra. Ci sarà una costante pressio- ne verso la rottura, che io
credo al- tamente improbabile per ragioni che superano
l’economia».
Rottura improbabile, Grecia inclusa? «Grecia inclusa. Ma se un
Paese
dovesse lasciare l’Unione non sa- rebbe la fine dell’Unione e credo
più alta la probabilità che la Grecia ri- strutturi il debito.
Detto questo, parti dell’Europa sono in declino inesorabile,
soprattutto a Sud. Non puoi avere Paesi in cui troppo poche persone
lavorano per sostenerne troppe in pensione. Matematica- mente, non
funziona».
L’Italia conta più per il suo export o per il suo debito? «L’Italia
resta una
forza molto significati- va, un centro di innova- zione e
produzione di be- ni di qualità, esportabili su vasta scala. Un
modo per liberare la sua cre- scita varrebbe anche per il Giappone:
creare incentivi finanziari per affrontare il problema del numero
delle nasci- te».
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“Atene non farà saltare l’euro l’Italia può tornare a crescere ma
deve incentivare le nascite”
FOTO: REUTERS
L’intervista James Gorman, presidente e ceo di Morgan Stanley: “Usa
e Cina traineranno l’economia mondiale. Wall Street ha capito la
lezione”
315 mld IL DEBITO
La Grecia ha un debito di 315 miliardi, il 175 % del Pil, non si
parla di rinegoziazione, semmai di dilazione delle date di
rientro
18 LA DATA
Dopodomani, il 18 febbraio, la Bce deciderà cosa fare con la linea
di credito d’emergenza (Ela) destinata alle banche greche
1,5 % IL SURPLUS
La Grecia propone di ridurre, per il 2015, dal 3 all’1,5 % il
surplus di bilancio. Per il 2016 lo sconto dovrebbe essere dal 4,5
sempre all’1,5 %
65 mld LA BCE
Per ora la Bce ha aumentato a 65 miliardi la disponibilità
dell’Ela, ma della fattibilità della linea di credito si parlerà
mercoledì
I NUMERI
I BANCHIERI
Si può diffidare dei banchieri, le banche però sono essenziali per
la società
L’UNIONE MONETARIA
Se un Paese dovesse uscire non sarebbe la fine dell’Unione, ma il
debito greco sarà ristrutturato”
IL SUD EUROPA
Rischia un declino inesorabile: troppi in pensione rispetto a chi
lavora, così il sistema non regge
Negli Stati Uniti la discesa in campo del Tesoro in aiuto delle
banche ha funzionato
STATO E BANCHE
BANCHIERE
James Gorman, 55 anni, australiano, dal 2010 guida la banca
d’affari Morgan Stanley L’intervista in inglese è su
Repubblica.it
8 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 16 FEBBRAIO 2015
L’agronomo olandese che non deve far perdere petali all’euro Jeroen
Dijsselbloem, è noto per le gaffe. Ora deve negoziare con Tsipras
combinando il rigore nei conti con la tenuta della divisa
unica
za cappotto, solo con l’abito. A un giornalista tedesco che gli
domandò se sentisse freddo, lui rispose senza pensarci su due
volte: «No, figuriamoci. Ci sono altre cose che mi preoc- cupano,
come la crisi e la disoccupazione».
Dijsselbloem è fatto così. Prende le cose sul serio, sempre. Grande
differenza, questa, ri- spetto al suo predecessore Jean-Claude
Junc- ker, finito dall’Eurogruppo alla presidenza della Commissione
europea, e noto per le sue barzellette e i suoi scherzi. Sarà che
Dijssel- bloem è figlio di due insegnanti, ma «sa per- fettamente
quando bisogna essere veloci e co- me gestire le tavole rotonde»,
dice di lui un funzionario della Commissione Ue. I maligni, che non
sono pochi invero, dicono che lui ha imparato alla perfezione la
tecnica della rota- zione dei campi agricoli, perché oggi dice una
cosa, domani il contrario e così via. Un’ironia che nasce dal fatto
che Dijsselbloem è laurea- to in economia agricola e fra i suoi avi
ci sono diversi agronomi. Ma si tratta di una battuta che ha un
fondo di verità.
Il problema è nella comunicazione. «Parla
troppo e molto spesso a braccio», dice chi lo conosce da vicino.
Più si parla a braccio, più si rischiano le gaffe. Come l’ultima,
due settima- ne fa, durante il primo incontro con il mini- stro
greco delle Finanze Yanis Varoufakis. Do- po aver preso la parola
da Varoufakis, che ave- va appena dichiarato l’intenzione di non
voler più vedere la Troika composta da Fondo mo- netario
internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue
sul suolo greco, Dijsselbloem non è stato composto. Ha sussurrato
all’orecchio del collega ellenico «hai appena ucciso la Troika»,
facendosi bec- care dalle telecamere tramite il labiale. Una frase
che, secondo quanto riportano le indi- screzioni da Bruxelles, ha
fatto infuriare sia
Juncker sia il presidente della Bce Mario Dra- ghi sia il
cancelliere tedesco Angela Merkel. In tanti vorrebbero la testa di
Dijsselbloem, e già nei mesi scorsi si era fatto il nome di Luis de
Guindos, ministro spagnolo dell’Econo- mia, come suo possibile
sostituto.
La sfida maggiore per Dijsselbloem non è quella di rottamare la
Troika, bensì effettuare quel maquillage tale da renderla
politicamen- te accettabile dal governo greco guidato da Alexis
Tsipras. Un compito non facile, ma che dovrà essere portato a
compimento entro og- gi, data del vertice dell’Eurogruppo che deve
decidere il destino di Atene. Questo perché senza un accordo fra
Atene e Bruxelles, il fu- turo finanziario della Grecia potrebbe
essere compromesso. Il 28 febbraio infatti scade l’estensione di
due mesi del programma di salvataggio negoziata dal predecessore di
Tsi- pras, Antonis Samaras. «O la va o la spacca», ha detto
Dijsselbloem alla vigilia dell’incon- tro con Varoufakis. Del
resto, l’olandese sa che siede su una poltrona sempre più
scomoda.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
U n gaffeur di razza. Questo è Jeroen Dijsselbloem. Appena seduto
sulla poltrona di capo dell’Eurogruppo, il
consesso dei ministri finanziari dell’area euro, la fece grossa.
«Cipro? È un modello», disse nei giorni in cui per la prima volta
si applica- vano i controlli sui capitali ciprioti e si effet-
tuava il salvataggio del Paese colpendo gli ob- bligazionisti delle
banche. Parole che fecero infuriare gli investitori internazionali
e che portarono a una massiccia ondata di vendite sul mercato
azionario europeo. Parole che gli valsero il soprannome di
«Dijsselblood», da- to dal Financial Times, perché «ogni volta che
apre bocca, il sangue scorre sui mercati». E oggi l’olandese
Dijsselbloem è diventato l’uo- mo che deve salvare Atene. Delle due
l’una: o salta Atene o salta lui.
Quando fu nominato come presidente del- l’Eurogruppo era il 21
gennaio 2013 e a Bru- xelles il freddo era pungente, come spesso
ac- cade. Ma lui, olandese di Eindhoven, era sen-
Faccia a faccia Jeroen Dijsselbloem (Eurogruppo) e Alexis Tsipras,
premier greco
Parla troppo. Di lui il Financial Times ha scritto: ogni volta che
apre bocca, il sangue scorre sui mercati
1 Chi è il capo dell’Eurogruppo
DI FABRIZIO GORIA
Il debito ellenico
L’Europa alla tedesca: rischi condivisi (ma i vantaggi corrono a
senso unico)
A inizio 2010 il debito pubblico greco era di 330 miliardi di euro
(circa il 150% del Pil), oggi è di 316 miliardi di euro (circa il
180%
del Pil). A parte lo scoraggiante incremento del rapporto tra
debito e Pil, è dal punto di vista della ripartizione dei rischi
nell’Eurozona che sono ac- cadute le cose più rilevanti. In 5 anni
la Troika ha infatti mutualizzato sull’Eurozona i rischi di due
terzi del debito pubblico greco portandone oltre 140 miliardi
presso l’Efsf (l’ex Fondo Salva-Stati), oltre 50 sul Glf (il conto
dei prestiti bilaterali tra governi dell’Eurozona e Grecia) e quasi
30 in Bce.
Il punto è come mai è stato possibile trovare una soluzione di
mutualizzazione dei rischi in questa Europa che oramai da tempo
opera per una loro nazionalizzazione. La risposta è già vista. Si
doveva consentire alle banche franco-tedesche di scaricare i propri
rischi sui governi dell’Eurozona e «scansare» così le perdite dei
propri investimen- ti. Il primo intervento del 2010 trasferisce de
facto una buona parte dei rischi dalle banche ai rispetti- vi
governi e banche centrali (tramite la Bce); il se- condo
intervento, quello del 2012, salva i crediti di governi e banche
centrali, e dimezza il valore del debito pub- blico detenuto da
banche ed in- vestitori greci. Insieme al- l’inutile austerità, il
popolo greco ha quindi subito oltre 70 miliardi di perdite e la
polverizzazione del suo si- stema bancario.
Giusto per dare un’idea del trasferimento dei ri- schi: l’Italia
che a mala pe- na come sistema bancario era esposta prima dei due
interventi per meno di due miliardi, oggi come Stato è esposta per
quasi 40 trami- te Efse, Glf e Bce; la Spagna passa da un miliardo
come banche a circa 25 miliardi.
Altra questione non irri- levante, dal punto di vista dei rischi,
il debito nel 2010 era per la gran parte di di- ritto nazionale; in
altri ter- mini la Grecia con una de- cisione politica poteva di-
screzionalmente abbatterlo di valore arrecando danni ai suoi
detentori. Oggi è nella quasi totalità di diritto estero. In altri
termini pure se la Grecia dovesse uscire dall’euro non potrebbe
ripagarlo con nuove dracme svalutate. E le statistiche dell’ultimo
secolo dicono che quando il debito di diritto estero supera il 70%
del Pil si va incontro al default. Eppure il governo Tsipras non
chiede ai creditori un default, ma di intervenire sulla porzione di
debito mutualizzato rendendolo in parte irredimibile (per la quota
Bce) ed in parte
con interessi ancorati al Pil (per la parte Efsf). Si mira nel
breve termine ad azzerare la spesa per in- teressi per finanziare
(con il supporto dell’avanzo primario) pressoché integralmente la
doverosa manovra espansiva annunciata in campagna elet- torale. Se
la Grecia dovesse far «saltare il banco» non pagando i propri
debiti non sarebbe impro- prio dire che farebbe saltare l’Efsf;
tutti gli Stati
membri si troverebbero così a dover con- tabilizzare le perdite del
Fondo oltre
alle proprie; per l’Italia sarebbe un problemino da 20 miliardi
e
per la Germania da 25. Per ridurre il margine di
trattativa, i risk strategist teutonici non a caso con il
Quantitative Easing del 22 gennaio prevedono un cen- tinaio di
miliardi per com- prare titoli dell’Efsf. In- somma si vuole essere
sicu- ri che nel caso in cui il Fon- d o « s a l t i » c i s i a n
o l e risorse, bypassando possi- bili sorprese di qualche Stato
membro.
La Germania sul moni- toraggio dei rischi ha pro- prio una marcia
in più nel cercare soluzioni europee ogni qualvolta serve. Gre- cia
a parte, il capolavoro (per chi l’avesse dimentica- to) furono i
1.000 miliardi di euro di prestiti Ltro; per oltre la metà hanno
consen- tito alle banche dei paesi pe-
riferici di ripagare i loro de- biti verso le banche tedesche
trasferendo così i rischi dai pri- vati all’Eurosistema.
D’altronde
sulla gestione dei rischi c’è un altro grande maestro: il mondo
anglosassone. Sarà un caso ma l’andamento crescente dei prestiti
ellenici del Fondo monetario internazionale (oggi pari a 44
miliardi di euro) corrisponde ad una completa uscita delle banche
Usa e Regno Unito dal «pro- blema Grecia» giusto prima dell’haircut
del 2012.
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I prestiti sono serviti per scaricare sugli Stati dell’Unione
le
esposizioni delle banche francesi
e tedesche
Paragoni sbagliati
No, non siamo simili alla Grecia Basta guardare l’export per
capirlo
I n un’intervista televisiva della scorsa setti- mana, il ministro
delle Finanze del nuovo governo Greco, Yanis Varoufakis, ha
di-
chiarato che l’Italia e la Grecia hanno molte si- militudini. In
particolare, che il debito italiano sarebbe a rischio quanto quello
greco in quan- to poco sostenibile.
Ora, è a tutti noto che il debito italiano è, in valore assoluto,
il terzo del mondo dopo quello giapponese e quello americano. E
tutti sanno che in Europa il nostro rapporto debito/Pil è secondo
solo alla Grecia. Questi due elementi porterebbero a dire che sì,
effettivamente, noi siamo a rischio quanto la Grecia.
Attenzione però, le similitudini si fermano qua e ci sono almeno
due elementi importanti da considerare. Il primo è che l’Italia è
stata in grado, finora, di avere consistenti avanzi pri- mari per
un periodo molto prolungato di tem- po. Dal 1995 ad oggi, l’avanzo
primario medio italiano in rapporto al Pil è stato del 2 per cen-
to e soltanto nel 2009 si è registrato un disa- vanzo. In altre
parole l’Italia ha dimo- strato per 20 anni la capacità di fi-
nanziare il proprio debito, an- c h e s e n o n l o h a f a t t o
scendere: oggi il debito è più alto di allora
La storia della Grecia è molto diversa. Negli ulti- mi 8 anni,
periodo nel quale sono disponibili i dati dal sistema statistico
della Commissione euro- pea, Atene ha registrato un disavanzo medio
del 2,4 per cento e solo con i dati del 2014 si vedrà fi- nalmente
un avanzo di bilancio. Questo significa che il debito è cresciuto
sia per la bassa perfor- mance del Pil, sia per una finanza
pubblica non in equilibrio.
Ma l’elemento da sot- tolineare è soprattutto un altro. Se si
guarda al modello di business della Grecia e a quello dell’Ita-
lia, si vede che i due paesi non potrebbero essere più
dissimili.
Un modo per misurarlo è esaminare la composizione del- l’export. In
base agli ultimi dati disponi- bili, la Grecia esporta ormai
prevalentemente materie prime (per quasi il 40 per cento del to-
tale delle esportazioni) e prodotti alimentari (circa il 17 per
cento). L’Italia invece esporta macchinari per il 40 per cento e
prodotti chi- mici per un altro 14 per cento. Come dire: in
un
caso (la Grecia) la composizione dell’export assomiglia più a
quella di un paese in via di sviluppo che non a quello di
un’economia avanzata, in quanto i prodotti esportati hanno poco
contenuto tecnologico e di valore aggiun- to. Viceversa l’Italia
riesce a penetrare i mer- cati internazionali attraverso beni più
sofisti- cati, dove la concorrenza è con i grandi produt-
tori di tecnologie: tedeschi, francesi, giapponesi,
americani.
La questione greca non è al- lora solo quella di gestire la
grande massa di debito pubblico accumulato in questi anni, quanto
quel- la di individuare delle fonti di crescita che diano una
prospettiva di lungo periodo. Un paese con meno di 10 milioni di
abi- tanti che hanno un pote- re di acquisto contenuto deve cercare
all’esterno le risorse per crescere e per farlo deve trovare la sua
nicchia di specializzazio- ne.
Su una cosa però la Grecia e l’Italia forse si assomigliano, ed è
la mancanza di merito e ef- ficienza nel settore pub- blico. Per
entrambi i pae- si, queste carenze sono un freno alla capacità di
portare avanti le riforme
e creano una generale sfi- ducia sull’apparato pubbli-
co. La sensazione da questa parte dell’Atlantico è che l’Ita-
lia stia facendo, su questo fronte, passi indietro. Ed è un peccato
in un
momento in cui si stanno allineando molti fat- tori positivi per la
nostra economia.
*| Director, Global Business and Economics Washington
Councils
@montaninoUSA © RIPRODUZIONE RISERVATA
ECONOMIE A CONFRONTO
Minerali e materie prime
S. A.
Grecia Italia
DI MARCELLO MINENNA DI ANDREA MONTANINO* IN PORTAFOGLIO
L’esposizione dei vari Paesi verso il debito greco. In miliardi di
euro
Francia Germania ITALIA SpagnaFrancia Germania ITALIA Spagna
50
40
30
20
10
0
S. A
Primo piano
8 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 16 FEBBRAIO 2015
L’agronomo olandese che non deve far perdere petali all’euro Jeroen
Dijsselbloem, è noto per le gaffe. Ora deve negoziare con Tsipras
combinando il rigore nei conti con la tenuta della divisa
unica
za cappotto, solo con l’abito. A un giornalista tedesco che gli
domandò se sentisse freddo, lui rispose senza pensarci su due
volte: «No, figuriamoci. Ci sono altre cose che mi preoc- cupano,
come la crisi e la disoccupazione».
Dijsselbloem è fatto così. Prende le cose sul serio, sempre. Grande
differenza, questa, ri- spetto al suo predecessore Jean-Claude
Junc- ker, finito dall’Eurogruppo alla presidenza della Commissione
europea, e noto per le sue barzellette e i suoi scherzi. Sarà che
Dijssel- bloem è figlio di due insegnanti, ma «sa per- fettamente
quando bisogna essere veloci e co- me gestire le tavole rotonde»,
dice di lui un funzionario della Commissione Ue. I maligni, che non
sono pochi invero, dicono che lui ha imparato alla perfezione la
tecnica della rota- zione dei campi agricoli, perché oggi dice una
cosa, domani il contrario e così via. Un’ironia che nasce dal fatto
che Dijsselbloem è laurea- to in economia agricola e fra i suoi avi
ci sono diversi agronomi. Ma si tratta di una battuta che ha un
fondo di verità.
Il problema è nella comunicazione. «Parla
troppo e molto spesso a braccio», dice chi lo conosce da vicino.
Più si parla a braccio, più si rischiano le gaffe. Come l’ultima,
due settima- ne fa, durante il primo incontro con il mini- stro
greco delle Finanze Yanis Varoufakis. Do- po aver preso la parola
da Varoufakis, che ave- va appena dichiarato l’intenzione di non
voler più vedere la Troika composta da Fondo mo- netario
internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue
sul suolo greco, Dijsselbloem non è stato composto. Ha sussurrato
all’orecchio del collega ellenico «hai appena ucciso la Troika»,
facendosi bec- care dalle telecamere tramite il labiale. Una frase
che, secondo quanto riportano le indi- screzioni da Bruxelles, ha
fatto infuriare sia
Juncker sia il presidente della Bce Mario Dra- ghi sia il
cancelliere tedesco Angela Merkel. In tanti vorrebbero la testa di
Dijsselbloem, e già nei mesi scorsi si era fatto il nome di Luis de
Guindos, ministro spagnolo dell’Econo- mia, come suo possibile
sostituto.
La sfida maggiore per Dijsselbloem non è quella di rottamare la
Troika, bensì effettuare quel maquillage tale da renderla
politicamen- te accettabile dal governo greco guidato da Alexis
Tsipras. Un compito non facile, ma che dovrà essere portato a
compimento entro og- gi, data del vertice dell’Eurogruppo che deve
decidere il destino di Atene. Questo perché senza un accordo fra
Atene e Bruxelles, il fu- turo finanziario della Grecia potrebbe
essere compromesso. Il 28 febbraio infatti scade l’estensione di
due mesi del programma di salvataggio negoziata dal predecessore di
Tsi- pras, Antonis Samaras. «O la va o la spacca», ha detto
Dijsselbloem alla vigilia dell’incon- tro con Varoufakis. Del
resto, l’olandese sa che siede su una poltrona sempre più
scomoda.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
U n gaffeur di razza. Questo è Jeroen Dijsselbloem. Appena seduto
sulla poltrona di capo dell’Eurogruppo, il
consesso dei ministri finanziari dell’area euro, la fece grossa.
«Cipro? È un modello», disse nei giorni in cui per la prima volta
si applica- vano i controlli sui capitali ciprioti e si effet-
tuava il salvataggio del Paese colpendo gli ob- bligazionisti delle
banche. Parole che fecero infuriare gli investitori internazionali
e che portarono a una massiccia ondata di vendite sul mercato
azionario europeo. Parole che gli valsero il soprannome di
«Dijsselblood», da- to dal Financial Times, perché «ogni volta che
apre bocca, il sangue scorre sui mercati». E oggi l’olandese
Dijsselbloem è diventato l’uo- mo che deve salvare Atene. Delle due
l’una: o salta Atene o salta lui.
Quando fu nominato come presidente del- l’Eurogruppo era il 21
gennaio 2013 e a Bru- xelles il freddo era pungente, come spesso
ac- cade. Ma lui, olandese di Eindhoven, era sen-
Faccia a faccia Jeroen Dijsselbloem (Eurogruppo) e Alexis Tsipras,
premier greco
Parla troppo. Di lui il Financial Times ha scritto: ogni volta che
apre bocca, il sangue scorre sui mercati
1 Chi è il capo dell’Eurogruppo
DI FABRIZIO GORIA
Il debito ellenico
L’Europa alla tedesca: rischi condivisi (ma i vantaggi corrono a
senso unico)
A inizio 2010 il debito pubblico greco era di 330 miliardi di euro
(circa il 150% del Pil), oggi è di 316 miliardi di euro (circa il
180%
del Pil). A parte lo scoraggiante incremento del rapporto tra
debito e Pil, è dal punto di vista della ripartizione dei rischi
nell’Eurozona che sono ac- cadute le cose più rilevanti. In 5 anni
la Troika ha infatti mutualizzato sull’Eurozona i rischi di due
terzi del debito pubblico greco portandone oltre 140 miliardi
presso l’Efsf (l’ex Fondo Salva-Stati), oltre 50 sul Glf (il conto
dei prestiti bilaterali tra governi dell’Eurozona e Grecia) e quasi
30 in Bce.
Il punto è come mai è stato possibile trovare una soluzione di
mutualizzazione dei rischi in questa Europa che oramai da tempo
opera per una loro nazionalizzazione. La risposta è già vista. Si
doveva consentire alle banche franco-tedesche di scaricare i propri
rischi sui governi dell’Eurozona e «scansare» così le perdite dei
propri investimen- ti. Il primo intervento del 2010 trasferisce de
facto una buona parte dei rischi dalle banche ai rispetti- vi
governi e banche centrali (tramite la Bce); il se- condo
intervento, quello del 2012, salva i crediti di governi e banche
centrali, e dimezza il valore del debito pub- blico detenuto da
banche ed in- vestitori greci. Insieme al- l’inutile austerità, il
popolo greco ha quindi subito oltre 70 miliardi di perdite e la
polverizzazione del suo si- stema bancario.