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Aggiornamento Piano d’Ambito dell’A.T.O. di Bergamo
Inquadramento territoriale
Capitolo 1
1
1 Inquadramento territoriale
I contenuti espressi nel presente capitolo permettono di collocare il tema delle risorse idriche all’interno di un più
ampio scenario con lo scopo di approfondire gli argomenti che possono influire sulla correttezza della scelta delle
opere del servizio idrico integrato in rapporto al raggiungimento degli obiettivi di qualità per l’ambiente.
L’illustrazione delle caratteristiche morfologiche, geologiche e idrogeologiche del territorio dell’A.T.O. di Bergamo
costituisce quindi una parte preliminare che serve essenzialmente per individuare il contesto di applicazione del
Piano d’Ambito e si basa su studi già esistenti ed in particolar modo il PTCP della Provincia di Bergamo
(deliberazione consiliare n. 40 del 22.04.2004) che contiene analisi molto approfondite su tutti gli aspetti del
territorio.
Di seguito si ritiene opportuno riportare le informazioni salienti e funzionali all’inquadramento del Piano d’Ambito
per gli aspetti morfologici, geologici, idrogeologici, insediativi, produttivi e per le componenti più propriamente
legate alla qualità della risorsa idrica. Per una trattazione più dettagliata di questi argomenti si rimanda alla
documentazione ufficiale del PTCP, tutt’ora disponibile sul sito della Provincia di Bergamo, alla Carta Geologica
Provinciale disponibile su supporto informatico presso il settore Pianificazione Territoriale ed al Progetto CARG
(CARtografia Geologica) a cura di ISPRA con la collaborazione di Regione Lombardia.
1.1 Caratteristiche morfologiche
Il territorio dell’ATO di Bergamo, nella configurazione dei limiti amministrativi provinciali, si estende per una
superficie di 2.746 km2 secondo l’ultimo censimento ISTAT e dal punto di vista morfologico può essere suddiviso
in tre fasce altimetriche: il settore settentrionale montuoso, una ridotta fascia pedemontana collinare ed il
territorio di pianura. Il motivo di tali allineamenti orografici è dovuto all’assetto geologico-strutturale dell’area che
condiziona in larga misura la fisiografia del territorio.
Fascia montana
La zona occupa il 64% della superficie e comprende i rilievi della catena orobica bergamasca identificabili nella
parte settentrionale della provincia. In corrispondenza di questa fascia si sviluppano da Ovest verso Est le valli
principali: Val Brembana, Val Seriana, Val Cavallina e le valli minori: Valle Imagna, Val di Scalve, Val Serina e Val
Taleggio.
All’interno di questa fascia si possono distinguere due aree:
Zona settentrionale che presenta le caratteristiche dell’ultima glaciazione pleistocenica (würmiana): depositi
morenici; valli caratterizzate da una “sezione ad U”; circhi glaciali (depressioni ad anfiteatro chiuse a valle dalla
roccia), che ospitano spesso un laghetto naturale (lago del Barbellino).
Zona a sud della linea Valtorta–Valcanale (insieme di faglie rappresentate in Figura 1.2.8), con caratteristiche
differenti, elevazioni più basse delle precedenti, rilievi formati da rocce di natura ed età diversa dalle precedenti.
La composizione è prevalentemente calcarea e dolomitica, mancano i laghetti naturali ed artificiali, lo scorrimento
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di acque superficiali, diffuso nell’area precedente si dirada e tende a concentrarsi in un minor numero di aste
fluviali e torrentizie più gerarchizzate; questo avviene per via dell’affioramento della roccia carbonatica che
assorbe le acque di precipitazione convogliandole in fratture verso un tipo di circolazione sotterranea per cui le
acque non si accumulano e defluiscono in profondità. In quest’area si imposta una notevole circolazione
sotterranea e quando gli acquiferi vengono a contatto con rocce impermeabili si possono creare zone di
risorgenza come la sorgente Nossana che, con una portata media annua tra i 900 e i 1.500 l/s, risulta una delle
principali fonti di approvvigionamento idrico del territorio ed è sfruttata dall’acquedotto di Bergamo come verrà
descritto nel capitolo 2.
In quest’area vi è inoltre una netta asimmetria in senso nord-sud dei versanti dei rilievi carbonatici dovuta a cause
geologiche. Il versante settentrionale è molto ripido, mentre il versante meridionale degrada blandamente verso
sud formando superfici inclinate uniformi e regolari.
I fiumi inoltre hanno uno sviluppo in senso nord-sud mentre nella precedente zona avevano decorso est-ovest.
Da richiamare infine in questa fascia alcune morfologie particolari: la Conca di Clusone, bacino imbrifero
originatosi da complesse vicende tettoniche, la cui depressione è stata colmata durante il quaternario da una
serie di depositi terrigeni che le conferiscono l’attuale aspetto; le forre profondamente incassate, quali l’orrido di
Bracca e la parte terminale della Valle Taleggio, prodotte da torrenti secondari che attraversano il corpo roccioso
della dolomia principale.
Fascia pedemontana:
Andando verso sud si trova una fascia collinare che si estende per 70 km in larghezza, dall'Adda al lago di Iseo
con una superficie del 12% che comprende la Val San Martino, i Colli di Bergamo e la Valcalepio.
Elementi salienti del paesaggio sono:
Lago Sebino, che ha una superficie di 61 km2, livello dell’acqua a 186 m ed il fondale depresso di 66 m
rispetto al livello del mare formato da sedimenti terrigeni;
Lago di Endine, il secondo lago naturale per estensione del territorio provinciale, il livello dell’acqua è a 334
m e la profondità massima è di 9,4 m. Si tratta di un invaso più modesto, raccolto in una depressione
formatasi in seguito al movimento del ghiacciaio camuno;
Paleolago poi colmato da sedimenti terrigeni, fluviali e lacustri, che formano oggi il ripiano di Casnigo-Leffe-
Gandino sovrastante di 100 m l’attuale alveo del Serio. La zona, sfruttata per l’estrazione di lignite ed argilla
è antropizzata in modo intensivo.
La fascia pedemontana e dei rilievi più direttamente prospicente la pianura è formata da rocce più recenti della
dolomia principale, in particolar modo carbonatiche, che vengono utilizzate come pietra da calce e da cemento o
per granulati che ha permesso la nascita di fiorenti industrie estrattive.
Manca una fascia collinare vera e propria infatti si conserva un dislivello di 1.000 m sulla quota di pianura che in
linea d’aria dista solo 5 km. Questa zona è dunque un’appendice terminale della catena prealpina dove il
passaggio dalla zona montana alla pianura avviene in uno spazio molto ristretto. Questo ha una giustificazione
geologica infatti la catena orobica non finisce al limite dei rilievi ma prosegue verso sud, sepolta sotto ghiaie e
sabbie che si sono depositate negli ultimi 5 – 6 milioni di anni. Il substrato profondo mostra infatti deformazioni
simili a quelle visibili nella parte emersa ed è ricoperto da sedimenti che si inspessiscono via via verso sud.
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Bassa pianura:
Questa fascia rappresenta il 24% dell’intero territorio ed è caratterizzata da un lembo settentrionale di pianura
padana a morfologia pianeggiante individuata con la terminologia “Livello fondamentale della pianura”. L’area è
relativamente uniforme e l’origine della sua morfologia è dovuta ai depositi fluvioglaciali che si sono accumulati
sul fronte dei ghiacciai pleistocenici e all’azione del reticolo idrografico.
La topografia naturale di quest’area individuata anche come “Pianura bergamasca” è stata localmente modificata
negli ultimi decenni soprattutto dall’apertura di numerose cave di ghiaia e sabbia, spesso di grandi dimensioni che
penetrano quasi sempre entro la falda freatica.
Il sottosuolo della pianura è ricco di acque che impregnano le alluvioni a varie profondità, esse traggono alimento
in parte dalle precipitazioni meteoriche ed in parte dalla dispersione nel sottosuolo dei corsi d'acqua superficiali
naturali o artificiali. Per questo motivo nel sottosuolo vi sono falde acquifere, poste a varia profondità, soggette
ad un fortissimo emungimento realizzato attraverso numerosi pozzi profondi anche più di 100.
Al limite meridionale del territorio l'emergenza della falda freatica al passaggio tra l'alta pianura prevalentemente
ghiaiosa e la bassa pianura prevalentemente sabbiosa, determina una fascia di sorgenti comprese tra le quote
160 e 75 metri, denominate fontanili. La portata dei fontanili varia nel tempo in funzione delle precipitazioni,
dell'apporto dei corsi d'acqua e soprattutto del livello della falda freatica che si va continuamente abbassando; per
questa ragione negli ultimi decenni il numero dei fontanili attivi si è ridotto e la loro portata tende a diminuire.
Tutti questi elementi brevemente descritti hanno inciso e tuttora incidono sulla possibilità insediativa e di sviluppo
della popolazione che possiede caratteristiche differenti a seconda della diversa morfologia del territorio. In
particolare nella pianura e nelle valli si assiste ad un’antropizzazione diffusa a scapito, nel secondo caso, dell’alveo
dei fiumi a cui viene sottratto sempre più spazio. L’aspetto morfologico del territorio ha quindi avuto da sempre
una conseguenza sulle opere di urbanizzazione connesse allo sviluppo, comprese quelle relative alla progettazione
e realizzazione delle infrastrutture del settore idrico.
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1.2 Caratteristiche geologiche e strutturali
1.2.1 Inquadramento geologico
Come già specificato, in questa sede si intende brevemente richiamare gli aspetti geologici di inquadramento
dell’Ambito, rimandando per una trattazione più approfondita ai seguenti documenti:
PTCP provincia di Bergamo
Carta geologica della Provincia di Bergamo
Progetto CARG Regione Lombardia
I rilievi della catena orobica bergamasca fanno parte di un settore strutturale più ampio denominato dal punto di
vista geologico Alpi meridionali o sudalpino, separato dal corpo principale delle Alpi attraverso la Linea insubrica,
una discontinuità tettonica costituita da un insieme di faglie collegate tra loro con orientamento est – ovest.
Le Alpi meridionali si sono formate dalla collisione tra le due placche continentali europea e adriatica (di
pertinenza africana) che cominciarono a ad avvicinarsi e scontrarsi tra 130 e 70 milioni di anni fa e rappresentano
il risultato dei processi di sottoscorrimento della crosta continentale africana sotto il margine alpino.
Rispetto all’edificio alpino a nord della Linea insubrica le Alpi meridionali presentano processi metamorfici
sviluppatisi più gradualmente e solo nelle porzioni strutturali più profonde, i sovrascorrimenti sono di minori
dimensioni e il movimento tettonico ha un senso orientato verso sud.
Il principale processo geologico che si verifica nelle montagne bergamasche è la sedimentazione che dà origine
ad un’evoluzione stratigrafica dove ad ogni tipo di sedimento corrisponde un preciso periodo geologico.
Le fasi del processo sedimentario (litificazione) sono varie e di lunga durata, si parte dall’alterazione delle rocce
preesistenti sulla superficie terrestre con formazione di detriti solidi e di sostanze in soluzione, si prosegue con
l’erosione e il trasporto del materiale detritico e di quello in soluzione ad opera di fiumi, venti, ghiacciai, gravità,
fino alla deposizione (sedimentazione) del materiale in ambienti diversi (continentale, marino) con formazione
della roccia (litificazione dei sedimenti) dovuta alla pressione esercitata da altri sedimenti che si accumulano via
via sopra di essi per finire con i processi chimico fisici tra i minerali che costituiscono il sedimento o tra questi e le
soluzioni circolanti nel sedimento stesso o i fluidi che lo circondano.
Le strutture dei bacini sedimentari sono la conseguenza di cicli geologici contraddistinti da innalzamenti ed
abbassamenti dei livelli marini: trasgressione e regressione. Durante la trasgressione il mare, per innalzamento
del suo livello, invade le terre in precedenza emerse; la successione dei sedimenti inizia con materiali clastici
(granuli) grossolani, derivati dal disfacimento della costa ancora vicina (conglomerati di base), seguiti man mano
che il livello del mare s’innalza, da sedimenti di mare più profondo (arenarie, argille e calcari). Durante la
regressione il mare si ritira dalle regioni prima coperte, in questa situazione avremo i conglomerati in cima alla
colonna stratigrafica e alla base le formazioni più profonde con sedimenti molto fini.
Il processo sedimentario è legato quindi all’approfondimento di un’area che passa da condizioni di sedimentazione
continentale a condizioni di sedimentazione marina durante la trasgressione, seguito da un successivo ritorno a
condizioni di sedimentazione di tipo continentale durante la regressione.
Le rocce sedimentarie affioranti nella catena bergamasca sono di età compresa tra il Permiano (290 – 250 milioni
di anni fa) e il Cretacico (140 – 70 milioni di anni fa) con una netta predominanza dei sedimenti carbonatici del
periodo Triassico (250 – 210) anni fa. Le successioni sedimentarie appoggiano in discordanza su un basamento
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cristallino che è quello delle Alpi meridionali, presente a nord del territorio in alcune limitate porzioni lungo lo
spartiacque con la Valtellina e in alcune finestre tettoniche più a sud. Il basamento è di origine metamorfica ed è
costituito da due principali unità litologiche, gneiss nella parte occidentale e scisti e filladi nella parte centro-
orientale, derivate dal metamorfismo di successioni arenacee e argillose depositatesi nel Paleozoico inferiore.
Si descrivono in modo sintetico le varie fasi del processo sedimentario con l’ausilio delle immagini disponibili nella
pubblicazione della carta Geologica della Provincia di Bergamo.
Figura 1.2.1 - Rocce metamorfiche ed intrusive formanti il Basamento Cristallino sudalpino, caratterizzato da eventi deformativi metamorfici di età più antica del Permiano.
PALEOZOICO
Carbonifero e Permiano
Figura 1.2.2 - Alla fine delle formazione delle montagne europee si formano i primi bacini sedimentari i cui depositi sono
riconoscibili nelle successioni rocciose che costituiscono la base della copertura sedimentaria delle montagne bergamasche. Al di
sopra del basamento cristallino affiorano in modo discontinuo alcuni livelli di conglomerati, contenenti clasti dello stesso
basamento. Questa formazione, denominata “Conglomerato basale” è ricoperta da una successione vulcanico-sedimentaria che
comprende prodotti vulcanici e sedimenti arenacei, argillosi e conglomeratici. Le rocce appartenenti a questo complesso insieme
di litotipi costituiscono la “Formazione del Collio” e testimoniano una forte attività tettonica e vulcanica, soprattutto in Alta Valle
Brembana, la porzione occidentale di affioramento della formazione. Le argille del Collio sono state poi trasformate dal
metamorfismo alpino nelle ardesie largamente utilizzate in edilizia. Altri corpi conglomeratici ricchi di clasti del basamento
cristallino affiorano nella parte più occidentale della provincia e costituiscono la “Formazione di Ponteranica”, un insieme di corpi
sedimentari a ventaglio (conidi alluvionali) che si scaricavano nei bacini lacustri del Collio. Ad un lungo periodo di mancata
sedimentazione ha fatto seguito la deposizione del “Verrucano Lombardo”, una sequenza di arenarie e conglomerati,
caratterizzati da un tipico colore rosso violaceo dovuto a fenomeni di intensa ossidazione; questa formazione costituirà poi le
Alpi meridionali. Le rocce metamorfiche sono ricoperte in discordanza da successioni sedimentarie la cui età parte dal Permiano
Inferiore. La parte più antica è rappresentata da successioni di natura terrigena e vulcanica deposte in ambienti continentali.
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MESOZOICO
Triassico inferiore e medio
Figura 1.2.3 - Il Trias inferiore (Scitico) è caratterizzato da rocce ancora in prevalenza terrigene di ambienti costieri e di bassa
profondità. Si instaura un’ampia piattaforma marina, sulla quale si depositano marne (calcari misti ad argille) arenarie, dolomie
oolitiche e siltiti. Tutti questi litotipi rientrano nella “Formazione del Servino” una delle poche avvenute nel triassico. Alla fine del
Triassico Inferiore in tutta la zona lombarda si verifica un’importante regressione che produce piccoli bacini chiusi all’interno dei
quali, in un clima arido per via dell’evaporazione delle acque, si depositano dolomie, gessi, carniole e anidriti raggruppate nella
“Formazione della Carniola di Bovegno”. Nel Trias medio Anisico, il livello del mare si approfondisce nuovamente dando origine
alla formazione di bacini a sedimentazione carbonatica (Calcare di Angolo), successivamente si depositano sedimenti di mare
più profondo, di composizione calcareo marnosa (Calcare di Prezzo, il cosiddetto marmo “nero venato”). Nel Trias Medio
Ladinico si individuano grandi banchi carbonatici (piattaforma del Calcare di Esino che costituisce la maggior parte dei rilievi
dolomitici delle Prealpi, Valle Brembana e massiccio della Presolana), separati da bacini allungati con sedimentazione prima di
tipo carbonatico-silicea, con intercalazioni di livelli tufici e successivamente di tipo terrigeno con arenarie e marne (Buchenstein,
Perledo Varenna, F. di Wengen).
Triassico Superiore
Figura 1.2.4 – Il Carnico presenta la maggiore differenziazione litologica della successione triassica. Nei settori più meridionali
delle Prealpi prevalgono le successioni arenaceo-siltose fluviali-deltizie e marine-transizionali (Arenarie di Val Sabbia 25,
Formazione di Gorno 26), in quelli più settentrionali persistono le piattaforme carbonatiche (Formazione di Breno, 23) che
contengono importanti e utili mineralizzazioni oggi riscontrabili nella zona della Presolana. Alla fine del Carnico si conclude il
secondo ciclo sedimentario del Triassico con la deposizione, in un ambiente di piana alluvionale, delle arenarie, argilliti e
dolomie evaporitiche della “Formazione di San Giovanni Bianco”. Durante l’inizio del Norico al di sopra delle piane alluvionali del
San Giovanni Bianco si imposta un’estesissima piattaforma carbonatica (formazione della Dolomia Principale, 29) che ricopre in
modo uniforme la zona sudalpina ed è presente in tutta la fascia centro-meridionale del territorio bergamasco. Inizia una fase
di subsidenza legata all’inizio dei processi di distensione (rifting) ed assottigliamento della crosta terrestre. Alla fine del retico la
topografia viene uniformata da successioni terrigene (Argillite di Riva di Solto) e in seguito da successioni marnoso-calcaree
(Calcare di Zu) nella cui parte alta sono presenti spessi banchi carbonatici che preludono ad un ritorno delle condizioni di
sedimentazione carbonatica. La Dolomia Principale è separata da lagune e bacini anossici (calcari, dolomie del Calcare di
Zorzino, Dolomia Zonate,30,31 ed argilliti nere dell’Argillite di Riva di Solto, 32).
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Giurassico
Figura 1.2.5 – I sedimenti depostisi durante il Giurassico fanno parte di un unico grande ciclo sedimentario che si conclude nel
successivo Cretacico. Caratteristiche di questo periodo sono le faune ad ammoniti, testimonianti un ambiente di mare aperto
(ambiente pelagico) e la diffusione di selce. È di questo litotipo del Giurassico che sono costituite le «pietre coti», largamente
utilizzate per affilare lame e coltelli di ogni genere. I sedimenti giurassici affiorano in una stretta fascia verticalizzata dai processi
tettonici, situata a ridosso della flessura frontale della catena. La base del Giurassico è caratterizzata dalla deposizione di calcari
selciferi ben stratificati con banchi di ostreidi Calcare di Sedrina. Si sviluppa inoltre la formazione del Rosso Ammonitico
Lombardo, composta da marne di colore rossastro e calcari rosati di aspetto nodulare ricche di ammoniti, sugli alti strutturali si
sviluppano invece successioni molto condensate di argille glauconitiche con un basso tasso di sedimentazione. Nel Giurassico
Medio (Dogger) si assiste alla deposizione di una delle formazioni più caratteristiche del Giurassico, quella delle Rediolariti,
costituita da fanghi derivanti dall’accumulo di microrganismi, comprendente una sequenza di selci rosse e verdi purissime. Il
Giurassico medio-superiore (Malm) si caratterizza per la presenza generalizzata di rocce ben stratificate calcaree fini, marnose e
silicee di ambiente oceanico (Oceano Ligure – Piemontese). La sedimentazione è caratterizzata dalla ricomparsa dei litotipi
marnoso-carbonatici costituiti da marne rosso mattone molto ricche di selce con presenza di opercoli di ammoniti costituiti da
materiale calcitico. La fine del giurassico è caratterizzata in tutta la Lombardia dalla sedimentazione di un fango calcitico
costituito da microorganismi con scheletro carbonatico che costituiscono la formazione della maiolica con calcari bianchi a grana
fine dal tipico aspetto porcellanaceo e abbondanti noduli di selce dovuti a microorganismi con scheletro siliceo.
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Cretacico
Figura 1.2.6 – Durante il cretacico si sviluppano i processi orogenici che porteranno alla formazione della catena alpina. Nel
sudalpino si verificano eventi compressivi di notevole entità. Le rocce sedimentatesi nel bacino lombardo testimoniano infatti la
formazione di un’avanfossa, ossia un bacino che si forma a fronte di una zona in cui si stanno impilando sovrascorrimenti.
L’abbassamento del bacino è infatti dovuto al carico litostatico prodotto dall’ispessimento crostale provocato da tali processi. Si
formano così le successioni costituite da depositi torbiditici (flysh) provenienti dal rimaneggiamento dei materiali erosi dalle zone
più interne in sollevamento. I Flysch sono complessi sedimentari composti da rocce detritiche che derivano dall’accumulo di
frammenti litici di altre rocce alterate, trasportati da agenti esogeni, quali le correnti di torbida che accumulano questi sedimenti
al piede della scarpata continentale formando conoidi costituite da materiale arenaceo-argilloso e in parte conglomeratico.
L’inizio del cretacico è caratterizzato dalla prosecuzione dei fanghi calcarei che costituiscono la maiolica. Questo tipo di
sedimentazione è poi interrotta da un episodio di stagnazione durante il quale si depongono argille nere ricche di materia
organica. Il primo corpo torbiditico di grandi dimensioni è rappresentato dalla formazione del Sass della Luna caratterizzato da
calcari marnosi di colore giallo cinereo facilmente sfaldabili. Con l’inizio del cretacico superiore si ritrovano i primi flysh silico-
clastici, ricchi di materiali silicei, alimentati da zone in erosione situate al di fuori del bacino sedimentario, come testimoniato
dalla presenza di clasti di minerali metamorfici legati all’orogenesi delle alpi occidentali. Il Cenomaniano è caratterizzato da una
forte attività tettonica sinsedimentaria, al di sopra dei depositi cenomaniani si dispone una complessa sequenza di torbiditi
arenaceo-pelitiche e marnose: Flysch di Colle Cedrina. Nel Coniaciano si diffondono ancora arenarie di composizione
silicoclastica, ricche di materiale siliceo e di colore grigio verdastro, litotipi utilizzati ampiamente nell’edilizia come testimonia il
colore degli antichi palazzi di Bergamo Alta. Del periodo Campaniano vi sono il conglomerato di Sirone costituito da ciottoli, il
Flysh di Bergamo e la pietra di Credaro costituiti da arenarie silicee e calcaree.
Cenozoico
La ricostruzione della storia geologica del territorio bergamasco più recente dopo la sua emersione Cenozoica è
piuttosto complessa ed estremamente frammentaria. Nella provincia di Bergamo non affiorano infatti successioni
di età compresa tra l'Eocene e il Miocene superiore.
Per una trattazione più approfondita si rimanda direttamente al PTCP e alla Carta Geologica Provinciale.
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1.2.2 Suddivisione strutturale del settore orobico
L’associazione e la geometria delle strutture tettoniche riconosciute nel settore bergamasco del sudalpino
consente di suddividere schematicamente il territorio bergamasco nelle seguenti zone.
Figura 1.2.7 – Carta Geologica della Provincia di Bergamo: AO Anticlinale Orobica - ATC Anticlinale Trabuchello – Cabianca - AC Anticlinale di Cedegolo
Zona del Basamento orobico: è il settore compreso tra il fianco destro idrografico della Valtellina e la Linea
Orobica (che attraversa il crinale nei pressi del Passo San Marco, di Foppolo e prosegue per l’Alta Valle Seriana
rifugio Curò), risulta quasi interamente al di fuori della provincia estendendosi principalmente lungo il versante
settentrionale delle Orobie che appartiene alle province di Sondrio e Como.
Zona delle Anticlinali Orobiche, ubicata nel settore settentrionale della provincia di Bergamo a sud della zona
precedente delimitata a nord dalla linea orobica e a sud dalla linea Valtorta -Valcanale. Questa è un piano di faglia
immergente ripidamente verso sud al di sopra del quale sono accavallate unità tettoniche costituite da rocce di
formazione triassica. Il settore è caratterizzato dalla presenza di grandi pieghe di tipo anticlinalico di dimensioni
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chilometriche, costituite da basamento cristallino, dalla soprastante copertura sedimentaria di età permiana,
comprendente la Formazione del Collio, il Verrucano Lombardo e occasionalmente il Servino. Sono suddivise in tre
fasce: Anticlinale Orobica, Anticlinale Trabuchello – Cabianca, Anticlinale di Cedegolo. I principali rilievi orobici
sono il Diavolo di tenda, i Pizzi di Coca, Scals, Redorta, Recastello e Tre Confini.
Zona centrale a sovrascorrimenti sradicati
Questo settore si sviluppa tra le anticlinali orobiche e la zona della dolomia principale ed è delimitato a nord dalla
linea Valtorta - Valcanale e a sud dalla faglia di Clusone, dal sovrascorrimento dell’Alben e dalla sua prosecuzione
verso nord lungo il sistema di faglie (faglia di Antea) sviluppate sul versante destro idrografico della Valle
Brembana. Nella zona centrale sono presenti i principali rilievi prealpini carbonatici della bergamasca centrale, il
Pizzo Camino, il massiccio della Presolana Ferrante e la costiera Secco – Arera.
Figura 1.2.8 – Schema tettonico “Foglio 77 Clusone” Carta Geologia d’Italia.
ProgettoCARG
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Zona centro- meridionale della Dolomia principale
Questo settore è caratterizzato dalla presenza di un piastrone carbonatico costituito dalla dolomia del triassico
superiore e dai sedimenti del triassico terminale. La struttura tettonica è influenzata nettamente da questa
successione di carbonati, contraddistinta dalla notevole rigidità della dolomia le cui caratteristiche meccaniche la
rendono un livello tettonico ben definito.
A nord i limiti coincidono con quelli del settore precedentemente descritto, mentre a sud la zona è delimitata dal
fronte della dolomia principale esposto tra Albino e Zogno.
Tale zone strutturali vengono anche indicate con la denominazione "Unità alloctone inferiori e parautoctono" si
tratta di unità strutturali separate da faglie e sovrascorrimenti caratterizzata da una duplice o triplice ripetizione
della sequenza carbonatica triassica (unità carbonatiche alloctone).
La zona del parautoctono è pertanto delimitata a nord dalla linea Valtorta –Valcanale e, verso sud, dal fronte
meridionale della dolomia principale. A nord la successione di sovrascorrimenti descritti ricopre il fianco
meridionale delle anticlinali orobiche; a sud la zona è ricoperta, con un contatto suborizzontale debolmente
vergente a sud, dalla Dolomia Principale.
Figura 1.2.9 – Schema tettonico “Foglio 89-Bergamo” Carta Geologica d’Italia. Progetto CARG
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Settore frontale
Questa zona comprende la parte frontale affiorante della catena sudalpina. Le strutture principali formano tre
fasce parallele costituite rispettivamente da nord a sud da:
Un allineamento di pieghe di tipo anticlinalico (anticlinale dell'Albenza e del Bronzone);
Due grandi anticlinali molto aperte: l’anticlinale di Zandobbio e l'anticlinale del Monte Canto;
Una successione di pieghe in parte rovesciate, costituite prevalentemente dalle successioni cretaciche,
che si immergono al di sotto della pianura padana.
Sottosuolo padano
Le strutture della catena sudalpina proseguono in profondità sotto i sedimenti pliocenici e quaternari della pianura
padana.
Vengono distinti tre principali livelli:
Basamento magnetico: questo comprende il basamento cristallino e le successioni vulcaniche
pretriassiche delle Alpi meridionali, confrontabili con quelle attualmente affioranti.
Copertura mesozoica: anche in questo caso la successione mesozoica, costituita per lo più da unità
carbonatiche a stratificazione massiccia, risulta paragonabile e simile a quella affiorante nelle Alpi
meridionali.
Successioni di età compresa tra il Paleocene e il Pliocene: la prima fortemente deformata e scollata dalle
sottostanti unità mesozoiche; la seconda poco deformata e discordante dalla precedente, che risulta
leggermente tiltata verso sud a costituire la monoclinale pedealpina.
L'analisi delle strutture presenti nel sottosuolo padano indica quindi che la catena prosegue in profondità al di
sotto della copertura più recente e che lungo il margine di questa, nel sottosuolo bergamasco, l’età delle ultime
deformazioni compressive è miocenica, in quanto risultano coinvolte dai sovrascorrimenti sequenze sedimentarie
del Miocene medio.
1.3 Caratteristiche Idrogeologiche
Il territorio bergamasco è ricco di manifestazioni sorgentizie a causa di un afflusso meteorico abbastanza elevato
e di una costituzione geologica favorevole all'immagazzinamento delle acque di infiltrazione.
Da un punto di vista idrogeologico, il territorio della provincia di Bergamo può essere suddiviso in due settori: uno
montano e collinare costituito dalle scaglie tettoniche del sistema sudalpino che comprende le sequenze
metamorfiche del basamento cristallino e le successioni sedimentarie del bacino lombardo, ed uno di pianura
costituito dai sedimenti del Pliocene – Olocene depositatisi durante le fasi trasgressive del mare, in seguito alle
avanzate e i ritiri glaciali della 4 glaciazioni e per l’erosione e la sedimentazione alluvionale postglaciale operata
dai maggiori fiumi.
Nel settore montano la circolazione idrica sotterranea avviene lungo i maggiori allineamenti tettonici, lungo
discontinuità come piani di fessurazione/fratturazione o stratificazione/scistosità e in cavità carsiche e dà origine a
numerose sorgenti. Le risorse idriche sono concentrate nelle aree carbonatiche delle Prealpi Bergamasche,
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mentre nelle aree a rocce cristalline che formano l’ossatura dell’arco Alpino sono presenti sorgenti di minore
interesse con portate limitate.
Il settore di pianura è invece sede di importanti falde sotterranee; la falda freatica si trova a profondità variabili
tra i 50 e i 35 m nella parte più settentrionale della pianura ed emerge a sud lungo la fascia dei fontanili al
confine con la provincia di Cremona.
1.3.1 Idrogeologia del settore montano collinare
Da nord a sud, il territorio montuoso e collinare può essere a sua volta suddiviso in tre zone sufficientemente
omogenee.
Prima zona
È la più settentrionale e comprende le testate delle valli Brembana, Seriana ed il versante destro del torrente
Dezzo. Essa presenta un substrato roccioso quasi del tutto costituito da formazioni paleozoiche, a permeabilità da
media o ridotta, al cui interno la circolazione idrica avviene lungo piani di scistosità o lungo fratture suturate da
cataclasiti1. Mancano rocce incoerenti (depositi glaciali e detriti di falda) con spessori sufficienti a costituire
serbatoi importanti.
Seconda zona si estende a sud sino all'Anticlinale dell'Albenza in senso lato. Il substrato roccioso è costituito da
formazioni mesozoiche, calcaree, calcareo dolomitiche, calcareo-marnose ed argillitiche, ritmicamente alternate
nella successione stratigrafica generale. La permeabilità appare complessivamente elevata e la circolazione di tipo
carsico è assai sviluppata entro il Calcare di Esino, la Dolomia Principale e il Calcare di Zu che rappresentano gli
orizzonti serbatoio più rilevanti, ai quali sono legate le manifestazioni sorgentizie più significative.
La formazione del Calcare di Esino dà origine alle sorgenti più generose solo in parte sfruttate, quali quelle del
Brembo di Olmo, Val Parina, Monte Ortighera, Valle Nossana, Valzurio, Area tra Olmo ed Ardesio e bassa Val di
Scalve.
La seconda formazione, quella della dolomia principale, comprende le sorgenti di Algua, del Ponte del Costone,
del Rio Re di Albino, della Val Taleggio, della Val Piana, Val Vertova, Ponte Giurino.
Alla terza formazione appartengono le più consistenti manifestazioni dell'alta Valle Imagna. l’Argillite di Riva di
Solto. Queste ultime in particolare concorrono a determinare le sorgenti prevalentemente di contatto della Valle
Imagna, là dove gli scisti neri si trovano a diretto contatto con le bancate, in parte carsificate, del Calcare di Zu.
L'ultima zona, la più meridionale, comprende le aree collinari e pedecollinari il cui serbatoio roccioso appartiene a
formazioni cretaciche, prevalentemente arenaceo argillitiche, con sporadiche intercalazioni calcaree e calcareo-
marnose, a permeabilità molto ridotta, che mal si prestano all'accumulo di risorse idriche significative.
1 Rocce intensamente frantumate in prossimità di una faglia che si generano tramite un processo di rottura della roccia madre in un insieme di grani che sono successivamente cementati dai fluidi circolanti nel sistema di fratture della zona di faglia a temperature e pressioni corrispondenti
ad un grado metamorfico molto basso o basso.
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Le sorgenti più significative sotto il profilo tipologico appartengono alla categoria «di sbarramento», legate al
rigurgito dell'acqua allorquando vi sono ostacoli al suo movimento. In genere gli ostacoli sono rappresentati da
faglie che pongono a contatto complessi meno permeabili con la falda dell'acquifero. Formazioni di sbarramento a
causa della loro natura impermeabile sono le arenarie di Val Sabbia, la Formazione di S. Giovanni Bianco,
l’Argillite di Riva di Solto.
Un ruolo marginale nell'economia delle risorse idriche provinciali rivestono le sorgenti «per contatto» legate a
depositi detritici di vario genere. Fra quelle sfruttate da acquedotti comunali si ricordano le sorgenti esistenti sulle
pendici meridionali del Monte Cavlera in Val Seriana, legate ad una circoscritta falda detritica e, sull'altopiano di
Bossico, in deposito glaciale, sorgenti con portate nell'ordine di frazione di litro al secondo.
Ogni sorgente o insieme di sorgenti è strettamente legata ad un serbatoio o formazione idrogeologica che
condiziona l’immagazzinamento dell’acqua sotterranea e le modalità con cui essa viene rilasciata.
Il bacino idrogeologico rappresenta la trama solida della struttura dell’acquifero ed è caratterizzato dalla forma,
dalla dimensione e dalla frequenza delle cavità intercomunicanti che attraversano le rocce rendendole permeabili
e condizionano la circolazione per gravità dell’acqua sotterranea. Inoltre la natura del substrato roccioso e le sue
caratteristiche geo-chimiche sono intrinsecamente correlate con la composizione chimica e la qualità dell’acqua di
sorgente.
La delimitazione del bacino idrogeologico o di alimentazione richiede l’effettuazione di indagini orientate ad
identificare l’orizzonte geologico che alimenta la sorgente, la sua ricostruzione tettonica e la delimitazione
dell’area di affioramento.
Benché non esista ancora una valutazione documentata sulla resa delle diverse unità geologiche, sulla base degli
studi disponibili è possibile distinguere la produttività in termini di risorsa idrica in base alla portata media delle
sorgenti annua per km2 di bacino idrogeologico.
Si può così notare che le unità più produttive sono il Calcare di Esino, la Dolomia Principale e il Calcare di Breno e
con 100 – 50 l/s/km2. Altrettanto importanti risultano le unità giurassiche del calcare di Sedrina con portate
specifiche fra 50 – 20 l/s/km2.
Fra le unità con minore produttività vi sono i Flysh con portate eccezionalmente superiori a 1 l/s/km2 nel territorio
bergamasco, Flysh di Bergamo, Conglomerato di Sirone, Arenarie di Sarnico: 33 – 45 l/s/km2; Flysh di Pontida 3 –
21 l/s/km2, Marne e Peliti: 4,5 l/s/km2. Nel Flysh di Bergamo sono presenti conglomerati calcarei (megastrato
carbonatico del “Lecchetto”) con una produttività specifica molto elevata rispetto al resto dell’intera formazione.
Tra i sistemi idrogeologici che alimentano le sorgenti vale la pena evidenziare quelli della sorgente Nossana (uno
trai più studiati in Lombardia) e del ponte del Costone, che alimentano l’anello principale dell’acquedotto di
Bergamo.
NOSSANA
La sorgente della Nossa o Nossana, si configura come una sorgente di tipo carsico o più propriamente una
risorgenza e si trova in una forra a circa 500 m s.l.m. e il suo assetto idrogeologico è collegato a due strutture
tettoniche:
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1. Sovrascorrimento basale che è il piano di scollamento lungo il quale la successione anisico – carnica si è
scollata ed accavallata verso sud. Costituisce l’impermeabile di letto che permette la raccolta e lo
scorrimento verso sud delle acque infiltratesi da un ampio bacino idrogeologico più esteso di quello delle
valli Nossana e Fontagnone.
2. Due dislocazioni a livello idrogeologico locale: faglie Trinità Nord e Trinità sud. La prima permette
l’innalzamento dell’impermeabile di base (sovrascorrimento basale e sottostanti unità impermeabili)
favorendo la risorgenza delle acque, la seconda permette lo sbarramento che impedisce la dispersione
degli afflussi sotterranei.
Il substrato roccioso che costituisce il “serbatoio” appartiene alle unità carbonatiche del Calcare di Esino
(Ladinico), Formazione di Breno e Calcare Metallifero Bergamasco (Carnico): rocce sedimentarie costituite da
calcari fratturati con sistemi di fessure che l’azione meccanica e la dissoluzione dei carbonati per effetto delle
acque hanno trasformato in canali e cavità dove scorre la risorsa idrica. La risorgenza è determinata dalla
presenza di una faglia inversa "Faglia della Trinità (nord)", che taglia le masse rocciose innalzando strati
impermeabili (marne, calcari argillosi e argilliti appartenenti alle formazioni di Gorno e di San Giovanni Bianco)
formando una "soglia di permeabilità sovraimposta" che ostacola il normale corso delle acque sotterranee verso il
Fiume Serio obbligandole così a sgorgare in superficie. Le dimensioni della sorgente sono notevoli: la portata
media annua oscilla tra i 900 e i 1.500 litri/sec raggiungendo picchi di 20.000 litri/sec in occasione di periodi con
precipitazioni atmosferiche particolarmente intense. Si tratta di un’acqua oligominerale che sgorga a temperatura
costante di circa 8,5°C con una durezza di 11°F.
La portata dipende dalla portata utile della falda acquifera sottesa dalla sorgente, nonché dal serbatoio
sotterraneo dal quale la sorgente riceve alimento. Un regime idrologico della sorgente relativamente costante è
fra le condizioni ottimali per il suo sfruttamento.
Unità permeabili carbonatiche fessurate – Calcare di Esino, Formazione di Breno e Calcare Metallifero Bergamasco
Unità impermeabili calcareo marnose –Formazione di Gorno e San Giovanni Bianco
Sovrascorrimento Faglia
FVC: Faglia di Val Canale - SB: Sovrascorrimento Basale - SS: Sovrascorrimenti Superiori - FC: Faglia di Clusone
Figura 1.3.1 – Profilo idrogeologico del bacino di alimentazione potenziale della Sorgente Nossana (Jadoul, Pozzi, Pestrin)
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COSTONE
Le sorgenti del Ponte del Costone sono ubicate a valle della Sorgente Nossana lungo l’alveo del Fiume Serio.
L’acquifero di queste sorgenti è costituito dalla parte inferiore della Dolomia Principale in cui la presenza di
famiglie di fratture favorisce la venuta a giorno delle acque. Le sorgenti captate sono 3 ed hanno una portata
media compresa tra 20 – 50 l/s. In prossimità delle sorgenti sono stati realizzati interventi di impermeabilizzazione
per diminuire il rischio di vulnerabilità dovuto all’infiltrazione delle acque superficiali.
1.3.2 Idrogeologia del settore di Pianura
Prima di inquadrare la pianura bergamasca è necessario richiamare il più ampio scenario della Pianura Lombarda
ai fini anche della pianificazione a livello di bacino del Po.
I due principali punti di riferimento sono il PTUA e lo studio “Geologia degli acquiferi padani della Regione
Lombardia.
Il PTUA individua nella pianura lombarda 4 aree idrogeologiche:
- Zona di ricarica delle falde: localizzata quasi tutta a monte della fascia delle risorgive o dei fontanili;
- Zona di non infiltrazione alle falde: localizzata nell’alta pianura, nelle aree in cui affiora la roccia
impermeabile;
- Zona ad alimentazione mista: localizzata nella zona centrale e meridionale della pianura. Le falde
superficiali sono alimentate da infiltrazioni locali, ma non trasmettono l’afflusso alle falde più profonde;
- Zona di interscambio tra falde superficiali e profonde: localizzata in corrispondenza dei corsi d’acqua
principali, soprattutto quello del fiume Po.
Sulla base di queste individuazioni e in riferimento alle litologie presenti, alla disposizione geometrica e ai
fenomeni di circolazione idrica sotterranea sono distinti 3 complessi acquiferi principali separati da livelli
impermeabili continui ed estesi:
- Acquifero superficiale (I acquifero): ospita falde libere e riceve alimentazione direttamente dalle piogge,
dai corsi d’acqua e dalle irrigazioni, è chiaramente individuabile nella media e bassa pianura dove i livelli
impermeabili che lo separano dal II acquifero sono più consistenti. Nella parta alta della pianura risulta
non individuato.
- Acquifero tradizionale (II acquifero): ospita falde libere, semiconfinate e confinate procedendo da nord
verso sud e riceve alimentazione da precipitazioni e irrigazione nella parte alta della pianura, dalla falda
sovrastante nella media pianura e dalla ricarica a monte nella parte meridionale. Nell’alta pianura non
presenta uno strato impermeabile di copertura, ma soggiacienze2 di decine di metri che rappresentano
una protezione naturale. È l’acquifero più sfruttato per usi potabili, igienico-sanitari e industriali.
- Acquifero profondo (II acquifero): confinato nei sedimenti transizionali3, che nella zona dell’alta pianura
presentano una prevalenza dei litotipi grossolani, è ben separato dalle falde sovrastanti ed isola falde in
pressione, viene alimentato da zone di ricarica poste a monte o da interruzioni in corrispondenza degli
strati impermeabili che lo delimitano.
2 Profondità delle acque di falda, in metri, rispetto alla superficie del terreno (piano campagna). 3 Depositi deltizi, caratterizzati da sedimenti prevalentemente argillosi e sabbiosi, o depositi costieri con granulometria differenziata in funzione del
tipo di costa.
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Il contributo più recente alla conoscenza degli acquiferi della Pianura Padana è fornito dalla “Geologia degli
acquiferi padani della Regione Lombardia” (Regione Lombardia e ENI divisione AGIP) che rappresenta una sintesi
dei dati relativi al sottosuolo della pianura padana ricavati da stratigrafie dei pozzi AGIP, sondaggi profondi e
pozzi per acqua.
Lo studio ha portato all’identificazione di quattro superfici di discontinuità stratigrafica di estensione regionale che
rappresentano i limiti di sequenze deposizionali corrispondenti alle tappe evolutive del bacino che hanno
consentito di individuare quattro unità stratigrafiche attribuite al Plesitocene.
Le Unità sono state equiparate a corpi sedimentari acquiferi (Gruppi Acquiferi) in ciascuno dei quali ha sede un
sistema idrogeologico distinto con un proprio flusso idrico ed un livello di falda distinto.
Queste quattro unità sono limitate alla base da barriere di permeabilità a carattere regionale costituite da livelli
impermeabili (acquicludo) o da livelli a ridotta permeabilità (acquitardo).
Ogni gruppo acquifero a sua volta è costituito da complessi acquiferi, corpi sedimentari acquiferi (sistema
acquifero) di rango e dimensioni inferiori e da un insieme di corpi a bassa permeabilità o impermeabili (sistema
acquitardo).
Gruppo A: lo spessore, piuttosto ridotto, è di norma compreso tra 20 e 40 m, ambiente di sedimentazione
esclusivamente continentale con sistemi di deposizione di piana alluvionale. Il gruppo è prevalentemente
rappresentato da ghiaie e ghiaie grossolane, poligeniche, da grigie a grigio-giallastre, a matrice sabbiosa da
media a molto grossolana, a stratificazione da media a molto spessa. La successione del Gruppo Acquifero A è
costituita da facies sedimentarie a porosità e permeabilità elevate, quali ghiaie e ghiaie grossolane a matrice
sabbiosa, e sabbie medio-grossolane.
Gruppo B: gli spessori stratigrafici sono compresi tra 40 e 50 m. Per le forti analogie litologiche e sedimentarie
con il gruppo precedente risulta spesso difficilmente distinguibile. La successione del gruppo è suddivisibile in due
distinti cicli positivi di pari spessore: circa 20 m. Nel ciclo inferiore limitati alla parte bassa della successione
prevalgono le litologie sabbiose, con sabbia grigia o grigio-giallastra, da fine a grossolana (media prevalente), con
intercalazioni di argilla siltosa e silt di spessore decimetrico fino a metrico. Il ciclo superiore è caratterizzato da
granulometrie più grossolane, con chiara prevalenza delle ghiaie, nei sondaggi più settentrionali e prossimi alle
aree alpine di alimentazione, e delle sabbie in quelli più meridionali e distali. La successione del Gruppo Acquifero
B è prevalentemente costituita da sedimenti, quali sabbie medio-grossolane e ghiaie a matrice sabbiosa,
caratterizzati da porosità e permeabilità elevate.
Gruppo C: il Gruppo Acquifero C è stato attribuito alla parte bassa del Pleistocene medio. Un importante evento
trasgressivo ripartisce la successione sedimentaria del Gruppo Acquifero C in due distinti cicli regressivi. Il ciclo
regressivo inferiore è rappresentato alla base da sedimenti marini di piattaforma: argilla siltoso-sabbiosa, grigia,
fossilifera. Si passa quindi ad ambienti transizionali, prima con un sistema litorale a prevalente sabbia grigia fine e
finissima, bioturbata, laminata o massiva, fossilifera, quindi a un sistema deltizio a sabbia grigia, media, classata,
laminata, a stratificazione media e spessa, con frustoli vegetali. La parte alta del ciclo è rappresentata da
sedimenti continentali di piana alluvionale con sabbia grigia da finissima a media, laminata, alternata ad argilla
siltosa verde e argilla palustre bruno-nerastra ricca in materia organica. Una fase trasgressiva interrompe il ciclo
regressivo inferiore, prima con le facies transizionali di un sistema litorale a prevalenti sabbie finissime e silt
bioturbati, quindi con argilla marina, grigia, fossilifera, di piattaforma. Il Gruppo Acquifero C presenta una
notevole variabilità sedimentaria con l’alternanza di depositi marini di piattaforma silicoclastica, depositi di
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transizione deltizi e litorali, depositi continentali di piana alluvionale con sistemi fluviali a meandri. Gli intervalli
sabbiosi dei sistemi deltizi e litorali rappresentano dei serbatoi caratterizzati da significativo spessore (10 – 30 m),
buona continuità laterale, e da buone caratteristiche idrogeologiche per quanto concerne porosità e permeabilità
(sabbie fini e medie, classate, prive di intercalazioni argillose). Le alternanze continentali di sabbie grigie e argille
verdi di piana alluvionale rappresentano un serbatoio dalle buone caratteristiche soprattutto negli intervalli in cui
prevalgono le sequenze di canale; esse possono invece garantire un sufficiente confinamento e protezione delle
falde sottostanti laddove prevalgono sequenze più argillose di rotta d’argine. Al contrario, il livello impermeabile di
argille marine trasgressive, contraddistinto da significativo spessore stratigrafico e da notevole continuità laterale
(verificati con i dati di sottosuolo), compartimenta il gruppo in due distinti acquiferi su un ampio settore della
pianura lombarda.
Gruppo D: il Gruppo Acquifero è caratterizzato da argilla siltosa e silt con intercalazioni di sabbia fine e finissima
in strati sottili alla base, sabbia grigia fine e media bioturbata nella parte intermedia e ghiaia poligenica grigia
alternata a sabbia nella parte alta. La successione sedimentaria è attribuita, in accordo con i dati di sottosuolo, ad
un sistema deposizionale di delta-conoide progradante da Nord verso Sud (direzione di progradazione desunta
dall’analisi delle linee sismiche dell’area). Alla base della sequenza sedimentaria è presente il Gruppo Acquifero
saturo di acqua salmastra /salata.
La pianura bergamasca, costruita nella sua parte più superficiale dai sedimenti del Brembo, del Serio e dell’Oglio
è un importante serbatoio di falde sotterranee che vengono largamente sfruttate a scopo idropotabile, irriguo e
industriale.
Nella parte più settentrionale della pianura bergamasca, la superficie superiore della falda freatica, secondo i dati
ARPA 2012, si trova a profondità che variano tra i 45-50 m di Gorle-Bergamo, e i 35 m di Terno-Brusaporto ed
emerge verso il confine con la Provincia di Cremona lungo la fascia dei fontanili.
Lo schema delle unità idrogeologiche mostra le seguenti successioni:
1. Terreni del Villafranchiano costituiti da sedimenti fini limi, sabbie e argille che superiormente sono di
origine continentale, contenendo livelli di torba, espressione di sedimentazione palustre, intercalati da
bancate grossolane di sabbie che inferiormente passano a sedimenti di origine lagunare e marina
contenendo fossili di tali ambienti (pliocene). Gli strati più permeabili, livelli sabbiosi e ghiaiosi intercalati
nei limi e nelle argille, sono sede di acquiferi profondi, protetti dagli inquinamenti, definiti come gruppo
acquifero C.
2. Al di sopra dei depositi villafranchiani si trovano sedimenti grossolani ghiaiosi cementati e raggruppati in
diverse unità conglomeratiche denominate “ceppo”. La formazione nota come Ceppo dell’Adda raggiunge
uno spessore massimo di circa 260 m nel sottosuolo di Verdello – Verdellino ed affiora in superficie in
prossimità della confluenza tra i fiumi Adda e Brembo.
I conglomerati sono ricoperti al tetto da depositi fluvioglaciali costituiti da alternanze di ghiaie e livelli
sabbiosi, limosi e argillosi, dove le ghiaie cementate dall’acqua si presentano a volte in forma di
conglomerati.
3. La serie delle unità idrogeologiche si chiude con sedimenti ghiaiosi sciolti che costituiscono il “livello
fondamentale della pianura”.
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Queste tre unità sono sede dell’acquifero tradizionale che si presenta come un unico acquifero indifferenziato
(gruppo acquifero A + B).
Nell’inquadramento della pianura bergamasca in questo scenario generale va tenuto conto che:
- La suddivisione è più aderente nella zona di media e bassa pianura piuttosto che nelle zone di alta
pianura dove la situazione idrogeologica è più complessa. I depositi sedimentari sono caratterizzati da
geometrie irregolari e scarsa continuità laterale tipiche dei sistemi deposizionali di conoide rappresentati
al raccordo con i margini collinari e allo sbocco delle cerchie moreniche. La circolazione idrica sotterranea
trova infatti una via preferenziale nei sedimenti glaciali e glaciolacustri.
- L’assetto strutturale del sottosuolo bergamasco è complicato dalla presenza di una dorsale sepolta che
attraversa la media pianura bergamasca tra Arcene e Ghisalba e produce il sollevamento dei depositi
Villafranchiani con riduzione verso sud dello spessore dei conglomerati.