UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA
FACOLTÀ DI ECONOMIA – VARESE
Corso di Laurea in Economia e Amministrazione delle Imprese
La valorizzazione delle competenze distintive
attraverso l’Outsourcing.
Il caso BPM
Relatore: Prof.ssa ANNA MARIA ARCARI
Tesi di Laurea di:
SIDORELA
HAMATAJ
Matr. n. 708641
Anno Accademico 2011/2012
Indice
Introduzione……………………………………………………………….3
Capitolo primo
Outsourcing: una risposta flessibile ad uno scenario incerto
1.1 Evoluzione delle forme di organizzazione aziendale………………………………..4
1.2 Outsourcing: definizione e possibile classificazione……………………………...…8
1.3 Attività oggetto di Outsourcing……………………………….……………………12
Capitolo secondo
Implementazione della strategia
2.1 Fasi tipiche dell’outsourcing……..……………………………..………….………17
2.2 Vantaggi competitivi e rischi in relazione con la convenienza economica....……...23
Capitolo terzo
Outsourcing informatico: caso BPM banking
3.1 Outsourcing nel sistema bancario……………………………….………………….31
3.2 I tre livelli dell’outsourcing e la scelta della BPM………………………….….…..36
3.3 BPM : strategia odierna e possibile evoluzione futura…………...………………...40
Conclusione.………………………………………………………………43
Bibliografia…………………….………………………………………....45
Sitografia………………………………………………………………….48
2
Introduzione
Prendere decisioni rappresenta una delle funzioni primarie del management (Drucker,
1974).
Ogni giorno, per poter rispondere ad esigenze di adeguatezza ed anticipazione imposte
dal contesto ambientale, le imprese prendono decisioni di diverso tipo. Il lavoro che
svolgerò analizza in particolare le decisioni di esternalizzazione avendo a riferimento un
caso di specie in qualità di correlato empirico.
Senza trascurare che “la decisone è sempre una scelta tra alternative di azione e
comportamento: con la decisione in azienda si compone un giudizio di convenienza
economica comparata” (Masini, 1970 e Vitali, 1993). Quindi, dopo un primo capitolo
finalizzato a delineare gli approcci che possono essere alla base delle scelte di
outsourcing, verranno osservati gli effetti dati dall’ implementazione di questa strategia,
con particolare attenzione alla valutazione della convenienza economica.
Successivamente, verrà analizzato un caso pratico riguardante nello specifico
l’outsourcing informatico ed in particolare quello realizzato nel caso della BPM banking
(Banca Popolare di Milano), scelta come esempio di società in grado di rispondere ed
anticipare il cambiamento, grazie anche all’ esternalizzazione.
Perciò, nell’ultimo capitolo si cercherà di collegare gli elementi teorici presentati nei
capitoli precedenti con quelli pratici. Più nel dettaglio mi soffermerò ad analizzare i
motivi che hanno spinto l’azienda in questione ad adottare una scelta di outsourcing, gli
effetti economici, strategici ed organizzativi conseguenti.
Senza dimenticare, infine che l’outsourcing, anche informatico, rappresenta un
fenomeno sottoposto ad intense dinamiche evolutive, come può essere con l’avvento
attuale del cloud computing.
3
Capitolo primo
Outsourcing: una risposta flessibile ad uno scenario incerto
1.1 Evoluzione delle forme di organizzazione aziendale
In uno scenario in continua evoluzione, come quello attuale, a causa soprattutto della
globalizzazione e dallo sviluppo tecnologico, il modo di fare impresa sta cambiando. Il
cambiamento comprende la produzione e le logiche di acquisto, i rapporti di forza tra le
imprese e tra queste ultime ed i clienti, la crescita delle opportunità per le piccole e
medie imprese ed il rafforzamento di quelle grandi grazie a relazioni di alleanza e
collaborazione.
Vi è infatti, un progressivo passaggio da parte delle imprese da forme di organizzazione
basate sul controllo diretto di ogni processo aziendale alla ricerca di forme di
collaborazione con fornitori, clienti o concorrenti. In questo modo l’azienda si sviluppa
attraverso relazioni esterne che gli permettono di ottenere maggiore flessibilità,
elemento indispensabile per poter operare in un contesto caratterizzato da un futuro
incerto.
La ricerca di strutture organizzative più flessibili ed il contestuale abbandono di modelli
gerarchici, rappresentano una profonda trasformazione a cui si sta assistendo in questi
anni.
Fino agli anni ‘70, ciò che si ricercava era un modello organizzativo che potesse
garantire economie di scala ed elevata efficienza organizzativa, ovvero un vantaggio
competitivo1 in termini di costo. Queste performance, nel pensiero di allora, potevano
essere raggiunte solo con un grande impresa integrata2 verticalmente ed articolata
funzionalmente.
Alcuni dei plus competitivi di questo modello tuttavia, vengono a mancare negli anni
successivi. Essi infatti sono caratterizzati da crescita limitata, aumento e diffusione del
benessere, instabilità, intensificazione della competizione, sia interna che esterna,
1 Vantaggio competitivo come "capacità distintiva (o competenza distintiva) di un'impresa di presidiare, sviluppare e difendere nel tempo, con maggiore intensità dei rivali, una capacità market driving o una risorsa critica che possono divenire fattori critici di successo" (Valdani, 2003). 2 Modello della grande impresa integrata, secondo il quale la crescita dimensionale costituisce il vettore di sviluppo dell’impresa e l’obiettivo dell’evoluzione delle strategie e delle strutture connesse. (Chandler).
4
globalizzazione. A queste condizioni iniziano ad emergere i limiti della grande impresa
integrata, quali la standardizzazione, gli elevati costi fissi e l’alto livello del rischio
operativo, le strutture aziendali pesanti e rigide, la lentezza decisionale e la disponibilità
di risorse in eccesso rispetto a quelle necessarie alla produzione. Tutti elementi non più
coerenti con ciò che il mercato richiedeva, ovvero strutture meno burocratizzate ma più
flessibili ed orientate all’innovazione.
Nelle attuali organizzazioni vi è una diminuzione del numero dei livelli gerarchici, un
attenzione crescente verso linee di comunicazione orizzontali, creando delle relazioni
esterne nel mercato e forme di collaborazione con fornitori, clienti, concorrenti, che
vengono affiancati spesso al nucleo interno.
Questa realtà aziendale può essere rappresentata graficamente:
Fig. 1.1- Evoluzione delle strutture organizzative
Fonte: Ricciardi, Pastori (2010).
Da ciò emerge che le imprese tendono a seguire tre punti importanti in successione
logica:
1. abbattimento delle barriere strutturali;
2. incremento delle collaborazioni con operatori esterni;
3. allargamento dei confini.
Un’impresa può creare degli accordi di cooperazione su diverse linee di produzione,
ovvero su fasi di lavorazione, su processi produttivi specifici o addirittura sulla
modificazione dell’intera catena del valore.
5
Gli accordi di cooperazione sono relazione di lungo periodo tra imprese, riguardanti una
o più aree di attività, disciplinati da meccanismi contrattuali o informali. Le forme di
collaborazione si definiscono equity quando comportano una modifica della struttura
proprietaria dell’impresa, una centralizzazione delle decisioni, una riduzione di
discrezionalità e sono sempre di tipo contrattuale (es. scambio di partecipazioni
azionarie, joint venture). Sono invece non equity quando non cambiano la struttura
proprietaria del partner, la relazioni si sostituiscono al modello gerarchico e possono
essere sia di tipo contrattuale che informale (es. “accordi strategici”, licensing,
franchising).
Inoltre, guardando l’orientamento strategico della collaborazione, gli accordi possono
essere verticali, “a monte” con i fornitori e “a valle” con i clienti; orizzontali, alleanze
tra concorrenti; di diversificazione, tra imprese con produzioni complementari o
sostitutive. I primi hanno l’obiettivo di coinvolgere attivamente fornitori e/o clienti ad
un progetto comune e rendere un certo settore più competitivo, i secondi di rafforzare la
posizione competitiva ed acquisire quote di mercato e gli ultimi di eliminare un punto di
debolezza e/o potenziare un punto di forza.
Tra le architetture organizzative fondate sulle relazioni fra imprese, hanno particolare
rilevanza i consorzi, le joint venture, gli spin-off e le reti di imprese.
Secondo l’art. 2602 cod. civ. “Con il contratto di consorzio più imprenditori
istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di
determinate fasi delle rispettive imprese.” E’ quindi una forma di coordinamento tra
imprese anche di settori diversi, che costituiscono un organizzazione a cui vengono
conferite risorse per fini comuni alle partecipanti. Essi nascono come risposta a
problemi di indisponibilità di risorse da parte delle imprese e alla necessità di ottenere
queste risorse mediante accordi e alleanze con altre imprese, senza doverle sviluppare
internamente o acquisirle sul mercato. Con i consorzi inoltre, le imprese otterranno
prestazioni e condizioni più vantaggiose rispetto a quelle che avrebbero avuto
singolarmente, una ripartizione dei rischi degli investimenti, benefici in termini di
economie di scala ed una maggiore forza contrattuale. Quest’ultima, in particolare nei
rapporti con il mondo creditizio, viene consentita attraverso i confidi, particolare forma
di società consortili con l’obiettivo di facilitare l’accesso al credito. Il contratto, per le
sue caratteristiche illustrate precedentemente, risulta molto importante per le piccole
6
medie imprese (PMI) che si trovano ad affrontare problemi economici e maggiore
competizione a causa della globalizzazione e l’internazionalizzazione dell’economia,
difficilmente risolvibili dalla singola azienda.
Un’ulteriore possibile soluzione al vincolo dimensionale può essere rappresentato dall’
organizzazione delle PMI in reti di imprese. Una rete è un insieme di più imprese, legate
da rapporti contrattuali o fiduciari, che cooperano tra loro per la realizzazione di un
progetto imprenditoriale comune attraverso investimenti contingenti. In questo modo si
ottiene un miglioramento della qualità del prodotto e la PMI non viene più considerata
come una fase intermedia della grande impresa (GI) ma bensì un fenomeno autonomo.
In Italia si è sviluppato un modello vicino a quello reticolare, ovvero il distretto, in
quanto viene definito come una pluralità di imprese, prevalentemente di piccole e medie
dimensioni, localizzate in uno spazio geografico ben delimitato, specializzate nella
produzione di un particolare prodotto.
Per investimenti invece più ingenti, le imprese possono far ricorso a contratti quali le
join venture, nuova società creata per realizzare e sviluppare un’attività economica in
forma congiunta. Con questo contratto le partecipanti non mettono in comune solo il
capitale, ma anche fattori produttivi e commerciali, materiali e immateriali tra cui il
know-how.
Quest’ultimo fattore rappresenta l’elemento cruciale di un’altra forma di collaborazione,
ovvero lo spin-off, fenomeno dove uno o più individui lasciano un’azienda con
l’obiettivo di avviarne una nuova, basandosi proprio sul know-how dell’impresa di
provenienza, ma senza farsi influenzare eccessivamente da essa.
Di tutt’altra tipologia ma altrettanto rilevante è l’accordo di sub-fornitura. Esso
rappresenta il primo livello di cooperazione realizzato tra un committente che affida
l’esecuzione di una determinata fase o intera produzione, predeterminando le
caratteristiche tecniche e assumendosi i rischi di mercato, ad un sub-fornitore cha la
realizza in parte o interamente. Si tratta in sostanza di una forma di decentramento
produttivo di specificità, con la quale l’azienda può concentrare la propria attività su fasi
di produzione ritenute più congeniali alle proprie competenze distintive e di delegare le
altre alle imprese in grado di svolgerle più efficacemente.
Il decentramento prodotto ha cominciato a svilupparsi già negli anni ’70, con la crisi del
modello della grande impresa, per rispondere ad esigenze di flessibilità e di recupero del
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margini di profitto da parte della GI. La “destrutturazione produttiva” rappresentava lo
“scorporo” di lavorazioni dalle medie-grandi imprese a piccole unità produttive, per
motivi politici (minor controllo da parte dei sindacati), di risparmio di costi
(competizione tra PMI sui prezzi) e maggiore flessibilità. La piccola impresa diventò
così funzionale alla ristrutturazione della grande.
Ma è negli anni ’80 che la funzione approvvigionamento inizia ad assumere un ruolo
strategico ed il rapporto tra committente e fornitore diventa più stabile.
Oltre ai vantaggi già citati precedentemente per i diversi accordi, ve ne sono altri
comuni derivanti dalla loro stipulazione:
- riduzione dell’entità, del tempo e dei rischi derivanti dagli investimenti necessari
per la realizzazione delle nuove iniziative;
- scambio di esperienza sui metodi di lavoro;
- possibilità di accedere a nuovi modelli organizzativi;
- apprendimento di processi di innovazione tecnologica, in quanto vengono messe
in comune le conoscenze di ciascun agente in modo aggregato.
Tutte queste tipologie di accordo possono essere considerate come forme ibride di
strategie di esternalizzazione e cooperazione. Una forma più evoluta e rappresentata
dall’outsourcing.
1.2 Outsourcing: definizione e possibile classificazione
L’outsourcing3 può essere definito come quella “particolare modalità di
esternalizzazione che ha per oggetto l’enucleazione di intere aree di attività, strategiche
e non, e che si fonda sulla costituzione di una partnership tra l’azienda che esternalizza
e un’azienda già presente sul mercato in qualità di specialista” (Arcari, 1996).
Da ciò che si può notare dalla definizione e da quello che si e visto precedentemente con
le altre tipologie di accordi tra imprese, l’outsourcing non rappresenta un fenomeno
completamente nuovo.
Esso può essere infatti considerato come una modalità particolare di decentramento
produttivo, in quanto vi e un trasferimento al di fuori dai propri stabilimenti di alcune
3 Outsourcing è un termine inglese (composto da outside e resourcing), per il quale non esiste una parola italiana specifica corrispondente e che, in prima approssimazione, sta ad indicare l'utilizzo di risorse esterne per lo svolgimento di determinate attività, tradizionalmente gestite tramite risorse e personale interno.
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fasi del ciclo produttivo precedentemente integrate al proprio interno. Per capire meglio
la loro relazione, possiamo guardare il decentramento produttivo da più punti di vista:
- aziendale: scelta tra l’opzione make, integrazione di diverse fasi di produzione e
buy, concentrazione di alcune attività fondamentali e delega delle altre
all’esterno;
- tecnico: modalità con la quale vengono combinate le diverse attività necessarie
per realizzare il prodotto finale richiesto dall’impresa d’origine;
- struttura dell’industria: insieme di rapporti tra le imprese.
I rapporti di subfornitura, decentramento produttivo e outsourcing presentano degli
elementi comuni. Da un lato, una concentrazione delle risorse sul core business, cioè
quelle attività che permettono un vantaggio competitivo all’azienda e per le quali si
possiedono competenze distintive, know-how esclusivo e un’esperienza cumulata.
Dall’altro, una delegazione della gestione di aree aziendali di minore rilevanza
strategica, per le quali non si hanno competenze specifiche, soprattutto nei settori
caratterizzati da forte dinamismo ed ingenti investimenti in capitali immateriali
(conoscenze, informazioni, competenze), ad imprese esterne.
Tuttavia nel tempo la logica sottostante l’adozione di questa tipologia di rapporto è
cambiata. In passato, le iniziative di accordo erano frutto di scelte operative, prese in
modo occasionale e contingente, per ragioni di convenienza economica esclusivamente
in termini di costo e riguardavano un periodo di breve termine.
Negli anni più recenti invece, le decisioni vengono prese al fine di rispondere in modo
più efficace alla competizione globale e hanno come obiettivo la valorizzazione e
l’interazione di risorse e competenze interne all’azienda con quelle esterne.
Ma l’elemento che più differenzia l’outsourcing dalle altre forme di esternalizzazione è
l’aver creato una relazione più intensa tra committente (outsourcer) e fornitore
(outsourcee), legati da rapporti sia di mercato che di cooperazione.
In sintesi, il rapporto tra l’outsourcer e l’outsourcee è caratterizzato soprattutto da:
- coinvolgimento strategico temporaneo del fornitore nei piani di sviluppo del
cliente;
- riconoscimento da parte delle imprese coinvolte delle reciproche competenze;
- effettivo rapporto di collaborazione, corretto e trasparente;
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- decentramento di attività che generano sia una semplificazione del sistema
organizzativo che lo sviluppo di capacità innovative, i cui rischi connessi
vengono minimizzati.
Per queste ragioni l’outsourcing implica un rapporto più vincolante e maggiormente
regolamentato rispetto agli altri accordi tra imprese. Inoltre, con esso è possibile cedere
anche intere aree di attività che in caso di insuccesso aumentano i costi, perciò
presuppone una valutazione strategica e deve essere considerato in un ottica di lungo
periodo.
Può essere vista come una scelta impegnativa e non sempre reversibile (Lanzavecchia,
1995) perché implica una modifica delle logiche competitive ed un allontanamento da
alcune attività, focalizzando le proprie risorse sulle capacità ritenute distintive, nelle
attività cosiddette core.
In ogni azienda infatti, esistono attività che caratterizzano il suo business, primarie4 e
altre che possono essere definite di supporto, come mostra il grafico della catena del
valore di Porter:
Fig. 1.2 La catena del valore di Porter
Fonte: gla.ac.uk.
“La catena del valore definisce il contributo delle singole attività aziendali alla
4 le attività primarie riguardano la realizzazione fisica del prodotto o servizio, la sua vendita e l’assistenza post vendita (servizi). Le attività di supporto sostengono le attività primarie e forniscono a tutta l’azienda input, risorse umane, tecnologia, oltre a varie funzioni estese a tutta l’azienda (Tresca, 2004).
10
definizione e allo sviluppo di un sistema di offerta in grado di creare valore per il
mercato ed è supportata dalla tecnologia impiegata in azienda” (Porter, 1985).
Guardando in particolare la vicinanza delle attività da esternalizzare al core business e
la sua complessità gestionale, che aumenta all’aumentare del numero di interazioni e
relazioni, l’outsourcing può essere classificato in:
Fig. 1.3 Modalità di outsourcing
Fonte: Adattamento da Ricciardi, Pastore (2010) da Acabi, Lopez (1995).
L’outsourcing tradizionale è caratterizzato da esternalizzazione delle attività di
supporto e da basso grado di complessità gestionale. Esso può riguardare infatti la
gestione di servizi comuni, per cui spesso si ricorre a società di servizi che forniscono
questa prestazione ad altri clienti a costi più bassi e ad alta qualità, impostigli da stimoli
di mercato. Le attività non sono quindi rilevanti ai fini competitivi e non è necessaria
una cooperazione strategica tra le parti, simile all’accordo di sub-fornitura.
L’outsourcing tattico è dato da un elevata complessità gestionale, per cui diventa
necessario affidare la gestione totale o parziale dell’area interessata a imprese esterne
capaci di garantire alta qualità dei processi e contribuire in questo modo alla creazione
del vantaggio competitivo. Tuttavia, coinvolge attività lontane dal core business e
l’outsourcee mantiene al suo interno la funzione di controllo dei processi.
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Rappresenta perciò la situazione opposta rispetto all’outsourcing di soluzione, in cui le
attività coinvolte sono vicine al core business e la complessità di gestione é bassa. Per
questa ragione, risulta fondamentale l’instaurazione di una visione comune, sia sotto
l’aspetto operativo che strategico, tra le imprese coinvolte per poter arrivare ad una
condivisione degli obiettivi.
Infine, l’outsourcing strategico combina attività con elevata complessità gestionale e
vicinanza al core business, così da poter concentrare le risorse interne su una serie di
competenze distintive. In questo caso si viene a creare un vero rapporto di partnership
che presuppone fiducia reciproca e trasparenza delle informazioni, di co-pogettazione e
di co-produzione dei servizi aventi alla base investimenti congiunti.
1.3 Attività oggetto di Outsourcing
Come abbiamo potuto notare precedentemente, le imprese decidono di esternalizzare le
attività ritenute di supporto alla sua strategia, le cosiddette comodity e gestire invece
internamente quelle vicine al core business. Questa logica di affidarsi a terzi per la
gestione di una parte delle proprie attività non è recente.
Già negli anni ’60 le piccole e medie imprese si rivolgevano ai centri servizi per la
gestione delle paghe e contributi, con l’obiettivo di ottenere una riduzione dei costi.
Successivamente, negli anni ’90 la scelta venne adottata dalle imprese, in risposta ad
una competizione sempre più aspra a causa della crescente globalizzazione dei mercati
e allo sviluppo di tecnologie informatiche e della comunicazione, che iniziarono a
riconsiderare le loro funzioni e attività operative.
Dagli anni ’60 ad oggi i motivi che hanno spinto le imprese a prendere questa decisione
e le attività oggetto di outsourcing sono cambiate ed è possibile individuare due fasi
rilevanti in questo arco di tempo. In una prima fase, il contesto è caratterizzato da
risorse limitate e ricerca di elevati livelli di efficienza, per cui le imprese iniziano ad
indirizzare le proprie risorse, investimenti e capacità verso le attività ritenute strategiche
per il loro business. Vengono invece considerate come funzioni potenzialmente
esternalizzabili quelle valutate come non strategiche, per le quali si ricorre ad un partner
esterno che offre prestazioni efficaci a prezzi di mercato.
In una seconda fase, le imprese si trovano in un clima di accesa competizione e iniziano
a far rientrare progressivamente tra le attività di possibile esternalizzazione anche parte
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di quelle strategiche. Vengono così mantenute all’interno dell’impresa quelle operazioni
particolarmente rilevanti per il suo vantaggio competitivo.5
Data la diversa natura dell’attività svolta dalle imprese, esse possiedono una visione
propria sulle attività ritenute importanti ai fini del vantaggio competitivo e su quelle
invece possibili da esternalizzare; perciò può accadere che un’attività ritenuta strategica
per un’impresa può far parte delle attività di supporto di un’altra e viceversa.
In ognuno dei casi, quello che si può notare è che negli anni le politiche di outsourcing
hanno subito un salto di qualità. Esse permettono alle imprese sia una concentrazione
delle risorse nelle attività core e contemporanea liberazione dell’onere di gestire le
attività marginali, sia un incremento della performance complessiva e quindi una
ricostruzione della catena del valore.
Alle origini del fenomeno alcune delle attività ritenute lontane dal core business
dell’impresa erano la sicurezza, il mantenimento delle strutture fisiche e degli edifici e
le attività di catering. Successivamente, le decisioni di outsourcing hanno riguardato
anche cicli di operazioni sempre più vicini al cuore dell’impresa, grazie ad un processo
di individuazione delle core competence sempre più selettivo, come si può vedere:
Fig. 1.4 L’evoluzione delle politiche di outsourcing
Fonte: adattamento da EIU/AA (1995).
5 Così ad esempio un’impresa che svolge un’attività industriale, in una prima fase esternalizza un attività di supporto, come ad esempio i sistemi informativi, e successivamente può decidere di affidare a terzi la produzione, in modo totale o parziale, mantenendo all’interno la funzione vendite.
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Sono state così esternalizzate, ed assumono particolare rilevanza, i servizi di trasporto e
la logistica, i sistemi informativi e, in tutto o in parte, le attività manifatturiere.
Ed è proprio quest’ultima funzione che porta i maggiori effetti dati dalle relazioni di
outsourcing sul vantaggio competitivo delle imprese committenti, in termini di costi,
qualità e tasso di innovazione. Il motivo principale che spinge un’impresa a ricorrere
all’outsourcing della produzione è ricollegabile al fatto di non riuscire ad affrontare al
meglio il nuovo scenario competitivo con le sole proprie forze. 6
Si vengono così a creare delle relazioni qualificate con fornitori affidabili che portano
ad una condivisione di investimenti e know-how, allo sviluppo del prodotto e
dell’innovazione. Tutto ciò permette all’impresa di sviluppare un intesa politica di
outsourcing produttivo, rispettando i massimi standard di qualità, con effetti
significativi sulle produzioni in serie dei diversi reparti dell’azienda. Sono le finalità
convergenti, la vision condivisa e il clima di fiducia a premiare l’intero sistema di
relazioni. Esso permetto di conseguire benefici superiori ai costi, ridurre i costi di
transazione e soprattutto sviluppare capacità uniche in grado di assicurare un vantaggio
competitivo sostenibile nel tempo.
In questo clima di ricerca dell’efficienza ed efficacia, si incomincia a prendere sempre
più in considerazione il tema della logistica7 e dell’outsourcing di questa funzione. Essa
diventa rilevante soprattutto nei settori in cui è difficile differenziare il prodotto, si tende
ad una delocalizzazione produttiva e dove l’attenzione verso l’ambiento è maggiore, in
quanto la logistica è lo strumento ideale per far riconoscere un valore distintivo
all’impresa e alla sua produzione. “Si può dire, in sintesi, che la gestione della logistica
si sta trasformando da un costo da minimizzare a una leva strategica da valorizzare”
(Padova, 2008).
La scelta dell’outsourcing in ambito logistico può essere anche graduale, infatti le
imprese, soprattutto quelle più strutturate, seguono spesso degli stadi intermedi di
parziale esternalizzazione, come si può notare nel grafico sottostante:
6 Secondo Zucchella, Onetti (2008) il nuovo scenario competitivo degli ultimi anni è caratterizzato da un’ intensificazione della concorrenza, nuovi bisogni dei consumatori, contrazione della dimensione spazio-tempo, accelerazione del progresso tecnologico, con conseguente riduzione del ciclo di vita dei prodotti e necessità di un rapido adattamento alle richieste di mercato. 7 “L’insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell’azienda i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita” (Ailog, Associazione italiana di logistica).
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Fig. 1.5 La traiettoria verso la vera partnership
Fonte: adattamento di Padova (2008)
Altre invece decidono di passare all’outsourcing spinto per ottenere una discontinuità in
grado di fornire un grosso vantaggio (breakthrough). In entrambe le scelte deve essere
comunque chiaro che per raggiungere livelli di efficacia ed efficienza è necessario
costruire un rapporto di fiducia con il provider, che diventa un partner con cui
condividere i vantaggi e svantaggi dell’operazione.
L’aspetto inoltre più interessanti dell’outsourcing della logistica, e che spinge l’impresa
ad attuare questa strategia, riguarda il monitoraggio delle prestazioni. Esso infatti, viene
realizzato considerando degli indicatori significativi di servizio, guardandone gli
obiettivi di qualità che sono affidati per tipologia di ordini e per modalità, e di costo, il
cui controllo avviene attraverso la verifica dell’incidenza dei costi logistici sul fatturato
globale (Merlino, Testa, Valivano, 1997). Il monitoraggio, in particolare dei processi di
acquisizione e distribuzione dei prodotti, è maggiormente agevolato dall’utilizzo di
internet e applicazioni web, tale da rendere l’outsourcing della logistica un’opportunità
concreta e a disposizione delle aziende.
Con riguardo invece ai sistemi informativi, l’outsourcing può essere definito come “il
trasferimento di una parte o la totalità di una organizzazione esistente di trattamento dei
dati hardware, software, rete di comunicazione, e del personale del sistema ad un terzo”
15
(Due, 1992). Esso permette alle imprese di avvalersi di servizi di desktop management,
ovvero di sistemi di amministrazione di tutti i componenti di un organizzazione dei
sistemi informativi, e di un risparmio di costo, dato dalla maggiore efficienza del
fornitore specializzato in servizi IT, non realizzabili internamente. Inoltre può
rappresentare una tappa fondamentale del disegno strategico per le imprese che
vogliano focalizzare il proprio core business nelle attività wireline, wireless e internet8.
Quello che si può dedurre quindi è un progressivo allargamento delle frontiere
dell’outsourcing, con l’esternalizzazione della funzione amministrativa, finanziaria e
quella relativa allo sviluppo del prodotto, tale da introdurre nello scenario economico il
concetto di “impresa virtuale”. Quest’ultima rappresenta un modello di impresa
caratterizzato da una quasi completa assenza di strutture fisiche, attività di progettazione
e coordinamento delle risorse di terzi con cui condivide un progetto imprenditoriale da
essa formulato ed implementato.
Capitolo secondo:
8 La spiegazione dell’outsourcing dei sistemi informativi e le sue caratteristiche vengono rimandati al terzo capitolo della mia tesi, in quanto ne rappresentano l’oggetto principale.
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Implementazione ed effetti della strategia
2.1 Fasi tipiche dell’outsourcing
L’implementazione della strategia di outsourcing si sviluppa su due fasi, una fase di
avvio ed una di gestione come lo si può notare nella figura:
Fig. 2.1- Le fasi di un’operazione di outsourcing
Fonte: elaborazione di Ricciardi, Pastori (2010) da Costagua (1996).
Nella fase di avvio vi è la definizione dei processi di possibile esternalizzazione,
attraverso una valutazione della loro rilevanza strategica con riguardo al contributo dato
per la formazione delle competenze distintive e all’efficienza del loro operato
all’interno dell’azienda. Nel caso in cui nella fase di verifica venga appurato che la
rilevanza strategica non sia elevata e che i livelli qualitativi garantiti da prestazioni
esterne siano maggiori, è possibile procedere ad una ridefinizione dei confini del
processo e alla selezione del partner.
Nella fase di gestione inizia la vera e propria stipulazione del contratto, dove vengono
previste modalità per il controllo qualitativo delle prestazioni ottenute e clausole
sanzionatorie. Successivamente si procede al trasferimento delle attività all’outsourcer,
il cui andamento viene periodicamente monitorato, con la collaborazione del
responsabile del processo dell’outsourcer (process owner), al fine di evidenziare gli
eventuali scostamenti rispetto ai risultati attesi ed apportare le azioni correttive.
Entrando più nello specifico della fase di avvio della strategia, è possibile trovare delle
sottofasi come:
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1. Selezione dei processi da esternalizzare: come abbiamo potuto notare anche
precedentemente, questa fase è molto importante per un impresa perché le permette di
capire le competenze9 possedute di queste, quelle significative per il conseguimento del
vantaggio competitivo. Quest’ultimo dipende dalla disponibilità di competenze
distintive (core competence) su cui l’impresa focalizza la sua attenzione. Definire la
propria identità sulla base di risorse e competenze interne permette all’azienda di avere
una maggiore stabilità piuttosto che formulare una strategia basandosi esclusivamente
sui fattori esterni soprattutto in un ambiente caratterizzato da continui mutamenti.
Tuttavia, per raggiungere una posizione di vantaggio competitivo, le competenze
distintive devono essere riconosciute ed apprezzate dal mercato di riferimento. Esse
infatti se sviluppate in maniera superiore ai concorrenti sono in grado di differenziare
un’azienda e garantirle un vantaggio competitivo su cui occorre investire. Esso sarà
tanto più difficile quanto più elevato è il divario esistente tra le competenze dell’azienda
rispetto a quelle dei concorrenti.
Perciò, nell’individuazione delle proprie competenze ogni impresa dovrebbe porre al
centro della propria strategia competitiva quelle difficilmente imitabili. Questo permette
di capire quale attività è opportuno cedere a terzi e quale invece è conveniente da
realizzare all’interno e/o acquistarla all’esterno (insourcing).
Le competenze distintive possono esser individuate anche con l’applicazione di
Business Process Reengineering (BPR) o mediante il ricorso al benchmarking. Con il
BPR o logica dell’organizzazione basata sui processi, l’attività dell’impresa viene
considerata come lo svolgimento di un insieme definito, coerente e identificabile di
processi. Ogni processo è caratterizzato da un output, un cliente e dal coinvolgimento di
più confini organizzativi. Tra essi, vi sono alcuni più rilevanti degli altri poiché
contribuiscono direttamente sul risultato reddituale e competitivo dell’impresa (core
process). La focalizzazione sui processi e su cliente consente benefici in termini di
costo, di flessibilità e di tempistica decisionale, di una più efficace valutazione
dell’apporto di ciascuna attività alla creazione del valore finale e di modifica dei
comportamenti da parte dei dipendenti. Quest’ultimo perché il team diventa
responsabile dello sviluppo di una fase autonoma del processo. Permette quindi di
9 Competenze che possono essere implicite, ovvero conoscenze accumulate dall’esperienza maturata svolgendo determinate funzioni (Leonard-Barton, 1992) o esplicite, ovvero norme e regole di comportamento esplicitate in codici, per cui possono essere acquistate da chiunque attraverso la relativa documentazione.
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selezionare con margini di errore limitati quelle attività che per la loro minore rilevanza
strategica sarebbe opportuno esternalizzare.
Mentre con il benchmarking10 è possibile la valutazione dei processi di un’ azienda
mediante il confronto con la leader dello stesso mercato, con l’obiettivo di ottenere
informazioni utili al fine di migliorare le performance. Il confronto permette di ottenere
informazioni sulle attese dei consumatori per apportare miglioramenti significativi, di
perseguire obiettivi realistici in quanto già ottenuti e sperimentati dai concorrenti e la
pratica può essere messa in atto da qualunque organizzazione. L’utilizzo del
benchmarking permette quindi di attribuire un valore alla performance dei singoli
processi rispetto ai concorrenti, che moltiplicato per il peso dato ai clienti determina il
livello raggiunto dalle rispettive competenze. In tal modo si ottiene un portafoglio delle
competenze, dalle quali emergono quelle distintive, ovvero caratterizzate da un alto
valore aggiunto riconosciuto dagli acquirenti e dalla leadership dell’impresa nella loro
gestione. La concentrazione delle risorse in queste competenze permetterà all’azienda di
aumentare il divario con i concorrenti che avranno maggiore difficoltà nell’imitarle
(Hinterhuber e Stuhel, 1996).
2. La scelta dell’outsourcer deve avvenire in parallelo con la selezione dei processi da
esternalizzare, in modo da capire se sono in grado di offrirli nel modo desiderato.
Scegliere il provider significa anche scegliere il tipo di relazione da instaurare con lo
stesso. Le soluzioni possibili possono essere comprese tra due estremi logici:
transazionale e partnership. Nel primo caso l’impresa deve solo individuare un fornitore
in grado di offrire la prestazione desiderata a condizione di mercato. Perciò le funzioni
sono ben chiare, la contrattazione è standardizzata e la selezione del provider non è
particolarmente problematica. La soluzione è adatta per l’esternalizzazione di attività
più distanti dal core business.
Nella soluzione della partnership invece, il processo di outsourcing è la base per la
costruzione di un rapporto di natura cooperativa, teso a supportare nel medio- lungo
periodo le strategie dell’impresa. Le funzioni attribuite sono meno definibili e mutevoli
al cambiamento delle esigenze e strategie dell’impresa. La transazione diventa più
complessa ed impatta significativamente sulla vita dell’impresa, poiché interessa
funzioni molto prossime al core business.
10 Il BPR é uno strumento di misurazione continua, in termini sia qualitativi che quantitativi, per confrontare le performance di un impresa con quelle delle realtà migliori in assoluto (Terziani, 1998).
19
Pertanto, la scelte dell’outsourcer deve basarsi su specifici parametri di valutazione per
limitare al minimo il rischio di switching cost, costi che si dovrebbero sostenere in caso
di cambiamento del fornitore, molto elevati nelle operazioni di outsourcing. In
particolare occorre considerare nel partner la solidità finanziaria, il patrimonio
tecnologico, l’esperienza documentata, la riconosciuta credibilità, la propensione al
business oggetto dell’outsourcing, disponibilità ad assorbire risorse già esistenti e la
propensione ad integrare diverse culture. Spesso, per evitare che l’outsourcee diventi
eccessivamente dipendente dall’outsourcer, cioè che venga “catturato” o poter ridurre il
rischio di interruzione del servizio, l’impresa può decidere di rivolgersi a più partner. In
questo modo ottiene l’evidente beneficio di avere sempre un termine di paragone, la
possibilità di sostituzione in caso di crisi e la riduzione da parte degli eventuali
comportamenti opportunistici del partner. Tuttavia, anche in questo caso sono possibili
le asimmetrie informative, un diverse potere contrattuale delle parti coinvolte e il rischi
che possa interrompersi il rapporto anticipatamente. L’unica modalità di coordinamento
veramente efficace per governare l’interdipendenza transazionale è la fiducia, che
consente di trasformare la collaborazione di outsourcing in vantaggio competitivo. Da
un punto di vista economico, la fiducia è il risultato di un analisi costi- benefici, per cui
è dal calcolo della convenienza economica che gli operatori scelgono se comportarsi in
modo collaborativo o opportunistico. Quest’ultimo comportamento si può manifestare
quando il partner decide di utilizzare le conoscenze acquisite durante la cooperazione
per sostituirsi alla controparte in un secondo momento e proporsi sul mercato come suo
principale competitor. O ancora, quando gli interessi dei singoli partner diventano più
importanti di quelli comuni, tali da portare una cessazione anticipata.
Ma, il rischio più grande si presenta quando si perde il controllo di una variabile che
potrebbe portare benefici in futuro, know-how difficilmente recuperabile, presente
soprattutto nei casi di cooperazione in attività vicine al “core” business. Pertanto,
diventa molto importate un sistema di comunicazione efficace, che sappia fornire i
risultati ottenuti, informazioni strategiche ed operative, creando un ambiente favorevole
per lo sviluppo di relazioni sociali tra i partner.
Il possibile fornitore a cui un’impresa oggi può rivolgersi è addirittura un intero paese,
con la presenza di fenomeni quali il nearshoring, ovvero il decentramento in un paese
vicino o l’off-shoring, l’esternalizzazione di attività in un paese estero (Comito, 2004).
20
Spesso quest’ultima scelta viene fatta in un ottica di riduzione dei costi (Overby, 2012).
Tuttavia, “il prodotto realizzato in paesi low cost tende a diventare esso steso low cost,
innescando una spirale di prezzi al ribasso” Preti, Puricelli (2012).
3. La stipulazione del contratto è la fase molto importante e delicata di tutta
l’operazione. In essa infatti, verranno definite le modalità operative, criteri di
valutazione delle prestazioni, norme vigenti, responsabilità e sanzioni. Maggiore sarà la
puntualità nella redazione del contratto, minore sarà il rischio di comportamenti
opportunistici, anche se non nulli poiché l’efficacia del contratto dipende
dall’oggettività delle condizioni da rispettare, molto difficili da stabilire nel caso
dell’outsourcing.11 Vengono così spesso previsti delle nuove figure come il team leader,
che si dedica a tempo pieno al negoziato e document owner, che si occupa della
documentazione nella fase negoziale. Inoltre, data l’incertezza dei rapporti, vengono
previste una molteplicità di clausole relative al controllo continuo dei contenuti,
monitoraggio dei prezzi, delle performance e della qualità dei servizi forniti che fanno le
imprese che scelgono una soluzione complessa (outsourcing selettivo)12.
Per tutte queste ragioni non è possibile pensare ad una standardizzazione dei contratti di
outsourcing, ma possono essere definiti degli aspetti da tenere in considerazione, come:
- Scelta della durata ottimale: normalmente pari a 5/7 anni ed è fissato in modo da
permettere all’impresa committente di riscontrare gli effettivi benefici correlati
alle strategie di outsourcing e, all’outsourcer di recuperare gli investimenti
iniziali, trarre il giusto profitto dalle economie di scala e accrescere la propria
posizione sul mercato. Ma, prevedendo un termine così lungo, vengono previsti
particolari meccanismi di recesso e/o rinegoziazione in sede di stesura del
contratto.
- Oggetto: viene fatta una dettagliata descrizione dell’oggetto, con particolare
attenzione a quanto resta estraneo all’accordo e rimane nella sfera di competenza
di ciascuna parte (“esclusioni”) e l’individuazione dell’esclusiva dell’outsourcer
(“esclusiva a favore dell’outsourcer”). Successivamente vengono definiti gli
11 L’outsourcing é un contratto atipico, non disciplinato dalla legge, che può essere considerato un incomplete contracts in quanto prevede una parte di regolamentazione di tutto ciò che è possibile prevedere, ed anche una serie di allegati tecnici contenenti regole di comportamento per poter adeguare il rapporto alle mutazioni di contesto e di strategia. 12 La strategia di outsourcing selettivo è quella adottata anche dalla BPM, come vedremo successivamente nel terzo capitolo.
21
Service Level Agreement (SLA), ovvero i livelli e gli standard a cui il servizio
deve mirare, parametri per la valutazione e le procedure per il monitoraggio. Il
contratto, quindi include anche le conseguenze legate ad eventuali modifiche, di
innovazione o evoluzione, del servizio legittimamente richiesto.
- Previsioni globali di massima, programma generale e piani di produzione: il
contratto deve prevedere un progetto di sviluppo a breve e lungo termine,
fissando gli obiettivi da raggiungere ed eventuali piani di adeguamento.
- Tariffe e pagamenti: è necessario stabilire puntualmente il corrispettivo del
servizio, le modalità e i criteri per il calcolo delle tariffe e per la determinazione
dei pagamenti. Dall’altra parte, viene anche specificato come verrà distribuito il
pagamenti di costi, tasse, imposte, spese ed altri oneri nascenti dal contratto.
- Obblighi di informativa: vi è l’obbligo di mantenere informato il committente, il
quale ha il vincolo contrattuale della riservatezza e, data l’importanza del
rapporto di partnership che lega le parti, il contratto è intrasferibile.
Vengono inoltre previste delle clausole riguardo al personale delle parti, relativo al
lavoro fra le parti ed i rispettivi dipendenti; alla proprietà intellettuale, brevetti, privacy,
know-how; penali in caso di non corrispondenza ai livelli di servizio richiesto; alle
autorizzazioni antitrust e all’arbitrio, volta a dirimere future controversie.
4. La valutazione e il controllo delle prestazioni13: l’esternalizzazione delle attività
richiede ai manager dell’azienda cliente competenze particolari per poter controllare
costantemente i processi esternalizzati, con riguardo alla qualità, pianificazione e
sviluppo della tecnologia. Per ottenere ciò, viene utilizzata una parte delle risorse
liberate per effetto dell’outsourcing, mentre l’altra parte per rafforzare le capacità
distintive.
Per questo ultimo punto, possono essere utilizzati degli indici che misurano l’incidenza
dell’operazione sul totale della massa operativa gestita dall’outsourcee, come ad
esempio:
Lavorazione presso aziende terze/ Totale costi della produzione dell’azienda X,
indica quanta produzione è stata esternalizzata e, un suo aumento indica elevata
dipendenza;
13 Per le operazioni di esternalizzazione vengono previste tre tipologie di controllo: esecutivo, rispetto dei tempi e modi previsti dal contratto da parte dl fornitore; manageriale, coerenza delle prestazioni dell’azienda con l’evoluzione della tecnologia; sociale/organizzativo ,grado di dipendenza dai risultati economici-finanziari dell’impresa committente.
22
Capacità produttiva dell’azienda Y presso l’azienda X/ Capacità complessiva del
processo Y,
Indica il grado di concentrazione della capacità produttiva totale presso l’azienda X (=0
esclusiva, =1 più partner).
A queste fasi, negli ultimi anni è emersa un’ulteriore stadio da tenere in considerazione,
ovvero la transition, che riguarda il trasferimento da house ad outsourcing ed avviene
prima del monitoraggio.
2.2 Vantaggi competitivi e rischi in relazione alla convenienza
economica
La decisione sulla implementazione o meno di una strategia di outsourcing deve essere
supportata da un analisi preventiva dei vantaggi potenziali e dei possibili rischi, senza
dimenticare lo studio delle implicazioni gestionali e organizzative derivanti dalla scelta.
In generale, l’outsourcing rappresenta un’idonea strategia organizzativa, capace di
aumentare la forza competitiva delle aziende partner. Esse infatti ottengono un
incremento del rendimento prodotto con le risorse interne, grazie ad una concentrazione
degli investimenti nelle aree dove si detiene già la leadership di mercato. Vengono
perciò sfruttati pienamente gli investimenti, oltre alle innovazioni e specializzazioni
professionali dei fornitori, non prodotti internamente. Vi è incremento dei volumi nei
singoli comparti, con l’ottenimento di economie di scala, oltre a quelle di
apprendimento ottenute con la specializzazione dei fornitori (Galassi, 1969).
La strategia diventa rilevante anche nei confronti dei concorrenti, in quanto con essa è
possibile alzare delle barriere sia verso i concorrenti attuali che potenziali.
Definendo in modo chiaro gli obiettivi e facendo prevalere le ragioni strategiche su
quelle tattiche, si va verso una direzione di outsourcing strategico, da cui si ottengono
diversi vantaggi. Tra i più rilevanti vi sono: una maggiore efficienza organizzativa,
riduzione del fabbisogno finanziario, sviluppo di innovazioni tecnologiche e vantaggi
sinergici. Il primo vantaggio si ha poiché vi è da un lato il potenziamento delle core
competence, dato dall’affidamento all’esterno di interi processi che libera risorse
tecniche, umane e finanziarie; dall’altro un maggiore rendimento delle risorse interne,
con la concentrazione degli investimenti nelle competenze distintive.
23
La riduzione del fabbisogno finanziario, poiché con la liberazione delle risorse diventa
possibile anche fare degli impieghi alternativi, riducendo il fabbisogno finanziario e
ridimensionando gli oneri derivanti da fonti di finanziamento (capitale fisso). Inoltre,
intaccando il ciclo produttivo di alcuni processi, diminuiscono i tempi che separano il
pagamento e l’incasso (capitale circolante) e quindi il ricorso ad ulteriori fonti. Con la
riduzione del fabbisogno derivante dal capitale circolante e fisso, si ha una riduzione del
fabbisogno finanziario complessivo.
Si sviluppano innovazioni tecnologiche poiché un fornitore specializzato riesce ad
aggiornarsi con maggiore tempestività, in modo da rispondere ad un ambiente
tecnologico caratterizzato da rapida evoluzione. Questo scenario favorisce le relazioni
di cooperazione tra le imprese, spesso PMI, che si suddividono il rischio, sfruttano
appieno le innovazioni e raggiungono economie di scala e di scopo, maggiore rispetto
alle singole grandi imprese.
Grazie alla cooperazione, vengono ottenuti anche i vantaggi sinergici, ovvero lo
sviluppo di iniziative innovative con condivisione dei costi e rischi coinvolti.
Come abbiamo sottolineato, con l’outsourcing diventa possibile sfruttare economie di
scala e di apprendimento. Nel primo caso si ha un miglioramento dell’efficienza
produttiva ed un’impresa è efficiente quando fa un’allocazione delle risorse nelle
attività con vantaggi competitivi ed affida le altre attività ai produttori esterni
(Andereson e Weitz, 1986). Esiste un punto che, superato il quale, diventa difficile
ottenere ulteriori economie di scala (MES, minimun efficient scale):
Fig. 2.2 Curva dei costi unitari nel lungo periodo:
24
Fonte: Hill, Jones, Borton (2005).
Superato il punto A per l’impresa risulta difficile ottenere ulteriori riduzioni di costo.
Mentre, le economie di apprendimento si riferiscono ad economie di costo che l’impresa
può realizzare ripetendo più volte la medesima operazione ed il fornitore ottiene i
vantaggi connessi.
Tuttavia questi vantaggi di costo non sono sufficienti affinché essa decida di
implementare una strategia di outsourcing, ma vengono anche visti altri fattori di natura
più strategica, come abbiamo visto precedentemente.
Il trasferimento all’esterno di processi aziendali può comportare anche dei rischi, ovvero
uno scostamento negativo rispetto agli obiettivi prefissati, che devono essere presi in
considerazione. I rischi principali legati a questa operazione riguardano l’indebolimento
delle competenze critiche, ovvero perdere la capacità di restare o rientrare nelle
competenze; la perdita di controllo sul supplier, quando non è in grado di mantenere il
livello di qualità pattuita e/o non rispetta le specifiche di prodotto; la concorrenza
all’outsourcer da parte del supplier, che utilizza le conoscenze che gli sono state
esternalizzate a suo vantaggio; il peggioramento del clima sociale e delle performance, a
25
Costi, ricavi, risultato
Costi, ricavi, risultato
Ricavi Costi
totaliCosti variabili
Costi fissi
Risultato operativo
Prezzo medio
Costi unitari
MES
A
causa dei timori dei dipendenti dell’impresa che esternalizza sulla possibilità di perdere
il posto di lavoro; la resistenza manageriale, per paura della eccessiva dipendenza verso
l’outsourcee; gli errori manageriali, nel caso in cui non prenda in considerazione tutti gli
elementi coinvolti nell’operazione, in particolare tutti i costi.
Il trasferimento a fornitori esterni di una o più funzioni svolte fino ad allora all’interno,
poiché porta i vantaggi e rischi trattati precedentemente, richiede la verifica
dell’esistenza di convenienza economica. Vengono perciò analizzate le implicazioni
economiche, riguardanti la struttura dei costi del rischi operativi,reddituali, sull’analisi
dei costi e gestionali, relative alle variazioni della produttività e ai tempi di
trasformazione.
La prima verifica viene fatta perché un processo produttivo comprende una fase di
costituzione dell’attività, costi fissi ed una di utilizzo di quest’ultima, costi variabili. In
base alla prevalenza dei costi fissi o di quelli variabili, la struttura dell’azienda sarà più
rigida o più flessibile. Con l’outsourcing diventa possibile trasformare i costi fissi in
variabili, in quanto taluni dei primi vengono cancellati (investimenti in alcuni impianti e
tecniche, know-how e personale qualificato), ottenendo in questo modo una maggiore
flessibilità. I costi fissi e variabili sono importanti nella costituzione del break even
point (punto di pareggio)14 , che dà una corretta valutazione degli effetti sulla redditività
aziendale. In caso di aumento dei costi fissi, il BEP si sposta a sinistra, diminuiscono i
ricavi d’equilibrio, aumentando i costi variabili e diminuisce la vulnerabilità del
risultato economico che aumenta il margine di sicurezza. Guardando l’outsourcing, la
conclusione a cui si arriva con il BEP è che porta una diminuzione del rischio operativo
e genera valore.
Inoltre, per questa valutazione è possibile utilizzare la leva operativa, che valuta
l’effetto generato da una variazione della quantità di un bene/servizio. Guardando la
leva operativa in termini analitici15 si intuisce che è dato dal rapporto tra variazioni del
reddito operativo e della quantità prodotta e, un aumento dei costi fissi indica sia
l’aumento della possibilità di massimizzare i profitti sia il rischio di perdite, creando un
effetto moltiplicatore sia in crescita che in perdita.
14Il punto di pareggio rappresenta il livello di attività in corrispondenza del quale i costi totali aziendali coincidono con i ricavi totali di vendita e per determinarlo occorre mettere in relazione tra loro i costi, ricavi e volumi di attività (Arcari, 2010) : BEP (fatturato)= CFT / [(RT-Cvt)/RT].15 GLO = (var RO/RO)/ (var Q/Q), ovvero GLO = 1/ 1- (CF/MC), Arcari (2010).
26
Perciò dato che nell’outsourcing i costi fissi diminuiscono, guardando la leva operativa
si nota che con esso diminuiscono i costi di produzione ed aumentano i profitti nei
periodi di crisi.
L’analisi dei costi viene fatta per valutare il controllo dell’efficienza (nel breve e nel
lungo), supportare il processo di fissazione dei prezzi, valutare la convenienza
economica di una scelta di outsourcing e l’andamento di questo rapporto.
Vengono perciò valutati i costi fissi e variabili interni ed esterni, importanti per
formulare il “punto di indifferenza” ovvero il punto dove l’insourcing e l’outsourcing
sono ugualmente convenienti, oltre il quale esiste una convenienza a produrre
all’interno:
Fig. 2.3- Insourcing versus Outsourcing: un confronto tra i costi
Fonte: Bubbio, Facco (1994).
Dal grafico si intuisce che con l’outsourcing vengono ridotti i costi fissi e nel contempo
aumentati i costi variabili e vi è flessibilità, diminuiti i costi operativi totali (economie
di scala, di apprendimento, innovazione e di prodotto e processo). Di conseguenza viene
ridotto il costo del venduto, il BEP, aumenta il grado di elasticità dato dal rapporto tra
costi variabili e costi fissi e migliora il margine di sicurezza.
In base al funzionamento dell’outsourcing, diventa utile fare una classificazione dei
costi coinvolti: interni, valore dell’utilizzazione dei fattori impiegati in azienda; esterni,
costi transazionali, che comprendono i costi di ricerca del fornitore, la contrattazione, il
27
COSTI
Acquisire all’esterno - Outsourcing
Costi fissi post outsourcing
Livello di attività
Fare all’interno – Insourcing
Costi fissi ante outsourcing
Punto di indifferenza
EP + TC < IC
monitoraggio e la liquidazione; relazionali, investimenti necessari per la connessione
con altre aziende e riguardano i costi di adattamento, produzione di risorse con utilità
comune, costi di opportunità dati dall’aver rinunciato alla produzione interna.
Nel caso dell’outsourcing, non essendoci una relazione di natura gerarchica, gli
strumenti tradizionali di coordinamento e controllo diventano inefficaci e la transazione
estremamente costosa. Quindi, affinché l’impresa ottenga una convenienza economica,
essa dovrà riuscire a conseguire il risultato:
ovvero che la somma tra il costo delle “n” operazioni di acquisto e
il costo delle transazioni totali sia inferiore al costo di gestione
dell’intera attività. Ne consegue che:
se TC = IC – EP è massimo il livello del costo delle transazioni e l’efficienza
dell’outsourcing;
se TC < IC – EP l’impresa raggiunge il successo;
se TC > IC – EP si ottiene un insuccesso e all’impresa conviene internalizzare.
Bisogna inoltre considerare ulteriori costi legati alla fase successiva alla stipulazione del
contratto e riguardanti i potenziali rischi che possono verificarsi durante l’operazione.
Il pericolo più rilevante è la potenziale irreversibilità dell’outsourcing (sunk costs), che
si presenta qualora nel medio lungo periodo non siano stati prodotti i benefici attesi
della strategia. L’irreversibilità potrebbe verificarsi poiché adottare una simile strategia
implica dei costi elevati ed è pensata per un lungo periodo. Per l’azienda diventa
altrettanto difficoltoso riuscire a ripristinare l’attività precedentemente affidata al
fornitore esterno (insourcing) o rivolgersi ad una altro provider (costi di switching).
Diventano vere e proprie barriere all’uscita, sia per l’internazionalizzazione nuovamente
dell’attività ceduta che per il reperimento di personale qualificato e bisogna perciò
tenerle in considerazione.
Fino ad ora gli elementi valutati riguardano una strategia di outsourcing come semplice
soluzione per la riduzione dei costi di breve periodo. Guardandone la convenienza
economica dal punto di vista gestionale, si nota un aumento della produttività
economica, che è data dal rapporto tra il valore dell’output realizzato e il costo totale
dell’operazione. Un aumento del primo indica la presenza di economie di scala, di
sinergia tra outsourcer e outsourcee e la riduzione dei costi.
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Un altro strumento di analisi che può essere utilizzato è l’Activity- based costing (ABC)
e Activity-based management (ABM). Il concetto fondamentale è che il costo di un
prodotto non deriva dalla sommatoria dei singoli consumatori di esso ma dallo
svolgimento delle diverse attività alla realizzazione del prodotto. Le attività per l’ABC
sono le transazioni, fisiche e/o informatiche, coinvolte nelle diverse unità organizzative
dell’azienda a consumare risorse e perciò generare costi (activity driver). Vengono
perciò individuati i costi per centro di attività e attribuiti ai prodotti in funzione dei cost
driver (determinanti di costo), in quanto rendono necessarie ed intense le attività.
Mentre l’ABM è il sistema di gestione delle attività che mette in luce i collegamenti
esistenti tra le stesse, in un ottica di processo interfunzionale e il grado di efficienza e di
efficacia.
Le informazioni derivanti dalle due analisi possono essere valorizzate dal
benchmarking, che confronta il processo aziendale dell’impresa rispetto alle aziende
leader. Dal confronto l’azienda può risultare: più performante e decidere se continuare a
svolgere internamente oppure esternalizzare nel caso ritenga di non mantenere le stesse
performance in futuro; meno performante e perciò, o investire e colmare il divario o
esternalizzare attività con bassi livelli di prestazione.
Per tutte queste ragioni la valutazione della decisione strategica di outsourcing non può
basarsi solo sui fattori legati alla redditività operativa (Brunati, Coda, Flavotto, 1996)
ma dovrà tener conto di tutte le conseguenze connesse alle variazioni di struttura
operativa, organizzativa ed al comportamento strategico (Gientzmann, 1996).
Fino ad ora si sono visti i vantaggi, nonché i rischi, e la convenienza economica
derivanti dalla strategia. Ma fino a che punto si deve esternalizzare affinché sia
veramente conveniente e vantaggiosa la strategia? Per poter cercare di rispondere a
questa domanda viene utilizzata un’ipotesi di soluzione che prende in considerazione il
rapporto tra l’outsourcing e il successo di mercato, in particolare la quota di mercato.
Guardando tale rapporto, diversi studiosi16 hanno affermato che esiste una “negative
curvilinearity” (curvilinea negativa):
Fig. 2.4 Relazione tra Outsourcing e quota di mercato
16 Tra i più rilevanti vi sono Kotabe, 2008; Md, 2007; Lacity, 2010.
29
Fonte: mio adattamento da J. of the Acad. Mark. Sci. (2012).
Per cui le imprese possono beneficiare dell’outsourcing ma in una certa misura: A,
punto fino al quale conviene esternalizzare. Il rapporto outsourcing- quota di mercato è
influenzato sia dalle risorse interne all’azienda che dalla concorrenza. Queste perché
l’azienda deve tenere al suo interno delle risorse da utilizzare, una serie di attività che
devono essere eseguite internamente per soddisfare la domanda dei clienti e non
esternalizzate. Mentre, guardando la concorrenza gli studi sostengono che più essa è
intensa, più le imprese cercano un efficienza di costi che possono ottenere attraverso
l’outsourcing. Ma, allo stesso modo più si esternalizza, più le imprese diventano
produttrici di un’offerta standard e la concorrenza aumenta. Considerando questo
elemento, entrano in gioco delle variabili, quali la R&S (se aumenta, diminuisce la
concorrenza e di conseguenza anche l’esternalizzazione), l’intensità del marketing (se
aumenta, la concorrenza diminuisce e di conseguenza l’esternalizzazione), la
concentrazione industriale (se aumenta diminuisce la concorrenza).
Le imprese dovranno bilanciare in modo adeguato il loro livello di outsourcing con la
quota di mercato, infatti se esternalizzano poco, non ottengono i livelli di costi ricercati
dalla clientela; esternalizzano troppo, rischiano di perdere il controllo della produttività
e diventa difficile provare che i propri prodotti siano distinti da quelli della concorrenza.
Perciò un’impresa dovrà scegliere un livello di outsourcing che sia coerente con la sua
dimensione, tipologia di attività svolta, il contesto in cui si trova e la strategia
perseguita.
Capitolo terzo
30
Outsourcing informatico: caso BPM banking
3.1 Outsourcing nel sistema bancario
Nell’ultimo periodo molte banche hanno dovuto affrontare un nuovo scenario
competitivo a cui rispondere per poter rimanere sul mercato. Ciò che maggiormente ha
caratterizzato il nuovo scenario è la globalizzazione dei mercati finanziari,
l’internalizzazione delle imprese, l’innovazione tecnologica, la sofisticatezza della
nuova domanda e la deregolamentazione dei settori. Inoltre, vi é l’entrata di nuovi
intermediari e concorrenti provenienti da altri settori e l’annullamento dei confini tra
comparti affini.
Tutto questo ha portato un significativo mutamento nella gestione tipica della banca, in
particolare si può osservare:
- il passaggio da iper- intermediazione a disintermediazione con una conseguente
riduzione degli impieghi e del margine degli interesse;
- la focalizzazione sui servizi non creditizi ad alto valore aggiunto, tale da
incrementare il margine di intermediazione;
- la modificazione della struttura dell’offerta nei casi di fusione o acquisizione17 di
altre banche, strategie prese in considerazione per poter ottenere tutti i vantaggi
derivanti da una crescita dimensionale18;
- sviluppo di nuovi modelli organizzativi come il modello a rete, realizzato
attraverso il raggruppamento di attività, prodotti, clienti, aree geografiche, per
poter soddisfare le esigenze delle imprese sempre più vicino al luogo in cui si
manifestano.
Il nuovo scenario competitivo delle banche, quindi, costringe il sistema bancario a
rivedere il suo modello organizzativo interno e la sua strategia. Una nuova possibile
strategia da adottare può essere rappresentata dall’outsourcing.
17 La fusione ha luogo quando due o più imprese creano ad una nuova entità giuridica, conferendo il loro patrimonio. Mentre con l’acquisizione di un impresa non vi é la creazione di una nuova entità ma l’acquisizione di un impresa già esistente sul mercato per il mantenimento delle sue condizioni di economicità. 18 Un aumento della quota di mercato, della capacità di introdurre innovazioni, della possibilità di sfruttare le economie di scala, una diminuzione del rischio e agevolazioni rispetto ai coefficienti minimi patrimoniali.
31
Alcune banche, infatti decidono di adottare una strategia di outsourcing strategico per
rendere la struttura dei costi più elastica, liberare capitale da indirizzare a nuove
iniziative innovative e strutture più flessibili verso i mutamenti ed avere una strategia di
specializzazione per prodotto-processo. Inoltre, la banca riesce a rispondere al mercato
con un offerta universale, che da sola non sarebbe riuscita a sviluppare, non avendo la
capacità produttiva e gli standard qualitativi richiesti dal mercato.
Vengono così concentrate le risorse nelle attività “core”, in modo da poter rafforzare il
vantaggio competitivo e massimizzare le economie. Mentre, la gestione dei processi
esecutivi, in quanto non legata direttamente al core viene delegata ad uno o più fornitori,
con cui si viene a creare un legame di leadership duraturo con investimenti congiunti e
condivisione dei rischi. Le attività oggetto della transazione sono quelle per cui i livelli
interni di efficacia ed efficienza non risultano ottimali. Esse possono riguardare singole
fasi della catena del valore o interi processi.
La banca, per poter effettuare una scelta coerente, identifica i processi su cui si basa il
suo operato, gli scompone in attività elementari, di cui valuta le performance e infine
emergono le attività con competenza distintiva. Da questo processo, quindi possono
risultare attività possibili da esternalizzare quelle:
- non bancarie (gestione amministrativa del personale, call center, manutenzione
impianti, controllo sicurezza,…): per le quali vengono richieste le capacita
possedute dai specialisti e non rientrano tra quelle necessarie per ottenere il
vantaggio competitivo;
- bancarie a basso valore aggiunto (trattamento assegni e documenti, gestione
delle transazioni di pagamento elettronico, gestione degli sportelli automatici,..):
strutture automatizzate, con un livello elevato dei servizi e costi bassi per unità
di output;
- attività primarie che possono emergere a seguito di una disintegrazione dei
processi e che potrebbero essere gestiti dai fornitori in maniera più efficiente. La
disintegrazione avviene poiché é possibile distinguere nettamente la funzione
produzione e distribuzione, benché collegate tra di loro, ottenendo i massimi
livelli di efficienza.
32
Questo è molto rilevante considerando che uno degli obiettivi strategici della banca è
individuare i bisogni finanziari della clientela e cercare di soddisfarli in modo più
tempestivo.
Nel caso italiano, vi sono stati dei notevoli investimenti in infrastruttura, delle
modifiche nelle transazioni effettuate, delle sollecitazioni concorrenziali e processi di
ristrutturazione organizzativa tali da determinare maggiori tassi di crescita
dell’applicazione dell’outsourcing. Tuttavia, non vi è un preciso disegno strategico:
l’obiettivo principale è il risparmio economico, il fornitore viene scelto in base al
miglior prezzo offerto e alla reputazione, vi è una scarsa valutazione dei risultati del
fornitore e solo il 30% delle aziende ha l’esigenza di focalizzarsi sul core business.
Diventa perciò impossibile una valutazione nel tempo della validità della scelta
effettuata (Banca d’Italia e The Joint Forum, 2005) anche se con l’aumentare del rischio
dell’attività delegata l’attenzione verso questi elementi aumenta (gestione dei rischi,
gestione dei portafogli di proprietà).
Con l’outsourcing vengono liberate risorse umane, alienati beni patrimoniali, apportate
trasformazioni radicali negli organigrammi e nei regolamenti soprattutto nell’area
finanza e crediti.
Guardando nello specifico gli ambiti di applicazione dell’outsourcing nel caso bancario,
possiamo trovarlo in modo limitato nell’area credito, in quanto funzione tipica della
banca, nella logistica (stampe, trasporti, modulistica, cancelleria,…) e nel back office
(es. assegni), nei sistemi informativi aziendali.
Con riguardo all’area credito (recupero crediti, cartolarizzazione, credit scoring-
istruttoria) vi sono delle iniziative riguardanti: una nuova impostazione, a livello di
portafogli prestiti, con tecniche di diversificazione per la funzionale ottimizzazione del
rapporto rischio-rendimento; la revisione della logica operativa, per la valutazione dl
rischio di insolvenza; procedure più efficienti per il recupero crediti. Quest’ultima
operazione viene svolta in outsourcing in quanto implica dei costi eccessivi e porta dei
vantaggi in termini di trasformazione della struttura dei costi, da fissi a variabili ed
aumenta il livello del recupero, diminuendo il tempo richiesto per lo stesso. Il vantaggio
più rilevante è dato dal fatto che la banca presta una maggiore attenzione alle aziende
che si trovano in condizione di difficoltà momentanea ma capaci di andare lontano con
l’assistenza finanziaria. I rischi si presentano nel momento in cui l’outsourcer diventa
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un vero e proprio esattore e cambia il rapporto banca-cliente o quando vi è
l’eliminazione di una fonte di informazioni utili per la gestione prospettica.
Sempre nell’outsourcing dell’area credito possiamo trovare la cartolarizzazione dei
crediti19, ovvero la trasformazione dei crediti in titoli negoziabili sul mercato tramite la
società veicolo. In questo caso l’originator, titolare del credito, libera delle risorse
finanziarie che vengono reinvestite in nuovi crediti. I vantaggi che ne derivano
riguardano la diminuzione dell’attivo dello stato patrimoniale, dell’ammontare delle
sofferenze, dei costi di amministrazione per il recupero crediti, migliora il rating
riguardante la banca ed alcune funzioni aziendali vengono cedute e potrebbero essere
destinate ad aspetti più strategici ed aumentare in questo modo il reddito della banca. I
rischi riguardano i costi iniziali elevati e la perdita di commissioni derivanti dal
sourcing dei crediti.
Invece con l’outsourcing di sistemi informativi vengono affidate a terzi attività
riguardanti lo sviluppo, l’esercizio e la manutenzione del sistema informativo
automatizzato, attività precedentemente svolte internamente. La banca e l’informatica
sono legate dal fatto che i prodotti, i servizi e i processi riguardanti la banca hanno un
alto contenuto di informazioni. Per poter ottener un efficienza operativa i servizi devono
essere erogati nello stesso momento in cui sono prodotti. A questo scopo la banca può
scegliere tra una gestione interna, necessaria a garantire la riservatezza dei dati e
disporre di servizi personalizzati, ovvero coerenti con la dimensione e l’area territoriale
in cui operano le imprese o l’esternalizzazione dell’attività, con un trasferimento dei
dati e del know-how connesso allo sviluppo delle procedure. La prima soluzione
diventa tanto rilevante quanto più le attività che vengono esternalizzate sono vicine al
business, in quanto comportano un maggiore rischio dato dall’elevato numero di
variabili da gestire con l’evoluzione dei problemi. Tuttavia con l’aumentare della
complessità gestionale, la banca potrebbe non avere le potenzialità informatiche e dare
dei risultati non soddisfacenti. Per queste ragioni diventa più preferibile l’outsourcing,
rispetto al quale la banca può non avere una completa dipendenza costruendo un team
all’interno del suo personale, che potremmo denominare comitato di gestione. Esso si
occuperà di analizzare tutte le richieste di intervento da sottoporre all’outsourcer e della
19 Secondo la definizione di ABI: “Tecnica finanziaria mediante la quali flussi di cassa derivanti da impieghi creditizi (mutui o altre classi di attivo predeterminate) vengono selezionati e aggregati al fine di costituire supporto finanziario e garanzie di titoli (asset backed securities) rappresentativi di tale credito, collocati nel mercato dei capitali”.
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valutazione delle performance di quest’ultimo. I motivi di questa scelta sono sia di
natura economica, poiché diminuiscono i costi operativi, che strategica, in quanto si
hanno più risorse da dedicare al core business, una continua ed aggiornata
manutenzione ed un aumento dell’efficienza ed efficacia del sistema. Guardando più da
vicino le attività IT esternalizzabili troviamo: gestione del data center, di
apparecchiature periferiche, supporto di rete promotori, call center, sportelli non
presidiati (ATM). Nel rapporto con il partner quindi viene richiesta la massima
trasparenza della strategia sul sistemi informativi, completa definizione dei processi,
precisa individuazione degli indicatori di servizio ed un intenso confronto tra le parti.
Tra le forme di partnership possiamo trovare i fornitori indipendenti, la costituzione di
una società ex-novo, joint venture (banche-fornitori) o consorzi specializzati.
L’attuale mercato dell’outsourcing del sistema bancario vede questa strategia come un
fenomeno strutturale caratterizzato dalla modifica dell’organizzazione interna, con la
creazione di strutture reticolari ed idoneo per la security informatica e servizi di
multicanalità CRM, contact center, sistemi di internet e virtual con competenze e skills
tecnici. È presente soprattutto:
- l’outsourcing selettivo, in ambito di application management (sviluppo e
manutenzione di applicazioni e software), business management
(esternalizzazione di un’intera funzione del sistema informativo, come ad
esempio la logistica), network management (trasmettere, vedere e controllare
immagini in rete), gestione esterna di servizi di rete dati, voce ed immagini;
- l’esternalizzazione di funzioni connesse e ausiliarie (strumenti di pagamento
elettronici, servizi di economato e gestione degli archivi), di amministrazione
contabile (amministrazione del personale, attività di back office, data entry,
lavorazione di assegni, trattamento degli effetti) nonché attività sempre più
vicine al core business.
Secondo un rapporto ABI Lab20 del 2009 sullo Scenario e trend del mercato ICT per il
settore bancario emerge che il peso dell’outsourcing è aumentato, si ricorre a fornitori
esterni ed é aumentato il numero degli outsourcer, e si ricorre all’outsourcing ICT per
una gestione più efficiente. Si hanno inoltre delle previsioni favorevoli con riguardo al
20 ABI Lab è il Centro di Ricerca e Innovazione per la Banca nato nel 2002 su iniziativa dell'ABI allo scopo di creare un contesto di incontro e confronto tra banche e Partner ICT e di realizzare attività di ricerca e sviluppo sulle tecnologie innovative per la gestione dei processi, dei canali e della sicurezza in banca.
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taglio dei costi e alla risposta per la crisi (interventi di riorganizzazione, ridisegnando i
processi).
In Italia vi sono tre segmenti importanti: società o divisioni controllate da grandi gruppi
bancari (es. Bnl multi servizi), società focalizzate (es. Finisiel) e piccole e medie banche
che si rivolgono ai consorzi (Vigorelli, Pontiggia, Scardovi, Buffa di Persero, 1999;
Fiorini, 2002). Guardando i grandi gruppi, si può procedere ad un ulteriore
sottosegmentazione. Essi infatti possono decidere di costituire al loro interno un’altra
azienda, ovvero uno spinoff oppure un consorzio (ISIDE, CSE, CBP,…), nella maggior
parte dei casi strumentali al fine di non pagare l’iva all’interno dello stesso.
3.2 I tre livelli dell’outsourcing e la scelta della BPM:
La presenza di tre livelli di outsourcing è un elemento emerso anche nell’intervista fatta
a Roberto Fonso, il Direttore Information Technology di Banca Popolare di Milano
(BPM). Infatti con l’intervista, guardando il caso dell’outsourcing delle banche italiane,
ed in particolare la loro dimensione, si sono riscontrati tre livelli di outsourcing:
- le banche medio piccole fanno un full-outsourcing21 e si aggregano in un
consorzio per poter ottener questo servizio. Il consorzio, infatti permette di avere
una maggiore forza contrattuale ed ulteriori vantaggi, come si è visto anche nel
capitolo uno. Le banche scelgono di adottare questa strategia in quanto
consapevoli di non poter sviluppare al proprio interno le competenze necessarie
per poter competere con successo. Ne sono un esempio le banche di credito
cooperativo22;
- le banche più grandi, al contrario, scelgono un livello di outsourcing quasi pari a
zero. Questo avviene per ragioni di convenienza economica, in quanto ad esse
conviene internalizzare il costo dell’outsourcing costruendo all’interno un
reparto apposito piuttosto che delegare a terzi. Tuttavia, realizzerebbero delle
21 Il full outsourcing richiede che l'evoluzione dalla gestione in conto all'esternalizzazione avvenga secondo criteri e finalità comuni tra cliente e provider; esso si fonda, quindi, sull'instaurarsi di una partnership tra le due parti e in questo modo si eleva il livello operativo e strategico della collaborazione e si rende massima la condivisione degli obiettivi.22 La Credem (Emiliano) ha deciso di dare in outsourcing sia la gestione tecnologica (system manager), con la parte infrastrutturale e l’applicativo, sia la gestione degli sportelli- teller (cassieri) puntando verso una strategia di outsourcing più spinto. La stessa strategia di full outsourcing è stata adottata dal gruppo Banca Popolare di Vicenza nel 1993, che ha esternalizzato la gestione dell’infrastruttura IT e del sistema informatico con la cessione di risorse e di competenze.
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diseconomie nel caso in cui decidessero di assistere direttamente ogni singola
filiale, per la gestione ad esempio del pc, invece di rivolgersi ad un fornitore
esterno. Quest’ultimo infatti, avendo una copertura nazionale ed intervenendo su
“n” imprese, ha la possibilità di rispondere in modo più efficiente ed efficace.
- le banche medio grandi potrebbero essere considerate come aziende che si
avvalgono di un outsourcing a livello intermedio. In questo caso l’outsourcing
può essere considerato selettivo in quanto l’approccio è sempre più focalizzato e
viene data in outsourcing la componente più tecnica, la gestione di componenti
specifiche dell’attività bancaria.
Ed è quest’ultima strategia, come ci spiega anche R. Fonso nell’intervista, quella
adottata dalla BPM. La Banca Popolare di Milano, fondata nel 1865, è una banca
cooperativa multi regionale con sede a Milano. Infatti, pur continuando a mantenere il
tradizionale legame con i territori di riferimento, in questi anni di storia BPM è cresciuta
fino a divenire un'importante forza economica a livello nazionale. Oggi è a capo di un
gruppo bancario multi regionale composto da reti bancarie e società prodotto che, grazie
ai quasi 8.800 dipendenti e agli oltre 800 punti vendita, sono al servizio di una vasta
gamma di clientela formata da privati e aziende.
Lo scenario competitivo della banca tuttavia nel frattempo è molto cambiato e per poter
rispondere a questo cambiamento, la banca ha deciso di adottare una strategia di
outsourcing selettivo. I motivi principali che l’hanno spinta verso questa scelta,
emergono dalle parole di R. Fonso e riguardano:
- la possibilità di avere una gestione più industriale e strutturata;
- usufruire dei vantaggi derivanti dal raggiungimento di economie di scala da
parte dei partner;
- l’ottenimento di un risparmio in termini di costo con la conseguente possibilità
di investimento delle risorse liberate verso le attività core;
- facilitazione al raggiungimento dei risultati predefiniti Service Level Agreement
(SLA), ovvero dei parametri di misurazione dei livelli di servizio.
Per ottenere una maggiore strutturazione, e coerentemente con la strategia di
outsourcing selettivo, la BPM ha deciso di esternalizzare solo alcune attività. In
particolare il dott. Fonso nell’intervista ricorda il servizio stampa, la gestione dei posti
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di lavoro, il desktop management (PC), la gestione della rete telefonica e l’application
management (gestione e manutenzione delle applicazioni software).
In un operazione di outsourcing assume un’importanza notevole il rapporto di
partnership che lega l’outsourcee e l’outsourcer e diventa perciò essenziale la scelta di
quest’ultimo. I tre partner più importanti per l’outsourcing informatico presenti sul
mercato sono CSE (Consorzio Servizi Bancari), Cedacri e SEC. Molte banche,
consapevoli di non poter fronteggiare in autonomia la crescente complessità gestionale
dei sistemi informativi aziendali e dei relativi costi economici, hanno deciso di
partecipare congiuntamente alla creazione dell’azienda informatica Cedacri s.p.a.. Ad
essa sono state affidate sia attività connesse con l’IT (sistema informativo, P.O.S.,
A.T.M., Self service, rete geografica, Home banking) sia alcuni servizi (portafoglio
effetti ed assegni, call center di supporto, servizi di banca telefonica e Internet Banking,
centro stampa, help desk tecnologico). La partnership con una società come la Cedacri
s.p.a. permette alle banche di ottenere una migliore consapevolezza dei costi di gestione
per il processo delegato, economie di scala e di esperienza, maggiore flessibilità,
accesso a nuove tecnologie e di strumenti di supporto, maggiore efficienza nello
svolgimento della funzione delegata, maggiore qualità delle soluzioni disponibili ed
accesso a gruppi di acquisto. Tutti questi vantaggi derivano dal fatto che società come
Cedacri s.p.a., SEC e CSE hanno un numero elevato di utenti e, per la legge dei grandi
numeri, ogni singolo utente riesce ad ottenere un servizio più efficiente e più economico
in quanto condiviso con gli altri utenti. Inoltre Cedacri s.p.a., in quanto realtà di
emanazione bancaria, ha ben chiare le esigenze, le problematiche e le norme generali
che riguardano aziende di medie e piccole dimensioni con servizi standardizzati. La
scelta del partner viene tenuta molto in considerazione anche dalla BPM. Essa, secondo
quello che racconta Fonso, è il risultato di un processo di selezione, che comprende:
1. la costituzione di una “long- list” in base alla raccolta di un RFI (Requist for
information), che contempla i requisiti necessari che l’impresa deve avere per
poter essere in grado di svolgere il servizio richiesto;
2. una “short- list” a cui viene sottoposto un RFP (Requist for proposal), per
approfondire tutti gli aspetti dell’offerta, compresi quelli economici;
3. Creazione di tabelle qualitative, costruite sulla base delle risposte date dalle
imprese prese in considerazione, a cui vengono attribuiti dei pesi e dei punteggi.
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Gli elementi osservati che hanno una maggiore rilevanza per una banca che
desidera esternalizzare, sono il servizio offerto e le referenze, a cui attribuisce un
peso maggiore. Il servizio è molto importante in quanto esso andrà a sostituire
quello che precedentemente veniva svolto dalla banca e di esso viene valutato se
risponde alle esigenze. Le referenze invece si riferiscono al numero dei clienti
della società, alla sua affidabilità e di esso vengono valutate le caratteristiche dei
clienti e se si avvicinano a quelle della banca. Per quanto riguarda invece la
valutazione degli elementi di costo, vengono fatte delle gare pubbliche di
appalto, in cui gli elementi più importanti sono il costo, il tempo ed il valore
aggiunto.
4. valutazione qualità/ prezzo, dove è possibile comunque chiedere un ulteriore
rilancio verso il basso, nel rispetto del regolamento economale vigente.
Una banca, come un qualsiasi altro tipo di società, può decidere di avere uno o più
partner di outsourcing. La logica seguita dalla maggior parte delle banche è di non avere
un solo partner per non cadere nel rischio della cattura reciproca23, ma neanche un
numero eccessivo per non rischiare di perdere il controllo. La BPM ha alcuni partner
selezionati così da avere con ognuno un rapporto significativo. Il rischio della cattura, il
rischio di non riuscire più a tornare indietro e di subire una grossa trasformazione,
nonché la dimensione incoerente con la strategia e la differenziazione fanno sì che la
BPM decida di non fare un outsourcing in full.
3.3 BPM: Strategia odierna e possibile evoluzione futura
La BPM in ambito di strategia IT24 sta seguendo due leve fondamentali: l’outsourcing
selettivo, come abbiamo potuto notare anche precedentemente e l’investimento sui
progetti di qualità, grazie all’innovazione. Perciò vengono affidati all’esterno alcuni
servizi, infrastrutture, prestazioni di lavoro, connettività, gestione PC (DTM) o
manutenzione corrente delle applicazioni (AM). Sono tutti servizi non differenzianti al
23 La cattura reciproca (o block in) indica che vi è una eccessiva dipendenza verso il partner preferenziale, che comporta comportamenti scorretti da quest’ultimo. 24 La strategia IT adottata dalla BPM emerge da un intervista fatta a R. Fonso il 20 febbraio 2012, a cui farà riferimento la mia argomentazione.
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contrario di quelli che portano un valore in termini di business, che vengono controllati
internamente. Vi è perciò sempre più la tendenza verso la virtualizzazione. La scelta di
esternalizzare una parte delle attività viene fatta secondo logiche di convenienza
economica. La BPM ha deciso di intraprendere questa strategia e non un’altra, come ad
esempio un buy, poiché ha valutato degli elementi come ad esempio:
BUY(acquisto) OUTSOURCING
-Conto Economico: costo della produzione-
costo per il personale ed onere di gestione
ordinaria;
-Possibile attualizzazione del costo e
conoscenza immediata della spesa =
Montante-Ammortizzazione.
-Conto Economico: canone (di
outsourcing) e costo di manutenzione e
personale;
-Essendo un canone, è un costo che
non riesco ad ammortizzare.
Fonte: mia elaborazione.
Ma oltre a questi elementi di natura puramente contabile, la scelta dell’outsourcing
deriva anche dal contesto, dalla realtà in cui si trova la BPM e le altre banche, che
richiede sempre più una maggiore differenziazione e flessibilità dell’offerta. Perciò si
tende ad esternalizzare quelle attività considerate comodity per una banca, come ad
esempio la contabilità, paghe e contributi, ciclo attivo e passivo, quelle attività che
hanno delle caratteristiche standard e un “general purpose”.
Questo riguarda, come abbiamo visto, anche l’IT con l’obiettivo principale di
massimizzare l’utilizzo delle tecnologie. Si parla perciò di enterprise 2.0, sperimentato
con successo con Webank, che fa parte del gruppo BPM, che ha costruito relazioni
aperte con la clientela attraverso sistemi di web 2.0 o iniziative di co- progettazione di
nuovi servizi con i clienti e sondaggi di gradimento dei prodotti, creando una sorta di
“Banca che vorrei”. Tutto questo con la volontà di creare una maggiore sinergia,
scambio di informazioni, collaborazione interna e con gli stakeholder.
Inoltre si può parlare anche di cloud computing, però solo per quanto riguarda
l’infrastruttura (hardware e tecnologia) perché il resto, ovvero l’applicativo e il
software (application management) è in house. Infatti, per la BPM questa soluzione
40
riguarda al momento solo due ambiti: CRM (Customer relationship management),
ovvero la gestione del rapporto con la clientela nel segmento del credito al consumo e
nelle tecnologie di posta elettronica sui dispositivi mobili.
Con il termine cloud computing, ci riferiamo ad un insieme di tecnologie e risorse
informatiche, accessibili direttamente online, predisposto autonomamente e controllato
dall’impresa (Mantelero,2010). Il cloud scuote l’outsourcing tradizionale (Overby,
2010) e apre nuove porte all’outsourcing (Bacheldor, 2010). L’outsourcing informatico
infatti, avvalendosi della tecnologia del cloud computing riceve diversi vantaggi, come
ad esempio la possibilità di concentrare le risorse informatiche di più aziende in grandi
data center. Risulta una soluzione particolarmente adatta per le PMI25 in quanto vengono
offerti dei servizi con lo standard delle grandi imprese, che non potrebbero avere se
dovessero contare solamente sulle proprie risorse in house. Nello specifico i vantaggi
riguardano una riduzione di costo, attraverso soluzioni di digitalizzazione dei processi e
la unifed coomunication & collaboration (Fondati, 2011); concentrazione delle risorse;
gestione del rischio e ottimizzazione dello sfruttamento della dotazione informatica in
termini di pieno utilizzo. Tuttavia questa strategia fa fatica ad emergere sul mercato in
quanto comporta una perdita di controllo e di sicurezza e necessita di una maggiore
banda larga (Bottero, 2011; De ciglia, 2011; Longo, 2012; Torelli, 2012; Savelli, 2011;
Valentini, 2012).
Oltre al rinnovamento tecnologico la banca ha in progetto quattro grandi azioni a
supporto della stessa:
1. innovazione degli sportelli e punti vendita, dove lavorano i teller che fanno
operazioni informatiche e dispositive di base e i seller che rivendono i
prodotti e orientano la clientela. I primi sono destinati a diminuire, mentre i
venditori devono essere messi in condizioni di operare più rapidamente.
Questo grazie anche un’integrazione dei dati sulla clientela, con tecnologie
web e social CRM e dispositivi mobili per andare a trovare chi non passa per
la banca;
2. novità applicative in ambito data warehouse, cioè rispetto all’archivio
informatico contenenti i dati dell’organizzazione per una maggiore
facilitazione nell’analisi dei dati;
25 Come viene affermato anche da Curiat (2011), Fanti (2012), Valentini (2011).
41
3. sostituzione dei sistemi legacy obsoleti poiché il cuore dei sistemi
informativi resta basato ancora sul mainfraine, sistemi tradizionali perché il
suo abbandono significa costi e rischi;
4. comunicazione interna in quanto il mondo della collaborazione offre oggi
una spinta importante verso il cambiamento e l’efficienza, grazie al social
networking e Web 2.0 che aprono la comunicazione in una dimensione
bidirezionale. Già sperimentato con successo l’interazione con la clientela,
oggi si cerca di puntare alla collaborazione interna.
La strategia dell’outsourcing IT ha portato dei risultati rilevanti alla BPM. In sei anni,
infatti è riuscita a ridurre i costi per IT del 35%, che comprendono ammortamenti, costi
di esercizio e costi del personale. Inoltre, nei prossimi tre anni la banca prospetta di
poter migliorare ancora il risultato, abbassando la spesa di un ulteriore 15%. Per poter
ottenere il risultato hanno previsto un contestuale aumento degli investimenti rispetto
agli anni passati, indirizzandoli verso progetti di business, innovazione delle tecnologie
in ambito bancario, rinnovamento tecnologico IT e al passaggio verso la
virtualizzazione dei posti di lavoro.
Tuttavia, per far fronte alla crisi attuale, l’informatica dovrebbe andare più rapidamente
come vorrebbe il business ma fa fatica a tenere il passo. Esiste una certa distanza tra
quanto si vorrebbe realizzare e ciò che si può fare tecnicamente sotto il profilo
informatico, nonostante il grande dinamismo sul mercato. Quest’ultimo è molto forte
nella città di Milano, grazie ad una consolidata comunità finanziaria, dove è radicata la
BPM che perciò ne ottiene un grande vantaggio. Inoltre, uscendo da un periodo
contrastato che l’ha portata a cambiare il vertice della società, ha tutte le carte in regola
per essere rilanciata.
Conclusione
In questi anni, con la globalizzazione e la continua innovazione tecnologica, stiamo
assistendo ad un importante passaggio. Rispetto agli anni passati infatti, la maggior
parte delle imprese sta cercando di offrire al mercato prodotti sempre meno
standardizzati per poter rispondere ad una domanda più esigente ed in modo più rapido
a causa della riduzione del ciclo di vita del prodotto. Per poter raggiungere questo
obiettivo le imprese non hanno più puntato solo sulla crescita dimensionale ma, sulla
42
collaborazione e costituzione di rapporti di rete ed altri modelli organizzativi capaci di
garantire rapidità e flessibilità ai cambiamenti. In questo contesto anche le PMI hanno le
potenzialità per competere sul mercato, raggiungono una ottimizzazione dei costi e delle
prestazioni. Esse, come anche le grandi imprese, negli ultimi tempi hanno fatto una vera
ristrutturazione aziendale con l’intento di concentrare le risorse sul core business, cioè
su quelle attività che presentano un vantaggio competitivo aziendale e per le quali si
possiedono competenze distintive, know-how esclusivo ed esperienze cumulate.
Contemporaneamente, vengono affidate a fornitori specializzati quelle attività di minore
rilevanza. In questo modo l’outsourcing rappresenta la strategia idonea.
Tuttavia, al termine del processo di analisi svolto, si rileva che vengono gradualmente
esternalizzate anche attività vicine al cuore dell’azienda o addirittura appartenenti a
quest’ultimo; che ogni impresa deve scegliere il livello di outsourcing coerente con le
sue caratteristiche; che non esistono formule predefinite per stabilire la convenienza
economica e che per poter ottenere i benefici che contraddistinguono questa strategia
l’azienda deve essere volta al cambiamento e disponibile a soluzioni più flessibili.
Tuttavia, spesso le aziende più tradizionaliste hanno una resistenza verso il
cambiamento e questo rappresenta un problema per l’implementazione della strategia.
Questo accade perché l’outsourcing sta diventando un’operazione con una rilevanza
sempre più strategica, pensata per il lungo termine, con la creazione di importanti
rapporti di partnership e con ingenti investimenti , tanto da risultare quasi irreversibile e
perciò frenare le aziende. Per evitare ciò, le imprese devono valutare con attenzione i
processi da esternalizzare, il potenziale partner, gli elementi presenti nella stipulazione
del contratto ed il risultato finale. Inoltre, poiché la resistenza da parte di alcune imprese
può derivare da ogni livello della struttura gerarchica dell’impresa, esse devono dare
molta attenzione alla trasparenza e tempestività delle informazioni riguardanti la
strategia perseguita, in modo da favorire lo spirito di collaborazione tra le parti
coinvolte.
Nella mia tesi quello che vorrei sottolineare è l’outsourcing come scelta strategica, e
non solo in termini di risparmio di costi, per assegnare parti del processo produttivo
ritenute non core (valutazione che cambia da azienda ad azienda in base al mercato,
dimensione, situazione temporale etc.) a società esterne che gestiscono in modalità
industriale quella parte di attività e con i volumi che permettono di ottenere economie di
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scala. Questo lo si può notare nella pratica nel caso della BPM, dove vengono ad
esempio date in outsourcing le stampe di estratto conto e contabili ad aziende
specializzate che hanno il loro core business nella stampa.
Perciò, un’ultima considerazione è stata fatta nei riguardi dell’applicazione
dell’outsourcing nelle banche, in quanto imprese multi-prodotto che hanno deciso di
esternalizzare a diversi livelli attività non facenti parte della loro funzione principale
(intermediazione). In particolare, è stato rilevante nella mia analisi il caso
dell’outsourcing informatico nella BPM banking, per avere l’opportunità di vedere da
vicino le ragioni che spingono un’impresa ad esternalizzare, i vantaggi e i rischi
correlati, nonché nello specifico la strategia attuale e futura.
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