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Stefano Lanuzza, Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto” (Stampa Alternativa, 2015) ECO DELLA STAMPA

“Unilibro”, 10.3.2015 - Benedetta la libertà di chi come Céline ha avuto ilcoraggio di viverla - a spese sue - fino in fondo! E benedetto il coraggio di chicome Stefano Lanuzza in Céline della libertà ha saputo approfondire epresentare - con tutte le sfumature del "caso" - una scrittura (inscindibile dallavicenda umana dell’autore nonché dalla tragica Storia del secolo breve) tra lepiù audaci del ’900, con buona pace di ogni "destra" e ogni "sinistra". Librointelligente, godibile, imperdibile per chi rifiuta quanto è scontato stantiorisaputo (Isabel Horn, Filologa).

“Unilibro”, 17.3. 2015 - Un nuovo libro su CélineQuesta di Stefano Lanuzza è stata un'impresa coraggiosa e difficile che sarebbepiaciuta a Céline. Ma forse perché il saggista è avvezzo a scrivere di scrittori"maledetti" è pienamente riuscita e non era facile. In Céline convergono millefacce per ognuna delle quali ci vorrebbe un grosso libro. Eppure in questo libroc'è l’essenziale, il Céline critico e scrittore, politico e rivoluzionario, poetico eosceno, animalista e perseguitato, il Céline della baldoria e del tragico. Un libroche dovrebbe servire a tutti da apripista per addentrarsi nel suo sterminatouniverso. Lanuzza mette a punto anche il Céline comunista, quale fu sempre seppuredeluso dal comunismo applicato ovunque, una cosa che l'estrema destra, che siappropria di Céline, non ha ancora capito, anche se Céline parla chiaro e agiscealtrettanto. Dunque ben venga questa nuova stella nel firmamento cèliniano!(Marina Alberghini, autrice della biografia céliniana Céline gatto randagio,Milano, Mursia, 2009).

3.2015 - Trovo Céline della libertà assai ben fatto. Mi è piaciuta molto ladigressione sull'antisemitismo de plume, ma è l'intero che tiene bene, conquello stile di mescolare alla sequenzialità cronologica del racconto le decine dipause meditative "celate" nel racconto, come fosse racconto e basta. Bel libro,al quale auguro un buon successo, lungo quella "libertà celiniana" che l'Italiaha conquistato (a differenza della Francia, come giustamente viene notato nellibro) (Antonio Castronuovo, francesista e critico letterario).

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Il Céline di Stefano Lanuzza

Giovanni Tesio, “L’Immaginazione”, n.287, maggio-giugno 2015.

Irregolare, refrattario, mercuriale, inclassificabile, fuggitivo, individualista,assolutista, laicista, espressionista, splenetico, argotico, coprolalico,aposiopesico, idealista, libertario, comunista, antistalinista, pacifista, maledettoe maledettista. Ma su tutto e anzitutto “poeta” e stilista. Quante le maschere?Quante le possibili interpretazioni di un uomo così fuori dall’ordinario quale fu ildottor Louis-Ferdinand-Auguste Destouches (poi, per costola di madre, Céline)?Cerca di rispondere a queste e altre domande un libro di un suo anticostudioso, Stefano Lanuzza, che da un bel po’ ne frequenta l’opera e che qui – inquesto libro che s’intitola Céline della libertà (sottotitolo: Vita, lingua e stile diun “maledetto”) – racconta anche come se ne sia messo del tutto casualmentesulle tracce, esemplarmente trascurando compiti cogenti per un’ancor piùcogente passione di lettura. Combattente decorato, reduce irriducibile, viaggiatore sconcertante,contraddittore coerente, perturbabile e perturbato, abissale e ossessivo (maiossequente), medico di “gabinetti” deserti, curatore di diseredati, antisemita eantinazista, Céline è autore di alcuni libri fondamentali del nostro Novecento –malgré lui – europeo. Forse più mitologizzato che letto (come da noi il pur nostro Gadda), il Célineche esce dall’appassionato (ma non meno loico e dunque razionale) libro diLanuzza è il ritratto di un autore di importanza ineludibile. Beninteso, Lanuzzanon si nega ai passaggi più incresciosi di un’opera che continua a restaresospesa entro un’accoglienza diffidente e sospettosa (a volte anche sospetta),

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né si nasconde alle più ardue tortuosità, ma cerca di rintuzzare le accuse piùgravi: non soltanto con buoni propositi, ma con buoni ragionamenti. Un libro vivo, il suo, perché c’è dell’autobiografia (poca quella esplicita,molta quella sottilmente disseminata tra le righe); c’è una parte di analisicritica che ripercorre l’intero arco dell’opera, dal Voyage (con l’utile invito atradurre “au bout” come “in fondo” piuttosto che “al termine”) a Rigodon; c’èun utile prospetto dei passaggi essenziali della biografia; e c’è anche laproposta di alcuni estratti aforistici e memorabili dal Voyage e da Mort à crédit.Ma c’è soprattutto un onestissimo tentativo di accostare un autore al di fuori(che non significhi più “dentro”?) le pregiudiziali morali, le pretese del“politicamente corretto” o dell’”ideologicamente corretto”, le anchilosi criticheche impediscono la comprensione di una profondità dal magnifico volto diMedusa (e penso a un poeta nostro come Campana). Pur essendo specialmente fruibile nella parte che Lanuzza dedica alle analisistilistiche dei testi, alle comparazioni volanti, e spesso a vere e proprieilluminazioni (come non condividere che in “poesia” sono le parole a creare lecose, o, come sottolinea Lanuzza, che “è sempre il significante a‘materializzare’ il significato dei fatti”?), mi pare che siano sostanzialmente duele vie di sviluppo del libro. La prima è l’idea che lo stile è tutto e che nulla può distoglierlo – potrei forsedirlo con meno afflato? – dal suo destino. Ma la seconda è che tale assunto nongioca al gioco delle tre carte e che dunque è pur necessario (hic fretus hicsalta) affrontare le più dolenti spine di un laicissimo e anche corporale (nonsolo mentale) calvario e ideario d’autore. Il che significa che Lanuzza affronta di petto la questione del Célineantisemita e razzista (essendo sufficientemente trasparente, vale a direinsussistente e del tutto pretestuosa la questione del Céline nazista ofilonazista). Poiché il nome compare, tiro in ballo l’”ottocentista” Faldella e,secondo l’estro “gurgandino” di Sandro Sinigaglia, il “faldellin” che ne sortisce,perché si tratta di un autore, sì, ma soprattutto di uno stile che l’indignazionefa ma il moralismo spegne (mai dimenticare il secondo degli interventicontiniani), mentre in Céline l’indignazione fa e l’antisemitismo alimenta. Un antisemitismo, che del resto – e qui Lanuzza, tra citazioni scelte e difesein proprio, scende senza timori nell’agone della storia più attuale e attualizzata– tocca punte così estreme da risultare più decisamente nominalista cherealista: un vero e proprio furore metafisico, ma non di certo – quantunquestoricizzabile – realistico. A tal punto l’una cosa è legata all’altra che finisceaddirittura per risultare un errore ermeneutico separarle interpretandole comeidee e come stile. Una separazione, se bene intendo, valida (e persino strenua) ai fini didattici,e in fondo anche “politici”. Ma tutto sommato impropria sul piano critico-letterario, perché l’espressionismo celiniano cresce a quella cospicua pianta:non unica, va da sé, ma decisiva nella furia concrescente e ossessiva (bendiversa la questione di Heidegger, che si risolve in sostegno politico, mentre inCéline nulla può – nel suo mondo – prestarsi a strumentalizzazioni escorciatoie). E tuttavia è lodevole l’accortezza con cui Lanuzza, parlando diBagatelle per un massacro, osservi che si tratta del libro “più francamenteantisemita e poco esorcizzato dall’istanza dello stile”. È tuttavia proprio sulla scorta di Contini che Lanuzza apre (e a ben vedereanche chiude) il suo discorso: “Accade che, da schieramenti politici fra lorocontrari, i ribellistici balletti antisemiti, denunce d’un esagitato untore o

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cataloghi dell’odio corruttori delle coscienze, vengano strumentalizzatitrascurandone il dato linguistico-stilistico-poematico ribellista”. Ceci produitcela, si potrebbe continianamente dire. E con ciò credo di aver indicatol’essenziale del molto, ma molto di più a cui la lettura di questo libro si offre.(Giovanni Tesio, Critico letterario di “Tuttolibri/La Stampa”).

MassimoMori, CÉLINE LIBERATO, “Le reti di Dedalus”,maggio 2015

Ci sono almeno tre grandi personaggi del Novecento, ‘secolo breve’ che parenon finire con le sue formidabili vicende storiche artistiche letterarie filosofichescientifiche, nel bene e nel male, fino a oggi. Nella scia di questa infinitezza, lasinistra internazionale ha cercato con varie motivazioni di sottrarre all'area delpensiero fascista e nazionalsocialista tre grandi figure della letteratura comePound.Heidegger e Céline. Il secondo di questi, pur nel fascino del suo pensierolucido e a volte allucinato, anche dopo la recente pubblicazione dei suoiQuaderni Neri e il suo dettato in ambito filosofico e politico-partitico, appartienesenza plausibili attenuanti all’area nazifascista. Gli altri due, soprattutto Célineche diversamente da Pound non ha certo fatto del proselitismo radiofonico,appartengono all'area della grande letteratura assunta sotto qualsivogliabandiera e sotto nessuna bandiera. Se ipotizzo libera-mente che Céline ne issasse una, penso ad uno straccioagitato dalla povera gente, alla benda che ha avvolto una ferita, ad una letteradal fronte che nessuno ha mai letto. Penso, infine, a ciò che Céline ha scrittonel Voyage au bout de la nuit: “…che non se ne parli più”. Ma con merito e per fortuna, ancora ne parla Stefano Lanuzza nel suo libroCéline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto” (Roma-Viterbo,Stampa Alternativa, 2015), ultimo di una prestigiosa opera saggistica, stesadall’autore negli anni in una trentina di volumi. Questo scrittore siciliano che damolti anni vive a Firenze ha costellato la sua produzione di libri che hannoconseguito un notevole successo critico: tra essi Vita da Dandy, cui nel 2000

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venne assegnato il Premio internazionale Feronia per la Critica militante; L'artedel diavolo, Gli erranti, I sognAutori, Bestia sapiens, Irregolari. Autori traFirenze e l’Europa, una storia della letteratura italiana, Dante e gli altri (PremioFrancesco Flora 2002 per la saggistica); una Storia della lingua italiana; ecc.Inoltre si è particolarmente interessato all'opera di Savinio e di Stefano D’Arrigoe, nel febbraio del 2015, è stato invitato a Berlino per un Convegno sullatraduzione tedesca, ad opera di Moshe Kahn, del romanzo darrighianoHorcynus Orca su cui, nel 1985, Lanuzza ha pubblicato lo studio Scill’e Cariddi. Il nuovo libro qui in esame libera definitivamente Céline da pregiudizialiipoteche ideologiche e lo consegna intatto alla grandezza delle sue opere.Queste vengono ricondotte e valutate nell'ambito della libera espressione chesi è confrontata con i temi e le problematiche del periodo storico dell’esistenzadello scrittore francese. Il bel libro che mi trovo tra le mani mostra già nella copertina il nucleocentrale di un’illuminante rilettura dell'opera. Una rara fotografia ci mostraCéline nel cortile desolato della propria casa: lo si vede dietro un cancellosemiaperto mentre sta guardando fuori con cipiglio diffidente, come di un caneche un giorno sia stato preso a calci, che non si fida e difende con accanimentola propria solitudine, forse la propria grandezza. Soggetto non riconducibile anessun branco ideologico o politico, Céline appare vestito malamente: i calzonisono tenuti su con una corda e sulle spalle ha un giubbotto malconcio.L’espressione del suo viso, soprattutto, è una pagina scritta. Coerentemente il titolo del libro è Céline della libertà, e assieme allafotografia attesta come Stefano Lanuzza sia attualmente il più attento ed acutolettore della vita, della lingua e dello stile di un “Maledetto”, come recita ilsottotitolo del volume. Del resto Lanuzza ha al suo attivo il precedente testoMaledetto Céline. Un manuale del caos (2010), sempre pubblicato con StampaAlternativa, oltre alla traduzione dal francese dell’edizione italiana, con lastessa Casa editrice, di Céline in camicia bruna di Hans-Erich Kaminski; che inquesto suo libro del 1938 scrive: “Sono stato un grande ammiratore di Céline eavrei amato restarlo… Per quanto grande scrittore possa essere, lui non riescea liberarsi delle sue angosce: è ammalato del nostro tempo… Probabilmentepiù talento si ha più si è tormentati da quest'epoca in cui crolla ogni cosa”. Ecco: uno dei meriti di Lanuzza è di mettere in primo piano il talento delgrande scrittore, la qualità della sua opera più che la natura della sua malattiache, dopotutto, fu malattia dell’arte: preferibile alla falsa salute dell’ideologia. Céline è maledetto e benedetto per la sua natura primariamente anarchica eantimilitarista. Mentre quel suo malfamato libello antisemita, Bagatelle per unmassacro, altro non è che un libro di satira. Isabel Horn, in una nota a Céline della libertà, ha già messo in risalto ilcontenuto godibile, imperdibile ed intelligente di questo libro editato daStampa Alternativa che illumina la qualità della scrittura audace di Célinetogliendolo da ogni disputa ideologica, con… “buona pace di ogni ‘destra’ eogni ‘sinistra’”… Aggiunge Marina Alberghini, tra gli studiosi più attenti alpercorso céliniano: “Céline della libertà è un libro che dovrebbe servire a tuttida apripista per addentrarsi nello sterminato universo dello scrittore francese.Lanuzza mette a punto anche il Céline comunista, quale fu sempre seppuredeluso dal comunismo applicato ovunque, una cosa che l'estrema destra, che siappropria di Céline, non ha ancora capito, anche se Céline parla chiaro e agiscealtrettanto. Dunque ben venga questa nuova stella nel firmamento céliniano!”

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Il libro di Stefano Lanuzza, dopo una “premessa” (Conoscenza di Céline),considera dapprima i due capolavori: Voyage au bout de la nuit e Mort à crédit,a seguire i ‘Balletti’ antisemiti, Un antisemita de plume, Trilogia del Nord eneofuturismo, e infine Céline, frammenti di vita, storia, letteratura (dove ‘tuttoc’entra con tutto’). Senza togliere nulla dell'interesse complessivo suscitato da ogni capitolo dellibro, sono da metterne in risalto diversi aspetti del percorso céliniano cheLanuzza pone in evidenza ed affronta in profondità: la valenza filosofica, ilriportare il dichiarato antisemitismo ad un esercizio de plume, la scritturaneofuturista e la tranche de vie del tutto che c'entra con tutto. Sugli ultimi due inediti aspetti intendo soffermarmi. Il primo di questidescrive la scrittura monocentrica rivelante un’oralità parafuturista traspostanella scrittura. Scrive l'autore: “… locuzioni a brani, interiezioni che spezzano edisarticolano la frase, proliferanti parole in libertà e periodi smembrati inrutilanti suoni-frastuoni”. E ancora: “rimbombi bellici del futurismo guerresco edel combattimento aereo (‘aeropoesia’) […], un metafuturista chissà seinconsapevole”… Infine, vengono messe in evidenza certe tipologie sonore:“bruio!, vlang!, piutt!, bang!, brrrrrr!, tac! tac! tac!…”. È sorprendente questa attenzione di Lanuzza, non nel senso, ovviamente, diattribuire un’adesione di Céline al movimento futurista ed ancor meno almarinettismo, quanto nel mettere in evidenza dal punto di vista letterario escritturale elementi di libertà espressiva fonografica di forte valore espressivo:una sorta di anarcoscrittura della libertà. Così, senza appartenenza, la scrittura futurista di Céline si alza alle vettedella sperimentazione letteraria consapevole ed indipendente. Viene allora allamente il Canto notturno del pesce di Chrisian Morgenstern, indicato comeesempio di composizione protofuturista: una vera e propria partitura. L’altro aspetto che intendo evidenziare riguarda l’ultimo capitolo, Céline,frammenti di vita, storia, letteratura (dove ‘tutto c’entra con tutto’), perchémostra in modo divertente ed intrigante come, nei grandi esempi di scrittori,vita, persona, personalità ed opere costituiscano un tutto inscindibile... Il divenire di Céline attraversa l’utopia comunista, l’antisemitismo, l’anarchia,la professione di medico dei poveri, l’antimilitarismo, il tutto rifuso inun’impareggiabile scrittura. Grazie a questo saggio di Stefano Lanuzza, lascena di variazione, correzione, mutamento e diversità di Céline viene restituitaalla libertà piena di un’espressione letteraria del più alto livello. (MassimoMori, poeta verbovisuale).

IL CÉLINIANO STEFANO LANUZZASULLA VITA, LA LINGUA E LO STILE DI UN “MALEDETTO”

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“Il Portolano”, n. 80-81, gennaio-giugno 2015

Stefano Lanuzza è forse il maggior conoscitore italiano di LouisFerdinand Céline. Il suo ultimo lavoro, Céline della libertà. Vita,lingua e stile di un “maledetto” (Roma-Viterbo, Stampa Alternativa,2015, pp. 160, € 14,00), propone con taglio comparatista,nell’ambito della più recente produzione critica sull’autore francese,un’analisi serrata e aggiornatissima dell’opera céliniana. Il volume,organizzato in cinque capitoli (Due capolavori, Balletti antisemiti,Un antisemita de plume, Trilogia del Nord e Neofuturismo, Célineframmenti di vita storia letteratura), ha una nota autobiograficaintroduttiva che racconta un primo approccio con il Viaggio altermine della notte incontrato casualmente nel novembre 1966,quando il giovane Stefano era venuto a Firenze a levar dal fango ilibri della Biblioteca Nazionale. In quel libro fu colpito da un’Avvertenza del traduttore, Alex Alexis(certo, nom de plume): “Il traduttore ritiene opportuno avvertire illettore che, per conservare la massima fedeltà al linguaggioimpiegato dai personaggi del testo originale, si è valso di frequentedi una forma italiana volutamente scorretta e di espressionidialettali”. Da costì parte anche il viaggio lanuzziano intorno aCéline, arricchitosi, nel tempo e nello spazio, di tutte le edizionipossibili. Da costì inizia anche quella revisione critica che haprogressivamente tolto l’Autore “maledetto” dal cliché che datroppo tempo lo aveva sommariamente accompagnato (FrancescoGurrieri)

RETROGUARDIA 2.0- Il testo letterario Quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella - 11.4.2015

La passione della/per la parole di Stefano Lanuzza Due particolari e recenti eventi editoriali richiamano il nome dello scrittore ecritico Stefano Lanuzza. Sono l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, tradotto in

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lingua tedesca da Moshe Kahn (S. Fischer Verlag, Frankfurt, 2015), e ora, dellostesso Lanuzza, Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto”(Stampa Alternativa, Roma-Viterbo, 2015). Si tratta di due pubblicazioni chehanno al centro, pur diversamente connotato, un linguaggio letterario ‘eretico’(per una letteratura non d’‘accatto’, ossia consumistica o di mercato): unlinguaggio come passione della parole, come scelta fortemente trasgressiva.Una parole con cui si identifica uno stile o un’insolita stilistica, innovativa eabnorme, che rivoluziona la prassi della scrittura artistica sia sul pianolessicale, sia su quello ritmico-sintattico ed espansivo. È, insomma, la paroladella vita con il suo carico di ‘percetti’ e ‘affetti’ che attraversa il linguaggio –direbbe G. Deleuze – stagliandosi nell’opera e fondando uno stileassolutamente originale, imparagonabile e memorabile. La scrittura artistico-letteraria che ne consegue segna una svolta e insieme, diversamente dallecorrenti produzioni di consumo, uno sconvolgimento che assale, devastandole,le abitudini di un pubblico fin troppo assuefatto alla tradizione normativa. Assumono allora rilievo, in D’Arrigo, i sostrati dialettali e l’etimologiarizomatica “dei gerghi della Sicilia nord-orientale costiera”. Per raccontare lastoria di ‘Ndrja Cambria (il protagonista di Horcynus Orca), D’Arrigo si è creatoun personale linguaggio attivando una catena lessicale risalente fino alla cortedi Federico II. Le maglie, se si segue il cammino a ritroso, «sono il francese e ilnormanno, l’arabo, il greco bizantino, il latino, il greco antico, il siculo. Questomateriale linguistico si trasformò per quasi duemila anni, giungendo finalmenteai lessici del mezzogiorno italiano che conosciamo. […] molte parole sonouguali o simili e hanno un significato uguale o simile; altre invece suonanouguali o simili, ma hanno un significato completamente diverso dall’italiano.Per chiarire quest’ultimo gruppo, ecco qualche esempio: stilare significa initaliano “stendere, scrivere un documento” e deriva da stilo, un oggetto perscrivere; mentre, in siciliano, stilare ha invece una coloratura greca, deriva dastylos e assume il significato di “avere l’abitudine”, come nell’espressione“stilava alzarsi presto”. Spiare significa in italiano “guardare, osservareattentamente e di nascosto” e deriva da una radice gotica e latina; in sicilianospiare assume invece il significato di “domandare, chiedere” […]» (cfr. MosheKahn, in www.retididedalus.it, 2015 gennaio). Nell’altro caso, il codice letterario usato da Céline è l’argot1 delle banlieuesfrancesi. Con Viaggio in fondo alla notte, Louis-Ferdinand Céline inaugura infatti –scrive Lanuzza – una narrativa tutta particolare: registro gergale più soggettivo eprotagonista; sintassi frammentata e spezzettamento della trama narrativa;varietà linguistiche; espressioni popolari o figure argotiche della banlieue parigina;mots grossiers e deformazioni lessicali; metamorfismi espressionistici e verbisostantivati; pleonasmi o ridondanze grammaticali con aspre sonorità. Unlinguaggio insomma che allontana i lettori dalle attitudini puriste del romanzoufficiale. «Con il secondo romanzo [Morte a credito], il parlato argotico assume il

1 «Ecco, per libere traduzioni o trasposizioni, solo alcune delle innumerevoli espressioni adoperate in funzione argotica: je m’en tartine, emmerdeurs, déconner, métèque, le feu au cul, merde à Dieu, branleur, branlerais, croupion, il s’en fout, paumé, peau de vache, rendre plus vache, eczémateux, connard, hurluberlu, mouscaille, rombière, les petits boulots, petit nougat, daronne, bouillonner, bourrique, marle, garce, pépère, rouquine, gonzesse, zizi, étre de la fesse, croûter, cafouiller, dégueulasse, la bignolle, merdoyant, enculé, connasse, saloperie, trembloteur, ivrogne, mandrìn... » (S. Lanuzza, Céline Della Libertà…, cit., p. 37).

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definitivo dominio del discorso céliniano. Più che mai lo scrittore avverte il bisognodi una forma nuova e individuale per la sua narrativa: di un’azione di rotturalinguistico-stilistica, ancora più decisa e radicale che nel Voyage, control’imbalsamato monolinguismo della tradizione liceale ordinaria» (S. Lanuzza,Céline della libertà…, cit., p. 37). Il suo linguaggio non trascura niente dellalingua, specie d’uso: privilegiando «la lingua d’uso dei ragazzi di strada, deimaliziosi alunni della scuola comunale da lui frequentata o dell’ingegnosocommesso di bottega; e non rinuncia ad avvalersi del gergo di caserma, deipesanti motti dei bassifondi o della ‘mala’, nonché delle chiacchierate con l’amicopittore Gen Paul che abitualmente s’esprime in un compiaciuto argot coprolalico»(Ivi).

Queste due opere, sebbene diversamente collocate, vedono egualmentecoinvolto Stefano Lanuzza (anche storico della letteratura), perché di Célinedella Libertà è l’autore diretto e unico (al “maledetto” Céline, Lanuzza ha giàdedicato altri due studi, sempre pubblicati con Stampa Alternativa: MaledettoCéline. Un manuale del caos e la traduzione del libello di H.-E. Kaminski Célinein camicia bruna. Un voyage immaginario). Mentre della traduzione tedesca diHorcynus Orca è stato consulente linguistico. Conoscitore e specialista dellalingua di D’Arrigo, ha affiancato l’opera di traduzione di Moshe Kahn persalvaguardare al meglio il pensiero e la lingua darrighiana. È, poi, appena ilcaso di ricordare che il Lanuzza, oltre a frequentarne la scrittura letteraria, haconosciuto personalmente Stefano D’Arrigo che gli ha rilasciato una raraintervista, inserita poi nel volume Scill’e Cariddi. Luoghi di Horcynus Orca(Catania-Acireale, Lunarionuovo, 1985).

L’importanza dell’intervista, di cui si riporta qualche frammento, è dataanche dal fatto che D’Arrigo vi rilascia una precisa dichiarazione di poetica: «Hocostantemente cercato di fare coincidere i fatti narrati con l’espressione, lascrittura con l’occhio e con l’orecchio, rifiutando qualunque modulo che miapparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assoluto. Non horinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partitodall’obiettiva sicurezza che i luoghi della mia narrazione – luoghi topografici masoprattutto luoghi del testo – restino un fondamentale punto d’incontro efiltraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni volta che ho adoperatoneologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornireimmediatamente il corrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare ilperiodo e ‘mirare’ il vocabolo finché non giudicavo d’avere raggiuntol’espressione completa: fino al momento in cui guadagnavo la certezza che ilrisultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale,sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura‘parlasse’».

Se Stefano Lanuzza scandaglia particolarmente autori come D’Arrigo eCéline, che si richiamano – si può dire con una formula di Wittgenstein – per“somiglianze di famiglia” e in quanto presi da ‘passione della parole’, ciò èanche dovuto al fatto che i due autori in questione, per il nostro critico comeper Gianfranco Contini, hanno una consonanza tematica e gergodialettale che liaccomuna come produttori di lingua letteraria di rottura e innovativa. In talecontesto – scrive Lanuzza – pertinente è «il rapporto stabilito da Contini fra unCéline che si ritiene soprattutto poeta e le stilizzazioni gergodialettalidell’Horcynus Orca, poematico romanzo di D’Arrigo […]. Romanzo dell’umanofato è, altresì, Morte a credito: che si intona con lo stesso tema sviluppatograndiosamente nel citato Horcynus Orca (Céline e D’Arrigo sono soldati

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combattenti in due guerre mondiali: nella prima Céline, nella seconda D’Arrigo)e inizia con la scena della misera fine della vecchia Bérenge, portinaia […]»(S. Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 44).

Quanto al richiamo su Céline e D’Arrigo «soldati combattenti in due guerremondiali», in tale contesto, Lanuzza ritiene pertinente e anche necessarioindividuare ancora la componente storico-temporale che muove la narrativa deidue scrittori. E con ciò, specie nel caso di Cèline, Lanuzza tocca gli aspettiproblematici e controversi del deplorato antisemitismo céliniano fermandol’attenzione sulla temperie culturale, linguistica e ideologica dell’epoca. Tuttoquesto è in Céline della libertà evidente e sottolineato, soprattutto nel capitolodei “‘Balletti’ antisemiti” riguardante Bagatelle per un massacro, La scuola deicadaveri, I bei pasticci . (Antonino Contiliano, filosofo e critico letterario).

Giulia Sottile, La cavalcata delle emozioni tral'ideologia e la questione dello stile a proposito diCéline della libertà di Stefano Lanuzza

Marzo 2015

Da dove iniziare nel vortice delle emozioni controverse che la lettura diquest'opera mi ha provocato? Céline della libertà. Vita, lingua e stile diun "maledetto" (Viterbo, Stampa Alternativa, 2015), dell’eminente critico estorico della letteratura Stefano Lanuzza, che non ha certo bisogno dipresentazioni. Di presentazione si può invece parlare se considero la tipologiadi lettore che credo di essere, accostandomi alla presentazione che Lanuzzasvolge di Louis-Ferdinand-Auguste Destouches, nome d'arte Céline. Rapisce lalettura del saggio per la modalità con cui l’autore si addentra pian piano nelmondo di una personalità quanto mai complessa, e letteraria e umana, nonsemplice da trattare perché non semplice da comprendere! Céline era unmaledetto! Non era fatto per essere amato: "Vuoi davvero leggerlo? Preparati aodiarlo!" avverte Lanuzza in altra sua opera (Maledetto Céline. Un manuale delcaos, Stampa Alternativa, 2010). La complessità deriva anche dalla difficoltà dicatalogazione all'interno di un circoscritto/circoscrivibile genere letterario. Sipuò parlare di ‘letteratura maledetta’? Se proviamo a mettere a confronto ilpersonaggio Céline (che poi tale è non solo nella nostra trattazione, ma anchenella sua produzione artistica: tenendo conto del suo autobiografismo) con icolleghi non solo francesi, troviamo delle discrepanze. Se poi, per i suoi ultimilibri, proviamo a confrontarlo con i futuristi per via dell'aspetto più prettamentestilistico, anche qui troviamo che Céline non può essere paragonato a niente enessuno. "Uno come Céline varca gli steccati e non può stare dove lo metti".

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Stefano Lanuzza passa in rassegna le maggiori opere - romanzi sin dalla loroprima edizione oggetto di intensi dibattiti e scontri - con spirito critico -nell'accezione pura, cioè connessa a quell'atteggiamento che vuole analizzaree soppesare ogni aspetto servendosi dello strumento del pensiero libero escevro dal preconcetto, scrupoloso, attento, illuminato e illuminante - ma anchecon intento acritico - da cogliersi nell'intenzione di non formulare alcun giudiziose non connesso a quanto il saggista ha compreso dell'uomo/scrittore(inscindibili). Richiamo allora un termine già usato, non a caso, che bendescrive quanto il lettore si accinge a fare dinnanzi a Céline della libertà,quanto il critico si appresta a compiere nel rimboccarsi le maniche - tastiera elibro- , quanto l'Autore ha già intrapreso con brillantezza: "viaggio". E "viaggio"dà il titolo alla prima opera céliniana da Lanuzza affrontata: Voyage au bout dela nuit (Viaggio al termine della notte, che Lanuzza traduce dal francese con laversione a suo parere più corretta di Viaggio in fondo alla notte,ribattezzandone l'edizione italiana). A riprova del contenuto a momentiaforistico di quest'opera - come del secondo termine che compone la coppialetteraria della prima parte della trattazione, Morte a credito - l'Autore neriporta frasi quasi lapidarie, prima di intraprendere il suo viaggio. Achiarificazione dell'intento dell'opera céliniana, riporta quanto lo stesso"maledetto" scriveva: "Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Eccola sua fortuna. Va dalla vita alla morte": che suona un po' come ‘ogniriferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramentecasuale’ con aggiunte che certamente lasciano presagire quale angolatura,quale prospettiva Céline assume nel rapportarsi con la vita umana. La nottestessa del titolo del romanzo è il corrispettivo della morte della premessacéliniana, e questa notte/morte è fronteggiata "fino in fondo". Sin da qui infattisi osserva emergere la compenetrazione uomo-autore-narratore-personaggio,che le stesse parole, citate, di Drieu La Rochelle commentano così: "laletteratura non è che una forma edulcorata della confessione". Tale ci apparese notiamo come sia possibile in effetti paragonare il rotolare delle parolecéliniane, irrefrenabile, alla spontaneità di chi sa di non essere condannato. Inrealtà Céline sapeva che presto sarebbe scoppiata la bomba masemplicemente non se ne curava, dunque via con il rotolare!

Forte indizio per la suddetta compenetrazione si rintraccia attraverso ilprotagonista del romanzo, il Je (io) di un Ferdinand Bardamu che è "ritrattopsichico e proiezione dello stesso narratore prima di diventare il pronome d'unindefinito e universale nessuno (personne)". Ma sono due gli aspetti su cuiLanuzza si focalizza nel passare da un approfondimento all'altro: quellocontenutistico e quello formale. In accordo con chi sostiene che la Letteratura èforma (e questo legittima la grandezza di Céline nel panorama mondiale,tenendo anche conto di quanto il contenuto possa cambiare da un popoloall'altro), manderemo giù prima il boccone amaro di un contenuto che suscitatutte le emozioni che lo stile (la forma) vuole rinvigorire, nel chiaro intentoprovocatorio ma anche più semplicemente scevro dalla diffusa ipocrisia. Ilcontenuto di cui si parla è quello ideologico, il più avversato, quello che loavrebbe reso degno dell'etichetta di "maledetto".

La premessa che è opportuno fare è quella degli anni che videro Célineoperante in Francia, quelli tra le due Guerre che devastarono l'Europa e la

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videro mutare a una velocità straordinaria su tutti i versanti, dal tecnologico alsocio-politico. In tale contesto mal tollerato perché lontano da ogni sorta distrumentalizzazione era il suo pacifismo, un pacifismo adirato, frustrato dalcostante marciume spiattellato tutti i giorni. Per Céline "l'immedicabile male delmondo è l'assurdo della guerra e la morte, sorda e insensata 'creditrice'". Vi erain lui il rifiuto del patriottismo militarista e guerrafondaio, della ciecaobbedienza alla tirannia; perché Cèline era un anticapitalista anticolonialista."Torna opportuno il sillogismo secondo cui i Paesi poveri, ma ricchi di materieprime, restano poveri perché derubati dai paesi ricchi ma poveri di materieprime, i quali s'arricchiscono ancor più depredando delle materie prime i Paesipoveri" scrive Lanuzza che si fa portavoce della visione di un Céline che videcon i propri occhi i soprusi europei nelle colonie africane, un Céline criticodell'egoismo meschino della borghesia (e riportiamo qui quanto lui fa dire daldirigente al suo Bardamu – personaggio/proiezione – ricordando la propriaesperienza presso la Ford come medico aziendale: ( "voi non siete venuto quiper pensare [...]. E' di scimpanzé che abbiamo bisogno [...]. Ci saranno altri chepenseranno per voi"), un Céline sensibile alla degradazione delle periferiesottoproletarie e alla solitudine metropolitana col suo "degrado da corte deimiracoli" (Lanuzza). La guerra è tematica non ricorrente ma costante,apostrofata come "ignobile tragedia" (Céline) o "esperienza demenziale"(Lanuzza). E significativo appare che queste parole siano state sulla bocca diun patriota pacifista come Céline, per cui la guerra patriottica è "unacontraddizione in termini, un mito alimentato da una Storia truffaldina edelittuosa", un patriottismo che Samuel Johnson chiama "l'ultimo rifugio dellecanaglie" mentre il Bardamu di Céline dirà che la coscienza è scambiata percodardia dai militaristi. Lui rifiuta “la guerra [...] con tutti gli uomini checontiene [...] fossero loro novecentonovantacinque milioni e io solo, sono loroche hanno torto [...] io non voglio più morire".

Nel ripensare a come anche tale aspetto contenutistico sia stato un appiglioper l’avversione allo scrittore, non si può non tener conto di come le ideologiesiano sempre state strumentali e strumentalizzate. Non si dimentichi come lastessa scienza e le correnti di pensiero ancora nel XX secolo nascevano e sisviluppavano non per sradicarsi dai vincoli d'interesse e dalle censure – comepuò dirsi a proposito della matematica che più di ogni altra branca ha potuto aragione dirsi libera –. ma per essere funzionali ad essi; non per dimostrare maper giustificare (si pensi al darwinismo sociale e a quanto gli stati occidentalifecero nelle colonie, per il loro bene). Fu per la particolare propensionedell'ideologia alla critica che si trasfigurò quanto lo scrittore volesse realmentedire, asservendolo ad altro tipo di scopo, mentre dal lato opposto, quandoHitler nel '33 salì al potere, i libri di Céline venivano proibiti in Germania (beh,lui d'altronde paragonava il Fuhrer al clown Dudule!). E' chiaro dunque che nonera nazista ma non si può dire nemmeno fosse comunista nella sua successivacorrente staliniana, che deluderà fortemente l'autore in seguito ad un viaggioin Russia in cui ravviserà le stesse miserie che le estreme destre procuravanoin Europa, tanto avversante ogni sorta di totalitarismo e dispotismo che ancheil PCF (Partito comunista francese) fingerà di ignorarlo. L'astio crescerà conl'uscita di Mea culpa, in cui lo scrittore mostra tutta la sua delusione per uncomunismo che credeva diverso, per un comunismo distante anni luce dalleteorie di Marx e degli utopisti, tanto che verrà etichettato come "rinnegato".

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Mussolini, d'altro canto, definisce il Voyage "scrittura giacobina". Tuttavia sidisse di lui anche questo, su Le Figaro: "Per noi la questione non è di sapere sela pittura del signor Céline sia atroce; noi chiediamo che sia vera. Essa lo è":posizione che Lanuzza comprende e il suo approccio all'autore lo dimostra. Ilfatto è uno e Lanuzza lo rintraccia nelle parole di Dubuffet: "L'intellighenziacapì subito che c'era uno che s'era messo a smascherare".

Lanuzza esprime il suo rammarico per l'ingiustizia che permette di farcircolare liberamente opere come il Mein Kampf di Hitler mentre si avversapersino in Francia, da ogni dove, un Céline che tanto avrebbe potuto dare sesolo lo si fosse ascoltato prima. E viene in mente quel blocco del progresso, senon quell'involuzione, che viene a depauperare ogni ambito della conoscenzain tempi di guerra, quando lo sfrenato nazionalismo sfocia nella fanaticaautarchia anche culturale sino ad innalzare muri tra chi potrebbe cooperare peril progresso, in un'impossibilità di comunicazione, di confronto/scontro fautoredi vita e creazione. Neppure "a titolo conoscitivo ", scrive Lanuzza, le operecosiddette antisemite di Cèline sono reperibili, "sparite dalle librerie" e "la cuiristampa è, di fatto, ancora interdetta". Pochi sono coloro che ne apprezzaronoe ne apprezzano la produzione perché nessuno si salva dall'ira del "maledetto",nemmeno il popolo, sebbene lui sia sempre stato dalla parte dei deboli proprioin virtù della realtà ingiusta che lui vorrebbe riflettesse l'uguaglianza in unazzeramento delle classi sociali, mentre invece si assiste al consolidarsi di esse.Non ignora però quelle dinamiche che vedono protagonista le masse – è quelloil periodo della psicologia delle folle, la fortuna di studiosi come Le Bonne, piùvicini forse alla logica della giustificazione che della dimostrazione, forse anchein funzione opportunistica, è quello il periodo del Futurismo – ponendosituttavia in una prospettiva diversa che richiama echi della scuola dellapsicologia umanistica, quando dice "se c'è una cosa che il popolo detesta, è lalibertà. Gli fa orrore, non la può vedere". Ce n'è pure per la Bibbia, "il libro piùletto del mondo... più porco, più razzista, più sadico"; e Lanuzza riflette inquesti termini: "E perché mai si dovrebbe credere in un Dio che, sorvegliandoda lassù, discrimina tra fedeli e non fedeli alla Chiesa!?". Jean-Paul Sartre chel’ha accusato di collaborazionismo è "uno stronzetto", "gran culorotto", "piccolaschifezza assatanata" eccetera (lo scrittore lo aveva criticato e accusatoappellandosi al contenuto ideologico della sua produzione letteraria). E' aquesto punto che non si può non toccare il tasto dell'antisemitismo che èproprio quanto compromette la carriera e la stessa esistenza di Cèline.Leggendo tra le righe viene spontaneo, tuttavia, constatare che, ideali econvinzioni a parte, fondamentalmente Céline – ma non si vuole qui correre ilrischio di liquidare in due parole un mondo ben più complesso – era un uomoscontento, che come tanti altri suoi contemporanei scontenti individuava ilcapro espiatorio negli ebrei e nei massoni, rintracciando in loro laresponsabilità. Ma quando seppe cosa era accaduto realmente nei campi diconcentramento, "ne è stato orripilato" ricorda la moglie; sebbene non si fossenemmeno allora esposto più di quanto l'ampiezza del suo passo permettesse.Lo stesso Céline dichiara che all'epoca dei fatti non sapeva nulla di quello cheapertamente definisce "atrocità" e non ne seppe nulla se non alla fine dellaguerra. L'obiettivo della sua produzione letteraria non era tanto quello dicondannare gli ebrei, quanto di "lanciare un monito contro l'entrata in guerradella Francia" di cui essi riteneva fossero i responsabili. Mai lui istigò a uno

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sterminio che tra l'altro non era nemmeno immaginabile all'epoca dell'uscita ditre dei suoi libri oggetto dei più accesi dibattiti in materia di antisemitismo epiù tardi antisionismo (termine che però deve essere reso oggetto delle piùopportune distinzioni): Bagatelle per un massacro, La Scuola dei cadaveri e Ibei pasticci. C'è da dire però molto sulla storia personale di Céline che impattatragicamente sempre con ebrei che di certo non lo aiutarono nella sua vita, négli resero giustizia. Il suo errore fu quello di generalizzare su tutto un popoloquanto riscontrava in contesti circoscritti: tutto, persino l'arte, non poteva cheessere in pugno ad una cerchia elitaria, razzista a sua volta. Lanuzza ricordacome un copione teatrale céliniano fu respinto dall'impresario del teatro alvaglio del quale sarebbe dovuto passare. Dirà degli ebrei "padroni assoluti delmondo", razzisti che giudaizzano la cultura e l'arte. "Vi s'aggiunga il carattere -dicono collerico - dello scrittore, livoroso contro dei critici ebrei all'originedell'insuccesso della sua commedia La Chiesa e dopo che l'amata Elizabeth lolascia andando a sposare in America l'ebreo Ben Tamkel. Senza trascurarel'episodio del suo licenziamento del dispensario di Clichy e la sostituzione conun medico israelita". Fu per le sue posizioni antigiudaiche accusato dicollaborazionismo soprattutto negli anni dei nazisti in Francia con il governo diVichy, ma lui rifuggiva da ogni sorta di strumentalizzazione, ogniassoggettamento o prostituzione, in nome di quella libertà che era la sua stellapolare, tanto che dopo il 1943 non vorrà più ristampare i suoi libri proprio pernon fare la fine del superuomo nietzschiano stendardo di una proclamatasuperiorità ariana insieme ad un darwinismo sociale su altro versanteimpiegato. Ma c'è dell'altro: l'avversione per l'autoglorificazione. In unintervista che Lanuzza cita, Céline afferma: "Ho depositato il manoscritto senzail nome dell'autore e senza l'indirizzo. Casualmente, l'involucro era fatto con unfoglio che era servito alla mia domestica per avvolgerci le pantofole; c'eraun'etichetta. E' così che s'è saputo il mio nome ed è per questo che ho assuntouno pseudonimo, perché me ne infischio di me stesso come dei premi e dellavoro letterario". Talmente lui grida disperatamente alla libertà, talmente larivendica, che non può non odiare la scuola, "fabbrica di nozioni che glorificanoil Capitale". Dunque è da rifuggire ogni accusa di collaborazionismo nazifascistacome qualsiasi tipo di clientelismo.

"Tutto è contraddizione in quest'uomo"… E infatti, per Céline, si può parlaredi "antisemitismo anticapitalista". Ma è irrinunciabile la necessità di leggere ilibelli in una prospettiva storica, vuole dirci Stefano Lanuzza, perché "stampatinella prima metà del XX secolo e colpevoli d'imperseguibili reati di opinione,essi sarebbero da leggere non solo come esercizi polemici o fenomenologie diemozioni in contrasto con gli ordinamenti obbligati, ma anche come produzioniche possano far discutere sui rapporti tra Storia e verità". Ma "riconosciuto ilmortificante antisemitismo di Céline" scrive Lanuzza, "e distinguendo laletteratura da oltranze ideologiche, l'opera céliniana è oggi da contestualizzarein frangenti della vicenda storica europea caratterizzati da un'avversione perl'ebreo e da campagne d'opinione identificanti anticapitalismo e antisemitismo[...] appare allora troppo facile o distraente gravare in esclusiva Céline delruolo di capro espiatorio d'un antisemitismo che nella prima metà deinovecenteschi anni Quaranta è, non solo nella Francia di Vichy, così diffuso esistematico da credersi ammissibile". Lanuzza allora sente il dovere diripercorrere storicamente sino ai giorni nostri quello che è stato ed è

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l'antisemitismo che, come già detto, va distinto dall'antisionismo. Infattispesso, successivamente al crollo dei totalitarismi e alla presa di coscienzadegli abomini, non si farà più ricorso ad istanze eugenetiche per contrapporsiad un popolo storicamente sempre avversato, bensì alle politiche militaristeche lo stesso giovane Stato d'Israele attua in Medio Oriente, aspetto del suoagire politico che ha comportato la rottura di Israele con le sinistre europee,ribadisce Lanuzza, che argomenta questo aspetto importantissimo con stralcitratti da documentazioni di giornali nazionali italiani (la Repubblica, ilmanifesto, l'Espresso) ed esteri (Ha'aretz, Suddeutsche Zeitung), che dannospazio alle voci di scrittori e studiosi di tutto il mondo. "In Israele" cita Lanuzza"la democrazia è solo per gli israeliani", senza dimenticare di sottolineare lacondizione dei palestinesi che cercano di vivere senza il terrore della mortenella Striscia di Gaza, "prigione a cielo aperto", "ghetto" come lo è lo stessoStato d'Israele sebbene in chiave autodifensiva/aggressiva. Riporta il saggistale parole di molti tra coloro che si espressero a proposito della Shoah – tragediadell'umanità, espressione della decadenza morale e non solo – in relazioni agliodierni rapporti internazionali: "L'ossessione della nuova Shoah dietro la portascatena processi di permanente vittimizzazione che si sinergizzano con icomplessi di colpa occidentali, legittimando un''’industria dell'Olocausto' che faun uso strumentale e ricattatorio della memoria dell'immane catastrofe per finidi propaganda". Ma, ecco, questa forse è una digressione, una parentesi –seppur ampia – in cui Lanuzza abbandona momentaneamente quell'ottica chevuole descrivere dall'esterno, per addentrarsi a pieno nel clou di una questionetutt'oggi scottante, senza il timore di sporgersi pericolosamente. Potrebbesembrare che il saggista a questo punto abbandoni il suo atteggiamento superpartes mantenuto per tutto il corso della trattazione, eppure tale non apparepiù nel momento in cui ci si accorge che lui non fa che constatare la realtàoggettiva, sottolineando come Israele fu "voluto anche dall'Organizzazionedelle Nazioni Unite (ONU) per il controllo del Medio-Oriente" (asserzione cheavrà fatto arrabbiare qualcuno). Allora "appare equivoco voler tacciare diantisemitismo quanti criticano le vessazioni sociali e le prevaricazioniterritoriali, la politica armata e l'impunità internazionale d'Israele che infrangele convenzioni tra gli Stati. Non si cada nel gioco di assimilare surrettiziamenteantisemitismo e antisionismo", aggiunge Lanuzza citando lo storico Yakov M.Rabkin dell'Università di Montreal. Il puntuale. acuto saggista, a questo puntonon può, parlando di Céline, non spezzare una lancia a favore di un GunterGrass, Nobel per la letteratura nel 1999, proclamato "persona non grata" nel2012 dal governo israeliano dopo l'uscita della nota poesia Ciò che va detto(caso, questo, in cui di antisionismo si parla), in occasione delle questioniattorno all'atomica. Sempre in contesto israeliano si giunge, in occasione delFestival d'Israele di musica classica, alla proibizione dell'opera La Valchiria diWagner, ci ricorda Stefano Lanuzza, per via dell'antisemitismo dello stessoWagner. Non occorre allora specificare quante riflessioni vengano in mente equante deduzioni si possano fare sul caso Céline. Ma questo excursus chepotrebbe sembrare dirottare il lettore verso una più politicizzante oratoria vuolein realtà mettere in discussione quanto sinora si è detto a proposito delprotagonista degli studi comparatistici lanuzziani, che deve essere compresotenendo conto anche delle consapevolezze oggi conquistate (come quelle cheancora non vogliamo afferrare). Oggi che si applaude a uomini che al tempofurono, sì, a libro-paga dell'Ovra, la polizia segreta fascista. Céline – questo di

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lui si può dire a voce alta – era libero, "assolutamente LIBERO, e non pagato".Céline della libertà...

Ma questo stesso excursus vuole anche dirci quanto la realtà dei fatti non siasempre semplice da scovare, quanto la fortuna di Céline dipese fortementedalla cultura del tempo che visse, da conflitti che prescindevano dallo stessoautore, quanto ancora una volta siamo vittime di una censura che mette daparte l'arte, quella autentica (Wagner è un caso davvero eclatante), forse pertimore che l'uomo non abbia perso il vizio di essere profondamente epericolosamente corruttibile nell'animo. E' di noi stessi che non ci fidiamo?..."Céline è il Novecento", tanto che è stato definito dal nouveau philosophefiloisraeliano Bernard-Henri Lévy come "il più grande e il più attuale deglistorici del XX secolo, di cui egli è anche il sintomo e il rivelatore". Asserzione,questa, impegnativa e intrascurabile. Ma qui non siamo solo dinnanzi ad unrappresentante/testimone/campione del passato. Si dice che la letteratura èchiaroveggenza, che gli artisti di qualsiasi campo espressivo, di qualsiasinazionalità, dai poeti ai romanzieri, dai pittori/scultori ai musicisti/cantautori,tanto hanno predetto anche secoli prima, dal sottomarino di Verne all'atomicadi Svevo. Un brivido allora ci coglie nel leggere quanto Lanuzza ci fa notare: "Inun delirio visionario, [Céline] predice il 'pericolo cinese'" anche se risulta oggiopportuno variare la profezia, aggiunge ancora Lanuzza, perché non di unpotere militare si tratta bensì economico-commerciale (d'altronde il primo èdetenuto dagli Stati Uniti "gendarmi del mondo" - ed ecco ancora un Lanuzzache non esita a constatare, ma mi correggo: ancor più che di constatazioni, ilsaggista si occupa di critici confronti). Céline è il Novecento... Tra irritazioni etravolgimenti emozionali non bisogna dimenticarsi di ciò che rese grandeCéline, se non si considera che molti trovarono in lui, oltre che lo storico,persino il filosofo. E' arrivato infatti il momento di passare al secondo puntodella produzione letteraria che ha fatto tanto discutere, e discutere anche suquesto versante, quello dello stile. Céline "sconvolge l'uso medio della linguafrancese usuale" scrive Stefano Lanuzza, utilizza un "linguaggio venato d'argot"e "volendo nominare i sentimenti dell'insensato e dell'inaccettabile", "loscrittore si foggia una prosa inaudita". A braccetto con la violenza delle storie edei personaggi sopraggiunge infatti uno stile che scandalizza, che sconvolgeper i toni da bassofondo popolare ma che funzionali sono alla trasmissione diquelle emozioni non semplici da manifestare come da spiegare, tanto meno dacondividere. I confronti stilistici chiamano in causa gli italiani Stefano D'Arrigo eCarlo Emilio Gadda con le loro contaminazioni dialettali di cui attuano peròrimaneggiamenti che rendono la loro prosa unica nel panorama letterariointernazionale, a tal punto che di essi si può dire quanto Lanuzza stessoafferma a proposito di Céline riproponendo le parole di Caproni, che è stato tra imaggiori poeti italiani del Novecento: "Una lingua italiana atta a tradurreCéline" è "ancora da inventare". Allo stesso modo come crediamo possanoessere tradotti i nostri autori nel francese, nell'inglese, nel tedesco?

Lanuzza, da studioso di Letteratura comparata, chiama in causa anche JamesJoyce con il suo Ulisse, sebbene non per l'aspetto linguistico ma per lacondivisione di quella che è stata definita "scrittura vivente" che sia in virtùdello stream of counsciousness o per lo "stile emotivo". Emozioni anarchicheche scalciano sino a scoperchiare una pentola dalla quale escono indomabili. E'

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questa la prosa di Céline, una pentola a pressione colta figuralmente nel suomomento estremo di esplosione, non potendo più tollerare il troppo. Ilparagone con Hugo sopraggiunge – non può non sopraggiungere – quando dicedi Céline che il suo argot rifugge dagli stereotipati adattamenti dialettali cuihanno ricorso e ricorrono molti autori francesi tra cui appunto l'autore di Imiserabili, Nostre Dame de Paris e molto altro. D'altronde, diversi autoris’ispirarono successivamente allo stile di Céline, tra cui il Cavanna fondatore diCharlie Hebdo. D'Arrigo e Gadda a lui si avvicinano nell'intento e nella capacitàdi manipolare il dialetto lontani dalla semplice contaminazione… Resta chel'ignoranza di molti dei suoi contemporanei che si ersero a giudici e a grandicritici, non riuscendo a inserire l'autore in nessuna delle categorie letterarieallora esistenti, non sostennero che aveva portato delle innovazioni allaletteratura, non sostennero che il suo fosse sperimentalismo, necessità didistinguersi da qualsiasi forma precostituita anche linguistica. Qualcuno invecedisse del Voyage: "Puzza di russo lontano un miglio". Il tono argotico céliniano è"liquidatore della letteratura fine a se stessa", "persegue nuove stradeconoscitive e destabilizza ogni fissità sintattico-lessicale". Dunque alla fine s'èdetto! S'è detto quanto profondamente moderno fosse il suo stile, ricorrente aduno spezzettamento della trama narrativa, ad una sintassi frammentata. Per laTrilogia del Nord lo si può accostare al post-futurismo, afferma Lanuzza, maanche qui c'è un'unicità d'intenti e di stile, aspetto sul quale lo scrittorepuntava costantemente a costo di essere ripetitivo ricalcandone la necessità ela peculiarità ("ci vuole uno stile per scrivere"). Numerosi sono i neologismi,partoriti dall'autore contro "l'imbalsamato monolinguismo della tradizioneliceale ordinaria" e proiettato verso una "lingua reinventata [...] soliloquio di unIo maturato dopo Joyce e prima di Beckett [...] rimembranza scritta a pezzi estrappi" fatta di "punteggiatura martellante [...] distorsioni tonali, sequenzedissonanti e onomatopee [...] paroliberismo futurista" "in un'atmosferad'iperrealismo ambientale". Si può parlare, prosegue il saggista, di "oralitàpseudofuturista" pregna di "proliferanti parole in libertà", "stilizzazionionomatopeico-fonosimboliche", "divertimenti fonetici, asemantici o fuggevolipensieri che simulano stati autistici". E' l’ingresso del gergo fumettistico nelromanzo moderno e post-moderno con Marinetti e seguaci… Dal momento chesiamo entrati nel merito dello stile, va fatta una nota sull'eleganza espositiva diStefano Lanuzza, che scrive: "In modo rabdomantico, procedendo per illazionicriptosaggistiche, deformazioni sociopolitiche e giudizi morali sempre opinabili,per pagine scucite da una sgretolata oralità variante in mutevole chiacchiera,lo scrittore attacca romanzieri e giornalisti..." eccetera. Dunque a rifletteresullo stile di Céline é un critico che sa di cosa parla.

Nell'ultima parte del saggio, il critico affronta con precisione storica labiografia dell'autore che si intreccia alle vicende dell'Europa, anno per anno,lasciando emergere come le vicende politiche, sociali e umane sianosoprattutto qui inestricabilmente legate. "Céline è il Novecento" lo ripetiamoancora una volta come ripetiamo quanto esso abbia in sé tutte lecontraddizioni del secolo, contraddizioni che la biografa italiana di Céline,Marina Alberghini, riscontra persino fisiognomicamente in una fotografia cheritrae Louis-Ferdinand Céline: "La metà destra del viso ha uno sguardo duro,grintoso, da predatore, la bocca volitiva e sprezzante. L'altra metà è il voltosognante di un poeta, lo sguardo perso, dietro un orizzonte lontano". Lanuzza,

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invece, scrive: "Durante la sua esistenza, lui, un buono e un empio, unsognatore e un cinico, ogni volta non è quello che sembra e resta per sempre ilproprio stesso segreto, custodito in un rancore rimante con un dolore anticochiuso nell'ombra d'una offesa immedicabile, segnato da una colpa chiusa adogni intrusione". Ripropone poi le parole dello stesso Céline che, nel tentativodi comprendere se stesso, racconta di un episodio, un rito cui ha assistito inAfrica, che lo ha profondamente turbato forse per un’inquietanteidentificazione: "Si fa un cerchio con delle liane [...] si poggia il cerchio aterra, si mette al centro del cerchio uno scorpione - si dà fuoco alleliane, lo scorpione si ritrova allora accerchiato, circoscritto dal fuoco,cerca immediatamente di uscire ma invano - gira rigira, va e viene manon può uscire e allora s'immobilizza all'interno del cerchio, epungendosi a lungo sulla corazza, si avvelena e muore"… E' ciò chefaceva Céline. E' ciò che faceva l'uomo del XX secolo. (Giulia Sottile, psicologa,saggista).

Sabato 04 Aprile 2015

La passione della-per la "parole" di Stefano Lanuzza

di Antonino Contiliano

Due particolari e recenti eventi editoriali richiamano il nome dello scrittore ecritico Stefano Lanuzza. Sono l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, tradotto inlingua tedesca da Moshe Kahn (S. Fischer Verlag, Frankfurt, 2015), e ora, dellostesso Lanuzza, Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto”(Stampa Alternativa, Roma-Viterbo, 2015). Si tratta di due pubblicazioni chehanno al centro, pur diversamente connotato, un linguaggio letterario ‘eretico’

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(per una letteratura non d’‘accatto’, ossia consumistica o di mercato): unlinguaggio come passione della parole, come scelta fortemente trasgressiva.Una parole con cui si identifica uno stile o un’insolita stilistica, innovativa eabnorme, che rivoluziona la prassi della scrittura artistica sia sul pianolessicale, sia su quello ritmico-sintattico ed espansivo. È, insomma, la paroladella vita con il suo carico di ‘percetti’ e ‘affetti’ che attraversa il linguaggio –direbbe G. Deleuze – stagliandosi nell’opera e fondando uno stileassolutamente originale, imparagonabile e memorabile. La scrittura artistico-letteraria che ne consegue segna una svolta e insieme, diversamente dallecorrenti produzioni di consumo, uno sconvolgimento che assale, devastandole,le abitudini di un pubblico fin troppo assuefatto alla tradizione normativa.

Assumono allora rilievo, in D’Arrigo, i sostrati dialettali e l’etimologia rizomatica“dei gerghi della Sicilia nord-orientale costiera”. Per raccontare la storia di‘Ndrja Cambria (il protagonista di Horcynus Orca), D’Arrigo si è creato unpersonale linguaggio attivando una catena lessicale risalente fino alla corte diFederico II. Le maglie, se si segue il cammino a ritroso, «sono il francese e ilnormanno, l’arabo, il greco bizantino, il latino, il greco antico, il siculo. Questomateriale linguistico si trasformò per quasi duemila anni, giungendo finalmenteai lessici del mezzogiorno italiano che conosciamo. […] molte parole sonouguali o simili e hanno un significato uguale o simile; altre invece suonanouguali o simili, ma hanno un significato completamente diverso dall’italiano.Per chiarire quest’ultimo gruppo, ecco qualche esempio: stilare significa initaliano “stendere, scrivere un documento” e deriva da stilo, un oggetto perscrivere; mentre, in siciliano, stilare ha invece una coloratura greca, deriva dastylos e assume il significato di “avere l’abitudine”, come nell’espressione“stilava alzarsi presto”. Spiare significa in italiano “guardare, osservareattentamente e di nascosto” e deriva da una radice gotica e latina; in sicilianospiare assume invece il significato di “domandare, chiedere” […]» (cfr. MosheKahn, in www.retididedalus.it, 2015 gennaio).

Nell’altro caso, il codice letterario usato da Céline è l’argot1 delle banlieuesfrancesi. Con Viaggio in fondo alla notte, Louis-Ferdinand Céline inaugura infatti– scrive Lanuzza – una narrativa tutta particolare: registro gergale piùsoggettivo e protagonista; sintassi frammentata e spezzettamento della tramanarrativa; varietà linguistiche; espressioni popolari o figure argotiche dellabanlieue parigina; mots grossiers e deformazioni lessicali; metamorfismiespressionistici e verbi sostantivati; pleonasmi o ridondanze grammaticali conaspre sonorità. Un linguaggio insomma che allontana i lettori dalle attitudinipuriste del romanzo ufficiale. «Con il secondo romanzo [Morte a credito], ilparlato argotico assume il definitivo dominio del discorso céliniano. Più che mailo scrittore avverte il bisogno di una forma nuova e individuale per la suanarrativa: di un’azione di rottura linguistico-stilistica, ancora più decisa eradicale che nel Voyage, contro l’imbalsamato monolinguismo della tradizioneliceale ordinaria» (S. Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 37). Il suolinguaggio non trascura niente della lingua, specie d’uso: privilegiando «lalingua d’uso dei ragazzi di strada, dei maliziosi alunni della scuola comunale dalui frequentata o dell’ingegnoso commesso di bottega; e non rinuncia adavvalersi del gergo di caserma, dei pesanti motti dei bassifondi o della ‘mala’,nonché delle chiacchierate con l’amico pittore Gen Paul che abitualmentes’esprime in un compiaciuto argot coprolalico» (Ivi).

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Queste due opere, sebbene diversamente collocate, vedono egualmentecoinvolto Stefano Lanuzza (anche storico della letteratura), perché di Célinedella Libertà è l’autore diretto e unico (al “maledetto” Céline, Lanuzza ha giàdedicato altri due studi, sempre pubblicati con Stampa Alternativa: MaledettoCéline. Un manuale del caos e la traduzione del libello di H.-E. Kaminski Célinein camicia bruna. Un voyage immaginario). Mentre della traduzione tedesca diHorcynus Orca è stato consulente linguistico. Conoscitore e specialista dellalingua di D’Arrigo, ha affiancato l’opera di traduzione di Moshe Kahn persalvaguardare al meglio il pensiero e la lingua darrighiana. È, poi, appena ilcaso di ricordare che il Lanuzza, oltre a frequentarne la scrittura letteraria, haconosciuto personalmente Stefano D’Arrigo che gli ha rilasciato una raraintervista, inserita poi nel volume Scill’e Cariddi. Luoghi di Horcynus Orca(Catania-Acireale, Lunarionuovo, 1985). L’importanza dell’intervista, di cui si riporta qualche frammento, è data anchedal fatto che D’Arrigo vi rilascia una precisa dichiarazione di poetica: «Hocostantemente cercato di fare coincidere i fatti narrati con l’espressione, lascrittura con l’occhio e con l’orecchio, rifiutando qualunque modulo che miapparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assoluto. Non horinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partitodall’obiettiva sicurezza che i luoghi della mia narrazione – luoghi topografici masoprattutto luoghi del testo – restino un fondamentale punto d’incontro efiltraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni volta che ho adoperatoneologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornireimmediatamente il corrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare ilperiodo e ‘mirare’ il vocabolo finché non giudicavo d’avere raggiuntol’espressione completa: fino al momento in cui guadagnavo la certezza che ilrisultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale,sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura‘parlasse’».Se Stefano Lanuzza scandaglia particolarmente autori come D’Arrigo e Céline,che si richiamano – si può dire con una formula di Wittgenstein – per“somiglianze di famiglia” e in quanto presi da ‘passione della parole’, ciò èanche dovuto al fatto che i due autori in questione, per il nostro critico comeper Gianfranco Contini, hanno una consonanza tematica e gergodialettale che liaccomuna come produttori di lingua letteraria di rottura e innovativa. In talecontesto – scrive Lanuzza – pertinente è «il rapporto stabilito da Contini fra unCéline che si ritiene soprattutto poeta e le stilizzazioni gergodialettalidell’Horcynus Orca, poematico romanzo di D’Arrigo […]. Romanzo dell’umanofato è, altresì, Morte a credito: che si intona con lo stesso tema sviluppatograndiosamente nel citato Horcynus Orca (Céline e D’Arrigo sono soldaticombattenti in due guerre mondiali: nella prima Céline, nella seconda D’Arrigo)e inizia con la scena della misera fine della vecchia Bérenge, portinaia […]» (S.Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 44). Quanto al richiamo su Céline e D’Arrigo «soldati combattenti in due guerremondiali», in tale contesto, Lanuzza ritiene pertinente e anche necessarioindividuare ancora la componente storico-temporale che muove la narrativa deidue scrittori. E con ciò, specie nel caso di Cèline, Lanuzza tocca gli aspettiproblematici e controversi del deplorato antisemitismo céliniano fermandol’attenzione sulla temperie culturale, linguistica e ideologica dell’epoca. Tuttoquesto è in Céline della libertà evidente e sottolineato, soprattutto nel capitolo

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dei “‘Balletti’ antisemiti’ riguardante Bagatelle per un massacro, La scuola deicadaveri, I bei pasticci.

8.4.2015

Recensioni Stefano Lanuzza / Stampa Alternativa / pp. 160/ € 14,00

Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto”

Recensione di Stefano Scrima

C’è uno scrittore che tutt’oggi, all’esser nominato, scatena storcimenti di naso:sì, geniale innovatore, amabile dissacratore, ma l’uomo… l’uomo non fuesattamente uno stinco di santo. Fondamentalmente perché disse le cosesbagliate al momento sbagliato, e sottolineo, al momento sbagliato. Si tratta diCéline, autore di uno dei più importanti romanzi del Novecento, Viaggio infondo alla notte (“in fondo” e non “al termine”, come tiene a sottolineareStefano Lanuzza), ricordato anche per le invettive antisemite promulgateattraverso alcuni celebri libelli e articoli. Il momento era evidentemente quellopeggiore per parlare di queste tematiche, ovvero il preludio alla Shoah. Le cosedette erano probabilmente poco fondate, ma pur sempre opinioni senzaproiettili e senza alcuna volontà di essere strumentalizzate da perpetratori digenocidi. Oggi, all’indomani dell’attentato a Charlie Hebdo, l’Occidente siritrova d’accordo sul diritto alla libertà d’espressione ed è probabilmentearrivato il momento di riprendere in mano il caso Céline per contestualizzarnevita e pensiero, ridimensionando così il presunto reato per cui la Resistenzafrancese lo condannò alla pena capitale – alla quale scampò – nel 1943. Questol’intento di un fine conoscitore dello scrittore francese, Stefano Lanuzza, ilquale ci propone un efficace Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un“maledetto”, sorta di manuale su vita e pensiero di Céline, «Inafferrabile,

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disincantato Céline, l’uomo più solo e più libero» (p.156), un autentico enigma,nonostante il marcato autobiografismo delle opere.

La prima parte del libro è dedicata al Voyage au bout de la nuit (1932) e a Mortà crédit (1936), narrazioni pessimistiche della beffarda sorte umana, tenuta inscacco dalla morte creditrice e infestata da insensate vicende belliche che nonfanno che svelare il volto carognoso dell’uomo. Lo stile è tutto nuovo, col suoargot, il gergo popolare elevato a opera d’arte, Céline cambierà per sempre lesorti della letteratura.

Si continua entrando nel vivo della polemica suscitata dall’uomo Céline con gliscritti antisemiti Bagatelles pour un massacre (1937), L’École des cadavres(1938) e Les Beaux Draps (1941) a cui segue una sezione intitolata Unantisemita de plume. Notizie, digressioni, divagazioni, comparazioni in cuivengono messi in campo tutti gli elementi che ci consentono di ricostruire ilquadro in cui si sviluppò il pensiero “maledetto” di Céline.

Anzitutto, esordisce Lanuzza, «ha poco senso che, mentre ha libera circolazioneun libro promulgatore del ‘male assoluto’ qual è il Mein Kampf (1925) di Hitler,non debbano circolare liberamente, quanto meno a titolo conoscitivo e distudio, opere di Céline sparite dalle librerie, irreperibili nelle biblioteche e la cuiristampa è, di fatto, ancora interdetta. Poterle leggere senza impedimenti ocensure servirebbe invece a riscontrare l’inconsistenza del pregiudizio razzistae soprattutto a chiarire come il giudeo vituperato da Céline non sia cheun’astrazione dell’avido detentore d’ogni ricchezza e potere» (p.53). E cosìLanuzza ci mostra il Céline radicalmente antimilitarista, lontano anni luce daqualunque destra, per niente razzista, ossessionato da cieche fobie personaliche giungono a una definitiva e grossolana identificazione dell’Ebreo col Potere,e quindi dell’Ebreo capitalista con il dominio economico mondiale e la volontàdi una nuova guerra che lo sancisca definitivamente. Personali sì, perché nel1937 i dirigenti ebrei dell’Esposizione Universale negano la rappresentazione dialcune sue opere, Elizabeth lo lascia per un ebreo e poi, da medico, verràanche licenziato dal dispensario di Clichy per essere sostituito da un medicoisraelita. I suoi attacchi sono così duri da mettere in imbarazzo qualsiasiantisemita che ritenga fondate le sue convinzioni. Sono ingiustificabili elivorose, ma pur sempre da inserire in un «compiacente contesto anticapitalistae antigiudaico» (p.82) molto forte in quel periodo storico, e soprattutto in alcunmodo inneggianti allo sterminio. Il “massacro” di cui parla è quello chepotrebbero subire i francesi nell’eventualità della guerra scongiurata. E poi,pacifista e nauseato dalla guerra com’è, lui che la guerra l’ha fatta, nonavrebbe mai potuto spingere in quella direzione. Tutto ciò per giungere allaconclusione di un antisemitismo de plume di Céline, astratto, compensatoredelle sue delusioni, di un uomo che elegge l’Ebreo/Potere a bersaglio comodoper sedare la sua disperazione esistenziale e per affermare un ideale dicomunismo puro, poetico, lungi dal comunismo reale visto e denigrato coi suoistessi occhi, per una società realmente egualitaria. Segue la fuga di Céline verso la Danimarca e il suo ritorno in patria raccontatoattraverso la trasposizione letteraria della cosiddetta “Trilogia del nord” (D’unchâteau l’autre, 1957, Nord, 1960, Rigodon, 1969), e quindi le accuse, lecalunnie (in particolare quella, gratuita, di Sartre che lo accusa di esser stato

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pagato dai nazisti – ma le opinioni di Céline erano completamente libere), lecondanne, l’emarginazione, le ristrettezze economiche, la vecchiaia, la mortenel 1961. Chiude il libro un’utile cronologia della vita di Céline intrecciata aisignificativi eventi storici che fecero del Novecento il trionfo dell’assurdo.

Il ritmo dell’intera opera di Lanuzza intreccia, appunto, trama delle opere, vitae pensiero dell’autore e contesto politico-sociale, servendosi di una prosaparticolarmente elegante e curata, in quel tentativo di contestualizzazione percui questo lavoro rappresenta una gradita novità nel panorama dellaletteratura celiniana. Il consiglio che si può dare agli storcitori di naso di cuisopra è quello di leggere con attenzione quest’opera che restituisce la dignità aun anticonformista, libero da qualsiasi forma di etichetta sociale e letteraria, acui molti sono e dovrebbero essere grati.

MazaraCult , aprile 2015

La passione della/per la parole di Stefano Lanuzza

di Antonino Contiliano

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Due particolari e recenti eventi editoriali richiamano il nome dello scrittore ecritico Stefano Lanuzza. Sono l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, tradotto inlingua tedesca da Moshe Kahn (S. Fischer Verlag, Frankfurt, 2015), e ora, dellostesso Lanuzza, Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto”(Stampa Alternativa, Roma-Viterbo, 2015). Si tratta di due pubblicazioni chehanno al centro, pur diversamente connotato, un linguaggio letterario ‘eretico’(per una letteratura non d’‘accatto’, ossia consumistica o di mercato): unlinguaggio come passione della parole, come scelta fortemente trasgressiva.Una parole con cui si identifica uno stile o un’insolita stilistica, innovativa eabnorme, che rivoluziona la prassi della scrittura artistica sia sul pianolessicale, sia su quello ritmico-sintattico ed espansivo. È, insomma, la paroladella vita con il suo carico di ‘percetti’ e ‘affetti’ che attraversa il linguaggio –direbbe G. Deleuze – stagliandosi nell’opera e fondando uno stileassolutamente originale, imparagonabile e memorabile. La scrittura artistico-letteraria che ne consegue segna una svolta e insieme, diversamente dallecorrenti produzioni di consumo, uno sconvolgimento che assale, devastandole,le abitudini di un pubblico fin troppo assuefatto alla tradizione normativa.Assumono allora rilievo, in D’Arrigo, i sostrati dialettali e l’etimologia rizomatica“dei gerghi della Sicilia nord-orientale costiera”. Per raccontare la storia di‘Ndrja Cambria (il protagonista di Horcynus Orca), D’Arrigo si è creato unpersonale linguaggio attivando una catena lessicale risalente fino alla corte diFederico II. Le maglie, se si segue il cammino a ritroso, «sono il francese e ilnormanno, l’arabo, il greco bizantino, il latino, il greco antico, il siculo. Questomateriale linguistico si trasformò per quasi duemila anni, giungendo finalmenteai lessici del mezzogiorno italiano che conosciamo. […] molte parole sonouguali o simili e hanno un significato uguale o simile; altre invece suonanouguali o simili, ma hanno un significato completamente diverso dall’italiano.Per chiarire quest’ultimo gruppo, ecco qualche esempio: stilare significa initaliano “stendere, scrivere un documento” e deriva da stilo, un oggetto perscrivere; mentre, in siciliano, stilare ha invece una coloratura greca, deriva dastylos e assume il significato di “avere l’abitudine”, come nell’espressione“stilava alzarsi presto”. Spiare significa in italiano “guardare, osservareattentamente e di nascosto” e deriva da una radice gotica e latina; in sicilianospiare assume invece il significato di “domandare, chiedere” […]» (cfr. MosheKahn, in www.retididedalus.it, 2015 gennaio).

Nell’altro caso, il codice letterario usato da Céline è l’argot[1] delle banlieuesfrancesi. Con Viaggio in fondo alla notte, Louis-Ferdinand Céline inaugura infatti– scrive Lanuzza – una narrativa tutta particolare: registro gergale piùsoggettivo e protagonista; sintassi frammentata e spezzettamento della tramanarrativa; varietà linguistiche; espressioni popolari o figure argotiche dellabanlieue parigina; mots grossiers e deformazioni lessicali; metamorfismiespressionistici e verbi sostantivati; pleonasmi o ridondanze grammaticali conaspre sonorità. Un linguaggio insomma che allontana i lettori dalle attitudinipuriste del romanzo ufficiale. «Con il secondo romanzo [Morte a credito], ilparlato argotico assume il definitivo dominio del discorso céliniano. Più che mailo scrittore avverte il bisogno di una forma nuova e individuale per la suanarrativa: di un’azione di rottura linguistico-stilistica, ancora più decisa eradicale che nel Voyage, contro l’imbalsamato monolinguismo della tradizioneliceale ordinaria» (S. Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 37). Il suolinguaggio non trascura niente della lingua, specie d’uso: privilegiando «la

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lingua d’uso dei ragazzi di strada, dei maliziosi alunni della scuola comunale dalui frequentata o dell’ingegnoso commesso di bottega; e non rinuncia adavvalersi del gergo di caserma, dei pesanti motti dei bassifondi o della ‘mala’,nonché delle chiacchierate con l’amico pittore Gen Paul che abitualmentes’esprime in un compiaciuto argot coprolalico» (Ivi).Queste due opere, sebbene diversamente collocate, vedono egualmentecoinvolto Stefano Lanuzza (anche storico della letteratura), perché di Célinedella Libertà è l’autore diretto e unico (al “maledetto” Céline, Lanuzza ha giàdedicato altri due studi, sempre pubblicati con Stampa Alternativa: MaledettoCéline. Un manuale del caos e la traduzione del libello di H.-E. Kaminski Célinein camicia bruna. Un voyage immaginario). Mentre della traduzione tedesca diHorcynus Orca è stato consulente linguistico. Conoscitore e specialista dellalingua di D’Arrigo, ha affiancato l’opera di traduzione di Moshe Kahn persalvaguardare al meglio il pensiero e la lingua darrighiana. È, poi, appena ilcaso di ricordare che il Lanuzza, oltre a frequentarne la scrittura letteraria, haconosciuto personalmente Stefano D’Arrigo che gli ha rilasciato una raraintervista, inserita poi nel volume Scill’e Cariddi. Luoghi di Horcynus Orca(Catania-Acireale, Lunarionuovo, 1985). L’importanza dell’intervista, di cui si riporta qualche frammento, è data anchedal fatto che D’Arrigo vi rilascia una precisa dichiarazione di poetica: «Hocostantemente cercato di fare coincidere i fatti narrati con l’espressione, lascrittura con l’occhio e con l’orecchio, rifiutando qualunque modulo che miapparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assoluto. Non horinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partitodall’obiettiva sicurezza che i luoghi della mia narrazione – luoghi topografici masoprattutto luoghi del testo – restino un fondamentale punto d’incontro efiltraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni volta che ho adoperatoneologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornireimmediatamente il corrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare ilperiodo e ‘mirare’ il vocabolo finché non giudicavo d’avere raggiuntol’espressione completa: fino al momento in cui guadagnavo la certezza che ilrisultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale,sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura‘parlasse’».Se Stefano Lanuzza scandaglia particolarmente autori come D’Arrigo e Céline,che si richiamano – si può dire con una formula di Wittgenstein – per“somiglianze di famiglia” e in quanto presi da ‘passione della parole’, ciò èanche dovuto al fatto che i due autori in questione, per il nostro critico comeper Gianfranco Contini, hanno una consonanza tematica e gergodialettale che liaccomuna come produttori di lingua letteraria di rottura e innovativa. In talecontesto – scrive Lanuzza – pertinente è «il rapporto stabilito da Contini fra unCéline che si ritiene soprattutto poeta e le stilizzazioni gergodialettalidell’Horcynus Orca, poematico romanzo di D’Arrigo […]. Romanzo dell’umanofato è, altresì, Morte a credito: che si intona con lo stesso tema sviluppatograndiosamente nel citato Horcynus Orca (Céline e D’Arrigo sono soldaticombattenti in due guerre mondiali: nella prima Céline, nella seconda D’Arrigo)e inizia con la scena della misera fine della vecchia Bérenge, portinaia […]» (S.Lanuzza, Céline della libertà…, cit., p. 44). Quanto al richiamo su Céline e D’Arrigo «soldati combattenti in due guerremondiali», in tale contesto, Lanuzza ritiene pertinente e anche necessarioindividuare ancora la componente storico-temporale che muove la narrativa dei

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due scrittori. E con ciò, specie nel caso di Cèline, Lanuzza tocca gli aspettiproblematici e controversi del deplorato antisemitismo céliniano fermandol’attenzione sulla temperie culturale, linguistica e ideologica dell’epoca. Tuttoquesto è in Céline della libertà evidente e sottolineato, soprattutto nel capitolodei “‘Balletti’ antisemiti’ riguardante Bagatelle per un massacro, La scuola deicadaveri, I bei pasticci.

[1] «Ecco, per libere traduzioni o trasposizioni, solo alcune delle innumerevoliespressioni adoperate in funzione argotica: je m’en tartine, emmerdeurs,déconner, métèque, le feu au cul, merde à Dieu, branleur, branlerais, croupion,il s’en fout, paumé, peau de vache, rendre plus vache, eczémateux, connard,hurluberlu, mouscaille, rombière, les petits boulots, petit nougat, daronne,bouillonner, bourrique, marle, garce, pépère, rouquine, gonzesse, zizi, étre dela fesse, croûter, cafouiller, dégueulasse, la bignolle, merdoyant, enculé,connasse, saloperie, trembloteur, ivrogne, mandrìn... » (S. Lanuzza, Célinedella libertà…, cit., p. 37).

“Le reti di Dedalus”, Maggio 2015 - Céline della libertà, ilsaggio dello studioso siciliano Stefano Lanuzza, pubblicato da Stampa Alternativa con il sottotitolo “Vita,lingua e stile di un ‘maledetto’”, si propone innanzitutto di mettere in primo piano il fulgido talento dell’autore di “Voyage au bout de la nuit” e “Mort à crédit”, e di analizzare la qualità della sua opera più che la natura delle sue contraddizioni politico-culturali. Viene tra l’altro sottolineato lo slancio di una scrittura monocentrica rivelante un’oralità parafuturista trasposta sulla pagina; e l’impasto in divenire di una esistenza che attraversa l’utopia comunista, l’antisemitismo, l’anarchia, la professione di medico dei poveri, l’antimilitarismo (Marco Palladini, scrittore, direttore di“Le reti di Dedalus”).

18.5.2015 - Bel libro su Céline "anche aforista". È un lavoro pieno di vita, di grande coinvolgimento (Gino Ruozzi, studioso dell’Aforisma, collaboratore del “Sole/24 Ore”).

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