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3/11/2015
Prof. Altavilla
Sbob. Di Salvo Jessica
TUMORI RENALI
I tumori renali si classificano in:
1) TUMORI MALIGNI
Due tumori abbastanza frequenti:
- Carcinoma a cellule renali (rappresenta l’ 80-85% ed è quello di cui oggi parleremo)
- Carcinoma a cellule transizionali (è un tumore non del parenchima renale ma che si trova a livello della
pelvi renale, quindi un tumore della via escretrice che dal punto di vista della storia naturale si avvicina
molto al tumore della vescica –di cui poi parleremo e quindi facendo la storia naturale del tumore della
vescica ci rifaremo anche a questo tipo di tumore renale)
Due tumori più rari:
- Tumore di Wilms (molto raro nell’ incidenza generale ma frequentissimo in una classe di età che va da 0
a 5 anni, quindi nei bambini; tra l’ altro è un tumore molto particolare perché è uno dei tumori che se
diagnosticato correttamente in tempo porta alla guarigione al 100 %)
- Sarcomi (molto rari)
2) TUMORI BENIGNI
- Oncocitoma
- Angiolipoma
CARCINOMA A CELLULE RENALI
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore a cellule renali rappresenta l’
80-85% dei tumori renali.
Nasce a livello della corteccia renale,
costituisce il 2-3% di tutte le neoplasie
maligne e nel 2015 sono attesi 12000
nuovi casi di tumori del rene, con un
rapporto maschi : femmine di 2:1(quindi
una netta prevalenza negli uomini
rispetto alle donne).
Per quanto riguarda l’ incidenza (curva
superiore) vi è un incremento costante
nel tempo sia negli uomini (del 1,1%)
che nelle donne (dello 0,8%).
Per quanto riguarda la mortalità, il dato
del 2012 ci dice che nel 2012 sono morti
di carcinoma renale 3299 pazienti, di
cui il 64% erano uomini.
La curva di mortalità (quella in basso) è
piuttosto rettilinea, quindi stabile nel
tempo.
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FATTORI DI RISCHIO
-Non vi è dubbio che anche per il tumore
renale il fumo di sigaretta rappresenta il
maggiore fattore di rischio, ma accanto a
questo vi sono due condizioni proprie della
sindrome metabolica (fattori di rischio
particolarmente importanti nelle donne per
il carcinoma della mammella) cioè l’
obesità e l’ ipertensione.
Già questi tre fattori vi fanno capire perchè
questo tumore sia prevalente nei paesi ad
alto tenore di vita cioè paesi occidentali.
-Inoltre anche fattori genetici sono stati
correlati al tumore renale: i parenti di
primo grado dei pazienti affetti da
carcinoma renale hanno un rischio 4 volte
superiore rispetto alla popolazione
generale di sviluppare questa neoplasia.
Il tumore renale è nella maggior parte dei casi (ricordatelo sempre) una forma sporadica e non legata a fattori genetici
ereditari, però vi sono dei quadri di carcinoma renale ereditario che insorgono prevalentemente nell’ ambito di quadri
sindromici particolari che sono:
1) La SINDROME DI VON HIPPEL LINDAU
2) Il CARCINOMA PAPILLARE EREDITARIO
3) La LEIOMIOMATOSI EREDITARIA
4) La BIRT-HOGG-DUBE’
- La SINDROME DI VON
HIPPEL LINDAU si
trasmette con modalità
autosomica dominante. Oltre
al tumore renale vi sono
neoplasie di altri organi
(emoangioblastomi della
retina e/o del SNC,
feocromocitomi, tumori a
cellule insulari del pancreas).
Il 35% circa di pazienti con
tale sindrome sviluppa
carcinomi renali, più spesso
bilaterali (capite la qualità di
vita di questi pazienti se
sottoposti a un intervento
chirurgico); in questi tumori
renali associati a tale sindrome
inoltre vi è una mutazione a
carico di entrambe le copie del
gene oncosoppressore VHL localizzato in corrispondenza
del braccio corto del
cromosoma 3.
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- Il CARCINOMA PAPILLARE
EREDITARIO è una sindrome anch’
essa trasmessa con un meccanismo
mendeliano di tipo autosomico
dominante, associata alla mutazione
del protoncongene MET codificante
una tirosin-chinasi recettoriale; si
associa quindi a carcinoma renale
papillare di tipo 1 che si associa ad
altre neoplasie.
- La LEIOMIOMATOSI
EREDITARIA si trasmette anch’ essa
con modalità autosomica dominante e
si associa alla mutazione del gene FH
predisponendo allo sviluppo di
leiomiomi benigni della cute e dell’
utero, leiomiosarcomi uterini e
carcinoma renale papillare di tipo 2.
- La BIRT-HOGG-DUBE’ è dovuta
alla mutazione del gene BHD che
codifica per la follicolina, quindi predispone allo sviluppo di tumori cutanei benigni, cisto polmonari e carcinomi
renali spesso multipli e bilaterali (soprattutto carcinomi cromofobi).
ANATOMIA PATOLOGICA
-Dal punto di vista MACROSCOPICO, nella
maggior parte dei casi il carcinoma a cellule renali
si sviluppa a livello della corticale renale (l’
abbiamo già detto) e solo nelle fasi più tardive si
estende verso la pelvi.
Tali tumori sono circondati da una pseudocapsula
e al taglio l’ aspetto è spesso variegato con zone
emorragiche, necrotiche e calcifiche.
Il carcinoma a cellule chiare (istotipo più
frequente) ha tipicamente un colore giallastro per
l’ abbondante contenuto lipidico
intracitoplasmatico.
-Da un punto di vista
MICROSCOPICO vi è una
classificazione istologica che
classifica il carcinoma renale in_
1) CARCINOMI A CELLULE
CHIARE (è l’ istotipo prevalente, nel
75-85% dei casi)
2) CARCINOMI DI TIPO
CROMOFILO, tipico è il carcinoma
PAPILLARE (10-15%) *
3) CARCINOMI CROMOFOBI (5-
10%)
4) ONCOCITOMI (meno dle 2%)
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5) CARCINOMI DEI DOTTI COLLETTORI DI BELLINI (molto raro).
* Il CARCINOMA PAPILLARE origina dal tubulo contorto distale, presenta aree di necrosi, emorragie e
degenerazione cistica; ne distinguiamo due tipi:
- TIPO 1
- TIPO 2 (ha un grading molto alto, dove per “grading” intendiamo una sdifferenziazione rispetto alla
cellula normale; essendo più sdifferenziato avrà una prognosi più sfavorevole).
GRADING
Se il grading è quello che normalmente utilizziamo a
scopo prognostico, nel tumore renale vi è invece un
punteggio definito “PUNTEGGIO DI FURHMAN”
secondo il quale viene dato un numero da 1 a 4 (sulla
base del diametro, della forma del nucleo, delle
caratteristiche della cromatina e dei nucleoli),
rappresentando questo un FATTORE PROGNOSTICO
DECISIVO (è comunque meglio applicato al carcinoma a
cellule chiare, un po’ meno per gli altri istotipi).
STORIA NATULARE
Molto spesso il tumore del rene è un tumore che si riscontra occasionalmente, ad esempio durante un’ ecografia
eseguita per un problema addominale (cui si ricorre molto più spesso rispetto ad un esame clinico obiettivo); quindi
spesso è asintomatico e viene ad essere riscontrato occasionalmente.
Tenete presente che il carcinoma renale ha una storia naturale molto strana:
-Quando parleremo della chemioterapia, vi dirò che in realtà la chemioterapia non ha mai avuto un’ azione nel rene
per cui abbiamo creduto per molto tempo di raggiungere con la chemioterapia una situazione di stabilizzazione della
malattia, ma in realtà la chemioterapia non faceva nulla e il tumore era stabile perché nella sua storia naturale molto
spesso è indolente, tant’ è vero che ci sono dei casi in cui il tumore renale è stato occasionalmente riscontrato nell’
esame autoptico di pazienti morti per altri motivi.
-Sono dei tumori strani però: abbiamo il caso di una paziente operata nel 2001 per tumore del rene a cellule chiare che
dopo 14 anni ha sviluppato metastasi polmonari, quindi è vero che anche a distanza di parecchi anni il paziente con
tumore del rene può sviluppare delle metastasi a distanza.
MODALITA’ DI DIFFUSIONE
Il carcinoma renale può estendersi a livello
locale (ESTENSIONE DIRETTA) infiltrando
la capsula renale di Gerota e diffondendosi a
livello dei tessuti circostanti, ma la più rilevante
estensione diretta del tumore renale è comunque
quella trombotica: va sempre cercato il trombo
neoplastico a livello delle vena renale; molto
spesso è una trombosi imponente, massiva, che
coinvolge anche le vene più a valle (infatti uno
dei possibili sintomi di esordio del tumore
potrebbe essere un varicocele nell’ uomo per
una trombosi della vena spermatica.
Poi abbiamo una possibile diffusione a distanza
quindi una DIFFUSIONE LINFATICA e una
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DIFFUSIONE EMATOGENA (quest’ ultima provoca nel 75% dei casi metastasi polmonari; questa deve essere ben
gestita perché se interessa solo un lobo va sempre trattata chirurgicamente sia nel caso in cui sia una metastasi
sincrona alla diagnosi del tumore renale sia nel caso di una metastasi metacrona cioè che compaia dopo perché, per il
tipo di storia naturale del tumore renale, l’ azione sulla metastasi può essere decisiva ai fini dell’ incremento della
sopravvivenza del paziente).
SEGNI E SINTOMI
La presentazione clinica è molto
variabile.
Spesso è ASINTOMATICA ma quando
il paziente manifesta dei sintomi questi
sono:
- EMATURIA
- DOLORE
- MASSA ADDOMINALE
PALPABILE
Questa triade sintomatologica così
caratteristica è presente solo nel 10-15%
dei casi; in altri casi vi sono segni
aspecifici quali:
- CALO PONDERALE
- CACHESSIA
- ASTENIA
- ANEMIA IPOCROMICA
- FEBBRE
DIAGNOSI
L’ ESAME CLINICO è sicuramente il
primo approccio per la diagnosi, ma
certamente alla palpazione dei reni non
è sempre possibile individuare la
presenza di un tumore in quanto l’
evidenza di un tumore (con la
palpazione bimanuale) al polo inferiore
del rene così cresciuto tale da rendersi
palpabile è un evenienza piuttosto rara
in quanto dovrebbe essere un tumore
estremamente avanzato. Però il paziente
deve comunque sempre essere visitato
(potrebbe ad esempio riportare un
varicocele).
Non c’ è dubbio che la diagnostica per
immagini è quella che ci permette di
risolvere il problema in termini
diagnostici, a partire da una banalissima
ECOGRAFIA (che spesso è il primo momento diagnostico), la TC (molto più precisa), non si esegue più l’
UROGRAFIA semmai facciamo l’ URO-TC e infine la PET (Attenzione: tenete presente che per quanto riguarda il
tumore renale, la PET può essere negativa in presenza di metastasi perché il fluoro-desossi-glucosio non viene captato
molto bene dalle cellule del rene. L’ ipercaptazione riscontrata nella PET è solitamente un fattore prognostico molto
negativo in quanto sta a significare la presenza di un tumore altamente indifferenziato).
Vi ho detto sempre che la diagnosi di certezza è una DIAGNOSI ISTOLOGICA e un po’ in tutte le neoplasie di cui
abbiamo parlato (tumore del colon, del polmone) abbiamo sempre pensato al ruolo dell’ agobiopsia; tuttavia per il
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rene è un errore fare un’ agobiopsia trans-
addominale eco- o TC- guidata (a meno che il
paziente non sia ampiamente metastatizzato e non
pensiamo di doverlo operare) perché la probabilità
di diffusione addominale delle cellule neoplastiche
in corso della metodica invasiva di tipo
agobioptico è estremamente elevata; quindi di
norma se c è una massa renale intanto la
asportiamo e poi facciamo l’ esame istologico
(ESPLORAZIONE CHIRURGICA), mentre nel
caso in cui il paziente sia diffusamente
metastatizzato e quindi non operabile ecco il
ricorso all’ AGOBIOPSIA.
SISTEMA TNM
Chiaramente bisogna tener conto del sistema TNM che per quanto riguarda il tumore renale è molto semplice.
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Tenendo conto del sistema TNM, gli stadi sono molto semplici:
Questo porta ad una variazione
della prognosi dopo un
eventuale intervento chirurgico
estremamente varia perché
considerando il I stadio con una
sopravvivenza a 5 anni del 95%
passiamo, al II stadio con un
88%, al III stadio con un 59%
e infine al IV stadio con un
20%.
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FATTORI PROGNOSTICI
Lo stadio, il grado di differenziazione, l’
istotipo sono importanti dal punto di vista
prognostico però il Dott. Motzer ha
sviluppato una valutazione prognostica tale
che quando un paziente arriva dall’
oncologo in fase metastatica ci permette di
categorizzarlo in 3 fasce di rischio: basso,
medio, alto.
Tale rischio di Motzer viene valutato sulla
base di alcuni parametri, quali:
- Stato di validità secondo Karnofsky
- Livelli di LDH (>1.5)
- Anemia
- Calcemia
- precedente nefrectomia
Dunque sulla base di questi paramtri:
Un paziente con almeno uno di questi
fattori ha una buona prognosi con un’
aspettativa di vita circa 30 mesi
Un paziente con 2 di questi fattori ha
una prognosi intermedia con un’
aspettativa di vita di circa 15 mesi
Un paziente con più di 2 fattori ha una
scarsissima prognosi con un’
aspettativa di vita di circa 4 mesi e
mezzo.
TERAPIA
TERAPIA CHIRURGICA
La chirurgia è quella che deve essere effettuata in maniera radicale, cosa che molto spesso implica una
NEFRECTOMIA, ma tenete presente che questo tipo di intervento deve essere commisurato allo stato funzionale del
paziente (quindi attenzione ai pazienti con insufficienza renale o ai pazienti mono-rene o ai pazienti trapiantati), quindi
se la nefrectomia è l’ intervento più garantista dal punto di vista oncologico, talvolta tuttavia anche un intervento più
ridotto può essere accettato per mantenere una certa qualità di vita.
Abbiamo parlato di metastasi e abbiamo detto come queste, specie le metastasi polmonari, devono essere inseguite nel
corso della storia naturale di un paziente con tumore renale o insieme ad un intervento di nefrectomia al momento
della diagnosi di metastatizzazione.
Un ruolo controverso è invece quello della nefrectomia in un paziente pluri-metastatico perché nella realtà dei fatti
non si sa quale contributo questa nefrectomia possa dare in termini di mutazione della storia naturale; certo, una
nefrectomia è da eseguire in un paziente che abbia un’delle ematurie imponenti.
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RADIOTERAPIA
La radioterapia non ha un ruolo importante nel
trattamento del tumore del rene se non nella fase
metastatica e per il trattamento delle metastasi;
pensiamo alle metastasi ossee in cui la radioterapia ha
una certa attività, così come anche alle metastasi
cerebrali in cui una irradiazione encefalica ci consente
in qualche modo di ridurre l’ edema peri-lesionale.
CHEMIOTERAPIA
La chemioterapia non funziona per un
semplice motivo: il carcinoma del rene è un
tumore che esprime in maniera elevata la
proteina Pgp-170, una proteina localizzata a
livello della membrana, che iper-espressa
determina quel meccanismo di “multidrugs
resistence” cioè “resistenza a molti farmaci”
attraverso un sistema di maggiore apertura
di canali che permette un iperafflusso del
chemioterapico dall’ interno della cellula
(che aveva permeato) verso l’ esterno.
L’ adriblastina è stato il farmaco più
utilizzato ma la percentuale di risposta
obiettiva è pari al 6% , e devo dire che le
stabilizzazioni che si osservavano non erano
legate al trattamento chemioterapico ma
erano piuttosto legate al tipo di storia
naturale del tumore.
ORMONOTERAPIA
Il tumore del rene ci ha dato veramente delle ampie
condizioni di disperazione perché in realtà per
lunghissimo tempo non si sapeva cosa fare e
abbiamo cercato di inventarcene tutte, dal momento
che la chemioterapia non funzionava.
Si è anche pensato al medrossiprogesterone
acetato (un ormone progestinico) in quanto si
pensava che questo potesse antagonizzare l’ attività
degli estrogeni dal momento che nei modelli
sperimentali di criceti si è visto che tali estrogeni
stimolavano la crescita del tumore renale. In realtà
non abbiamo mai avuto delle risposte nei pazienti
trattati con il medrossiprogesterone acetato; al più,
abbiamo avuto dei miglioramenti dal punto di vista
sintomatologico, ma ciò era legato a un qualcosa
che poi è stato associato all’ attività del medrossiprogesterone acetato che oggi ha una precisazione specifica nelle
terapie palliative come farmaco anti-cachettico perché in realtà tale sostanza (che è un progestinico) ha una
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componente nella sua struttura chimica che è di tipo cortisolo-simile, quindi ha meno effetti collaterali del cortisolo
ma la sua stessa attività pro cinestetica.
IMMUNOTERAPIA
Ci sono dei tumori renali che hanno dei comportamenti
imprevedibili: lunghi intervalli liberi da progressione,
talvolta regressioni spontanee; ciò induce a ritenere che l’
immunità possa avere un certo ruolo nel modificare la
storia naturale della malattia. Ecco l’ importanza dell’
immunoterapia.
-Fino ai giorni nostri, la nostra immunoterapia è stata una
immunoterapia che tendeva a stimolare la risposta
immunitaria del soggetto neoplastico.
Abbiamo sempre utilizzato dei farmaci in oncologia che
hanno dato delle tossicità pazzesche e dei risultati
sostanzialmente inconsistenti e i due
tumori che hanno fatto le spese di
questo tipo di trattamento sono stati il
tumore del rene e il melanoma, proprio
perché per certi versi erano i tumori
“più orfani” dal punto di vista delle
possibilità terapeutiche.
In questo senso, l’ Interferone e l’
Interleuchina-2, specie quest’ ultima
utilizzati a dosaggi molto elevati, sono
stati somministrati a pazienti con
tumori del rene dando delle risposte
obiettive che non superavano il 15%,
delle sopravvivenze poco impattanti
rispetto a quelle che potevano essere
legate alla storia naturale del tumore
ma una forte tossicità (personalmente
ho visto morire tante persone per
tossicità da interleuchina-2 tanto che il
suo utilizzo era da temere ma
necessario in mancanza di altre opzioni
nel trattamento del tumore del rene).
-In realtà oggi la MODERNA
IMMUNOTERAPIA dei
tumori è una immunoterapia
che non da una stimolazione
del sistema immunitario ma da
luogo a una slatentizzazione di
quei fattori che bloccano l’
immunità del soggetto
neoplastico (di questi fattori ve
ne parlerò più
approfonditamente quando
affronteremo il melanoma).
Sostanzialmente nei tumori
succede che l’ attività di una
T-cell viene bloccata da una
serie di interazioni (che sono
per certi versi rivolti anche al
tumore stesso) che bloccano il
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recettore CTL4 oppure ancora vi è proprio una interazione della cellula tumorale-Tcell che viene ad essere soppressa
perché il tumore produce un ligando che si lega ad un recettore presente sulla cellula T-cell bloccandone la sua
attività.
La scoperta di questo ha portato nell’ arco di 5-6 anni allo sviluppo di anticorpi monoclonali che servono a bloccare
questi meccanismi specifici, quindi slatentizzano praticamente l’ attività del sistema immunitario del soggetto che è
inibito dalla presenza del tumore.
Questo ha sconvolto per esempio il trattamento del melanoma, che pertanto oggi da la possibilità di risposte obiettive
enormi rispetto al passato con una sopravvivenza fino a 2 anni (stiamo parlando di un tumore che in fase metastatica
dava una sopravvivenza di vita di 3 mesi)
E’ stato certamente utilizzato prima nel melanoma e oggi vi posso dire anche nel tumore del rene, con un anticorpo
monoclonale diverso chiamato Nivolumab (che è stato anche utilizzato nel melanoma ma soprattutto nel tumore del
polmone e nel tumore del rene)
Però è questo un razionale che non è adattabile solo ai tumori che pensavamo immunogeni ma è adattabile a tutti i
tumori quindi si sta aprendo una nuova strada al trattamento dei tumori, che sarà probabilmente quella del prossimo
decennio, che con molta probabilità supererà sia la chemioterapia sia le terapie target sfruttando questo tipo di attività
basata sulla slatentizzazione dell’ attività immunitaria del soggetto, incrementandola e quindi determinando la
distruzione del tumore o comunque una riduzione del tumore stesso.
Quindi oggi abbiamo questo tipo di immunoterapia che si sta sviluppando per il tumore del rene.
TARGET THERAPY
Ma il tumore del rene in realtà è un tumore che fino al 2007 ci faceva dire: “ma che cosa faccio? L’ adriblastina (che
non serve a nulla)? L’ interleuchina-2 (che da tossicità e non serve a molto)?”, quindi eravamo davvero confusi.
Nel 2007 però c’ è stata una irruzione di farmaci legata alla comprensione dei meccanismi di sviluppo molecolare
della neoplasia: della conoscenza di quello che è il recettore di EGF (epidermal growth factor) cioè del recettore
tirosin-chinasico che determina tutta una serie di eventi a livello della cellula portandola alla proliferazione ma
soprattutto del fatto che certi tumori (tra cui quello renale) sono tumori avidi di neovascolarizzazione.
Nel tumore del rene, e in
particolare in un modello
sperimentale della sindrome di
Von Hippel lindau, si è visto che
nel momento in cui vi è questa
mutazione genica vi è
sostanzialmente la produzione di
un fattore inducibile l’ ipossia che
stimola le cellule neoplastiche a
produrre fattori neoangiogenici
quindi il VEGF, un altro fattore di
crescita che è il PDGF (fattore
legato alle piastrine che determina
la stabilizzazione delle cellule
endoteliali), tutte condizioni che
favoriscono la vascolarizzazione.
-Quindi il razionale è stato quello
di dar luogo all’ inibizione di
questo meccanismo che nel
tumore del rene era iperespresso,
attraverso fattori anti-
neoangiogenetici cioè:
1) fattori che potessero controbilanciare il VEGF quali il famoso Bevacizumab (che utilizziamo molto bene nel
tumore del colon)
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2) ma soprattutto - perché è questo che gli studi clinici hanno dimostrato - inibitori tirosin-chinasici che inibiscono l’
attività del recettore del VEGF più a valle, inibitori che definiamo “multi-target” perché quando parliamo di
farmaci come Sunitinib , Sorafenib, Pazopanib parliamo di inibitori che hanno una doppia attività: sia sul recettore
di VEGF, sia sul recettore di EGF; dunque questi farmaci hanno la potenza di agire simultaneamente sia sulla cellula
neoplastica (VEGF) sia sulla cellula neoplastica (EGF). La loro attività nell’ ambito del tumore del rene è stata
sconvolgente, nel senso che le risposte obiettive sono state immediatamente più che triplicate rispetto a quelle della
chemioterapia e la sopravvivenza è aumentata fino a sopra i 24 mesi.
Ma il fattore inducibile l’ ipossia oltre
a lavorare attraverso la stimolazione
della cellula a produrre dei fattori
solubili che determinano poi la
neoangiogenesi, agisce anche su un
altro meccanismo.
Questa proteina m-TOR che sta a
valle di quegli eventi causati dal
ligando EGF che interagisce con il
suo specifico recettore e che è
continuamente attivata proprio dal
fattore inducibile l’ ipossia determina
una iperproliferazione della cellula
per stimolazione autocrina.
-Allora è razionale inibire questo
meccanismo e un’ altra categoria di
farmaci, i farmaci anti-mTOR, sono
stati applicati nell’ ambito del
trattamento dei tumori del rene e sono
il Temsirolimus e l’ Everolimus
dando dei risultati estremamente importanti.
QUALE FARMACO UTILIZZARE?
Oggi quindi abbiamo una serie di farmaci che mettono addirittura un po’ in difficoltà l’ oncologo nel scegliere il tipo
di farmaco da utilizzare.
Questo ci ha portato a categorizzare il TRATTAMENTO DI PRIMA LINEA che:
nei pazienti con buono o rischio intermedio di Motzer si basa su farmaci con un’ attività anti-tirosichinasica
(qualunque farmaco esso sia –adesso vi dirò come sceglierlo *) o di tipo anti-neoangiogenetico
(Bevacizumab).
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* Questi farmaci li utilizziamo sulla base delle esperienze che siamo andati maturando però c’ è stato uno studio del
tutto recente che ha confrontato il risultato tra due inibitori tirosin-chinasici che sembravano sostanzialmente
equivalenti in termini di risposte obiettive in quanto davano gli stessi risultati solo che però questi farmaci nell’ ambito
dello studio stesso sono stati somministrati a mesi alterni nello stesso paziente e lo stesso paziente veniva poi invitato
a indicare qual era la sua preferenza dell’ uno o dell’ altro farmaco; questo ha portato a comprendere che in realtà tra
tutti questi farmaci quello maggiormente preferito dal paziente, cioè quello con meno effetti collaterali è il Pazopanib.
Ecco il motivo per il quale oggi si usa il Pazopanib come trattamento di prima linea (il Sunitib come alternativa al
Pazopanib o come trattamento di seconda linea).
nei pazienti invece a basso rischio (con scarsissimi indici prognostici con una sopravvivenza media di 4-5
mesi) si basa su farmaci inibitori m-TOR, quindi non è un discorso di anti-angiogenesi ma si doveva bloccare
il meccanismo di replicazione cellulare direttamente.
Il Temsirolimus ha dimostrato di essere estremamente attivo in questi pazienti tanto da essere usato nel
trattamento di prima linea
RISULTATI DELLA TARGET THERAPY
I risultati della target therapy ve
li ho giù detti: questi farmaci
sono estremamente straordinari
rispetto ai vecchi farmaci; ci
hanno aperto una prospettiva per
questi pazienti inimmaginabile
fino a poco tempo fa e se pensate
al discorso del Nivolumab vi
rendete conto che abbiamo
aperta un’ autostrada che ci
consente attraverso questa
terapia a bersaglio molecolare
(perché anche gli
immunoterapici sono una terapia
a bersaglio molecolare, cioè
hanno un bersaglio molecolare
con cui devono confrontarsi) di
raggiungere certi obiettivi dal
punto di vista terapeutico.
Questi farmaci biologici oltretutto ci sta facendo tornare sempre più medici perché il rischio in oncologia è molto
spesso quello per cui l’ oncologo diventi un “medico da tavolino” cioè che vada ad applicare dei protocolli. E’ un
rischio soprattutto nei grossi centri dove non esiste il paziente ma esiste il caso e il caso è catalogato con una certa
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stadiazione della malattia e questa stadiazione della malattia va trattata in un certo modo, molto spesso stando poco
attenti a quelli che possono essere i fattori confondenti.
Tuttavia questi farmaci, i farmaci biologici, hanno degli effetti collaterali che sono del tutto nuovi e se per quanto
riguarda il Sunitinib, il Pazopanib possiamo confrontarli in termini di variazione dell’ aspetto somatico (per esempio
il Pazopanib da una variazione, un aspetto somatico del paziente che lo porta ad essere vecchieggiante in pochissimi
mesi con un incanutimento dei capelli che non cadono e delle sopracciclia o talvolta il Sunitinib da delle
manifestazioni cutanee di tipo acneico), i nuovi farmaci biologici anti-CTL4 slatentizzano l’ immunità quindi
predispongono a reazioni di tipo autoimmune che potrebbero anche portare a morte il paziente in quanto
predispongono soprattutto a tiroidite autoimmune e a ipofisite autoimmune, tutte condizioni che vanno attentamente
riconosciute e controllate, il che rende molto più di prima la necessità di avere NON un oncologo ma un MEDICO-
ONCOLOGO!
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