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É TEMPO DI RISPOSTE Limiti e prospettive dei servizi postali
RELAZIONE INTRODUTTIVA
Roma, 19 - 20 giugno 2012 Centro Congressi Cavour – via Cavour 50/A
SLC CGIL - Piazza Sallustio, 24 - 00187 Roma Tel 0642048201 Fax 064824325 [email protected] www.slc-cgil.it
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Cos'è Poste Italiane oggi?
Questa è forse la domanda più importante. Rispetto alla quale vorremmo riuscire a
trovare una risposta esauriente.
L'Ing. Sarmi in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell'azienda più grande
d'Italia, l'ha definita un'azienda che mette insieme il telegrafo e la logistica.
Noi diremmo piuttosto che si tratta di un contenitore, che oggi utilizza tecnologie
più moderne, peraltro non sempre correttamente funzionanti, per movimentare prodotti
materiali e virtuali (dati, c/c, sistemi di pagamento).
Se poi capita di entrare in un ufficio postale, si ha la sensazione di essere dentro un
SUK.
Come in un grande mercato all'aperto, in cui però il personale risulta insufficiente,
vengono esposti libri, gadget, prodotti finanziari, gratta e vinci …merci completamente
differenti tra loro che danno l'idea di una gran confusione.
Manca del tutto infatti, nel suk Poste Italiane, l’idea della specializzazione.
In un epoca in cui qualunque azienda fidelizza la propria clientela offrendo prodotti
mirati, gli uffici postali risultano essere luoghi in cui tutto si mescola e i lavoratori devono
pertanto essere in grado di offrire un ventaglio di prodotti anche profondamente diversi
tra loro, spesso senza essere in condizione di garantire alcun riguardo per la privacy dei
propri clienti.
Prodotti finanziari, assicurazioni, mutui o semplicemente carte telefoniche, perché
tra tutto ciò che Poste è in grado di offrire c’è sicuramente qualcosa di cui il cliente di
turno possa o debba avere bisogno.
Sicuramente però, se venisse chiesto a qualsiasi utente all’uscita da un ufficio
postale cosa pensa della qualità e delle modalità con cui i servizi vengono offerti la
risposta sarebbe di assoluta insufficienza, ma evidentemente, non viene effettuata una
reale misurazione della customer satisfaction o forse, più semplicemente, anche in questo
caso non si tiene conto dei risultati ottenuti.
Una cosa però è certa, ogni volta che si verifica un problema, ad andarci di mezzo
sono sempre le lavoratrici e i lavoratori.
Spesso mortificati nella propria professionalità, vengono puntualmente esposti all’ira
della clientela per colpe non loro, come nel caso degli innumerevoli blocchi informatici che
in diverse occasioni hanno paralizzato tutti gli uffici di Italia, bloccando pagamenti e
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personale per giornate intere. Altra grande anomalia, quella dei blocchi informatici per chi
ha l’ambizione di diventare leader in Italia nella gestione evoluta ed integrata dei sistemi di
pagamento.
Allora a questo punto forse la seconda domanda potrebbe essere questa: il modello
di SUK, sia esso virtuale o fisico, è ancora quello giusto?
E la domanda diventa ancora più importante dal momento che Poste sembrerebbe
aspirare ad essere un CLOUD competitor; vorrebbe cioè occuparsi anche della gestione
della banca dati della Pubblica Amministrazione.
Senza entrare troppo nel merito di questa ultima affermazione fatta recentemente
dell'AD, noi ci limitiamo a ricordare che Telecom ha già 7 server …, questo per dire che
forse è arrivato il momento di fare un po' d'ordine, e di comprendere, quali sono le reali e
realizzabili prospettive di sviluppo di un'azienda che ha le sue radici, e dunque la sua
forza, per terra, non nell'etere.
Siamo da sempre convinti che ricercare nuove nicchie di mercato per competere e
crescere sia un fatto assolutamente positivo, ma siamo altrettanto convinti che questo
vada fatto seguendo una logica che, coniugando tradizione e innovazione preveda una
strategia di insieme che nella più grande azienda a rete d'Italia non può e non deve
mancare. E che ad esempio operazioni come quella della Banca del Mezzogiorno,
culminata con l'acquisto di Mediocredito Centrale, (operazione costata 136 milioni), non
possano sprecare risorse e attenzione, distraendo da quello che deve continuare ad essere
un asset fondamentale - il servizio postale.
Un piccolo inciso su questo punto: quando si cominciò a parlare della Banca del
Mezzogiorno, la SLC CGIL manifestò in perfetta solitudine il suo dissenso rispetto a questa
operazione, sostenendo che la stessa rischiava di modificare strutturalmente il tradizionale
assetto del gruppo, senza garantire un servizio realmente utile. Sostenevamo allora come
adesso, che Poste entrava con quella scelta in un nuovo settore pieno di incertezze, e si
indeboliva in quello tradizionale dove, peraltro, dall'anno scorso vige la piena
liberalizzazione.
Il meccanismo farraginoso che fin dall’inizio caratterizzava l’impresa, ne rendeva
ancor meno comprensibile l'utilità. Mentre infatti ovunque si tende a semplificare, ad
accorpare per snellire le procedure, il progetto prevedeva una serie di passaggi dovuti al
fatto che Poste non è una banca e non può comportarsi come tale.
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Oggi su questo giudizio troviamo la condivisione del Ministro Passera, che in
un'intervista al Sole 24ore afferma di non credere alle possibilità di sviluppo del progetto.
Per il Ministro, come per noi, non sarebbe "né facile né utile lo sviluppo, se non in
quantità molto limitate e in luoghi definiti, di un'attività creditizia che porterebbe le poste,
che fanno servizio universale, a discriminare e a dotarsi di capacità che non ha".
I numeri degli sportelli ad oggi coinvolti avvalorano questa tesi, evidenziando fin da
adesso il fallimento dell’iniziativa: all'inizio dovevano essere 5000, oggi sono solo 250.
Nel frattempo, tra un arricchimento di merce proposta in quello che abbiamo definito un
SUK e operazioni che tradiscono la mancanza dei requisiti utili per garantire l'efficienza
necessaria per la gestione di prodotti bancari, lo scenario competitivo dei mercati postali,
nella fase finale del percorso di liberalizzazione, ha dato via ad un processo irreversibile,
ed è necessario capire che tipo di azienda vuole essere Poste Italiane e quali servizi vuole
realmente offrire?
Così come è necessario capire come intende agire nei confronti dei servizi che affida
in appalto, ridottisi da un valore di circa 70 milioni di euro nel 2007, a 58 milioni nel 2008,
a meno di 40 milioni nel 2011.
Oggi le gare bandite da Poste Italiane prevedono l'affidamento di servizi per un
valore non superiore a 28 milioni di euro, con ricadute significative sulle imprese e in
termini di occupazione. (Negli ultimi cinque anni a seguito di queste decurtazioni il settore
ha perso circa 2000 occupati).
La nostra proposta è che si rivedano le logiche attraverso cui si esternalizzano le
attività.
Ma per farlo l’azienda deve avere un’idea chiara su come procedere nell’integrazione tra
logistica e recapito. Solo così si possono garantire economie significative a Poste Italiane e
vantaggi notevoli per i clienti a cui è rivolto il servizio.
Così come è necessario istituire chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità.
Di sicuro, nelle more di definizione delle questioni, Poste Italiane deve sospendere
nell'immediato l'avvio dei nuovi bandi, perché l’impatto che si registra, anche in termini
occupazionali, sta assumendo proporzioni rilevantissime.
Se poi pensiamo che la liberalizzazione dei servizi postali in Italia è caratterizzata da
non poche anomalie, dal momento che Poste Italiane, in qualità di ex monopolista
continua ad avere una serie di agevolazioni dallo Stato (non paga l'IVA sulla posta
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massiva) mentre lo stesso trattamento non tocca agli operatori privati, ci rendiamo conto
che qualcosa realmente non và.
Di contro, questi ultimi si sono moltiplicati a dismisura; (si calcola che oggi le
imprese titolari di licenza siano oltre 2500, erano circa 70 fino al 2000).
Questo fenomeno avviene perché l'autorizzazione all'esercizio del servizio viene
concessa senza la dovuta adeguata attenzione nei confronti dei requisiti di solidità, tecnico
-organizzativi, imprenditoriali delle imprese e degli addetti al servizio in un settore molto
delicato che prevede anche il contatto con il pubblico, la sicurezza e la riservatezza della
corrispondenza e degli utenti del servizio.
Ha fatto scalpore la denuncia della Gabanelli di poco tempo fa relativa all’utilizzo da
parte di SDA di società che operano con lavoratori assunti in nero (37 per la precisione,
ma sono solo quelli noti).
Per noi questa vicenda ha rappresentato e rappresenta un fatto gravissimo, che se
non recuperato con azioni ferme e decise, rischia di trasformarsi in un pessimo esempio
per tutte quelle aziende e micro aziende che stanno sul mercato a fatica.
Una vicenda che deve far riflettere una volta per tutte sulla necessità, non più
rinviabile, di fissare regole certe uguali per tutti, perchè in assenza di in un'unica cornice di
riferimento, i casi di lavoro irregolare o, peggio ancora in nero, rischiano di proliferare a
dismisura.
Se a fronte di una tariffa media di 180 euro al giorno, soglia economica che
garantisce la legalità nell’esecuzione dei servizi di distribuzione (perché comprende i costi
sostenuti dal cosiddetto padroncino, pagamento dei lavoratori compreso), SDA riconosce
invece una media di 100-120 euro, è evidente che i 60-80 euro mancanti si scaricheranno
sul costo del lavoro.
Il che significa evasione fiscale e contributiva, ma anche assenza di sicurezza sul
lavoro.
La verità è che si sta consolidando l’idea che in questo comparto la concorrenza si
possa fare sulla pelle dei lavoratori.
C’è solo un modo per porre fine a queste situazioni: cominciare a discutere di regole
certe e fare in modo che vengano applicate, altrimenti, nonostante la sottoscrizione di
avanzati protocolli sugli appalti, come quello di cui dispone Poste Italiane, questi
rimangono spesso inapplicati.
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Oggi il decreto Monti introduce a carico del committente un articolato regime di
responsabilità solidale, pensiamo sia l’inizio di un percorso che deve però coincidere con
l’avvio di una discussione seria sul contratto di settore, da troppo tempo annunciata e mai
realmente avviata.
Quanto fin qui esposto, serve per chiarire che noi pensiamo che Poste debba
rimanere un grande outsourcer di servizi, ma che debba essere più efficiente in quelli del
recapito e della logistica, rispetto ai quali è arrivato il momento di ragionare a 360°, per
prevederne i fattori di criticità e gli elementi di opportunità utili per il loro rilancio.
Per farlo, è necessario a nostro avviso governarne il cammino anche attraverso il
confronto tra organismi politici , Authority e Aziende del settore e questo passaggio
diventa più urgente in un momento di grande crisi come quello attuale che non potrà, a
differenza del passato, lasciare immutata neanche la condizione di Poste.
Senza volere in questa sede approfondire le ragioni che hanno determinato l'attuale
stato di crisi, servirebbe troppo tempo e probabilmente un altro convegno, non possiamo
esimerci dal prendere atto che stiamo attraversando una fase di recessione la cui
ampiezza e durata sono ancora profondamente incerte; una fase in cui l'area della
marginalizzazione sociale si sta allargando anche verso quelle categorie che godevano di
un normale status e che oggi intravedono lo spettro della povertà.
Rientrano a pieno titolo tra questi, anche i cosiddetti "esodati", vittime di un
madornale errore del Governo Monti che, con ingiustificabile e perseverante superficialità,
ha determinato una nuova piaga sociale.
Da questa crisi si esce se tutti, ma proprio tutti, contribuiscono con serietà a fare il
proprio dovere. E questo vale maggiormente per quelle aziende, le cosiddette "public
utility", che per radicamento territoriale, dimensioni economiche e, soprattutto, quantità di
lavoratori dipendenti, hanno il privilegio di occupare i vertici nazionali.
Sono i poli aziendali di grandi dimensioni che hanno la concreta possibilità, oltre che
la responsabilità, di contribuire sostanzialmente alle sorti, non solo economiche, di tutto il
paese.
Poste italiane, che è la 6^ azienda italiana per fatturato, ma la 1^ per numero di
dipendenti, è sicuramente tra queste.
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Eppure, nonostante questo, in un momento del genere, in cui i grandi gruppi
stanno fermi anche per capire cosa succederà sul terreno dell'ordinamento del mercato del
lavoro, Poste Italiane si muove, e lo fa nella direzione sbagliata, proponendo l'ennesimo
progetto di riorganizzazione dei SP, che impatta, tagliando migliaia di zone sulla qualità dei
servizi offerti, ma soprattutto sulla tenuta occupazionale, determinando migliaia di esuberi.
Ecco dunque un'altra delle motivazioni che ci hanno spinto ad avviare una
discussione ampia, trasparente, serena, ma soprattutto severa sullo stato di poste italiane
e sulle sue prospettive.
Il Governo precedente la definì "un'infrastruttura fondamentale per il sistema
paese", ed è una delle pochissime cose che ci sentiamo di condividere.
Purtroppo il nostro timore, oggi, è che la deriva finanziaria verso la quale l'azienda
sembrerebbe ormai orientata ne minacci unitarietà e integrazione - che a nostro avviso
insieme formano uno straordinario fattore di sviluppo - rendendola sempre meno
"infrastruttura" e sempre meno "fondamentale".
In sostanza, l'affannosa rincorsa agli utili di bilancio (da poter garantire all'azionista)
sta snaturando la più importante ragione di esistenza delle poste: offrire un efficiente,
puntuale, conveniente e universale servizio pubblico.
Un servizio degno del 7° paese industriale al mondo che, almeno, trasporti, recapiti,
offra prodotti di risparmio postale e garantisca un sicuro sistema di pagamenti: un sistema
a rete fatto da uomini, uffici, computer e trasporti, in quantità necessarie a garantire
questi servizi primari.
Che poi questo sistema debba essere sfruttato (e l'esperienza dimostra che si può
farlo proficuamente) per fornire ulteriori prodotti/servizi innovativi o maggiormente
remunerativi, è del tutto evidente ed è quanto è successo dal 28 febbraio 1998, data di
trasformazione di Poste italiane da Ente pubblico in S.p.A.- Ma in nessun caso il servizio
postale deve limitarsi la possibilità di garantire a tutta la popolazione che risiede nello
Stato italiano, ovunque abiti, uno standard efficiente di servizio universale: è una
questione di pari opportunità e integrazione sociale, valori che non possono essere
sacrificati per ragioni economiche.
Questo è il motivo per cui denunciammo le ambiguità contenute nell’ultimo
Contratto di Programma, che oltre a tradire di fatto quanto previsto della direttiva europea
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in tema di servizio universale risulta essere in contraddizione con gli accordi sottoscritti
con le oo.ss.
Quando per rispondere alle esigenze di Poste italiane s.p.a. fu ideato un modello
divisionale che garantiva comunque l'unicità del Gruppo, su misura, questo ha
rappresentato l'assetto migliore per una trasformazione rapida ed efficace.
La chiarezza di obiettivi e responsabilità consentirono di recuperare in pochissimi
anni un atavico deficit economico e di efficienza, e favorirono la creazione di un solido
gruppo aziendale che, a cavallo tra la fine degli anni 90 e i primi anni del 2000, produsse
ottimi servizi, in tutti i settori di attività nei quali l'azienda operava.
Oggi quel modello organizzativo conserva ancora tutta la sua attualità, ma si è
talmente contaminato e parcellizzato che, da propulsore d'innovazione, rischia di
rappresentare un serio limite allo sviluppo.
Dopo aver svolto egregiamente il suo lavoro, in una fase di risanamento, la
struttura divisionale dovrebbe allora fare altrettanto bene in una nuova fase di rilancio
dell'azienda.
Tuttavia perché ciò si realizzi, è necessario tornare allo spirito originario, quello, per
intenderci, della chiarezza di obiettivi e responsabilità.
Se guardiamo agli altri paesi europei, ci accorgiamo che il modello di sistema
postale è molto più semplice e definito.
I principali operatori sono organizzati con assetti e strategie riconducibili a tre
modelli:
- azienda solo postale (attiva cioè solo sui mercati della corrispondenza, dei pacchi e del
corriere espresso);
- azienda postale e banco postale;
- azienda postale, banco postale e della logistica industriale.
Il primo modello, che caratterizza l'operatore spagnolo e quello britannico, è molto
a rischio, essendo concentrato esclusivamente su attività a più bassa prospettiva di
crescita.
E' una soluzione particolarmente vulnerabile, specie in questa fase caratterizzata dal
calo dei volumi di traffico, e si dimostra proprio nella recente ricerca, da parte di questi
due operatori, di opportunità di diversificazione in altri settori o ambiti geografici.
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Si tratta di un modello alternativo a qualsiasi forma d'integrazione con aziende o
servizi di natura diversa in cui la specializzazione sul singolo settore merceologico
impedisce ogni confronto con operatori, come quello italiano, che adottano strategie
totalmente differenti.
Il secondo modello - cioè azienda postale e banco postale - è quello prescelto dalla
Francia ed ha le caratteristiche sufficienti a consentire lo sviluppo dell'operatore in mercati
sempre più concorrenziali, e a garantire la salvaguardia del servizio universale.
Il terzo modello è stato seguito da Germania e Olanda. In entrambi i casi si è scelta
la diversificazione logistica e lo si è fatto a livello internazionale impegnando - soprattutto
in Germania - risorse veramente enormi e potendo in entrambi i casi basarsi su altissimi
utili derivati dal monopolio postale. Si tratta di una strategia fuori dalla portata di altri
operatori.
L'Italia, consolidatasi sul modello francese, ha conseguito ottimi risultati di mercato
grazie alla unitarietà ed alla integrazione delle funzioni aziendali, ma oggi tentenna.
Stupisce, infatti, il ripensamento di una strategia vincente per puntare su una
diversificazione molto spinta, la cui validità è tutta da dimostrare.
Ci auguriamo di sbagliare ma abbiamo il sospetto che parcellizzare il più possibile le
attività, creando uno spezzatino di azienda, renda solo più facile venderle sul mercato, una
ad una, in caso di necessità.
Per quanto ci riguarda, lo diciamo con estrema chiarezza, il modello da perseguire
continua ad essere quello francese. Mantenere uniti la parte postale con quella finanziaria
è una scelta che offre maggiori garanzie di sviluppo e consente migliori innovazioni di
prodotto.
Su questi temi l'azienda cosa risponde?
In tempi normali è anche possibile che una strategia, un progetto o una visione non
siano totalmente adeguati alla necessità del momento. In tal caso, coerentemente con i
tempi consentiti dal mercato di riferimento, esistono gli spazi per porre in essere i
necessari correttivi o gli aggiustamenti utili a tentare di raggiungere i risultati attesi.
Ma nel contesto attuale, immaginare di porre questioni di straordinaria importanza,
come la riduzione della forza lavoro, la contrazione dell'efficienza dei servizi universali o,
addirittura, la loro messa in discussione, avanzando motivazioni inconsistenti, è
francamente inaccettabile oltre che inopportuno. Se poi aggiungiamo il fatto che l'azienda
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immagina di procedere con un finto confronto con le oo.ss. che deve durare 10 giorni
siamo proprio al paradosso.
La verità è che l'attuale management di poste italiane, nel corso degli ultimi dieci
anni, ha deciso di abbandonare gradualmente i servizi postali, puntando solo ed
esclusivamente su servizi finanziari, assicurativi e telefonici.
Tagliare i costi è stata dunque l'unica politica di questo management nel comparto
dei servizi postali che, nonostante tutto, nell'ultimo bilancio consolidato (2011) hanno
prodotto ricavi per 3.725 milioni di €uro (-3,4% rispetto ad anno 2010).
Fatto sta che nel 2002, ultimo anno dell'era Passera, i lavoratori impegnati nella
lavorazione di corrispondenza e pacchi erano più di 90.000. Oggi sono circa 65.000.
Sono stati tagliati 25.000 posti di lavoro senza effettuare alcun minimo tentativo di
lanciare una politica di sviluppo in questo settore.
Il 27 luglio 2010 poste italiane e organizzazioni sindacali hanno sottoscritto
l'ennesimo accordo (definito dall'azienda "epocale") che prevedeva una riduzione di circa
ulteriori 6.000 posti di lavoro di cui quasi 5.000 nel recapito.
Un piano di riorganizzazione che non ci aveva convinto totalmente, ma che abbiamo
condiviso perché conteneva, comunque, innovazioni utili ad una fase di sviluppo.
Il piano è stato attuato dall'Azienda con velocità incredibile, ma solo per la fase dei
tagli, che hanno riguardato tra l'altro più lavoratrici e lavoratori del previsto (8000),
mentre nulla, invece, è stato fatto per realizzare la parte che riguardava lo sviluppo.
Non abbiamo poi ben compreso perché tutte le progettazioni e le trattative che
hanno riguardato quel progetto siano state portate avanti da un gruppo dirigente, mentre
la realizzazione del progetto stesso è stata affidata ad altri manager.
Anche per questo, forse, e' venuta meno quella logica di continuità, fondamentale
per la buona riuscita di accordi così complessi, tanto che i nuovi dirigenti, confermando di
non crederci affatto, lo scorso mese di maggio al tavolo della trattativa, hanno definito
l'intesa del 27 luglio 2010 "archeologia industriale".
Ci è sembrata un'affermazione ingenerosa visto che le migliori aziende postali del
mondo, come la statunitense USPS o le poste tedesche, da alcuni anni cercano di
realizzare questo stesso tipo progetto senza riuscirvi, anche e soprattutto per l'opposizione
dei loro sindacati.
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Di certo, oggi, non può essere imputata al sindacato poca disponibilità verso Poste
Italiane poiché, alla luce degli accadimenti successivi, si pone un serio problema sulla reale
necessità di accordi particolarmente difficili, che poi restano in larga parte inattuati.
Evidentemente l'interesse aziendale era circoscritto alla mera realizzazione delle
economie che quell'intesa ha prodotto: null'altro!
Non si spiegherebbe altrimenti quanto accaduto nell'ultimo anno a livello di servizi
postali:
il progetto del postino telematico, enfatizzato e sbandierato ai 4 venti come la nuova
frontiera dei servizi postali in Italia, è stato prima estrapolato dal recapito e poi affidato
alla struttura di operazioni, quella che si occupa dei Centri di Meccanizzazione Postale per
capirci.
La domanda sorge spontanea: cosa centrano i CMP con i postini telematici?
Nulla! Tant'è che l'anno successivo il progetto è stato di nuovo riportato nell'ambito
della struttura del recapito, ma solo dopo averlo depauperato di tutte le competenze
maturate sul campo.
Anche il progetto denominato "A.S.I." (Articolazione Servizi Innovativi), sullo
sviluppo del quale il sindacato aveva posto fondate aspettative, fu subito tolto dal recapito
e affidato alla struttura della Qualità.
Ed anche questa volta non siamo riusciti a capire cosa c'entrassero i portalettere
dell'ASI con la struttura alla quale venivano affidati.
Infatti, dopo un anno, anche l'ASI è tornata nell'ambito del recapito.
Spesso i lavoratori si chiedono (e ci chiedono) se ciò che sta succedendo dipenda
da scelte ponderate o del fatto che si va avanti per tentativi, senza nessuna strategia. E
non nascondiamo un certo imbarazzo nel non sapere realmente cosa rispondere.
Prendiamo ad esempio le ragioni della crisi dei servizi postali.
Non è corretto sostenere che in tutto il mondo i volumi di corrispondenza
diminuiscono: diminuisce la corrispondenza ordinaria, ma pacchi e raccomandate
aumentano significativamente grazie soprattutto allo sviluppo del commercio elettronico.
Ciò che in realtà diminuisce costantemente è la corrispondenza affidata a poste
italiane dai grandi clienti (Tele 2, ENEL, Banca Intesa, A2A) che nella maggior parte delle
regioni, soprattutto per ragioni di qualità del servizio, preferiscono abbandonare poste e
affidarsi ad altri operatori.
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Poste Italiane sicuramente arretra e versa in vere e proprie difficoltà, ma non per
fatalismo: sono stati commessi gravi errori gestionali e non c'è stata nessuna iniziativa di
sviluppo nei servizi postali.
L'Articolazione Servizi Innovativi è stata trasformata in un canale commerciale
mentre al tavolo della trattativa si era convenuto che avrebbe affiancato gli uffici postali,
compresi quelli dedicati alle imprese, per recuperare volumi di concorrenza dirottati verso
altri operatori.
Invece, incredibilmente, si è creata una sorta di concorrenza interna, per effetto
della quale i postini dell'Articolazione Servizi Innovativi sono andati a portare via i clienti
non alla concorrenza, ma agli uffici postali stessi e persino alla struttura commerciale
aziendale che si occupa di grandi imprese e della pubblica amministrazione, la cosiddetta
"GIPA".
Anche qui dobbiamo rilevare una certa qual contraddizione: per un verso l'azienda
chiede di ridurre il personale addetto alla lavorazione e alla consegna della
corrispondenza, con le conseguenze negative sul piano della qualità e della gestione dei
servizi che sono note a tutti; per altro verso incrementa disordinatamente il numero di
strutture commerciali - sono almeno 4 solo per i servizi postali - che, in teoria, dovrebbero
conquistare clienti e traffico in nome della efficienza e puntualità.
Quale è la "ratio"?
C'è poi il caso che riguarda un servizio di posta ibrida assolutamente
all'avanguardia, il cosiddetto SIN (Servizio Integrato Notifiche) che sta decisamente
scadendo.
Fino a un paio di anni fa di queste attività complesse si occupavano efficientemente
professionalità di primo piano, e i risultati sul piano economico e gestionale, erano di
assoluta eccellenza.
Poi il servizio è stato completamente destrutturato e impoverito, anche dal punto di
vista gestionale (era diretto da un pool di dirigenti e quadri, oggi è coordinato solo da un
quadro).
Il risultato è che clienti istituzionali come l'Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato,
Equitalia e le grandi polizie municipali sono molto insoddisfatti per i continui e gravi
disservizi che vengono loro procurati e i risarcimenti che sono richiesti a Poste valgono
centinaia di milioni di euro.
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Analoghe difficoltà sono all'ordine del giorno sul versante della corrispondenza
internazionale.
Pochi, infatti, si sono accorti che alla fine del 2010, con una decisione molto
discutibile e non concordata con il sindacato, è stato soppresso il Centro Scambi
Internazionali di Milano (CSI).
Dopo aver speso centinaia di milioni di euro in investimenti tecnologici e
immobiliari, dalla sera alla mattina, l'azienda ha rinunciato ad avere in questo settore un
ruolo competitivo a livello internazionale.
La qualità è peggiorata velocemente e molti paesi europei contestano la veridicità
dei dati aziendali che la certificano.
Anche in questi casi non è difficile dover rispondere economicamente dei disservizi,
come dimostra il contenzioso con le poste tedesche caratterizzato da risarcimenti di
parecchi milioni di euro.
Il caso del CSI di Milano, purtroppo, però, non è l'unico caso di grave spreco che
abbiamo registrato.
Negli ultimi anni sono state spese somme ingenti per realizzare nuovi centri di
meccanizzazione postale, ne sono stati realizzati: uno a Novara, uno ad Ancona, uno a
Pisa, ecc.
Ebbene, a distanza di poco tempo dalla loro apertura ora si decide di chiuderli o di
trasformarli.
Esisterà sicuramente una giustificazione a tutto questo scempio, ma francamente ci
sfugge.
Ciò che realmente conta è capire perché questi cambi di strategia succedono
sempre dopo aver speso ingentissime quantità di denaro e per quale ragione errori così
grossolani non abbiano mai nessun responsabile, con l'inevitabile risultato che a pagare
siano sempre e solo i lavoratori e i cittadini.
Come accennavo prima, il 12 aprile scorso l'azienda ha proposto un progetto di
riorganizzazione dei servizi postali che, in prima battuta, impatta su cinque regioni.
Si tratta di uno stravolgimento della logistica e dei parametri che fissano la
prestazione del portalettere, incrementandone teoricamente la produttività.
A nostro avviso l'unica cosa certa è che l'implementazione del progetto determinerà
quasi 1.800 esuberi di personale.
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Risulta evidente, per chi ha la reale conoscenza delle attività sul territorio, che
questo peggiorerà ulteriormente la già pessima qualità dei servizi, riducendo sensibilmente
la capillarità delle rete di recapito e la possibilità di garantire il servizio, compreso quello
universale, in ampie zone del paese.
Noi non siamo d'accordo.
E' necessario interrompere questa spirale negativa dove ad ogni calo di volumi di
traffico corrisponde un taglio di organico. Ed è evidente che in assenza di una reale
strategia e di un reale interesse volto al rilancio dei servizi postali, il rischio è quello di
dover discutere, con cadenza periodica solo di un progressivo smantellamento della rete e
del personale impiegato.
L'ultimo progetto si chiama infatti "interventi servizi postali - impatti previsti per il
2012". Gli interventi onestamente sfuggono, mentre gli impatti sono evidenti perché
coincidono con 1.763 tagli di personale, e solo nel 2012.
Così non ci stiamo!
Se dovesse servire siamo pronti a fare la nostra parte e anche ad avanzare
proposte, ma in una prospettiva di rilancio dei servizi, non certo di una loro contrazione.
Una di quelle che ci sembra più sensata è procedere velocemente all'integrazione
delle reti.
Non posiamo più permetterci di avere così tante reti logistiche: quella per la
corrispondenza, quella delle Agenzie di Recapito e quella di SDA.
Per chi lo avesse dimenticato, ricordiamo che l'impegno della loro integrazione lo
avevamo già scritto nell'accordo del 27 luglio 2010, quello "dell'archeologia industriale".
Possiamo poi discutere di un efficace progetto che punti alla specializzazione di
queste reti sul territorio, ma sempre in un'ottica d'inclusione e sinergia.
Le Poste Tedesche hanno acquistato DHL che, a sua volta, sta per acquistare
Bartolini; Poste Italiane, invece, dopo avere venduto le proprie quote di partecipazione in
Bartolini, cerca di cacciare via le agenzie di recapito storiche che da decenni collaborano
proficuamente sul recapito, spingendole verso alleanze con possibili competitori.
La verità è che a Poste Italiane manca un piano vero persino sull’e-commerce,
grande settore in continua espansione, che le aprirebbe nuovi orizzonti anche riguardo ad
una internazionalizzazione dei servizi offerti che, per un’azienda di queste dimensioni
dovrebbe rappresentare uno dei principali obiettivi di sviluppo.
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Il titolo del convegno recita "è tempo di risPoste" e non è un caso.
Come SLC CGIL vogliamo discutere dunque della esigenza di integrazione verticale
tra asset legati al trasporto di "cose" che attraversano continenti , paesi , e città così come
vogliamo parlare della necessità di creare un progetto nuovo che si discosti dall'attuale
modello di Poste.
Abbiamo respinto con forza il progetto di riorganizzazione su 5 regioni
recentemente presentatoci perché non contiene nulla di tutto questo ed è fallito già in
partenza.
Noi speriamo vivamente che prevalgano il buon senso e la responsabilità e che
l'Azienda non decida di procedere ugualmente, nonostante il nostro assoluto dissenso, con
la riorganizzazione dei processi, perché in tal caso la risposta del sindacato sarà
proporzionalmente dura e decisa.
Siamo disposti a ragionare su tutti i progetti che puntino a: Sviluppo, salvaguardia
dei livelli occupazionali e qualità dei servizi per i cittadini e le imprese.
Lo avevamo già fatto, a partire dalle proposte emerse in occasione del nostro ultimo
convegno di Perugia. Proposte che oggi, alla luce di quanto sta accadendo possiamo
definire lungimiranti.
Su altro non siamo disponibili.
Un'ultima battuta su quanto è accaduto la settimana scorsa.
Come è noto è stato sottoscritto da Poste Italiane 4 OO.SS. (che insieme
rappresentano il 22% delle lavoratrici e dei lavoratori di Poste) un accordo sul PDR che,
nonostante l'ennesimo bilancio in attivo, non prevede alcun aumento nel triennio.
Ancora una volta dunque i lavoratori vengono strizzati senza che gli venga poi dato
il giusto riconoscimento economico ma, cosa ancora più grave, vengono esclusi dal bonus
presenza oltre 35.000 lavoratrici e lavoratori.
Tra questi vi sono le future mamme, che al pari dei lavoratori in infortunio, dei
malati di gravi patologie, anche oncologiche e di chi subisce ricoveri in ospedale, non
avranno da oggi più diritto al Bonus Presenza pari a 140 euro annui.
L'astensione obbligatoria per maternità viene equiparata infatti (insieme
all'infortunio sul lavoro!) all'assenza per malattia e, a meno che la lavoratrice interessata
non decida di violare la Legge e di presentarsi al lavoro anche quando è OBBLIGATA a
stare a casa, perderà 140 euro di salario.
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Noi pensiamo che la gravità di quanto proposto dall'azienda sia enorme. E ci
rammarichiamo per il fatto che 4 oo. Ss. Non abbiano ritenuto di doversi astenere dal
mettere quella firma.
Abbiamo posto la questione alla Ministra Fornero chiedendole di revocare il Bollino
rosa assegnato a Poste nel 2007 quale riconoscimento per le buone prassi in termini di
strategie e pratiche aziendali tendenti alla valorizzazione della presenza e delle
competenze femminili. Non crediamo lo meriti più.
Così come abbiamo chiesto a tutte le parlamentari e le senatrici di far sentire la
loro voce contro l'ennesima ingiustizia perpetrata ai danni delle donne, ma non solo.
Approfittiamo di questa occasione per ringraziare l'on. Velo per la tempestiva presa
di posizione in tal senso e aggiungiamo che le iniziative messe in campo, in questa fase
insieme alla SLP CISL, non sono altro che un primo segnale di quanta determinazione ci
sia nel voler contrastare l'impostazione di una grande azienda che sembra aver deciso di
pensare in piccolo.
Noi vogliamo che i servizi postali ritornino ad essere un'infrastruttura fondamentale
del sistema Italia e ci interessa garantire la presenza costante sul mercato di un'azienda
sempre più forte.
Una cosa però deve essere chiara, in nessun caso permetteremo che le sue
economie o le sue pseudo strategie di mercato si basino su arretramenti economici o,
peggio ancora, su arretramenti che ledono i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
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